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Agli occhi dei contemporanei, la grande guerra fu scatenata a seguito dell'accensione di tre focolai
di crisi in tre luoghi "sensibili" del mondo greco, che chiamavano strettamente in causa i difficili
rapporti da sempre esistenti non tanto tra Sparta e Atene, quanto tra Atene e un'importante alleata di
Sparta, Corinto. La prima causa del contendere fu l'isola di Corcira (odierna Corfù), antica colonia
corinzia dello Ionio, entrata in guerra con la madrepatria per il controllo dell'antistante città di
Epidamno (odierna Durazzo), dove era scoppiata una guerra civile. Preoccupati per l'avanzata di
una flotta corinzia, i Corciresi chiesero agli Ateniesi di poter entrare nella loro alleanza. Così le
navi ateniesi combatterono in difesa di Corcira contro le navi corinzie (433 a.C.); la grande isola si
trova lungo la rotta che, nel Mar Ionio, conduceva in Magna Grecia e in Sicilia, e questa posizione
strategica spiega quale fosse la posta in gioco tra le due grandi rivali: l'espansione
nell'Occidente del Mediterraneo.
Anche Potidea, nella penisola Calcidica, era stata una fondazione corinzia, mentre al momento
faceva parte della lega delio-attica. Quando scoppiò la crisi a Corcira, gli Ateniesi, sospettando
della fedeltà dell'alleata, imposero alla città di spezzare ogni residuo legame con la madrepatria e di
consegnare ostaggi, rinviando inoltre in patria i magistrati che Corinto ancora vi inviava
annualmente. La città si ribellò, contando anche sull'appoggio del re di Macedonia, Perdicca, e rice-
vendo poi rinforzi di truppe provenienti da Corinto. Anche gli Ateniesi inviarono un loro
contingente, riprendendo il controllo della regione circostante e ponendo sotto assedio i ribelli (432
a.C.).
Fu a quel punto che Pericle decise di forzare ulteriormente la situazione, prendendo a pretesto
incidenti di frontiera per imporre un blocco commerciale ed economico contro la città dorica di
Megara, sull'istmo di Corinto.
Per tutte queste cose gli Spartani, riuniti a consiglio assieme agli alleati della lega peloponnesiaca,
pur tra molte incertezze, accettarono di scatenare la guerra contro Atene (431 a.C). A quel punto "i
Lacedemoni decretarono che il patto era stato rotto (il riferimento è alla pace "trentennale" con Atene
del 445 a.C.) e che la guerra era da farsi, non tanto perché erano persuasi dalle parole degli alleati,
quanto perché temevano che la potenza ateniese crescesse, vedendo che la maggior parte della Grecia era
ormai sottomessa (Tucidide, I, 88). Così Tucidide, nonostante la guerra fosse stata formalmente di-
chiarata dai Peloponnesi, ne individua il "motivo più vero" nel crescere della potenza ateniese e
nella paura che essa incuteva agli avversari.
• LA PACE DI NICIA
Negli anni successivi, le operazioni militari si prolungarono senza grandi eventi: ogni estate l'esercito
spartano saccheggiava la campagna attica e poi si ritirava, mentre Atene conservava il dominio dei
mari.
Nel 425 a.C. gli ateniesi, sotto il diretto comando di Cleone, ottennero un importante successo:
riuscirono, infatti, a occupare Sfacteria, un'isola antistante la costa del Peloponneso, e a catturare il
contingente spartano che la presidiava: fu una vittoria che scosse notevolmente il prestigio di Sparta.
La città reagì mandando il suo migliore generale, Brasida, contro le colonie ateniesi della Grecia
settentrionale e in particolare modo contro la città di Anfipoli; egli riuscì a impadronirsene, ma nel
422 a.C. cadde contro l'esercito ateniese nella stessa battaglia in cui morì anche Cleone.
Eliminati i più accaniti sostenitori della guerra, si fece strada dalle due parti un atteggiamento più
conciliante: ad Atene, Nicia, capo del partito moderato, indusse l'ecclesia ad accettare finalmente la
pace, stipulata nel 421 a.C., dopo dieci anni di guerra.
• LA DISFATTA ATENIESE
In Sicilia le operazioni militari si dimostrarono assai più difficili del previsto: Siracusa era una città
potente e ben difesa, determinata a resistere a ogni costo; inoltre, un episodio imprevisto tolse agli
ateniesi Alcibiade, il loro migliore generale. Infatti, pochi giorni prima della partenza molte
immagini sacre al dio Ermes, le cosiddette "erme", che sorgevano in ogni strada di Atene, furono
trovate mutilate; lo scandalo fu grande e tra la gente si diffuse la superstiziosa angoscia che questo
sacrilegio avrebbe attirato sulla città l'ira degli dèi.
Per di più, in un regime cosi sensibile alla fobia della congiura e che temeva sopra ogni altra cosa
gli intrighi degli oligarchi, l'evento apparve come la prova evidente di occulte trame
antidemocratiche.
Gli avversari politici di Alcibiade sfruttarono questa confusione e lo accusarono di essere stato tra
gli autori del sacrilegio; l'accusa trovò un certo credito e Alcibiade fu convocato dalla Sicilia a
discolparsi davanti al tribunale. Temendo di essere condannato, egli preferì disertare e si rifugiò
presso gli spartani.
Nel frattempo, l'assedio della città di Siracusa procedeva con lentezza sotto la guida cauta di Nicia
fino a quando, nel 414 a.C., gli ateniesi riuscirono a bloccare la città siciliana sia per terra sia per
mare. Sembrava ormai che la sorte di Siracusa fosse segnata ed erano anzi in corso le trattative per
la resa, quando un contingente spartano riuscì a penetrare in città e a rianimare la resistenza.
Una spedizione di soccorso ateniese non riuscì a modificare la situazione: anzi, i siracusani
passarono al contrattacco imbottigliando la flotta ateniese in un luogo dal quale era praticamente
impossibile prendere il largo.
A questo punto gli ateniesi, ormai esausti e a corto di viveri, tentarono di ritirarsi nella notte per via
di terra, abbandonando l'accampamento e i feriti. La ritirata fu disastrosa: a pochi chilometri da
Siracusa furono raggiunti e circondati dai nemici e costretti a gettare le armi (413 a.C.). Nicia
venne subito ucciso, gli altri furono imprigionati nelle cave di pietra siracusane, le Latomie, dove
furono trattati con grande durezza.
• ATENE ASSEDIATA
La disfatta in Sicilia incoraggiò gli spartani a riprendere la guerra in vista di una vittoria che
sembrava ormai vicina. Su parere di Alcibiade, che conosceva bene i punti deboli di Atene e perciò
era diventato il consigliere militare degli spartani, questi fortificarono una località dell'Attica,
Decelea (413 a.C.), dove mantennero un presidio fisso: cosi Atene era tenuta ormai costantemente
sotto assedio. La fortificazione di Decelea fu un danno enorme per Atene: assai più delle invasioni
periodiche della prima fase della guerra, l'occupazione stabile da parte di Sparta privava Atene di ogni
risorsa proveniente dall'agricoltura, rendeva difficili le comunicazioni con l'Eubea e l'arrivo di
rifornimenti, aveva provocato la fuga di 23.000 schiavi e un aumento delle spese di guerra.
Cominciarono a manifestarsi segni di crisi del sistema: si stabilì di risparmiare nell'amministrazione
dello stato e di nominare una magistratura di anziani, i probuli, evidentemente destinati ad assumersi
alcune competenze della Boulé.
La disfatta di Sicilia determinò inoltre una grave crisi nell'impero: numerose città della Lega presero
contatto con Sparta per preparare la ribellione. Gli Spartani compresero che le rivolte andavano
sostenute e che Atene andava colpita nell'impero: a questa politica essi erano incoraggiati anche dal
satrapo persiano Tissaferne, che offriva loro finanziamenti per la guerra contro Atene. Poiché il
problema finanziario era molto pesante anche per gli Spartani, tanto più che si trattava di impegnarsi
costantemente nella Ionia ciò comportò l'inserimento nella guerra della Persia, non come forza
militare, ma diplomatica e finanziaria. Tra il 413/12 e il 411/10 le trattative fra Sparta e il re di
Persia, Dario II, portarono alla stesura di tre trattati successivi, accomunati dal riconoscimento dei
diritti della Persia sui Greci d'Asia. Sparta rinunciava così alla liberazione dei Greci, in nome della
quale era entrata in guerra: una decisione che ne metteva in discussione l'egemonia morale e che alcuni
esponenti della classe dirigente spartana accolsero malvolentieri.
In questa situazione disperata, gli ateniesi trovarono però la forza di reagire: il demos comprendeva
bene che la fine dell'impero ateniese sarebbe stata anche la fine del regime democratico e che, senza
i tributi degli alleati, il livello di vita delle masse popolari sarebbe stato gravemente compromesso.
Fu perciò la massa del popolo a volere a ogni costo la prosecuzione della guerra, mentre gli ari-
stocratici avrebbero preferito un accordo con Sparta. Atene riuscì ad allestire una nuova flotta (per
equipaggiare la quale furono arruolati anche molti schiavi liberati) e a prolungare la resistenza.