Un’educazione rivolta contro il pregiudizio e i fenomeni di fastidio e di intolleranza
razzista possiamo farla rientrare oggi nell’attenzione della pedagogia interculturale e non più, probabilmente, come un ambito distinto seppur complementare. Quando si pensa al binomio educazione e razzismo è inevitabile portare il pensiero ad esperienze educative che collocano il razzismo stesso all’interno di una griglia sostanzialmente orientata ad inquadrarlo in categorie di ordine etico e morale: bene/male, giusto/ingiusto, buono/cattivo. La tesi che si cercherà di sostenere è una corretta educazione che affronti il tema del razzismo non possa prescindere da enunciazioni di principio che non vadano ad approfondire: gli aspetti storici, sociologici, psicologici, culturali, del fenomeno e la loro portata nel passato e nel presente della nostra società. E’ importante prendere in considerazione almeno tre di questi fattori/problemi : 1. La convivenza di una molteplicità di gruppi culturali all’interno di una società che si definisce come multiculturale sia per CAUSE INTERNE (differenze tra nord e sud, alla stratificazione sociale, alle minoranze linguistiche), sia per la presenza di numerosissime nazionalità di immigrati presenti, che vanno a definire un modello sociale che i sociologi chiamano a IMMIGRAZIONE DIFFUSA, caratterizzato dall’eterogeneità e da un profilo altamente complesso e multisfaccettato dall’universo migratorio; 2.Un senso di allarme provocato da sconvolgimenti globali a cui si tenta di dare risposte all’insegna del localismo e talvolta di nuove forme di nazionalismo 3.Per quanto non in senso assoluto si assiste oggi ad una tendenza alla minimizzazione, vale a dire al mancato riconoscimento degli atteggiamenti razzisti e ad una loro riformulazione che rispecchia la ormai nota ed abusata formula del linguaggio quotidiano. A.MEMMI sostiene che il RAZZISMO sia “la valorizzazione, generalizzata e definitiva, di differenze, reali o immaginarie, a vantaggio dell’accusatore e ai danni della vittima, al fine di giustificare un aggressione o un privilegio”. Si individua quindi il legame tra tre elementi: l’evidenziazione e la categorizzazione delle differenze, la loro valorizzazione e dunque gerarchizzazione, l’uso della DIFFERENZA contro gli altri per trarne un vantaggio. E’ necessario così introdurre il concetto di etnocentrismo proposto dall’antropologo W. SUMMER. L’ETNOCENTRISMO è un atteggiamento in base al quale gli individui di un gruppo etnico si considerano superiori alle altre etnie, misurandone il grado di civiltà a partire dai parametri di riferimento della propria cultura (valori, usi, istituzioni), che vengono eletti, in questo modo, a criteri che potremmo definire oggettivi e assoluti. Si può individuare, tanto nell’etnocentrismo quanto nel razzismo, le logiche dell’ingroup e le logiche dell’outgroup, con la differenza però che nell’ingroup ci si trova di fronte ad un’attitudine universalmente osservabile, in quanto a tempo storico e a distribuzione nei gruppi umani, nell’outgroup ad una invenzione della modernità, meglio sarebbe dire di fronte ad una produzione storica, che al suo nascere prende la forma di un sistema codificato di conoscenze scientifiche ed istanze ideologiche tutte articolate attorno al concetto biologico di RAZZA. _E’ ETNOCENTRICO il pregiudizio di chi pensa, applicando il concetto di igiene della propria cultura, che gli altri siano sporchi perché non applicano le stesse regole e procedure utilizzate all’interno del proprio gruppo. -RAZZISTA è invece la posizione di chi ritiene che la supposta pigrizia di un popolo sia ad esso connaturata, ricercandone le cause nella sua costituzione biologica, e quindi razziale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, dalla perdita di peso del concetto di razza e da sue formulazioni rivolte molto di più alla componente culturale. Ciò ha posto non pochi problemi nell’individuazione e nella classificazione degli atteggiamenti di ostilità e dei comportamenti discriminatori nei confronti degli altri gruppi, ponendo così il problema di uso troppo diffuso del termine RAZZISMO. GENOVESE afferma che così come il RAZZISMO, anche l’ETNOCENTRISMO ha una base “ideologica”, un insieme di pensieri negativi verso l’altro, e presenta una serie di manifestazioni discriminanti, e tuttavia l’identificazione del razzismo con l’etnocentrismo rischia di destoricizzare il problema di conflitti razziali. Il RAZZISMO BIOLOGICO classico ( razzialismo secondo TAGUIEFF) e i razzismi contemporanei che prevedono approcci alla diversità che si giustificano principalmente a partire da argomentazioni di natura etnico-culturale piuttosto che di natura biologico-razziale. 2. IL RAZZISMO BIOLOGICO Alla base del razzismo classico troviamo il tentativo di fornire prove scientifiche alla gerarchizzazione dell’umanità sulla base di un principio biologico (la razza è appunto un concetto biologico). Il ‘700 rappresenta in questo senso la fase di lancio del pensiero razzista in senso stretto inteso, con la particolare e al tempo stesso sconcertante alleanza tra Illuminismo, incubatore dei moderni concetti di razionalità e tolleranza, e sviluppi della concezione di RAZZA o ORDINE RAZZIALE. La classificazione delle razze umane del noto naturalista svedese CARL VON LINNE’ 1707-1778) prevede la divisione dell’umanità in quattro tipi razziali:
1. EUROPAEUS ALBUS: inventivo, ingegnoso, governato da leggi
2. AMERICANUS RUBESCENS: abbronzato, amante della libertà, irascibile, governato per mezzo delle usanze 3. ASIATICUS LURIDUS: giallastro, avaro, governato dall’opinione pubblica 4.AFER NIGER: nero, pigro, negligente, governato dal volere dei suoi padroni.
Abbastanza presto l’invenzione della razza avrebbe fornito alle ideologie
politiche (colonialismo, schiavismo, nazionalsocialismo, fascismo) tutte quelle giustificazioni utili a gestire le due direzioni verso cui il razzismo tra Otto e Novecento si è sostanzialmente mosso come rapporto di dominio e sfruttamento. TAGUIEFF individua i meccanismi di azione basilari sottostanti a queste due forme di razzismo : il RAZZISMO di SFRUTTAMENTO-DOMINIO si sarebbe impegnato a gerarchizzare il rapporto con l’altro secondo una logica di ETERORAZZIZZAZIONE, per cui l’altro lontano, estraneo alla comunità, è certamente inferiore ma pur sempre fonte di profitto e di beneficio, il RAZZISMO DI STERMINIO si sarebbe rivolto invece ad eliminare l’altro (l’ebreo), secondo una logica di AUTORAZZIZZAZIONE che prende di mira un gruppo interno ed implica logiche di presunta difesa ed esclusione radicale. Le cui finalità sono l’abolizione della differenza in quanto tale, in modo che la propria identità possa essere mantenuta e conservata. Le DIFFERENZE che si riferiscono a quelle di ordine culturale, vengono fatte risalire non tanto a specifici rapporti sociali e di potere, ma alla costituzione naturale e biologica dei gruppi ai quali gli individui appartengono: se l’africano non è adatto biologicamente alle attività intellettuali, gli saranno negate le condizioni, potrà meglio dimostrare la sua “inettitudine” alle attività individuali; il rapporto di potere è evidente e va a generare esattamente ciò che la falsa premessa di ordine biologico enuncia come suo teorema.
(LA RAZZA E LE SUE SCIENZE: FISIOGNOMICA,
FRENOLOGIA ED EUGENETICA) Nel Settecento nacquero branche delle scienze anatomiche, quali la FISIOGNOMICA e la FRENOLOGIA, che si presentarono a sostenere le tesi razziste, offrendo criteri di classificazione delle razze che ebbero seguito anche nei secoli successivi. La FISIOGNOMICA riteneva di poter individuare le qualità psicologiche degli individui dall’aspetto fisico e soprattutto dai lineamenti del volto. La FRENOLOGIA cercava di studiare il carattere e le capacità intellettuali delle persone a partire dalla conformazione del cranio. L’EUGENETICA nasce invece più tardi, ma eredita tutto il sostrato ideologico e le false conoscenze scientifiche del pensiero razzista. L’inglese FRANCIS GALTON (1822-1911) può esserne considerato il fondatore. Le finalità dell’EUGENETICA erano quelle di migliorare le caratteristiche delle popolazioni tramite tutti i mezzi capaci di agire in tale direzione. Secondo GALTON era necessario dare ogni tipo di sostegno alle coppie che potevano concepire figli eccezionali, degli individui geneticamente non sani.
Il RAZZISMO BIOLOGICO tende presto a divenire ideologica politica, trovando
teorici, che iniziano a porre le basi per quel processo di traghettamento del razzismo pensato negli ambienti scientifici nei territori delle pratiche sociali e delle politiche legittimate istituzionalmente. ARTHUR DE GOBINEAU, considerato come il più importante teorico del razzismo ottocentesco. La più forte preoccupazione di GOBINEAU era il rischio che la razza bianca degenerasse attraverso il contatto con le altre, cosa per cui si sarebbe reso necessario evitare ogni sorta di mescolanza: la razza e la civiltà ariane, superiori a tutte le altre, dovevano quindi impedire in ogni modo che ciò avvenisse.
P.3. RAZZISMO/RAZZISMI E APPROCCI ALLE CULTURE
NEGLI SCENARI ATTUALI Nelle forme plurali del RAZZISMO CONTEMPORANEO, dunque, al centro non troviamo più il dato biologico, genetico; è l’ELEMENTO CULTURALE, RELIGIOSO, COMPORTAMENTALE, seppure con mal celate e mai sciolte ambiguità che tendono talvolta a ricondurre RAZZA e CULTURA a significati comuni, che sembra dominare la scena negli orientamenti e nelle pratiche razziste. A determinare questo salto da una concezione biologica ad una fenomenologia più varia e per certi versi più sfocata, che sembra togliere al software del pensiero razzista la sua base di hardware, vale a dire il costrutto della razza, ci sono ragioni di ordine storico e scientifico: da un lato troviamo il clima politico e culturale del secondo dopoguerra, e, in particolare la SCOPERTA dell’OLOCAUSTO, che possiamo considerare il risultato apicale della teoria della razza e dell’ideologia e delle pratiche razziste, e i processi di decolonizzazione, da un altro lato viene proposta una visione basata sia sulle nuove conoscenze della genetica, tese a decostruire e indebolire il concetto di razza, sia sui risultati delle scienze etno-antropologiche, volte a diffondere con una matrice di analisi e di spiegazione della diversità umana sicuramente alternativa, il concetto antropologico di “cultura” e quello di “etnia”. Già MONTAGU, un antropologo fisico di livello internazionale, tra gli anni ’40 e ’50 si prefigge di “demitizzare” il concetto di razza, cercando di dimostrare le sue inconsistenze interne e proponendo come alternativa il concetto di ETNIA. Come osserva CAMBI, la nozione di RAZZA, nel suo significato fisico-antropologico, tipico della cultura tra Ottocento e Novecento e di cui si sono appropriati nazismo e fascismo, è oggi destituita di ogni valore scientifico, mentre la nozione di ETNIA è “una nozione più storico-culturale e meno fisica che coinvolge tecniche di lavoro, stili di vita, forme di linguaggio, pratiche sociali e caratterizza il fisico attraverso il mentale/culturale. Lo sviluppo dell’antropologia culturale ci ha consegnato delle definizioni di cultura che invitano a riflettere sugli elementi di complessità e dinamismo che caratterizzano in sé l’esperienza culturale. In una definizione abbastanza recente di cultura intesa come organizzatore della diversità, l’antropologo scandinavo HANNERZ descrive questo concetto problematico entro la metafora del flusso: “un fiume che si osserva da lontano appare permanente, durevole, identico a se stesso, ma da vicino ci si accorge che è sempre in movimento. La demitizzazione del concetto di razza, e la costruzione di una sorta di tabù nei confronti del razzismo vecchia maniera, ha fatto sì che si venissero a ricostruire nuove forme da ancorare alla dimensione CULTURALE e DIFFERENZIALISTA, che, secondo TAGUIEFF opera attraverso l’assolutizzazione delle differenze culturali, viste come invalicabili, favorendo l’idea, talvolta formulata, dalla non mescolanza delle culture e della segmentazione e della separazione sociale. Definendolo un “razzismo colto”, FERRAROTTI sottolinea come esista in qualche modo un reciproco rafforzamento tra RAZZISMO BIOLOGICO e RAZZISMO DIFFERENZIALISTA e, anzi, come quest’ultimo possa essere in qualche modo più “sottile” rispetto all’altro. Il processo di indebolimento del razzismo nei suoi tratti originari, riferiti alla matrice biologica, lo ha reso un fenomeno più sfuggente e paradossalmente più problematico, almeno per quanto riguarda un profilo non più relativamente omogeneo di individuo-teoria-ideologia-pratica razzista. Si tratta di un RAZZISMO ALLARGATO, poiché, appunto, pur non confluendo in una precisa ideologia codificata, esso passa attraverso numerosi comportamenti quotidiani in maniera strisciante e talvolta latente.
BALBO e MANCONI distinguono almeno tre forme di RAZZISMO:
1. IL RAZZISMO ADDIZIONALE o da ALLARME, generato dalla paura della droga, della prostituzione, delle malattie, della criminalità 2. IL RAZZISMO CONCORRENZIALE, che ostacola lo straniero, il rivale, per la difesa del controllo simbolico del territorio, per la salvaguardia dei posti di lavoro, degli alloggi 3. IL RAZZISMO CULTURALE O INTOLLERANZA ETNOCENTRICA, per la difesa del proprio stile di vita e di valori in contrapposizione degli altri.