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INDICE
4.1
4.1.1
4.1.2
4.1.3
4.1.4
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.6.1
4.6.2
4.6.3
4.6.4
4.6.5
4.7
4.7.1
4.7.2
4.7.3
4.7.4
4.7.5
4.7.6
4.7.7
4.7.8
Le idee dellevoluzione
Introduzione
Dal tipo alla popolazione
La genetica di popolazione
Il concetto antropologico di popolazione
Cronologia e datazioni
Processo di fossilizzazione
Classificazione tassonomica
I primati
Il processo dellominazione
Introduzione
I primi ominini
Gli australopitecini e il keniantropo
I parantropi
Il genere Homo
Antropologia molecolare
Storia dellantropologia molecolare
Cenni di analisi filogenetica a livello molecolare
Divergenza uomo-antropomorfe
Nuova tassonimia degli Ominoidi
Il DNA mitocondrale e Y-specifico
Origine delluomo moderno (Homo Sapiens)
Il DNA antico
La posizione sistematica dei neandertaliani
pag. 79
pag. 79
pag. 80
pag. 83
pag. 85
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pag. 88
pag. 89
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pag. 91
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pag. 93
pag. 96
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pag.102
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pag.108
pag.109
Gianfranco Biondi, insegna antropologia presso lUniversit dellAquila. Svolge attivit di ricerca
nei settori dellevoluzione umana, della genetica di popolazione e della biodemografia e si occupa
di divulgazione scientifica.
Olga Rickards, dirige il Centro dipartimentale di Antropologia molecolare per lo studio del DNA
antico dellUniversit di Roma Tor Vergata, dove insegna antropologia molecolare, ed
coeditore della rivista Annals of Human Biology. Svolge attivit di ricerca nei settori
dellevoluzione umana, della genetica di popolazione e della antropologia molecolare e si occupa di
divulgazione scientifica.
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agli atomi stessi. Democrito, quindi, non ammetteva lesistenza di un principio creatore del mondo:
cio, identificava lorigine e lo sviluppo del cosmo nella semplice casualit.
Epicuro (di Samo, Turchia; 341-270 a.C.) escluse dallinterpretazione del mondo le cause
soprannaturali. Dante lo pone nellInferno (canto X) tra coloro che lanima col corpo morta
fanno.
Tito Lucrezio Caro (romano; 96-55 a.C.) sostenne linutilit di cercare nelle cose un fine
ultimo o lespressione della volont degli dei e che il mondo era nato, si era sviluppato ed era
destinato a morire. Egli ha scritto il De rerum natura.
Ren Descartes (Cartesio, francese; 1596-1650) afferm che tutti i fenomeni naturali
potevano essere spiegati facendo riferimento alla materia.
Gottfried Wilhelm Leibniz (tedesco; 1646-1716) espresse lidea della tendenza dei corpi al
perfezionamento.
Benot de Millet (francese; 1656-1738) ammise la trasformazione delle specie.
Louis Moreau de Maupertuis (francese; 1698-1759) espresse idee evoluzionistiche che
anticipavano il concetto di selezione naturale.
George-Louis Leclerc, conte di Buffon (francese; 1707-1788) ammise che le specie si
trasformavano luna nellaltra e spost lorigine della vita a 100-150 mila anni fa. Questa
affermazione fece grande scalpore perch secondo la ricostruzione fatta, a partire dal racconto
biblico, dallecclesiastico irlandese James Ussher (1581-1656) lorigine del mondo sarebbe risalita
solo a circa 4 mila anni a.C. E per lesattezza, la nostra comparsa sulla Terra sarebbe risalita al 28
ottobre 4004 a.C.: precisamente alle 9 del mattino, come sosteneva il pastore John Lightfoot (16021675).
David Hume (inglese; 1711-1776) e Denis Diderot (francese; 1713-1784) espressero
concezioni evoluzionistiche.
Charles Bonnet (svizzero; 1720-1793) ammise unevoluzione preformista (nelluovo o
nello spermio sarebbe gi contenuto labbozzo dellembrione) postulando lesistenza di una
tendenza al perfezionamento.
Erasmus Darwin (inglese; 1731-1802), nonno di Charles Robert, espresse idee
evoluzionistiche.
Jean-Baptiste Robinet (francese; 1735-1820) consider in senso evoluzionistico il
principio della scala degli esseri, gi formulato da Aristotele.
Jean Baptiste Pierre Antoine de Monet, cavaliere di Lamarck (francese; 1744-1829)
enunci la prima teoria dellevoluzione organica. Egli sostenne che il meccanismo che avrebbe
garantito la trasformazione delle specie sarebbe consistito nellereditariet dei caratteri acquisiti.
Etienne Geoffroy Saint-Hilaire (francese; 1772-1844) sostenne le idee evoluzionistiche di
Buffon e Lamarck.
4.1.2. Dal tipo alla popolazione
Lostacolo allinterpretazione scientifica della natura, rappresentato dalle idee creazioniste,
stato rimosso da Charles Robert Darwin (inglese; 1809-1882) che ha avuto il merito di formulare la
prima teoria in grado di spiegare il meccanismo dellevoluzione. I concetti fondamentali della
teoria:
-levoluzione un processo graduale,
-tutte le specie discendono da un unico antenato,
-le specie si affermano o scompaiono come conseguenza della selezione operata
dallambiente,
sono stati esposti brevemente nel 1842 e nel 1844 e, successivamente, nel libro On the
Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the
Struggle for Life, pubblicato nel novembre 1859 dalleditore John Murray di Londra. Alcuni di
questi concetti si ritrovano anche negli evoluzionisti che hanno preceduto Darwin, ma la sua
originalit consiste nellaver intuito la funzione selezionatrice dellambiente. Agli stessi risultati era
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giunto, in modo del tutto indipendente, anche Alfred Russel Wallace (1823-1913), un naturalista
inglese che lavorava in Indonesia e che nel giugno 1858 aveva sottoposto a Darwin un manoscritto
intitolato On the Tendency of Varieties to Depart Indefinitely from the Original Type. Entrambi gli
studiosi furono influenzati dal libro delleconomista inglese Thomas Robert Malthus (1766-1834)
Essay on the Principles of Population as It Affects the Future Improvement of Society, pubblicato
nel 1798, secondo cui laumento numerico delle societ umane sarebbe eccessivo rispetto alla
disponibilit di cibo ed altre risorse e ci causerebbe indigenza. Darwin e Wallace hanno esteso le
idee di Malthus a tutti gli organismi viventi che producono, di solito, pi progenie di quanta ne
possa sopravvivere e ci determinerebbe una competizione per accaparrarsi le risorse.
Il concetto di selezione naturale ha linconveniente di non eliminare completamente la
possibilit di un intervento trascendente. Infatti, dal confronto con il lavoro dellallevatore e del
coltivatore, che selezionano con opportuni incroci gli animali e le piante pi rispondenti a
particolari esigenze, si potrebbe ritenere che la selezione naturale, che permette la sopravvivenza e
quindi la riproduzione degli individui pi adatti in un certo ambiente, sia guidata da un ente
estraneo alla natura. Darwin ha avvertito il dubbio insito nella sua teoria e ha introdotto il concetto
di lotta per lesistenza, mettendo in evidenza che il motore dei processi evolutivi la
competizione che lindividuo di una specie deve sostenere con i suoi simili, con le altre specie e con
le caratteristiche abiotiche dellambiente. Questo concetto stato mutuato dal principio della
sopravvivenza del pi adatto formulato dal filosofo Herbert Spencer (inglese; 1820-1903), ed
tanto ovvio da essere tautologico, a meno di ammettere che lidentificazione del pi adatto possa
essere fatta solo a posteriori. Altrimenti si incorre nella tautologia: il pi adatto quello che
sopravvive e quello che sopravvive il pi adatto. Il meccanismo della selezione naturale pu
essere riassunto in tre punti:
-il numero degli esseri viventi aumenta geometricamente,
-gli esseri viventi lottano per lesistenza,
-solo un piccolo numero di esseri viventi sopravvive.
In un libro successivo, The Descent of Man and Selection in Relation to Sex, pubblicato nel
1871 dalleditore John Murray di Londra, Darwin affront il problema dellorigine delluomo
applicando lo stesso principio della selezione naturale utilizzato per spiegare levoluzione delle altre
specie. Luomo non pi il capolavoro della creazione, concezione che aveva dominato per
secoli la teologia e la filosofia; egli spartisce con le altre scimmie antropomorfe antenati comuni.
Quindi, non pi un angelo corrotto ma un bruto perfezionato.
Il passaggio dallinterpretazione fissista dei fenomeni della vita a quella dinamica ha
modificato radicalmente lidea del ruolo della variabilit: non pi un accidente ma elemento che
caratterizza gli esseri viventi e che indispensabile per levoluzione. Senza variabilit non ci pu
essere evoluzione perch lambiente non potrebbe selezionare. Cio, se rispetto ad un ambiente e ad
un periodo dati tutti gli individui di un gruppo fossero uguali, una modificazione ambientale
comporterebbe, verosimilmente, lestinzione del gruppo. Ma pur vero che levoluzione non si
limita ad operare sulla variabilit, allo stesso tempo essa la produce, specialmente per quanto
riguarda i cambiamenti di maggiore entit sui lunghi periodi di tempo, perch responsabile della
diversificazione delle specie e quindi dellaumento della variabilit. Levoluzione causa ed effetto
della variazione.
Allepoca in cui fu elaborata la teoria dellevoluzione per selezione naturale non si
conoscevano ancora le modalit con cui le variazioni ereditarie insorgono e persistono. Infatti, le
leggi dellereditariet furono presentate dal monaco fra Gregorio, al secolo Johann Mendel (boemo;
1822-1884), alla Societ di Storia naturale di Brno (Boemia) nel febbraio 1865, per essere
pubblicate nel 1866 con il titolo Esperimenti nella ibridazione delle piante negli Atti della
medesima societ, ma furono poi neglette fino al 1900, anno in cui sono state riscoperte
indipendentemente da Carl Correns in Germania, Erich von Tschermark in Austria e Hugo de Vries
in Olanda, il quale ha poi definito la teoria della mutazione nel 1901. La riscoperta delle leggi di
Mendel ha determinato la nascita di una nuova disciplina scientifica, per la quale linglese William
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contributo allintroduzione del concetto di popolazione in biologia, ricadde spesso nel modo di
pensare tipologico, per esempio nelle sue discussioni sulle variet e sulle specie.
La variabilit che si osserva tra gli individui di una popolazione la condizione per
lesistenza di soggetti preadattati ai cambiamenti che lambiente subisce nel corso del tempo. Questi
individui sopravviveranno alle modificazioni ambientali e lasceranno pi figli, a differenza degli
individui che non possiedono a priori ladattamento e, di generazione in generazione, nella
popolazione aumenter il numero di individui pi simili a quelli preadattati. La popolazione si
adatta alle variazioni dellambiente, mentre lindividuo adattato ad esso.
Negli anni Sessanta e Settanta del secolo XX la teoria sintetica ha subito due sfide. La prima
stata una conseguenza dello sviluppo degli studi a livello molecolare ed collegata al nome del
giapponese Motoo Kimura che, nellarticolo Evolutionary Rate at the Molecular Level pubblicato
su Nature nel 1968, ha postulato la teoria neutrale dellevoluzione molecolare. E che poi in un
libro successivo, The Neutral Theory of Molecular Evolution pubblicato nel 1983, e a seguito della
disputa tra pan-neutralisti e pan-selezionisti, ha ridefinito come teoria della mutazione-deriva
genetica, suggerendo che la maggior parte delle mutazioni sarebbero sufficientemente neutrali dal
punto di vista selettivo tanto che il loro destino nella popolazione sarebbe determinato da processi
stocastici, cio dalla deriva genetica. La seconda sfida, basata su nuove interpretazioni dei resti
fossili, ha postulato che levoluzione non fosse un processo continuo, come voleva il gradualismo
filetico, ma procedesse irregolarmente. Questa teoria nota come evoluzione per equilibri
punteggiati ed stata formulata nel 1972 dagli americani Niles Eldredge e Stephen Jay Gould nel
saggio Punctuated Equilibria: an Alternative to Phyletic Gradualism; ed stata rielaborata cinque
anni pi tardi nellarticolo Punctuated Equilibria: the Tempo and Mode of Evolution Reconsidered
pubblicato su Paleobiology. Essa riprendeva unidea espressa da Simpson negli anni Cinquanta,
secondo la quale i principali cambiamenti evolutivi potrebbero avvenire attraverso quantum of
evolution.
Le due teorie, della mutazione-deriva genetica e dellevoluzione per equilibri
punteggiati, non negavano, a differenza delle critiche mosse dai creazionisti, che i mutamenti
evolutivi avessero luogo, che le specie attuali derivassero da antenati comuni o che la selezione
naturale darwiniana svolgesse un ruolo nel processo evolutivo. La disputa era allinterno del
pensiero evoluzionistico e la revisione delle concezioni tradizionali ha consentito alle idee della
neutralit e dellevoluzione punteggiata di trovare posto in una visione globale dellevoluzione
organica.
4.1.3. La genetica di popolazione
La trattazione matematica dellevoluzione o genetica di popolazione analizza la
distribuzione dei geni nelle popolazioni, e il loro destino di generazione in generazione, in base ai
principi della genetica mendeliana e mediante luso di modelli semplificati, cio costruiti su pochi
geni, che consentono di definire le leggi teoriche dellevoluzione. Il processo elementare
dellevoluzione consiste:
-nella sostituzione in un gene di un allele (una delle diverse forme che pu assumere un gene
e che differisce dalle altre per una mutazione nel DNA, ogni allele segrega come ununit
mendeliana) con un altro
e questo processo si realizza attraverso due tipi di fattori evolutivi:
-quelli che determinano la variazione delle frequenze dei genotipi senza che ci sia variazione
delle frequenze alleliche {alla fine del processo la popolazione di partenza sar sostituita da tante
sottopopolazioni, ognuna delle quali sar omozigote per un allele i fattori che determinano la
variazione delle frequenze genotipiche sono: la consanguineit, la suddivisione e laccoppiamento
assortativo positivo [laccoppiamento assortativo consiste nella scelta non casuale del coniuge: tale
scelta positiva se entrambi i coniugi condividono la stessa caratteristica (per esempio, entrambi
alti); e negativa se i coniugi hanno caratteristiche opposte (per esempio, uno alto e uno basso)};
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-quelli che determinano la variazione delle frequenze degli alleli (che tenderanno nel corso
del tempo a 1 per lallele che si fissa e a 0 per gli alleli che sono eliminati tali fattori sono: la
deriva genica, la migrazione, laccoppiamento assortativo negativo, la mutazione e la selezione).
Nello studio dellevoluzione delle popolazioni, un ruolo centrale assegnato ad alcuni
parametri demo-storico-ecologici: quali la dimensione, la densit, lincremento e la struttura per et
dei gruppi; le componenti e gli eventi principali della loro storia; e le loro interazioni con altre
specie. E questo approccio integrato consente di analizzare i processi biologici sia in relazione alle
eterogenee influenze biotiche ed abiotiche esercitate dallambiente che alle relazioni genotipofenotipo e biologia-cultura. Come stato appena rilevato, levoluzione genetica consiste nella
variazione delle frequenze geniche in una popolazione da una generazione alla successiva e pu
essere valutata come scarto tra la frequenza che si rileva in un gruppo ad un certo tempo e quella
che ci si attenderebbe dopo un arco generazionale secondo il modello teorico della stabilit del
patrimonio ereditario, che garantisce la trasmissione regolare e immutabile dei geni di generazione
in generazione. Questo modello stato enunciato nel 1908 dallinglese Godfrey Harold Hardy e dal
tedesco Wilheim Weinberg il modello di Hardy-Weinberg ed stato definito sulla base di
cinque condizioni che sono indispensabili per mantenere la stabilit genica:
-gli accoppiamenti devono essere casuali o panmittici,
-la popolazione deve essere molto ampia,
-non ci deve essere lazione della selezione naturale,
-non si devono verificare mutazioni,
-non ci devono essere scambi di geni tra gruppi diversi.
Se le condizioni sono rispettate, possibile predire le frequenze genotipiche della
generazione filiale a partire da quelle alleliche della generazione parentale e se la differenza non
statisticamente significativa si pu ritenere che la popolazione sia in equilibrio, cio che non stia
evolvendo. La relazione matematica che lega le frequenze alleliche nei genitori a quelle genotipiche
nei figli pu essere ricavata dallanalisi degli accoppiamenti possibili in regime di panmissia ed di
tipo quadratico:
(p+q)2=p2+2pq+q2.
Cio, se p e q sono le frequenze di due alleli codominanti di un gene (per esempio, A ed a)
nella generazione dei genitori, allora le frequenze attese dei tre genotipi possibili nella generazione
filiale (AA, Aa ed aa) data dal secondo membro dellequazione.
Nelle popolazioni finite si osservano delle oscillazioni casuali delle frequenze e quindi
indipendenti dalla selezione naturale imputabili allerrore campionario e il fenomeno noto con il
nome di deriva genetica. Ogni generazione, infatti, formata solo da una piccola parte di tutti i
gameti prodotti dai genitori e quindi non altro che uno dei tanti campioni possibili di figli che si
sarebbero potuti originare. Se la popolazione molto piccola, nel giro di poche generazioni si pu
arrivare alla fissazione di un allele ed alla scomparsa degli altri; ma nelle popolazioni di medie, o
grandi, dimensioni le frequenze alleliche si limitano a fluttuare attorno ai valori iniziali, senza
giungere mai alla fissazione. Un esempio di simulazione computerizzata del fenomeno, in cui erano
stati fissati sia il numero di individui per popolazione (rispettivamente: 12, 25, 250 e 2500) che la
frequenza iniziale di due alleli (0,5 ciascuno), ha mostrato che nei gruppi con 12 e 25 soggetti si
raggiungeva la fissazione dopo 28 e 42 generazioni, mentre negli altri le frequenze degli alleli
continuavano a fluttuare attorno ai valori di partenza ancora dopo ben 150 generazioni.
Un caso particolare di deriva genetica, che ha avuto un ruolo di rilievo nellevoluzione
umana, costituito dalleffetto fondatore, che si pu manifestare quando un piccolo gruppo di
individui lascia la popolazione cui appartiene per migrare in un territorio disabitato e dare cos
origine ad unaltra popolazione. La nuova comunit, infatti, potrebbe essere caratterizzata dal
possedere un unico allele di un certo gene solo perch questo era quello presente nei fondatori e non
gi per effetto della selezione naturale. Un esempio del fenomeno in questione, noto ormai da
tempo agli antropologi, riguarda le popolazioni native americane, quasi tutte di gruppo sanguigno 0
(relativamente al sistema AB0). E un simile valore non sembra dipendere affatto da un qualche
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vantaggio selettivo del gruppo 0 nellambiente del Nuovo Mondo, quanto piuttosto dalla
straordinaria circostanza che solo per caso quello era il gruppo sanguigno della stragrande
maggioranza dei primi uomini che circa 30.000 anni fa hanno colonizzato le Americhe.
4.1.4. Il concetto antropologico di popolazione
Ogni specie composta da molti individui che occupano unarea geografica pi o meno
grande allinterno della quale si distribuiscono prevalentemente in modo disomogeneo, formando
dei gruppi. Limportanza biologica di questa suddivisione della specie legata al fatto che la
probabilit che ha un individuo di un gruppo di accoppiarsi con un altro individuo, di sesso diverso,
dello stesso gruppo molto maggiore rispetto a quella che ha di accoppiarsi con individui di altri
gruppi. Ogni gruppo forma una popolazione, ma poich questo termine usato con molti
significati necessario specificare quello a cui i biologi fanno riferimento. Il termine a cui ci si
riferisce in biologia quello di popolazione mendeliana o popolazione locale o deme, che
identifica:
-la comunit in cui tutti gli individui di un sesso hanno la stessa probabilit di accoppiarsi
con qualunque altro individuo dellaltro sesso per generare prole.
Naturalmente, gli individui devono essere sessualmente maturi ed equivalenti in relazione
alla selezione sessuale. La popolazione locale solo un modello di unit panmittica (in panmissia
la scelta del coniuge casuale) e, naturalmente, le popolazioni reali deviano pi o meno dal
modello.
Ogni individuo di una popolazione pu essere considerato in astratto come un contenitore
temporaneo di una piccola parte del pool genico totale e contribuisce, seppure in piccolissima
misura, alla eventuale variazione delle frequenze geniche. Ma come ha scritto Mayr nel libro gi
citato Animal Species and Evolution (pp. 147-148): la popolazione tutta intera che costituisce la
temporanea incarnazione e la manifestazione visibile del pool genico; nella popolazione che i geni
interagiscono in numerose combinazioni, i genotipi; in essa che si forma il campo di prova di
nuovi geni e di inattese combinazioni geniche. La continua interazione dei geni in un pool genico
fornisce un grado dintegrazione che consente alla popolazione di comportarsi come la principale
unit evolutiva. La popolazione, oltre alla sua funzione statica come rappresentante locale della
specie, ha la capacit di mutare nel tempo. Questo aspetto dinamico della popolazione ha un
significato biologico ancora pi grande della semplice funzione statica. Levoluzione viene talvolta
definita come un mutamento nella composizione genetica delle popolazioni. Questi mutamenti
genetici si manifestano fenotipicamente (il fenotipo non altro che linsieme dei tratti morfologici,
fisiologici, biochimici, comportamentali ed altri ancora che un organismo manifesta durante la sua
vita; ed il prodotto dellazione dei geni e dellambiente) in vari modi e lo studio di queste
trasformazioni fenotipiche stato alla base di gran parte delle teorie evoluzionistiche e delle ipotesi
di speciazione. Lo studio della variazione delle popolazioni la condizione preliminare per la
comprensione di queste teorie.
Lorganizzazione sociale e culturale della nostra specie rende molto complesso il
riconoscimento della popolazione locale. In alcuni casi il concetto biologico di popolazione si
sovrappone a quello demografico: la popolazione di un paese o di una citt. In altri, i due concetti
divergono. Per esempio, se in una citt convivono due gruppi tra i quali non c scambio
matrimoniale, dal punto di vista demografico i due gruppi formano la popolazione della citt, ma
dal punto di vista biologico in quella citt vivono due popolazioni. La popolazione biologica pu
corrispondere a raggruppamenti di tipo politico-amministrativo, quali la provincia, la regione e lo
stato o differenziarsi da essi come nellesempio riportato sopra. Infine, la popolazione biologica pu
corrispondere o meno ad aggregazioni culturali: quali letnia, la casta, la trib, il gruppo linguistico
e quello religioso.
Una STRATIGRAFIA una successione temporale di fatti geologici e gli strati successivi di
rocce definiscono le UNIT LITOSTRATIGRAFICHE: stratomembriformazioni.
I fossili sono la base per le UNIT BIOSTRATIGRAFICHE, che si dividono in UNIT
STRATIGRAFICHE FLORISTICHE e UNIT STRATIGRAFICHE FAUNISTICHE. Relativamente alle faune, la
successione si sviluppa come: complesso faunisticostadiozona o biozona.
I manufatti sono la base per le UNIT STRATIGRAFICO-CULTURALI.
Le diverse unit non si correlano una ad una e cos, per esempio, una unit biostratigrafica
pu comprendere pi unit litostratigrafiche. Si ammette, inoltre, che le unit correlate siano esistite
nello stesso tempo.
Gli intervalli di tempo che si succedono e che corrispondono alle tre unit descritte,
costituiscono quelle che sono definite UNIT CRONOSTRATIGRAFICHE:
stadioseriesistemaeratema.
Le prime tre unit tendono ad essere localizzate geograficamente, mentre la crono non ha
limiti spaziali. E unit diverse delle prime tre, ma di zone differenti, possono corrispondere ad una
sola unit crono.
Le unit cronostratigrafiche corrispondono a INTERVALLI DI TEMPO GEOLOGICO REALE
(SCHEDA T1), che non sono per unit stratigrafiche ma segmenti di tempo forniti di nome:
etepocaperiodoera.
I segmenti temporali rilevanti per levoluzione della linea umana sono: il Miocene [inferiore
(25,2-16,2), medio (16,2-10,2), superiore (10,2-5,2), il Pliocene [inferiore (5,2-3,5), superiore (3,51,7)] e il Pleistocene [inferiore (1,7-0,7), medio (0,7-0,1), superiore (0,1-0,01)].
I metodi di datazione servono per assegnare le et ai reperti e si dividono in:
METODI DI DATAZIONE RELATIVA, che permettono di stabilire se qualcosa pi recente o pi
antica di qualche altra cosa, ma non di quanto.
metodo del fluoro. Lanalisi del fluoro un metodo di datazione relativa applicabile solo ai
reperti scheletrici. Le ossa nel terreno sono esposte allazione dellacqua contenuta nel sottosuolo
che di solito ricca di fluoro. Pi a lungo le ossa giacciono nel terreno pi fluoro incorporeranno
durante il processo di fossilizzazione e le ossa deposte nello stesso sito e nello stesso periodo
dovranno contenere la stessa quantit di fluoro. Dal momento che il contenuto di fluoro nelle acque
del sottosuolo dipende dal sistema idrico locale e dalle condizioni geochimiche di ciascuna area,
esso pu variare da zona a zona. Per questo motivo il confronto tra resti provenienti da localit
diverse impossibile.
datazione stratigrafica. Un altro metodo di datazione relativa la stratigrafia. Essa si basa
sulla legge della sovrapposizione che stabilisce che uno strato pi profondo pi antico di uno
strato pi superficiale (dal momento che la maggior parte della crosta terrestre si formata
attraverso la deposizione di rocce sedimentarie una sullaltra, a strati, proprio come gli strati di una
torta). La datazione stratigrafica presenta una serie di problemi. Infatti, i fenomeni di disturbo, quali
per esempio le attivit vulcaniche e fluviali ed i terremoti, possono far scivolare uno strato sotto
laltro, insieme con il materiale in esso inglobato, rendendo pertanto molto difficile, se non
impossibile, ricostruire la cronologia del materiale stesso.
datazione paleontologica. Lultimo metodo di datazione relativa il criterio paleontologico.
Questo si basa sullosservazione che formazioni che occupano la stessa posizione in una serie
stratigrafica contengono gli stessi fossili in luoghi diversi, pertanto si possono considerare i fossili
come segni caratteristici di riferimento per quella certa formazione (fossili guida) e quindi di
quellet. I fossili pi utili per la biostratigrafia sono quelli di taxa che ebbero dispersione ampia e
rapida, che si estinsero contemporaneamente su una vasta area e che ebbero rapida evoluzione (ogni
modificazione fornisce un indizio dellet relativa) da questo punto di vista, in Europa sono utili i
roditori, che permettono di effettuare datazioni fino a 4 milioni di anni fa (m.a.), e in Africa gli
elefanti (fino a 4 m.a.), i suidi (fino a 6 m.a.) e gli equidi (fino a 12 m.a.).
METODI DI DATAZIONE ASSOLUTA, che permettono di calcolare let in anni di uno strato
roccioso e/o di un reperto.
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frazione di atomi che si sono fissionati e che sono evidenziabili come tracce microscopiche dovute
alla fissione esplosiva del nucleo del 238U, si pu risalire allet di un minerale o di un campione di
vetro naturale. Questa tecnica applicabile a resti rinvenuti in formazioni vulcaniche.
termoluminescenza. Gli elettroni sono intrappolati nella struttura cristallina di sostanze
irradiate naturalmente da uranio, torio (Th) e potassio40 e il calore libera gli elettroni insieme alla
luce da loro emessa;
analisi delle varve. La cronologia attraverso lo studio dei depositi glaciali annuali,
particolarmente utilizzata per datare i depositi del tardo Pleistocene e dei periodi successivi nel nord
Europa.
dendrocronologia. Datazione mediante il conteggio degli anelli di crescita del tronco degli
alberi.
racemizzazione degli aminoacidi. In vita si trovano solo aminoacidi L (levogiri), che dopo la
morte si trasformano in aminoacidi D (destrogiri) ad una velocit, diversa per ciascuno di essi e che
dipende dalla temperatura, dallumidit e dal pH;
paleomagnetismo. Il paleomagnetismo un metodo basato sullinversione costante del polo
magnetico terrestre. Lorientamento attuale nord e viene considerato lorientamento normale, ma
in passato il campo geomagnetico ha subito numerosi e documentati cambiamenti, passando da
quello normale a quello invertito, verso sud. Le epoche pi importanti di variazione geomagnetica
sono: da ora a 700.000 anni fa, normale; da 700.000 a 2 milioni e mezzo di anni fa, invertito; da 2,5
a 3,4 milioni di anni fa, normale e prima di 3,4 milioni di anni fa, invertito. La datazione
paleomagnetica si effettua prendendo campioni di sedimenti che contengono particelle caricate
magneticamente (ossidi di ferro). Poich esse presentano lorientamento magnetico che avevano
quando si sono consolidate nella roccia, possono essere utilizzate come una sorta di bussola fossile.
orologio biomolecolare. Lorologio molecolare un metodo basato sullaccumulo costante
nel tempo, almeno allinterno di taxa omogenei, delle mutazioni che colpiscono il DNA. noto che
le differenze nella sequenza del DNA sono dovute al fissarsi di mutazioni assolutamente casuali che
si trasmettono da una generazione alla successiva e pertanto la quantit di alterazioni esistenti tra
due specie misura il tempo trascorso, cio il numero di generazioni, a partire dal momento della loro
divisione. In pratica, il ritmo delle mutazioni, che non dipende affatto dallambiente in cui vivono
gli organismi, scandisce la velocit di allontanamento.
Per fossilizzazione sintende quella serie di processi che avvengono tra linclusione del resto
organico in un sedimento e la formazione del fossile e il risultato finale di tale processo dunque un
resto divenuto stabile dal punto di vista chimico-fisico. I fossili possono essere costituiti da un
grandissimo numero di sostanze, tra cui la silice, il carbonato di calcio, il fosfato di calcio, il solfuro
di ferro e una serie di composti organici ad alto contenuto di carbonio. La fossilizzazione consiste in
un processo di variazioni chimiche, determinate dalle sostanze disciolte nelle acque percolanti, che
interessano il sedimento e i resti organici in esso contenuti. Le conseguenze di un tale processo
possono essere la soluzione, limpregnazione o la sostituzione del resto organico. Nel primo caso si
ha una cavit che corrisponde al resto organico e che in seguito pu riempirsi (modello naturale) o
venir colmata artificialmente con sostanze plastiche (modello artificiale). Questi modelli forniscono
la morfologia esterna originale, ma non danno alcuna indicazione sulla struttura del resto organico.
Limpregnazione si realizza nelle sostanze porose, come gli elementi scheletrici, e fornisce fossili
ben conservati. La sostituzione della sostanza organica originale mediante unaltra sostanza,
solitamente carbonato di calcio o silice, avviene molto gradualmente e produce un fossile che
conserva non solo la forma, ma anche la struttura originale.
4.5. I primati
I PRIMATI (SCHEDA T3) sono lordine zoologico al quale appartengono gli OMININI e i loro
parenti pi stretti, le scimmie e le scimmie antropomorfe. E gli OMININI sono la sottofamiglia che
comprende noi (SCHEDA T4) e i nostri antenati fino alla separazione dalle scimmie antropomorfe
africane. Un tempo, ma ci sono ancora molti scienziati di questavviso, si riteneva che la nostra
linea evolutiva costituisse la famiglia degli OMINIDI, nella quale invece oggi si tende ad includere
anche le antropomorfe africane.
Le testimonianze fossili pi antiche dellordine sono apparse nel PALEOCENE (SCHEDA T1),
lEpoca geologica compresa tra 66,5 e 54 milioni di anni fa. Come gli altri mammiferi, i Primati
89
possiedono 4 tipi di denti: INCISIVI (I), CANINI (C), PREMOLARI (P) e MOLARI (M); ma la dentatura di
latte (dentizione decidua) comprende solo I, C e P. In ogni emimascella, i mammiferi primitivi
avevano i seguenti denti in senso antero-posteriore: I1, I2, I3, C1, P1, P2, P3, P4, M1, M2 e M3; ma
luomo e i suoi parenti pi stretti tra i Primati hanno perso I3 e P1 e P2.
Le caratteristiche principali dei Primati viventi sono: il mantenimento della clavicola e la
PENTADATTILIA; le estremit PRENSILI e con le dita mobili, con lalluce DIVERGENTE e il pollice
OPPONIBILE; le unghie PIATTE e i POLPASTRELLI, che sono dei cuscinetti tattili molto sensibili
opposti alle unghie; le orbite tendenti alla convergenza per la visione tridimensionale o
STEREOSCOPICA, che consente la percezione visiva della profondit; le orbite completamente
circondate da un anello osseo, il CERCINE CIRCUMORBITARIO, e nei Primati superiori una parete
ossea, la LAMINA o SETTO RETRORBITARIO, separa le orbite dalla parte retrostante del cranio; il
MUSO CORTO e il senso dellolfatto ridotto; un numero ridotto di incisivi e premolari; e una ricca e
peculiare configurazione SULCALE, cio i solchi della corteccia cerebrale.
Tra gli Haplorhini viventi, i Cercopithecoidea (o scimmie del Vecchio Mondo) sono
molecolarmente pi simili agli Hominoidea (uomo e scimmie antropomorfe) che non ai Ceboidea (o
scimmie del Nuovo Mondo). I primi due condividono la formula dentaria (due I, un C, due P e tre
M), il meato uditivo esterno e la completa chiusura del setto osseo dietro le orbite. La formula
dentaria nelle scimmie del Nuovo Mondo : nelle Callithricidae due I, un C, tre P e due M e nelle
Cebidae due I, un C, tre P e tre M.
I tratti morfologici (DIAPOSITIVA PRIMATI) degli Haplorhini (SCHEDA T5) possono essere
sintetizzati nel seguente modo:
le narici delle scimmie del Nuovo Mondo sono aperte in direzione laterale (platirrino
significa naso schiacciato), mentre quelle delle scimmie del Vecchio Mondo e delle scimmie
antropomorfe e delluomo sono ravvicinate e rivolte in basso (catarrino significa naso volto in
basso);
le scimmie del Vecchio Mondo, le antropomorfe e luomo hanno la stessa formula dentaria
su ogni emimandibola (2I, 1C, 2P, 3M), il meato uditivo esterno e la chiusura del setto osseo dietro
la cavit orbitaria;
le scimmie del Vecchio Mondo hanno il tronco allungato, profondo e compresso
lateralmente e lanatomia della spalla permette alle braccia di muoversi solo su un piano parallelo al
corpo;
le antropomorfe e luomo hanno il tronco corto, piatto e largo, la spalla permette la libera
rotazione delle braccia, non hanno la coda e lo smalto dei denti pi spesso nelluomo e
nellorango rispetto allo scimpanz e al gorilla;
le antropomorfe si differenziano dalluomo per il cervello pi piccolo, per gli arti inferiori
inidonei alla postura eretta, per gli incisivi e i canini che sono pi grandi dei premolari e dei molari
e per i canini che sono molto sviluppati (il canino superiore si posiziona tra il canino inferiore e il
P3 inferiore; il canino inferiore sincunea nel DIASTEMA, uno spazio tra il canino superiore e lI2).
Nelle scimmie antropomorfe i canini sono pi grandi nei maschi che nelle femmine e le
diverse specie presentano peculiari tratti morfologici e comportamentali:
SCIMPANZ il maschio pesa circa 50 chili e la femmina circa 40 e sono alti circa un metro;
si conoscono due specie, il Pan troglodytes (o scimpanz comune) che pi grosso e il Pan
paniscus (o bonobo o scimpanz pigmeo) che pi piccolo; vivono in habitat di foresta e boscaglia
in Africa equatoriale e si muovono sul suolo tra un albero e laltro; si nutrono di frutta matura che
trovano salendo sugli alberi e occasionalmente uccidono e mangiano piccoli animali; le femmine
cercano il cibo in un proprio territorio, solitamente piccolo; usano gli utensili; e i gruppi di maschi
adulti controllano pi femmine.
GORILLA il maschio pesa circa 180 chili per 180 centimetri di altezza e la femmina circa
90 chili per 150 centimetri di altezza; si conoscono due sottospecie che vivono in habitat di foresta e
boscaglia in Africa equatoriale, una vive in pianura, intorno al Golfo di Guinea, e unaltra nelle
montagne dello Zaire, dellUganda e del Ruanda; salgono raramente sugli alberi e solo per
90
dormirvi; si nutrono di foglie che trovano in basso, vicino al suolo; e ogni gruppo formato da un
maschio dominante, pi maschi subalterni e diverse femmine.
ORANGUTAN il maschio pesa circa 65 chili per 140 centimetri di altezza e la femmina circa
35 chili per 110 centimetri di altezza; si conosce una sola specie, il Pongo pygmaeus, che vive a
Sumatra e nel Borneo; un animale solitario e arboricolo, che si nutre soprattutto di frutta a
involucro duro; e lo smalto dei suoi denti pi spesso che nelle altre antropomorfe.
GIBBONI E SIAMANGHI pesano dai 5 ai 10 chili per unaltezza che va dai 40 ai 90
centimetri; lasciano di rado gli alberi, dove si spostano dondolando sulle lunghe braccia,
brachiazione; i gibboni si nutrono di frutta matura, insetti e uova duccello; i siamanghi si
nutrono di foglie, germogli freschi, frutta e insetti; la loro organizzazione sociale si basa sulla
coppia, che rimane stabile per tutta la vita; e non presentano dimorfismo sessuale, forse perch i
maschi non competono per conquistare le femmine.
per il distacco tra ominini e scimpanz: 7-5 milioni di anni fa. Secondo alcuni paleoantropologi il
fossile ciadiano non sarebbe di un ominino, ma di un ascendente dello scimpanz se non addirittura
del gorilla.
A Toros-Menalla sono stati trovati fossili di specie animali acquatiche pesci, coccodrilli e
mammiferi anfibi e di savana e di foresta scimmie, roditori, elefanti, equini e bovini. L, infatti,
cera il paleolago Ciad e attorno alle sue rive si estendevano territori con foreste a galleria
intervallate da savane.
frammento prossimale e uno intermedio di falangi della mano, due frammenti di omero sinistro,
unulna sinistra, un frammento di clavicola sinistra e una falange prossimale del piede. I fossili
erano associati ad un paleoambiente decisamente boscoso e allinizio White li ha considerati una
semplice sottospecie, Ardipithecus ramidus kadabba (in cui kadabba significa primo antenato
della famiglia). Poi, nel 2004, una vera specie, Ardipithecus kadabba, pi antica di ramidus.
Lardipiteco considerato da molti studiosi o lantenato diretto del successivo cespuglio
evolutivo degli australopiteci o un rappresentante di quelle forme dalle quali gli australopiteci si
sono originati.
4.6.3. Gli australopiteci e il keniantropo
Nel 1955 Le Gros Clark ha descritti gli australopiteci (SCHEDA T6) come una forma
intermedia tra le antropomorfe e noi, i cui tratti principali erano: rispetto alla antropomorfe, il foro
occipitale avanzato, il minore sviluppo delle aree di inserzione dei muscoli occipitali e la maggiore
altezza del neurocranio; mentre lilio era simile al nostro e il sacro pi pianeggiante. Gli
australopiteci avevano un peso pari a circa 35-40 kg, la capacit cranica di 450 cc, i canini
incisiviformi, che non superavano in altezza gli altri denti, il diatema nel 10% del casi, larcata
alveolare parabolica e il canale del parto arrotondato, con il diametro sagittale pari all86% di quello
trasversale (in Homo pari al 78%)
bacino; il punto pi debole rappresentato dal cranio, del quale si sono conservati solo la
mandibola e cinque frammenti della volta. Nonostante la statura piuttosto bassa, di poco superiore
al metro, si trattava di un adulto la cui andatura era perfettamente bipede. Mentre lavoravano,
Johanson e i suoi giovani colleghi ascoltavano le canzoni dei Beatles e dalla famosa Lucy in the sky
with diamonds hanno mutuato il nomignolo per il loro fossile: Lucy, appunto. Il 2 novembre 1975,
in una localit vicina a quella che aveva restituito Lucy, Johanson ha riportato alla luce oltre 200
frammenti fossili di 3,2 milioni di anni appartenuti ad almeno tredici individui, nove dei quali adulti
e quattro giovani: la cosiddetta prima famiglia. Negli anni seguenti altri resti sono venuti alla
luce, non solo in Etiopia ma anche in Kenya e Tanzania. E Donald Johanson, Tim White ed Yves
Coppens hanno deciso nel 1978 di chiamare la specie Australopithecus afarensis, dal nome della
regione geografica dove era stata trovata la prima volta, e di considerarla lantenato comune a tutti
gli ominini che si sono evoluti tra 2 e 3 milioni di anni fa, quindi anche del genere Homo.
I suoi caratteri anatomo-morfologici principali erano: il marcato dimorfismo sessuale (tanto
che per alcuni studiosi si tratterebbe addirittura di due specie), la capacit cranica di 500 cc, il
marcato toro sopraorbitario, la mandibola massiccia e con ampie aree per linserzione di muscoli
potenti, i canini a volte pi lunghi degli altri denti, la presenza di diastema nella met dei reperti, gli
incisivi di grandi dimensioni, larcata dentaria stretta e a V (con i lati rettilinei nella mascella e
leggera concavit sulla mandibola), il palato stretto e poco profondo, il prognatismo alveolare pi
marcato nei maschi, lomero e il femore di lunghezza quasi uguale, il bacino e il ginocchio idonei al
bipedismo (ala iliaca grande, sacro corto e largo, asse della diafisi femorale inclinato), la cavit
glenoidea della scapola, dove si articola lomero, conformata per permettere allarto superiore di
fare movimenti sopra la testa (forse per facilitare gli spostamenti sugli alberi), le prime falangi delle
dita, dal 2 al 5, curve e con ampie aree per linserzione dei muscoli flessori delle dita,
larticolazione del pollice di tipo concavo-convesso (in noi a sella) e quindi con una superficie di
contatto inferiore (che consentiva di sostenere sforzi inferiori ai nostri), i muscoli flessori del polso
potenti, lala iliaca meno orientata lateralmente che in noi, le prime falangi delle dita dei piedi
piuttosto lunghe e curve e il peso di 35-40 kg.
Nel 1978 a Laetoli in Tanzania, Mary Leakey ha scavato una traccia di 27 metri con 69
orme fossili di ominini risalenti a 3,5 milioni di anni. I segni del tallone e dellalluce sono profondi
e nettamente marcati, un indizio che lincedere era sicuro, lincavo dellalluce sembra parallelo a
quello delle altre dita e in alcune orme si nota addirittura larco plantare. Le impronte sono disposte
lungo due file lontane tra loro una trentina di centimetri. Le prime sono state lasciate da un
individuo pi piccolo, mentre le seconde da uno di dimensioni nettamente maggiori e in queste si
pu notare il calco dellalluce di un terzo individuo: come se qualcuno avesse messo i propri piedi
sui passi di qualcun altro. Richard Hay ha ricostruito con grande precisione le modalit di
formazione di quello straordinario fossile indiretto. Levento si verificato nella fase di passaggio
tra la fine della stagione secca e linizio di quella delle piogge, quando il terreno era ancora
completamente brullo. Proprio allora il vulcano Sadiman ha eruttato una nuvola di cenere che si
depositata al suolo imbiancandolo. Subito dopo piovuto e lo strato diventato melmoso:
esattamente ci che serviva affinch gli animali che si trovavano a passare nella zona potessero
lasciare il loro calco. Il sole dopo la pioggia ha asciugato il fango, trasformandolo in uno strato duro
come il cemento in quanto la polvere vulcanica era ricca di carbonati. Per diverso tempo ancora il
vulcano si mantenuto attivo e ha riversato sullintera area uno strato assai spesso di cenere che ha
costituito la copertura pi idonea per conservare il documento fino ai giorni nostri. Ma chi stato
lartefice di quellimpresa? Per Johanson sarebbe stato afarensis, ma Russell Tuttle ha affermato
che le dita del piede di afarensis erano troppo lunghe e curve per poter lasciare orme come quelle.
Tra il 2000 e il 2003 (ma pubblicato solo nel settembre 2006 sulla rivista Nature) il gruppo
di ricerca guidato da Zeresenay Alemseged, del Max-Planck-Institute for Evolutionary
Anthropology di Lipsia in Germania, ha rinvenuto nella regione di Dikika (capezzolo in lingua
afar) in Etiopia, uno scheletro incompleto di una bambina di circa 3 anni vissuta 3,3 milioni di anni
fa. La piccola, per la quale stato scelto il nomignolo Selam, che significa pace, apparteneva alla
94
stessa specie della pi famosa Lucy: Australopithecus afarensis. La stima della capacit cranica di
Selam risultata compresa tra 275 e 330 cc, pi o meno, quella di uno scimpanz coetaneo. Lo
studio comparativo del calco endocranico della piccola e di quello di un adulto della stessa specie,
per, ha permesso di stabilire che i tempi dello sviluppo cerebrale di afarensis erano rallentati
rispetto a quelli dei nostri cugini non umani e prossimi a quelli dellHomo sapiens. La modalit
della crescita del nostro cervello, lenta, per uninfanzia che si protrae nel tempo, favorisce lo
sviluppo delle nostre pi elevate capacit cognitive ed intellettive. E lo studio condotto sulla figlia
di Lucy potrebbe essere la prova che gi i nostri primi antenati possedevano capacit cognitive
avanzate.
dellevoluzione umana; let poteva essere inferiore, 3-4 anni, perch lo sviluppo dei denti radice,
smalto e corona richiamava quello delle antropomorfe, nelle quali pi veloce rispetto a noi del
30-50%; e i piccoli delle antropomorfe e delluomo si assomigliano di pi che non gli adulti e ci
avrebbe tratta in inganno lo studioso sudafricano. Nel 1929 Dart liber la mandibola dalla breccia
che la conteneva e present il fossile a Londra, ma senza alcuna fortuna. Anzi, Arthur Keith
sostenne che il bambino di Taung era uno scimpanz e Othenio Abel che era un piccolo di gorilla.
Successivamente, nel 1936, Robert Broom trov a Sterkfontein, vicino Johannesburg, un
frammento di cranio di adulto e la porzione distale di un femore di 2,5 milioni di anni, che
testimoniava chiaramente il bipedismo. Nel 1947-1948, poi, fu rinvenuto a Sterkfontein un cranio
adulto, considerato allora femminile e oggi maschile, per il quale fu coniato il nome Plesianthropus,
da cui il nomignolo Mrs. Ples, e che in seguito fu inserito nella stessa specie del bambino di
Taung. Altri reperti di 2,8 milioni di anni, e sempre della medesima forma, furono trovati in quegli
stessi anni a Makapansgat e nel 1950 lAustralopithecus africanus stato accettato quale taxon
ominino.
La posizione sistematica di africanus ancora dibattuta: per alcuni sarebbe lantenato di
tutti gli ominini successivi; per altri lantenato solo dei parantropi; e per altri ancora lantenato di
habilis.
96
Turkana: Rudolf. LHomo rudolfensis vissuto tra 2,4 e 1,9 milioni di anni fa e i suoi caratteri
specifici erano: la faccia allungata, con la parte superiore stretta e la mascella squadrata, il cervello
di 750-800 cc un valore piuttosto alto se considerato in senso assoluto, ma circa uguale a quello
degli australopiteci se rapportato alla massa corporea e i denti molari e premolari grandi, idonei
per una dieta prevalentemente vegetariana che lo avvicinavano agli australopiteci. Lanatomomorfologia cranica delluomo rudolfense molto prossima a quella del keniantropo e ci ha fatto
ipotizzare a Meave Leakey un legame filogenetico tra le due specie.
98
australopiteci ma pi massiccio del nostro, lassenza della caratteristica sporgenza che forma il
mento (un tratto che presente solo nellHomo sapiens), i denti abbastanza grandi (molari e
premolari pi grandi dei nostri e pi piccoli di quelli di habilis), le ossa post-craniali spesse e le
proporzioni degli arti moderne. La dieta delleretto era simile alla nostra.
Per molto tempo lHomo erectus stato considerato il nostro antenato, ora invece
considerato unicamente un ramo orientale ed estinto dellumanit preistorica, vissuto tra 2,2-2
milioni di anni fa e 200.000 anni fa (forse addirittura fino a 50.000-25.000 anni fa).
rhodesiensis. Il fossile aveva la faccia larga, il toro sopraorbitario massiccio, la fronte ancora bassa
e sfuggente e la scatola cranica lunga e molto capace, circa 1.300 cc (una misura superiore alla
media degli erectus e prossima a quella di noi moderni). In un passo della seconda edizione del suo
libro The Antiquity of Man, Keith ha sentenziato che luomo della Rodesia testimoniava che gli
sfrenati sogni dei darwinisti avevano una solida base e che esso forniva la prima immagine del
nostro stato ancestrale. Poich allinizio si pensava che il reperto non fosse pi vecchio di 40.000
anni, e quindi coetaneo del sapiens di Cro-Magnon, Carleton Coon lo ha usato nel suo libro The
Origin of Races per sostenere la teoria razzista che gli africani sarebbero rimasti fermi ad uno stadio
evolutivo arcaico mentre in Europa aveva gi fatto la sua apparizione lumanit moderna. La
maligna supposizione stata rimossa da una datazione pi accurata del fossile, che lo ha arretrato a
circa 300.000 anni fa, e dalla sua inclusione in heidelbergensis.
Il secondo cranio venuto alla luce a met degli anni Settanta del Novecento a Bodo dAr in
Etiopia. In questo caso let era davvero antica, circa 600.000 anni, e i tratti anatomici richiamavano
direttamente sia quelli zambiani che quelli di altri esponenti della specie affiorati da numerosi siti
sparsi in tutto il continente europeo: tra gli altri, nel 1933 da una cava nei pressi di Steinheim an der
Murr, nel Wrttemberg; nel 1960 da una grotta ai piedi del monte Katsika, vicino a Petralona nella
penisola Calcidica; nel 1971 dalla grotta di Arago, prossima a Tautavel nei Pirenei orientali; e nel
1992-1993 dalla cava Mayor di Sima de los Huesos, nella Sierra de Atapuerca. Il cranio di Bodo era
accompagnato da diversi utensili litici, comprese le asce a mano che testimoniavano la fine della
rivoluzione tecnologica che aveva trasformato lindustria olduvaiana in quella acheuleana e che
lheidelbergensis africano ha portato con s nel suo viaggio verso nord. Il reperto etiopico
costituisce lorigine della linea evolutiva europea e ha dato i natali ai neandertaliani. I suoi tratti
distintivi sono il neuro-cranio con lossatura robusta e la capacit cranica che si avvicina per la
prima volta nel corso dellevoluzione alle dimensioni moderne, circa 1.200 centimetri cubici.
Dallerectus si differenzia per il cervello pi grande di 200 cc, per il toro sopraorbitario con le due
arcate separate, per il frontale ampio e per loccipitale maggiormente arrotondato; e dai
neandertaliani per la parte mediana della faccia meno proiettata in avanti.
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104
Un somiglianza tanto elevata dello scimpanz con lumanit attuale ha convinto Morris
Goodman a modificare sostanzialmente la tassonomia delle scimmie antropomorfe (SCHEDA T7)
fino a proporre di inserire lo scimpanz nel nostro genere, che in tal modo sarebbe costituito da noi,
lHomo (sottogenere: Homo) sapiens, e dalle due specie di scimpanz, lHomo (Pan) troglodytes e
lHomo (Pan) paniscus. Il senso di questo riordinamento tassonomico equivarrebbe, una volta
accettato dallintera comunit scientifica, ad un vero e proprio cambio di paradigma, perch in
antropologia si sempre ritenuto che lumanit attuale fosse la sola specie sopravvissuta di
unantica linea evolutiva. Secondo Goodman, invece, non saremmo affatto soli al mondo. A farci
compagnia ci sarebbe lo scimpanz. Noi e loro, infatti, ci comportiamo geneticamente come due
specie sorelle e per il principio dellequivalenza con altri primati dovremmo essere trattati come
sottogeneri di Homo. E ancora pi oltre si spinta Elizabeth Watson, la quale includerebbe in Homo
anche il gorilla, dato che il suo genoma anchesso tanto simile al nostro.
Ovviamente, sulla base della nuova classificazione dovrebbero essere mutati tutti i nomi di
genere degli ominini fossili, i quali invece manterrebbero le denominazioni specifiche. Il
sahelantropo, lorrorin e lardipiteco diventerebbero, quindi, Homo tchadensis, Homo tugenensis,
Homo kadabba e Homo ramidus; e la stessa sorte toccherebbe agli australopiteci, al keniantropo e ai
parantropi.
4.7.5. Il dna mitocondriale e y-specifico
Il DNA pi utilizzato negli studi antropologici stato, ed ancora, il DNA mitocondriale
(mtDNA) (DIAPOSITIVA ANTROPOLOGIA MOLECOLARE 4). Si tratta del genoma presente nei
mitocondri, cio gli organelli citoplasmatici che forniscono lenergia alla cellula mediante la
fosforilazione ossidativa e dei quali ci sono molte copie in ogni cellula. LmtDNA umano formato
da una molecola circolare chiusa di 16.569 coppie di basi (bp=base pair), cio lo 0,0006 per cento
del genoma totale, che costituito da circa 3 miliardi di bp. LmtDNA si replica in modo autonomo
rispetto al DNA nucleare e codifica per 37 geni 2 per lRNA ribosomiale, 22 per gli RNA transfer
indispensabili per la sintesi proteica mitocondriale e 13 per i polipeptidi di 4 enzimi della
fosforilazione ossidativa. Le rimanenti proteine indispensabili al funzionamento metabolico dei
mitocondri e alla duplicazione, trascrizione e traduzione del genoma mitocondriale sono sotto il
controllo del DNA nucleare e, pertanto, sono assorbite dal citoplasma. Nelluomo, solo il 7 per
cento della sequenza dellmtDNA non codificante, a fronte del 95 per cento della sequenza del
DNA presente nel nucleo; e le sue regioni codificanti non presentano gli introni.
DellmtDNA conosciamo lintera sequenza ed essa presenta delle deviazioni di
funzionamento rispetto a quanto formalizzato dal codice genetico universale che vale per il DNA
nucleare: la tripletta UGA non agisce da terminale ma riconosce il triptofano; AUA riconosce la
metionina invece dellisoleucina; e AGA e AGG sono codoni terminali invece di riconoscere
larginina. Nella terza posizione dei codoni, poi, ci sono pi spesso ladenina e la timina di quanto
non avvenga nel DNA del nucleo.
La scoperta della PCR (Polymerase Chain Reaction/reazione di polimerizzazione a catena)
consente oggi di amplificare per via enzimatica in vitro ogni tratto di DNA, e quindi anche di quello
mitocondriale, a partire da un numero esiguo di copie: teoricamente da una sola molecola. E ci sta
facilitando enormemente gli studi evolutivi. Tra i vantaggi offerti dallmtDNA ci sono: lelevato
numero di copie presenti, 103-104 genomi per cellula, che ne facilita lanalisi; il piccolo numero di
bp che lo compongono e la mancanza degli introni e delle sequenze ripetute, che lo rendono facile
da caratterizzare; e la conoscenza completa della sua sequenza.
LmtDNA un genoma ad ereditariet materna, il che vuol dire che ogni individuo lo
ricerve esclusivamente attraverso il citoplasma dellovocita, e quindi senza segregazione n
ricombinazione. E sebbene il meccanismo che soggiace a questo tipo di ereditariet non sia ancora
del tutto chiarito, evidente che lmtDNA maschile non riesce ad entrare nelluovo al momento
della fecondazione, oppure ne entrano pochissime molecole che vengono subito eliminate, o ancora
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leffetto delle poche molecole maschili oscurato dalleffetto delle moltissime copie di mtDNA
materno presenti nellovocita.
Lereditariet aploide dellmtDNA (DIAPOSITIVA ANTROPOLOGIA MOLECOLARE 5) comporta
che allascendenza di un individuo concorra una sola antenata: la madre, la nonna materna, la
bisnonna materna, ecc.; mentre al suo genoma nucleare contribuiscano pi individui: i due genitori,
i quattro nonni, gli otto bisnonni, ecc.. E per il principio della coalescenza (DIAPOSITIVA
ANTROPOLOGIA MOLECOLARE 6), le linee mitocondriali delle donne che non hanno figlie femmine si
estinguono, tutti i tipi mitocondriali attualmente esistenti sulla terra devono essere ricondotti ad
ununica forma ancestrale il che non significa che sia esistita una sola donna, ma che lmtDNA di
una sola donna che viveva in una popolazione giunto sino a noi. Ora, dato che lintera linea
mitocondriale umana risale ad ununica capostipite, che ha trasmesso attraverso le discendenti il suo
mtDNA inalterato a meno di mutazioni casuali, ne consegue che le differenze esistenti tra gli
individui siano direttamente proporzionali al tempo trascorso dal momento in cui vissuta la loro
ava materna. Ecco perch gli alberi filogenetici che collegano le linee mitocondriali identificano la
storia al femminile di una popolazione o dellintera nostra specie. Inoltre, poich una coppia di
riproduttori diploidi ha quattro genomi aploidi nucleari ma un solo tipo di mtDNA trasmissibili alle
generazioni successive, aumenta per il DNA mitocondriale il tasso di differenziazione locale dovuto
alla deriva genetica.
Unaltra caratteristica importante dellmtDNA che esso evolve da 10 a 20 volte pi
rapidamente dei geni nucleari, dato che presenta pi cicli di replicazione durante i quali si
accumulano errori e che il suo sistema di riparazione meno efficiente. Il tasso di evoluzione
dellmtDNA risultato pari all1-2 per cento di basi mutate per milione di anni ed una tale velocit
lo rende un ottimo orologio molecolare per analizzare la storia delle specie che sono nate
recentemente: proprio come nel nostro caso.
Il DNA Y-specifico rappresenta la controparte maschile del genoma e ne costituisce circa il
2 per cento. Si tratta di una molecola lineare lunga circa 60Mb (Mb=megabase=un milione di
coppie di basi), la cui sequenza non ancora conosciuta completamente. Con leccezione di due
tratti, le regioni pseudoautosomiche comprese nella parte eterocromatica centromerica e in quella
distale del braccio lungo, che sono omologhi e ricombinano con il cromosoma X, il resto del
cromosoma Y aploide ed ereditato dai maschi per via paterna.
Il tasso di mutazione relativo al cromosoma Y pi basso di quello corrispondente ai
cromosomi autosomici e allmtDNA, verosimilmente perch i cromosomi Y sono meno numerosi di
quelli autosomici e la struttura matrimoniale delle popolazioni umane tende a favorire mediamente
la stanzialit dei maschi.
4.7.6. Origine delluomo moderno (Homo sapiens)
Lorigine delluomo moderno ha rappresentato uno dei problemi pi controversi della
ricerca paleoantropologica e per rispondere a questo interrogativo sono stati proposti due modelli
(DIAPOSITIVA ANTROPOLOGIA MOLECOLARE 7) alternativi: di unorigine unica, africana e recente; e
di unevoluzione multiregionale o della continuit regionale.
I sostenitori del primo modello, i paleoantropologi Christopher Stringer e Paul Andrews,
hanno suggerito nel 1988 che lHomo sapiens si fosse evoluto in Africa, probabilmente intorno a
200.000 anni fa, e che la transizione fosse avvenuta solo in quel continente a seguito di un evento di
speciazione puntiforme. Ne conseguiva che, essendo sapiens una nuova specie, non fosse stato
possibile alcun livello di mescolamento con i nostri parenti pi arcaici. E pertanto, una volta che gli
uomini moderni furono migrati fuori dallAfrica nel resto del Vecchio Mondo (da qui il nome di
Out of Africa al modello), avrebbero sostituito completamente le forme locali preesistenti: di
Homo erectus in Asia e di Homo neanderthalensis in Europa. Lipotesi di unevoluzione
monocentrica era gi stata proposta nel 1976 da William Howells con il nome di ipotesi dellArca
di No, secondo la quale luomo moderno si sarebbe originato da una popolazione ancestrale presapiens in ununica area e l avrebbe cominciato a differenziarsi acquisendo le caratteristiche
106
anatomiche peculiari della nostra specie; si sarebbe poi spinto a colonizzare il resto del mondo
selezionando i caratteri morfologici specifici per ogni area.
Il modello multiregionale prevedeva uno scenario completamente diverso. Levoluzione
delle popolazioni vissute nei continenti del Vecchio Mondo si sarebbe svolta in ognuno di essi
separatamente ed in modo continuo, a partire dai tipi arcaici fino a noi sapiens: in Africa, si sarebbe
passati da Homo ergaster a heidelbergensis a sapiens; in Asia, da ergaster a erectus a sapiens; e in
Europa, da ergaster a antecessor (e cepranensis) a heidelbergensis a neanderthalensis a sapiens.
Un processo, cio, che sarebbe continuato ininterrottamente da due milioni di anni fa ad oggi.
Questo modello non prendeva in considerazione alcun evento di speciazione improvvisa e, quindi,
era verosimile ammettere un certo grado di mescolamento tra le diverse forme sparse in tutto il
Vecchio Mondo. Lipotesi della continuit regionale stata formulata inizialmente, nel 1946, da
Franz Weidenreich e successivamente, negli anni Ottanta del Ventesimo secolo, stata riproposta
da Mildford Wolpoff e Alan Thorne come modello multiregionale. La sua idea centrale
consisteva nel prevedere un elevato ed ininterrotto flusso genico tra le diverse forme locali di presapiens che si andavano differenziando, parallelamente nelle diverse aree geografiche del Vecchio
Mondo, nelle popolazioni di sapiens. Un punto questo che era necessario per spiegare come sarebbe
stato possibile arrivare allunicit della nostra specie attraverso pi percorsi evolutivi. Per i
multiregionalisti la continuit morfologica riscontrabile in Asia meridionale consisteva in una
struttura corporea pi massiccia, che comprendeva lo spessore maggiore delle ossa craniche, le
arcate sopraorbitarie pi sviluppate e i denti pi voluminosi. Mentre un diverso complesso anatomomorfologico avrebbe caratterizzato la continuit nelle popolazioni dellAsia settentrionale: minore
robustezza delle ossa, faccia pi schiacciata e piccola, fronte pi arrotondata e denti meno
sviluppati. Relativamente allEuropa, poi, i multiregionalisti erano convinti che molti caratteri
neandertaliani fossero passati nei sapiens europei.
La difficolt di dirimere la controversia sulla nostra origine risiedeva nel fatto che non
sempre facile distinguere i primi sapiens dalle forme pi arcaiche. Infatti, forme pi antiche
possono presentare caratteristiche moderne e fossili pi recenti esibire tratti arcaici. Inoltre, ci sono
dei casi in cui i resti scheletrici, specialmente i crani, sono di difficile lettura: la decisione allora
diventa arbitraria ed il fossile pu essere attribuito ad un gruppo o ad un altro solo sulla base
dellinterpretazione personale dello scienziato. Un altro problema quello relativo alle datazioni.
Lattribuzione di un fossile ad un determinato taxon si effettua, ovviamente, attraverso lo studio
morfologico e morfometrico e dovrebbe sempre essere coerente con la sua cronologia. Tuttavia, pu
succedere che ci che appare essere un uomo moderno venga datato cos indietro nel tempo da
mettere in discussione la datazione stessa o, viceversa, che una forma morfologicamente arcaica
possa risultare recente, rendendo dubbia la classificazione.
Le modificazioni anatomiche degli uomini moderni rispetto ai loro parenti arcaici
riguardano tutte le parti del corpo. In particolare, il cranio pi rotondo, anche come conseguenza
della verticalizzazione della faccia (ortognatismo) e della completa curvatura della base del cranio
stesso. Inoltre, esso pi alto e la larghezza massima cade a livello dei parietali; la fronte elevata;
il mento pronunciato e il massiccio facciale pi leggero per la presenza delle fosse canine
(depressioni delle ossa mascellari). Gli incisivi, cos come i molari, sono ridotti e presentano
unusura maggiore. Nel complesso, sia lo scheletro che i muscoli sono meno robusti e massicci, i
segmenti distali degli arti pi lunghi e il bacino pi stretto: tutte indicazioni dellevoluzione di un
nuovo sistema a basso costo energetico e pi efficiente.
Queste modificazioni sul piano somatico sono state accompagnate da sensibili
trasformazioni anche sul piano culturale. Il Paleolitico medio e superiore, infatti, stato un periodo
di alta tecnologia e innovazioni comportamentali, che vanno da una pi complessa organizzazione
sociale fino alle complesse manifestazioni artistiche. In quel periodo sono stati inventati arnesi
nuovi e sempre pi specializzati (arco, frecce, reti e trappole), se ne incrementato luso e sono stati
sperimentati materiali (quali losso e il corno) e forme mai utilizzati prima, ad indicare un profondo
coinvolgimento nella conoscenza della natura e nel processo tecnologico. E sono stati sviluppati
107
nuovi metodi di conservazione del cibo, di preparazione degli indumenti e dei focolari, e di
costruzione delle dimore, ora pi larghe e con la struttura tipica delle abitazioni moderne, in cui si
identificano aree diverse e separate per le varie attivit. Anche le sepolture sono divenute pi
complesse e i rituali hanno assunto attenzione e cura per il defunto, come si pu desumere dalla
tomba di Qafzeh in Israele in cui sono state rinvenute ossa e corna di un cervide che potrebbero
avere significati di fertilit e magico-religiosi. Tra gli sviluppi peculiari delluomo moderno vi
certamente il livello artistico che riuscito a raggiungere. Fra le prime raffigurazioni simboliche
vanno ricordati due frammenti di ocra rossa incisi con disegni geometrici, rinvenuti nella grotta di
Blombos, nei pressi di Citt del Capo in Sudafrica, e datati a 77.000 anni fa. Sono apparsi poi i
bassorilievi, le incisioni e le raffigurazioni parietali e sono divenute frequenti anche le sculture su
pietra, osso e avorio, tra cui le statuette femminili famose come veneri preistoriche, rinvenute in
varie localit europee. Nellambito delle raffigurazioni parietali, le pi famose sono certamente
quelle rinvenute nella grotta di Altamira in Spagna e in numerose caverne della Francia, quali
Lascaux, Niaux, Les Combarelles, Tuc dAudoubert e Les-Trois-Frres.
La controversia tra i sostenitori dellorigine africana e recente dellHomo sapiens e i
multiregionalisti ha monopolizzato a lungo il dibattito interno allambiente antropologico, senza che
ci fosse la possibilit di risolverla a livello delle caratteristiche anatomo-morfologiche dei fossili.
Fortunatamente, alla fine degli anni Ottanta, gli antropologi molecolari Rebecca Cann, Mark
Stoneking e Allan Wilson hanno risolto la questione analizzando il DNA mitocondriale di un
gruppo di individui rappresentativi di tutti i continenti. E lo studio ha permesso di ricostruire
allindietro le linee materne dellumanit attuale fino a raggiungere unantenata comune, che visse
in Africa circa 200.000 anni fa: proprio come sosteneva il modello fuori dallAfrica.
Che si dovesse necessariamente risalire ad unantenata comune era dovuto al fatto che il
genoma (sia mitocondriale che nucleare) dellumanit attuale discende da un solo antenato, poich
lorigine della vita sulla Terra unica, e dato che lmtDNA si eredita dalla madre quellantenato
doveva essere femmina. Ci, tuttavia, non significa che allinizio sia vissuta una sola donna, ma che
i tipi di mtDNA delle altre donne che vivevano nella stessa popolazione si siano estinti, perch nel
corso del tempo le portatrici di quei tipi non hanno avuto figli o non hanno avuto figlie femmine: il
principio della coalescenza. Per quanto riguarda lorigine africana, poi, essa stata ricavata dalla
topologia dellalbero filogenetico (DIAPOSITIVA ANTROPOLOGIA MOLECOLARE 8) disegnato a partire
dai diversi tipi mitocondriali osservati nella ricerca. Lalbero, infatti, era diviso in due rami
principali ed uno di essi riuniva solo i tipi mitocondriali di alcuni soggetti di origine africana. E
questo blocco era anche il pi variabile geneticamente e quindi il pi antico. Laltro ramo, invece,
era diviso in diversi sottorami, ognuno dei quali comprendeva i tipi mitocondriali dei soggetti
provenienti da un continente insieme a quelli di qualche soggetto di origine africana. Vale a dire,
che la nostra specie si era originata in Africa e che poi alcuni gruppi erano migrati nel resto del
mondo dove avevano dato origine alle popolazioni locali. Infine, utilizzando lorologio molecolare
per lmtDNA, che batte con una velocit media pari ad un accumulo di mutazioni tra due linee di 24 per cento basi per milione di anni, stato stimato che le differenze presenti nel primo ramo
dellalbero facevano risalire tutti i tipi mitocondriali dellumanit attuale ad unantenata vissuta
circa 200.000 anni fa.
La falsificazione molecolare del multiregionalismo stata confermata anche dagli studi
condotti sul DNA del cromosoma Y (DIAPOSITIVA ANTROPOLOGIA MOLECOLARE 9) e sul resto del
DNA nucleare.
4.7.7. Il DNA antico
Lo sviluppo delle biotecnologie consente attualmente di estrarre il DNA da reperti antichi
(aDNA) come ossa, denti, capelli e tessuti mummificati e di esaminarlo. E grazie a ci di
ricostruire la struttura genetica delle popolazioni umane antiche, i loro rapporti biologici reciproci, i
loro movimenti migratori e la loro evoluzione, definita a partire dal confronto con i loro discendenti
attuali.
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La prima estrazione di aDNA stata ottenuta in Cina, alla fine degli anni Sessanta, da una
costa di una mummia umana di 2.000 anni; e successivamente, a met degli anni Ottanta, laDNA
stato estratto dal tessuto di un equide, il quagga, estinto da circa 150 anni. Dopo di allora, gli studi
sul DNA antico sono divenuti numerosi grazie soprattutto alla scoperta della PCR, che consente di
amplificare quantit molto piccole di DNA, se non addirittura di singole molecole, fino a
raggiungere aliquote che possono essere sottoposte allanalisi di sequenziamento. In 20 cicli di
PCR, infatti, che si eseguono pi o meno in unora, si pu amplificare la regione interessata del
DNA di oltre un milione di volte. E cos di recuperare e sequenziare le pochissime molecole, o i
tratti di molecole, che rimangono integre nei tessuti antichi: perch dal momento della morte degli
individui il DNA, come tutte le altre parti organiche, comincia a degradarsi, cio a rompersi in
frammenti minuti e di conseguenza a perdere le informazioni che contiene. Il DNA antico pi
studiato quello mitocondriale, il quale, essendo presente negli individui in molte copie identiche,
ha una probabilit maggiore di poter lasciare nel corso del tempo qualche suo frammento integro.
LaDNA si conserva meglio nelle ossa e nei denti rispetto ai tessuti molli ed in effetti quelle
strutture organiche sopravvivono pi a lungo anche in condizioni normali di sepoltura. La
spiegazione del fenomeno sta nel fatto che contengono meno acqua ed enzimi, per cui gli osteociti e
i cementoblasti subiscono dei processi di mummificazione. Si tenga anche presente che la topologia
di quelle cellule sono situate in piccole cavit completamente circondate da tessuto rigido le
protegge dallaggressione dei microrganismi. Dal materiale scheletrico possibile recuperare
segmenti di DNA lunghi fino a mille basi, ma i reperti non devono essere pi vecchi di 150.000100.000 anni, almeno per luomo. Teoricamente, si dovrebbero trovare frammenti di DNA in resti
che risalgono fino ad un milione di anni fa, e forse fino a due milioni di anni fa, ma per ora laDNA
pi antico stato recuperato da tessuto vegetale conservato nel permafrost siberiano e vecchio di
450.000-400.000 anni.
4.7.8. La posizione sistematica dei neandertaliani
La storia delluomo di Neandertal iniziata con dei fossili che solo molti anni dopo la loro
scoperta sono stati riconosciuti appartenere a una specie ormai estinta. Il primo rinvenimento, il
cranio di un ragazzo di circa due anni e mezzo, si ebbe nel 1829 o nel 1830 a Engis in Belgio e poco
pi di ventanni dopo, nel 1848, un secondo cranio, ma questa volta di una femmina adulta, venne
alla luce a Gibilterra.
Senza dubbio, tuttavia, il pi importante dei fossili neandertaliani misconosciuti stato il
terzo, venuto alla luce in un giorno di agosto del 1856 solo tre anni prima della pubblicazione de
Lorigine delle specie di Charles Darwin grazie ad alcuni minatori impiegati ad estrarre il
calcare nella grotta di Feldhofer, situata nella valle di Neander nei pressi di Dsseldorf. Il reperto
era composto da una calotta cranica e da diverse ossa postcraniali (i due femori, le tre ossa del
braccio destro e due di quello sinistro, una parte del bacino e frammenti di una scapola e delle
costole) e a partire da quelle curiosissime ossa stata fondata una nuova disciplina scientifica, la
paleoantropologia, e ha preso il via un dibattito sullorigine della nostra specie. La maggior parte
del mondo accademico ha accolto con dichiarato scetticismo lidea che lo scheletro di Feldhofer
potesse essere attribuito ad una forma umana ormai estinta e ha preferito ricorrere a cause davvero
bizzarre per spiegarne le caratteristiche. La curvatura dei femori fu attribuita allabitudine di andare
a cavallo e il marcato toro sopraorbitario al continuo aggrottare della fronte causato dal dolore
indotto da una forma di rachitismo infantile che avrebbe colpito lo sfortunato individuo.
Nellimmaginario di alcuni, quel rachitico cavallerizzo poteva addirittura essere stato uno dei
cosacchi che inseguivano Napoleone nel 1814 e che aveva trovato la morte nella grotta tedesca.
Ancora pi estrema era la concezione di coloro che associavano alla patologia anche la criminalit e
che vedevano in quei resti i segni della grande forza fisica, dellidiozia, della crudelt, delle
inclinazioni omicide e di un percorso umano destinato alla prigione e poi al patibolo. Sul versante
opposto, quello favorevole alla notevole et del fossile, si schierarono Charles Lyell e Thomas
Henry Huxley. Questultimo, tuttavia, con la convinzione che il reperto fosse di epoca storica,
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sebbene antica, in quanto la sua struttura anatomo-morfologica non gli pareva cos estranea alla
nostra da giustificare un salto di specie. stato William King a sostenere che i tratti del fossile
trovato nella valle di Neander dovessero essere considerati estranei al nostro taxon e a proporre nel
1863 che per esso fosse adottato il nome Homo neanderthalensis. King aveva maturato la decisione
di istituire una specie nuova basandosi esclusivamente sul disegno ovale della calotta cranica, pi
larga nella parte posteriore che non davanti a causa di un marcato restringimento dietro le orbite e
sullosservazione che la fronte era bassa e sfuggente e il toro sopraorbitario era sviluppato, continuo
e a forma di due archi, uno sopra ciascuna orbita. Se avesse potuto disporre di un cranio completo
avrebbe notato diverse altre caratteristiche che facevano dei neandertaliani una specie a s: la
mandibola era massiccia e senza mento; i denti anteriori erano pi grandi dei nostri, mentre i
premolari e i molari erano pi o meno delle stesse dimensioni; loccipitale era molto angolato e con
una protuberanza, o toro, non troppo accentuata e sormontata da un solco; le cavit orbitarie erano
rotondeggianti; lapertura nasale era larga e alta; la faccia era un poco protesa verso lavanti; e la
capacit cranica era decisamente elevata, con valori compresi tra 1.250 e 1.750 centimetri cubici.
Alla fine del Novecento, Ralf Schmitz e Jrgen Thissen hanno riportato alla luce nel sito
dove si trovava la grotta di Feldhofer oggi distrutta diversi fossili, tra cui un frammento di
faccia che si adattava perfettamente alla calotta. E ancora di maggiore interesse risultato il fatto
che in questa occasione sia stato possibile datare il sito: lominino che diventato il neandertaliano
per eccellenza aveva 40.000 anni.
Una volta che nel mondo scientifico o almeno in una buona parte di studiosi si fu
radicata lidea che prima di noi erano vissuti altri uomini ormai estinti, gli antropologi furono in
grado di riconoscere e valutare correttamente i fossili neandertaliani che comparivano nei siti
archeologici. E in quella nuova realt, il Belgio stato davvero generoso: prima con una mandibola
trovata a La Naulette nel 1865 e poi con due scheletri trovati a Spy nel 1886. Lidea di Darwin, che
le specie si originano da altre specie, iniziava ad essere suffragata da un buon numero di fossili
anche nel caso delluomo e apparve allora assolutamente evidente che Neadertal dovesse essere
considerato lantenato dellumanit attuale. Inoltre, quella che era considerata la nostra ascendenza
si era ulteriormente arricchita verso la fine del secolo con la scoperta in Asia del pitecantropo e,
siccome lominino asiatico appariva pi primitivo, ovvero con una morfologia e un cervello pi
vicini a quelli delle scimmie antropomorfe, fu sistemato ancora pi indietro dei neandertaliani. In
questo modo, la prima genealogia dellevoluzione umana aveva assunto una formulazione
scientifica, secondo la quale da un antenato simile ad unantropomorfa si sarebbe evoluto il
pitecantropo, poi luomo di Neandertal e, infine, luomo attuale. E fu Gustav Schwalbe a
formalizzarla proprio al volgere del secolo. In un primo tempo, la tesi dellevoluzione lineare
suggerita da Schwalbe fu accolta con un certo entusiasmo, ma gi nel secondo decennio del
Novecento si svilupp una decisa opposizione contro la pretesa di voler considerare i neandertaliani
i nostri antenati diretti. E la causa di ci va ricercata principalmente nellerrata interpretazione di
uno dei pi famosi reperti paleoantropologici: uno scheletro neandertaliano quasi completo
rinvenuto nel 1908 a La Chapelle-aux-Saints, in Francia. Il fossile fu studiato da Marcellin Boule, i
cui grossolani errori hanno associato ai neandertaliani unimmagine caricaturale. Lo studioso,
infatti, riteneva che quelle ossa fossero appartenute ad un individuo di aspetto bestiale o
scimmiesco, la cui colonna vertebrale e gli arti inferiori avrebbero indicato unandatura bipede non
ancora perfetta come la nostra.
Il problema relativo al modo di camminare dei neandertaliani stato risolto da Sergio Sergi
nel 1929, quando in una cava di breccia situata alle porte di Roma, nella tenuta di Saccopastore,
degli operai hanno trovato un cranio appartenente a quel medesimo taxon e sul quale Sergi ha
valutato la posizione del forame occipitale e il suo orientamento. A differenza di quanto sostenuto
erroneamente da Boule, il foro occupava nella base cranica dei neandertaliani una posizione
identica alla nostra e il suo orientamento era verso lavanti, proprio come avviene in noi mentre
negli altri mammiferi il foro guarda allindietro. Ogni dubbio sulla deambulazione di quelle
creature, quindi, stato fugato da Sergi. Finalmente la questione era chiusa e gli antropologi
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riconoscevano che i neandertaliani camminavano esattamente come noi e ci contribu non poco
allabbandono del modello evolutivo che li escludeva dalla nostra ascendenza e allaffermarsi di
nuovo di quello monofiletico elaborato da Schwalbe. A favore di questa tesi si schier anche Ale
Hrdlika, il quale era convinto che tutta lumanit fosse passata attraverso una fase
neandertaliana, sia per quanto riguardava la forma anatomo-morfologica che la cultura.
A met Novecento, la ricostruzione dellevoluzione umana ha conosciuto un nuovo assetto
basato sul modello proposto da Franz Weidenreich, in cui si supponeva che i pitecantropi di ogni
continente del Vecchio Mondo si fossero evoluti indipendentemente nelluomo di Neandertal e poi,
ancora indipendentemente, in ognuna delle variet geografiche delluomo moderno. Nel mondo,
quindi, ci sarebbero stati pi percorsi evolutivi Weidenreich ne aveva calcolati cinque che
tuttavia si sarebbero riuniti alla fine per sfociare nellHomo sapiens. Questo schema, che
visivamente si pu assimilare ad un candelabro in cui da ununica base si distaccano pi bracci,
sarebbe servito anni dopo ad un piccolo gruppo di antropologi per definire lipotesi della
continuit regionale, che oggi, per, stata falsificata dallanalisi molecolare della nostra
evoluzione.
Dalla fine degli anni Cinquanta del Ventesimo secolo, i neandertaliani sono diventati degli
Homo altamente evoluti e dalla cultura assai raffinata che doveva comprendere persino delle
manifestazioni artistiche e per non pochi scienziati sarebbe stato addirittura arduo distinguerli da
noi sapiens. Lidea che i neandertaliani fossero stati unumanit avanzata, non solo nel fisico ma
anche nella psiche e nellorganizzazione sociale, ha ricevuto unulteriore sostegno da alcune
scoperte interpretate dai paleoantropologi quali prove, se non certe almeno assai verosimili, di
pratiche funerarie. Infatti, nella grotta di Shanidar, nei Monti Zagros in Iraq, fin dal 1950 sono state
rinvenute delle strutture che apparivano come delle vere e proprie tombe singole e multiple, con il
suolo accanto alle ossa ricoperto dal polline di molti fiori. Certo, non si pu escludere che quel
polline fosse solo percolato dalla superficie insieme allacqua piovana, n che i cadaveri fossero
stati interrati solo per non attirare gli animali, ma il convincimento che la sepoltura possa essere
stata dettata da un comportamento pietoso rimane forte, anche perch Shanidar ci ha fornito una
prova indiscutibile di condotta altruistica e quindi pietosa. In effetti, uno scheletro presentava tali
segni di fratture e mutilazioni rimarginate da indurre la certezza che solo lassistenza della propria
gente abbia potuto permettere allindividuo di sopravvivere.
I neandertaliani sono vissuti tra 350.000 e 28.000-27.000 anni fa nella vasta area che
comprende lEuropa, il Medio Oriente e lAsia centro-occidentale. La loro statura non era troppo
alta, circa 160-170 centimetri, il peso variava tra i 70 e gli 80 chili e la costituzione corporea era
decisamente robusta e la muscolatura potente. Le loro mani e i loro piedi erano larghi e la capacit
cranica era uguale, se non superiore, alla nostra e variava tra i 1.250 e i 1.750 centimetri cubici. Il
cranio si presentava massiccio e aveva una forma assai lunga e larga, schiacciata e con un
caratteristico restringimento dietro le orbite; la fronte era sfuggente e il toro sopraorbitario era
robusto e con la completa fusione delle due arcate sopracciliari; losso occipitale poi aveva una
forma molto convessa e presentava un allungamento nella regione pi posteriore, noto con il nome
di chignon. Anche la faccia era voluminosa e con orbite rotonde e grandi e unampia apertura
nasale. E la mandibola, infine, aveva conservato i caratteri arcaici del nostro genere, molto robusta e
senza mento.
Nellultimo quarto del Ventesimo secolo, gli antropologi si erano ormai convinti che i
neandertaliani fossero prossimi allumanit attuale sia nei tratti somatici che in quelli culturali. Ci
che invece continuava a dividerli era il posto da assegnare loro nella classificazione degli ominini,
perch non tutti condividevano lidea che noi sapiens ci fossimo evoluti dai neandertaliani. E su
questo punto, il dibattito tra gli studiosi dei fossili si era cristallizzato in uninutile
contrapposizione: alcuni erano assolutamente certi di individuare una continuit morfologica tra
loro e noi e, quindi, anche una continuit tassonomica, mentre altri arguivano dallanalisi
comparativa la convinzione di una discontinuit nel modello evolutivo. I due punti di vista non
avevano alcuna possibilit di essere avvicinati, dal momento che lanalisi dei fossili fortemente
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influenzata dalla soggettivit del ricercatore, un elemento questo che pu essere controllato ma non
eliminato. Negli anni Ottanta del secolo scorso, per, lanalisi del DNA antico ha permesso di
affrontare il problema del rapporto filogenetico neanderthalensis-sapiens attraverso esperimenti
ripetibili, e quindi oggettivi, e cos di risolvere la questione.
A quel punto, si erano realizzate le condizioni per affrontare la domanda antropologica del
momento in modo completamente nuovo: cio, utilizzando le informazioni evolutive contenute nel
genoma degli ominini ormai estinti.
La prima indicazione molecolare sul posto da assegnare ai neandertaliani in natura stata
fornita nel 1997 da Svante Pbo, che era riuscito ad estrarre il DNA dal pi famoso dei fossili di
quel taxon: il reperto trovato nella grotta di Felhofer nel 1856. La sequenza del DNA mitocondriale,
infatti, aveva accumulato un numero di mutazioni tre volte maggiore rispetto alle differenze medie
che si riscontrano tra le popolazioni umane attuali e ci stava ad indicare lestraneit reciproca dei
due percorsi evolutivi. I neandertaliani, quindi, non solo non erano una sottospecie dellHomo
sapiens, ma non rientravano neppure tra i suoi ascendenti. Negli anni che sono seguiti stato
esaminato, e non solo da Pbo, il DNA di diversi altri neandertaliani ed sempre stato confermato
il primo esperimento. A quel punto, pareva proprio che uno dei problemi antropologici pi dibattuti
nel corso dellaltro secolo avesse trovato la soluzione definitiva, ma per esserne certi doveva essere
effettuato un altro esperimento: era indispensabile scoprire, cio, se il DNA dei neandertaliani fosse
estraneo anche alla variabilit genetica dei primi sapiens, quelli fossili. E una volta di pi la risposta
giunta positiva: lmtDNA di alcuni sapiens antichi risultato assolutamente confrontabile con il
nostro ed estraneo a quello neandertaliano. Nel 2004, poi, Mathias Currat e Laurent Excoffier hanno
stimato la percentuale delleventuale flusso genico tra i due taxa che statisticamente ancora non pu
essere del tutto escluso e il suo valore ha raggiunto appena lo 0,1 per cento, ovvero non pi di 120
incroci nellarco dei 15.000 anni di convivenza: un livello talmente basso da suggerire che le due
forme fossero reciprocamente sterili. Ora possiamo affermare, e affermarlo una volta per tutte, che i
neandertaliani erano una specie diversa dalla nostra (DIAPOSITIVA ANTROPOLOGIA MOLECOLARE 10),
Homo neanderthalensis appunto, e che si estinta senza lasciare prole.
BIBLIOGRAFIA SULLARGOMENTO
G. Biondi, O. Rickards. Uomini per caso. Editori Riuniti, Roma 2001
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