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Capitolo 2

I Biosensori

2.1 Generalit
Il termine biosensore risale allanno 1956, quando Leland Clark ne enunci per primo
il concetto. Agli inizi degli anni '60, Clark e Lyons, introdussero il principio di
accoppiare la selettivit data dallelettrodo con la specificit caratteristica di un
enzima, costruendo il primo elettrodo ad enzima per la misura del glucosio in
soluzioni biologiche, utilizzando la glucosio ossidasi come elemento di
riconoscimento biologico. Due anni pi tardi, Guilbault e Montalvo, descrissero la
realizzazione di un biosensore per la misura dellurea. La storia dello sviluppo dei
biosensori ha aperto la strada al campo dei termistori enzimatici, biosensori
microbici, immunosensori e nanobiosensori, (sviluppati rispettivamente da Mosbach
nel 1974, Divis nel 1975, Liedberg nel 1983, e Vo-Dinh nel 2000) e oggi grazie ai
continui sviluppi sempre pi presente e applicata [5].
2.2 Definizione e classificazione
I biosensori sono dei dispositivi analitici costituiti da tre componenti principali:
componente biologica, trasduttore e componente elettronica.
La componente biologica (o anche mediatore biologico, o, elemento di
riconoscimento molecolare), ovviamente attiva, rende il bioelettrodo specifico, e pu
essere costituita da: enzimi, batteri, microrganismi, recettori cellulari, anticorpi, acidi
nucleici, tessuti animali o vegetali e persino, organi intatti. Il trasduttore ha, invece, la
funzione di convertire il segnale biochimico in un segnale analitico, rendendolo cos
utilizzabile per la determinazione quantitativa, mentre, la componente elettronica pu
essere costituita da: un sistema di condizionamento del segnale, un display, un data
processor e un sistema di memorizzazione, in pratica, da tutto ci che serve per
lacquisizione e la visualizzazione dei dati.

I biosensori vengono per classificati in base alle due parti essenziali: il mediatore
biologico e il trasduttore di segnale.
In base alla componente biologica si distinguono in:
biosensori biocatalitici;
biosensori di affinit (immunosensori; chemorecettori; sensori a DNA e RNA;
sensori ad aptameri (gene chips).
Nel primo caso, lelemento biologico (enzima) promuove la trasformazione
dellanalita: SP, quindi il trasduttore deve rivelare S o P; nel secondo caso,
lelemento biologico (recettore) lega specificamente lanalita in un addotto:
A+BAB, quindi il trasduttore dovr rivelare laddotto AB [6].
Dal punto di vista dei trasduttori di segnale, i biosensori si suddividono in:
elettrochimici, ottici, acustici, calorimetrici o termici (guardare la fig.1 per maggiori
dettagli). fondamentale, immobilizzare in qualche modo, la componente attiva sulla
superficie del sensore, affinch si possa rilevare la variazione di un parametro
chimico, fisico o chimico-fisico. Il trasduttore dellinformazione/segnale pu essere
di tipo elettrochimico (elettrodo), di massa (cristallo piezometrico o analizzatore di
onda acustica), ottico o termico, non importa, ci che conta che il segnale sia chiaro
e affidabile.
La scelta del mediatore biologico viene fatta, sia tenendo in considerazione il grado
di selettivit ( lelemento di riconoscimento molecolare il principale responsabile
della selettivit delle risposte), sia il tipo di identificazione che si intende
raggiungere, nonch la particolare applicazione cui destinato. La scelta del
trasduttore di segnale deve rispondere a requisiti come alta sensibilit, buona
riproducibilit, e selettivit. Le migliori garanzie sono offerte dai trasduttori di tipo
elettrochimico [7].
Lo schema in fig. 2.1 mostra come dallinterazione analita-mediatore, fuoriesca un
segnale biologico, convertito dal trasduttore in un segnale di natura diversa (corrente,
variazione di potenziale, assorbanza, variazione di temperatura, etc.) che,

opportunamente trattato, pu essere facilmente messo in relazione con la quantit di


analita iniziale.
Componente
biologica

Analita

Trasduttore
Conversionedel
segnale

Aamperometrico

Ondeacustiche

elettrochimico

acustico

Conduttometrico

SuperficieSAW

AassorbimentoUVvisibile

ottico

termico

Termocoppie

Fibreottiche

Termistori

Chemiluminescenza

TrattamentodelsegnaleRilevazione
Figura 2.1: Schema di caratterizzazione del trasduttore di un biosensore

I biosensori elettrochimici si basano sulla biotrasformazione specifica di substrati


che, attraverso reazioni di ossidoriduzione, determinano un flusso di elettroni
rilevabile grazie al trasduttore elettrochimico. La risposta del trasduttore viene
convertita in un segnale elettronico strettamente correlato alla concentrazione del
substrato. Per far si che ci possa avvenire, necessaria la formazione del complesso
fra la sostanza biologicamente attiva e lanalita (o substrato). Solo quando lanalita
riesce a legarsi al mediatore biologico il trasduttore pu espletare la propria funzione,
trasformando leffetto fisico e/o chimico causato dallinterazione, in un segnale
elettrico, che poi verr automaticamente elaborato, eventualmente amplificato e
infine visualizzato (fig. 2.2).

Sostanze

Rilevazione

Trasduzione

Condizionamentodelsegnale

Trasduttore

Analita
(substrato)

Interferenti

Segnale
elettronico

uscita

Mediatore
biologico
Stratobiologico

Figura 2.2: Schema di funzionamento di un biosensore

2.3 Il mediatore biologico


Come abbiamo gi detto, esiste unampia gamma di sistemi biologici che possono
essere integrati in un trasduttore di segnale per trasformarlo in un biosensore [8]. I
componenti biologici pi importanti per la costruzione dei biosensori sono gli enzimi
(pi di 2500 utilizzati attualmente), molecole proteiche che presentano attivit
catalitica [9]. La Commissione sugli Enzimi (EC) dellUnione Internazionale di
Biochimica (IUB) ha elaborato il sistema di nomenclatura e numerazione degli
enzimi, che li suddivide in sei classi principali che ne definiscono la funzione:
ossidoriduttasi (catalizzano reazioni di ossidoriduzione);
transferasi (catalizzano il trasferimento di interi gruppi di atomi);
idrolasi (catalizzano reazioni di idrolisi);
liasi (catalizzano la rimozione o laggiunta di un gruppo di atomi ad un doppio
legame o altre scissioni con conseguenti riarrangiamenti elettronici);
isomerasi (catalizzano riarrangiamenti molecolari);
ligasi (catalizzano reazioni di fusione molecolare).
Gli enzimi sono proteine che, in alcuni casi, richiedono per il loro corretto
funzionamento la presenza di gruppi non proteici, intimamente legati alla struttura
enzimatica dotati di unelevata specificit [9]. La parte proteica detta apoenzima,
mentre la frazione non proteica conosciuta come gruppo prostetico. Il co-enzima
(flavina-adenina dinucleotide, flavina mono-nucleotide, nicotinammide adenin
dinucleotide, riboflavina, etc.) che partecipa insieme allenzima nel processo di

catalisi ed in seguito si rigenera, insieme allapoenzima forma loloenzima. Il


cofattore un termine generico che di solito indica piccole molecole organiche
essenziali per il buon funzionamento enzimatico. Definiamo ora i principali parametri
caratteristici di un enzima [11]:
Lattivit enzimatica, espressa in moli/min., definita come la quantit di
substrato convertito nellunit di tempo (minuto) in condizioni standard di
temperatura, pH e forza ionica.
-1

Lattivit specifica enzimatica, espressa in molimin mg

-1

di proteina,

lattivit enzimatica per unit di massa di 1 mg di proteina equivalente.


-1

-1

La costante catalitica o il numero di turnover, espressa in molimin mole ,


lattivit enzimatica per mole di enzima.
La velocit di una reazione enzimatica che, in molti casi, descritta
dallequazione:

v=V

[S]

[S] + K M

dove:
v: velocit di reazione, al minuto o al secondo, misurata sperimentalmente;
V: velocit massima di reazione;
[S]: concentrazione del substrato enzimatico, espressa in moli;
K : costante di Michaelis-Menten;
M

un altro parametro chiave. Quando la concentrazione del substrato molto pi


grande della KM, la velocit di reazione v sar uguale alla velocit massima di
reazione. La velocit di reazione indipendente dal tempo e dipende solamente dalla
quantit di enzima che si trova nel sistema, nel momento della reazione tra il
substrato specifico e lenzima. La KM non altro che la concentrazione del substrato
corrispondente alla concentrazione del substrato enzimatico per cui la velocit di
reazione la met del valore della velocit massima di reazione.
2.4 Enzimi immobilizzati

Per immobilizzazione si intende il legame fisico o chimico dellenzima su un


supporto costituito da matrici organiche od inorganiche, che limita artificialmente la
sua mobilit nel mezzo di utilizzo [12]. Linteresse economico per lo studio di
tecniche di immobilizzazione su supporti fisici deriva dalla capacit di separare
lenzima dal mezzo di reazione, con conseguente possibilit di riutilizzarne e
sfruttarne tutta lattivit residua ed evitare la contaminazione dei prodotti [13].
Quindi questa tecnica rende possibile lutilizzo di processi in continuo e consente di
migliorare la stabilit e lattivit dellenzima stesso, permettendone un utilizzo
maggiore.
2.5 Tecniche di immobilizzazione
Le tecniche di immobilizzazione sono volte a simulare il naturale confinamento
costituito generalmente dalla cellula vivente. I supporti su cui si pu effettuare
limmobilizzazione sono materiali insolubili polimerici od inorganici inerti. In ambito
industriale la scelta delle matrici volte allimmobilizzazione determinante per il
successo del processo enzimatico, infatti lincidenza del costo dei supporti sul
bilancio economico globale del processo risulta di notevole rilevanza. Naturalmente,
oltre allaspetto puramente economico sono da vagliare anche numerose
caratteristiche fisiche del supporto, che possono incidere notevolmente sui processi
come la capacit di legame, la porosit o larea superficiale. La massima capacit di
legame determinata principalmente da due fattori: da un lato la densit superficiale
dei siti di legame, per limmobilizzazione covalente, o la semplice area superficiale
disponibile, per ladsorbimento fisico, e dallaltro il volume stericamente occupabile
dallenzima [14]. Questa capacit pu essere influenzata dalle propriet
elettrostatiche e dal grado di polarit delle superfici esterne di enzima e matrice.
Caratteristiche come la forma, la tipologia, la densit, la distribuzione e la dimensione
dei pori o la distribuzione e la dimensione delle particelle della matrice possono
influenzare la quantit di enzima caricato, il controllo diffusivo del processo e la
configurazione del sistema in cui pu essere utilizzato il biocatalizzatore

immobilizzato. Inoltre, la natura del supporto pu incidere considerevolmente sulla


reale attivit e cinetica del biocatalizzatore. A conclusione di questa breve analisi, si
pu affermare che le caratteristiche richieste per un supporto ideale sono
leconomicit, linerzia chimica, la stabilit, la capacit di incrementare la specificit
dellenzima riducendo linibizione verso il prodotto, la possibilit di variare il pH
ottimale al valore adatto al processo e la capacit di bloccare la contaminazione
microbica e ladsorbimento non specifico. Chiaramente la maggioranza dei supporti
forniscono solo alcune di queste caratteristiche, soltanto la consapevolezza dei pregi e
difetti del supporto in uso permettono di ottenere le informazioni necessarie per
lottimizzazione del sistema.
Le procedure di immobilizzazione degli enzimi [15] che stabiliscono il contatto tra il
mediatore biologico e il trasduttore possono essere raggruppate in due categorie:
1. Immobilizzazioni fisiche: in cui lenzima semplicemente trattenuto dal supporto;
2. Immobilizzazioni chimiche: in cui lenzima legato covalentemente al supporto.
Per supporto si deve intendere il rivestimento dellelettrodo.
Limmobilizzazione fisica operativamente pi semplice; preserva con maggiore
efficienza le caratteristiche dellenzima, che per risulta pi esposto agli agenti
denaturanti (pH, forza ionica, tipo di substrato, temperatura). Limmobilizzazione
chimica sicuramente pi complessa, ma i prodotti formati sono pi stabili nel tempo
e nei confronti degli agenti denaturanti. Una differenza sostanziale rappresentata dal
fatto che gli enzimi intrappolati fisicamente possono essere utilizzati per alcune
centinaia di analisi, mentre con limmobilizzazione chimica possono essere effettuate
diverse migliaia di esami. Le tecniche di immobilizzazione di enzimi (fig. 2.3) pi
ampiamente utilizzate sono le seguenti:
Immobilizzazioni fisiche
a) Intrappolamento su gel e incapsulamento: le molecole di enzima si trovano
allinterno di un gel di amido o poliacrilammide o di una membrana
polimerica. Il polimero deve essere impermeabile allenzima in modo da
impedirne la fuoriuscita, ma allo stesso tempo deve permettere il passaggio dei

substrati (analiti). Il vantaggio che si lavora a temperatura ambiente, alla


quale molti enzimi sopravvivono; lo svantaggio che pu esserci una
denaturazione dellenzima a causa dei radicali liberi.
b) Adsorbimento: l'enzima trattenuto sul supporto da legami elettrostatici
(ionici, dipolari) e da legami idrogeno. Il vantaggio di tale tecnica che poco
distruttiva per lenzima; lo svantaggio che il linkage (ovvero il collegamento)
dellenzima fortemente dipendente dal pH, dalla temperatura e dal solvente.
Comunque, spesso gli enzimi adsorbiti sono insensibili e, tranne qualche caso,
questa tecnica raramente usata nel design dei biosensori.
Immobilizzazioni chimiche
a) Reticolazione tra l'enzima e macromolecole naturali o sintetiche tramite
reagenti bifunzionali. una procedura abbastanza semplice, ma c il problema
della bassa attivit enzimatica.
b) Legame covalente tra l'enzima e il supporto insolubile direttamente o tramite

una molecola spaziatrice.


Il legame covalente lideale per la commercializzazione, rendendo stabile il
complesso enzima-supporto, ma complicato e richiede tempo. Bisogna anche stare
attenti al fatto che alcuni legami possono essere cos forti da inibire il movimento
delle molecole. Limmobilizzazione chimica pu essere realizzata con glutaraldeide
(che si lega direttamente con lenzima); poliazetidina (che reagisce con diversi gruppi
funzionali); carbodiimide (che reagisce con gruppi carbossilici per immobilizzare e
orientare gli anticorpi negli immunosensori); oppure con delle reti di nylon che
servono solo ad immobilizzare lenzima e, avendo una notevole permeabilit, non
funzionano come barriera.

E
E

E
Intrappolamentosugel

Incapsulamento

Adsorbimento
Matricepolimerica

Supporto

Membrana
semipermeabile
Molecola
spaziatrice

Legamecovalente

Enzima

ReticolazioneoCrosslinking
Figura 2.3: Tecniche di immobilizzazione di un enzima

IMMOBILIZZAZIONI SU MONOLAYER AUTO-ASSEMBLATI (SAM)


Un pi alto grado di orientazione nellimmobilizzazione si ha in presenza di
monolayer
disposizioni

auto-assemblati
di

molecole

[8]

(Self-Assembled

ordinate

(alcani-tioli,

Monolayer,

SAM),

molecole

contenenti

ovvero
tioli,

glutaraldeide, carbodiimide, derivati del silano) su un singolo strato su un substrato.


Tra le tecniche dimmobilizzazione su SAM, le pi usate sono le seguenti:
a) Intrappolamento su SAM: pu essere realizzato, per esempio, usando alcanitioli o altre catene terminanti con tioli immobilizzati sulla superficie di un
metallo nobile (Au; Pt; etc.). Si ricorre alle semplice deposizione fisica dentro
il gel polimerico oppure alla tecnica dellelettropolimerizzazione, in questa
tecnica va controllata la porosit del gel, per evitare il rilascio dellenzima, ma
garantendo comunque il movimento del substrato e del prodotto. La parte
sinistra della figura 2.4 mostra un monolayer di tio-lipidi formanti una struttura
tipo-membrana, in cui le proteine sono immerse con diverse orientazioni. La
parte destra della stessa figura, invece, mostra un SAM di catene di alcani-tioli
di diversa lunghezza che consentono la formazione di avvallamenti sulla
superficie che possono contenere le molecole proteiche. Pur trattandosi di un

metodo sicuro, che consente di evitare le contaminazioni dellenzima da parte


di composti nocivi e di limitarne le interferenze, vi sono forti ostacoli al
trasporto di massa da e verso il supporto (e quindi il trasduttore). Questo
svantaggio si traduce in tempi di risposta lenti e segnali non particolarmente
stabili.

Figura 2.4: Intrappolamento su SAM; il punto nero indica il centro di reazione.

b) Attachment non orientato o orientato su SAM: le catene terminanti con tioli


sono legate covalentemente sulla superficie di un metallo nobile.
Al lato, si vede che non c uninterazione
specificatralestremitdelgruppotiolicoei
sitisullasuperficieproteica.Inquestomodo
nonsihauncontrollosullorientazione.
Al lato, si vede che c uninterazione
specifica tra il gruppo tiolico e un unico
grupposullasuperficiedellenzima.
Per valutare la migliore immobilizzazione bisogna procedere sperimentalmente
variando diversi parametri e verificando la risposta del sensore. In particolare,
occorre controllare la sensibilit, il tempo di vita, il pH e la densit enzimatica.
Variando la concentrazione dellenzima varia la densit superficiale e la rivelazione
allelettrodo: pi la densit enzimatica cresce pi aumenta la sensibilit. Ma esiste un
valore limite, infatti troppo enzima ostruisce il passaggio riducendo cos, la sensibilit
dellelettrodo. Inoltre, bene precisare che non esiste un materiale di supporto ideale
su cui praticare limmobilizzazione chimica, ma molte ricerche hanno dimostrato che
lidrofilicit uno dei fattori principali da considerare per mantenere intatta la

funzionalit dellenzima. I materiali polimerici contengono gruppi idrossilici, utili per


lattivazione chimica che porta alla formazione del legame covalente; anche vetro e
silice a porosit controllata possono essere utilizzati. Le reazioni principali di tipo
covalente fra enzima e supporto portano alla formazione di legami tipo isourea,
diazocomposti o legami peptidici.
Esistono tre principali tecniche di misura con i biosensori. Nella tecnica in batch il
biosensore viene immerso in una soluzione tampone, il campione aggiunto solo
dopo che il segnale di corrente si stabilizzato. Ad ogni aggiunta si ha un incremento
del segnale [16].
La risposta che si ottiene simile a quella che si ha con la tecnica di misura in flusso,
in questo caso il biosensore inserito in una cella a flusso in cui si fa scorrere
soluzione tampone fino a quando il segnale di corrente diventa stabile;
successivamente il tampone viene sostituito dal campione da misurare.
La tecnica FIA (flow injection analysis) , invece, una tecnica ad impulso [17]. Si
mette nuovamente il biosensore in una cella a flusso in cui scorre il tampone ed il
campione aggiunto con diverse iniezioni nel flusso del tampone; in questo modo la
risposta che si ottiene a step.
2.6 Effetti dellimmobilizzazione enzimatica
La maggior parte degli studi cinetici delle reazioni catalizzate da enzimi sono
condotti con lenzima e il substrato in soluzione, quando lenzima risulta
immobilizzato si comporta, ovviamente, in maniera diversa dallenzima libero in
soluzione. In primo luogo, limmobilizzazione pu determinare un cambiamento
della conformazione della molecola dellenzima e quindi una differente cinetica della
reazione catalizzata. In secondo luogo, il supporto utilizzato per limmobilizzazione
fornisce un microambiente differente che pu avere un effetto significativo sulla
cinetica della reazione; ci comporta che la ripartizione del substrato tra reazione e
supporto pu determinare una concentrazione del substrato, in prossimit
dellenzima, significativamente differente da quella in soluzione. Inoltre, gli effetti

diffusivi giocano un ruolo importante quando si ha a che fare con gli enzimi
immobilizzati a causa del considerevole grado di controllo diffusivo della reazione.
Nel caso di enzima e substrato liberi in soluzione, generalmente, la velocit data
dalla tipica relazione di Michaelis-Menten, come visto sopra. Una volta stabilita la
concentrazione di substrato [S] e la concentrazione totale di enzima [E], la velocit
presto determinata (Fig. 2.5 (a)). Se invece di essere liberi in soluzione, sia lenzima
che il substrato sono intrappolati in una matrice solida (ad esempio un gel) (Fig. 2.5
(b)), la situazione risulta diversa sotto vari aspetti. Poich lenzima ed il substrato
possono esistere sotto diverse conformazioni, la costante di velocit pu cambiare,
inoltre, la reazione avviene in un ambiente differente. Risultato di questi due effetti
sar la diversit dei parametri della Michaelis-Menten rispetto a quelli in soluzione,
ed per questa ragione che si usano le costanti cinetiche vengono definite Kc e Km.

Figura 2.5: Andamenti della velocit di reazione nei diversi casi di immobilizzazione dell'enzima

Nella pratica reale, si ha che lenzima immobilizzato in un supporto solido, che


potrebbe essere della forma di un disco, mentre il substrato in soluzione, (Fig.
2.5(c)). Accadde perci, che il substrato deve diffondere nel solido per raggiungere il
sito attivo dellenzima. La velocit di diffusione diventa importante, almeno come

quella cinetica, inoltre, c da tener in considerazione un altro fattore: la ripartizione


del substrato tra soluzione e matrice solida (definito come partition factor, PF). Ad
esempio il substrato pu contenere gruppi non polari (idrofobici) come li contiene il
supporto, in questo caso, il substrato sar pi solubile nel supporto che nella matrice
acquosa. In altre parole, il coefficiente di ripartizione pu essere PF>1 e questo avr
leffetto di aumentare la velocit della reazione, mentre un PF<1 ed comporta che il
substrato raggiunge lenzima ma sar minore rispetto al substrato presente nella fase
acquosa con leffetto di diminuire la velocit di reazione [9].
2.7 Trasduzione del segnale elettrochimico
2.7.1 Trasduttori elettrochimici
Un biosensore elettrochimico formato da un trasduttore di segnale elettrico,
chiamato generalmente elettrodo, e da un sistema biologico, che quasi sempre un
enzima immobilizzato sulla sua superficie. Il principio di funzionamento di un
biosensore cos preparato il seguente: una specie chimica, non elettroattiva, reagisce
con lenzima immobilizzato sulla superficie dellelettrodo [18]. Il prodotto di questa
reazione un elemento, o composto elettroattivo, che diffonde sulla superficie
elettrodica e genera un segnale elettrico che viene rilevato da uno strumento e messo
in relazione alla concentrazione dellanalita in esame.
Gli elettrodi che normalmente si utilizzano per assemblare biosensori elettrochimici
si basano sulla: potenziometria, amperometria cronoamperometria e conduttometria
[19].
Potenziometria
La potenziometria una tecnica elettroanalitica in cui i trasduttori di segnale
(elettrodi) misurano una differenza di potenziale che si viene a formare, in condizioni
di flusso di corrente molto vicina a zero, tra lelettrodo di riferimento e quello

indicatore. Essenziali per la misura potenziometrica sono laccuratezza e la stabilit


del potenziale dellelettrodo di riferimento.
La relazione tra la forza elettromotrice della cella e lattivit dello ione di interesse in
soluzione deriva dallequazione di Nernst:
E = E 0' +

RT
ln a i
nF

dove:
E: differenza di potenziale tra lelettrodo di misura e quello di riferimento;
Eo: potenziale standard, V;
R: la costante universale dei gas, 8.314 J mol-1 K-1;
T: temperatura, K;
n: carica elettrica dello ione i;
F: costante di Faraday, 96485 C mol-1;
ai: attivit in soluzione dello ione i.
In pratica, il coefficiente di attivit () dello ione, si assume uguale allunit. Per
soluzioni diluite lattivit sostituita dalla concentrazione.
Riscrivendo lequazione di Nernst:

E = K + S log c
si osserva che la forza elettromotrice E della cella varia linearmente con il logaritmo
della concentrazione dello ione i, con una pendenza (S) ed una intercetta K, dove K
una costante numerica. A 25C si osserva una differenza di potenziale di 0.059 V per
una variazione di concentrazione di una decade, nel caso di uno ione monovalente.
Il sensore potenziometrico classico per eccellenza e nello stesso tempo il pi diffuso
lelettrodo a vetro per la misura del pH. Il suo funzionamento si basa su una
membrana di vetro speciale, altamente selettiva allo ione H+.
Amperometria
Lamperometria una applicazione della voltammetria (o polarografia). Si mantiene
un potenziale fisso tra due elettrodi, per poter seguire una variazione di corrente, in

condizioni di diffusione convettiva, in funzione della concentrazione di una data


specie elettroattiva:

i l = nFA m 0 c 0
dove:
il: corrente limite, A;
n: numero di elettroni;
F: costante di Faraday, 96485 C mol-1;
A: area dellelettrodo di lavoro, cm2;
m0: coefficiente di trasporto di massa;
c0: concentrazione della specie elettroattiva in soluzione, mol L-1.
LEquazione pu essere riscritta in una forma ridotta:

il = K c0
dove k una costante numerica.

Tale tecnica analitica richiede luso di un sistema a tre elettrodi, anche se a volte, se
ne usano due per motivi pratici. La cella elettrochimica utilizzata nelle misure
amperometriche costituita da un elettrodo di lavoro (working electrode, WE), un
elettrodo di riferimento (reference electrode, RE) e un elettrodo ausiliario, spesso
chiamato anche controelettrodo (counter electrode, CE), tutti immersi in una
soluzione elettrolitica. Luso della configurazione a due elettrodi prevede solo
limpiego dellelettrodo di riferimento e di lavoro, in questo modo il potenziale
applicato ai due elettrodi tende a variare nel tempo, ma per brevi periodi operativi,
questo inconveniente trascurabile. La concentrazione della specie elettroattiva sotto
investigazione misurata rilevando la corrente che passa tra lelettrodo di lavoro e
ausiliario, mentre applicata una differenza di potenziale costante tra lelettrodo di
lavoro e quello di riferimento. Il potenziale di lavoro scelto in modo tale che
lanalita di interesse possa essere ossidato o ridotto allelettrodo di lavoro, in quanto
ogni reazione di ossidoriduzione caratterizzata da un diverso potenziale

elettrochimico ben definito. La scelta del potenziale di lavoro condizionata dal


materiale impiegato per la costruzione degli elettrodi di lavoro, dalle eventuali
interferenze elettrochimiche e anche dalla sensibilit di misura che si desidera
ottenere.
Nel particolar caso dei biosensori, usando come rivelatore di segnale un normale
amperometro, si misura la corrente generata indirettamente dallinterazione
dellanalita con il componente biologico. Il prodotto di questa reazione costituisce la
specie elettroattiva, che diffondendo sulla superficie elettrodica subisce una reazione
redox.

Cronoamperometria
Nelle misure cronoamperometriche si misura landamento della corrente nel tempo
per un elettrodo di lavoro (W.E) il cui potenziale costante o varia con legge nota. Il
potenziale effettivo del W.E dato dalla relazione:
E W.E = E POT E RE iR

Dove EW.E e ERE sono rispettivamente i potenziali dellelettrodo di lavoro e di


riferimento, EPOT il potenziale imposto e iR la caduta ohmica dovuta al passaggio di
corrente.
La dimensione ottimale dellelettrodo di lavoro risulta dal bilancio di 2 contributi
opposti, quello della superficie attiva, che determina lentit del segnale, e il valore
della corrente i passante, che aumenta la caduta ohmica, in questultimo caso
importante anche la resistenza R dellelettrodo di riferimento, che deve essere
piccola. Limpiego di microelettrodi consente di mantenere il valore della corrente
nellordine dei micro o nano Ampere, e permette lutilizzo di una cella di elettrolisi a
2 elettrodi; se invece le dimensioni, e di conseguenza le correnti, sono pi elevate, e
lelettrodo di riferimento possiede resistenza elevata, conveniente usare allora, un

sistema a tre elettrodi, in cui il RE fornisce solo un potenziale costante e stabile,


mentre la corrente circola tra il WE e il controelettrodo. In questo modo i=0 nel ramo
del circuito e il termine iR non contribuisce pi al potenziale EW.E.
Conduttimetria
La conduttimetria si basa sulla misura della conducibilit elettrica di una soluzione
elettrolitica e/o della sua variazione al variare del tipo o della concentrazione delle
specie ioniche.

La conducibilit (o conduttanza, ) di una soluzione linverso della sua resistenza


elettrica (R):

1
R

In base alla seconda legge di Ohm, la conducibilit diventa:


=

1
1S
S
=
=
l l
l

dove:
: resistivit ( cm);
l: lunghezza del conduttore (cm);
S: area della sezione (cm2);
: conduttivit (S);
La conducibilit elettrica di una soluzione misurata mediante un conduttimetro,
collegato alla cella conduttimetrica, costituita da due elettrodi, in genere di Pt,
immersi nella soluzione elettrolitica. I materiali (platino-platinato o platinopalladiato) che costituiscono lelettrodo, presentano una superficie effettiva maggiore
di quella geometrica; per questo motivo, nelle misure, si indica come costante di cella
K (cm), il rapporto S/l:

= K

dove:
: conducibilit della soluzione (S);
: conducibilit specifica (S/cm).
I fattori che agiscono sui meccanismi di conduzione sono:
la concentrazione degli ioni in soluzione;
le cariche ioniche;
la velocit di migrazione degli ioni in soluzione;
la temperatura.
2.7.2 Trasduttori ottici
Consistono nella misura dellassorbimento o dellemissione di una radiazione in una
regione dello spettro visivo (infrarossi, visibile, ultravioletti, raggi X). Bisogna notare
che il segnale ottico proporzionale al numero di molecole e non alla loro
concentrazione, e che pertanto la geometria della regione sensibile risulta essere
molto importante.
La variazione di assorbanza pu essere dovuta sia alla specie attiva che al reagente
(metodo indiretto: complesso reagente-sostanza analizzata) [20].
2.7.3 Trasduttori acustici
Consistono nel tradurre un segnale elettrico (di tensione o di corrente) in un segnale
acustico. Lintensit di tale segnale acustico dipende chiaramente dal segnale che il
trasduttore trova in ingresso [20].
2.7.4 Trasduttori termici
I metodi di rivelazione termica consistono nella misura dellentalpia di una
determinata reazione, e si basano sul principio del calorimetro.
Il grosso vantaggio connesso allimpiego dei metodi termici lavere una risposta
lineare su un range di circa 5 ordini di grandezza [20].
2.8 Criteri generali per definire la prestazione di un biosensore

importante caratterizzare la risposta di un biosensore specie quando dai parametri


operativi si riesce a capire come agire per migliorare le caratteristiche funzionali del
biosensore stesso, nella determinazione analitica. Una misura molto importante la
valutazione dellattivit specifica del recettore biologico, cio, il rapporto tra il
numero delle molecole attive sul numero totale di quelle immobilizzate. Questa
propriet dipende dal metodo di immobilizzazione e, quindi, dallorientazione
molecolare, o anche dal numero dei punti di attacco. Questo solo un esempio, nel
campo biosensoristico sono stati definiti dei protocolli per la determinazione univoca
e ripetibile dei parametri di performance dei biosensori, tenendo in considerazione sia
i parametri analitici che quelli dinamici [21].
Parametri analitici
Calibrazione: si esegue per aggiunta di soluzioni standard di analita, misurando e
rappresentando graficamente la risposta allo stato stazionario (RSS), possibilmente
eseguendo la sottrazione del segnale di fondo (R0), in funzione della
concentrazione (c) o del suo logaritmo (log c/c0: dove c0 si riferisce alla
concentrazione 1M presa come riferimento). In determinate condizioni
idrodinamiche il biosensore pu essere utilizzato con un sistema di analisi ad
iniezione in flusso [17] (FIA), in special modo per analisi sequenziali di
campione, in questo caso, il segnale, non sar riferito allo stato stazionario, ma
allaltezza del picco. Un modo conveniente per effettuare la calibrazione del
sistema indicare la velocit massima della variazione del segnale (dR/dt)max.
Sensibilit (S): non altro che la pendenza della curva di calibrazione nel tratto
lineare (RSS-R0) in funzione della concentrazione o del log c/c0, per un segnale
continuo e di (dR/dt)max/c vs. log c/c0, per un segnale transiente:
S=

R SS R 0 R
=
c
c

Esiste una concentrazione massima rilevabile. Per spostare questa rilevabilit verso
valori di concentrazione maggiori bisogna necessariamente compromettere la
sensibilit, cio possibile rilevare un quantitativo maggiore di analita, ma
rinunciando alla possibilit di poterne rilevare piccoli quantitativi.

Abbiamo gi visto che i due parametri che definiscono completamente la cinetica


enzimatica tipica di Michaelis-Menten, Km e Vmax, rappresentano due costanti: la
prima la concentrazione che d un segnale uguale alla met del massimo, laltra
rappresenta la concentrazione analitica allinfinito, mentre i biosensori elettrochimici
basati su sistemi enzimatici immobilizzati, possono essere caratterizzati dalle due
costanti delle reazioni enzimatiche, opportunamente modificate: Km diventa una
costante apparente Kmapp e la velocit diventa (Rss-R0)max.
Intervallo dinamico di concentrazione: lintervallo di concentrazione in cui a
una variazione della concentrazione corrisponde ad una variazione del segnale del
sensore. La dipendenza della concentrazione dal segnale segue lEquazione:

R = S cx
lintervallo dinamico di concentrazione lintervallo di concentrazione per il quale
x1.
Intervallo lineare dinamico di concentrazione: quella parte dellintervallo
dinamico di concentrazione per cui x=1. Lintervallo lineare dinamico di
concentrazione del sensore limitato dalle propriet biocatalitiche e
biocomplessanti del recettore biologico. Esso pu essere significativamente
ampliato per mezzo di una barriera di diffusione esterna, con conseguente
diminuzione della sensibilit.
Il limite di rilevabilit (Limit of Detection, LOD) ed il limite di quantificazione
(Limit of Quantification, LOQ) dipendono dal rumore di fondo (background noise
signal) e dal bianco (blank) della misura. Il LOD, espresso come valore di
concentrazione (CLOD, mol/L) o di massa (qLOD, mol), deriva dal valore della pi
bassa corrente misurabile (RLOD):

R LOD = R 0 + K s blank
dove R0: corrente di fondo (A);
K: costante numerica
sblank: deviazione standard del segnale attribuibile al bianco della misura.

Il limite di rilevabilit ed il limite di quantificazione, espressi in termini di


concentrazione, sono dati da:

C LOD, LOQ =

K s blank
S

dove k=3 o 10, per CLOD o CLOQ, rispettivamente e S la sensibilit.


Al di sotto del valore di LOD, il segnale indipendente dalla concentrazione
dellanalita.
Selettivit: il parametro che quantifica il grado di interferenza, sulla misura
effettuata, di specie estranee che non siano lanalita in causa. Per un biosensore,
essa dipende sia dal trasduttore che dal componente biologico. Alcuni enzimi
utilizzati nella costruzione dei biosensori sono altamente selettivi, ma esistono
anche enzimi con specificit di classe (alcol ossidasi, perossidasi, laccasi,
tirosinasi, aminoacido ossidasi, etc.). La modalit pi semplice per eliminare
alcuni interferenti rappresentata dallutilizzo di membrane protettive, esterne o
interne, (come per il biosensore a glucosio), ma si possono utilizzare anche sensori
compensatori senza il recettore biologico (misura differenziata). Nella fattispecie
per i biosensori amperometrici, costituiti da elettrodi di metalli, la selettivit
sicuramente inficiata dalle numerose interferenze (gli elettrodi sono sensibili a
numerose sostanze interferenti. Se si riescono a identificare correttamente gli
interferenti, come nel caso degli ascorbati nel classico sensore al glucosio basato
sulla rivelazione della H2O2, la loro influenza viene ristretta dalluso di differenti
soluzioni, oppure con un sensore senza lo specifico recettore biologico che andr a
costituire il segnale di bianco (cio quello da sottrarre al vero segnale). Tra le
varie metodiche per la determinazione della selettivit, ve ne sono due
raccomandate, a seconda dellobiettivo della misura. La prima prevede la misura
del segnale allaggiunta della sostanza interferente; la curva di calibrazione
relativa ad ogni interferente viene confrontata con quella analitica, nelle stesse
condizioni operative e sperimentali. La selettivit in questo caso sar espressa
come il rapporto fra il segnale risultante nel caso in cui presente solo lanalita e

quello espresso solo con linterferente alla stessa concentrazione. La seconda


procedura prevede laggiunta dellinterferente direttamente alla cella di misura che
gi contiene lanalita, ad un valore di concentrazione intermedio dellintervallo
atteso: la selettivit sar espressa come variazione percentuale del segnale [19].
Questultima pi facilmente quantificabile rispetto alla prima sebbene sia
ristretta nella sua applicabilit e nel significato intrinseco, perch dipendente dalla
concentrazione che si vuole determinare.
Affidabilit di un biosensore: dipende dalla sua selettivit e riproducibilit. Per
essere affidabile, la sua risposta deve essere direttamente correlata con la
concentrazione dellanalita dinteresse e non deve variare con le variazioni della
concentrazione delle sostanze interferenti eventualmente presenti nel campione
sottoposto allanalisi. Laffidabilit non altro che laccuratezza con cui viene
definita la risposta globale del biosensore.
La riproducibilit: la misura della variazione allinterno di una serie di
osservazioni o risultati ottenuti in un certo periodo di tempo, ed generalmente
valutata

entro

lintervallo

lineare

dinamico

di

concentrazione

del

sensore/biosensore.
Parametri dinamici
Tempo di risposta: il tempo necessario al sensore/biosensore per arrivare al 90%
del nuovo stato stazionario, in corrispondenza della variazione di concentrazione.
Tempo di risposta transiente: il tempo necessario alla derivata prima del segnale
(dR/dt) in uscita per raggiungere il suo valore massimo, dopo laggiunta
dellanalita.
Entrambi i parametri dipendono da:
- geometria della cella;
- condizioni di trasporto nella cella;
- meccanismo di risposta dellelettrodo;
- attivit del sistema di riconoscimento biologico.

Pertanto lo spessore e la permeabilit degli strati sensibili da attraversare sono


parametri essenziali che andrebbero esaminati nella scelta del metodo di
immobilizzazione del recettore. I tempi di risposta dipendono, in modo non
trascurabile, anche dalla agitazione e dalle condizioni idrodinamiche del campione in
celle di misura non in flusso (batch measurement); un modo semplice per definire
queste condizioni in prossimit di biosensori la tecnica FIA. Variando la
concentrazione di volta in volta abbiamo un comportamento omologo a quello in
soluzioni ferme, ma se introdotti nel fluido di circolazione si ottiene solamente un
segnale di tipo transiente.
Sample throughtput (quantit di campione misurabile): il numero di campioni
analizzati nellunit di tempo, senza aver subito interferenze da parte dei campioni
precedentemente analizzati. Questo parametro dipende dal tempo di recupero
necessario al biosensore per ritornare allo stato stazionario iniziale, a sua volta
dipendente dalla composizione del campione, dalla concentrazione dellanalita, o
dalla storia del sensore.
Tempo di residenza il tempo in cui lanalita si trova a contatto col
sensore/biosensore.
Il tempo di vita (tL) di un biosensore definito come il tempo (operazionale o di
conservazione) necessario affinch la sensibilit diminuisca di un fattore 10 (tL10)
o che raggiunga il 50% del valore iniziale (tL50). Dovrebbe essere specificata la
modalit di valutazione del tempo di vita del sensore, in riferimento alla attivit
iniziale (che rappresenta il 100%). La definizione raccomandata quella che il
lifetime dipende dalla diminuzione percentuale di questa attivit di partenza,
allinterno del range di linearit delle concentrazioni.
Stabilit a lungo termine (long-term stability): caratterizzata dal drift
(variazione) della risposta del biosensore e dalla deviazione standard residua del
segnale di risposta in una soluzione di composizione, temperatura e condizioni
idrodinamiche costanti. La stabilit si pu dividere in stabilit operazionale

(operational stability) e stabilit in condizione di conservazione (storage o shelfstability).


- La operational stability va valutata considerando: la concentrazione
dellanalita c, il contatto continuo del sensore con la soluzione da
misurare, la temperatura, il pH del tampone, la presenza di solventi
organici eventuali, la composizione del tampone (e di eventuali sali)
e della matrice.
- Per la shelf-stability, parametri significativi sono la condizione di
conservazione del biosensore, cio in umido o al secco, la
composizione dellatmosfera (aria, azoto, gas nobili eventuali), il pH
e la composizione del tampone, la presenza di additivi.
2.9 Pro e contro dellutilizzo di biosensori
Come ogni modalit di analisi lutilizzo dei biosensori presenta numerosi vantaggi,
ma anche importanti limitazioni. Sicuramente la tecnica offre, tra le principali qualit
unelevata sensibilit e specificit, un basso costo della strumentazione, velocit di
risposta, assenza totale o in ogni caso, un minore pretrattamento del campione,
praticit e facilit di trasporto (grazie alle piccole dimensioni) che permettono
lutilizzazione diretta in sito e infine, ma non meno importante, una semplicit duso
che non richiede personale altamente specializzato [22].
Industrialmente i requisiti a cui deve rispondere un biosensore per poter essere
commercializzato sono molti di pi e si aggiungono a quelli gi menzionati sopra, in
particolare, un biosensore commerciale deve avere: robustezza fisica, precisione,
riproducibilit, stabilit del materiale biologico, indifferenza ai cambiamenti voluti o
accidentali delle condizioni operative, ambientali o in presenza di interferenti. Inoltre,
le procedure di immobilizzazione del mediatore biologico devono essere affidabili, il
bio-recettore riproducibile, garantendo lassenza di rilevazione di falsi positivi; la
risposta deve essere attendibile, il peso e la dimensione appropriata, nonch deve

avere laccettabilit da parte degli utilizzatori. Se poi possibile essere anche


completamente automatizzato, biocompatibile e avere una lunga vita [8].

2.10 Biosensori elettrochimici


I biosensori elettrochimici [7], [18] garantiscono migliori performance rispetto a tutti
gli altri biosensori, non a caso sono utilizzati anche per scopi clinici. Si ottengono
sovrapponendo, in un punto specifico dellelettrodo, uno strato di materiale
contenente il biomediatore, che il pi delle volte un enzima. I due tipi di elettrodi
normalmente utilizzati per assemblare biosensori elettrochimici sono amperometrici e
potenziometrici, a seconda se si andr poi a misurare, la variazione di corrente
elettrica o di potenziale. Lo strato enzimatico lelemento che conferisce specificit
al biosensore: solo il substrato specifico di un determinato enzima viene trasformato
secondo la reazione catalizzata dallenzima stesso. Il risultato della specifica reazione
enzimatica , nella maggior parte dei casi, la produzione di una molecola inorganica
(O2, H2O2, NH3) la quale, a specifiche differenze di potenziale, viene ossidata o
ridotta generando una microcorrente (ovviamente se si lavora con un elettrodo
amperometrico) che risulta essere direttamente proporzionale alla concentrazione
dellanalita da rilevare. E poi, tramite la reazione stechiometrica, che collega la
molecola inorganica generata (o consumata) direttamente allanalita, che si risale alla
concentrazione dellanalita stesso [12].
Lapplicazione di specifiche differenze di potenziale tra lelettrodo di lavoro e di
riferimento come la lettura delle correnti che si sviluppano a seguito delle reazioni
enzimatiche avviene mediante limpiego di potenziostati. Il potenziostato applica il
potenziale stabilito allelettrodo di lavoro e lo controlla rispetto a quello di un
elettrodo di riferimento.
Il modello di biosensore utilizzato in questo lavoro di tesi, per la rilevazione degli
analiti tossici presenti nellacqua prevede, lutilizzo di un biosensore elettrochimico
di tipo amperometrico, in particolare di elettrodi stampati mediante la tecnologia
Screen Printed [22] su supporti in materiale polimerico, dove limmobilizzazione

dellenzima avviene su di un elettrodo sensibile al prodotto di reazione dellenzima


stesso che ovviamente reagisce solo in presenza dellanalita da rilevare. I biosensori
enzimatici, in funzione del meccanismo di trasporto elettronico, si suddividono in
biosensori di:
I generazione: il componente biologico mantenuto in contatto con la
superficie elettrodica mediante lausilio di membrane, che lo immobilizzano
fisicamente o chimicamente, e nello stesso tempo bloccano gli eventuali
interferenti che potrebbero influire sulla misura elettrochimica; i tempi di
risposta sono lunghi, in quanto, sia il substrato enzimatico, che il prodotto di
reazione devono diffondere attraverso le membrana per arrivare allenzima
intrappolato oppure per ridursi/ossidarsi allelettrodo, rispettivamente;

Figura 2.1: Meccanismo di trasporto elettronico per biosensori di I generazione

Come possiamo vedere, una volta che il substrato S ha reagito per esempio,
mediante un processo redox, con lenzima Eox questo si riduce (forma Ered
dellenzima) e, per poter tornare al suo stato originale, lenzima deve reagire
con lossigeno. Tipicamente si produce H2O2 che pu essere rivelata per via
amperometrica su un elettrodo metallico (Pt, glassy carbon).

Sred

Sox

Figura 2.7: Schematizzazione del meccanismo di trasporto elettronico per biosensori di I generazione

II generazione: Una limitazione importante per i biosensori di prima


generazione realizzati con enzimi come ad esempio la glucosiossidasi la
dipendenza dallossigeno, necessario per riossidare lenzima. I biosensori di
seconda generazione sono caratterizzati dallutilizzo di

mediatori redox,

sistemi molecolari/complessi biologici/metalli nobili, che oltre a riportare


lenzima nella forma ossidata, fungono da sistema navetta per il trasporto degli
elettroni tra lenzima e lelettrodo, diminuendo notevolmente il tempo di
risposta del biosensore;
Sred

Sox

Figura 2.8: Schematizzazione del meccanismo di trasporto elettronico per biosensori di II generazione

III generazione: il trasferimento elettronico avviene senza intermediari, in


quanto vi un accoppiamento diretto tra la superficie elettrodica ed enzima; la
risposta del biosensore pressoch istantanea [23].
Sred

Sox

Figura 2.9: Schematizzazione del meccanismo di trasporto elettronico per biosensori di III generazione

Ogni reazione che implica un trasferimento di elettroni caratterizzata da un


fissato potenziale standard (EPo), oltre il quale energeticamente favorita:

G 0 = - n F E 0'
Gli enzimi abbassano il livello di energia libera richiesto per la reazione redox
del substrato specifico. Una cinetica elettronica rapida dipende dallaccessibilit
del sito attivo enzimatico da parte delle specie in soluzione, dalla distanza che lo
separa dalla superficie enzimatica, dal tipo di gruppo prostetico, dalla stabilit
intrinseca della proteina e anche dalla possibilit di essere immobilizzata su di
un sensore [11]. Gli elettroni coinvolti nel processo di catalisi enzimatica
possono essere sia immagazzinati dal gruppo prostetico integrato allenzima,
oppure scambiati con un opportuno co-enzima allinterno del sito attivo. I
meccanismi con cui si effettua il trasferimento redox dal sito attivo enzimatico
alla superficie del trasduttore sono:
sistema navetta (electronic shuttle), caratteristico per i biosensori di I e II
generazione;
diretto (tunnelling), specifico per i biosensori di III generazione;

diretto (wired) mediante polimeri redox o conduttori. La comunicazione diretta


avviene anche quando il sito attivo dellenzima collegato (cablato) alla
superficie del trasduttore di segnale per mezzo di polimeri conduttori; infatti, la
struttura flessibile del polimero avvolge lintero enzima creando una rete
tridimensionale

specifica elettron-conduttrice, efficiente nel condurre il

segnale elettronico, specifico sempre dei biosensori di III generazione [23].


2.11 Tecnologie di produzione del biosensori
Elettrodi a stampa serigrafica
La stampa serigrafica di notevole importanza nel campo della produzione di
elettrodi basati sulla tecnologia a film spesso (Thick Film Technology, TFT). Questa
tecnica permette di assemblare sensori tramite la deposizione sequenziale dei vari
substrati utilizzati nel processo di produzione. Elettrodi ottenuti mediante limpiego
di questa tecnologia vengono comunemente definiti come screen-printed,
monouso, usa e getta, elettrodi stampati o pi comunemente elettrodini,
diminutivo che denota due delle loro tipiche caratteristiche: dimensioni e massa
ridotte [24].
Gli elettrodi utilizzati per lassemblaggio dei biosensori elettrochimici, nel nostro
caso, di tipo amperometrico, sono stampati mediante la tecnologia Screen Printed su
supporti in poliestere. Lelettrodo stampato (fig. 2.10) prevede una geometria
concentrica a tre elettrodi (con piste e contatti in grafite): elettrodo di lavoro (che pu
essere in grafite o ricoperto con Pt, Au); controelettrodo (sempre in grafite) e
elettrodo di riferimento (in Ag/AgCl). Questo elettrodo stampato prevede la
deposizione di una superficie isolante, il dielettrico, che ha lo scopo di isolare
lelettrodo di lavoro dove avviene la misura.

Elettrododi
riferimento
Elettrododi
lavoro
Controelettrodo

Stratoisolante

Pisteecontatti
inargento

Figura 2.10: Parti essenziali di un elettrodo

2.11.1 Tecnologia a film spesso (Thick film technology)


La tecnologia a film spesso (vedi fig. 2.11) viene utilizzata per la costruzione di
sensori solidi, planari e meccanicamente robusti, supportati su una base isolante,
costituita generalmente da materiale plastico (cloruro di polivinile, policarbonato,
poliestere, etc.) oppure ceramico (allumina, magnesia, etc.). Il processo di
fabbricazione si basa sulla stampa serigrafica, che permette la deposizione
sequenziale del film spesso (thick-film) sul supporto o substrato solido isolante [24].

Figura 2.11: Illustrazione grafica del processo di screen-printing per la produzione di sensori con la TFT

I supporti per lo screen printing forniscono oltre al sostegno meccanico anche


lisolamento elettrico per i circuiti a film spesso. Tali substrati devono presentare i
seguenti requisiti:
1. devono essere compatibili con la pasta e con lintero processo;

2. devono essere elettricamente non conduttori (isolanti).


I materiali pi comuni fra i substrati ceramici sono allumina, magnesia, zirconia,
berillio; molto usato lossido di alluminio, Al2O3, ad elevata purezza (generalmente
96%). I supporti che possono realmente permettere la produzione in larga scala a
bassissimo costo, sono in realt i supporti polimerici, come ad esempio il PVC o il
poliestere, in tal caso le paste utilizzate differiscono da quelle tradizionali poich
contengono come legante un polimero in luogo del vetro, in modo da non richiedere
necessariamente la sinterizzazione nella fase finale del processo: su fogli spessi
appena 0.5 mm, infatti, si riesce a stampare decine o centinaia di elettrodi (a seconda
del tipo di stampante serigrafica disponibile).
La composizione chimica e le propriet elettriche ed elettrochimiche del thick-film
variano in funzione dei sensori desiderati che stanno alla base dello sviluppo e della
costruzione degli elettrodi screen-printed [22]. Lo schema pi comunemente
applicato nella realizzazione degli elettrodi monouso, prevede per lelettrodo di
lavoro luso di inchiostri o paste, generalmente a base di grafite o vari tipi di carbone,
ma anche a base di metalli nobili (Pt, Au, Ag, etc). Le paste contengono anche agenti
leganti di vario genere (vetro in polvere, resine, solventi, vari additivi, etc.), che
influiscono sulla viscosit, conducibilit, sul grado di idratazione e sulla resistenza
alle variazioni termiche. I normali inchiostri da stampa sono costituiti da una parte
liquida (mezzo di dispersione) e dal pigmento. Il mezzo di dispersione, spesso
chiamato anche veicolo, pu contenere idrocarburi alifatici o aromatici, vari esteri,
chetoni e alcoli, ed anche un agente legante, di solito resine fenoliche, acriliche o
viniliche. Il pigmento pu essere la grafite, il carbone e/o il nerofumo [22]. Per la
stampa dellelettrodo di riferimento/pseudo-riferimento si usano paste speciali a base
di argento oppure di argento-cloruro di argento. Lelettrodo ausiliario viene, di solito,
stampato usando lo stesso materiale impiegato nella stampa dellelettrodo di lavoro
oppure dellelettrodo di riferimento [25]. Una volta che stata serigrafata la base
elettrodica (nella configurazione a tre elettrodi, questa rappresentata dagli elettrodi
di lavoro, di riferimento/pseudo-riferimento e ausiliario/controelettrodo che nello

stesso tempo fungono anche da contatti elettrici) sul supporto solido, questa si ricopre
sempre con un film spesso, di materiale dielettrico che funge da guaina protettrice.
Il processo di fabbricazione prevede tre fasi:
deposizione attraverso uno schermo (screen printing);
asciugatura (drying cycle);
sinterizzazione (firing cycle);
questultima fase, non necessaria e quindi non praticata nel caso di elettrodi usa e
getta, costituiti da supporto in poliestere o comunque in materiale plastico.
La deposizione dei vari inchiostri e/o paste avviene meccanicamente, in uno o pi
passaggi, sul substrato solido, utilizzando una macchina adatta alla stampa
serigrafica, munita di vari tipi e forme di telai che condizionano la configurazione e le
dimensioni degli elettrodi stampati. Il processo di deposizione consiste nel far passare
linchiostro attraverso le maglie di uno schermo, mediante lausilio di una spatola di
silicone (racla). Lo stampo presenta un disegno aperto che definisce ci che verr
deposto o stampato sul supporto. Lasciugatura permette levaporazione dei prodotti
volatili presenti nei vari inchiostri/paste, e avviene di norma a temperature <100C, a
seconda del supporto isolante su cui si stampa. Dopo essersi accertati che il materiale
attivo si sia asciugato, possibile effettuare una serie di stampe successive sullo
stesso supporto per ottenere dei disegni maggiormente complessi, progettati a
seconda dellobiettivo che si intende perseguire.
Dopo questa fase blanda, a temperature comprese tra 100C e 1200C, in funzione
delle caratteristiche dei materiali impiegati e dei requisiti che si desiderano, avviene
la fase di stabilizzazione e la polimerizzazione delle paste/inchiostri (sinterizzazione).
La stampa serigrafica permette di ottenere su larga scala elettrodi miniaturizzati, a un
costo sostanzialmente basso (circa 1-2 /elettrodo) e con una riproducibilit elevata.
2.11.2 Caratteristiche generali delle paste a film spesso

Le paste utilizzate con la tecnologia a film spesso, differiscono in composizione


chimica e in conducibilit elettrica e si classificano come paste conduttrici,
dielettriche (ovvero isolanti), resistive e saldabili. I principali costituenti sono:
il materiale attivo;
il vetro poroso (legante inorganico);
il legante organico.
Le paste conduttrici contengono come materiale attivo un metallo nobile (Ag, Pt, Au,
Pd), una dispersione di un metallo in grafite, oppure grafite pura; le paste resistive
contengono invece, ossidi di metallo come biossido di rutenio (RuO2); mentre le
paste dielettriche: polveri ceramiche (allumina e zirconia).
2.11.3 Caratteristiche dello stampo
Lo schermo definisce il disegno del film stampato e determina la quantit di pasta che
viene deposta sul substrato isolante. Solitamente, il tipo di stampo pi usato
costituito da un telaio di alluminio sul quale montata, in tensione, una rete
finemente intrecciata che reca il disegno che si vuole stampare. La rete viene rivestita
da

unemulsione

sensibile

allultravioletto,

su

cui

pu

essere

impressa

fotograficamente limmagine del circuito.


Per la scelta della rete si tener conto del disegno richiesto e dei tipi di paste che
devono essere utilizzate. Generalmente, una rete presenta una densit di circa 80
filamenti/cm: facilmente intuibile che pi piccolo il diametro del filamento, pi
grandi sono le maglie della rete e quindi maggiore sar il volume di pasta che verr
deposto sul substrato. Il materiale, con cui fabbricata la rete, deve avere una certa
flessibilit per permettere un buon contatto con il substrato, soprattutto se
questultimo non si presenta perfettamente planare; inoltre, deve essere resiliente (in
modo tale che la rete riacquisti la sua conformazione originale dopo il processo di
deposizione), chimicamente stabile e presentare, oltre ad un buon tempo di vita,
unelevata resistenza allattacco di solventi e di altri agenti chimici impiegati nelle

paste e nelle altre soluzioni di lavaggio e, ancora, deve essere inerte ai solventi
organici che vengono utilizzati per diluire le paste utilizzate per lo stampo.
I materiali pi usati nella fabbricazione della rete dello stampo sono il poliestere, il
nylon e lacciaio inox.
2.12 Analisi in flusso
Nelle tecniche elettroanalitiche in flusso, un campione liquido o una sua frazione,
trasportato dal flusso trasportatore (carrier), dal punto di entrata del campione nel
carrier, al punto di uscita, oppure, quando si ricicla, ritornando al punto di entrata,
dopo esser passato attraverso tutte le fasi del processo di analisi. Le tecniche di
analisi

in

flusso

sono

caratterizzate

dalla

dispersione

la

rilevazione

dellanalita/analiti che avviene sotto controllo idrodinamico del flusso trasportatore.


Il sistema di rilevazione (trasduttore di segnale o biosensore) inserito in una cella
elettrochimica di geometria variabile.
2.12.1 Analisi in flussoFlow Analysis (FA)
Lanalisi in flusso una tecnica analitica che si basa sulla misura di un campione
liquido, il quale viene introdotto, processato e rilevato in un flusso trasportatore [26].
Il campione pu essere sottoposto a processi di trasporto, di separazione in flusso, a
reazioni chimiche, a trattamento termico, etc., mentre si trova in condizioni di
dispersione controllata dalla diffusione e/o dalla convezione. Si distinguono due modi
di analisi:
in flusso continuo;
in flusso segmentato.
In funzione della modalit di introduzione del campione nel flusso trasportatore, si ha
unanalisi in flusso continua o intermittente.
2.12.2 Analisi in flusso segmentato (SFA)
Le caratteristiche della SFA sono:

il flusso trasportatore segmentato per mezzo di bolle di aria o altro gas,


avente la funzione di dividere e separare tra di loro i campioni introdotti nel
flusso, minimizzando anche il processo di dispersione del campione. Le bolle
daria mantengono un flusso stabile, limitano la contaminazione reciproca dei
campioni e facilitando lomogeneizzazione del campione con i reagenti;
il campione viene aspirato nel carrier.
2.12.3 Flow Injection Analysis-FIA
La FIA una tecnica analitica in flusso, in cui, il campione liquido o il reagente
iniettato nel flusso del carrier, che pu essere una soluzione tampone o una miscela
di reattivi (inerte o attivo verso il campione/reagente) ed il campione (o il reagente o
un prodotto di reazione) viene rilevato al detector. Nel caso dellutilizzo dei
biosensori, nel sistema FIA, il carrier inerte, mentre lanalita da determinare,
subisce la reazione di trasformazione chimica (ox-red) nella cella elettrochimica dove
appunto si trova il biosensore. In questo caso a essere rilevato dal detector un
prodotto di reazione che provoca una variazione di corrente o potenziale. Liniezione
comporta la formazione di zone ben definite di campione o reagente nel flusso
trasportatore, e dove esse si disperdono in maniera controllata. Limmissione di
volumi ben definiti e altamente riproducibili del campione si esegue con laiuto delle
valvole a iniezione, o servendosi di sistemi a iniezione in loop. In questultimo caso,
quando il sistema di iniezione in posizione di carico (Load), al biosensore arriva
solo il tampone che generer sullelettrodo una segnale di corrente costante nel
tempo, in posizione di iniezione (Inject), i tubi del tampone e del campione si
incontrano e vengono inviati al biosensore posizionato allinterno della cella
elettrochimica. Il contatto del campione con la fase enzimatica dar origine, nel caso
di biosensori amperometrici, a microcorrenti (rilevabili attraverso dei picchi figura
2.12) legate alle reazioni di ossidoriduzione catalizzate dallenzima stesso.
La FIA sfrutta il fenomeno della dispersione parziale e controllata del campione
lungo questo il carrier: quando il campione iniettato, forma inizialmente un

segmento ben definito di fluido ma, attraversando i tubi, va incontro a fenomeni


dispersivi. L'entit e il tipo di dispersione dipendono dai parametri operativi applicati
al sistema come: volume di campione, diametro e lunghezza dei tubi, velocit di
flusso, che possono essere diversificati per modificare le caratteristiche stesse della
dispersione e quindi per approntare differenti tipi di analisi.
Allinterno del sistema, il fenomeno della dispersione si verifica per convezione e/o
per diffusione. L'importanza relativa di questi fenomeni dipende dalla portata del
fluido, dal raggio dei tubi, dal tempo di analisi e dal coefficiente di diffusione (Df).
La figura 2.12 mostra la variazione dei profili di concentrazione del campione ad una
specifica ed adatta distanza dal punto di iniezione, dovuti a fenomeni di diffusione
e/o convezione.

Figura 2.12: Profili di concentrazione del campione ad una distanza definita dal punto di iniezione

Se la dispersione limitata (al limite nulla) l'integrit del campione mantenuta a


livelli elevati (fig. 2.12 (a) ) e si ha un profilo di tipo quadrato. Se la dispersione ha
luogo esclusivamente per convezione, nel tubo il campione assume una forma
paraboloide e il profilo di concentrazione rappresentato da un picco codato (fig.
2.12 (b)). In condizioni in cui la dispersione ha luogo esclusivamente per diffusione
la forma del campione un ellissoide e il profilo di concentrazione assume la forma
gaussiana (fig. 2.12 (d)). Il profilo di concentrazione in figura 2.12 (c) rappresenta le
tipiche condizioni in cui si verificano entrambi i fenomeni [17].
Il profilo di concentrazione del campione che entra nella cella di misura, dipende
dalla modalit di introduzione del campione, dai parametri del flusso, e dalla
geometria del canale FIA situato tra il punto di campionamento ed il detector. La
risposta tipica FIA di tipo gaussiana, pi o meno simmetrica, mentre la tipica
risposta FA un valore di plateau, a stato stazionario. Le parti essenziali di un
sistema FIA sono:

- pompa peristaltica;
- valvola di iniezione;
- tubi di connessione;
- connettori.

Figura 2.13: Schema a blocchi della tecnica FIA

2.13 Un enzima specifico per i nitrati: La nitrato reduttasi


La nitrato reduttasi assolve in piante, alghe e funghi un ruolo centrale per
lintegrazione del metabolismo, grazie alla regolazione del flusso di azoto per mezzo
di molteplici meccanismi regolatori. Il monomero composto da un polipeptide di
circa 100kD, contenente FAD, Fe-eme e molibdeno-molibdopterina (Mo-MPT).
Lenzima ha otto segmenti in sequenza:
(a) Una regione acida N-terminale;
(b) Il dominio Mo-MPT con il sito attivo di riduzione del nitrato;
(c) Un dominio di interfaccia;
(d) Un primo giunto flessibile contenente serina fosforilata;
(e) Il dominio del citocromo-b;
(f) Un secondo giunto flessibile;
(g) Il dominio del FAD;
(h) Il dominio del NAD(P)H.
Il frammento del citocromo-b reduttasi contiene il sito attivo dove il NAD(P)H
trasferisce elettroni al FAD.
Nellassimilazione eucariotica la nitrato riduttasi catalizza la reazione:

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