Sei sulla pagina 1di 8

Il rapporto tra scienza, filosofia e teologia nel dibattito intorno alla teoria dell’evoluzione biologica

P. Rafael Pascual, L.C.

Introduzione
Vorrei chiarire sin dall’inizio, come premessa, che le riflessioni che seguono intendono
essere soprattutto di carattere filosofico, essendo io filosofo di formazione e professione, sebbene
ho un rapporto con le scienze naturali a ragione della mia specializzazione nell’ambito della
filosofia della scienza e della natura. A questo proposito, partendo da un punto di vista
epistemologico, ci tengo a sottolineare la distinzione (ma non separazione) tra i diversi livelli di
conoscenza, nello specifico tra scienza, filosofia e teologia.
In definitiva, nelle questioni che intendo affrontare, quello che è in gioco è la comprensione
di che cosa sia l’uomo. E questa comprensione non è indifferente. Qualche tempo fa, il Card.
Camillo Ruini, intervistato a Bari in occasione della riunione del Consiglio permanente della CEI,
faceva presente proprio questo fatto:
Oggi si mette in discussione "chi è l’uomo", con possibilità di intervento "sul suo corpo, sul
suo cervello, sulla generazione umana". Quindi "è decisivo dare risposta a questa domanda".
L’uomo "è soltanto uno degli animali, o è anche immagine di Dio, e comunque un essere
che trascende la natura e ha una sua dignità in qualche modo assoluta?". "I fondamenti della
civiltà occidentale poggiano qui"»1.
1. Due visioni contrapposte della vita e dell’uomo
Una recente pubblicazione sulle origini dell’uomo ha un titolo piuttosto provocatorio: Uomini
per caso2. Pochi anni prima era venuto alla luce un altro libro, con il titolo soltanto in apparenza
antitetico a quello precedente: La specie scelta3, e dico soltanto in apparenza, perché la tesi del libro è
esattamente l’opposto di quanto ci si aspetta. Si vuol far vedere, ancora una volta, che l’evoluzione non
ha un senso, che non c’è nessun finalismo, e nemmeno un disegno che guidi il processo evolutivo.
Alcuni hanno voluto vedere un parallelismo tra la cosiddetta rivoluzione copernicana e quella
portata avanti da Darwin, nel senso che, così come la prima sosteneva che la terra, e in questa l’uomo,
non si trovava al centro dell’universo, la seconda dimostrerebbe che l’uomo non è nemmeno un essere
privilegiato nel processo evolutivo, ma soltanto il risultato fortuito di un processo cieco della natura.
Talvolta si trovano delle dichiarazioni molto esplicite da parte dei sostenitori di un
evoluzionismo a-finalistico, che affermano senza mezzi termini come, in definitiva, ciò che costituisce
il messaggio del darwinismo sia l’affermazione dura e pura del materialismo, la negazione della
trascendenza e del senso della vita4. Ovviamente tutto questo non è irrilevante per l’uomo. Ed è per

1
Intervista al Card. Camillo Ruini in occasione della riunione del Consiglio permanente della CEI,
Bari, 20 gennaio 2005; cfr. Avvenire, venerdì 21 gennaio 2005.
2
G. BIONDI - O. RICKARDS, Uomini per caso. Miti, fossili e molecole nella nostra storia evolutiva,
Editori Riuniti, Roma 2001. Nell’ultimo capitolo, che presenta le conclusioni del libro, si afferma chiaramente
che il corollario di questo sarebbe «il progressivo abbandono dell'idea della 'superiore unicità' dell'esperienza
umana nel mondo, in favore di una sempre maggiore comunanza con il resto della natura. L'evoluzione non ha
avuto alcun particolare riguardo per la nostra specie la quale, come tutte le altre, non può essere citata a
testimoniare altro se non la sua presenza del tutto casuale sulla terra. Essa non è destinata a raggiungere alcun
punto speciale, tranne quello che la vita riserva a tutte: l'estinzione» (pp. 267-268).
3
J.L. ARSUAGA - I. MARTÍNEZ, La especie elegida. La larga marcha de la evolución humana, ed. Temas
de Hoy, Madrid, 1998, 350 p.
4
Prendiamo come esempio di questa posizione un'intervista che abbiamo trovato su internet agli autori di
1
questo che il dibattito sulla teoria dell’evoluzione, oggi in corso, è probabilmente quello più acceso e
più sentito, non soltanto nell’ambito della scienza, ma anche in quello della cultura.
a) il paradigma darwinista: questo sostiene l’origine delle specie per variazioni casuali e
selezione naturale. Nel darwinismo, evoluzione non significa propriamente progresso, ma
semplicemente storia5. Il neodarwinismo, che introduce la genetica nel sistema darwiniano
(mutazione-replicazione-selezione), mantiene in fondo lo stesso modello. Per dirlo in un altro
modo, tutto si spiega in base a due principi: il caso e la necessità (cfr. J. Monod). Non c’è, dunque,
spazio per nessun finalismo, né disegno. In fondo è una lettura positivista della vita (semplice fatto,
senza spiegazione causale). Ma le radici sono più lontane. Le troviamo già nell’atomismo antico di
Leucippo e Democrito, e più vicino a noi nel meccanicismo moderno, che riduce tutto il reale a
semplice quantità e movimento. Nella versione cartesiana, il mondo materiale, incluso il corpo
umano, è pura “res extensa”. La dimensione corporea dell’uomo è vista come un puro meccanismo,
una semplice macchina:
Vi prego poi di considerare che tutte le funzioni da me attribuite a questa macchina,
digestione dei cibi, battito del cuore e delle arterie, nutrizione e crescita delle membra,
respirazione, veglia e sonno; recezione della luce, dei suoni, degli odori, dei sapori, del calore
e di altre simili qualità negli organi dei sensi esterni; impressione delle loro idee nell’organo
del senso comune e dell’immaginazione, ritenzione o impronta di tali idee nella memoria;
movimenti interni degli appetiti e delle passioni; e infine movimenti esterni di tutte le
membra, che tengono dietro così opportunamente tanto all’azione degli oggetti che si pre-
sentano ai sensi come alle passioni e impressioni che si trovano nella memoria da imitare nel
modo più perfetto che sia possibile quelli d’un uomo vero: vi prego, dico, di considerare che
tutte queste funzioni derivano naturalmente, in questa macchina, dalla sola disposizione dei
suoi organi, né più né meno di come i movimenti di un orologio o di un altro automa
derivano da quella dei contrappesi e delle ruote; sicché, per spiegarle, non occorre concepire
nella macchina alcun’altra anima vegetativa o sensitiva, né altro principio di movimento e di
vita oltre al suo sangue e ai suoi spiriti agitati dal calore del fuoco che brucia continuamente
nel suo cuore, e che non è di natura diversa da tutti i fuochi che si trovano nei corpi inanimati6.
In questo modo, l’anima non c’è più; in ultima istanza, tutto è riducibile a principi fisici-
chimici. Ed ecco la radice di questa posizione: il riduzionismo, il quale comporta a sua volta il
determinismo. Questo principio, che da un punto di vista metodologico può essere utile per la
scienza, non lo è affatto per la filosofia. Cioè, se si assume come unico principio di comprensione
della realtà, allora si degenera nel materialismo più piatto, che non è altro che una forma estrema
del meccanicismo di matrice cartesiana. In Cartesio c’è ancora un dualismo, almeno nel caso

La especie elegida. Uno di essi afferma: «L'impatto del Darwinismo sarebbe dovuto essere equivalente a quello
di Copernico che incominciò dimostrando che l'universo non era costruito per noi. Quello causò una grande crisi
di valori nel Rinascimento dalla quale s'incominciò ad uscire con Cartesio. Il darwinismo è un colpo più forte
perché è l'ultimo bastione. Ci si può essere d'accordo col fatto che la Terra è un pianeta insignificante, ma noi
siamo la specie eletta. Ma il materialismo assalta quest'ultimo castello. E se la crisi fu molto intensa in quel
momento, dopo si è andato edulcorando fino al punto che molta gente pensa che la religione cattolica accetta il
darwinismo. Ma quello che accetta è il fatto evolutivo nella sua versione edulcorata, che l'evoluzione ha un
proposito: noi come specie eletta. Ma il messaggio profondo, duro, del darwinismo non è questo, è
completamente materialista»; e un po' più avanti: «Il sogno delle persone è vedere la firma di Dio nella natura, e
certo, con questo si cancella. La vita non ha un senso, non c'è una trascendenza» (I. MARTÍNEZ, intervista
pubblicata in Especulo, Revista de Estudios Literarios, Revista Digital Cuatrimestral, Año III Nº 9 julio-octubre
1998; http://www.ucm.es/info/especulo /numero9/atapuerc.html). La traduzione è mia.
5
Cfr. Uomini per caso, p. 274, nota 2.
6
R. DESCARTES, L'uomo, in Opere, vol. 1, Frammenti giovanili, Regole per la guida
dell'intelligenza, La ricerca della verità mediante il lume naturale, Il mondo o Trattato della luce, L' uomo,
Discorso sul metodo, Laterza, Roma - Bari, 1991, pp. 278-279.
2
dell’uomo, dove i due principi appaiono agli antipodi della “res extensa” e la “res cogitans”, così
diversi e lontani da perdere l’unità dell’uomo, salvata solo in extremis da un artificio come il ricorso
alla “ghiandola pineale” come punto d’incontro tra il fantasma e la macchina. Ma questo dualismo
non può che degenerare in un monismo: alla fine l’anima sparirà anche nell’uomo, come faranno
non soltanto i materialisti, ma anche i cosiddetti fisicalisti non riduttivi (questa espressione così
infelice che già in sé stessa implica una contradictio in terminis).
Tra i semplici riduzionismi duri e puri, come Steven Weinberg7 o Francis Crick8, ambedue
splendenti premi Nobel, per fare qualche nome grosso, si cercherà di sostenere che l’anima non è
altro che una reazione biochimica, o si affermerà che l’anima non è che il cervello, e che si riduce
ad attività neuronale, come dirà un’altra figura, la neurobiologa Patricia Churchland: «tutti gli stati
mentali sono processi del cervello fisico, non c’è nessuna sostanza non fisica che senta, che pensi».
"L’anima" sarebbe dunque soltanto il cervello, ci sarebbe «un’anima composta soltanto di
neurone»; insomma, secondo questi autori «io sono il mio cervello». La Churchland ammette
esplicitamente di essere, almeno strategicamente, riduzionista: «sono convinta che la giusta
strategia per capire le capacità psicologiche sia essenzialmente riduzionista»9. Si tratta qui della
riduzione dei fenomeni psicologici ai fenomeni biologici (Churchland: «ogni cosa nel nostro
comportamento ha una spiegazione biologica»), e di questi ai fenomeni fisico-chimici (Weinberg).
La coscienza sarebbe, da questo punto di vista, una “macchina virtuale” (cfr. Daniel Dennett).
Invece, per John Searle, il cervello sarebbe la causa della coscienza, senza che gli stati della
coscienza si possano identificare con le attività cerebrali; soltanto ci sarebbe una correlazione fra
entrambi.
Ma torniamo alla questione del darwinismo. È chiaro che questo è ancora abbastanza vivo e
vegeto, e conta con dei seguaci abbastanza convinti, che continuano a sostenere che ci sono prove
schiaccianti a suo favore, per cui non è ragionevole dubitarne, tranne che ci sia qualche pregiudizio
“extra-scientifico”, soprattutto di tipo religioso, da parte dei cosiddetti creazionisti, tacciati di
fondamentalisti, ignoranti e retrogradi. Per fare qualche nome dei sostenitori attuali, si possono
annoverare autori come Francisco Ayala, Daniel Dennett, Steven Jay Gould, Richard C. Lewontin,
o in Italia Giuseppe Montalenti, Luca Cavalli Sforza; si può vedere anche il numero di novembre
2004 dell’edizione italiana della rivista National Geographic (che ha come titolo la domanda
Darwin aveva torto? E che ha come tesi di risposta un clamoroso «No. Le prove a favore
dell’evoluzione sono schiaccianti»), o quello di Scientific American del 18 giugno 2002: 15
Answers to Creationist Nonsense, scritto proprio dal capo redattore della rivista, John Rennie. Nella

7
Cfr. S. WEINBERG, Facing Up, Cambridge 2001. In virtù del suo riduzionismo, ammesso
esplicitamente nel libro (Weinberg afferma a chiare lettere: «ognuno dei saggi di questa raccolta […]
esprime un punto di vista razionalista, riduzionista, realista e devotamente secolare»), Weinberg sostiene che
«la vita è soggetta alle stesse leggi […] della materia inanimata». La psicologia non sarebbe altro che
biologia applicata, e questa a sua volta chimica applicata, la quale, dal canto suo, non sarebbe che fisica
applicata.
8
Cfr. F. CRICK, The Astonishing Hypothesis. The Scientific Search for the Soul, Touchstone, 1995.
In questo libro si sostiene in sintesi «la tesi del riduzionismo, ovvero la base chimica di ogni esperienza
compresi i meccanismi del pensiero» (E. PERUGINI, Morto Francis Crick: scoprì il segreto della vita, in
L'Unità online, 30.07.2004). L'ipotesi rivoluzionaria sarebbe questa: «Lei, le sue gioie e le sue tristezze, i
suoi ricordi e le sue ambizioni, il suo proprio senso dell'identità personale e la sua volontà libera, non sono
altro che il comportamento di un vasto insieme di cellule nervose e di molecole associate», cioè «non sei
altro che un mucchio di neurone». Secondo Crick, «le nostre menti, il comportamento dei nostri cervelli,
possono essere interamente spiegati dall'interazione dei neuroni» (cfr. articolo su Corriere della Sera, 10
marzo 2003); l'anima non sarebbe altro che il risultato di un processo neurobiologico che dipenderebbe da un
piccolo gruppo di cellule cerebrali (cfr. ibid.).
9
Cfr. P. S. CHURCHLAND, Can Neurobiology Teach us Anything about Consciousness?, in The
Nature of Consciousness. Philosophical Debates, edited by N. Block, O Flanagan, and G. Güzeldere,
Cambridge, Mass., 1997.
3
rivista spagnola Muy interesante del dicembre 2004) ancora un altro articolo in questa linea, con il
titolo Así nos crearon (“Così ci hanno creato”)10.
È vero che, parlando propriamente, come si dice in diversi di questi articoli, l’uomo non
discende dalle scimmie, ma da un progenitore comune ad entrambi. Dunque, non siamo i loro figli,
ma piuttosto i loro cugini… E allora, ed è un’altra delle conclusioni del libro Uomini per caso,
bisogna proteggere la sopravivenza dei nostri “vicini parenti”, perché sarebbe una grande disgrazia
la loro estinzione (saremmo ancora più soli come specie). Così l’ONU nell’anno 2001 ha lanciato
un programma sublime: il Great Apes Survival Project. Il direttore del Programma ambientale
dell’ONU metteva così l’allarme: «Ogni scimmia che muore rappresenta una perdita per l’umanità
in generale e per le comunità locali in particolare, e per l’intero equilibrio ecologico del pianeta.
Dobbiamo a tutti i costi fermare la strage» (cf. Uomini per caso, p. 270).
Tutto sommato, per concludere, sembra evidente che in queste discussioni non ci sono
soltanto degli elementi scientifici (dati, fatti, eventi, fenomeni, tracce, ipotesi e teorie) ma anche, e
forse soprattutto, dei presupposti e delle affermazioni di tutt’altra natura, di tipo filosofico,
ideologico. Si può, sembra, parlare propriamente di una ‘mentalità’, una certa visione del mondo,
una specie di Weltanschauung, o se si vuole, come si ammette esplicitamente nel libro Uomini per
caso, di un paradigma, di ‘kuhniana’ memoria (cfr. Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni
scientifiche): la mentalità evoluzionista. Ma questo paradigma, come abbiamo detto all’inizio, ha
delle conseguenze radicali sul modo come l’uomo comprende se stesso e sul modo come ordina il
suo comportamento. Non a caso si parla di una ‘morale darwinista’, così come di una ‘socio-
biologia’ d’ispirazione darwinista11.
In ogni caso, secondo me, non abbiamo bisogno né di canonizzare Darwin, né di
demonizzarlo. Il darwinismo, se intende essere, come sembra, una teoria scientifica, allora deve
essere trattato come tale, e per questo sottomesso alla critica. Bisogna riconoscere sia i suoi pregi,
sia anche i suoi limiti, che sono tanti. E questo, come vedremo alcuni biologi onesti lo riconoscono
apertamente. Il darwinismo non è intoccabile, come non lo è nessuna teoria scientifica. Se lo fosse,
questo sarebbe dovuto al fatto di essere stato preso come insegna ideologica, e dunque non sarebbe
più una teoria scientifica, ma un’ideologia.
b) il paradigma anti-darwinista: si trova agli antipodi di quello precedente. Così troviamo
anche dei lavori con titoli che suonano così: Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo; oppure
Dimenticare Darwin, o La morte del darwinismo, o ancora Processo a Darwin, ovvero La scatola
nera di Darwin: la sfida biochimica all’evoluzione. Per cui è chiaro che la discussione al riguardo
non si può considerare in nessun modo chiusa, né da una parte, né dall’altra. Se si vuole, tornando
alla proposta, peraltro assai discutibile, di Thomas Kuhn, possiamo affermare che ci troviamo in un
periodo di rivoluzione scientifica, dove due paradigmi lottano tra loro per la sopravvivenza del ‘più
forte’…
Ma tra i detrattori del darwinismo ci sono diverse posizioni. Ovviamente non si tratta
soltanto di una posizione semplicemente antagonista, contro Darwin, ma ci sono anche delle
proposte alternative. Quello che più si critica del darwinismo è il suo impianto filosofico, di
carattere materialistico, anti-finalistico ed ateistico. In ogni caso bisogna distinguere tra darwinismo
ed evoluzionismo. Si può, e forse si deve, essere anti-darwinista, ma non necessariamente anti-
evoluzionista. Come vedremo alla fine, è vero che il darwinismo tout-court non è conciliabile con la
dottrina della creazione; ma altre forme di vedere l’evoluzione biologica, che non escludano la

10
Cfr. E. M. COPERÍAS, Así nos crearon. Polémica científica sobre el origen y la evolución del
hombre, in Muy Interesante, nº 283 (diciembre 2004), pp. 46-54.
11
Così, per esempio, P. SINGER, Ripensare la vita, Milano 1994; e anche J. RACHELS, Creati dagli
animali. Implicazioni morali del darwinismo, Ed. di Comunità, Milano 1996. Cfr. F. PASCUAL,
Evoluzionismo e bioetica: i paradigmi di V.R. Potter, H.T. Engelhardt e P. Singer, in R. PASCUAL (a cura
di), L’evoluzione: crocevia di scienza, filosofia e teologia, Studium, Roma 2005, pp. 347-359.
4
causalità divina né il finalismo, sono perfettamente compatibili con la fede in Dio Creatore. Dio può
benissimo creare un mondo secondo un piano ed un processo evolutivo. E se parliamo qui di una
‘creazione evolutiva’, non cadiamo più in una ‘contradictio in terminis’.
In questo paradigma alternativo ci sono delle proposte nuove, soprattutto da parte degli
autori anglofoni: si parla del ‘disegno intelligente’ (Intelligent Design), la complessità irriducibile,
ecc. E qui si può inserire anche il discorso del principio antropico, dove si constata, nell’ambito
della cosmologia scientifica, che ci troviamo davanti ad un universo ben aggiustato (fine-tuned), sia
perché possa sorgere ed essere ospitata la vita, sia perché possa risiedere l’uomo, cioè quell’essere
che ha la capacità di osservare l’universo e di meravigliarsi della sua propria esistenza in esso.
Ci sono pure dei rilievi sulle questioni aperte, soprattutto quelle dell’origine della vita e
dell’uomo, così come riguardo alla stabilità delle specie e la discontinuità tra le specie.
Rispetto all’origine della vita, sorprende il fatto della sua precocità, cioè quasi subito dopo
che c’è stato l’ambiente adeguato ad ospitarla, questa è apparsa sulla terra (cfr. G. Monastra, A.
Masani). Ma anche si mette in rilievo la sua complessità, già nelle forme più elementari, come
quelle dei batteri, fino al punto che scienziati come il citato Francis Crick si meravigliano e non
possono che ammettere che «un uomo onesto, munito di tutte le conoscenze attuali, può solo
affermare che per ora, in un certo senso, l'origine della vita appare quasi un miracolo, tante sono le
condizioni che debbono essere soddisfatte perché il meccanismo si metta in moto»12. E così alcuni
di loro arrivano a postulare una sua origine extra-terrestre, il che non fa altro che spostare il
problema altrove. Insomma, se la vita è dovuta semplicemente al caso, sembra che siamo stati
troppo fortunati…
Riguardo alla stabilità delle specie e di fronte alle difficoltà che essa suscita, soprattutto da
parte della paleontologia, alcuni autori, come Stephen Jay Gould e Niles Eldredge, hanno proposto
una nuova versione, quella del cosiddetto ‘equilibrio punteggiato’ (punctuated equilibria). Infatti,
molte volte mancano totalmente forme di transizione tra le diverse specie; piuttosto si percepisce la
cessazione di una forma e l’apparizione di un’altra successiva. Secondo Niles Eldredge, le specie
hanno un’origine, una storia ed una fine, e non una trasformazione permanente e graduale, come
pensava Darwin13. Ci sono molte discontinuità, e molti dei cosiddetti anelli di congiunzione, o non
si conoscono ancora, o sono stati messi in discussione di recente. Sembra così che la vita abbia
anch’essa un carattere quantico, e per questo, discontinuo14. Ogni specie ha una sua entità e identità,
appunto, specifica, la quale tende alla preservazione e alla continuità.
Ma la questione più decisiva sollevata dagli antagonisti del darwinismo è quella del
riduzionismo. Infatti, ogni essere vivente è di per se irriducibile ai suoi componenti bio-chimici.
Bisogna ricuperare la nozione di organismo, riconoscere la sua unità, che non risulta da una
semplice somma o giustapposizione delle sue parti. Di fronte alla tendenza di una visione
prevalentemente analitica, bisogna offrire anche una visione sintetica, o se si vuole, olistica, sia dei
singoli esseri viventi, sia degli ecosistemi, sia dell’universo nel suo insieme. Ma soprattutto bisogna
capire che cosa sia la vita, quale sia la sua novità e differenza fondamentale rispetto alla non-vita.
La vita non si produce (ed è significativo che ancora non si è riusciti a sintetizzarla in laboratorio),
ma si genera. Il vivente non è un meccanismo o una macchina, ma ha un grado di essere diverso e
superiore a quello dei non viventi.
Tutto questo non ci deve condurre al vitalismo, giacché di fatto non esiste un qualcosa di
ordine fisico diverso tra il vivente ed il non vivente (non c’è propriamente un’eterogeneità tra la

12
F. CRICK, L'origine della vita, Garzanti, Milano 1983, p. 85.
13
Cfr. N. ELDREDGE, Ripensare Darwin. Il dibattito sulla Tavola Alta dell'evoluzione, Eìnaudi,
Torino 1999.
14
Non per caso è uscito un libro di recente che ha proprio un titolo in questo senso: J. MCFADDEN,
Quantum Evolution. The New Science of Life, W.W. Norton and Co., New York - London 2001.
5
cosiddetta materia inorganica e quella organica), ma questo non toglie che ci sia un principio di
vita, che fa si che il vivente sia tale, che è il principio della sua unità, del suo agire (malgrado le
parodie e le imitazioni, ci sono delle cose che soltanto un vivente è capace di fare). Tale principio
non è altro che l’anima (tanto per intenderci, qui non è questione di parole, possiamo chiamarla
come vogliamo, ma il concetto è quello). Evidentemente l’anima non è, e non può essere, oggetto
della fisica, non è stoffa di laboratorio, ma questo non vuol dire che essa non esista.
Parlando dell’anima, un altro argomento che bisogna trattare, in risposta alle posizioni che
abbiamo visto nella prima parte di questa presentazione, sarebbe quello della mente, la coscienza o
l’io. Contrariamente alle prospettive proprie del riduzionismo, bisogna ammettere la distinzione tra
coscienza e cervello, così come anche tra coscienza ed anima; non soltanto perché la coscienza non
è riducibile al cervello, ma perché nemmeno il cervello è propriamente la causa efficiente della
coscienza. Qui ci sarebbe tanto da dire sulla questione del rapporto cervello-mente e sugli studi e i
progressi fatti in questo senso, ma non abbiamo né il tempo né l’occasione per farlo. Basti soltanto
affermare che la distinzione tra la coscienza ed il cervello non ci riconduce al dualismo cartesiano,
che era e rimane sbagliato e insostenibile, ma piuttosto al recupero della concezione del vivente,
soprattutto dell’uomo, come un essere essenzialmente composto da due principi distinti: quello
psichico (l’anima) e quello fisico-organico (il corpo) che costituiscono un’unica realtà sostanziale.
L’anima e il corpo non sono due cose, ma due principi. Non è ‘il fantasma nella macchina’, ma
piuttosto sono le due faccia di un’unica moneta (mi si permetta il simile). L’anima è il principio
unificatore e dinamico del corpo: proprio perché il corpo è animato, è vivente. Senza l’anima, il cor-
po diventa cadavere, vale a dire qualcosa che prima era vivo, e poi invece è morto. Mi sembra,
almeno questo, abbastanza evidente ed intuitivo.
Finalmente, riguardo la questione dello scopo nell’evoluzione, vorrei semplicemente chiarire
questo, per evitare degli equivoci, troppo frequenti: cioè che non si tratta di una questione di
carattere scientifico, ma piuttosto metascientifico. La scienza non è competente al riguardo, il che
non vuol dire che sia una questione superflua o sbagliata o senza senso. Per cui, se qualcuno
sostiene che non c’è scopo nel processo evolutivo, non parla e non può parlare più da scienziato, ma
piuttosto da filosofo, e dunque entra in un ambito diverso di quello della scienza. Ci sono alcuni
scienziati che almeno lo riconoscono, come il premio Nobel Jacques Monod (il sottotitolo della sua
opera più nota Il caso e la necessità lo esprime palesemente: Saggio sulla filosofia naturale della
biologia contemporanea). Ma per lo stesso motivo la proposta del disegno intelligente nemmeno
può pretendere di essere strettamente scientifica, come sostengono alcuni dei suoi fautori. Si tratta,
dunque, di una questione filosofica, che deve pertanto essere trattata in quella sede. Ovviamente
non è detto che lo scienziato non possa fare anche il filosofo, ma se non è il suo campo specifico
deve essere attento a quello che dice, altrimenti rischia di commettere degli errori grossolani, simili
a quelli che lui riscontra nei filosofi non addetti ai lavori della scienza che fanno delle incursioni nel
campo altrui senza molta fortuna. Ci vuole per tutto questo un sincero ed aperto dialogo
interdisciplinare, promosso e favorito soprattutto da parte di quelli che possono spaziare delle
conoscenze in entrambi gli ambiti del sapere.
Per concludere queste riflessioni, penso che possiamo prendere in prestito un testo del prof.
Fiorenzo Facchini:
Molti ritengono insufficiente il meccanismo evolutivo proposto da Charles Darwin (le va-
riazioni casuali della specie selezionate dall’ambiente). Ma non è un buon motivo per
rifiutare la teoria dell’evoluzione. Questa teoria non si identifica con il darwinismo15.

2. L’insegnamento del Magistero della Chiesa sull’evoluzione

15
F. FACCHINI, in Avvenire, 14 agosto 2002.
6
Benché propriamente vada oltre i termini dell’argomento che mi è stato assegnato, vorrei
presentare per sommi capi i lineamenti del Magistero della Chiesa sulla questione
dell’evoluzionismo. È chiaro che il Magistero non entra, e non intende farlo, nelle questioni
propriamente scientifiche, che lascia al lavoro degli specialisti, ma sente il dovere d’intervenire, per
mettere in rilievo e fare dei chiarimenti rispetto ad alcune problematiche suscitate da queste teorie.
Con questo non cade in un’invasione di campo, perché lo fa soltanto in quello che riguarda il suo
compito o missione specifica, cioè chiarire le conseguenze di tipo etico e religioso che tali questioni
comportano.
Il primo principio che si sottolinea è che la verità non può contraddire la verità, cioè non ci
può essere un vero contrasto o conflitto tra una verità di fede (o rivelata) e una verità di ragione
(cioè naturale), perché ambedue hanno come origine lo stesso Dio.
D’altra parte, si fa notare che la Bibbia non ha una finalità scientifica, ma piuttosto religiosa,
per cui non sarebbe corretto tirare fuori delle conseguenze che possano coinvolgere la scienza, né
riguardo la dottrina dell’origine dell’universo, né riguardo l’origine biologica dell’uomo. Bisogna,
dunque, fare una corretta esegesi dei testi biblici (e non come fanno alcuni cristiani, sia evangelici
che cattolici, i quali propongono una lettura puramente letteralistica, di per sé sbagliata16.
In secondo luogo, per la Chiesa non esiste in linea di principio un’incompatibilità tra la
verità della creazione e la teoria dell’evoluzione. Dio potrebbe aver creato un mondo che procede
evolutivamente, il che di per sé non toglie nulla alla causalità divina, che è di un ordine diverso
rispetto alla causalità creaturale.
Ma ovviamente non qualsiasi teoria dell’evoluzione è compatibile con le verità della fede;
non può esserlo quella che sia essenzialmente materialista (cioè che escluda non soltanto la
causalità divina, ma la stessa esistenza di qualsiasi realtà oltre a quella materiale); si noti però qui
che il materialismo non è una dottrina scientifica, ma filosofica, e dunque una teoria scientifica non
può né giustificarlo né promuoverlo in nome della scienza.
In terzo luogo, riguardo alla questione dell’origine dell’uomo, si potrebbe ammettere un
processo evolutivo riguardo la sua dimensione corporea, ma per l’anima ci vuole un’azione
creatrice immediata da parte di Dio, essendo una realtà spirituale, e per questo non potendo essere
originata da qualcosa che spirituale non è. Tra la materia e lo spirito c’è discontinuità; lo spirito non
può sgorgare o emergere dalla materia (contrariamente a quello che sembrava sostenere Teilhard de
Chardin, per esempio). Così, nell’uomo c’è una discontinuità rispetto agli altri esseri viventi, un
“salto ontologico”, come si direbbe in un contesto filosofico-metafisico.
Questo fatto è l’unico che può giustificare in ultima istanza la dignità dell’uomo, il quale
non è il risultato del semplice caso o di una fatalità cieca, ma piuttosto è il frutto di un disegno
divino. L’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, anzi, è chiamato ad un rapporto di
comunione con Dio. Il suo destino è eterno, e per questo non è soggetto alle leggi di questo mondo
che passa. L’uomo è l’unica creatura che Dio abbia voluto per sé stessa17, è fine, e non mezzo, come
lo sono invece le altre creature.
Ci vuole, pertanto, un’antropologia adeguata che tenga conto di tutto questo e che dia
ragione dell’uomo nella sua integralità. Ci sono infatti delle antropologie che non colgono proprio
quello che fa sì che l’uomo sia tale, e queste sono precisamente le antropologie riduzionistiche, di
tipo naturalistico, che già abbiamo avuto occasione di presentare per sommi capi.
Per concludere, ci sarebbe la questione del monogenismo, legata alla dottrina del peccato
originale, ma anche qui mi fermo, per non oltrepassare troppo gli ambiti dell’argomento assegnato.

16
Cfr. il documento della Pontificia Commissione Biblica L’interpretazione della Bibbia nella
Chiesa, del 1993.
17
Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 24.
7
Tutto questo fa vedere il tipo di rapporto che auspica la Chiesa con il mondo della scienza:
«La collaborazione di religione e scienza torna a vantaggio dell’una e dell’altra, senza violare in
nessun modo le rispettive autonomie»18.

18
GIOVANNI PAOLO II, Armonia fra le verità della scienza e le verità della fede. Commemorazione
di Albert Einstein, 10 novembre 1979.
8

Potrebbero piacerti anche