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Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°11 - 1998 - Edita dalla Comunità Montana delle
Prealpi Trevigiane
GIORGIO ARNOSTI
Con un editto, circa del 543, l'imperatore Giustiniano, interferendo nelle lunghe
dispute cristologiche che agitavano le Chiese orientali, aveva condannato le
lettere e gli scritti, riassunti in "tria capitula", dei vescovi Teodoro di
Mopsuestia, Teodoreto di Cyro ed Ibas di Edessa 1. Alla forte reazione
dell'Occidente, fedele alle definizioni dogmatiche scaturite dal concilio di
Calcedonia del 451, che in qualche modo avevano accettato gli scritti
incriminati, Giustiniano aveva indetto nel 553 il secondo concilio di
Costantinopoli, e quinto ecumenico, conclusosi con la condanna definitiva dei
Tre Capitoli. L'imperatore aveva quindi costretto dalla sua parte sia papa Vigilio
che il successore Pelagio I (555-560).
I vescovi delle metropoli ecclesiastiche di Aquileia e Milano (con altri delle
Chiese occidentali, Gallie comprese) si erano immediatamente ribellati alla
condanna, mentre papa Pelagio, già accreditato come strenuo difensore dei Tre
Capitoli prima della sua elevazione alla sede apostolica 2, si dimo
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strava invece molto zelante nella repressione dei dissidenti. Al di là delle Alpi,
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circa nel 556, il papa sollecitava con ripetute lettere re Childeberto I di Austrasia
perché incoraggiasse la riconciliazione da parte dei vescovi della Gallia 3.
L'intervento risultava efficace e il re franco favoriva il ritorno delle diocesi
galliche sotto le disposizioni del concilio costantinopolitano; vi riportava pure
tre diocesi delle terre della Secunda Rhetia e del Norico (passate sotto il suo
controllo durante la guerra gotica), già dipendenti dalla provincia ecclesiastica
aquileiese, dove faceva consacrare presuli cattolici:
"Così infatti s'era incominciato afare anni or sono, quando in tre chiese della
nostra metropoli, cioè in quelle dei Breoni, di Tiburnia e diAgunto,
i vescovi Galli consacrarono i vescovi" 4.
Nelle Venetiae invece le azioni imperiali contro i tricapitolini si scontravano con
la situazione di strascichi post-bellici e i tentativi di repressione dei vescovi
ribelli andavano a rilento. Nei loro confronti, da parte del braccio secolare, in
qualche modo, ma opportunamente dal punto di vista politico, si differivano le
azioni di polizia che erano invece sollecitate dall'arcivescovo cattolico di Roma,
papa Pelagio I.
Alla forte azione papale, l'arcivescovo Paolo della metropoli aquileiese reagiva
con grande efficacia. Convocata una 'particularis synodus', probabilmente
nell'anno stesso della sua elezione (nel 558), col consenso del clero delle sue
diocesi suffraganee, l'antistite aquileiese decideva di imboccare la strada
dell'autocefalia 5. si distaccava cioè dalla dipendenza dottrinale
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Sul sinodo di cui si lamenta Pelagio, cfr. PELAGII PAPAE I, Epistolae, P.L.,
t.69, coll.393-414: 'Nec licuit alicui aliquando, nec licebit particularem synodum
congregare' (ep.IV, col.393); al riguardo PASCHINI, 1975, pp.93-96 e nota 10.
Cfr. TAVANO S., 1972, il culto di S.Marco a Grado, pp.2O2. Il titolo
patriarcale è citato nelle lezioni della Collectio
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Solo sotto il nuovo imperatore Giustino Il e dopo la dura repressione dei moti
eruli nella Venetia (circa del 566), i Romei sarebbero passati a vie di ~, fatto,
dato che sempre Narsete faceva imprigionare il vescovo tricapitolino I Vitale
diAltino, rifugiato adAguntum, e lo spediva in esilio in Sicilia 13, Ma se è
dubbio che l'episodio avesse una motivazione esclusivamente religiosa, fatto sta
che l'operazione di Narsete non ebbe altri seguiti, per quel che se ne sa dalle
fonti. E non si esclude che la resipiscenza di Narsete sia stata, consigliata dalla
vasta reazione politica nelle Venezie, manifestatasi pure con la fuga di
intellettuali (per esempio Venanzio Fortunato, secondo alcune accreditate
ipotesi) e di vescovi (il Marciano che 'pere grinatus est pro causa fidei'?).
Purtroppo anni di tensione e di schermaglie, con la proclamata autocefalia,
avevano irrigidito le posizioni, ed i vescovi delle Venetiae di osservanza
aquileiese erano sicuramente entrati nella prospettiva di appoggiare una qualsiasi
soluzione che allontanasse il controllo diretto dei Bizantini dall'Italia
nord-orientale; e non tardarono ad accordarsi con Alboino, entrato in Italia come
federato dell'Impero 14,
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Paolo Diacono, alla fine dell'VIII secolo, nonché la relazione fatta al sinodo di
Mantova (dell'827), circa duecento anni dopo gli avvenimenti, e le posteriori
cronache venetiche, raccontano che all'ingresso dei Longobardi nella Venetia,
nel 568, il patriarca Paolo, 'Langobardorum rabiem metuens', si rifugiava
immediatamente a Grado, sotto l'ala dell'impero 15, Tuttavia,
13) L'arresto di Vitale vescovo di Altino viene posto in sequenza subito dopo la
notizia della morte di Giustiniano in P.D., H.L., Il, 4: 'Inter haec lustiniano
principe vita decidente, lustinus minor rem publicam aput Constantinopolim
regendam suscepit. His quoque tempori bus Narsis patricius, cuius ad omnia
studium vigilabat, Vitalem episcopum Altinae civitatis, qui ante annosplurimos
adFrancorum regnum confugerat, hoc est ad Agonthiensem civitatem, tandem
conprehensum aput Siciliam exilio damnavit' (in Bartolini E., 1982, p.932).
14) Per la critica storica e documentaria della chiamata narsetiana e cronologia
degli eventi, vedi l'esauriente CESSI R., 1918, Le prime conquiste longobarde in
Italia, 'Nuovo Archivio Ven.', n.s., 69-70, pp.13-158. Inoltre FASOLI G., 1965,
I Longobardi in Italia, BO, p55; MOR C.G., 1980, Bizantini e Longobardi sul
limite della laguna, in AAAd, XVII, vol.I, UD, pp.247 segg.; vedi anche l'ampia
documentazione e fonti ivi riportate. Pure BRUEHL CR., 1986, Storia dei
Longobardi, in AA.VV., MAGISTRA BARBARITAS, MI, p.98.
15) P.D., Il, 10: 'Hoc etiam tempore Romanam ecclesiam vir sanctissimus
Benedictus papa regebat. Aquileiensi quoque civitati eiusque populis beatus
Paulus patriarcha preerat. Qui Lan gobardorum barbariem metuens, ex Aquileia
ad Gradus insulam confugit secumque
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omnem suae thesaurum ecclesiae deportavit' (Bartolini E., 1982, p.94O); qui il
patriarca Paolo (558-569) viene detto contemporaneo di papa Benedetto I (573-
577), ma nel 569 era papa Giovanni III (560-572) e nel 573 il patriarca era Elia
(57 1-586).
Dagli atti del sinodo mantovano dell'827: 'eo tempore, quo Longobardi Italiam
invaserant, Romanam aecclesiam vir sanctissimus Benedictus papa regebat,
Aquileiensi quoque civitati eiusque populo Paulus patriarcha preerat, qui
Longobardorum barbariem et immanitatem metuens, ex civitate Aquileiensi et
de propria sede ad Gradus insulam, plebem suam, confugiens, omnemque
thesaurum et sedes sanctorum Marci et Hermachore secum ad eandem insulam
detulit' (CESSI, 1940, Docum., I, n.50, p85).
Quasi con le stesse parole di Paolo Diacono, e con integrazioni dal sinodo
mantovano, in GIOVANNI DIACONO, Chronicon Venetum, in P.L., t. 139,
col.877: 'qui (Paulus), Longobardorum rabiem metuens, ex Aquile gia ad Gradus
insulam confugit, secumque beatissimi martiris Hermachorae et ceterorum
sanctorum corpora quae ibi humarafuerant deportavit'.
16) BOGNETTI, 1960, Continuità delle sedi episcopali e l'azione diRoma,
p.433. La notizia sembra derivare dalla cronaca di Secondo di Non,
contemporaneo agli avvenimenti.
17) P.D., Il, 32. Da confrontare con GREGOR. TURON., Hist.Franc., IV, 41,
P.L., t.71, col.303: 'Quam regionem ingressi, maxime perseptem
annospervagantes, spoliatis ecclesiis, sacerdotibus intefectis, in suam redigunt
potestatem'. Vedi anche GREGORIO MAGNO, Dialogorum Libri, III,
27-28-29, P.L., t.77, col.284-85.
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18) Il già accennato P.D., lI, 32: 'exceptis his regionibus quasAlboin ceperat' (in
BARTOLINI,
1982, pp.964-65). PEPE G., il Medioevo barbarico d'italia, ed.l973, p113.
FASOLI G.,
1965, ILongobardi in italia, BO, p75.
19) FASOLI, 1975, p75; BOGNETTI, Processo logico ... di Paolo Diacono,
E.L., III, p.164
e n.5, p165.
20) P.D., III, 14. CESSI, 1940, Docum., n.50, p.85: '... regendamque aecclesiam
Probino
reliquit. isto quoqueAquileie defuncto...'. La notizia del Diacono non convince il
PASCHINI,
1975, p.99, nota 27. Nel battistero di Grado è invero presente un pluteo con
colombe e croce
ansata che contiene un monogramma, interpretato dallo Zovatto come quello di
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Probino
(TAGLIAFERRI A., 1981, Le diocesi diA quileia e Grado, Corpus della scultura
altomedievale,
X, Spoleto, p.414-l5, e tav.CCXXXVI, n.647).
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concomitante
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attacco dei Persiani e degli Avari. E dopo la metà degli anni '70 i Longobardi
dilagavano nella penisola fino alla periferia dell'antica capitale.
La cessazione delle ostilità da parte dei cattolici romani, e la condiscendenza
imperiale ad una Chiesa scismatica nelle Venezie, per l'opportunità di non
rompere il fragile equilibrio di fedeltà nei territori tenuti dai Longobardi
filo-bizantini e in quelli ancora soggetti all'Impero, potrebbe quindi spiegare il
fatto che Elia non aveva alcun timore a trasferirsi in Grado bizantina, dove
indisturbato convocò tutti i suoi suffraganei.
In questo castrum, nel giro di qualche anno dall'abbandono di Aquileia, e
appunto nel 579, si procedette alla consacrazione di S .Eufemia, radicalmente
ristrutturata da Elia come si legge nell'iscrizione acclamatoria 23, Con
l'occasione venne convocato un sinodo dei vescovi suffraganei di Aquileia, per
ribadire il credo niceno e i deliberati del concilio di Calcedonia, cui si
attenevano strettamente i Tricapitolini. In questa circostanza i vescovi delle
diocesi in area longobarda si ritrovarono, assieme ai due del Norico e al delegato
della Rhetia secunda, con i numerosi presuli delle terre venete della sancta
respublica, cioè dell'impero 24,
Gli atti del sinodo risultano gravemente interpolati, ma nelle edizioni critiche
viene riconosciuto che le sottoscrizioni dei partecipanti non risultano alterate
nella sostanza, e un punto a favore deriva dal fatto che l'elenco dei vescovi
intervenuti a Grado fu conservato, pur con qualche variante 25, negli atti del
sinodo di Mantova dell'827. Le assenze al consesso gradense quindi dei presuli
di Belluno, di Asolo, di Vicenza, e l'arrivo del sostituto del vescovo di Feltre a
lavori iniziati (secondo gli Acta synodus Gradensis), di primo acchito
sembrerebbero evidenziare l'esistenza di difficoltà per le Chiese nei ducati di
Ceneda e di Vicenza. In senso positivo sembrano invece testimoniare le presenze
a Grado dei presuli di Zuglio, di Trento, di Verona, e pure quella del
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23) Dall'epigrafe in S.Eufemia: '... longa vetustatis senio fuscaverat aetas / prisca
en
cesserunt magno novitatis honori/praesulis Haeliae studio praestante beati!... '.
Gli atti del
sinodo di Grado parlano di 'nova basilica sanctae venerabilis martiris
Euphemiae' (CESSI,
1940, Docum., n.6, p.8). Cfr. la cronaca in GIOVANNI DIACONO, Chron.
Venetum, P.L.,
t.139, col.881; e Chron. Gradense, col.949-50.
24) CESSI, 1940, Docum., n.6, pp. 7 e segg; e doc.n.50, p.88. cfr. CUSCITO G.,
1980, La fede
calcedonese e i concili di Grado e di Marano, in AAAd, XVII, p.225-230.
25) Dalla documentazione del consesso mantovano rispetto agli Acta Gradensia,
il vescovo
di Verona non risulta presente al sinodo, ed i nomi di alcuni vescovi sono
scambiati con quelli
dei presbiteri loro rappresentanti.
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sono le passiones dei santi patroni, poco più che medievali leggende, ed i
cataloghi episcopali, abbastanza tardivi, spesso contraddittori o, per quel che
riguarda le origini, talvolta privi di ogni fondamento, come spiegava il
Tramontin. Eppure, negli annuari diocesani si ritrovano ancora numerose quanto
improbabili datazioni di fondazione al I-Il secolo d.C. Solo tra il 250 e fino al
313 ci sarebbero due diocesi sicure nella Venetia: Aquileia e Verona. Nel IV
secolo vengono documentati da fonti letterarie anche i vescovi di Altino e di
Padova. Al concilio di Aquileia del 381 erano presenti i presuli di Aquileia, di
Altino e di Trento 27, Da un'omelia di S. Cromazio si rileverebbe che la diocesi
di Concordia venne fondata poco dopo il 381. Agli inizi del drammatico V
secolo sono quindi sicuramente documentati i vescovadi di Aquileia, Concordia,
Altino, Padova, Verona e Trento. Tra la metà del V secolo e la prima metà del
VI, l'invasione unna, l'inserimento prima degli Eruli di Odoacre poi dei Goti
ariani di Teodorico, quindi le drammatiche guerre, le ricorrenti epidemie di
peste, il calo demografico e la documentata crisi delle città ben difficilmente
potevano portare alla costituzione di nuove diocesi, in base ad un canone
restrittivo del concilio di
26) Per TRAMONTIN 5., 1983, Le origini del cristianesimo nel Veneto e gli
inizi della
Diocesi di Ceneda, p.27, la diocesi di Vicenza risalirebbe al V secolo, e pure
quella di Belluno
(ma senza documentazione probatoria); quella di Asolo al VI. Sulle
documentazioni di
vescovi nel Veneto, cfr. SPAGNOLO, 1982, Evangelizzazione, p.3O-32.
27) TRAMONTIN 5., 1976, Origini cristiane, in Storia della Cultura Veneta, I,
VI, pp. 102-
123. TRAMONTIN, 1983, Le origini del cristianesimo nel Veneto, p.27-13. Cfr.
SPAGNOLO E., 1982, La prima evangelizzazione nella 'Venetia et Histria', pp.
15-20.
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Sardica 28, Ove gli eventi non provocarono piuttosto la cessazione certa di
parecchi episcopati, e non si esclude una tale ipotesi di interruzione per alcuni
dei nostri; e potrebbe essere il caso di Vicenza o persino di Oderzo.
Non è che le cose, dal punto di vista religioso, fossero migliorate ai tempi della
travagliata restaurazione narsetiana. L'area prealpina veneta tra intensi
acquartieramenti di popoli più o meno ariani, Alamanni, Goti ed Eruli,
interessata ancora da sconvolgimenti bellici, non si prestava facilmente a una
riorganizzazione in diocesi cattoliche, e le piccole comunità di autoctoni latini,
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forse minoritari, furono lasciate all'assistenza del clero delle diocesi delle grosse
città. Rammentiamo infine la panoramica della situazione del Cristianesimo nel
Veneto, circa alla metà del VI secolo, come appare in Venanzio Fortunato, dal
quale le civitates di Asolo, Belluno e Vicenza non vengono ricordate.
L'occasione che avrebbe poi dato origine alle tre diocesi potrebbe essere
individuata nello scatenarsi dello scisma dei Tre Capitoli nella Venetia et
Histria, per cui il metropolita Paolo aveva preso la risoluzione di staccare la
regione ecclesiastica aquileiese da Roma imboccando la via dell'autocefalia.
Successivamente, col patriarca Elia, di origine orientale e quindi risoluto nella
disputa dottrinaria, si era di nuovo sentita fortemente l'opportunità di una
ricompattazione politico-religiosa in senso tricapitolino dei presuli di obbedienza
aquileiese, e con il sinodo di Grado si giunse alla riorganizzazione della
circoscrizione ecclesiastica nelle Venetiae.
Nel Chronicon Gradense, compilato tra X e XI secolo e attribuito a Giovanni
Diacono (edizione del Migne), fonte incerta ma non c'è di meglio, compare la
notizia della "ordinazione" o meglio della riorganizzazione
(con approvazione del clero e del popolo) di sedici episcopati da parte del
metropolita 29,
28) Il concilio di Sardica (Sofia), del 343, aveva proibito di creare nuovi vescovi
'in aliquo pago vel parva urbe, cui vel unus presbyter sufficit .. .ne episcopi
nomen et auctoritas vilipendatur' (CARILE-FEDALTO, 1978, p.278).
29) GIOVANNI DIAC., Chronicon Gradense, P.L., t.139, col.948: 'Tunc Helias
egregius patriarcha cum omni illa multitudine episcoporum ac cleri etpopuli
collaudatione ordinavit sedecim episcopatus inter Foro giuliensium necnon et
Hystriae sivae Dalmatiae partes, videlicet in Vegla, in Apsaro, in Pathena. In
Venetia autem sex episcopatus fieri constituit. In Venetia autem sex
episcopatusfieri constituit. Quorum electiones uniuscujusqueparrochiae clero et
populo comittens, sicut a beato Benedicto sanctae Romanae sedis antistite fuerat
sancitum necnon et privilegii scripto confirmatum, duci investicionem concessit.
Horum
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sei vescovadi vedi CUSCITO G., 1990, L'origine degli episcopati lagunari tra
archeologia e cronachistica, in AAAd, XXXVI, UD, pp.l57-l74. Gli episcopati
lagunari venetici non vengono citati nel resoconto di Paolo Diacono sullo scisma
(P.D., III, 26).
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32) Il Cessi ipotizzava come fonte un antico catalogo dei patriarchi delle
Venetiae redatto nella residenza gradense, cfr. BARTOLINI E., 1982, p1202,
nota 22.
33) Anche a Vicenza ed Asolo vengono documentate importanti chiese
paleocristiane.
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Una questione molto dibattuta in passato presso gli studiosi di storia cenedese,
che riflettevano le posizioni contrapposte di eminenti storici, riguardava
l'esistenza di una diocesi a Ceneda alla metà del VI secolo, sulla base
dell'attribuzione del vescovo Vindemio alla Chiesa cenedese piuttosto che a
quella di Cissa in Istria. Vindemio figurava fra i sottoscrittori degli atti del
sinodo di Grado del 579, ma la lettura del suo titolo episcopale risultava
controverso fino all'edizione critica degli Acta da parte del Cessi, accettata e
riproposta dal Cuscito. Il testo riporta 'Vindemius, episcopus sanctae ecclesiae
Cessensis', anche se nell'edizione del Cessi del 1940 sfortuna volle che un refuso
facesse stampare Cesaensis 35, Quanto alle numerose lezioni precedenti, nel
Chronicon Gradense edito dell'Ughelli compare Cenensis; altrove si legge
Citinensis e persino Ticinensis; nella cronaca del Benintendi, cancelliere del
Dandolo, la Chiesa è detta Cesetensis; nei codici della Marciana compare
Cenetensis e in quelli del Dandolo risultano sia Cesensis che Cessensis 36,
Nelle redazioni più antiche sul sinodo, cioè nel Chronicon Venetum e in quello
Gradense, editi dal Migne sulla base del Cod. Urb. Vatic. 440 (ma ricavati dal
Pertz curatore dei testi per l'edizione in M. G.H.), compare ancora Cessensis;
identica voce si ritrova infine negli estratti del sinodo di Grado riportati negli atti
del sinodo di Mantova dell'827
Il Cappelletti, l'Ughelli, e alcuni scrittori cenedesi tra cui il Bernardi, ritenevano
giusta la lezione Cenetensis, e che Vindemio fosse vescovo di Ceneda 38 Il De
Rubeis, il Paschini, oltre al Cessi accettavano piuttosto Cessensis seguendo le
lezioni più antiche e corrette, e riferivano il titolo a Cissa, piccola ma importante
isola dell'Istria, già citata da Plinio, dalla Notitia Dignitatum, da S.Gerolamo,
dall'Anonimo Ravennate, dalla Cosmografia del presbitero Guido
35) CESSI, 1940, Docum, doc.6 (refuso tipografico in Cesaensis), p12; cfr.
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CUSCITO G.,
1980, La fede calcedonese e i concili di Grado e di Marano, p2130.
Ceneda. L'ed. del M.G.H., riferendosi ai passi del Diacono, propone tutte le
varianti del titolo
episcopale.
37) JOANNES DIAC., Chron. Ven. et Grad., P.L., t. 139, colI. 882 e 950.
CESSI, 1940, doc.
50, p.88.
38) CAPPELLETTI G., 1854, Le chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri
giorni, VE,
X, p.231; UGHELLI F., 1720, Italia Sacra, V, coll.169-73; BERNARDIJ.,1845,
La civica
aula cenedese con i suoi dipinti, gli storici monumenti e la serie illustrata dei
vescovi, Ceneda
(rist.BO,1976), pp.101-103
39) DE RUBEIS, Mon. Eccl. Aq., col.259. BABUDRI, 1919,11 vescovado, p.38
e p.49.
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e basilica extrahens, Ravennam cum iniuria duxit cum aliis tribus ex Histria
episcopis, id est
Iohanne Parentino et Severo atque Vindemio, necnon etiam Antonio iam sene
ecclesiae
defensore' (Bartolini E., 1982, p998). Cfr. CESSI R., 1957, Da Roma a
Bisanzio, pp.373
segg.
41) E' assai probabile, ed è un'impressione diffusa, che col patriarca venissero
tempestivamente arrestati i suoi tre vescovi consacranti (PASCHINI, 1975, p.
105, n.2. CUSCITO, 1980,
I concili, p.223).
42) In CESSI, 1940, Doc., n.9, p.120.
43) CESSI, 1940, Docum, doc.8, p19. Cfr. BERTOLINI O., 1958, Riflessi
politici, p.742.
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delle superstiti terre imperiali presso le lagune venete, oltre ai vescovi dell'Istria
e della Pannonia 46,
I vescovi storici delle terre longobarde nelle Venezie risultano tutti presenti. E'
una testimonianza importante di un clima favorevole nei confronti di quelle
Chiese, dato che fin dal 579 avevano potuto quantomeno "riorganizzarsi", e non
solo perché i duchi delle Venezie erano stati più o meno costantemente in
accordo con l'Impero. Difatti di lì a poco l'esperienza di collaborazione nelle
Venezie tra Tricapitolini e Longobardi avrebbe trovato consensi anche nella
politica religiosa del regno longobardo, favorita dalla regina Teodolinda, fino a
diventare funzionale al regno con l'appoggio dallo stesso re Agilulfo.
Effettivamente per quei vescovi riuniti nel sinodo le grosse preoccupazioni erano
derivate non dai Longobardi, come veniva testimoniato per altre situazioni nella
penisola, ma da un altro fronte, cioè da Roma nel quinquennio precedente, a
causa dell'attivismo anti-scismatico di papa Pelagio
11(578-90).
Con questo papa, vennero riprese le pressioni nei confronti del patriarca
aquileiese, a partire dalla pace-tregua di tre anni tra l'esarca Smaragdo e i
Longobardi (del 585-86), come scrive lo stesso Pelagio in una delle sue
lettere al patriarca Elia 47,
Pelagio, dopo ripetute esortazioni epistolari ad Elia, aveva infine spinto l'esarca
Smaragdo ad azioni repressive contro i presuli della provincia veneto-bizantina.
L'esarca però poco aveva potuto contro Elia, perché l'imperatore, sollecitato con
lettera dallo stesso patriarca, aveva bloccato tassativamente ogni ulteriore
iniziativa. Solo dopo la morte del metropolita
46) P.D., III, 26. Paolo, che forse elabora malamente dalle ducumentazioni,
scrive di un 'sinodo di dieci vescovi', ma ne elenca diciasette, tra "oppositori" e
"difensori" di Severo. Dieci sono anche i vescovi dei territori longobardi che
sottoscrivono la supplica all'imperatore Maurizio del 591, percui dal racconto
del Diacono "non sappiamo quali veramente siano stati i vescovi intervenuti a
Marano" (PASCHINI, 1975, p.I 06, nota 4). Il vescovo Pietro di Altino, citato
dal Diacono, non compare tra i firmatari della superstite supplica a Maurizio, e
c'è discordanza nelle due fonti anche sui nomi dei vescovi di Concordia e di
Treviso (rispettivamente Clarissimo-Augusto e Rustico-Felice).
Da Paolo Diacono ricopia alla lettera con qualche lacuna il diacono Giovanni
(IOANNES, Chronicon Venetum, P.L., t.139, coll-883-884).
47) Le missive di papa Pelagio ad Elia in PELAGIO Il, Epistole et Decreta,
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(a.587), Smaragdo era passato a vie di fatto contro il neo-eletto Severo e contro
altri tre presuli istriani, tratti a forza dalle chiese e costretti a Ravenna ad
abbracciare l'ortodossia, secondo la cronaca di Paolo Diacono.
La morte di papa Pelagio, del 590, e il richiamo di Smaragdo a Costantinopoli,
ridavano spazio ai Tricapitolini, e Severo rientrava nello scisma presentando una
ritrattazione scritta in occasione del sinodo dei vescovi suoi suffraganei,
radunato appositamente a Marano in quello stesso anno. La scelta della località
sembrerebbe meditata: non molto discosta da Grado, ai confini tra le terre
longobarde e quelle imperiali, risultava sufficientemente lontana, per
precauzione, dalla portata delle azioni dirette del nuovo esarca Romanos: è
abbastanza curioso però che nella lettera dei presuli longobardi per Maurizio,
l'esarca sia citato con deferente simpatia. E' significativo anche che il sinodo non
sia stato convocato ad Aquileia, ma probabilmente la città era ormai sommersa
dalle paludi ed inabitabile.
Anche il neo-eletto papa Gregorio Magno si lamentava con Severo della sua
recidiva separazione dalla comunione cattolica, e lo convocava a Roma ad un
concilio in cui si sarebbero dovuti sciogliere i nodi della disputa dottrinaria. La
convocazione veniva però perentoriamente intimata, con il sostegno di un ordine
imperiale, sotto la minaccia di soldati agli ordini di un tribuno
I presuli delle Venetiae e dalla secunda Retia prontamente reagirono e, a sinodo
maranese ancora aperto o poco dopo, nel 591, inviavano tre diverse suppliche
all'imperatore Maurizio, come si apprende da una missiva dello stesso
imperatore al papa. La prima veniva inviata da dieci vescovi residenti in terra
longobarda, la seconda da parte di Severo e dei presuli dei territori soggetti
all'impero, l'ultima dello stesso Severo Importante il resoconto degli avvenimenti
religiosi fatto dai dieci antistiti dei territori longobardi nell'unica lettera
superstite, e significativo il tenore della medesima, a testimonianza del clima che
si respirava in quegli anni nelle Venezie.
48) La morte di Pelagio Il in P.D., III, 24. Sulla doppia abiura di Severo: 'Et nos
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50) CESSI, 1940, Docum., doc. n.8, p18: 'Nam, cum quo nobis ipsa causa est, et
quem in communione vitamus, iudicem experiri non possumus. Quod etiam
sacratissimis legibus vestris statutum est, nullum posse iudicem esse in causa,
qua adversarius comprobatur'.
51) CESSI, 1940, Doc., n.8, p.l4: 'Nam, etsi nos peccata nostra ad tempus
gravissimo iugo gentium summiserunt nec obliti sumus sanctam rempublicam
vestram, sub qua olim quieti viximus et, adiuvante Domino, redire totis viribus
festinamus'
'Ergo, mitissime dominator, totius concilii nostraeparvitatis haec est deliberatio
utpro reddenda ratione communionis nostrae, contrito, Dei iudicio, iugo
barbarico, opportuno tempore ad vestrae pietatis vestigia occurramus..' (...).
'... laborantefideliter glorioso Romano patricio, . . . credimus nos celeriter,
devictis gentibus, ad pristinam libertatem reduci'.
77
"Ma poiché gli arcivescovi delle Gallie sono vicini, gli eletti si presenteranno
afarsi consacrare da loro, e così si dissolverà la metropoli d'Aquileia costituita
nel vostro impero, per mezzo della quale, sotto la protezione di Dio, dominate
ancora sulle chiese che si trovano nelle mani dei barbari"52
I vescovi firmatari, benché i duchi longobardi della Venetia fossero rientrati al
soldo dei Romei, si sentivano evidentemente al sicuro da eventuali rappresaglie,
e il tono di alcuni passaggi dà l'impressione che nutrissero seri dubbi
sull'eventualità che l'Impero riuscisse ad imporre il suo potere diretto e in breve
tempo sui territori veneti, cioè che "sconfitti i barbari, potessero velocemente
ritornare all'antica libertà".
Maurizio, alla luce dei fatti, fece buon viso, e la sua replica, dettata da
opportunità politica, fu immediata. Ancora nel 591, l'imperatore inviava a papa
Gregorio una iussio che congelava le iniziative papali nelle Venezie, e rinviava
la composizione della controversia religiosa ad un momento più favorevole,
successivo alla sottomissione definitiva delle terre longobarde:
'quousque ... adpristinum ordinem redigantur'.
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52) CESSI, 1940, Docum., doc.8, p.18: 'sed quia Galliarum archiepiscopi vicini
sunt, ad ipsorum sine dubio ordinationem occurrent, et dissolvetur metropolitana
Aquileiensis ecclesia sub vestro imperio constituta, per quam, Deo propitio,
ecclesias in gentibus possidetis, quod ante annos iam fieri coeperat, et in tribus
ecclesiis nostri concilii, id est Breonensi, Tiburniensi, et Augustana (in M.G.H.,
Epist., I però Aguntana) Galliarum episcopi constituerant sacerdotes' (traduz. in
PASCHINI, 1975, p.l08).
53) 'Quia igitur et tua sanctitas cognoscitpraesentem rerum Italicarum
confusionem et quod oportet tempori bus competenter versari, iubemus tuam
sanctitatem nullam molestiam eisdem episcopis inferre, sed concedere eos
otiosos esse, quousque per providentiam Dei ... et ceteri episcopi istriae seu
Venetiarum iterum ad pristinum ordinem redigantur' (CESSI, 1940, Docum.,
n.9, p20).
Ne accenna anche papa Gregorio I in una lettera a Giovanni di Ravenna: 'De
causa vero episcoporum Istriae, omnia quae mihi vestrafraternitas scripsit, ita
esse jam ante deprehendi in iisjussionibus quae adme apiissimisprincipibus
venerunt, quatenus me interim ab eorum compulsione suspenderem'
(GREGORIO MAGNO, Epist., LI, md. X, n.46, P.L, t.77, col.584).
54)11 vescovo di Padova rimase probabilmente in sede fino alla distruzione
della città da parte di Agilulfo, nel 602. L'episcopio si trasferì quindi in laguna
sotto protezione bizantina, dato che un presule patavino risulta presente al
concilio di Roma, del 680, fra i vescovi della metropoli gradense che
sottoscrissero la lettera sinodale di papa Agatone (cfr. BOGNETTI, 1960, La
continuità delle sedi episcopali, p.445.
Secondo il documento liutprandino Spurio O dubbio del 743, il vescovo di
Treviso avrebbe invece assunto ad interim il titolo di Padova (CESSI, 1940,
Doc., n.27, pp.4l segg.). Non si
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Il vescovo Marciano.
Già si diceva sulle origini del Cristianesimo e dei vescovadi nelle Venezie.
Per Oderzo, una volta ammessa la falsità della lapide e della notizia del Dandolo
che tramandano un Epodio opitergino tra i vescovi consacranti la chiesa di S.
Giacomo di Rialto nel 419 56, dalle poche documentazioni certe, si può ritenere
che il suddetto episcopato non risalga anteriormente alla metà del VI secolo. Per
quel secolo la leggenda presenta una piccola serie di vescovi completamente
ignorati dalla storia - avverte il Paschini, ed elenca S.Floriano, S.Tiziano e
S.Magno A meno che la diocesi non fosse da qualche tempo cessata, Marciano,
citato negli atti del sinodo di Grado del 579, è il primo vescovo di Oderzo
documentato con certezza. L'ipotesi quindi di fondazione della diocesi opitergina
verso la metà del VI secolo, concorderebbe col fatto che Venanzio Fortunato
non la nomini nel suo viaggio poetico in patria, che è anche una realistica
ricognizione della situazioesclude che questa fosse una interpolazione dei tempi
del sinodo di Mantova, per mantener
vivo in terra longobarda il titolo patavino e rafforzare la pretesa aquileiese di
riportare il
vescovado sotto la sua giurisdizione. Un presule di Padova, Domenico,
ricomparve in
terraferma proprio al sinodo di Mantova del 827, a cui però non parteciparono
quelli lagunari,
di osservanza gradese (CESSI, Doc., n.50, p.83).
55) Vedi infra l'epigrafe funeraria nella sacrestia della chiesa di S.Eufemia di
Grado.
56) CUSCITO G., 1983, Testimonianze archeologiche monumentali, p.85. Cfr.
TRAMONTIN
5., 1983, Le origini del cristianesimo, p.27-3l.
57) PASCHINI P., 1946, L'origine della Chiesa di Ceneda, p.ll. Cfr.
TRAMONTIN 5.,
1986, ISanti Patroni, pp.9-23.
79
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proprio verso la fine del VI secolo e doveva ben essere documentato: quando
dimostrava la sua amicizia per i presuli tricapitolini di Aquileia, Concordia e
Treviso, non avrebbe sicuramente ignorato Marciano vescovo di Oderzo, pure
tricapitolino, se egli, alla sua partenza per la Gallia, nel 566, ne avesse avuto
notizia.
Dopo la partecipazione al sinodo di Grado, non si ha notizia di alcun presule
opitergino tra i partecipanti al successivo sinodo di Marano. E' ben noto
comunque che non ci sono pervenuti i nomi ed i titoli dei vescovi della provincia
bizantina, che, parallelamente ai loro confratelli in terra longobarda,
sottoscrissero una supplica all'imperatore andata perduta. Stranamente neppure
Paolo Diacono, come si accennava, fa menzione di un vescovo opitergino nel
suo capitoletto sullo scisma di Severo e sul sinodo maranese.
Nella sacrestia della cattedrale di S.Eufemia a Grado risulta sepolto un vescovo
di nome Marciano, purtroppo senza l'indicazione della sede, secondo l'epigrafe
58:
"Qui riposa nella pace di Cristo il vescovo Marciano di santa memoria, che fu
vescovo per 44 anni, ma per 40 annifu pellegrino per la fede; venne quindi
deposto in questo sepolcro l'ottavo giorno prima delle calende di Maggio (24
Aprile), indizione undicesima".
Questo Marciano viene ritenuto da alcuni un patriarca cattolico di Grado e, su
suggerimento del Chronicon Gradense, immediato successore dello scismatico
Severo 59; viene però espunto dai cataloghi patriarcali dalla critica più
agguerrita, poiché risulta ignorato sia da Paolo Diacono che nella cronistoria
fatta al sinodo di Mantova. Si suppone sia stato inserito nei tardi cataloghi fra
Severo e Candidiano in base al calcolo al 608 dell'indizione undecima segnata
sull'epigrafe.
Secondo il Paschini, la data più probabile della morte del presule, dovrebbe
essere però il 593, e Marciano viene identificato col vescovo di Oderzo presente
al sinodo di Grado. Questa proposta, farebbe combinare col senso dell'epigrafe
una serie significativa di coincidenze, che rafforze
58) 'Hic requiescit in pace Christi sanctae memoriae Marcianus Episc. qui vixit
in episcopato annos XLIIII et pere grinatus est pro causa fidei annos XL
depositus est autem in hoc sepulchro VilI kal. Maias indict. undecima' (in
BELLIS, 1978, p. 160).
Supposto ma non sicuro vescovo opitergino per Bellis (cit., p. 159), che accetta
il 593 come data della morte del presule, proposta dal Paschini.
59) JOANNES DIAC., PL, t. 139, col.95 1. Cfr. anche DANDOLO A.,
Chronicon Ven., LVI, cap.III, 3, in RR.I.SS., t.XII, col. 108. Sia Paolo Diacono
(III,26 e IV,33) che gli atti del sinodo mantovano (CESSI, doc.50, p85) ignorano
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aumentato di 3 e diviso per 15 (in Bartolini, 1982, p.ll99, nota 17). Ora l'a.593
aumentato di 3 fa 596, che diviso per 15 dà un resto dii 1: l'indizione undecima
appunto, che cade pure nel 608,623,638, ecc.
61) GREGORIO MAGNO, Epist., IX, ep.94, ind.II (a.598), in P.L., t.77,
col.1020. Cfr.
Paschini, 1975, p111.
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Agnello (tricapitolini), strappati con violenza dalle loro chiese dai militi romei e
costretti contro volontà, a detta di Giovanni, a dare il consenso all'elezione di
Candidiano 66 Nella sua lettera Giovanni esortava il re, 'laborate et agite',
affinché impedisse in futuro l'elezione 'in Gradensi castro' di un successore di
Candidiano, quando lo 'sventurato fosse da questo mondo trapassato agli eterni
tormenti' 67.
L'appello implicito ad attaccare Grado veniva lasciato cadere da Agilulfo, anche
perché, seguendo la relazione fatta al sinodo di Mantova, la città "cinta dal mare
e dai flutti, e per la resistenza dell'esarca Smaragdo, allora non si era potuta
prendere" 68.
Da allora si ebbero due patriarchi aquileiesi nella Venetia et Histria, e due
circoscrizioni metropolitiche; il patriarca cattolico di 'Nova Aquile gia' in Grado
aveva giurisdizione sull'eparchìa Istrìas, cioè sulla provincia altoadriatica
soggetta all'Impero, comprendente le aree lagunari venete, la Secunda Venetia, e
l'Istria vera e propria; l'altro metropolita tricapitolino di "Aquileia Vetere", con
residenza 'in Cormonensi castro', organizzava i vescovadi dell'Austria
longobarda, dalle Alpi Giulio-Carniche fino a Brescia, e addirittura a Como 69
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però attirata verso il cattolicesimo di Roma, anche per lo zelo del monaco
irlandese S.Colombano. Il favore della regina aveva portato poi all'espansione
delle missioni cattoliche dei monaci di Bobbio in sempre
66) CESSI, 1940, doc.n.12, p23, che rinvia al doc. n.50, Atti del Sinodo
Mantovano, p86:
'Et Petrus, Providentius seu Agnellus, episcopi Istriae, qui adhucfidem sanctam
tenebant et Candidiano necdum consentiebant, de aecclesiis suis a militibus
tracti et cum gravi iniuria et contumeliis ad eum venire compulsi sunt'.
Pietro e Providenzio in una lettera di Gregorio Magno risultano però già ben
intenzionati a recedere dallo scisma (PASCHINI, 1975, p.11O).
67) CESSI, 1940, doc.n.50, p.86: 'Laborate et agite, quatinus etfides catholica
vestris augeatur temporibus et in Gradensi castro, postquam infelix Candidianus
de hoc seculo ad aeterna supplicia transmigravit, altera iniqua ordinatio ibi
minime celebretur nec populus ille amplius tribuletur'.
68) 'Et quia Gradus mari etfluctibus cingitur Smaragdo hesarcho resistente, tunc
a Longobardis capi non poterat' (CESSI, Doc., n.50, p.86).
69) Qui il patriarca Giovanni I inviava un proprio vescovo, Agrippino
(PASCHINI, 1975, p.115).
83
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La reazione tricapitolino-ariana.
84
sandolo alla tutela del cognato Arioaldo, duca di Torino Arioaldo, che aveva
sposato Gundeberga, sorella di Adaloaldo, risulterebbe associato al regno, e per
far quadrare i suoi 12 anni di governo registrati dal Diacono bisognerebbe
pensare che fosse entrato in carica fin dal 624, quindi per qualche tempo
contemporaneamente ad Adaloaldo 72. In questo senso si constata nella lettera
di papa Onorio I al nuovo esarca Isacio, del 625, con cui veniva incoraggiato un
deciso intervento del braccio secolare in favore di Adaloaldo. Nella missiva il
papa deprecava il tentativo dei vescovi tricapitolini, 'in transpadanis partibus', di
sollecitare un potente ministro di etnia romana alla corte di Teodolinda perché,
in dispregio del giuramento fatto al re legittimo, passasse al seguito del 'tyrannus'
Arioaldo, come lo chiama Onorio. Ecco l'illuminante testimonianza del papa:
"Ci viene riferito che i vescovi della Transpadana si sforzino di persuadere
Pietro figlio di Paolo, perché abbandoni il re Adaloaldo e aderisca invece all
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Vittorio Veneto http://www.tragol.it/Flaminio/flaminio-11/59-104.htm
71) PD., IV, 41. FREDEGARIO, Chronicum, cap.L, P.L., t.7 1, col.637:
'Charoaldum ducem Taurinensem, qui germanamAdaloaldi regis habebat
uxorem, nomine Gundebergam, omnes seniores et nobilissimi Lan gobardorum
gentis uno conspirantes consilio, in regnum eligunt sublimandum. Adaloaldus,
veneno hausto, interiit'. (Vedi anche GASPARRI, 1978, Duchi, p51, e nota 115
a
72) Cfr. RONCORONI, cit., p. 143, nota 134. Secondo il Diacono, Adaloaldo
regnò per dieci anni (PD., IV, 41), dal 616 al 626; Arioaldoper 12 anni (PD., IV,
42), quindi quasi certamente dal 624, fino ai 636.
73) HONORII PAPAE I, Epistolae, ep.I, P.L., t.80, col.469: 'Delatum est ad nos,
episcopos Transpadanos Petro Pauli filio suadere conatos esse, ut Adalvaldum
regem desereret, Ariovaldoque tyranno se applica ret. '( rogamus vos,
utpostquamAdalvaldum divino in regnum (ut speramus) auxilio reduxeritis,
praedictos episcopos Romam mittere velitis, ne scelus hujusmodi impunitum
relinquamus'; e ID, Epistolae, XVI fragm., in cit., col.482:
'..didicimus quosdam episcopos in transpadanis partibus quaedam verba
episcopali actui inimica Petro Pauli filio edixisse, atque monito impiae suasionis
innuere; asserentes in se perjurii reatumsuscipere, utnonAdulubaldo regi,
sedpotiusAriopaldo tyranno consentiret,'. Cfr. BERTOLINI 0., 1958, Riflessi,
p.753. La lettera di Onorio anche in M.G.H., Epp., t.III, 1892, p6913,
Epist.Langob. collectae, n.1.
85
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Una decina d'anni più tardi, poco prima del 639, Rotari riusciva a conquistare
Opitergium, capoluogo della Secunda Venetia. La perdita della piazzaforte
implicò l'immediato ripiegamento del magister militum nel castello 'quodNovas
dicitur', citato da Gregorio Magno nella sua lettera del 599 al
74) BERTOLINI, 1958, Riflessi, p.753 e nota 50. Nell 'epitaffio sepolcrale di
Onorio: 'Histria nam dudum saevo sub scismate fessa/Ad statuta patrum teque
monente redit', in HONORII PAPAE I,Appendix, LV, P.L., t.80, col.495
(daPASCHINI, 1975, p118).
75) BOGNETTI, 1960, La rinascita cattolica dell'Occidente difronte
all'arianesimo, p25.
76) HONORII PAPAE I, Epistolae, ep.II, P.L., t.80, col.469: 'Nos enim
dirigentes homines nostros ad excellentissimum Lan gobardorum regem,
injunximus, ut eumdem Fortunatum, ut relicta ab eo republica, ad gentesque
prolapsum, et abnegata concordiae unitate Deo rebellem et perfidum, necnon res
quascumque secum aufugiens abstulisse monstratur, expetat, et repetere non
moretur; ut et hi a quibus repetuntur, a patri bus Christianissimae reipublicae,
parem justitiam consequantur'.
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77) GREGORIO MAGNO, Epist., IX, ep.X, P.L., t.77, col.950: 'in castello
quodNovas dicitur episcopus quidam, Joannes nomine, de Pannonis veniens
fuerit constitutus, cui castello eorum insula, quae Capritana dicitur, erat quasi
per dioecesim conjuncta'. Novas viene individuato non lontano da Caorle
(Caprulae), e da Jesolo (Equilum), in CARILEFEDALTO, 1978, pp.325 e 339.
Idem in PASCHINI, 1975, p.I 10.
78) ROSSI A., 1945, La cronaca veneta detta altinate, hb.III, p91: 'Deinde
temporibus Eraclii imperatoris venerunt Venetici, qui remanserant de captivitate
etfecerunt Civitatem novam, que Eracliana nuncupata est'.
79). L'iscrizione in CESSI, 1940, doc., I, n.24, p139, con alcune integrazioni
tratte da PERTUSI A., 1962, L'iscrizione torcellana dei tempi di Eraclio, in
'Studi Veneziani', IV:
'(+ ln Nomine Domi)NI DEI Nostri IHesVs CHRisti IMPerante DomiNo Nostro
HERACIio/
(PerPetuo) A VGVSto ANno XX VIII INDictione XIII FACTA /
(Sanc)Te MARIE DeI GENETricis EX lVSSione PIO ET/
(Devoto) DomiNo ISAACIO EXCELLEnTiss. EXarCHO PATRICIO ETDEO
VOLente /
(PR)O EIVS MERitis ET EiVS EXERCitu HEC FABRIca ESt /
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rirsi se non alla sede del governo della zona lagunare bizantina, appunto ad
Eraclea 80
Dalle fonti storiche venetiche e da quelle documentarie si sa infatti che ai tempi
di Isaacio la sede dell'amministrazione imperiale della Venetiarum provintia, e
quindi del magister militum, era proprio a Cittanova. La città risulterà
capoluogo, centro di gravitazione e nucleo propulsore del Veneciae ducatus
quantomeno fino alla fine dell' VIlI-inizi del IX secolo, e come tale veniva
indicata e citata ai tempi del diacono Giovanni 81
Nel 639 dunque, nella nuova sede dell'amministrazione provinciale romea si era
convenientemente e tempestivamente consacrata la nuova cattedrale della
diocesi opitergina, traslata dal perduto capoluogo con l'approvazione canonica di
papa Severino, a detta del diacono Giovanni 82. Secondo la cronaca piuttosto
tarda del doge Andrea Dandolo, la traslazione veniva attribuita al vescovo
Magno
80) TRAMONTIN S., 1983, Le origini, cit., p.29. Torcello non non fu mai sede
di magister militum, e non risulta che fosse un castrum - deriverebbe il nome
eventualmente da una torre
- e nelle fonti bizantine del X secolo, è citata come importante emporion. Tra i
centri lagunari vengono indicati come castrum Olivolo nel pactum Lotharii
dell'840, e Caorle, 'kàstron Kàpre', in Costantino Porfirogenito. La pochezza
delle risultanze archeologiche riferibili al VI-VII secolo (BOGNETTI, 1968,
Una campagna di scavi a Torcello per chiarire problemi inerenti alle origini di
Venezia, E.L., IV) confermerebbe l'esiguità dell'insediamento. La costruzione a
Torcello di una importante chiesa nel VII secolo si giustifica col trasferimento
del vescovo di Altino, anche in questo caso, secondo Giovanni Diacono, col
beneplacito canonico di papa Severino (640): 'Maurus Altinensis episcopus, non
ferens Langobardorum insaniam, Severini papae auctoritate ad Torcellum
insulam venit' (Chronicum Venetum, t. 139, col.889). Il trasferimento veniva
invece anticipato ai tempi del patriarca Elia, circa nel 579, nel Chronicon
Gradense (cit., col.948).
81) Nel Chronicum Venetum sia il contestato 'Paulitio dux', che i più realistici
'Marcellus dux' (727-739) e 'Ursus dux' (739-750) venivano tutti assunti in
carica 'apud Civitatem novam'(in P.L., t. 139, coll.892-894). La città sarebbe
stata distrutta dai Venetici ai tempi del duca Obelerio (ai primi del IX secolo):
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84) Dal privilegio di papa Alessandro concesso, nel 1071, a Pietro vescovo della
Chiesa delle città di Oderzo ed Eraclea: 'Primum namque privilegium domini
pape Alessandri concessum fuit domino Petro Episcopo Oppitergine et Eracliane
Civitatum Ecclesie sub anno domini MLXXI Indicione IIII, XII Kal. novembris';
con altri privilegi in FALDON, 1988, Allegatio, p.163.
85) BOGNETTI, Appunti, IV, p.66l. Pure BROWN P., 1974,11 mondo tardo
antico, p. 142.
86) CARILE-FEDALTO, 1978, tav.V, p.242; suldrittodel sigillo laleggenda" +
ANAITAEIQ
89
in gran parte inospitali e poco abitate. Ai primi decenni del VI secolo la regione
perilagunare e le isole non presentavano ancora insediamenti di rilievo, e ai
tempi del re goto Vitige risultavano organizzate in una società sobria e non
molto articolata, come appare dalla lettera ai tribuni maritimorum del senatore
prefetto al pretorio Cassiodoro. La "Venetia maritima" poteva tuttavia contare su
una fortissima economia specializzata, marineria e trasporti, produzione e
commercio del sale, ed era retta da proprie magistrature, i tribuni appunto 87.
Il flusso di esuli nelle lagune si fece quindi più intenso durante il lungo periodo
di guerre, invasioni e pestilenze del VI secolo. Dobbiamo anche considerare
innegabile che il peggioramento climatico e l'impaludamento delle zone costiere
consigliarono dopo la metà del secolo un definitivo abbandono delle civitates
costiere. Sempre le antiche cronache riferiscono infine che l'espansione dei
Longobardi, avrebbe provocato un vero esodo dalla terraferma. Racconta nel suo
Chronicon Venetum Giovanni Diacono:
'i popoli invero della provincia, ricusando fortemente di sottostare al dominio dei
Longobardi, si spostarono sulle isole vicine' 88.
E' fuor di dubbio che nella Venezia il progressivo arretramento del fronte romeo
terrestre dalla linea Aquileia, Concordia, Oderzo, Treviso, Padova e Monselice,
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sul caposaldo di Oderzo e infine sulla sola Eracliana, avesse provocato man
mano un ripiegamento di profughi verso le lagune. Difficile però ritenere che si
fossero mosse di colpo intere popolazioni, anche per la difficoltà di reperire
spazi e mezzi, e di organizzare in poco tempo nelle isole attività adeguate per la
sopravvivenza di gruppi numerosi. Piuttosto nei momenti critici dalle ultime
roccaforti bizantine dell'interno, si erano dati ad una rapida fuga, oltre alle
gerarchie militari e al clero, la maggior parte dei possidenti, commercianti e
artigiani. Lo ricorda nei suoi lunghi elenchi di immigrati la Cronaca Altinate 89,
e in parte il Chronicon Gradense
87) CASSIODORO, Var., LXII, 24, Migne, P.L., t.69, col.874. Da JOANNES,
Chronicon Gradense, P.L., t.139, col.940-41: 'Post multarum urbium
destructionem (...) magna pars populi timore correpta, cum in paludibus et in
insulis paganorum fugientes insidias diu habitaret (...) cum plurima loca
diligenter perlustrasset, ad prefatum paludum perveniens locum, cum Ano
quodam etAratore copiosam Christianorum ibidem invenit multitudinem'. La
documentazione di Costantino Porfirogenito in CARILE-FEDALTO, 1978, p57.
Le popolazioni si dedicavano anche all'allevamento, alla pesca, e ad attività
artigianali (confermate dalla ricerca archeologica). In Anastasio si trova
l'indicazione che i Venetici attendevano pure al commercio di schiavi con
l'Africa (ANASTASII BIBL., Hist.de vitis Rom. Pont., S.Zacharias, 222,
col.1058).
88) JOANNES DIAC., Chronicon Venetum, cit., col.878: 'populi vero ejusdem
provintiae, penitus recusantes Longobardorum ditioni subesse, proximas insulas
petierunt'.
89) ROSSI A., a cura di, 1945, La cronaca veneta detta altinate.., lib.III, pp.8l
segg.
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E' innegabile anche che con i notabili e col clero delle varie comunità ripiegate
in laguna, si fosse pure trasferita la prerogativa di eleggere i
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matrici di terraferma, quanto meno fino al 680. In quell'anno, fra i presuli della
metropoli gradense che sottoscrissero a Roma la lettera sinodale di papa Agatone
vi figuravano Benenato di Oderzo, Ursiniano di Padova e Paolo di Altino,
trasferiti rispettivamente a Cittanova Eracliana, a Malamocco e a Torcello - oltre
al patriarca Agatone di Grado, che ancora si firmava 'episcopus sanctae ecclesiae
Aquile iensis provincias Istriae'. Le originarie titolazioni quindi, storicamente
indubbie nell'ambito della "Venetia maritima" nel 680 si erano mantenute nelle
isole per tutta la durata del contrasto in tema di religione fra le due metropoli
venete, la tricapitolina Aquileia in terra longobarda e la cattolica-bizantina Nova
Aquileia in Grado. I titoli furono conservati anche dopo le "traslazioni
canoniche" delle sedi episcopali, assente dalle fonti venetiche alla prima metà
del VII secolo. Evidentemente i profughi a Cittanova, a Torcello, a Malamocco,
pur perso da decenni ogni contatto con la terraferma a causa degli eventi politici
e religiosi, erano rimasti tuttavia tradizionalmente legati alle denominazioni delle
loro civitates di origine (anche per motivazioni di ordine giuridico che potevano
sottendere ragioni e rivendicazioni politiche).
Quanto al patriarca della Venetia et Istria della sede di Grado, questi risulta
frequentemente indicato col nome della sua nuova sede di titolarità nelle fonti
documentarie a partire dal VII secolo, e cioè nelle epistole papali
o imperiali (in gran parte di tradizione venetica e non scevre da
94) Giovanni Diacono ricorda che l'elezione del vescovo veniva affidata al clero
diocesano e al popolo: 'In Venetia autem sex episcopatus (Helias) fieri constituit.
Quorum electiones uniuscujusqueparrochkze clero et populo comittens ..'
(JOANNES, Chronicon Gradense, col.948).
La stessa procedura si ricava dalla vita di S.Tiziano, vescovo opitergino di cui si
dirà, secondo il suo più antico Ufficio religioso: 'Lectio V. Opitergensis autem
clerus et populus, suum expectans patronum, etpostea sciens eum minime
venturum, beatissimum ticianum invitum collaudabat episcopum: clamor
populorumfactus est una voce dicentium: ticianus christi famulus noster sit
pastor egregius' (MASCHIETTO A., 1959, S. Tiziano vescovo, Vittorio V.to, p.
17). Ancora in una lapide di Como, circa del 620, spettava al 'clerus populusque
Comensis' il diritto di nominare il vescovo (vedi BOGNETTI, 1960, Continuità,
p.3O8)
95) Cfr. BOGNETTI, 1960, La continuità, p.445; PASCHINI, 1975, p.l 28. Al
concilio erano presenti anche i vescovi Ciriaco di Pola, Aureliano di Parenzo,
Ursino di Cissa, Gaudensio di Trieste e Andrea di Celeia.
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96) Sul sinodo ticinense vedi FASOLI, 1965, iLongobardi, p.143 segg.
Severo nelle iussiones di Gregorio Magno del 590-91 e di Maurizio del 591,
viene detto vescovo Aquileiense (CESSI, Docum., n.7, p.l4 e n.9, p.2O). Nella
lettera di Gregorio I a Smaragdo del 603 si indica Severo come 'Gradensis
episcopus' (CESSI, Doc., n.li, p22). Per papa Onorio I ai vescovi della Venetia
et Istria, deI 628, il patriarca Primigenio viene consacrato 'nostrae sedis Gradensi
ecclesiae episcopali ordine cum pallii benedictione' (CESSI, Doc., n. 13, p24).
Agatone di Grado si firma Aquileiensis episcopus al concilio di Roma del 680,
mentre la lettera di papa Benedetto Il, del 683-5, sempre per perAgatone viene
diretta al 'Gradensis patriarcha' (CESSI, 1940, doc.n.15, p.25). Donato, nel 725,
viene nominato 'Gradensis presul' da Gregorio Il, in occasione del sopruso di
Pietro di Pola 'in Gradensi ecclesia' (CESSI, doc.n. 18, p.29). Gli imperatori
Leone e Costantino nella iussio del 727: 'post decessum seu obitum
fortunatissimi archi episcopi Gradensis' (CESSI, doc.n.20, p.31). Gregorio III al
'dilectissimo fratri Antonino, Gradensi archiepiscopo' (CESSI, doc.21, p.32 del
731). Altre citazioni facilmente riscontrabili sempre nel CESSI, 1940, Doc., cit.
In territorio longobardo, il patriarca Sereno viene detto 'Foroiuliensis antistes',
nella missiva di papa Gregorio Il ai vescovi delle Venezie, del 725 (CESSI,
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doc.n.l7, p28).
93
97) Vedi le controdeduzioni del messo Fausto nella contesa fra il patriarca
Callisto ed il vescovo di Ceneda, avanzate nel "placito" di Liutprando del 743
(infra).
98) BOGNETTI, 1960, Continuità, p.440.
99) A Caorle la traslazione era avvenuta 'auctoritate Deusdedi papae' (aa.
615-619); ad Eracliana 'auctoritate Severiani papae' (a 640); a Torcello 'Severini
papae auctoritate' (a.640); in JOANNES, Chronicon Venetum, P.L., t.139,
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ducatus che intendeva far leva sulla "originaria indipendenza" 100 forse si
preferiva, partendo dallo stato di fatto, considerare le fondazioni delle diocesi
lagunari come originarie.
Più o meno a questo periodo è da ascrivere l'uso del doppio titolo da parte delle
diocesi lagunari 101, e si stava già delineando il definitivo abbandono delle
antiche titolazioni delle Chiese matrici.
Sembrerebbe riferibile appunto a questo contesto di asserzione dell'autonomia
politica che venne inserita dal compilatore del Chronicon Gradense la notizia
che il patriarca Elia aveva istituito ex novo i sei episcopati lagunari.
Il trafugamento di reliquie.
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106) CESSI, 1940, Doc.,I, n.50, p85: 'Relatum igitur a nonnulli est in eadem
synodo,quod eo tempore, quo Longobardi Italiam invaserant, Romanam
aecclesiam vir sanctissimus Benedictus papa regebat, Aquileiensi quoque civitati
eiusque populo Paulus patriarcha preerat, qui Longobardorum barbariem et
immanitatem metuens, ex civitate Aquileiensi et de propria sede ad Gradus
insulam, plebem suam, confugiens, omnemque thesaurum etsedes sanctorum
Marci et Hermachore secum ad eandem insulam detulit, idcirco non ut sedem
aut primatum aecclesiae suaequeprovintiae construeret inibi, sedadbarbarorum
rabiempossit evadere'.
107) JOANNES, Chronicon Venetum, P.L., t.139, col.877: 'qui (Paulus),
Longobardorum rabiem metuens, ex Aquileia ad Gradus insulam confugit,
secumque beatissimi martiris Hermachorae et ceterorum sanctorum corpora quae
ibi humatafuerant deportavit, et apud Gradensem castrum honore dignissimo
condidit, ipsamque urbemAquilegia Novam vocavit'. 108) TAVANO 5., 1972, Il
culto di S.Marco a Grado, MI, p.2O3.
109) HONORII PAPAE I, Epistolae, ep.II, P.L., t.80, col.469.
111) JOANNES, Chron. Grad. Supplementum, P.L., t. 139, col.95 1: 'Idem
autemPrimogenius per visionem ammonitus, corpora beati Hermachorae et
martiris atque ponttflcis et sancti Felicis et Fortunati, sita miliario tercio, in
Gradensem civitatem adduxit, ibique diligenti cura deposuit'.
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La traslazione di S.Tiziano.
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del 743, che componeva la disputa a proposito di alcune pievi fra il patriarca di
Aquileia Callisto e l'episcopio cenedese, le reliquie sarebbero state trafugate
attorno al 639, cioè all'epoca della conquista di Oderzo ad opera di Rotari 115.
Anche l'accanimento attorno al possesso delle spoglie di S.Tiziano, se-
97
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116) Il ratto delle reliquie secondo il Maschietto (cit., p.89) ed il Bellis (ID.,
1978, p.l8l), sarebbe avvenuto attorno al 650. L'episodio sembra meno probabile
se riferito alla seconda presa di Oderzo del 669 ad opera di Grimoaldo, al quale
sarebbe mancata la motivazione religiosa.
117) Le obiezioni di Callisto: 'Quoniam episcopus Opitergine civitatis, sede
destructa, in quadam insula latitans vivus erat, quando tu presulatus honorem
sumpsisti'; 'Parrochia ista, quam nunc queris, ad Forumiulii pertinere debet, quia,
Opitergio destructo, Rothari rex ipsam parrochiam nostrae ecclesiae concessit'.
La replica di Fausto: 'Cui e contra Faustus, missus Aginualdi ducis, ita
respondebat: "non est ita, ut asseris, sed, Opitergio destructo, Cenitenses corpus
sancti Ticiani habuerunt, et illud honorifice ibi sepelierunt, et ob hoc ibi sedes
sanctae Opitergine ecclesiae merito mutata est' (CESSI, 1940, Documenti,
doc.n.27, pp.4l segg.). Il "placito" di Liutprando ha fondamenti storici secondo il
Cessi, mentre viene viene osteggiato dal Paschini.
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Qualche secolo dopo, pure i Trevigiani, che trafugarono il corpo del nostro
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118) Il 27 Marzo del 1200, papa Innocenzo III invia un breve minatorio ai
Trevigiani (Cfr. FASSETTA C., Storia popolare di Ceneda, Vitt.Ven., 1917, p.l
12.):
'Potestati et Populo Tarvisii sine salutatione. (...) Et cum Feltrensem,
Bellunensem ac Cenetensem diocaesesfere penitus vastasseris: (...). Vos autem
ex hoc deteriore effecti, et in Ecclesiam resurgentes Episcopatum Bellunensem
et Cenetensem manu intrastis armata et multipliciter afflixistis. (...). Nuper etiam
cum Vicentinis et Veronensibus coniurantes et cum multo exercitu irruentes in
diocesim Cenetensem (licet servare firmam Tre guam eidem Episcopo iurassetis)
Ecclesiam tam matricem, quam alias diruistis, sanctorum reliquias asportantes;
(...). (...) universitati vestraeperApostolica scripta mandamus, et sub obtestatione
divini iudicij districte praecipimus, Quatenus super praedictis omnibus Deo et
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papae' (fine anni '30); a Torcello 'Severini papae auctoritate' (sempre fine anni
'30); a Caorle 'auctoritate Deusdedi papae'; (secondo decennio del VI d.C.). A
Jesolo la costituzione di (nuova?) diocesi era avvenuta 'auctoritate divina'
(JOANNES, Chronicon Venetum, cit., col.878, 879, 889). Sulla problematica
cfr. anche BOGNETTI, Continuità, pp.44 1-453. 120) HONORII PAPAE I,
Epistolae, ep.II, P.L., t.80, col.469: 'Primogenium itaque subdiaconum et
regionariom nostrae sedis Gradensi Ecclesiae episcopali ordine cum pallii
benedictione direximus consecrandum. Oportebit ergo fraternitatem vestram
juxta legem ecclesiasticam cuncta disponere, capitique vestro sinceram
obedientiam exibere'.
100
a Grado, e solo allora, la massima reliquia a cui una chiesa veneta potesse mai
aspirare, cioè la cosiddetta cattedra di S.Marco 121
La parte aquileiese messa in difficoltà, reagì come si sa tentando di accreditare la
versione, al sinodo di Mantova (827), che la cattedra di S.Marco, con quella di
S.Ermagora, fossero state traslate da Aquileia a Grado dal patriarca Paolo I22.
Venetici replicarono e si misero al sicuro, trasportando da Alessandria il corpo
di S.Marco.
Alla metà del VII secolo la situazione delle diocesi binate doveva essere ormai
consolidata e una tale considerazione deriverebbe dalla strana notizia, riferita da
Paolo Diacono, che ai tempi di Rotari in quasi tutte le civitates del regno ci
fossero due vescovi, uno cattolico e l'altro "armano" 123 Se in realtà di vescovi
ariani ce n'erano ben pochi, e sono documentati i casi di Pavia e di Spoleto 124
si azzarda l'ipotesi che nel passo del Diacono i "vescovi ariani" andrebbero
piuttosto intesi come "scismatici".
Effettivamente, ai tempi di Rotari, ormai a settant'anni dall 'ingresso dei
Longobardi in Italia, come dato cronologico orientativo, la vicinanza con i Latini
e il favore di Teodolinda dei primi tempi per le azioni missionarie aquileiesi,
dovevano aver influenzato eventualmente in senso "tricapitolino" il
cristianesimo longobardo. Già ai tempi di Agilulfo, la lettera di S.Colombano al
papa evidenziava che all'interno del regnum la controversia religiosa si poneva
sostanzialmente tra cattolici e tricapitolini circa le divergenze sui deliberati del
concilio di Costantinopoli. Dalla lettera si ricava anche che il problema
arianesimo, pur esistente, era solo marginale ed eventualmente facilmente
componibile a livello istituzionale 125. Aggiungiamo che ai tempi di Paolo
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Diacono, che scrive nell'VIlI secolo, si era sicuramente perduta la percezione dei
connotati originari del contrasto dottrinario nelle Venezie, tanto che lo stesso
Paolo fa una grossa confusione nell'inquadrare i tricapitolini e gli ortodossi a
proposito dello "scisma di
101
Severo" 126. Del resto anche negli atti del sinodo di Mantova dell'827, il
cattolicissimo patriarca di Grado Candidiano veniva considerato addirittura
come 'haereticus'! 127
Venendo ai vescovi cosiddetti ariani, a causa della generale "rerum Italicarum
confusio", si ipotizza che anche in questo caso Paolo, sulla suggestione delle sue
fonti erronee, abbia frainteso e identificato come eretici e cioè ariani, per la loro
spiccata connotazione nazionalista e anticattolica, i presuli della Venezia
longobarda dei tempi di Rotari. Faceva però nel contempo un realistico
riferimento all 'anomala situazione della duplicazione dei titoli patriarcali e
episcopali che ai suoi tempi ancora si contrapponevano fra le civitates
dell'Austria longobarda e della Secunda Venetia imperiale: Aquileia e Grado,
Concordia e Caorle, Ceneda e Cittanova Eracliana (Oderzo), Altino e Torcello,
Treviso e Malamocco (Padova).
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126) PD., III, 26. Vedi al riguardo BARTOLINI E., IBarbari, nota 47, p.212.
Nemmeno ai tempi di Giovanni Diacono, che nel Chronicon Venetum ricopia
tale e quale (con qualche imprecisione) da Paolo, si avevano migliori cognizioni
sullo scisma nelle Venetiae (cfr. Joannes, Chron.ven., P.L., t.l39, coll.883-884).
127) CESSI, Docum., n.50, p.85: 'in Gradus quoque ordinatus est haereticus
Candidianus antistes'.
128) L'ordinazione di Valentiniano: 'Nos vero canonicae auctoritatis
reminiscentes, quia, ubiplebs crescit, episcopum ordinandi licentia est,
adhortavimus eum utaccederetadpatrem nostrum bone memorie Iohanem
scilicetpatriarcham, ut de hac causa juxta sacros canones ordinaretur. Qui, dum
insimul inde collocutiones habuissent, in jamdicto Cenetense castro episcopum,
Valentinianum nomine, consecravit patriarcha' (CESSI, 1940, Documenti,
doc.n.27, pp.42).
102
129) TRAMONTIN 5., 1983, Origini, p35. Questi ipotizza un inizio probabile
della diocesi anche al 680-685, con il patriarca Giovanni III. Sulla fondazione
circa alla seconda metà del VII secolo, dopo la distruzione di Oderzo da parte di
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Grimoaldo (attorno al 669), vedi anche il PASCHINI P., 1946, L'origine della
Chiesa di Ceneda.
Sequenza di metropoliti aquileiesi successivi alla duplicazione del patriarcato,
alla morte Severo del 606: Giovanni I (eletto in Aquileia: PD, IV, 33; scrisse nel
607 una petizione a re Agilulfo); Fortunato (transfuga in territorio longobardo:
cit. nella lettera del 628 di papa Onorio I); Felice (?); Giovanni Il (metà VII
sec.?: cit. nel "placito" Liutprandino); Pietro (aa. 687?- circa 711 0715; fin dai
tempi della chiusura dello scisma tricapitolino?. Cit. in PD., VI, 33: muore al
tempo del decesso dell'imp. Giustiniano lI Rinotmeto, del 711); Sereno (aa. 711
0715-730; riceve il pallio da Gregorio Il, nel 715, e una lettera di biasimo nel
723. Cit. in PD, VI, 33 e 45); Callisto (aa.730-756?; riceve nel 734 una lettera da
Gregorio III; èricordato nel "placito" di Liutprando, a.743. P.D., VI, 45 e 51).
Cfr. PASCHINI, 1975, p.l 28-
31.
Alcuni inseriscono tra Pietro e Sereno un controverso Giovanni IV, che sarebbe
appunto quello citato nel placito liutprandino (BOTTEON V., 1907, Un
documento prezioso riguardo alle origini del vescovado di Ceneda, pp.
100-102).
La fondazione diocesana risalirebbe ai tempi di Liutprando per BOTTEON V.,
1907, Un documento prezioso riguardo alle origini del vescovado di Ceneda, pp.
100-102: CESSI, 1951, cit., cap.V: La crisi ecclesiastica, p.74; e CANELLA G.,
Ricerche su Ceneda nell 'alto medio evo (sec.VI-IX), tesi di laurea, rei.
G.C.Mor, a.a.l970-71, PD. Pure CUSCITO G., 1983, Testimonianze
archeologiche, p.98-99. Il Paschini però avverte che se l'istituzione della diocesi
cenedese fosse avvenuta sotto Liutprando se ne avrebbe più sicura notizia. 130)
MASCHIETTO A., 1959, S.Tiziano vescovo, Vittorio V.to, p22.
131) Vedi TAGLIAFERRI A., 1982, Testimonianze di scultura altomedievale
nel Museo del Cenedese, in 'Forum lulii', VI, UD, pp.99-I06. Due frammenti di
lastre con croci vengono datate tra la fine del Vegli inizi del VI secolo, cit.,
p.101, fig.l,2.
GABERSCEK C., 1984, Recenti studi e ricerche sulla scultura altomedioevale
nell 'Italia nord-orientale, in 'Forum lulii', VIII, UD, pp.43-57.
Durante i lavori di rifacimento della cattedrale nel XVIII secolo, nella cripta era
venuto alla luce un pavimento in marmo bianco, 'ex marmore albicante',
sovrapposto ad uno più profondo in mosaico, 'ex quadratis lapillis marmoreis'
Cfr. LOTTI, Series, paragr. III; e FASSETTA, 1917, Storia popolare di Ceneda,
Vitt. Ven., p. 47.
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143. PASCHINI,
1975, pp.l 28-129, e nota 30. Testi e regesto del Carmen in Fasoli e Paschini,
citt. (da M.G.H.,
Script. rer. Lang. et Ital., p190).
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