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Sulla definizione dello SPECISMO Introduzione Gli antispecisti lottano affinch gli interessi degli umani e dei non

umani vengano posti sullo stesso piano, in nome di un ideale di uguaglianza 1 tra le specie. In tal senso essi si oppongono alle teorie e alle pratiche che riconoscono esclusivamente gli interessi dell'animale umano e definiscono "specismo" l'atteggiamento di pregiudiziale disattenzione o negazione degli interessi dei non umani. A. Storia dell'antispecismo Il concetto di "specismo" viene elaborato esplicitamente verso la fine degli anni '60 nell'ambito della filosofia morale anglosassone. Esso per il risultato di una lunga storia: ha alle spalle generazioni di "animalisti" che hanno cercato, a partire da tradizioni e impostazioni diverse, di denunciare la violenza dell'uomo verso gli altri animali. Schematizzando al massimo, possiamo dire che nella storia (occidentale2) si sono succedute grosso modo le seguenti modalit di "difesa" dell'animale non umano: 1) un vago sentimento di amore/rispetto di singoli individui (ad es. Porfirio, Leonardo, Schweitzer) per gli animali 2) un movimento zoofilo/protezionista che a partire dall'800 ha coltivato la simpatia morale verso gli animali come "estensione" dei diritti umani 3) un movimento liberazionista che a partire dagli anni '70 ha teorizzato (Richard Ryder, Peter Singer, Tom Regan) e messo in pratica (ALF) una visione di radicale liberazione dell'animale dal dominio umano che va ben al di l della zoofilia e del protezionismo vecchio stampo. B. Elementi dello specismo Una lotta antispecista che non condanni l'uomo come essere intrisecamente "malvagio" ed "innaturale" (cio erroneo, da cancellare etc.), muove da due presupposti: che la societ umana non sia (1) per natura e (2) necessariamente una societ gerarchica e oppressiva del vivente. Il presupposto (1) ci spinge quindi a comprendere quando e come la societ umana diventa specista e ci pu essere fatto tramite un'analisi storica dei rapporti tra societ umana e natura. Il presupposto (2) ci permette di sostenere la possibilit di un cambiamento futuro della societ umana ed elaborare una prassi in grado di porre in essere tale cambiamento. (1) Storia dei rapporti tra le societ umane, il vivente non umano e l'ambiente Lo specismo non va inteso riduttivamente come visione discriminatoria, poich esso anche e soprattutto una prassi di sfruttamento. In tal senso importante definire il concetto di sfruttamento per comprendere quando la societ umana diventa, di fatto, specista. Definiamo sfruttamento il controllo (totale o parziale) del ciclo biologico di un altro essere vivente tale che questi perda la propria autonomia e venga cos ridotto a risorsa. Vanno considerate perci "materialmente" speciste, le societ umane che praticano l'addomesticamento della vita non umana in ogni sua forma e, pertanto, tutta la storia della civilt, fondata sull'allevamento e l'agricoltura. Ma anche lo specismo come visione discriminatoria - o ideologia - sorge con la civilt, con la costruzione di religioni antropocentriche e spiritualiste3, in cui l'uomo posto come signore della natura in una posizione di privilegio ontologico e assiologico. La storia della civilt ci mostra come lo specismo non sia solo una forma di discriminazione "analoga" al sessismo e al razzismo. Come prassi di sfruttamento anzi molto di pi: addirittura il presupposto storico dei rapporti di dominio infraspecifici. Bench esso non sia stata l'unica causa di tali sviluppi sociali, certo per che senza lo sfruttamento materiale della natura non sarebbe stato possibile creare il differenziale di ricchezza sociale ed economica che alla base delle societ classiste, sessiste e belliciste e, dunque, dell'intera civilt. Cos come certo che senza la riduzione dell'animale non umano a natura "inferiore", non sarebbe stato possibile realizzare i meccanismi ideologici che riducono la donna e lo straniero ad esseri privi di "spirito", dunque mera "natura", quasi "animali". (2) L'antispecismo come prassi di trasformazione
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Il concetto di uguaglianza qui lasciato volutamente in senso generico, essendo profondamente diverso il significato e la giustificazione che gli antispecisti danno a tale concetto (uguaglianza "di interessi", uguaglianza "giuridica", uguaglianza "politica" etc.). 2 Il pensiero orientale ha conosciuto filosofie e religioni (Buddismo, Jainismo) che non ammettevano n predicavano una differenza assiologica radicale tra l'animale umano e quello non umano, muovendosi anzi in un orizzonte di compassione verso quest'ultimo. Per tale motivo, tali tradizioni vengono oggi riprese da alcuni antispecisti occidentali come possibili orizzonti di pensiero aspecista. 3 Per quanto indubbiamente caratterizzate anch'esse spesso da crudelt sia in senso intra che infraspecifico, non possibile caratterizzare come societ speciste n in senso materiale n ideologico le societ di raccolta e caccia con la loro visione animistica del vivente.

Le oppressioni di specie, di genere, di classe e razziali appaiono cos strutturalmente connesse: la societ umana stessa tenuta insieme e definita da tali rapporti di esclusione e sfruttamento dell'altro e questo altro regolarmente l'oggetto di una prassi di sfruttamento di cui solo alcuni beneficiano. Si comprende dunque come la lotta contro lo sfruttamento animale miri ad eliminare il tassello fondamentale su cui costruita tutta la civilt del dominio. Non un caso, dunque, che il movimento di liberazione animale in tutto il mondo abbia cominciato a maturare una consapevolezza che lo spinge ad allargare il campo riduttivamente etico in cui si inscrive l'originario dibattito sullo specismo (bench esso abbia trovato qui le armi logiche per diffondere le proprie idee e difendersi dalle obiezioni pi comuni). La cultura anarchica si appropriata per prima del concetto di specismo, intendendolo non come un termine tecnico da impiegarsi in schermaglie filosofiche bens come concetto critico che mira ad un cambiamento radicale delle societ umane nella loro interezza. Oggi, tale consapevolezza non pi patrimonio esclusivo di alcune frange del movimento anarchico e l'antispecismo ha la possibilit di porsi come ideale politico capace di ispirare una prassi di trasformazione radicale dell'esistente: un movimento che nel momento in cui rivoluziona i rapporti interspecifici4 non pu non trasformare anche i rapporti infraspecifici. Allegato Manifesto per un'etica interspecifica (1 febbraio 2002) Art. 1 Gli animali umani e non-umani - in quanto esseri senzienti, ossia coscienti e sensibili - hanno uguali diritti alla vita, alla libert, al rispetto, al benessere, ed alla non discriminazione nell'ambito delle esigenze della specie di appartenenza. Art. 2 Nei confronti delle altre specie gli umani, come tutti gli esseri senzienti ai quali venga riconosciuta la potenzialit di "agente morale", sono tenuti a rispettare i suddetti diritti, rinunciando ad ogni ideologia antropocentrica e specista. Art. 3 Nel quadro di tale rapporto, eventuali alimenti o prodotti che debbano derivare dalle altre specie vanno ottenuti senza causare morte, sofferenze, alterazioni biologiche, o pregiudizio delle esigenze etologiche. Ove possibile, essi vanno comunque sostituiti con sostanze di origine vegetale o inorganica. Art. 4 Uccidere o far soffrire individui delle altre specie (ad esempio sottoponendoli a lavori coatti, usandoli per attivit, spettacoli o manifestazioni violente, o allevandoli e custodendoli in modo innaturale), ovvero sperimentare su individui sani e/o nell'interesse di altre specie o altri individui, causare loro danni fisici o psicologici, detenere specie naturalmente autonome o danneggiare il loro habitat naturale, o eccedere in legittima difesa, una violazione dei suddetti diritti, e va considerata un crimine. Art. 5 La ricerca scientifica va sottoposta a severi controlli per assicurarne l'aderenza ai suddetti principi. Il principio di precauzione deve essere rispettato anche nei confronti delle altre specie.

Il fine dell'azione antispecista non pu essere l'isolazionismo o l'estinzionismo umani, ma il ripristino e lo sviluppo di rapporti tra le specie fondati sulla reciproca autonomia e libert.

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