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DIRITTO PRIVATO

Conflitto Delle leggi nel tempo


Si ha il conflitto nelle leggi nel tempo quando una nuova legge regola in modo differente dalla precedente dei rapporti giuridici che non si
erano ancora esauriti sotto l'impero della vecchia legge, in tale ambito bisogna distinguere: il diritto quesito(diritto che è già entrato a
far parte del patrimonio di un soggetto e proprio perché è già entrato nel patrimonio del soggetto dovrà essere disciplinato dalla vecchia
legge) dalla legittima aspettativa (è la speranza dell'acquisto di un diritto futuro poiché non è entrata ancora a far parte del patrimonio
del soggetto essendo una speranza dell'acquisto di un diritto futuro per questa si applicherà la nuova legge).
Efficacia della legge nello spazio: il diritto positivo italiano consente allo straniero di seguire la propria legge nazionale l'unica eccezione
a tale regola riguarda i diritti reali,diritti sulle cose sulle res, si applica la legge del luogo dove si trova il bene , tuttavia se la legge dello
straniero è contraria al buon costume o all'ordine pubblico italiano lo straniero dovrà seguire la legge nazionale.Cosa si intende per
ordine pubblico? È il complesso dei principi giuridici fondamentali dell'ordinamento italiano, per buon costume invece si intende la
coscienza morale di un popolo in un determinato momento storico.
L'interpretazione della legge
Poiché la norma è in sé astratta, non può essere applicata al caso concreto senza l’attività interpretativa del giudice. Il giudice quindi
nell’emettere una sentenza applica le norme astratte al caso concreto detto anche il caso di specie. Nel diritto civile vige il principio
dispositivo per cui il giudice Giudica secondo ciò che è affermato e provato dalle parti. È insomma come se il giudice dicesse alle
parti narra il fatto e ti darò il diritto . Naturalmente per applicare la legge il giudice deve interpretarla e integrarla per adeguare la legge all’
evoluzione storica dei tempi, cosiddetta interpretazione evolutiva . Nell’interpretazione se c’è un contrasto tra legge generale e legge
straordinaria/speciale, in applicazione del principio romanistico: “la legge speciale deroga quella generale” si applicherà la
legge straordinaria /speciale. L’interpretazione si distingue a seconda delle parti, cioè dei soggetti cui compete l’interpretazione stessa.
L’interpretazione giudiziale avviene ad opera dei giuristi. Accanto a questa via è l’interpretazione dottrinale ossia dai studiosi
del diritto che intervengono per rendere più chiara una norma al fine di fornire una migliore comprensione del diritto stesso.
Infine vi è 'interpretazione autentica che è quella fatta dallo stesso legislatore che interviene con una nuova norma al fine di chiarire
una precedente norma particolarmente oscura e ambigua. Va sottolineato che la norma interpretativa è sempre retroattiva. Per quanto
riguarda i modi di interpretazione si possono distinguere: interpretazione letterale( indagine della lettera della legge ossia delle
parole contenute nella legge ), interpretazione logica o teleologica (diretta a capire e cercare l'effettiva volontà del legislatore, ovvero
la ratio legis. Ricercare la volontà non significa ricercare la volontà del singolo legislatore ma dello Stato in armonia con i principi attuali,
per questo si suole dire che il giudice fa una politica di diritto non nel senso che fa un’ interpretazione arbitraria ma nel senso che pone in
essere un’interpretazione in armonia con l’ evoluzione socio culturale di un momento storico)e interpretazione sistematica( secondo la
quale la norma va considerata nel contesto delle altre norme, ed inoltre, la singola parola di una norma va considerata non individualmente
ma nella globalità delle parole). In conclusione, in generale per interpretazione si intende la ricerca del vero significato della volontà del
legislatore.Il risultato dell’interpretazione può portare altre conseguenze: interpretazione dichiarativa, cioè quando la lettera della legge
corrisponde alla volontà del legislatore e quindi criterio letterale e logico coincidono . Interpretazione estensiva , cioè quando il legislatore
ha detto meno di quanto volesse, ed in tal caso la norma va interpretata esattamente estendendola. Interpretazione restrittiva, quando
il legislatore ha detto più di quanto volesse e quindi la norma va interpretata restringendola. Gli ultimi due risultati non costituiscono
alterazione ma semplicemente non c’è coincidenza tra la lettera della legge e la volontà del legislatore.
ANALOGIA
Ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile se manca una norma per il caso concreto si applica la norma di un caso
analogo; casi analoghi hanno “eadem ratio”, cioè una medesima ragione di legge.
L’analogia non va confusa con l’interpretazione estensiva. Tra i due istituti,infatti,vi sono tre differenze:
1. Nell’analogia manca la norma. Nell’interpretazione estensiva, invece, la norma esiste e va interpretata esattamente
estendendola.
2. Nell’analogia si cerca di capire cosa il legislatore avrebbe pensato se avesse previsto il caso di specie. Nell’interpretazione
estensiva, invece, si pensa cosa il legislatore vuole realmente
3. Nell’analogia manca la norma e se ne crea un’altra. Al contrario, nell’interpretazione estensiva, non si crea nulla di nuovo.
Ci sono ipotesi in cui l’analogia non è mai ammessa mentre l’interpretazione estensiva è sempre possibile . L’ipotesi in cui l’analogia non
è ammessa sono:
• In caso di legge penale poiché nel nostro ordinamento vige il principio di legalità per cui non esiste reato e pena se non vi è
una legge che lo prevede.
• La seconda ipotesi è per il diritto del lavoro poiché è un campo troppo specialistico.
• Infine non può essere applicata in leggi eccezionali.
È sempre ammessa l'interpretazione analogica per le leggi speciali. Se non si trova la norma analoga si fa ricorso ai principi
fondamentali della carta costituzionale ovvero i principi contenuti nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo o ancora nel trattato
costitutivo della comunità europea. Conseguentemente l’analogia si distingue in:
• Analogia legis: che consiste nell’applicazione di una norma prevista per un caso diverso
• Analogia iuris: che consiste nell’applicazione di un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico
Diritti soggettivi e doveri giuridici
Il diritto soggettivo è il potere di un soggetto riconosciuto dall’ordinamento giuridico per il soddisfacimento di un proprio interesse , in
questa nozione vi sono un elemento materiale( soddisfacimento dell’interesse ) e un elemento personale(potere di attribuzione
al soggetto). Nel diritto sono comprese le facoltà. Diverse dal diritto soggettivo sono le aspettative che sono la speranza dell’acquisto di
un diritto futuro. Ancora diversi sono gli interessi legittimi che fanno parte del diritto pubblico e sono interessi dei privati nei
confronti della pubblica amministrazione. Laddove vi è un soggetto che ha un diritto vi sarà anche un altro soggetto che ha un dovere.
Il dovere non va confuso con l’onere poiché mentre il dovere consiste in un fare o in un non fare in favore di un altro, l’onere consiste
in un fare o non fare in favore proprio.
Classificazione dei diritti
I diritti si suddividono in:
-Diritti patrimoniali, che sono quelli suscettibili di valutazione economica. Diritti non patrimoniali, che sono i diritti personali come il
diritto alla vita,il diritto all'onore ecc. Di solito i diritti non patrimoniali sono, morali, tuttavia talvolta dall'applicazione dei diritti personali
possono discendere diritti patrimoniali (es.: diritto di famiglia -> diritto agli alimenti; diritto alla successione ecc). In senso economico
per patrimonio si intende il complesso dei beni di un soggetto. In senso giuridico, invece, il patrimonio è il complesso dei rapporti
giuridici attivi e passivi facenti capo al soggetto. Nel nostro diritto il patrimonio non è considerato " universitas iuris" (cioè non è
considerato come un'unità assestante, ma è composto dai singoli elementi: beni, debiti, crediti ecc..) . In un solo caso il
patrimonio è considerato " universitas iuris" ed è l'ipotesi del patrimonio di un defunto, cioè l' hereditas.
-Diritto assoluto, che è quel diritto che può essere fatto valere verso chiunque, si suole dire che può essere fatto valere "erga omnes"
(nei confronti di tutti) ad es.: Diritti Reali -> Diritti di Proprietà (primo fra tutti). Il diritto relativo, al contrario, può essere fatto valere solo
nei confronti di un soggetto, ad esempio diritto di Credito.
-Diritto trasmissibile, che si trasmette da un soggetto all'altro. (es.: Diritti Patrimoniali). Diritto intrasmissibile, che non si trasmette da
un soggetto all'altro. (es.: Diritti Personali)
- Diritti principali, che sono i Diritti Fondamentali. Diritti accessori, che sono quelli che dipendono da altri diritti. In applicazione del
principio "accessorium sequitur principale", se si estingue il Diritto Principale, si estingue " ipso iure" (automaticamente) anche il Diritto
Accessorio.
Diritti reali e diritti di credito o di obbligazioni:
Questi diritti sono due "species" del più ampio "genus" (genere) dei Diritti Patrimoniali.
I Diritti Reali sono Diritti Assoluti che possono essere fatti valere " erga omnes" con una " actiones in rem".
Invece, i Diritti di Credito o di Obbligazione ,sono diritti relativi, in quanto, possono essere fatti valere solo nei confronti di un'altra
persona con una " actio in personam". I Diritti Reali sono " numerus clausus"Si distinguono i Diritti Reali su cosa propria (Diritto di
Proprietà) e su cosa altrui (Usufrutto, Uso ecc.). Diritto Reale e i potere immediato e diretto dell'uomo sulla cosa.Il Diritto di
Credito o di Obbligazione è , invece, la pretesa di un soggetto nei confronti di un altro soggetto.
Potestà giuridiche e diritti potestativi
La Potestà è il potere attribuito ad un soggetto per il soddisfacimento di un diritto altrui (Ad esempio: potestà dei genitori e potestà
del tutore).Talvolta alla Potestà è connessa l'esistenza di un dovere o di più doveri, sicché essa è un potere-dovere,cioè è un "munus
pubblicum", cioè un ufficio pubblico e, come tale irrinunciabile (Ad esempio: dovere del titolare della potestà è l'obbligo previsto per il
tutore di presentare periodicamente il rendiconto).I Diritti Potestativi sono diritti destinati ad influenzare non solo la sfera
patrimoniale propria, ma anche quella altrui, sicché il terzo è in completa soggezione, cioè non può che subire gli effetti d el
Diritto potestativo altrui (Ad esempio: Diritto del coniuge di chiedere la separazione personale).
Le azioni per la tutela dei diritti
Poiché i diritti soggettivi sono riconosciuti dall'ordinamento giuridico essi sono tutelati dall’ordinamento stesso, il mezzo per la tutela e
salvaguardia di un diritto è l'azione giudiziaria(ha natura pubblicistica poiché partecipa al giudizio un organo pubblico ovvero il giudice che
è un organo dello stato che emette la sentenza, Per tutelare un diritto e necessario esperire azione giudiziaria, poiché a nessuno e
consentito farsi giustizia da sé, essendo altrimenti responsabile del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto e punito dal
codice penale.
Il rapporto che si instaura con l'azione è di tipo trilaterale poiché intervengono tre soggetti: il giudice(organo pubblico), il
soggetto (esperisce azione, cioè promuove l'azione giudiziaria cioè l'attore ) e il terzo e il convenuto (colui che è chiamato in giudizio).
Per far valere un diritto occorre avervi interesse(legittimazione attiva) così come per resistere in giudizio occorre essere la persona
autrice della lesione del Diritto (legittimazione passiva). All'azione dell'attore si contrappone l'eccezione, in senso lato per eccezione
si intende ogni mezzo di difesa del convenuto, in senso stretto si intende un diritto uguale e contrario a quello dell'attore che annulla
l'efficacia di quest'ultimo.
Eccezione di compensazione
Talvolta però, la tutela di un diritto non si attua per mezzo dell'azione, ma mediante un'eccezione. Ciò avviene, ad esempio, nelle
cosiddette Obbligazioni Naturali (ad esempio: debito di gioco). Le Obbligazioni Naturali sono dette così perché non sono protette dal
diritto con un'azione, sicché chi vince al gioco non ha diritto di esperire azione e pretendere la somma vinta; tuttavia se, chi perde al gioco,
paga spontaneamente e poi esperisce azione per ripetere (per riavere la somma pagata), in tal caso, chi ha vinto al gioco, potrà eccepire
di aver vinto al gioco e trattenere la somma.
Persona fisica
-Persona fisica non vive isolata ma vive un determinato gruppo familiare o sociale, la posizione che una persona occupa in una
determinata gruppo si chiama STATUS(posizione giuridica che ha un soggetto all'interno di un determinato gruppo sociale o famigliare,
discende in base allo status una serie di diritti, doveri o potestà, le norme che riguardano lo status sono di ordine pubblico e possono
essere fatte valere e non possono essere oggetto di transazione )ad es nell'ambito della famiglia padre figlio madre,nei confronti dello
stato si è cittadino.
-La capacità giuridica (è la capacità di essere titolare di diritti e di doveri giuridici )quando si acquista? Con la nascita
-La Capacità di agire(capacità di esercitare i diritti e di adempiere ai doveri) quando? Si acquista con la maggiore età In passato non
avevano capacità giuridica gli schiavi e i condannati all'ergastolo. Anche le persone giuridiche hanno una capacità giuridica anche se
sono prive di personalità, cioè ogni persona ha capacità giuridica, non esiste persona senza diritto e non esiste diritto senza persona. Vi
sono dei diritti innati alla persona cioè personalissimi cioè diritto alla vita, diritto all'onore, essi sono inalienabili,irrinunciabili,
imprescrittibili.Lo stato si limita a riconoscerli e a tutelarli. Precedentemente si riteneva fossero creati dallo stato.
Esistenza della persona
La persona esiste sin dalla nascita purché nasca viva. Il nato morto non è giuridicamente persona, si diventa persona anche con la
vita di un solo istante perciò la legge consente che gli interessati possano provare con ogni mezzo che il nato morto è vissuto almeno un
solo istante. Il nascituro concepito non è persona tuttavia è speranza di uomo, ed in questa sua qualità la legge lo riconosce
destinatario di eventi e diritti successiva all'evento nascita es può essere fatta nei suoi confronti una disposizione testamentaria,
anche il nascituro non ancora concepito può essere destinatario di una donazione o testamento.
Fine della persona
La capacità giuridica cessa con la morte fisica e non civile come avveniva in passato (ergastolo). Con la morte di una persona si
estinguono i diritti personali ed alcuni diritti patrimoniali (Ad esempio: usufrutto); normalmente, però, i diritti patrimoniali non si
estinguono con la morte della persona, ma si trasmettono agli eredi.Quando avviene la morte di più persone (ad esempio in un incidente,
un disastro o una calamità) e non sia possibile provare chi è morto prima, la legge presume che siano morti nello stesso istante
(commorti).La morte definitiva è quella cerebrale irreversibile per l'irreversibile cessazione dell'attività del sistema nervoso (ciò è
importante per i trapianti).
Scomparsa assenza e dichiarazione di morta presunta
Se una persona scompare si ignora se esista e dove esista ci sono 3 ipotesi:
• Scomparsa: Quando una persona non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o della sua ultima residenza e non se
ne hanno più notizie, gli interessati o i presunti successori legittimi o il Pubblico Ministero, possono rivolgersi al Tribunale
dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza affinché nomini un curatore(per la gestione del patrimonio dello scomparso ), salvo
che la persona scomparsa non avesse un rappresentante o un procuratore.
• Assenza:Trascorsi due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia della persona scomparsa, i presunti successori legittimi e
chiunque creda ragionevolmente di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte di lui, possono domandare al
Tribunale che ne sia dichiarata l’assenza,indipendentemente dalla preventiva nomina del curatore dello scomparso.La
dichiarazione di assenza comporta l’apertura del testamento dell’assente, e coloro che sarebbero eredi sono immessi, dopo la
formazione di un inventario, nel possesso temporaneo dei beni e nell’esercizio temporaneo dei diritti dell’assente.Gli eredi che
sono immessi nel possesso dei beni li possono amministrare e possono far proprie le rendite, ma non possono alienarli,
ipotecarli o sottoporli a pegno senza l’autorizzazione del Tribunale.Se l’assente ritorna o ne viene provata l’esistenza,
i possessori dei beni devono restituirli. L’assistenza di un difensore è facoltativa.
• Morte presunta. Quando sono trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dello scomparso, il Tribunale dell’ultimo
domicilio o dell’ultima residenza può dichiarare con sentenza la morte presunta. Si può procedere alla dichiarazione di morte
presunta anche se non vi è stata precedente dichiarazione di assenza.La dichiarazione di morte presunta produce gli stessi
effetti della morte naturale, a partire dal giorno in cui risale l’ultima notizia certa dell’esistenza in vita dell’assente.In particolare,
si apre la successione e coloro che avevano il possesso temporaneo dei beni dell’assente possono disporre liberamente
di tali beni, mentre i debitori di colui che è stato dichiarato morto presunto sono definitivamente liberati dalle
obbligazioni che avevano nei suoi confronti.Una volte che la sentenza che dichiara la morte presunta è divenuta eseguibile, il
coniuge superstite può contrarre nuovo matrimonio.Se il morto presunto ritorna, le seconde nozze possono essere annullate
su istanza dell’interessato. I beni vanno restituiti nello stato in cui si trovano per cui non possono essere restituiti i beni
consumati o alienati. Restano salvi gli effetti civili del secondo matrimonio nei confronti dell’eventuale prole.In generale tutti
gli effetti giuridici si producono “ex nunc” (da quel momento in poi).Nella differente ipotesi di disastro aereo o naufragio,
la morte va provata per mezzo del verbale redatto dalle competenti autorità aeronautiche e marittime. Tale verbale, previa
autorizzazione del Tribunale, viene trascritto nel registro delle morti ed è sufficiente per provare la morte di una persona.Come
è evidente, in questa ipotesi, si evitano le lungaggini della morte presunta.
CAUSE MODIFICATRICI DELLA CAPACITÀ DI AGIRE
La capacità di agire è la capacità di esercitare i diritti e di adempiere ai doveri.Essa si acquista con la maggiore età.Vi sono
alcune cause modificatrici della capacità di agire:
-ETÀ: la capacità di agire si acquista al compimento del 18° anno di età.Talvolta legge prevede che Il minore può compiere da solo alcuni
atti giuridici pur essendo incapace di agire:
•a 14 anni il minore può prestare il proprio consenso all’adozione;
•a 16 anni può riconoscere un figlio naturale e può prestare il suo assenso affinché altri lo riconosca.Previa dispensa del tribunale
per i minorenni, il sedicenne può contrarre matrimonio e conseguentemente può stipulare tutte le convenzioni matrimoniali che regolano
il regime patrimoniale della famiglia in applicazione del principio “habilis ad nuptias, habilis ad pacta nuptialia” cioè, chi è capace di
contrarre matrimonio, è altresì capace a stipulare patti nuziali.
•Tra le capacità del minore e quelle di un maggiorenne vi è uno stato intermedio detto ‘’emancipazione’’. Essa si acquista “ipso
iure”(automaticamente )con il matrimonio.
Si acquista automaticamente con il matrimonio del 16enne. Il minore emancipato può compiere da solo gli atti che non eccedono l’ordinaria
amministrazione, mentre per quanto riguarda gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione sarà assistito da un curatore. Nel momento
in cui il minore viene autorizzato dal tribunale all’esercizio di un’impresa commerciale, potrà compiere da solo anche tutti gli
atti che eccedono l’ordinaria amministrazione anche se estranei all’impresa.(senza l'assistenza del curatore)In tal caso, pertanto, il
minore ha piena capacità di agire. Egli ha un solo limite, non può donare.
-SESSO: ai sensi dell’art. 3 della Costituzione,afferma che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di sesso, di
razza o di religione. Tuttavia per il ruolo e funzione che la donna riveste nella società e per natura o condizione fisiologica sono previste
norme particolari come quelle a tutela delle donne lavoratrici e della maternità. Per converso la donna aggiunge al proprio cognome il
cognome del marito ed i figli legittimi e/o quelli riconosciuti da entrambi i genitori, portano il cognome del padre. Nel 2016 la corte ha
dichiarato l'incostituzionalità di tale norma nella parte in cui non prevedeva che i genitori potessero indicare al momento della nascita di
comune accordo l'indicazione anche del cognome della madre oltre a quello del padre.L'anno scorso 2022 sentenza 231 la corte è tornata
sulla questione prevedendo che i coniugi di comune accordo possano indicare i due cognomi nell'ordine preferito dai coniugi,o di lasciare
un solo cognome (che sia paterno o materno).L’uomo può contrarre nuovo matrimonio subito dopo lo scioglimento o l’annullamento del
matrimonio, invece la donna deve attendere 300 giorni(tempo del lutto) dopo lo scioglimento o l’annullamento del matrimonio per contrarre
nuove nozze onde evitare la così detta “turbatio sanguinis”.
L’INCAPACITÀ DI INTENDERE E DI VOLERE:Essa è dovuta a malattia psichica o fisica, ovvero a cause volontarie quali l’uso e abuso
di sostanze alcoliche o stupefacenti e la prodigalità. Da tali cause possono derivare:
-STATO DI INTERDIZIONE(Amministrazione di sostegno): se un soggetto è malato dal punto di vista psichico e trattandosi di
una malattia fatale e permanente, il tribunale lo dichiara “interdetto’’.
Per giungere all’interdizione vi devono essere due presupposti:
•il vizio totale di mente ;
•l’ inettitudine a provvedere ai propri interessi .
Ricorrendo tali requisiti, il tribunale dichiara con sentenza, l’interdizione , che derivando appunto da una sentenza, si chiama ‘’
Interdizione giudiziale ‘ .
-L’INABILITAZIONE: se un soggetto è malato psichico in maniera non grave e non totale, ovvero se è prodigo o , ancora, se è
dedito all’uso di sostanze alcoliche o stupefacenti, sordomuto o cieco dalla nascita e non sia stato idoneamente educato , in
tutte queste ipotesi,il tribunale pronuncia con sentenza, l’inabilitazione.Anch’essa derivando da una sentenza, si chiama ‘’
Inabilitazione giudiziale ‘ .
In entrambi i casi,il tribunale decide dopo aver ascoltato il soggetto(si svolge un'audizione) e, nel giudizio è necessario l’intervento del
Pubblico Ministero.Il tribunale, chiesta l’interdizione, può pronunciare inabilitazione e viceversa.Durante il procedimento, il Giudice nomina
un tutore per l’interdetto e un curatore per l’inabilitato, entrambi provvisori.Gli atti compiuti dall’interdetto o dall’inabilitato, senza la
presenza del tutore e/o l'assistenza del curatore sono annullabili se il tribunale pronuncia interdizione o inabilitazione. Saranno validi,
invece, nel caso contrario.La sentenza che pronuncia l’interdizione o inabilitazione viene trasmessa all'ufficiale di stato civile perché
venga annotata in margine all'atto di nascita. Lo stato di interdizione o di inabilitazione dura per tutta la vita del soggetto, salvo
eventuale sentenza di revoca.
Per quanto riguarda gli effetti:
•L’interdetto perde tutti i diritti patrimoniali e personali ed il tutore agisce in nome e per conto dello stesso interdetto, sostituendo con
la sua volontà quella dell’interdetto.
•L’inabilitato, invece, può compiere da solo gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione, mentre per quanto riguarda
gli atti che la eccedono sarà assistito da un curatore.Quest’ ultimo pertanto non si sostituisce con la sua volontà a quella dell’inabilità,
ma si limita ad integrarla.
Gli atti compiuti da un interdetto o da un inabilitato sono annullabili su istanza di chi ha interesse
Può darsi che un soggetto sia incapace, ma che non sia stato dichiarato tale dal tribunale, in questo caso si parla di “incapacità
naturale”.(persona che di fatto è incapace solo in quel momento d'intendere e di volere ma compie in quello stato un atto giuridicamente
rilevante.), gli atti compiuti dall’incapace naturale sono annullabili solo se sussiste grave pregiudizio per l’autore e se si tratta di contratti,
cioè atti bilaterali, si richiede anche la malafede dell’altra parte, cioè è necessario che l’altra parte fosse a conoscenza dell’incapacità del
soggetto e ne volesse approfittare.
Se, però, l’atto giuridico è un matrimonio, testamento o donazione, l’atto potrà essere annullato anche se non sussiste grave
pregiudizio per l’autore. Prima del 2004 la situazione era questa sopra descritta.Dopo il 2004 il legislatore ha inserito
L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO
I presupposti per l’amministratore di sostegno sono:
•Menomazione o malattia psichica o infermità psichica o menomazione fisica delle persone, anche temporanea ed anche relativa a singoli
aspetti della personalità;
•Inettitudine del soggetto a provvedere ai propri interessi. Va subito rilevato che rispetto all’interdizione è sufficiente l’esistenza di una
menomazione psichica. Inoltre, può essere pronunciata amministrazione di sostegno anche nel caso di menomazione fisica (es.:
handicap). Se la causa è temporanea potrà essere nominato un amministratore di sostegno a tempo determinato. È
importantissimo sottolineare che di fronte ad una patologia che legittimerebbe il Giudice sia ad una pronuncia d’interdizione, sia ad una
di amministratore di sostegno, il Giudice ricorrerà alla prima (interdizione) solo se l’amministrazione di sostegno si presenti palesemente
inidoneo a salvaguardare il soggetto cosiddetto principio del carattere residuale dell’interdizione.Istituto a protezione del soggetto.
Principio di Residualità dell'interdizione. Da chi può essere aperto il procedimento di sostegno? Il procedimento all’amministratore
di sostegno si apre su istanza dello stesso beneficiario, ovvero, del coniuge, della persona stabilmente convivente, dei parenti entro il 4°
grado o degli affini entro il 2° grado o su istanza del tutore, del curatore, del Pubblico Ministero o, infine, di un soggetto responsabile dei
servizi socio-sanitari impegnati nella cura del soggetto.
Anche in tal caso è prevista l’audizione del soggetto con l’intervento del Pubblico Ministero, il Giudice potrà nominare un
amministratore di sostegno provvisorio, indicando, quali sono gli atti che dovranno essere svolti dall’amministratore, quelli che
dovranno essere svolti con l’assistenza dell’amministratore e quelli che potranno essere congiunti dal beneficiario
dell’amministrazione di sostegno. Mentre gli effetti dell’interdizione e dell’inabilità sono determinati per legge, e non modificabili salvo
delle deroghe, gli effetti dell’amministrazione di sostegno sono determinati caso per caso dal Giudice, che può anche modificare o
integrare, cosiddetto principio della flessibilità dell’amministrazione di sostegno. Il Giudice alla fine del procedimento nomina
all’interessato, in modo definitivo, un amministratore di sostegno che viene scelto tra questi soggetti:
•persona indicata dallo stesso beneficiario;
•coniuge non legalmente separato;
•persona stabilmente convivente;
•parenti entro il 4° grado;
•affini entro il 2° grado.
Il Giudice (con decreto)all’atto della nomina dell’amministratore di sostegno deve indicare in primo luogo gli atti per i quali
l’amministratore di sostegno sostituisce la propria volontà a quella del beneficiario,agendo quindi per nome e per conto del soggetto, alla
stregua di un tutore contro l’interdetto.
Gli atti che possono essere compiuti dal beneficiario con la sola assistenza dell’amministratore di sostegno, che quindi agisce in tal caso
alla stessa stregua del curatore con l’inabilitato e, inoltre, gli atti che il beneficiario può compiere da solo.Si noti che per gli atti della vita
di tutti i giorni, nonché per tutti gli atti per i quali il Giudice non abbia disposto alcunché il beneficiario conserva la capacità di
agire, cosiddetto principio della generale capacità di agire dell’amministratore di sostegno.Nello spirito della legge perciò il Giudice
deve perseguire l’obiettivo della minore limitazione possibile del beneficiario dell’amministratore di sostegno. Incapacità derivante da
condanna penale o da fallimento.
La interdizione legale o il fallimento
La condanna all’ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a 5 anni per reato doloso comporta , “ipso iure”,
L’INTERDIZIONE LEGALE.
L’interdetto legale perde i diritti patrimoniali ma non quelli personali e familiari, conseguentemente, l’interdetto legale può :
•contrarre matrimonio;
•riconoscere un figlio;
•fare testamento.
Da notare che l’interdizione legale non è posta a tutela o a protezione del soggetto, ma a condanna del soggetto stesso. Ne consegue
che gli atti compiuti dall’interdetto legale sono annullabili su istanza di chiunque vi abbia interesse. L’interdizione legale è cosa
diversa dalle pene accessorie che il giudice penale può infliggere al condannato, come l’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici
uffici o la perdita della patria potestà.
Il fallimento
Se un imprenditore commerciale ha uno squilibrio patrimoniale tra attivo e passivo, nel senso che il passivo supera l’attivo, il tribunale su
istanza di anche di uno dei creditori di ufficio o su istanza dello stesso imprenditore può pronunciare il fallimento con sentenza. Il fallito
perde i diritti patrimoniali ed il suo patrimonio è gestito da un curatore nominato dal tribunale, per poi essere ripartito tra i creditori che
sono posti nella stessa posizione. Si suole dire che si trovano in “par condicio creditorum” cioè, parità di trattamento dei creditori.
Il fallito, invece, non perde i diritti personali e familiari.
POTESTÀ /RAPPRESENTANZA LEGALE DEI GENITORI
Il minore, come l’interdetto, non ha la capacità di agire e quindi viene rappresentato dai suoi genitori che esercitano una
rappresentanza legale. I genitori assumono perciò la rappresentanza legale. I genitori agiscono, quindi, in nome e per conto del minore.
invece, come abbiamo detto, il minore emancipato, può compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre ha bisogno del
curatore per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione. Sia i genitori, che il tutore, che il curatore, che l’amministratore di
sostegno, sono sottoposti alla vigilanza del Giudice tutelare. I genitori esercitano di comune accordo la potestà sui figli. Fissando la
residenza del minore. Essi fissano per il minore il domicilio che, essendo previsto per legge (necessario)e coincidendo con quello dei
genitori, è detto “ domicilio necessario ”.
La potestà dei genitori è un “potere-dovere” e, quindi, un “munus pubblicum” (ufficio pubblico e come tale irrinunciabile, che
rappresenta non già il fondamento e il limite dell’immunità, bensì il mero presupposto di essa).
Ciò che si tutela, dunque, non è la funzione, ma la persona, introducendo così un vero e proprio privilegio personale. I poteri dei
genitori riflettono la rappresentazione legale del minore negli atti di natura patrimoniale nella gestione del patrimonio del minore e
nell’usufrutto legale. I genitori, quindi, agiscono in nome e per conto del minore negli atti di natura patrimoniale. tuttavia se si tratta di atti
che eccedono l’ordinaria amministrazione, anche se sono lucrativi, come l’accettazione di una donazione, in tal caso tali att i
possono essere compiuti dai genitori se ricorrono all’ autorizzazione del Giudice tutelare, in caso di necessità o utilità evid ente
per il minore.
I doveri dei genitori consistono nell’allevare, nutrire ed educare la prole. Se uno dei due genitori è lontano o impedito, la potestà si
trasferisce per intero sull’altro. Se il matrimonio è sciolto o annullato, non cessa la potestà/rappresentanza di entrambi i genitori. Se
sorgono conflitti di interesse tra genitore e minore, può essere chiesto al Giudice tutelare di nominare un curatore speciale.
Infine, l’eredità devoluta ad un minore deve essere accettata dai genitori con il beneficio di inventario. La riforma cartabia rispetto
al curatore ha introdotto altre ipotesi di nomina del curatore per il minore: devono necessariamente nominato il curatore speciale, in caso
di decadenza della responsabilità genitoriale o altre ipotesi in cui è facoltativa, il curatore assume in sé il ruolo del curatore e difensore e
deve essere iscritto in un apposito albo dove possono iscriversi gli avvocati dopo una specializzazione.
CONSEGUENZE GIURIDICHE DELL’ INCAPACITÀ DI AGIRE
Il negozio compiuto da un minore, o da un interdetto senza la rappresentanza di un tutore o da un inabilitato senza il curatore, o dal
beneficiario dell’amministrazione di sostegno nelle ipotesi in cui non può compierlo da solo, è annullabile. (SONO NEGOZI
ANNULLABILI)Sappiamo che il minore non può compiere da solo determinati atti ,e che l’interdetto legale ed il fallito conservano
i diritti personali e familiari ma non quelli patrimoniali. Fuori da queste ipotesi, se il soggetto che compie il negozio giuridico è un
incapace giuridicamente dichiarato, l’atto è annullabile “sic et simpliciter” cioè, in maniera pura e semplice.Se il soggetto è un incapace
naturale, per essere annullato il suo atto, deve comportare grave pregiudizio per l’autore e, se si tratta di contratto(atto bilaterale), è
necessaria anche la malafede della controparte e quindi approfittare dello stato di incapacità dell'altra parte.
L’atto compiuto da un minore è annullabile, tuttavia se il minore, con artifizi o raggiri trae in inganno la controparte sulla sua età, ma
non con una semplice bugia, (ad esempio: esibendo una carta d’identità falsa) l’atto posto in essere dal minore non è annullabile, in
applicazione del principio “malitia supplet aetatem” cioè, la malizia ingannatrice del minore supplisce alla sua minore età. Il negozio sarà
valido in quel caso.
L’annullamento può essere chiesto da una sola parte, cioè dall’incapace o chi per lui (dai suoi eredi o da aventi causa), sicché il contratto
è claudicante e si parla di annullabilità relativa(o parziale), perché l’altra parte non può chiederla.
Ricordiamo, però, che gli atti compiuti da un interdetto legale possono essere annullati su istanza di chiunque e, quindi,
l’annullabilità è assoluta.
L’azione di annullamento si prescrive, cioè si estingue in 5 anni, che decorrono a secondo della causa:
•per l’interdetto, l’ inabilitato o il beneficiario dell’amministrazione di sostegno, dal passaggio in giudicato del provvedimento di
revoca di uno degli stati o dalla morte;
•per il minore, dal compimento della maggiore età, ed infine, per l’incapace naturale dal giorno della conciliazione del nego zio.
Mentre l’azione si prescrive, l’eccezione di incapacità è ‘ ’ perpetua ‘’ in applicazione del principio “quae temporalia sunt ad agendum
perpetua sunt ad excipiendum” cioè, ciò che si prescrive per l’azione è imprescrittibile per l’eccezione non potendosi, questa, esercitare,
se prima l’avversario non attacca. Nei confronti dei terzi l’incapacità legale è opponibile a tutti. Se, invece, l’incapacità deriva da altra
causa rimangono salvaguardati i terzi che hanno acquistato diritti di buona fede e a titolo oneroso.
LA SEDE DELLA PERSONA GIURIDICA
Per l’ordinamento giuridico ha importanza il luogo in cui la persona vive e svolge la sua attività professionale.
La residenza è il luogo di dimora abituale del soggetto
La dimora è il luogo di residenza temporanea.
Il domicilio è la sede principale degli interessi e degli affari del soggetto
Come è evidente, mentre le nozioni di residenza e di dimora richiedono una situazione di fatto, il domicilio invece ha riguardo
della sfera economica e sociale del soggetto; ne consegue che per la fissazione del domicilio si prescinde dalla presenza della persona
nel luogo. Una persona, ad esempio, può risiedere in Francia ma avere domicilio in Italia o viceversa.
Si distinguono quattro tipi di domicilio:
•domicilio volontario, scelto liberamente dal soggetto, risultato della sua determinazione e volontà;
•domicilio legale, che è espressamente stabilito dalla legge;
Può essere previsto per la generalità del soggetto o essere domicilio speciale del soggetto:
•domicilio generale, che è quello stabilito per la generalità degli affari di un soggetto. È un domicilio unico;
•domicilio speciale, che è quello stabilito per uno o più affari determinati. Esso deve risultare da atto scritto e può essere plurimo.
LA CITTADINANZA
La cittadinanza è una nozione di diritto pubblico. Nel diritto privato internazionale lo “status civitatis” è quindi la posizione che ha la persona
nei confronti dello Stato quale cittadino.
La cittadinanza si acquista:
•per nascita da genitori italiani “iure sanguinis”;
•per nascita sul suolo italiano “iure soli”;
•per matrimonio con cittadino italiano;
•per concessione con decreto del capo dello Stato, previo parere del Consiglio di Stato.
La cittadinanza si perde:
•per rinunzia espressa;
•per rinunzia tacita, con il compimento di atti incompatibili con la volontà di conservare la cittadinanza. Ad esempio: fissazione della
residenza all’estero o servizio militare all’estero.
PARENTELA
La parentela è il vincolo che unisce più persone discendenti dalla stessa persona o dello stesso stipite. Per calcolare l’intensità del vincolo
si devono tenere presenti le linee ed i gradi:
•la linea retta unisce le persone di cui una può dipendere dall’altra, ad esempio: padrefiglio, nonno-nipote;
•la linea collaterale unisce le persone che avendo uno stipite comune non possono discendere l’una dall’altra, ad esempio: fratelli- zio e
nipote.
Il grado di parentela si calcola contando le persone e togliendo lo stipite. Ad esempio: padre e figlio (1° grado), tra fratelli (2° grado) ecc.
La legge riconosce effetti giuridici alla parentela fino al 6° grado.
L’affinità è il vincolo che lega un coniuge ai parenti dell’altro coniuge: suoceri, cognati ecc. Per determinare il grado di affinità si
calcola il grado di parentela dell’altro coniuge. Gli affini di un coniuge non sono affini dell’altro coniuge, “adfines non sunt inter se
adfines”. L’affinità non cessa se non con la morte di uno dei due coniugi e permane quindi il divieto di matrimonio tra affini in
linea retta.L’affinità cessa se il matrimonio viene dichiarato nullo. I coniugi non sono affini tra loro ma sono legati da vincolo di coniugio,
“coniugis uxor non est ad finis sed causa adfinitatis”.
ATTI DELLO STATO CIVILE
Gli atti dello stato civile sono gli atti che documentano, presso ogni comune le vicende più importanti della persona fisica.
Presso ogni Comune vi sono 4 registri:
•di nascita;
•di morte;
•di matrimonio;
•di cittadinanza.
Essi costituiscono la cosiddetta fonte di pubblicità detta notizia “erga omnes”, sono perciò pubblici e chiunque può chiedere ‘
’ estratti ‘’ e “certificati”.La certificazione degli atti dello stato civile, si ottiene con sentenza del tribunale contro la quale non è ammessa
impugnazione.
LA PERSONA GIURIDICA
L’articolo 2 della Costituzione, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si
svolge la sua personalità.Tali formazioni sociali danno luogo a centri pubblici e centri privati.
Gli enti pubblici perseguono interessi di carattere generale; agiscono con il potere di “imperio” e non sono disciplinati dalle norme di
diritto civile.Gli enti privati, invece, perseguono fini privatistici, anche se coincidenti con quelli generali e sono disciplinati dalle norme del
codice civile.Gli enti privati danno luogo alle “persone giuridiche”.
La persona giuridica è la persona creata dal diritto:essa si distingue in associazioni, dette anche “UNIVERSITAS PERSONARUM”
(associazioni di persone) e fondazioni dette “UNIVERSITAS BONORUM”.
•L’associazione è un complesso di persone riunite per il perseguimento di uno scopo comune.
•La fondazione è un complesso/massa di beni messi a disposizione dal fondatore per il perseguimento di uno scopo duraturo.In entrambi
i casi, la legge considera la persona giuridica, “UNIVERSITAS IURIS” cioè, considera la persona giuridica come unità assestante,
nuova,diversa e distinta dalle singole persone giuridiche che la compongono.
Ne consegue che la persona giuridica ha una sua autonomia patrimoniale, nel senso che il patrimonio è diverso e distinto da quello delle
singole persone che fanno parte delle associazioni.Come ulteriore conseguenza, il creditore della persona giuridica non può
perseguire i suoi crediti sui beni dei singoli associati e allo stesso modo i creditori dei singoli associati non possono perseguire
i loro crediti sui beni della persona giuridica.AUTONOMIA PATRIMONIALE PERFETTA.Unico limite è la norma che prevede che gli
amministratori sono responsabili verso l’ente e verso i terzi per i danni commessi in violazione dei doveri concernenti l’esercizio delle loro
funzioni.
ELEMENTI GIURIDICI DELLA PERSONA GIURIDICA
Per l’associazione sono:
•il complesso/Pluralità di persone;
•lo scopo comune;
•il riconoscimento governativo.
Per la fondazione sono:
•il patrimonio(massa di beni messa a disposizione dal fondatore);
•lo scopo individuato dal fondatore;
•il riconoscimento dell'autorità governativa(ha natura costitutiva).
È chiaro dall’individuazione degli elementi costitutivi che il riconoscimento governativo ha valore costitutivo, nel senso che la persona
giuridica non nasce effettivamente fino a che non ottenga il riconoscimento. La persona che non ha ottenuto il riconoscimento
potrà svolgere la sua attività come associazione non riconosciuta. Quest’ ultimo è dato , di regola, con Decreto del Capo dello Stato,
ma può essere anche dato dal Prefetto per gli enti che svolgono la loro attività in ambito provinciale.Talvolta il riconoscimento avviene per
legge; comunque fino a quando non intervenga il riconoscimento la persona esiste come associazione non riconosciuta o ente
di fatto(non riconosciuta). Solo con il riconoscimento avrà la persona giuridica.
L’atto di nascita formale dell’associazione è l’atto costitutivo. Esso è un negozio bi-laterale o pluri-laterale che deve essere fatto per
atto pubblico.
L’atto di nascita della fondazione è, invece, il “negozio di fondazione” che è un negozio unilaterale o “inter vivos” (produce effetti in
vita delle parti) e necessiterà della forma dell’atto pubblico ,o “mortis” causa (cioè che produce effetti per la morte di un soggetto) che
necessiterà del testamento.
La vita e l’attività della persona giuridica sono documentate e disciplinate nello “statuto”, che può essere contenuto già nell’atto
costitutivo o nel negozio di fondazione.La persona giuridica è sottoposta alla vigilanza e controllo dell’autorità governativa che può anche
raggruppare più fondazioni se lo scopo è divenuto impossibile, inutile o si è esaurito.Oppure può modificare lo scopo, revocare gli
amministratori o annullare le delibere assembleari.

CAPACITÀ DELLA PERSONA GIURIDICA(non può contrarre matrimonio ovviamente non essendo una persona fisica)
Essa gode di diritti personalissimi, quali il diritto al nome e all’integrità morale. La sua capacità subisce una limitazione. È previsto,
infatti, che per gli acquisti di beni immobili, sia a titolo gratuito o a titolo oneroso, sia necessaria un’autorizzazione amministrativa; tale
autorizzazione è richiesta per aiutare il fenomeno della cosiddetta “mano morta”, cioè il divieto di accumulo dei beni che non vengano
rimessi in circolazione. L’autorizzazione non è un requisito di validità dell'atto ma di efficacia.Da notare che l’autorizzazione è un
requisito di efficacia dell’atto e, quindi, l’acquisto di un bene immobile senza l’autorizzazione da parte della persona giuridica, non
è nullo, ma può essere sanato con un’autorizzazione successiva che ha efficacia retroattiva (“ex tunc”). È prevista questa norma
nell'interesse degli associati e persone giuridiche .Tuttavia se manca l’autorizzazione, chiunque potrà far valere tale mancanza che potrà,
inoltre, essere rilevata d'ufficio dal Giudice.La volontà della persona giuridica si esprime attraverso gli organi dei quali i più
importanti sono gli amministratori.
Come si forma la volontà della persona giuridica???La volontà della persona giuridica si forma nell’assemblea, per la validità
della quale, in prima convocazione è richiesta la metà+1 degli associati, mentre in seconda convocazione è sufficiente un numero
qualsiasi di associati.La volontà si forma raggiungendo la maggioranza. L’atto posto in essere dall’assemblea di una persona
giuridica è detto atto collegiale.
NAZIONALITÀ E SEDE GIURIDICA
Mentre per la persona fisica è importante il concetto di cittadinanza, per la persona giuridica lo è quello di nazionalità.
La persona giuridica acquista la nazionalità dello Stato che la riconosce, perciò hanno nazionalità italiana le persone giuridiche
riconosciute dallo Stato italiano.
Anche il concetto di residenza e dimora, non interessano la persona giuridica per la quale invece, è importante la sede, che è il luogo in
cui si svolge la sua attività.La sede deve risultare dal registro delle persone giuridiche e dall’atto costitutivo e prende il nome di “sede
legale”.Tuttavia la sede legale è diversa da quella effettiva: i terzi potranno dare prevalenza a quest’ultima.(sede effettiva)
CAUSE DELL’ESTINZIONE DELLA PERSONA GIURIDICA
La persona giuridica si estingue:
•per volontà degli associati o del fondatore, secondo quanto stabilito e previsto nell’atto costitutivo o nello statuto;
•per il venir meno dello scopo, che è divenuto impossibile o irrealizzabile o si è esaurito. In tal caso l’autorità governativa può anche
decidere di accorpare più associazioni per garantirne la continuazione;
•per l’associazione. La persona giuridica si estingue per lo scioglimento dell’assemblea deliberata dalla stessa assemblea o
dall’autorità governativa;
•per il venir meno di tutti gli associati. Per delibera della assemblea .Importante è sottolineare che qualsiasi sia la causa di scioglimento
o estinzione, la persona giuridica smetterà di esistere solo con il provvedimento dell’autorità giuridica.
Verificatasi la causa di estinzione, ha luogo un particolare procedimento detto “liquidazione” della persona giuridica. Con esso
vengono soddisfatti i creditori della persona giuridica e, dove ci siano alcuni beni, questi verranno devoluti in conformità dell’atto costitutivo
o dello statuto o in mancanza di dichiarazione, secondo quanto stabilito dall’autorità governativa.
L’atto di nascita della persona giuridica e tutte le vicende principali della sua attività sono indicate nel registro delle p ersone
giuridiche che si trova nelle cancellerie del Tribunale di ogni Capoluogo di Provincia. Se gli amministratori omettono la registrazione
della persona giuridica, sono responsabili penalmente e rispondono personalmente e solidalmente (insieme)alla persona giuridica per le
obbligazioni assunte da queste.
La registrazione(non ha valore costitutivo ma dichiarativo) ha semplice valore dichiarativo e serve per portare a conoscenza dei
terzi, la consistenza patrimoniale della persona giuridica, perciò l'omissione della registrazione non comporta la nullità degli atti
compiuti dalla persona giuridica e, questi atti, non potranno essere opposti a terzi.(non potranno essere fatti valere nei confronti dei terzi)
ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA E NON RICONOSCIUTA(DETTA ENTE DI FATTO)
L’associazione non riconosciuta è quella che non ha ottenuto o non ha ancora ottenuto o richiesto il riconoscimento
dell’autorità governativa.È chiaro che associazioni culturali, sportive, ecc. possano fare richiesta per ottenere riconoscimento, non
ottenere riconoscimento o non ottenerlo subito.Ciò non toglie che anche gli atti dell’associazione non riconosciuta producano
determinati effetti giuridici(riconosciute dalla legge).Anzitutto è riconosciuta validità agli accordi interni degli associati.In secondo
luogo, validità del contributo dato da ciascun associato e i beni acquistati dall’ente di fatto, costituiscono il “fondo comune” (patrimonio
della persona giuridica)e quindi tutti gli associati sono comproprietari di questi beni.
Si ha una situazione simile a quella della comunione dei beni, con la differenza che, mentre il comunista può in ogni tempo
chiedere lo scioglimento della comunione (e tale diritto è potestativo), il socio dell’ente di fatto, se vuole recedere, non potrà
chiedere la divisione del fondo comune e la restituzione della sua quota versata. Inoltre, l’autonomia patrimoniale sussiste, ma è
imperfetta(.patrimonio della persona giuridica diverso dai singoli associati )
-Nella società ad autonomia patrimoniale perfetta i soci non rispondono dei debiti e delle obbligazioni aziendali con il proprio
patrimonio personale,
-Nella società ad autonomia patrimoniale imperfetta, al contrario, sono i soci a rispondere con il proprio patrimonio.
Anche in tal caso il patrimonio dell’ente di fatto è diverso da quello della singola persona giuridica, tuttavia gli associati che hanno agito
in nome e per conto dell’associazione rispondono personalmente e solidalmente con l’associazione, delle obbligazioni assunte da questa;
ciò perché non essendo intervenuto il riconoscimento governativo, non è stato effettuato un controllo preventivo circa la consistenza
patrimoniale dell'associazione. Il presidente dell’associazione non riconosciuta, ha capacità processuale e la legge ha ammesso
che anche l’ente di fatto possa acquistare beni immobili.
I COMITATI
I comitati sono associazioni di fatto di persone che si riuniscono per esempio in occasione di pubbliche calamità, per mostre o beneficenze
per il perseguimento di un determinato scopo, si riuniscono proponendosi di raccogliere fondi. Se si costituisce la persona giuridica,
si applicano le norme in tema di personalità giuridica, altrimenti si applicano le norme in tema di associazioni non riconosciute.
Il comitato ha una figura analoga a quella della fondazione, poiché anche in tal caso vi è un patrimonio destinato ad uno scopo.I
singoli organizzatori sono responsabili personalmente e solidalmente per la conservazione dei beni del comitato per la
realizzazione dello scopo. Anche al presidente del comitato è riconosciuta capacità processuale. Vi può essere responsabilità
penale per appropriazione indebita a carico degli amministratori.
I BENI O COSA
Poiché il diritto reale è il potere immediato e diretto dell’uomo sulle cose, vediamo cosa si intende giuridicamente per “cosa”.Il senso
giuridico, per bene si intende qualunque cosa che assoggettata al potere dell’uomo gli arrechi una qualche utilità, o sia
suscettibile di godimento da parte di lui.
Non sono beni, pertanto, le “res communes omnium”, cioè il sole, le stelle, la luna ecc., proprio perché non possono essere
assoggettate al potere dell’uomo, a meno che non se ne stacchi una parte che venga destinata all’uomo (ad esempio: l’aria compressa
nelle bombole ad ossigeno)Lo “spazio atmosferico” non è un bene, un res. Sono, invece, beni giuridici: le energie naturali, se suscettibili
a sfruttamento economico(ad esempio: l’energia elettrica).
CLASSIFICAZIONE DEI BENI
I beni si dividono in:
•Beni corporali, sono quei beni percettibili con i nostri sensi o con appositi strumenti , cosiddette “res quae tangi possunt”, cioè le cose
che possono essere toccate(ad esempio: animali, automobili ecc.).
•Beni incorporali, sono quelli che sono concepibili astrattamente come creazioni della mente “res quae tangi non possunt” che non
possono essere toccati(ad esempio: quadri d’autore).
Da notare che il diritto su cosa immateriale, che deriva da creazione intellettuale, così detto “diritto d’autore(può appartenere
solo all'autore e ai suoi eredi)” è cosa diversa dal bene materiale oggetto della creazione intellettuale.
Infatti, il libro, come idea, appartiene solo al suo autore ed ai suoi eredi.Mentre, il libro materialmente acquistato dal singolo compratore
è di sua proprietà e quindi, il compratore, potrà farne l’uso che crede, rivendendolo o anche distruggendolo.Allo stesso modo il quadro
d’autore non può essere riprodotto, ma il proprietario del singolo quadro potrà farne ciò che vuole.
I BENI MOBILI E I BENI IMMOBILI
I beni immobili: sono il suolo, corsi d’acqua e tutto ciò che è prodotto naturalmente (es: albero) o artificialmente (es: edificio),
sono incorporati al suolo stesso e pertanto, i beni immobili, sono quelli che non possono essere trasferiti da un luogo all’altro.I beni
mobili sono tutti gli altri e sono quelli che possono essere trasferiti da un luogo all’altro.
Per il trasferimento da un soggetto ad un altro di beni immobili, occorre la forma scritta. Mentre per trasferire i beni mobili non occorre
alcuna forma. Anzi ai sensi dell’art. 1153 del Codice Civile,se un soggetto acquista un bene mobile da un falso proprietario, ma ha di
questo bene mobile il possesso in buona fede(ignorando che sia falso il proprietario), egli diventerà automaticamente proprietario del
bene stesso.Questo principio è riassunto dal “possesso vale titolo” e riguarda solo i beni mobili.
Poiché, per il trasferimento di un bene immobile occorre la forma scritta, è agevole seguire la vicenda di un bene immobile,
anche perché i singoli possessori del bene vengono trascritti nei registri immobiliari, presso la conservatoria delle ipoteche.La
trascrizione(dal negozio di vendita) ha valore dichiarativo.
La forma scritta è richiesta, inoltre, per alcune categorie di beni mobili che sono perciò detti “beni mobili registrati” (ad esempio:
automobili, navi ecc.).
I BENI FUNGIBILI E I BENI INFUNGIBILI
I beni fungibili o di genere, sono i beni che possono essere sostituiti indifferentemente con altri beni (ad esempio: bicicletta di quella
marca o cavallo di quella razza).
I beni infungibili , invece, sono i beni che non possono essere sostituiti indifferentemente con altri beni(esempio un quadrod'autore). Le
parti, di comune accordo, possono stabilire che un bene per sua natura fungibile sia considerata da loro infungibile. La
distinzione è importante perché, se un bene è fungibile è oggetto di obbligazione, se il bene perisce, per causa non imputabi le
al debitore, l’obbligazione resta in vita.
Se, invece, si tratta di un bene infungibile e la cosa perisce per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue e il
debitore è liberato dall’obbligazione stessa.
I BENI CONSUMABILI E I BENI INCONSUMABILI
In natura tutti i beni si consumano con l’uso(si deteriorano conl'uso) . In senso giuridico vi è una distinzione tra beni consumabili
da quelli inconsumabili.
I beni consumabili sono quelli che nel dare utilità all’uomo, perdono la loro individualità o costituiscono privazione per un soggetto (ad
esempio: le tovaglie, denaro ecc.).Gli altri beni che perdono la loro individualità e non costituiscono privazione per un soggetto sono sì
deteriorabili, ma inconsumabili (ad esempio: vestiti, scarpe ecc.).
La distinzione è importante perché i beni inconsumabili possono essere goduti dal proprietario e non possono essere oggetto di
usufrutto (diritto di usare e godere delle cose altrui lasciando inalterata la destinazione economica della cosa stessa, “est ius rebus alienis
utendi et fruendi, salva rerum substantia”).Per i beni consumabili è configurabile la figura del quasi usufruttuario che consiste nel
fatto che l’usufruttuario gode della cosa altrui e al termine dell’usufrutto ne restituisce il valore.
I BENI DIVISIBILI E I BENI INDIVISIBILI
I beni divisibili sono quelli suscettibili ad essere divisi senza che se ne alteri la loro natura e destinazione economica(ad esempio: un
fondo, un edificio, un animale morto).
I beni indivisibili sono quelli che non possono essere divisi se non alterando la loro destinazione economica(ad esempio: un animale
vivo).Le parti, per loro volontà, possono stabilire che un bene, per sua natura divisibile, sia considerato indivisibile.La distinzione
è importante nell’istituto della comunione.Se è, in comunione, un bene indivisibile, lo scioglimento della comunione potrà essere fatto
solo con attribuzione del tutto ad un singolo comunista e attribuire delle quote agli altri, ovvero con vendita del bene comune indivisibile
e con la successiva ripartizione del ricavato tra gli interessati.
I BENI PRESENTI E I BENI FUTURI
I beni presenti sono quelli esistenti in natura; essi soltanto, in quanto esistono in natura , possono formare l’oggetto di diritto di proprietà
o di altri diritti reali.Invece ,i beni futuri che non sono ancora esistenti e presenti in natura potranno formare oggetto solo di rapporti
obbligatori(diritti di credito).Nel contratto di acquisto di cose future, se le parti hanno subordinato l’acquisto al fatto che la cosa
venga in esistenza, il contratto produrrà i suoi effetti se la cosa viene all’esistenza e nei limiti in cui viene all’esistenza. (Acquisto
di cosa sperata ).Se, invece, le parti hanno posto ad oggetto la cosa futura, indipendentemente dal suo venire effettivamente
all’esistenza, il contratto produrrà i suoi effetti anche se la cosa non verrà all’esistenza e, quindi, l’altra parte sarà comunque tenuta a
pagare quanto dovuto.Questo contratto è chiamato “contratto aleatorio”.
I FRUTTI
I frutti sono beni che provengono da altri beni. Essi potranno essere beni futuri se non sono ancora venuti all’esistenza. Si distinguono:
•I frutti naturali sono beni che provengono direttamente da altri beni (concorre o meno l’opera dell’uomo, ad esempio: prodotti agricoli o
parti di animali). Fino a che non avviene la separazione dalla cosa madre, i frutti non hanno una loro individualità, ne consegue
che se il creditore vuole compiere atti di esecuzione sui beni del debitore, essi si estenderanno anche sui frutti pendenti, se questi ultimi
non si sono ancora separati dalla cosa madre. Se essi non si sono ancora separati si dicono pendenti.
•I frutti civili sono beni che provengono indirettamente da altri beni perché costituiscono il corrispettivo del bene che viene assegnato o
concesso ad altri (canone di locazione o interessi).
COMBINAZIONE DI BENI:LE COSE SEMPLICI E LE COSE COMPOSTE
La cosa semplice è quella i cui elementi sono totalmente compenetrati tra loro, da non potersi staccare senza alterare la fisionomia del
tutto (ad esempio: piante,animali ecc.).
La cosa composta è, invece, quella risultante dalla connessione materiale di più cose, ciascuna delle quali potrebbe avere una propria
individualità giuridica ed economica (ad esempio: casa con porte, mattoni ecc.). Entrando a far parte della cosa composta, le singole cose
perdono la loro individualità, che, però, resta potenziale e latente(può riaffiorare in un secondo momento).Se le cose composte,
appartengono a persone diverse, bisogna fare una distinzione:
•se la cosa composta è un bene mobile, il proprietario della cosa accessoria (ad esempio: le gomme dell’automobile) potrà rivendicarla,
purché la separazione possa avvenire senza notevole deterioramento.
•se, invece, la cosa composta è un bene immobile, il proprietario della cosa principale, diventa proprietario della cosa accessoria
secondo il principio “accessorium sequitur principale”, salvo compenso al proprietario della cosa stessa.(indennizzo della cosa
accessoria.)
LE PERTINENZE
Si intende una cosa posta al servizio o all’ornamento di un’altra.Perché si abbia una pertinenza, occorre un elemento oggettivo :cioè
il rapporto di servizio o ornamento tra la cosa accessoria e cosa principale, la prima deve arrecare un'utilità alla seconda. Un altro
elemento necessario è l'elemento soggettivo rappresentato dalla volontà, espressa o solo tacita di effettuare la destinazione dell’una cosa
a servizio o ornamento dell’altra.
•di pertinenza di bene immobile a bene immobile (ad esempio: garage vs appartamento);
•di pertinenza di bene mobile a bene immobile (ad esempio: scaldabagno vs appartamento);
•di pertinenza di bene mobile a bene mobile (ad esempio: elementi di una nave).
Occorre che il vincolo di pertinenza sia durevole e non occasionale e che sia posto in essere dal proprietario o titolare di altro diritto reale
sulla cosa principale.Le pertinenze seguono la stessa sorte delle cose principali, salvo che non sia stabilito diversamente. Così se si
vende o si dona un appartamento e non si dice alcunché, vengono vendute o donate anche le pertinenze (ad esempio: autorimessa
annessa all’appartamento).
Per poter configurare un rapporto pertinenziale sarebbe necessario secondo la giurisprudenza che la cosa accessoria
appartenga al proprietario della cosa principale o quantomeno che quest’ultimo abbia la disponibilità,tuttavia il vincolo è tale da
generare nei terzi la ragionevole convinzione che le cose appartengono ad un unico proprietario, perciò la legge, quando si costituisce o
si estingue il vincolo tende a tutelare la buona fede dei terzi, così come serve la volontà dell’uomo per costituire una pertinenza, così
servirà una volontà uguale e contraria per farla cessare(per l'estinzione)
UNIVERSALITÀ PATRIMONIALI
Il nostro ordinamento conosce solo le universalità di beni mobili.Esse sono una pluralità di cose mobili appartenenti ad un unico
proprietario ed aventi destinazione unitaria (ad esempio: quadri di una pinacoteca, libri di una biblioteca, ecc.).
L’universalità di beni mobili si distingue dalla “res composta(cosa composta)”, in quanto nella cosa composta, le cose sono tra loro
connesse materialmente, mentre ciò non avviene nelle universalità patrimoniali.I romani chiamavano le cose composte “res aderentes”
e le universalità “res distantes”.L’universalità di mobili si distingue, inoltre, per le ‘ pertinenze ‘ quando tra le cose non vi è vincolo.Le
universalità sono elevate dalla legge ad unità, nel senso che sono considerate come un tutt’ uno diverso e distinto dalle singole cose che
la compongono.
Il principio dell’art. 1153 del Codice Civile non si applica alle universalità di beni mobili, perciò chi ha acquistato da un falso
proprietario una biblioteca, e di questa ne abbia il possesso in buona fede, non ne diventerà proprietario; lo diventerà solo con
il possesso ininterrotto per 10 anni, per effetto, come vedremo, di usucapione.Inoltre, il possesso delle universalità patrimoniali è
tutelato dall’azione di manutenzione che, invece,non è concessa per i singoli beni mobili.La dottrina distingue le universalità in “universitas
facti"(universalità di fatto)e “universitas iuris(universalità di diritto).
“L’ Universitas Facti” è il complesso di beni la cui unificazione avviene per volontà del proprietario. “L’ Universitas Iuris”la cui
unificazione avviene per legge ed è rappresentato dal complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi(ad esempio: l’ HEREDITAS) .
L’AZIENDA
Ha un posto tra le cose composte.La legge definisce l’azienda come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa, ossia per la produzione di beni o di servizi.(Ad esempio: l’azienda commerciale è composta dalle merci, dal denaro ecc.)
tutti quei beni sono tra loro interdipendenti ed organizzati dall’imprenditore per svolgere la sua attività.In dottrina si discute sulla natura
giuridica dell’azienda: secondo una parte della dottrina, l’azienda la considera“universitas facti”. Non può essere accolta questa
ipotesi perché il concetto di universalità esige da un lato che di essa facciano parte solo beni mobili mentre l’azienda può
comprendere anche i beni immobili e dall’altro lato che le cose appartengono ad uno stesso proprietario mentre questo non è
richiesto dall’azienda.(ad esempio: locale preso in affitto ecc.).
A tale tesi, si prospetta che l’azienda sia una cosa composta funzionale, nel senso che le cose sono tra loro connesse non materialmente,
ma funzionalmente.A ciò si obietta che, una cosa è composta quando vi è una connessione materiale(tra cosa e cosa) e non funzionale.
Altri ancora l'azienda,la considerano un bene immateriale che consisterebbe tutto nell’attività organizzatrice
dell’imprenditore.Secondo un’ultima tesi, si tratterebbe di “universitas Iuris”.Trattasi in realtà di una figura “sui generis”, no n
inquadrabile in alcuna categoria prestabilita degli elementi che la compongono.L’altro particolare importante è rivestito dall’
“avviamento”che è la capacità di profitto di un’azienda.
Si discute sulla natura giuridica dell’avviamento:
•secondo alcuni sarebbe la “ clientela “,la quale sarebbe piuttosto l’effetto dell’avviamento;
•altri lo considerano un bene materiale (rappresentata dalla capacità organizzativa dell’imprenditore);
•altri negano che sia un bene, ritenendo che si tratti di una “qualitas”, cioè una caratteristica dell’azienda. Tale orientamento è
condiviso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che asserisce che tale esercizio(cioè l avviamento)può anche mancare,
come in effetti avviene per l’azienda di nuova formazione.C’è una disputa privata anche sui rapporti tra azienda e impresa.Va
premesso che il cc definisce l’imprenditore colui che svolge professionalmente, cioè sistematicamente un’attività economica diretta alla
produzione, ovvero alla distribuzione di beni e servizi.Ciò premesso, l’azienda sarebbe lo strumento di cui si avvale l’imprenditore.Secondo
altri, l’impresa sarebbe l’azienda di medie e/o grandi dimensioni; tuttavia tale tesi contrasta con la lettera della legge che inquadra l’azienda
come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.Secondo altri, l’azienda e l’impresa costituiscono
2 aspetti dello stesso fenomeno:
•l’azienda sarebbe quello statico;
•l’impresa quello dinamico.
Secondo, l’ultima tesi, l’impresa costituirebbe una istituzione di diritto privato, cioè un’organizzazione privata composta da due
elementi:
•Complesso di persone gerarchicamente subordinate all’imprenditore.
•Complesso dei beni organizzati dall’imprenditore, per l’esercizio dell’impresa e quindi, secondo tale tesi, che sembra da condividere,
l’azienda sarebbe una parte del tutto.
BENI PUBBLICI
Quando si parla di beni pubblici si parla in due sensi:
•bene oggettivo;
•bene soggettivo.
I beni pubblici oggettivi sono quei beni assoggettati alla disciplina del diritto pubblico e quindi sottratti alle norme di diritto privato.Và
aggiunto che i beni pubblici in senso oggettivo sono quelli che appartengono ad un ente pubblico territoriale, cioè allo Stato, alle Regioni,
alle Province e ai Comuni.
Sono pubblici in senso oggettivo i beni demaniali ed i beni del patrimonio indisponibile. I beni demaniali si distinguono:
•Demanio Marittimo (lido,spiaggia ecc.);
•Demanio Idrico (fiumi, laghi ecc.);
•Demanio Militare, che comprende le opere destinate alla difesa nazionale..
Questi beni demaniali (beni pubblici) costituiscono il ‘ demanio necessario ‘ perché possono appartenere solo allo Stato.
Appartengono, invece, anche agli altri enti pubblici territoriali, il demanio stradale (vie comunali, statali ecc.) ed, inoltre, altri beni quali
acquedotti, oppure beni di interesse storico o archeologico (cimiteri ecc.).I beni demaniali sono disciplinati dal diritto pubblico, sono
inalienabili e non possono essere oggetto di possesso; conseguentemente non possono essere usucapiti.
I beni pubblici in senso soggettivo sono i beni patrimoniali, sono quelli che appartengono ad un ente pubblico. Essi si dicono beni
strumentali e si distinguono in:
•beni “patrimoniali indisponibili” non possono essere sottratti alla loro destinazione(non può essere modificata la loro destinazione)
•beni “patrimoniali disponibili” se, invece, la loro destinazione può essere modificata, essendo conseguentemente tali beni liberamente
alienabili secondo le norme del Codice Civile.
La Chiesa ed i beni ecclesiastici sono beni demaniali e ad essi si applicano le norme del Codice Civile.Però, per quanto riguarda la Chiesa,
fino a che non sono sconsacrate non possono essere sottratte alla loro destinazione, cioè al culto.
PRESCRIZIONE E DECADENZA
Per prescrizione si intende la perdita di un diritto per il non uso del diritto stesso da parte del suo titolare, per un periodo di
tempo stabilito dalla legge, (se il fondamento della prescrizione è di carattere sociale e consiste nell’esigenza della certezza dei rapporti
giuridici).Infatti, se un soggetto non usa il suo diritto per un determinato periodo di tempo, può far ritenere legittimamente nella collettività,
che tale diritto non esiste e sia stato abbandonato.
Dal carattere pubblico del fondamento dell’istituto della prescrizione, deriva che le norme in tema di prescrizione sono “imperative” e
quindi “inderogabili” dalla volontà delle parti; non possono né allungare né abbreviare i termini della prescrizione, né poss ono
rinunciare preventivamente alla prescrizione stessa. Diverso è il caso della rinuncia successiva della prescrizione già verificatasi,
poiché in tal caso è rimesso, alla volontà della parte, che potrebbe avvalersi dell’avvenuta prescrizione per una rinuncia.
La rinuncia può essere espressa, se fatta appunto espressamente o tacita, se consiste in atti incompatibili con la volontà di avvalersi
della prescrizione (ad esempio: pagamento di un debito già prescritto).
Poiché è rimessa alla volontà delle parti, la scelta se avvalersi o meno della prescrizione, essa potrà essere fatta valere solo dalle parti e
non potrà, quindi, essere rilevata di ufficio dal Giudice.
Il tempo ordinario di prescrizione è di 10 anni, salvo che la legge non preveda altrimenti (ad esempio:l’azione di annullamento si
prescrive in 5 anni, mentre i diritti reali si prescrivono in 20 anni).Vi sono poi, anche diritti imprescrittibili che quindi non si
perdono per non uso (ad esempio: diritto imprescrittibile è il diritto di proprietà poiché anche il non uso è un estrinsecazione del diritto
di proprietà).
Il diritto di prescrizione è soggetto a sospensione o interruzione.
Se si verifica la sospensione, il periodo di tempo decorso prima della causa di sospensione si cumula con quello successivo all’estinguersi
della causa di sospensione.
Se vi è invece interruzione, il periodo di tempo decorso precedentemente si considera come mai decorso e, quindi, dopo l’estinguersi
della causa di interruzione comincia a decorrere “ex novo” il periodo di prescrizione.
La sospensione della prescrizione è determinata dalla particolarità di un rapporto (ad esempio: genitore che esercita la
responsabilità genitoriale sui minori, o dalle condizioni soggettive del titolare del diritto; militare in tempo di guerra). Si verifica, invece,
interruzione, quando vi è compimento di un atto di esercizio di un diritto in via formale di un esercizio di diritto da parte del titolare (ad
esempio: la proposizione della domanda giudiziale, ovvero quando il debito viene riconosciuto dal debitore).
Mentre, la prescrizione è la perdita di un diritto per non uso del diritto stesso per un determinato periodo di tempo, la decadenza
è l’estinguersi di un diritto per lo scadere di un termine già fissato dalla legge per l’esistenza stessa di quel diritto.
In altri termini, mentre nella prescrizione il diritto nasce con vita illimitata e può essere perso solo per non uso, nella decadenza il diritto
nasce già con una vita limitata (ad esempio: dal diritto di impugnare una sentenza si decade, decorsi 30 giorni dalla sua notificazione).La
distinzione tra prescrizione e decadenza è importante perché nella decadenza non si applicano e non sussistono gli istituti della
sospensione e dell’ interruzione.
La decadenza è generalmente prevista dalla legge (decadenza legale) ma può essere anche stabilita dalle parti (decadenza
convenzionale) purché si tratti di diritti disponibili e purché le parti non stabiliscano un termine che renda troppo gravoso l’esercizio del
diritto, in quel caso la decadenza si considera come non apposta.
Dobbiamo far riferimento alle prescrizioni presuntive.(sono prescrizioni brevi stabilite dal legislatore in rapporti che avvengono
sollecitamente nella vita di tutti i giorni) Esse hanno luogo nei rapporti che avvengono sollecitamente nella vita di tutti i giorni (ad
esempio: nei negozi tra commercianti e clienti).In tale ipotesi, la legge, trascorso un breve periodo di tempo (6 mesi, 1 anno o 3 anni) a
seconda di quanto previsto tassativamente dalla legge, presume che il debito sia estinto.
Devesi notare che il debito non è necessariamente estinto e, quindi, se il debitore è convenuto in giudizio, egli non è tenuto a provare di
aver adempiuto, ma dovrà limitarsi ad eccepire l’avvenuta prescrizione del diritto altrui.Si è detto che la legge “presume” che il debito sia
estinto.Le presunzioni legali possono essere: “iuris tantum”, se ammettono la prova contraria, o “iuris et de iure”, se non ammettono
la prova contraria.Tanto premesso, la presunzione di prescrizione breve è una presunzione “iuris tantum” e, quindi, ammette la prova
contraria.Tuttavia se il creditore non ha a disposizione tutti i mezzi di prova per provare il suo credito,egli potrà solo ottenere una
confessione dal debitore o, in mancanza, potrà deferire al debitore giuramento decisorio che, se dà esito negativo, determina la
soccombenza del creditore in giudizio restando ferma solo la possibilità di denuncia penale per falso giuramento.
IL FATTO GIURIDICO
Fatto giuridico è qualunque fatto o atto che produce effetti giuridici (ad esempio: nascita, morte, terremoto, contratto).La norma prevede
fatti tipo o situazioni tipo, al cui verificarsi si ricollegano effetti giuridici.Tali fatti tipo si chiamano “fattispecie”.
La fattispecie può essere semplice se consta di un solo fatto o atto (ad esempio: morte,nascita), oppure può essere complessa se
consta di più atti o fatti (ad esempio: per vendere un bene del minore occorre la volontà dei genitori e l’autorizzazione del giudice tutelare).
I fatti giuridici possono consistere in un evento naturale (ad esempio: nascita, morte, terremoto ecc.), e sono detti fatti giuridici in
senso stretto o meri fatti giuridici, oppure sono dovuti alla volontà dell’uomo, in questo caso sono detti atti giuridici .
NEGOZIO GIURIDICO
L’atto giuridico è il fatto giuridico proveniente dall’uomo.Esso si distingue in: negozio giuridico e atto giuridico in senso stretto.
•Il negozio giuridico è la manifestazione di volontà diretta al perseguimento di uno scopo pratico riconosciuto e tutelato dal ordinamento
giuridico.
•L’atto giuridico in senso stretto può essere manifestazione di scienza o sentimento.La manifestazione di scienza consiste nel portare
a conoscenza di un soggetto, un determinato fatto o atto (ad esempio: notificazione di un atto).La manifestazione di un sentimento è
l’estrinsecazione dell’interno sentire di un soggetto (ad esempio:perdono).
La scienza disciplina le singole figure/tipi del negozio (ad esempio: testamenti, contratti, donazione).
Tuttavia all’art. 1324 del Codice Civile è previsto che la disciplina del contratto si applica in quanto compatibile agli atti unilaterali tra vivi
con contenuto patrimoniale, sicché la disciplina del contratto è sostanzialmente la disciplina del negozio giuridico; in relazione alla
struttura si distinguono negozi unilaterali, bilaterali e plurilaterali.
Negozio giuridico unilaterale è quello che proviene da una sola parte. La parte può essere costituita da più soggetti che siano legati da
un identico interesse ad un rapporto (ad esempio: più persone conferiscono la procura che è un negozio unilaterale).Se la parte si
compone di più persone, il negozio prende anche il nome di “ negozio pluri-personale “.Negozio giuridico Bi laterale è composto da due
parti, negozio giuridico plurilaterale è composto da più di tre parti ciascuna delle quali si rende portatrice di un’autonoma posizione di
interesse e non deve essere confuso con il caso in cui una delle parti di un contratto bilaterale abbia struttura pluri soggettiva.
Sempre in tema di negozio unilaterale, vanno distinte le figure dell’atto collettivo, atto collegiale e atto complesso.
•L’atto collettivo consiste in più dichiarazioni di volontà di soggetti che restano tra loro distinte, ma mirano ad uno stesso fine (ad esempio:
delibera di un’assemblea di condominio).
•L’atto collegiale . Se vi sono più volontà di più soggetti che tendono a formare la volontà di un’altra persona che è la persona giuridica,
avremo l’atto collegiale (ad esempio: delibere dei soci di una società, la volontà si forma con il “ concorso della maggioranza ”.
•L’atto complesso , consiste anch’esso di più volontà di soggetti diversi, ma queste non tendono a rimanere distinte, ma tendono a
fondersi per formare un’unica volontà (ad esempio: acquisto di un bene immobile fatto da inabilitato con assistenza del curatore).
L’importanza della distinzione sta nel fatto che nell’atto collettivo ed in quello collegiale(sono il risultato di una delibera fa tta a
maggioranza, nell'atto complesso ciò non avviene), poiché le volontà rimangono distinte, il “vizio” di una di esse non vizia l’altro; al
contrario, nell’atto complesso, poiché le diverse volontà tendono a fondersi, il vizio di una di esse, vizia l’intero atto.
Si distinguono, ancora:
•Il negozio recettizio è quello che per produrre i suoi effetti, deve essere portato a conoscenza del destinatario (ad esempio: la procura).
Difatti in questa tipologia di negozi la dichiarazione negoziale deve pervenire a conoscenza di un determinato soggetto al quale deve
essere notificata e comunicata.
•Il negozio non recettizio è quello che produce effetti indipendentemente dal fatto di essere portato a conoscenza del destinatario (ad
esempio: il testamento).
In relazione alle funzioni, si distinguono:
•I negozi Inter Vivos producono effetti in vita delle parti.(es compravendita)
•I negozi Mortis Causa producono effetti per la morte e dopo la morte di un soggetto.(es testamento)
Si distinguono inoltre:
•I negozi di disposizione comportano la diminuzione del patrimonio mediante l’alienazione o la rinuncia (ad esempio: donazione).
•I negozi di obbligazione creazione di un'obbligazione,comportano l’obbligo di trasferire un bene (ad esempio: vendita di cose altrui nella
quale il venditore deve prima acquisire la proprietà delle cose altrui, e poi trasferire al compratore).
Si distinguono, ancora:
•Il negozio tipico o nominato, è quello la cui disciplina è stabilita dal codice civile (ad esempio: compravendita, locazione, ecc.).
•Il negozio atipico o innominato, è quello la cui disciplina NON è prevista dal codice civile, ma dalla libera volontà delle parti, in
esecuzione del loro principio di autonomia negoziale.
•Il negozio misto è il negozio connotato da una pluralità di frammenti appartenenti a diversi tipi negoziali, che si condizionano a vicenda,
confluendo e fondendosi in un’operazione contrattuale unitaria.
NEGOZI A TITOLO GRATUITO E NEGOZI A TITOLO ONEROSO
I negozi a titolo gratuito sono i negozi per effetti dei quali un soggetto acquisisce un vantaggio senza alcun correlativo sacrificio. (ad
esempio: donazione).
I negozi a titolo oneroso si considerano tali quando un soggetto per acquistare qualsiasi tipo di diritto, beneficio o vantaggio accetta un
correlativo sacrificio. Comportano per una o entrambe le parti, un depauperamento, poiché vi è adempimento di una prestazione (ad
esempio: compravendita).
LA RINUNZIA
La rinunzia è un negozio giuridico unilaterale non recettizio e abdicativo, con il quale il titolare del diritto manifesta la volontà di dismettere
la titolarità del diritto stesso senza trasferirlo ad altri. È possibile che dopo la rinunzia altri acquistino il diritto dismesso, ma ciò non è
conseguenza della rinunzia ma può avvenire solo in maniera indiretta ed occasionale e indipendente dalla rinunzia. Così se l'usufruttuario
rinuncia al suo diritto, il nudo proprietario diventerà pieno proprietario, ma ciò non è conseguenza della rinunzia ma l'effetto del principio
dell'elasticità del dominio in forza del quale la proprietà ritorna ipso iure(automaticamente) piena se cessa un vincolo esistente su di
essa. Se la rinunzia ha ad oggetto un credito prende il nome di remissione del debito, che è una delle cause di estinzione delle
obbligazioni. Se la rinunzia è fatta dietro corrispettivo, si avrà un contratto atipico, perché si tratterà di un negozio bilaterale,
mentre la rinunzia è un negozio unilaterale.
Gli elementi del negozio giuridico si distinguono in:
•Elementi essenziali, cosiddetti “essentialia negotii”, che sono quelli necessari per l'esistenza stessa del negozio. Essi sono elencati
nell’articolo 1325 cc: la volontà, la manifestazione di volontà, la causa e la forma, quando essa è richiesta “ad substantiam”, ovvero per
l'esistenza stessa del negozio. La mancanza di uno o più elementi essenziali del negozio comporta la nullità del negozio stesso, che
quindi si considera come mai venuto all'esistenza;
•Elementi accidentali, cosiddetti “accidentalia negotii”, che sono quegli elementi che possono essere presenti come possono anche
mancare in un negozio, ma se ci sono essi acquistano la stessa importanza degli elementi essenziali. Essi sono la condizione sospensiva
o risolutiva, il termine iniziale o finale ed il modo (o onere);
•Elementi naturali, cosiddetti “naturalia negotii”, che sono quelli che la legge presume esistenti in ogni tipo di negozio, ma che la legge
stessa lascia libere le parti di escludere o di modificare.
MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ(la dichiarazione)
La manifestazione di volontà è un elemento essenziale del negozio giuridico, perciò la sua mancanza comporta la nullità del negozio
stesso, che si considera come mai venuto all'esistenza. La manifestazione di volontà è l'estrinsecazione dell'interno volere di un
soggetto. Essa può essere espressa, se è fatta con parole o per iscritto, cioè esplicitamente, o tacita se risulta da “facta concludentia”,
cioè da comportamenti che lasciano argomentare l'interno volere di un soggetto (ad esempio: il pagamento dei debiti di un defunto con
denaro del defunto è atto di accettazione tacita dell'eredità, perché è un atto che può essere compiuto solo da chi abbia accettato l'eredità
e abbia assunto il ruolo/qualità di erede). Viceversa il pagamento dei debiti del defunto con denaro proprio è un atto ambiguo, perché
chiunque può estinguere un debito altrui. La manifestazione di volontà può essere fatta anche “per relationem”, e si ha così la figura del
negozio “per relationem”, quando le parti per il contenuto di un negozio, fanno riferimento ad altro contratto o ad una disposizione di
legge. Bisogna, a proposito della manifestazione di volontà, definire che rilievo ha il silenzio.
Il silenzio è di per se un atto ambiguo. Tuttavia nel nostro ordinamento, chi tace, quando aveva il dovere giuridico di parlare, dovere
nascente dalla legge, da consuetudine o da contratto, presta il suo consenso. “Qui tacet dum loqui potuit et debuit, consentire videtur”cioè,
chi tace quando poteva parlare presta il suo consenso. Perciò nel nostro diritto il silenzio ha valore di affermazione positiva di volontà.(ad
esempio: se il figlio raggiunta la maggiore età nulla dice al genitore, presta il suo consenso affinché il genitore stesso continui a percepire
l'usufrutto legale dei suoi beni. Conseguentemente, il genitore non dovrà restituire i frutti consumati al figlio, quando ne farà richiesta, ma
solo i frutti esistenti).
FORMA
La forma è la veste esterna del negozio giuridico, ed è quindi il modo in cui esso si presenta all'esterno. Nel nostro ordinamento vige il
principio della libertà della forma. (Le parti sono libere di porre in essere il negozio in qualsiasi forma).Tuttavia in alcuni casi la legge
richiede espressamente una determinata forma per il negozio (ad esempio: per il trasferimento di beni immobili è richiesta la forma scritta,
e ancor più per la donazione è necessario l'atto pubblico).
Quando la legge richiede una determinata forma, si parla di forma “ad substantiam”. In tal caso, la forma è elemento essenziale del
negozio e la sua mancanza comporterà la nullità del negozio stesso, che si considererà come mai venuto all'esistenza. La forma può
essere anche richiesta “ad probationem”, cioè per la prova del negozio. In tal caso, la sua mancanza non comporta nullità del negozio,
solo che il negozio stesso non può essere provato per contratto perché non esiste, né per testimoni, ma solo per confessione o giuramento.
BOLLO E LA REGISTRAZIONE
Il bollo e la registrazione non sono requisiti di forma, ma sono imposizioni fiscali. La mancanza della carta bollata non produce la nullità
dell'atto, ma comporta solo il pagamento di una sanzione pecuniaria. La cambiale e l'assegno bancario privi di bollo perdono il valore
di titoli esecutivi, cioè di titoli in forza dei quali si può procedere ad atti di esecuzione forzata da parte del creditore sui beni del
suo debitore senza bisogno di adire il giudice. Anche la registrazione del negozio, che consiste nel deposito di una copia del negozio
presso gli uffici di pubblico registro, ha un valore fiscale, e la sua inosservanza comporta l'obbligo di pagare una pena pecuniaria. La
registrazione inoltre serve anche a provare la data certa del negozio di fronte a tutti i terzi.
PUBBLICITÀ
In molti casi la legge prescrive trascrizioni o iscrizioni nei pubblici registri per rendere note le vicende più importanti della persona giuridica
o dell'atto giuridico. Da questi risulta lo stato delle persone fisiche e le vicende delle persone giuridiche.
Nel nostro ordinamento conosciamo tre tipi di pubblicità:
•Pubblicità notizia, che serve per portare a conoscenza dei terzi un determinato fatto o atto (ad esempio: pubblicazioni matrimoniali). La
mancanza di tale forma di pubblicità dà luogo solo ad una sanzione pecuniaria (nell'esempio di cui prima: a carico degli sposi e dell'ufficiale
di stato civile).
•Pubblicità dichiarativa (o trascrizione). Serve a rendere opponibile il negozio ai terzi. La omissione della pubblicità dichiarativa
non determina l'invalidità dell'atto che produce egualmente i suoi effetti tra le parti del negozio. È rispetto ai terzi che gioca la mancata
attuazione.Consiste nella trascrizione di un trasferimento immobiliare ovvero di un negozio costitutivo di un diritto reale su un bene
immobile negli uffici di pubblico registro. Mancando la trascrizione il negozio è valido ed efficace tra le parti, ma non può essere provato
e opposto ai terzi perciò, se il proprietario di un bene immobile vende lo stesso bene prima ad un soggetto, e poi ad un altro, non diventerà
proprietario chi ha acquistato per primo, bensì chi ha trascritto per primo il negozio di acquisto. Poiché peraltro il negozio è valido
tra le parti, colui che ha trascritto dopo ha diritto di ottenere l'integrale risarcimento del danno subito da parte del venditore.
•Pubblicità costitutiva (o iscrizione). In questo tipo la pubblicità è elemento costitutivo della fattispecie , senza la pubblicità il negozio
non soltanto non si può opporre ai terzi ma non produce effetti nemmeno tra le parti.Essa esiste solo per l'ipoteca. L'ipoteca è un diritto
reale di garanzia, e cioè una garanzia del credito con il vincolo che si pone su di un bene. Essa sorge solo a seguito di iscrizione ipotecaria,
che ha quindi efficacia costitutiva a differenza della trascrizione che ha valore dichiarativo.
IPOTESI/CASI DI DIVERGENZA TRA MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ E INTERNO VOLERE
Sotto questo concetto, si comprendono due ipotesi. La prima ipotesi è che alla volontà manifestata non corrisponda in realtà alcun
volere. Tale ipotesi da luogo agli istituti dell'errore ostativo e della violenza fisica.
Seconda ipotesi è che alla volontà manifestata corrisponda una volontà diversa e divergente da quella dichiarata/manifestata.
Tale ipotesi da luogo agli istituti della riserva mentale e della simulazione. C'è da chiedersi cosa prevale tra la volontà interna e quella
manifestata. A tale proposito sono state elaborate dalla dottrina quattro teorie.
•Teoria della volontà, per cui bisogna dar rilievo solo alla volontà interna, perché solo da essa derivano gli effetti giuridici.
•Teoria della dichiarazione, per la quale bisogna dar rilievo solo alla volontà manifestata, perché solo questa è esterna e quindi entra
nel mondo del commercio giuridico.
Teorie intermedie:
•Teoria della responsabilità, per la quale se la divergenza è imputabile al dichiarante, egli ne è responsabile e quindi il negozio è valido
così come è stato dichiarato.
•Teoria dell'affidamento, per cui bisogna preoccuparsi di tutelare i terzi che in buona fede abbiano fatto affidamento nel negozio così
come è stato dichiarato.Il nostro ordinamento ha principalmente accolto la teoria dell'affidamento ed in talune ipotesi quella della
responsabilità.
ERRORE OSTATIVO
È quell'errore che è di ostacolo all'esatta estrinsecazione del volere. Esso in pratica consiste in un lapsus, che può essere ad opera
dello stesso dichiarante o di un “nuncius” che trasferisce erroneamente la volontà altrui (ad esempio: un ufficio telegrafico). Il negozio
viziato da errore ostativo dovrebbe essere radicalmente nullo, in quanto del tutto privo dell'elemento essenziale della volontà. Tuttavia,
per tutelare l'affidamento dei terzi in buona fede, il negozio è solo annullabile, purché l'errore sia essenziale e riconoscibile. L'errore
è essenziale se ha ad oggetto un elemento essenziale del negozio, ovvero, se riguarda una norma giuridica, se esso sia stato la ragione
unica o principale del negozio. L'errore è riconoscibile quando può essere riconosciuto usando una media diligenza.
VIOLENZA FISICA O VIOLENZA ASSOLUTA
Si ha quando l'autore del negozio è stato fisicamente costretto ad esso (ad esempio: se un soggetto è fisicamente costretto a sottoscrivere
una cambiale). Il negozio viziato da violenza fisica, poiché del tutto privo della volontà, è nullo, e si considera come mai venuto
all'esistenza. La violenza fisica si chiama anche violenza assoluta o “vis atrox”, e si distingue dalla violenza morale, detta anche
violenza relativa o “vis compulsiva”,che non è un'ipotesi di divergenza tra manifestazione di volontà e interno volere, ma è un
vizio della volontà. La violenza morale è la minaccia di un male fatta da un soggetto nei confronti di un altro soggetto affinché
quest'ultimo si determini a volere ciò che il primo vuole (ad esempio: negozio compiuto sotto la minaccia di una pistola). Poiché nell'ipotesi
di violenza morale una volontà pur formatasi male tuttavia c'è, il negozio non sarà nullo come nella violenza fisica, ma sarà annullabile. Il
soggetto “coactus tamen voluit” cioè, il soggetto anche se costretto ha voluto.
FIGURA DELLA RISERVA MENTALE
Si ha riserva mentale quando un soggetto dichiara di volere una cosa ma, deliberatamente ne vuole un'altra. In tal caso, poiché la
divergenza tra manifestazione di volontà ed interno volere è imputabile al dichiarante, in applicazione della teoria della
responsabilità, il negozio è valido. Si noti però che la dichiarazione fatta “ioci causa”, cioè per scherzo o nel corso di uno scherzo, è
nulla(non esiste giuridicamente), così come quella fatta “docendi causa”, cioè a scopo didattico.
SIMULAZIONE
Simulare significa fingere, perciò il negozio simulato è un negozio apparente creato dalle parti proprio per far apparire una
situazione di fronte ai terzi mentre, in realtà, le parti non vogliono nessun negozio(simulazione assoluta) o ne vogliono uno
diverso da quello apparente (“simulazione relativa”), ad esempio: Tizio teme che un suo bene immobile venga aggredito dai suoi
creditori, perciò simula una vendita del bene con Caio. Apparentemente Tizio è il venditore, Caio è l'acquirente, ma in realtà Caio non
paga alcun prezzo e Tizio continua ad essere proprietario del bene). Nella simulazione perciò, si ha una divergenza tra volontà dichiarata
e volontà interna che non è solo consapevole come nella riserva mentale, ma è anche concordata. Proprio per questo le parti sono solite
rilasciarsi una controdichiarazione scritta nella quale affermano che il negozio non produrrà alcun effetto.
La simulazione può essere:
•Assoluta, quando le parti fingono di porre in essere un negozio ma in realtà non ne vogliono nessuno;
•Relativa, quando le parti fingono di porre in essere un negozio ma ne vogliono uno diverso da quello apparente. In tal caso il negozio
apparente si chiama negozio simulato , mentre il negozio voluto in realtà si chiama negozio dissimulato (ad esempio: le parti possono
voler porre in essere una donazione, che però vogliono nascondere ai parenti, e quindi pongono in essere una vendita simulata che cela
la donazione). Nell'esempio fatto la vendita è il negozio simulato, la donazione quello dissimulato. La simulazione relativa può essere
oggettiva o soggettiva a seconda che il negozio simulato differisca da quello dissimulato per l'oggetto o per i soggetti. La simulazione
relativa oggettiva si ha spesso nella compravendita di beni immobili in cui si fa risultare per motivi fiscali un prezzo inferiore a quello
reale. La simulazione relativa soggettiva dà luogo alla figura dell' interposizione fittizia di persona. Essa si ha quando le parti (ad
esempio: Tizio e Caio), si accordano, nel senso che, il contratto produrrà effetti nei confronti di un terzo (ad esempio: di Sempronio).
Se Sempronio vuole acquistare un bene immobile da tizio ma teme che il bene venga poi aggredito dai suoi creditori, potrà accordarsi
con Tizio e Caio. Tizio è il venditore, Caio il simulato acquirente, mentre gli effetti si produrranno nei confronti di Sempronio, che sarà
colui che pagherà il prezzo e diventerà proprietario del bene. Poiché Caio è un soggetto solo interposto solo fittiziamente (è anche detto
“testa di legno”). L'interposizione fittizia di persona si distingue dall ' interposizione reale di persona . Essa ha luogo nella
cosiddetta rappresentanza indiretta. Il rappresentante indiretto agisce in nome proprio ma per conto altrui, e gli effetti del negozio si
producono effettivamente in capo al rappresentante, che però è obbligato a ritrasferire gli effetti in capo al rappresentato.
GLI EFFETTI DELLA SIMULAZIONE TRA LE PARTI
Se la simulazione è assoluta, poiché le parti non hanno voluto in realtà alcun negozio, il negozio simulato è nullo. Il Codice dice che il
negozio simulato non produce effetti, dal che una parte della dottrina afferma che il negozio è inefficace, l’altra parte che è nullo. Se la
simulazione è relativa, è nullo il negozio simulato, mentre quello dissimulato è valido, purché abbia i requisiti di forma e di
sostanza richiesti dalla legge per quel negozio. Nell'esempio della vendita che cela la donazione, sarà necessario, purché la donazione
sia valida, che essa abbia ad oggetto beni presenti e che sia fatta per atto pubblico. Peraltro, se il negozio dissimulato è illecito, sarà
nullo il negozio simulato in quanto tale e nullo il negozio dissimulato in quanto illecito (ad esempio: se una vendita simulata cela
la donazione ad un funzionario da corrompere, è nulla la vendita perché è simulata, ed è nulla la donazione perché illecita).
EFFETTI DELLA SIMULAZIONE NEI CONFRONTI DEI TERZI
Se i terzi estranei al negozio simulato possono essere da esso pregiudicati, potranno far valere in giudizio la simulazione e far dichiarare
la nullità del negozio (ad esempio: i creditori di Tizio, simulato alienante e venditore, potranno far valere in giudizio la vendita simulata, e
quindi, farne dichiarare la sua nullità, dimostrando che il bene non è mai uscito dal patrimonio del loro debitore, e potranno aggredire il
bene stesso). Più delicata è la situazione dei terzi che abbiano acquistato diritti dal simulato acquirente, cioè: se Tizio vende simulatamente
il bene a Caio, e Caio lo rivende ad un terzo, poiché la vendita tra Tizio e Caio è nulla, in quanto simulata, dovrebbe essere nulla anche
la seconda vendita da parte di Caio nei confronti del terzo; Ciò in applicazione del principio “nemo transferre potest plus iuris quam
ipse habeat” cioè, nessuno può trasferire ad altri un diritto maggiore di quello che egli stesso ha. Tuttavia, in applicazione della teoria
dell'affidamento, sono tutelati i terzi in buona fede che, con una normale diligenza, non si sono accorti dell'accordo simula torio.
Poiché nell'esempio, Tizio (originario proprietario, venditore simulato), ha perso il suo bene per fatto e colpa del simulato acquirente, egli
avrà diritto di ottenere l'integrale risarcimento del danno subito. La buona fede è l'ignoranza dell'accordo simulatorio. È sufficiente che
essa esista nel momento della conclusione del negozio, sicché se anche un istante dopo, la parte viene a conoscenza della simulazione,
sarà comunque considerata in buona fede, in applicazione del principio “mala fidens superveniens non nocet”cioè, la malafede che
sopraggiunta non nuoce. Inoltre la buona fede si presume, sicché spetta all'altra parte provare che il soggetto era invece in malafede.
GLI EFFETTI DELLA SIMULAZIONE NEI CONFRONTI DEI CREDITORI
I creditori del simulato alienante potranno senz'altro agire in giudizio e far dichiarare la nullità della simulazione, onde provare che il
bene del loro debitore non è mai uscito dal patrimonio del debitore stesso, e così aggredirlo. Più delicata è la situazione dei creditori
del simulato acquirente. Se si tratta di creditori cosiddetti “chirografari” cioè, sforniti di garanzia reale (ad esempio: sforniti di ipoteca),
poiché essi non hanno posto nessun vincolo e quindi garanzia sul bene, non potranno soddisfarsi sul bene simulatamente acquistato dal
loro debitore, perché il simulato alienante farà valere in giudizio la nullità del negozio, dimostrando che il bene è sempre stato di sua
proprietà. Viceversa, se i creditori hanno iscritto ipoteca sul bene simulatamente acquistato dal loro debitore, poiché hanno creato un
vincolo(garanzia) su quel bene, e sempre che siano in buona fede, essi potranno soddisfarsi su quel bene, poiché il diritto reale, e quindi
il potere immediato e diretto sulla cosa, prevarrà rispetto all'azione di nullità esperita dal simulato alienante.
NEGOZIO INDIRETTO E NEGOZIO FIDUCIARIO
La simulazione(Il negozio simulato) va distinta da alcune figure che sembrano simili ad essa:
•anzitutto il negozio simulato va distinto dal negozio in frode alla legge e dal negozio in frode ai creditori. Infatti, mentre nel negozio
simulato gli effetti non sono voluti dalle parti, nel negozio in frode alla legge e nel negozio in frode ai creditori invece, gli effetti sono voluti
dalle parti proprio allo scopo di frodare i creditori o la legge.
•Il negozio simulato si distingue dal negozio indiretto: nel negozio indiretto gli effetti giuridici del negozio non si producono
direttamente ma indirettamente o per via traversa (ad esempio: voglio estinguere un mio debito e conferisco al mio creditore la procura
a riscuotere i canoni di locazione di un mio appartamento fino al suo soddisfacimento del credito). Come è evidente, mentre nel negozio
simulato gli effetti non sono voluti dalle parti, in quello indiretto gli effetti sono voluti, anche se le parti si prefig gono scopi
diversi da quelli tipici del negozio posto in essere.Nell’esempio precedente il negozio di rappresentanza mirava invece ad estinguere
un’obbligazione.
La categoria più importante di negozio indiretto è quello fiduciario. Nel negozio fiduciario un soggetto detto fiduciante trasferisce, o
fa trasferire da un terzo, tutti, o parte dei suoi beni, ad un altro soggetto detto fiduciario, che si obbliga a servirsi dei beni secondo gli scopi
concordati. Il fiduciario può servirsi dei beni ed anche alienarli se necessario ma poi dovrà restituirli al fiduciante o, se li ha
alienati, dovrà restituire il ricavato. Già in diritto romano si conoscevano le figure di negozi fiduciari “cum amico” e della fiducia “cum
creditore”. Il Codice Civile non disciplina espressamente il negozio fiduciario, tuttavia, esso deve ritenersi ammesso in applicazione del
principio dell’autonomia contrattuale. Esiste però una figura di negozio fiduciario: Una sola norma prevede un’ipotesi di negozio
fiduciario in materia di disposizioni testamentarie l’art.627 del codice civile. In essa si prevede che il testatore può nominare erede
un soggetto con l’obbligo di trasferire i beni ad un terzo; in tal caso l’erede ha l’obbligo morale, e non giuridico, di trasferire i beni; se però
li trasferisce al terzo spontaneamente, non potrà più ripeterli(richiederli indietro), a meno che non sia un incapace. Anche nel negozio
fiduciario gli effetti sono voluti dalle parti, a differenza del negozio simulato in cui gli effetti non sono voluti dalle parti.
I VIZI DELLA VOLONTÀ
I vizi della volontà sono quelle cause che incidono sul percorso di formazione della volontà stornandola dal suo retto cammino.
Essi sono:
•L’errore vizio;
•La violenza morale;
•Il dolo.
Queste tre figure ricorrendone i requisiti rendono il negozio annullabile. Il negozio non è nullo ma è annullabile, e quindi, produce per
intanto i suoi effetti, ma può essere annullato a seguito dell’esperimento di apposita azione di annullamento da parte
dell’interessato. Il Giudice pronuncerà l’annullamento con sentenza costitutiva che, quindi, pone la nullità del negozio con effetti “ex
tunc”(dal primo momento della conclusione del negozio).
L’ERRORE VIZIO
In generale, per errore si intende l’ignoranza o la falsa conoscenza della realtà. In particolare in senso tecnico giuridico, per errore
vizio si intende l’ignoranza o la falsa conoscenza di un fatto o di una norma giuridica. La legge pone sullo stesso piano l’errore ostativo
e l’errore vizio per quanto riguarda le conseguenze giuridiche. Infatti, in entrambi i casi, il negozio è annullabile. L’errore vizio può
essere di fatto o di diritto a seconda che abbia ad oggetto un fatto giuridico o una norma. L’errore può essere essenziale o accidentale
a seconda che cada su elementi essenziali o accidentali del negozio.
L’errore vizio di fatto è essenziale quando è:
•“error in persona”, cioè errore sulla persona destinataria del negozio;es mi inducono donare una somma di denaro a tizio per salvare
mio figlio invece era Caio.
•“error in substanzia”, cioè errore sulla sostanza dell’oggetto del negozio. Si discute in dottrina se l’errore sul valore sia “error in
substanzia”; generalmente non lo è, sicché la sproporzione tra cosa e prezzo non dà luogo ad annullamento ma solo ad eventuale
rescissione, se ricorrono i requisiti di legge;
•“error in corpore”, cioè errore sul corpo dell’oggetto del negozio;
•“ error in negozio”, cioè mi induco a concludere un contratto perché lo ritengo di enfiteusi, mentre è di locazione. L’errore vizio di diritto
è essenziale quando è stato la ragione unica o principale del negozio avendo ad oggetto una norma giuridica.L’errore vizio è accidentale
quando è “error in qualitate” o “in quantitate” cioè, quando è errore sulle qualità accessorie del negozio o di peso o di misura. Tale tipo
di errore non dà luogo ad annullamento ma solo a rettifica, ed eventuale risarcimento. Ciò premesso,L’errore vizio è riconoscibile,
quando può essere riconosciuto da una persona di media diligenza. Tutto ciò premesso, l’errore vizio dà luogo ad annullabilità,
quando è essenziale e riconoscibile dall’altra parte, o dal destinatario del negozio. Per quanto concerne l’errore vizio sui motivi va fatta
una distinzione; si distinguono i negozi a titolo oneroso da quelli a titolo gratuito. Nei negozi a titolo oneroso l’errore vizio è irrilevante e
non dà luogo ad annullabilità. Nei negozi a titolo gratuito(testamento o donazione) l’errore vizio è causa di annullabilità, se esso è
stato l’unico motivo principale e determinante e ciò risulta dall’atto di liberalità.
VIOLENZA MORALE
La violenza morale detta anche violenza relativa (o “ vis compulsiva ”) è la minaccia di un male fatta da un soggetto nei confronti
di un altro soggetto, affinché quest’ultimo si determini a volere ciò che il primo vuole. Essa si distingue dalla violenza fisica in cui
l’autore del negozio è fisicamente costretto ad esso. Nel caso di violenza fisica manca del tutto la volontà, e quindi, il negozio è
nullo invece, nel caso di violenza morale, una volontà, pur formatasi male, c’è stata, e quindi, il negozio non è nullo ma è
annullabile “coactus tamen voluit”(pur costretto ha tuttavia voluto). Ciò posto, il negozio viziato da violenza morale è annullabile, se la
violenza è grave ed ingiusta e se vi sia un nesso di causalità tra violenza e negozio. La minaccia è grave quando è posta in essere nei
confronti dell’autore del negozio, o del di lui coniuge, o di un suo ascendente, o discendente; se, invece, è posta in essere nei
confronti di un soggetto legato da altro vincolo affettivo con l’autore del negozio, il valutare la gravità della violenza è rimesso al prudente
apprezzamento del Giudice, che valuterà l’intensità del rapporto tra il soggetto minacciato e l’autore del negozio. Se la violenza morale
proviene da un terzo, essa è causa di annullabilità anche se l’altra parte del negozio non ne era a conoscenza. Non è invece
violenza morale il cosiddetto “metus reverenzialis” cioè, il timore reverenziale e, quindi, quel particolare rispetto che si ha nei confronti di
soggetti autorevoli, o, di genitori, perciò il negozio concluso per “metus reverenzialis” è valido ed efficace. Va poi distinto il negozio
compiuto sotto violenza morale da quello concluso in stato di pericolo. Infatti nella violenza morale la minaccia viene dall’esterno
cioè, dall’altra parte, o da un terzo invece, nei negozi in stato di pericolo la minaccia e la paura sono nell’animo dell’autore(all’interno) del
negozio a causa di eventi naturali o disastri, così, se mi induco a promettere un’ingente somma di denaro a chi salverà mio figlio dalle
fiamme, non sarà un negozio viziato da violenza morale ma porrò in essere un negozio che potrà non essere annullabile bensì potrà
essere solo oggetto di rescissione se ne ricorrono gli estremi.
IL DOLO
Il dolo è quel complesso di artifizi e raggiri posti in essere da un soggetto per indurre un altro a un determinato negozio giuridico.
Il dolo si distingue in:
•“dolus bonus”;
•“dolus malus”.
Il “dolus bonus” è quel complesso di vanterie con cui i commercianti vantano la loro merce in vetrina al fine di indurre più acquirenti
possibile all’acquisto. Esso non è vietato dalla legge. Il dolus malus come dicevano i romani è “omnis calliditas fallacia machinatio ad
circumveniendum fallendum decipiendum alterum adibita” cioè è, quel complesso di inganno o raggiro diretto ad insidiare trarre in errore
o ingannare l’altro. Ad esempio compro un terreno perché ingannato dal raggiro del venditore che mi mostra una falsa concessione ad
edificare. Anche la menzogna o il tacere possono costituire dolo se consistono e costituiscono un raggiro. Avremo quindi un dolo
commissivo(il venditore che inganna l'altra parte)o omissivo. Ad esempio il tacere l’esistenza di una pesante servitù prediale su di
un fondo può costituire dolo se l’acquirente non avrebbe acquistato se avesse saputo dell’esistenza di tale servitù.
Il “dolus malus” si distingue:
•“ Il dolus malus determinante ”, che è quello che ha determinato la conclusione di un negozio e senza il quale il negozio non si sarebbe
concluso. Esso è causa di annullabilità.
•“ Il dolus malus incidente ”, che è quello senza il quale il negozio sarebbe stato ugualmente concluso ma a condizioni meno gravose
per la parte. Esso dà luogo solo ad eventuale risarcimento.
Va aggiunto che, mentre la violenza morale che proviene da un terzo è sempre causa di annullamento del negozio anche se l’altra parte
la ignorava, se il dolo proviene da un terzo, il negozio sarà annullabile solo se l’altra parte ne era a conoscenza e ne abbia voluto
approfittare. Nell’ipotesi di dolo reciproco, mentre per diritto romano vi era compensazione di frode, nel nostro ordinamento nel
silenzio della legge può presumere che ciascuna delle parti potrà chiedere/esperire azione di l’annullamento. Nei negozi unilaterali
non recettizi il dolo ha rilevanza da qualunque parte provenga. Vi sono peraltro negozi in cui il dolo è irrilevante come il matrimonio,
che può essere viziato e annullato solo per errore o per violenza morale. Va specificato che il dolo, quale vizio della volontà, è cosa
diversa dal dolo, quale elemento psichico di un atto umano.
Ogni atto umano in quanto proveniente dall’uomo è volontario, tuttavia, questa generica volontarietà è dolo, se l’atto è compiuto con
coscienza, ed è invece colpa, se l’atto è effetto di imprudenza negligenza o imperizia come l’omicidio colposo. Il dolo così inteso è cosa
diversa dal dolo vizio della volontà.Quest’ultimo proviene dall’esterno mentre il primo proviene dall’interno.
LA CAUSA
La causa è uno degli elementi essenziali del negozio giuridico assieme alla volontà, alla manifestazione di volontà ed alla forma quando
essa è richiesta “ad substanziam”. La causa è la ragione economico giuridica del negozio stesso. Essa è unica e costante per tutti
i tipi di negozi. Nella compravendita la causa è lo scambio di cosa contro prezzo e, precisamente per il compratore, è il conseguimento
della cosa per il venditore il conseguimento del prezzo. Per il locatore è il conseguimento del canone per il conduttore è il godimento del
bene nel contratto di locazione.La causa si distingue dai motivi poiché questi sono interni e possono esser plurimi mentre la causa è
unica ed è esterna si può quindi dire che la causa è il motivo ultimo determinante, e perciò si manifesta all’esterno. Essendo la causa
un elemento essenziale del negozio giuridico la sua mancanza determina la nullità del negozio. La legge pone sullo stesso piano
la mancanza della causa e la sua illiceità. Come vedremo la causa è illecita se è contraria a norme imperative di diritto, buon costume o
ordine pubblico e, quindi, anche se la causa è illecita il negozio è nullo.
NEGOZI ASTRATTI
In generale ed in via di massima tutti i negozi sono causali(hanno una causa che si manifesta in maniera evidente tanto che uno degli
elementi essenziali). Eccezionalmente tuttavia la legge conosce anche negozi cosiddetti astratti perché, vivono indipendentemente
dalla causa che li ha generati. Ad esempio la cambiale è un negozio astratto poiché vive indipendentemente dalla causa che l’ha generata.
La cambiale è un titolo di credito che circola mediante girata ed essa è un negozio astratto perché per la sua circolazione si prescinde
dalla causa e, quindi, dal rapporto sottostante che l’ha generata. Poiché i negozi astratti, pur vivendo indipendentemente dalla causa che
li ha generati, hanno tuttavia una causa, e la sua mancanza o la sua illiceità produrrà i suoi effetti sia pure in ritardo. Così se firmo delle
cambiali a Tizio per avere del denaro in prestito e Tizio non mi dà il denaro promesso e gira le cambiali ad un terzo, io sono costretta a
pagare il denaro indicato ma potrò agire per ottenere sia la restituzione della somma che il risarcimento del danno subito, e ciò facendo
valere il rapporto sottostante, che nell’esempio è un rapporto di mutuo. Come si vede la causa produrrà i suoi effetti anche se con ritardo.
L’astrazione può essere sostanziale o processuale. L’astrazione sostanziale è quella che riguarda i negozi che vivono indipendentemente
dalla causa che li ha generati, mentre l’astrazione processuale dà luogo a tale situazione, cioè che l’attore è tenuto solo a provare
l’esistenza del negozio non anche l’esistenza e la liceità della causa, è anzi il convenuto, che se non vuole soccombere, dovrà provare
l’inesistenza o la illiceità della causa. L’astrazione processuale introduce perciò un’inversione dell’onere della prova, perché nel processo
civile, l’onere della prova, incombe sull’attore “onus probandi incumbi ei qui dicit non ei qui negat”.
MANCANZA GENETICA O FUNZIONALE DELLA CAUSA
La causa può mancare fin dall’origine cosiddetta mancanza genetica. Ad esempio: se compro una cosa, che in effetti è già mia, manca
all’origine una causa, perché non si può trasferire una cosa a chi è già proprietario di essa. In tal caso il negozio è nullo. Se invece il
negozio ha una sua causa, ma essa viene meno successivamente alla conclusione del negozio, quest’ultimo non sarà nullo ma,
sarà suscettibile di risoluzione.
I casi sono tre:
•Inadempimento della prestazione di una delle parti;
•Sopravvenuta impossibilità della prestazione di una delle parti;
•Sopravvenuta eccessiva onerosità di una delle prestazioni, nei contratti cosiddetti ad esecuzione continuata.
Nei tre casi, venuta meno una delle due prestazioni, verrà meno anche l’altra, perché le due prestazioni sono legate tra loro da un vincolo
di interdipendenza, che si chiama sinallagma. Se viene meno una delle due prestazioni, verrà meno anche l’altra, perché una è causa
dell’altra. Nel primo e nel terzo caso la risoluzione avviene con sentenza costitutiva del Giudice, invece, nella seconda ipotesi il
venir meno di una prestazione, fa venir meno l’altra “ipso iure” e, quindi, la sentenza del Giudice sarà solo dichiarativa o di mero
accertamento.
L’ILLICEITÀ DELLA CAUSA
La legge pone sullo stesso piano la mancanza della causa e la sua illiceità. In entrambe le ipotesi il negozio è nullo. La causa è
illecita se è contraria a norme imperative di diritto, ordine pubblico o buon costume.Norme imperative di diritto sono quelle poste a
tutela di un interesse generale. Esse sono inderogabili dalla volontà delle parti. Ad esempio: negozi con causa illecita per contrasto
con norme imperative è dato dai patti successori, che sono quegli atti con cui si dispone di beni facenti parte di un’eredità non ancora
aperta, perché è ancora in vita il proprietario di essi.Per ordine pubblico si intendeva un tempo l’interesse generale della collettività
ma, essendo tale concetto troppo astratto e generico, oggi per ordine pubblico si intendono i principi giuridici generali del
nostro ordinamento. Ad esempio: negozio con causa illecita per contrasto con l’ordine pubblico è il "pactum de non licitando” cioè, il
patto con cui una persona si impegna a non partecipare ad una gara per favorire un altro. Per buon costume si intende la coscienza
morale di un popolo in un determinato momento storico. Il concetto di buon costume perciò non comprende solo principi quali quelli
del pudore o della decenza ma, in generale, tutti i principi etici della collettività. Ad esempio: negozio con causa illecita per contrasto
con il buon costume è la donazione fatta nei confronti di un funzionario al fine di corromperlo. Si noti che il negozio con causa illecita in
generale si chiama negozio illecito tuttavia la dottrina ha elaborato una distinzione tra i negozi illegali, che sono quelli nulli per causa
contraria a norme imperative di diritto e ordine pubblico, e dall’altro, negozi immorali, che sono quelli nulli per causa contraria al buon
costume. La distinzione non è meramente teorica perché in presenza di un negozio illegale, se la parte ha adempiuto può, tuttavia,
agire in giudizio e ripetere la prestazione, se, invece, trattasi di negozio immorale, se una parte ha tuttavia adempiuto e, se
l’immoralità era comune ad entrambe le parti, essa non potrà ripetere la prestazione, in applicazione del principio “in pari causa
turpitudinis meglio res in condicio possidentis”. Abbiamo detto che i motivi sono interni e plurimi e quindi sono giuridicamente
generalmente irrilevanti, tuttavia, la legge stabilisce che, se le parti hanno concluso un negozio per un motivo illecito comune ad
entrambe, il negozio è nullo per motivo illecito comune. Così se Tizio fa un finanziamento di denaro nei confronti di Caio e Caio dona
questo denaro ad un funzionario, al fine di ottenere un provvedimento favorevole a Tizio e Caio, tale contratto è nullo. La nullità ha luogo
anche nei negozi a titolo gratuito quindi testamento e donazione quando il motivo illecito è stato l’unico determinante e ciò risulta dall'atto
di liberalità. L’errore vizio sui motivi è causa di annullamento del negozio, se il negozio è a titolo gratuito, e se l’errore vizio è stato l’unico
motivo determinante e ciò risulti dall’atto di liberalità.
NEGOZIO IN FRODE ALLA LEGGE
Si ha quando un negozio pur rispettando formalmente la lettera della legge costituisce in realtà un mezzo per eludere
l’applicazione di una norma imperativa di diritto. Tale negozio si distingue dal negozio contrario alla legge, cioè quello con causa
illecita per contrasto con norme imperative; quest’ultimo ha una causa illecita e viola una norma imperativa mentre il negozio in frode
alla legge è costituito da una serie di operazioni formalmente ineccepibili ma dirette a frodare la legge (ad esempio: una norma
imperativa di diritto vieta ad una società di concedere prestito ai suoi amministratori, ciò nonostante la società può concedere il prestito
ad un terzo che si era preventivamente obbligato a trasferire il denaro ad uno, o più amministratori, e così, pone in essere un negozio in
frode alla legge). Una volta provata la frode, su istanza di chiunque vi abbia interesse, anche questo negozio è nullo. Questo si
distingue dal negozio in frode ai creditori che ha luogo quando il debitore, per evitare che i suoi beni vengano aggrediti dai
creditori, li vende in tutto o in parte ad un terzo. Il negozio in frode ai creditori dà luogo all’azione revocatoria con l’esperimento della
quale i creditori possono far rientrare nel patrimonio del debitore i beni alienati. Il negozio in frode alla legge si distingue inoltre dal
negozio simulato infatti in questo gli effetti non sono voluti dalle parti mentre nel negozio in frode alla legge gli effetti sono
voluti dalle parti anche se per via traversa ed elusiva di una norma imperativa.
LA RAPPRESENTANZA
Si ha rappresentanza quando un soggetto detto rappresentante agisce in nome e per conto di un altro soggetto detto
rappresentato.La rappresentanza è quella figura giuridica che si ha quando un soggetto, che si chiama rappresentante, agisce in nome
e per conto di un altro soggetto, detto rappresentato. Il rappresentante si distingue dal “nuncius” o messo, in quanto il “nuncius”, è un
organo di trasmissione della volontà altrui mentre, il rappresentante si sostituisce con la sua volontà a quella del rappresentato.
La rappresentanza può essere di due tipi:
•Diretta o propria;
•Indiretta o impropria.
La rappresentanza diretta si ha quando il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato, mentre in quella indiretta, il
rappresentante agisce in nome proprio e per conto del rappresentato. I due tipi di rappresentanza comportano conseguenze diverse:
Nella rappresentanza diretta, poiché il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato, gli effetti del negozio posti in essere
si producono automaticamente in capo al rappresentato invece, nella rappresentanza indiretta, poiché il rappresentante agisce per
conto del rappresentato ma in nome proprio, gli effetti si produrranno in un primo momento in capo al rappresentante, che poi sarà poi
obbligato a trasferire con un nuovo negozio giuridico gli effetti in capo al rappresentato.
La rappresentanza indiretta dà luogo alla figura all’interposizione reale di persona perché vi è l’intromissione del rappresentante
che agisce in nome proprio si distingue dall’interposizione fittizia di persona che ha luogo nella simulazione relativa soggettiva.
La rappresentanza non è ammessa per tutti i tipi di negozi; infatti è esclusa per i negozi di diritto famigliare e successorio (per il
testamento). Nel matrimonio, per procura, il procuratore e un nuncius, si limita a trasferire la dichiarazione del si davanti
all’ufficiale di stato civile. Secondo la fonte la rappresentanza si distingue in legale e volontaria. Quella legale deriva dalla volontà
della legge, ed è quella prevista dei genitori nei confronti del minore e del tutore nei confronti dell’interdetto, ed anche quella
dell’amministrazione di sostegno, nei casi in cui il Giudice abbia previsto che egli sostituisca del tutto la sua volontà a quella del
beneficiario. Tale rappresentanza si distingue dall’assistenza data dal curatore nei confronti dell’inabilitato e del minore emancipato, infatti
in questi casi poiché si limita ad integrare la volontà dell’incapace per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione. Rappresentante
legale si intende anche quella degli organi di una persona giuridica o società perché hanno la facoltà di avere rapporti all’esterno con i
terzi. Va fatta una precisazione: per le norme in materia di persona giuridica la volontà di essa si forma in assemblea con il concorso della
maggioranza quindi, il rappresentante legale non si sostituisce con la sua volontà a quella della persona giuridica, tuttavia, egli è l’unico
che abbia il potere di avere rapporti all’esterno con i terzi. La rappresentanza volontaria deriva dalla volontà delle parti e il negozio
con cui si conferisce il potere di rappresentanza, è la procura. La procura è un negozio giuridico unilaterale recettizio perché
deve essere portato a conoscenza del rappresentante per produrre i suoi effetti ed è inoltre un negozio formale poiché dovrà
avere la stessa forma prevista per il negozio che dovrà essere compiuto dal rappresentante e quindi sarà a forma libera se nessuna
forma è prevista per il negozio del rappresentante mentre sarà a forma vincolata se al contrario per il negozio del rappresentante è prevista
una forma “ad substanziam”. La procura si distingue dal mandato, con il quale nella pratica si confonde in quanto, mentre la procura è
un negozio unilaterale, il mandato è un negozio bilaterale(cioè un contratto); inoltre, mentre la procura conferisce sempre potere di
rappresentanza, il mandato può essere con o senza rappresentanza. La procura quando non è a forma vincolata può essere espressa
o tacita. Espressa quando si conferisce espressamente il potere di rappresentanza(verbalmente o per iscritto); tacita quando tale
conferimento si desume da “facta concludenzia” (ad esempio: procura tacita a vendere data ad un commesso in un’azienda commerciale).
Per la validità di un negozio compiuto da un rappresentante è necessario che il rappresentato abbia la capacità di agire, invece, poiché
ciascuno è libero di tutelare i propri interessi come meglio crede, il rappresentante potrà essere anche un incapace legale purché sia
capace di intendere e di volere. La procura è speciale se è limitata ad uno o più negozi determinati, o procura generale detta anche
“ad negotia”, se si riferisce alla generalità degli affari del rappresentato. La procura può avere ad oggetto sia l’amministrazione dei
beni del rappresentato, che la loro alienazione.
Il potere di rappresentanza si estingue:
•per compimento del negozio per il quale era stata conferita procura speciale;
•per revoca espressa; laddove intervenga espressa revoca dal rappresentato
•per revoca tacita che si ha o quando il negozio è compiuto direttamente dal rappresentato, o quando quest’ultimo proceda alla nomina
di un nuovo rappresentante comunicando tale nomina al vecchio rappresentante.
Da notare che la revoca della procura non è giuridicamente possibile quando la procura è conferita nell’interesse di un terzo, o
dello stesso rappresentante, che diventa “procurator in rem suam” cioè procuratore delle sue stesse cose( ad esempio: si ha
nell’ipotesi in cui il debitore conferisca la procura al suo creditore a riscuotere i canoni di locazione di un suo appartamento, al fine di
soddisfare il suo credito). Inoltre il rapporto di rappresentanza si estingue per morte o del rappresentante o del rappresentato in quanto
trattasi di un rapporto che si basa sul cosiddetto “intuitus personae”, cioè sul particolare rapporto di fiducia che lega i due soggetti. La
revoca e la sostituzione del rappresentante vanno comunicate ai terzi, poiché altrimenti l’eventuale negozio posto in essere dal vecchio
rappresentante, sarà valido per loro a meno che, non si riesca a dimostrare che i terzi erano a conoscenza dell’avvenuta revoca e
sostituzione.
VIZI DELLA VOLONTÀ E GLI STATI SOGGETTIVI DEL NEGOZIO RAPPRESENTATIVO
Il negozio giuridico posto in essere dal rappresentante si chiama negozio rappresentativo. Per identificare ipotesi di divergenza tra
manifestazione di volontà e interno volere, ovvero se vi siano vizi della volontà, bisogna valutare la persona e l’operato de l
rappresentante, perché egli si sostituisce con la sua volontà a quella del rappresentato, e fa eccezione a tale principio l’ipotesi di vizi che
si riferiscono ad istruzioni predeterminate dal rappresentato; in tal caso il negozio sarà annullabile, anche se la volontà del rappresentante
non era viziata (ad esempio: se il rappresentante ha avuto procura ad acquistare un quadro ritenuto, per errore del rappresentato, quadro
d’autore, il negozio sarà annullabile anche se dell’errore non è partecipe il rappresentante). Anche per valutare la sussistenza degli
stati di buona e mala fede bisogna tener presente la figura del rappresentante, tuttavia, poiché la mala fede inquina tutti i negozi
determinandone l’invalidità; il negozio sarà annullabile, anche se vi è mala fede solo del rappresentato (se ad esempio: il rappresentante
abbia avuto procura a vendere un bene non di proprietà del rappresentato, il negozio è annullabile anche se il rappresentante non ne era
a conoscenza).
IL CONFLITTO DI INTERESSI TRA RAPPRESENTANTE E RAPPRESENTATO
La procura è conferita di regola nell’interesse del rappresentato. Può essere conferita anche nell’interesse di un terzo o dello stesso
rappresentante, che in questo caso diventa “procurator in rem suam”. Un classico esempio di procura conferita nell’interesse dello
stesso rappresentante è la “cessio bonorum”(cessione di beni), che si ha quando il debitore cede tutto, o parte i suoi beni ai creditori,
affinché questi li vendano, e si soddisfino dei loro crediti sul ricavato della vendita. La procura conferita nell’interesse di un terzo, o
dello stesso rappresentante, è irrevocabile. Di regola però la procura è conferita nell’interesse del rappresentato.
Possono quindi sorgere delle ipotesi di conflitto di interesse (se ad esempio: Tizio conferisce a Caio la procura a vendere un suo
bene immobile, e Caio lo vende ad una società di cui egli è socio, in tal caso Caio, che è il rappresentante, può avere agito correttamente,
ma può sorgere il legittimo sospetto che egli abbia agito nell’interesse proprio, che del rappresentato; pertanto, in ipotesi di conflitto di
interessi, o il rappresentato è consapevole del potenziale conflitto, e autorizza ciò nonostante il negozio, ovvero il negozio è annullabile
su istanza del rappresentato). L’azione di annullamento produce i suoi effetti anche nei confronti dei terzi, a meno che questi non fossero
in buona fede, e quindi, ignorassero il potenziale conflitto di interessi. In quest’ipotesi, poiché l’annullamento non ha effetto nei
confronti dei terzi, si risolverà nel diritto del rappresentato all’integrale risarcimento del danno da parte del rappresentante. Nella
rappresentanza legale se vi è conflitto tra genitori e minori può essere nominato un curatore speciale. Se vi è conflitto tra tutore e interdetto
viene nominato un protutore, vi è conflitto di interessi, nell’ipotesi del cosiddetto contratto con se stesso.Questo contratto si ha quando
il rappresentante ha avuto la procura a vendere un bene del rappresentato e lo vende a se stesso, sicché egli si trova ad essere
nello stesso momento venditore e compratore. Il contratto con se stesso è sempre annullabile su istanza dell’interessato, a meno che
il rappresentato non abbia predeterminato le condizioni di vendita (ad esempio: commesso che acquista dal titolare merci allo stesso
prezzo che viene praticato con i terzi).
LA RAPPRESENTANZA SENZA POTERE
Un soggetto, senza avere potere di rappresentanza, può agire in nome e per conto di un altro soggetto, o perché egli ecceda i limiti stabiliti
dalla procura, cosiddetto eccesso di potere, o perché è del tutto privo di una procura, cosiddetto difetto di potere. In tal caso avremo la
figura del “falsus procurator”, o rappresentante senza potere. Il negozio giuridico posto in essere dal “falsus procurator” non è nullo,
perché la nullità ha un carattere di definitività, ma è solo inefficace nei confronti del rappresentato.
La soluzioni possono essere due:
•il “dominus negotii”, cioè cosiddetto rappresentato, accetta e ratifica il suo operato con un negozio detto appunto ratifica, che ha gli
stessi effetti di un’autorizzazione preventiva. La ratifica, come la procura, è un negozio giuridico unilaterale,recettizzio ed è un negozio
formale, di modo che, se il negozio concluso dal “falsus procurator” riveste la forma dell’atto pubblico, anche la ratifica dovrà essere fatta
per atto pubblico. Anche la ratifica può essere espressa o tacita. Un esempio della ratifica tacita è l’esecuzione del negozio da parte del
“dominus”. Una volta intervenuta la ratifica, essa produce effetti “ex tunc”, cioè fin dal primo momento in cui è stato concluso il negozio
dal “falsus procurator”.
•il “dominus negotii” non intende ratificare l’operato del “falsus procurator”. Il negozio diviene definitivamente inefficace nei confronti del
“dominus”, ma il terzo, che ha concluso il negozio in buona fede, quindi confidando nella validità del negozio, ha diritto di ottenere dal
“falsus procurator” il risarcimento del danno. Si badi però che egli ha diritto, non già all’integrale risarcimento, ma solo al risarcimento del
cosiddetto interesse negativo, cioè l’interesse a non concludere il negozio, negozio inefficace (in sostanza l’interesse a non perdere tempo
inutile). Tale interesse negativo sarà costituito dal danno emergente, rappresentato dalle spese sostenute/sopportate per le trattative, e
dal lucro cessante, che consiste nel mancato guadagno derivante dall’aver perso tempo inutilmente e quindi per aver stipulato un contratto
improduttivo di effetti.La responsabilità del “falsus procurator” rientra nella responsabilità precontrattuale.
LA NEGOTIORUM GESTIO (GESTIONE DI AFFARI ALTRUI)
Sotto il Codice Civile del 1865 le fonti delle obbligazioni erano 5: il contratto, il quasi contratto, il delitto, il quasi delitto e la legge. Nel
codice civile attuale del 1942 le fonti delle obbligazioni sono state ridotte a 3: il contratto, il fatto illecito e la legge. Tale situazione è
dovuta a ciò: le due figure del delitto e del quasi delitto sono state unificate nel fatto illecito, poiché qualunque fatto d oloso
chiamato delitto, o qualunque fatto colposo chiamato quasi delitto, producono le stesse conseguenze, cioè l’obbligo a carico
dell’autore del fatto illecito di risarcire i danni conseguenti al fatto illecito stesso, sia esso doloso o colposo. Inoltre si è proceduto
alla soppressione della categoria del quasi contratto, perché da tale figura derivavano solo 3 istituti, cioè la “negotiorum gestio”, il
pagamento di indebito, l’arricchimento senza causa. Il legislatore ha perciò ritenuto preferibile far rientrare queste tre figure nella
legge, piuttosto che mantenere in vita un’autonoma fonte di obbligazione. Non sempre l’ingerenza di un soggetto negli affari altrui, senza
essere abilitato a farlo, è un fatto riprovevole; talvolta, un soggetto può essere lontano o impedito, e quindi, nell’impossibilità di curare i
propri interessi. Si ha gestione di affari altrui quando un soggetto spontaneamente, quindi senza esservi obbligato, assume
appunto la gestione di affari altrui. La legge dice che, se la gestione è stata utile per il “dominus”, quest’ultimo ha l’obbligo di adempiere
le obbligazioni per lui assunte dal “gestor”. La legge precisa che non bisogna considerare l’utilità finale, cosiddetto “utiliter gestum”, ma
l’utilità iniziale(se lo stesso dominus avrebbe concluso gli affari secondo la valutazione del buon padre di famiglia), cosiddetto “utiliter
ceptum”. È sufficiente quindi che vi sia utilità iniziale perché il dominus sia obbligato ad adempiere alle obbligazioni per lui
assunte dal “gestor”, ed è cioè sufficiente valutare se nella sua fase iniziale anche il dominus avrebbe posto in essere quel
determinato negozio, secondo la diligenza del buon padre di famiglia. La “negotiorum gestio” può avere ad oggetto anche
l’alienazione di beni altrui; come si nota agevolmente, la figura si avvicina alquanto a quella della rappresentanza senza potere, con la
differenza che il “falsus procurator” agisce anche in nome e per conto di un soggetto che non sia, né lontano, né impedito
mentre, per aversi “negotiorum gestio”, il dominus deve appunto essere o lontano, o impedito. Anche in tal caso il dominus può
ratificare l’operato del “gestor”.
IL CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE
Al momento della stipula e conclusione di un contratto una parte può riservarsi di nominare un terzo, nella cui sfera giuridica il contratto
produrrà i suoi effetti. Si ha dunque contratto per persona da nominare quando un soggetto al momento della stipula si riserva di
nominare un terzo contraente quale effettivo contraente in suo luogo.
La nomina del terzo si chiama “electio amici”. Essa deve avvenire entro tre giorni dalla conclusione del negozio, e tale termine è
stabilito dalla legge, ma le parti possono anche prevedere un termine più lungo. Una volta intervenuta “l’electio amici” e l’accettazione da
parte dell’amico nominato, il contratto si considera concluso tra il contraente originario ed il terzo nominato, sicché quest’ultimo acquista
i diritti e si assume i doveri nascenti dal contratto, mentre esce definitivamente di scena l’originario contraente. Se il dichiarante non fa
“l’electio amici”, ovvero se non segue l’accettazione della persona nominata, il contratto si considera concluso definitivamente
tra le parti originarie.
Solo a fini fiscali, se le parti hanno previsto un termine più lungo rispetto ai tre giorni stabiliti dalla legge, il contratto si considera
concluso tra le parti originarie ed il subentrare del terzo è considerato doppio passaggio di proprietà con pagamento di dopp ia
tassa di registro. Il contratto per persona da nominare è frequente nell’ipotesi in cui il terzo non voglia figurare fin da subito al fine di non
ingenerare nella controparte una pretesa più onerosa.
Si discute sulla natura giuridica del contratto per persona da nominare. Secondo una parte della dottrina si tratta di un contratto
concluso tra le parti originarie sotto la sospensione “dell’electio amici” e dell’accettazione dell’amico nominato. La maggior parte della
dottrina, tuttavia, ritiene che si tratti di una rappresentanza eventuale in “incertam personam”. La rappresentanza è tale perché,
fino “all’electio amici”, non è nota la figura del contraente definitivo ed è eventuale perché, se non ha luogo “l’electio amici”, o l’accettazione
da parte dell’amico nominato, non ha luogo alcun fenomeno rappresentativo. La nomina del terzo e la sua accettazione sono atti
distinti e separati e sono atti unilaterali che devono avere necessariamente la stessa forma utilizzata per il contratto. Inoltre, se
hanno ad oggetto trasferimenti di beni immobili, anch’essi, come la compravendita, dovranno essere trascritti ai fini della pubblicità
dichiarativa. Il contratto per persona da nominare si distingue dalla rappresentanza indiretta; in quest’ultima, è necessario che il
rappresentante ponga in essere un nuovo negozio per trasferire gli effetti al rappresentato mentre, nel contratto per persona da
nominare, è sufficiente “l’electio amici” e l’accettazione dell’amico nominato. Si distingue anche dall’interposizione fittizia di
persona; in questo caso, vi è un soggetto che dichiara di essere parte contraente mentre, il vero contraente è un terzo. Nel contratto per
persona da nominare, invece, vi è un soggetto che dichiara effettivamente di contrarre per un terzo, che è la persona da
nominare. Si distingue dal contratto per conto di chi spetti; la figura tipica di questo contratto si ha nel caso di vettore di derrate
reperibili, che non conoscendo il destinatario di esse, le vende per conto di chi spetti, cioè dell’avente diritto, che sarà indicato dal Giudice
mentre, nel contratto per persona da nominare, la nomina è eventuale ed avviene appunto per dichiarazione di nomina. Nel contratto per
contro di chi spetti la nomina è immancabile ed avviene per fatto oggettivo qual è l’accerttamento del Giudice.
GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DEL NEGOZIO GIURIDICO
Accanto agli elementi essenziali del contratto vi sono gli elementi accidentali.Gli elementi accidentali del negozio sono quelli che possono
esistere e possono non esistere in un negozio giuridico ma, se vi sono, acquistano la stessa importanza degli elementi essenziali, e il
vizio di uno di essi vizia il negozio.
Essi sono:
•La condizione;
•Il termine;
•Il modo o onere.
LA CONDIZIONE
La condizione è un evento futuro ed incerto dal cui verificarsi o non verificarsi dipende l’efficacia giuridica di un negozio e il risolversi dello
stesso.
Vi sono due tipi di condizione:
•La condizione sospensiva, che sospende l’efficacia giuridica di un negozio;
•La condizione risolutiva, risolve cioè che fa cessare gli effetti giuridici di un negozio.(ad esempio ti dono questo anello ma me lo devi
restituire se non passi l'esame)
La condizione sospensiva, come detto, sospende l’efficacia giuridica del negozio che, quindi, è in uno stato di pendenza; ciò
significa che fino a che la condizione non si verifica non si producono gli effetti del negozio posto in essere. Si producono invece,
solo gli effetti prodromici o preliminari.(es la parte può compiere atti conservativi del bene)
Quando la condizione si verifica, essa opera retroattivamente cioè “ex tunc” e quindi gli effetti si considerano prodotti sin dal
primo momento; viceversa, se la condizione non si verifica, gli effetti cadranno del tutto “ex tunc”, e se un soggetto aveva trasferito
il diritto condizionato e la condizione sospensiva non si verifica, il negozio cadrà del tutto con effetti “ex tunc”, anche nei confronti del
terzo. Se però la condizione non si verifica, per fatto e colpa del comportamento del soggetto che aveva un interesse contrario al suo
verificarsi,in tal caso la condizione si dà per verificata come pena al comportamento fraudolento del soggetto (ad esempio: nella vendita
a prova, sottoposta alla condizione sospensiva, che la cosa abbia le qualità pattuite e sia idonea all’uso, la condizione si considererà
verificata se il soggetto o la parte si rifiuta di procedere alla verifica).
Nella condizione risolutiva gli effetti cominciano a prodursi sin dal primo momento; se però si verifica la condizione risolutiva gli
effetti cadranno del tutto nel nulla “ex tunc” e se un soggetto aveva trasferito il suo diritto sottoposto a condizione risolutiva e
si verifica la condizione, il negozio cadrà del tutto nel nulla, anche per il terzo, in applicazione del principio resoluto “iure dantis
resoluto et ius accipiendis( venuto meno il diritto del Dante causa, viene meno anche il diritto dell'avente causa) .Ciò premesso, la
condizione può essere positiva o negativa a seconda che l’evento dedotto in condizione sia positivo o negativo.
La condizione può inoltre essere:
•Potestativa, quando l’evento dedotto in condizione deriva dalla volontà di un soggetto. Naturalmente l’evento dedotto in condizione non
deve essere eccessivamente facile da realizzare, ma deve comportare una certa difficoltà e non deve essere rimesso al mero arbitrio di
un soggetto infatti la condizione è sospensiva potestativa “viziatur et viziat” cioè è essa nulla e rende nullo il negozio.
•Casuale, che è la condizione che dipende dal caso o dal fatto di un terzo
•Mista, che è quella condizione il cui evento dipende sia dalla volontà di un soggetto, che dal caso, o dal fatto di un terzo.
Secondo la fonte, la condizione può essere:
•Volontaria, che deriva dalla volontà delle parti;
•Legale, che “condicio iuris” deriva ed è previsto dalla legge.
Essendo la condizione un evento futuro ed incerto, non sono condizioni in senso tecnico le “condiciones in presens vel in
preteritum collate”, cioè le condizioni il cui evento si verifica nel presente o si è già verificato, anche se soggettivamente ignorato.
Se la condizione è illecita, cioè contrarie a norme imperative di diritto, buon costume, o ordine pubblico, essa “viziatur et viziat” cioè,
è essa nulla e rende nullo il negozio, sia che si tratti di condizione sospensiva, sia che si tratti di condizione risolutiva.
Se la condizione è impossibile, va fatta una distinzione:
•Se si tratta di condizione sospensiva, essa “viziatur et viziat”(essa è nulla e rende nullo il negozio).
•Se si tratta di condizione risolutiva, “viziatur sed non viziat”.(essa nulla ma non rende nullo il negozio)
La differenza di disciplina si spiega per il fatto che nel negozio sottoposto a condizione risolutiva gli effetti si producono sin dal primo
momento e sarebbe antieconomico porli nel nulla per la presenza di una condizione impossibile invece, nella condizione sospensiva,
poiché è sospesa l’efficacia giuridica del negozio, e quindi non si producono i suoi effetti tipici, è logico e possibile che una condizione
impossibile faccia venir meno l’intero negozio. L’impossibilità può essere materiale o giuridica. Se però la condizione illecita o
impossibile è apposta ad un negozio “mortis causa”(negozio a titolo gratuito quindi ad un testamento), in ogni caso, essa “viziatur sed
non viziat”, sia che si tratti di condizione sospensiva, che risolutiva; ciò per l’evidente motivo che il testatore è defunto e per il particolare
rispetto che ha la legge per la volontà del defunto. Vi sono inoltre negozi che non tollerano l’apposizione della condizione; tra essi
vi sono: il matrimonio, l’accettazione e la rinuncia all’eredità. Gli atti che non tollerano l’apposizione si dicono “actus legittimi”.
LA PRESUPPOSIZIONE
La presupposizione è la cosiddetta condizione inespressa dalle parti ma dalle stesse presupposta in buona fede. Le parti cioè,
nella conclusione di un negozio, hanno subordinato la sua efficacia ad un evento e questo non è stato esplicitato dalle parti, ma risulta da
esse presupposto in buona fede. L’esempio classico è il pagamento di una somma di denaro per accedere ad un balcone dal quale si
potrà vedere un concerto ecc. Un altro esempio è la compravendita di un terreno agricolo sul presupposto inespresso di entrambe le parti
che trattasi di terreno edificabile, mentre non lo è.La presupposizione può essere un evento futuro ma, anche un evento presente;
ecco perché si parla di cosiddetta condizione, perché la condizione in senso tecnico è, si un evento inc erto, ma anche sempre
futuro. Cosa succede se l’evento presupposto non esiste o non si verifica??? Secondo una parte della dottrina, il negozio sarebbe tuttavia
valido, ciò sia perché la presupposizione non è disciplinata dalla legge, e sia perché essa comporterebbe un’indagine sui motivi che,
come sappiamo interni, e sono giuridicamente irrilevanti. L’altra parte della dottrina ritiene che il negozio sia nullo, in applicazione del
principio dell’affidamento che le parti hanno fatto in buona fede su quel determinato evento presupposto. Il negozio deve considerarsi
nullo, se l’evento presupposto non esista affatto. Il negozio è passibile di risoluzione per impossibilità della prestazione, se l’evento è
divenuto irrealizzabile o non si è verificato.
IL TERMINE
Il secondo elemento accidentale del negozio giuridico.Il termine è un evento futuro, ma certo, dal cui verificarsi hanno inizio o
cessano di prodursi gli effetti giuridici di un negozio.
È chiaro che vi sono due tipi di termine:
•Termine iniziale (o “dies a quo”,giorno dal quale) al verificarsi del quale, cominciano a prodursi gli effetti del negozio;
•Termine finale (o “dies ad quem”, giorno in cui scade il termine) al verificarsi del quale, cessano di prodursi gli effetti giuridici del negozio.
Il termine è sempre un evento futuro e certo, però può essere determinato(31 dicembre 2023)o indeterminato(il giorno della mia m orte).
La dottrina ha individuato quattro tipologie di termine ma, in realtà, come vedremo, solo le prime due figure sono vere e proprie ipotesi di
termine mentre, le altre due, sono vere e proprie condizioni(essendo eventi futuri ma incerti).
Le quattro tipologie sono:
•“dies certus a nec”, quando è sicuro e certo se e quando (termine determinato);
•“dies certus an incertus”, quando il termine ci sarà ma, non si sa quando (termine indeterminato);
•“dies incertus an et certus”, quando il termine non si sa se avverrà ma, se avverrà, si sa quando;
•“dies incertus an et”, quando il termine non si sa se avverrà e quando avverrà.
Come vi sono negozi che non tollerano l’apposizione di una condizione, così vi sono negozi che non tollerano l’apposizione di un termine:
il matrimonio, l’accettazione e la rinuncia all’eredità. Gli atti che non tollerano l’apposizione di un termine si chiamano “actus
legittimi”. Anche il termine può essere potestativo, cioè rimesso alla volontà di una delle parti. In verità il termine, a differenza della
condizione, può essere anche meramente potestativo perché sarà possibile per la parte rivolgersi al Giudice, affinché fissi
equitativamente il termine. Anche nel negozio sottoposto a termine iniziale, come per la condizione sospensiva, vi è uno stato di
pendenza e una scadenza. Durante la pendenza, il diritto non può essere esercitato, tuttavia, se una parte adempie alla sua
prestazione e si tratta di negozio sottoposto a condizione sospensiva, essa potrà ripetere quanto ha prestato invece, nel termine
iniziale, se una parte ha adempiuto non può più ripetere. Tale differente disciplina si spiega agevolmente per il fatto che la condizione
è un evento futuro ma incerto, e quindi non è detto che la parte sarà realmente tenuta ad adempiere, invece, poiché il termine è certo, la
parte prima o poi adempierà necessariamente, e quindi, se la parte ha adempiuto in anticipo, potrà ottenere in giudizio un risarcimento
pari all’arricchimento dell’altra parte (pari per effetto del pagamento anticipato, cioè agli interessi e alla svalutazione monetaria). Con la
scadenza del termine iniziale si producono tutti gli effetti del negozio e si producono con effetto “ex nunc”(da quel momento in
poi), perché è stata la volontà delle parti a fissare quel termine come momento di inizio della produzione degli effetti.
Allora, possiamo fissare le differenze tra condizione sospensiva e termine iniziale:
•La condizione è un evento futuro ed incerto. Il termine è un evento futuro ma certo;
•Verificatasi la condizione sospensiva, essa produrrà effetti “ex tunc”. Verificatosi il termine iniziale, esso produrrà effetti “ex
nunc”.
IL MODO O ONERE
Il modo è un peso apposto al destinatario di un atto di liberalità(testamento o donazione).Dalla definizione è chiaro che il modo è un
elemento accidentale tipico ed esclusivo dei negozi a titolo gratuito “inter vivos o mortis causa”, cioè donazione e testamento.Nei negozi
a titolo oneroso in realtà possono anche esservi pesi imposti alle parti, ma essi si confondono con la prestazione e la contro
prestazione cui sono tenute le parti, invece nei negozi a titolo gratuito, il modus(modo o onere) acquista una sua individualità. Il modo
può comportare un obbligo di dare (ad esempio: ti istituisco erede con l’obbligo di dare 5000 euro all’anno ad un’associazione di
beneficenza), oppure può comportare un obbligo di fare (ad esempio: ti dono la mia casa con giardino con l’obbligo di costruire una
determinata statua), o di non fare (ad esempio: ti dono la mia casa con giardino con l’obbligo di non demolire la statua che lì si trova). Il
modus si distingue dalla semplice raccomandazione fatta dal donante o dal testatore, al donatario e all’erede, perché questa
obbliga solo moralmente il destinatario, mentre il modus è un vero obbligo giuridico imposto al destinatario di un atto di
liberalità. Se il “modus” è illecito o impossibile, di regola “viziatur sed non viziat”, cioè è esso nullo, ma non rende nullo il negozio, a
meno che non sia stato l’unico motivo determinante.
Si possono quindi fare le differenze tra condizione sospensiva e modo:
•Nel negozio sottoposto a condizione sospensiva gli effetti restano sospesi, invece nel modus gli effetti cominciano a prodursi
sin dal primo momento;
•Mentre la condizione sospensiva illecita o impossibile “viziatur et viziat”, il modus illecito o impossibile di regola “vizi atur sed
non viziat”.
Se il modus non è adempiuto, gli interessati non possono chiedere la risoluzione per inadempimento, perché l’attribuzione a titolo gratuito
non è legata in sinallagma (rapporto di interdipendenza tra le due prestazioni) con una contro prestazione, e perciò, gli interessati potranno
solo esperire azione per costringere l’obbligato ad adempiere. La risoluzione in caso di inadempimento è ammessa solo quando sia
stata espressamente prevista dal donante, o dal testatore, in caso di inadempimento del modus, ovvero quando l’adempimento del
modus risulta essere il motivo determinante del negozio, e ciò soprattutto se si tratta di testamento, per il rispetto dovuto alla volontà del
testatore.
L’INTERPRETAZIONE DEL NEGOZIO GIURIDICO
Ai sensi dell’articolo 1321 del Codice Civile il contratto è l’accordo tra due o più parti diretto a costituire, modificare o estinguere
un rapporto giuridico patrimoniale. Successivamente all’articolo 1324 il Codice afferma che le norme in materia di contratti si applicano
in quanto compatibili agli atti unilaterali tra vivi con contenuto patrimoniale. Quindi sostanzialmente, la disciplina del contratto è anche
la disciplina del negozio; ciò vale senz’altro in materia di norme in tema di interpretazione del negozio. La legge dice che un
negozio va interpretato. Interpretare un negozio significa ricercare, comprendere e capire la portata di esso, cioè l’effettiva volontà
comune delle parti. Per fare questo bisogna anzitutto indagare sul contenuto letterale(parole) delle clausole negoziali ma,
l’interpretazione deve essere allo stesso tempo sistematica, cioè una clausola va interpretata in collegamento con le altre e non una
disgiunta dall’altra. L’interpretazione deve essere riferita alla materia del negozio giuridico e, se le parti hanno fatto qualche
esemplicazione, è possibile l'estensione degli esempi fatti anche a casi analoghi non espressamente contemplati. Se un negozio presenta
norma oscure o ambigue l'interpretazione va fatta secondo quanto praticato nel luogo della conclusione del negozio. Se un negozio è
suscettibile a produrre più effetti, va preferita l’interpretazione che permette la produzione di tutti gli effetti del negozio, o quanto
meno, della maggior parte di essi (cosiddetto principio di conservazione del negozio). Se le parti hanno usato espressioni polisense,
esse vanno interpretate nel senso più consono all’oggetto del contratto. Inoltre, se il negozio presenta qualche lacuna, cioè se le parti
non hanno previsto alcune ipotesi, le lacune vanno colmate/integrata mediante l’integrazione per mezzo della legge o, in
mancanza, degli usi e dell’equità. Se, nonostante l’osservanza di tutti questi criteri interpretativi, il negozio rimane ancora oscuro o
ambiguo, se si tratta di negozio a titolo gratuito, esso va interpretato nel senso meno gravoso/oneroso per l’obbligato e, se si tratta di
negozio a titolo oneroso, in modo da contemperare equamente gli interessi delle parti.
NEGOZI CON EFFETTI REALI E NEGOZI CON EFFETTI OBBLIGATORI
Essendo il contratto e quindi il negozio un accordo tra due o più parti diretto a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale,e distinguendosi i diritti patrimoniali in diritti reali e diritti di credito o di obbligazione, ne consegue che vi saranno negozi con
effetti reali e negozi con effetti obbligatori. I negozi con effetti reali sono quelli traslativi di proprietà, oppure traslativi, o costitutivi di
altro diritto reale (ad esempio: compravendita di un fondo o negozio costitutivo di usufrutto).
I negozi con effetto obbligatorio sono quelli produttivi di obbligazioni per le parti (ad esempio: locazione o vendita di cosa altrui). In
particolare, la vendita di cosa altrui è un negozio ad effetti obbligatori, perché comporta l’obbligo per il venditore di procurarsi da un terzo
la proprietà del bene e trasferirlo al compratore che, se non viene soddisfatto, avrà diritto al risarcimento del danno. I negozi con effetti
reali non vanno confusi con i negozi reali.
I negozi reali sono quelli che si perfezionano con la dazione di una “res” (ad esempio: il pegno). Essi si distinguono concettualmente dai
negozi consensuali, che sono quelli che si perfezionano con il mero consenso delle parti legittimamente espresso (ad esempio: la
compravendita, in quanto nel nostro diritto la proprietà si acquista e si trasmette sulla base del mero consenso delle parti legittimamente
espresso, “consensus partium parit proprietatem”, il consensoDelle parti attribuisce la proprietà). Per completezza il contratto di
compravendita è un contratto consensuale ad effetti reali. Come è chiaro, mentre la distinzione tra negozi con effetti reali e con effetti
obbligatori era riferita al momento degli effetti del negozio, la distinzione tra negozi reali e negozi consensuali si riferisce al momento
perfezionativo del negozio, cioè al momento della sua conclusione.
PATOLOGIA DEL NEGOZIO
Si intendono tutte quelle cause che determinano un vizio, e quindi una malattia del negozio. Col termine generico di invalidità ci si
riferisce alla nullità e all’annullabilità. A parte va considerata l’inefficacia.Va aggiunto che, per alcuni autori, poiché il negozio nullo
non è esistente per il diritto, la nullità equivarrebbe alla vera inesistenza del negozio, cioè dire negozio nullo e dire negozio inesistente
sarebbe la stessa cosa, invece, come ritiene la dottrina maggioritaria, è da ritenersi che il negozio inesistente si abbia quando
manca anche la minima parvenza di un negozio (come ad esempio: in una vendita tra persone lontane, dove il venditore propone
l’acquisto di 100 quintali d’uva e l’acquirente equivocando accetta di acquistare 100 kg di farina).
NULLITÀ DEL NEGOZIO
Dicesi nullo il negozio inesistente per il diritto. Esso può anche esistere in natura ma, per il diritto il negozio nullo si considera come mai
venuto all’esistenza, e quindi non produce alcun effetto, in applicazione del principio “quod nullum est nullum producit effectum”. Le cause
che determinano la nullità del negozio sono sostanzialmente e principalmente le seguenti:
•Mancanza di uno degli elementi essenziali del negozio: volontà, causa e forma;
•Sussistenza di una causa illecita per contrasto con norme imperative di diritto, buon costume o ordine pubblico;
•Esistenza di un motivo illecito comune ad entrambe le parti, ovvero presenza di un motivo illecito in un negozio a titolo gratuito, quando
esso sia stato l’unico motivo determinante;
•Condizione sospensiva o risolutiva illecita e condizione sospensiva impossibile.
Se soltanto una parte del negozio giuridico è colpita da nullità, in applicazione del principio “utile per inutile non viziatur”, cade
la parte affetta da nullità ed il negozio resta valido ed efficace per il resto; ciò, a meno che le due parti del negozio sia no tra loro
così interdipendenti in modo che il vizio di una parte fa cadere anche l’altra. Talvolta interviene proprio la legge a sostituire
automaticamente le clausole nulle ed il contratto rimane in vita. Ciò accade ad esempio quando sussiste per un bene un prezzo imposto
ed il bene viene venduto ad un prezzo superiore in questo caso il prezzo automaticamente si riduce nei limiti di legge, tale fenomeno è
detto sostituzione automatica di clausole. La nullità opera “ipso iure”, cioè automaticamente, poiché il negozio è inesistente per il
diritto; come conseguenza, una sentenza eventuale del Giudice si limiterà ad accertare la nullità del negozio, e quindi sarà una
sentenza dichiarativa o di mero accertamento. Poiché il negozio giuridico si considera come mai venuto all’esistenza, la nullità può
essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, ed inoltre, può essere rilevata d’ufficio dal Giudice, quindi anche se non è dedotta
dall’attore o eccepita dal convenuto. Poiché l’azione di nullità è diretta all’accertamento di un negozio mai venuto all’esistenza essa è
imprescrittibile, conseguentemente, il negozio nullo non può mai sanarsi (dicevano i romani “quod nullum est tractu temporis non
potest convalescere”, cioè ciò che è nullo con il passare del tempo non può sanarsi). Al massimo il negozio nullo come tale può convertirsi.
La conversione consiste nel passaggio di un negozio nullo come tale ad altro tipo di negozio.
La conversione può essere di due tipi:
•Sostanziale
•Formale
Per aversi conversione sostanziale sono necessari due presupposti:
•Uno di carattere soggettivo, cioè l’ipotetica volontà delle parti diretta al nuovo negozio;
•Uno di carattere oggettivo, cioè la sussistenza dei requisiti di forma e di sostanza richiesti per il nuovo negozio;
Per la conversione formale invece non è richiesta l’ipotetica volontà delle parti; si ha infatti conversione formale quando un
negozio nullo come tale si converte automaticamente in un nuovo negozio, e quindi “ipso iure”, senza bisogno di alcun atto, o
negozio (ad esempio: il testamento segreto nullo o come tale si converte in testamento olografo, se ha i requisiti richiesti dalla legge).Per
quanto riguarda gli effetti del negozio nullo, si è detto che non produce alcun effetto, e quindi la nullità opera nei confronti di chiunque,quindi
sia nei confronti delle parti, che dei terzi. In base ai principi: “Nessuno può trasferire ad un altro un diritto maggiore di quello che
egli stesso ha” e “risolto il diritto del Dante causa si risolve anche quello dell'avente causa”.Ne consegue che, se un terzo aveva
acquistato un diritto in base ad un negozio nullo, tale diritto è anch’esso nullo; tuttavia, se una parte in ossequio ad un contratto
nullo ha adempiuto, ha diritto di ripetere quanto ha prestato. Tale regola conosce un’eccezione: quella del negozio immorale, cioè
del negozio con causa illecita per contrasto con il buon costume. In tale caso, se dell’immoralità sono partecipi entrambe le parti e una ha
adempiuto, non potrà ripetere quanto prestato (“in pari causa turpitudinis meior est condicio possidentis”).
L’ANNULLABILITÀ
Si dice annullabile quel negozio che può essere annullato ma, che per intanto produce i suoi effetti. È chiaro, dunque, che per porre nel
nulla un negozio annullabile è necessario esperire apposita azione, detta azione di annullamento. Tale azione si prescrive in
cinque anni che decorrono da momenti diversi a seconda delle cause di annullamento.
Esse sono:
•Vizi della volontà: errore,violenza e dolo;
•Negozio concluso da un soggetto incapace di intendere e di volere per minore età, o per incapacità naturale non dichiarata;
•Negozio compiuto da interdetto o inabilitato o dell'emancipato, senza la rappresentanza del tutore o l’assistenza del curatore;
•Il negozio concluso dal beneficiario dell’amministrazione di sostegno, qualora egli l’abbia compiuto da solo, ed invece era previsto che
fosse rappresentato o assistito dall’amministratore di sostegno.
I cinque anni cominciano a decorrere:
•Se si tratta di errore vizio o di dolo, dal giorno in cui l'errore o il dolo sono stati scoperti;
•Se si tratta di violenza morale, dal giorno in cui essa è cessata;
•Se si tratta di negozio è compiuto da incapace naturale, dal giorno della conclusione del negozio;
•Se si tratta di negozio compiuto da minore, interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno, dal giorno in cui è
cessato(dal giorno di revoca) lo stato di minore età, interdizione, inabilitazione o amministrazione di sostegno.
Se l’azione si prescrive, l’eccezione di annullamento è invece imprescrittibile, in applicazione del principio “que -temporalia sunt ad
agendum perpetua sunt ad excipiendum”. L’importanza della perpetuità dell’eccezione di annullamento può evincersi da un caso pratico:
poniamo che Tizio minorenne venda a Caio un immobile di sua proprietà ad un prezzo irrisorio; il possesso del bene non viene trasferito,
né Caio paga alcun prezzo. Caio potrebbe maliziosamente far decorrere cinque anni dal compimento della maggiore età di Tizio e poi
convenirlo in giudizio per acquisire la proprietà del bene offrendo il prezzo. Tizio, se non esistesse la perpetuità dell’eccezione di
annullamento, non avrebbe alcuna tutela. Se l’annullabilità non ha bisogno di un’apposita azione, è chiaro che non può essere
rilevata di ufficio dal Giudice, ed essa non opera “ipso iure”, ma opera “officio iudicis”, cioè per mezzo di una sentenza
costitutiva del Giudice che non si limiterà ad accertare il fatto che il negozio non produca effetti, ma che porrà essa nel n ulla il
negozio; trattasi perciò di sentenza costitutiva. Una volta annullato il negozio con sentenza, essa agisce retroattivamente con effetti
“ex tunc”, sicché il negozio si considera privo di effetti sin dal primo momento della conclusione del negozio.
Legittimati all’esperimento dell’azione di annullamento sono i soggetti il cui consenso fu viziato, o l’incapace naturale, o il minore che
abbia raggiunto la maggiore età, o i vari rappresentanti legali. Mentre il negozio nullo non può mai sanarsi, il negozio annullabile
può essere sanato grazie ad un nuovo negozio che si chiama la convalida. La convalida può essere espressa o tacita. È espressa
quando il soggetto legittimato a far valere l’annullamento dichiara invece il negozio viziato, il vizio e l’intenzione ciò nonostante di
convalidare, cioè di sanare il negozio. Si ha convalida tacita quando la volontà di sanare il negozio si desume da “facta concludenzia”
comportamento dal quale inequivocabilmente si desume la sua volontà di sanare il negozio (ad esempio: lasciar decorrere il quinquennio
utile per far valere l’annullamento, ovvero esecuzione diretta del negozio da parte di chi potrebbe invece chiederne l’annullamento).
Ovviamente, per aversi convalida, il vizio deve essere cessato; se per esempio il vizio era la minore età, il soggetto deve e ssere
maggiorenne o debitamente rappresentato.
Per quanto riguarda gli effetti, mentre abbiamo visto che la nullità opera nei confronti di tutti, l’annullabilità opera nei confronti solo
di alcuni terzi. L'azione di annullabilità opera senz’altro nei confronti dei terzi che abbiano acquistato a titolo gratuito, siano essi in buona
o mala fede. Opera nei confronti dei terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso e siano in mala fede. Non opera e restano quindi salvi
gli effetti dei terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso in buona fede perché, di fronte alla legge, se vi è un soggetto che lotta per
evitare un danno e uno che lotta per conseguire un lucro, la legge darà valore al primo.
L’annullabilità produce effetti contro tutti i terzi, tranne coloro che abbiano acquistato a titolo oneroso e siano in buona fede.
Differenze tra negozio nullo e negozio annullabile:
•Il negozio nullo è inesistente per il diritto mentre, il negozio annullabile produce per intanto i suoi effetti fino a che non venga annullato(a
seguito di azione di annullamento), anche se l’annullamento ha effetti “ex tunc”.
•La nullità opera “ipso iure”, mentre l’annullabilità opera “officio iudicis”.
•Mentre la sentenza del giudice in caso di nullità è meramente dichiarativa, la sentenza di annullamento invece è costitutiva.
•L’azione di nullità è imprescrittibile, mentre quella di annullamento si prescrive in 5 anni.
•Il negozio nullo non può mai sanarsi, mentre quello annullabile può essere sanato grazie alla convalida.
•La nullità può essere rilevata di ufficio dal Giudice, mentre questo non è possibile per l’annullabilità.
•La nullità opera nei confronti di tutti i terzi, mentre l’annullabilità non opera nei confronti di tutti tranne nei confronti dei terzi che acquistano
a titolo oneroso e che siano in buona fede.
L’INEFFICACIA
È inefficace il negozio in sé valido e regolare ma inidoneo e incapace di produrre effetti giuridici.
L’inefficacia può essere:
•Originaria, che è sempre transitoria(esempio negozio sottoposto a condizione sospensiva o termine iniziale);
•Successiva, cioè quella che ha luogo dopo la conclusione del negozio si verifica nel negozio sottoposto a condizione risolutiva o a
termine finale.Il negozio concluso dal “falsus procurator” è inefficace nei confronti del dominus. Trattasi di inefficacia transitoria perché
può intervenire ratifica e quindi suscettibile di diventare definitiva. È originaria e permanente laddove non intervenga la ratifica del dominus.
I DIRITTI REALI
I diritti patrimoniali sono i diritti suscettibili di valutazione economica.
Essi si distinguono in:
•Diritti reali, che è il potere immediato e diretto dell’uomo sulla cosa;
•Diritti di credito o di obbligazione, che è la pretesa di un soggetto nei confronti di un altro soggetto.
Differenze:
•I diritti reali sono assoluti, poiché essi possono essere fatti valere “erga omnes” e, correlativamente, tutti devono sapere quali sono i
diritti per i quali è esclusa la loro partecipazione. Invece, i diritti di credito, sono relativi perché possono essere fatti valere solo nei confronti
di una persona, che è il debitore. Si aggiunga che i diritti reali si fissano sulla cosa, cioè si fanno tutt’uno con essa, indipendentemente
dal titolare/proprietario di esso, cosiddetto diritto di seguito o di sequela.
•I diritti reali hanno il carattere dell’immediatezza nella realizzazione del diritto mentre, i diritti di credito hanno il carattere della mediatezza,
poiché il creditore ha bisogno della cooperazione del debitore, e quindi del suo adempimento, per soddisfare le sue pretese.
•Essendo i diritti reali diritti assoluti, essi sono “numerus clausus” (a numero chiuso)poiché tutti devono sapere quali sono i diritti dalla cui
partecipazione sono esclusi, invece i diritti di credito non hanno limitazione numerica(sono a numero illimitato), in quanto possono
discendere da contratti atipici o innominati che le parti possono porre in essere, in considerazione della loro autonomia contrattuale.
I diritti reali si distinguono in:
•“Iura res propria”, diritti reali su cosa propria;
•“Iura in re aliena”, diritti su cosa altrui.
Gli iura in re aliena si distinguono in diritti reali di godimento(ad esempio usufrutto) e diritti reali di garanzia, che sono pegno ed
ipoteca, che comportano un potere di garanzia sulla cosa altrui, sicché in caso di inadempimento del debitore, il creditore potrà soddisfarsi
su quella cosa.
DIRITTO DI PROPRIETÀ
Lo Statuto Albertino del 1848 definiva la proprietà inviolabile prevedendo inoltre che il proprietario fosse tenuto a cedere in tutto
o in parte il suo diritto, quando l’interesse pubblico lo richiedesse. Al diritto di proprietà era attribuito il valore di premio per la libertà
individuale, ed anzi esso era la stessa espressione della libertà dell’individuo(principio di diritto liberale e di liberismo in economia).Il
codice civile del 1865 accolse lo stesso carattere della proprietà. Nel codice civile del 1942 vi è qualche temperamento, ma è solo con
la costituzione del 1948 l'istituto risulta profondamente modificato cambiando così fisionomia. All’art. 42 si specifica che la
proprietà è pubblica e privata e si pone sullo stesso piano l’uno e l’altro tipo di proprietà e si demanda al legislatore ordinario di garantire
e di assicurare la funzione sociale della proprietà, rendendola accessibile a tutti. All’art.42, comma 2 della Costituzione si afferma che il
legislatore ordinario deve determinare i limiti legali della proprietà, lasciando così intendere che la proprietà privata può essere esclusa
per alcune categorie come acque sotterranee o prodotti minerari.All’art. 43 la Costituzione prevede la possibilità di procedere
all’espropriazione di intere categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia. Nel 1962 si è proceduto
alla nazionalizzazione delle società elettriche che erano a carattere privato con la creazione di un unico ente pubblico nazionale che è
l’Enel, attualmente di nuovo privatizzato. Per quanto riguarda la disciplina contenuta nel Codice Civile l’art.832 afferma che il proprietario
ha diritto di usare e di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa propria, nell’osservanza dei limiti e nel rispetto degli obblighi stabiliti
dalla legge. Oggi il carattere assoluto del diritto di proprietà è temperato dalle istanze sociali, sicché l’interesse pubblico risulta essere
prominente. Tuttavia ciò non esclude che al diritto di proprietà e al proprietario siano attualmente riconosciuti i seguenti caratteri:
•Pienezza ed autonomia, poiché il proprietario ha diritto di godere della cosa propria in modo pieno ed esclusivo, e quindi anche non
usandola, poiché anche il non uso è un’estrinsecazione del diritto di proprietà.
•Esclusività, perché il proprietario può escludere chiunque dal godimento della cosa propria, si suole dire infatti che è “ius ad alios
escludendos”(diritto di escludere gli altri).
•Imprescrittibilità, poiché il diritto di proprietà non si estingue per non uso da parte del proprietario, e se altri diventa proprietario della
cosa, ciò non è conseguenza del non uso del proprietario, bensì dell’uso ininterrotto che altri faccia della cosa per un tempo stabilito dalla
legge, acquistando la cosa per usucapione.
•Elasticità, in quanto la proprietà si estende ad ogni possibile godimento che si può trarre dalla cosa e, se per caso sulla cosa si costituisce
un diritto reale minore, la proprietà tornerà piena elasticamente, cioè automaticamente con l’estinguersi del diritto minore.
L’ESTENSIONE DELLA PROPRIETÀ
In senso verticale la proprietà si estende all’infinito. All’infinito sia nel sottosuolo che nello spazio aereo sovrastante. Il proprietario però
non può opporsi ad attività che si svolgano ad un’altezza o ad una profondità tali che egli non abbia interesse ad escludere. In senso
orizzontale come è facilmente intuibile la proprietà si estende entro i suoi confini.( Salvo le norme di legge ovvero le ipotesi nel momento
in cui il proprietario deve consentire per esempio l'esercizio di caccia)
ATTI EMULATIVI
Gli atti emulativi sono quegli atti che, non comportando alcuna utilità per chi li compie, hanno il solo scopo di nuocere o arrecare molestia
ad altri. Vi devono essere due elementi:un elemento oggettivo cioè l’assenza di utilità per chi li compie, e un elemento soggettivo
che è “l’animus nocendi”, cioè l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri. Classici esempi possono essere piantare alberi
con il solo scopo di togliere la vista al vicino o dipingere il tetto di nero e così via.
LE IMMISSIONI
Il proprietario come si è detto può opporsi a qualsiasi attività di terzi sul proprio fondo. Di regola egli non può invece opporsi allo
svolgimento di attività nel fondo altrui tuttavia se dal fondo altrui provengono le cosiddette immissioni immateriali cioè fumi, rumori,
esalazioni ecc,provenienti dal fondo vicino.
Bisogna distinguere:
•Se le immissioni non superano la soglia della normale tollerabilità, il proprietario è tenuto a sopportarle, senza aver diritto né ad un
indennizzo né al risarcimento.
•Se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità, ma sono legate alle esigenze della produzione (ad esempio: se
provengono da un’industria) chi le subisce, non ha il diritto di inibirle ma, tuttavia, ha il diritto ad ottenere un indennizzo per il pregiudizio
sofferto.
•Se invece le immissioni eccedono la soglia della normale tollerabilità, il proprietario può senz’altro rivolgersi al Giudice e far inibire
la loro prosecuzione, avendo inoltre diritto al risarcimento del danno.
In alternativa può essere chiesto che il giudice riporti le immissioni al di sotto delle soglie della normale tollerabilità.
Nel fare queste valutazioni il giudice deve contemperare le esigenze della produzione con le esigenze della proprietà. Spesso infatti la
sentenza non è diretta a far cessare del tutto le immissioni ma a contenerle nei limiti della normale tollerabilità. Il Codice dice che il
giudice può tener presente il criterio della priorità di un uso. Tale criterio è meramente sussidiario e facoltativo per il g iudice.
LE DISTANZE LEGALI
Le costruzioni per il codice civile se non sono unite o aderenti devono essere poste ad una distanza non inferiore a tre metri; in
caso contrario, il proprietario può rivolgersi al Giudice ed ottenere la rimozione dell’immobile abusivamente costruito oltre al
risarcimento. Generalmente la materia è oggetto anche dei regolamenti comunali; in tal caso, la disciplina del Codice va integrata con
quella del regolamento comunale. Va valutato ciò che prevede il codice civile e il regolamento comunale.Particolare disciplina è quella
della comunione forzosa del muro. Se si trova un muro sul confine, ovvero ad una distanza non superiore di un metro e mezzo
dal confine, il proprietario dell’altro fondo può acquistare la proprietà del muro, che quindi viene acquisito in comproprietà,
pagando un corrispettivo all’altro proprietario pari a mezzo suolo e mezzo muro. Da notare che trattasi di un diritto
potestativo(forzosa), e quindi il proprietario del fondo confinante a quello dove si trova il muro, potrà ottenerne la comproprietà con
sentenza del Giudice, se l’altro proprietario si rifiuta di attribuire la comproprietà stessa.
LE LUCI E LE VEDUTE
Le aperture nel muro contiguo al fondo vicino si distinguono: in vedute o prospetti che sono quelle aperture che permettono di
guardare nel fondo del vicino,devono essere poste alla distanza stabilità dalla legge. Possono essere vedute dirette,vedute obligue o
vedute laterali.La legge disciplina le distanze legali che devono sussistere tra il fondo vicino e le vedute. Le luci sono quelle aperture
che, pur consentendo il passaggio di luce e di aria, non permettono di guardare nel fondo del vicino. Il proprietario è libero di
aprire quante luci vuole, con la vertenza però che esse potranno essere legittimamente chiuse, se il proprietario confinante vi costruisce
in aderenza, o in appoggio al muro dove si trovano le luci stesse.
I DIRITTI LEGALI DELLA PROPRIETÀ
I limiti legali della proprietà stabiliti dalla legge nell’interesse dei confinanti giuridicamente costituiscono per il proprietario, tenuto a fare o
a non fare, “obbliegationem prop rem”, cioè obbligazioni di contenuto negativo.
Si tratta quindi si di obbligazioni ma, esse hanno carattere reale in quanto connesse alla proprietà di un fondo, di modo che, se la cosa
viene trasferita ad altro proprietario, l’obbligazione cessa per il primo proprietario e sorge automaticamente in capo al nuovo proprietario.
Se il proprietario ritiene che tali obbligazioni siano per lui troppo gravose, potrà liberarsi di esse, abbandonando il fondo.(abbandono
liberatorio).
I MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ
Sono quei fatti giuridici ai quali la legge riconnette il sorgere del diritto di proprietà.
Essi possono essere:
•Modi di acquisto della proprietà a titolo originario, che determinano la nascita di un diritto nuovo. Essi si realizzano senza l’intervento
di un altro soggetto;
•Modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo, che importano lo stesso diritto già appartenente ad un altro soggetto. Essi
necessitano e si compiono grazie al l’intervento di un altro soggetto.
I modi di acquisto a titolo derivativo si distinguono in:
•Modo di acquisto della proprietà a titolo traslativo, che comportano il trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro;
•Modo di acquisto della proprietà a titolo costitutivo, sulla base del più ampio diritto di proprietà si costituisce un diritto reale minore.
(negozio costitutivo di usufrutto).
I modi di acquisto a titolo originario della proprietà immobiliare sono due:
•Accessione, che consente al proprietario della cosa principale l’acquisto anche della cosa accessoria (principio “accessorium sequitur
principale”);
•Usucapione, che è l’acquisto della proprietà di una cosa mediante l’uso continuato della cosa stessa.
L’accessione nei beni immobili dà luogo a quattro diverse figure:
•Alluvione, che consiste nell’accrescimento successivo ed impercettibile dei fondi rivieraschi di fiumi e torrenti per l’azione naturale
dell’acqua corrente, di fatti i terreni alluvionali appartengono al proprietario del fondo incrementato .
•Avulsione, consiste nell’unione al fondo rivierasco di porzioni di terreno considerevoli riconoscibili staccatesi da altro fondo per forza
istantanea dell’acqua corrente: dette porzioni di terreno appartengono al proprietario del fondo incrementato, il quale è tenuto a pagare
all’altro proprietario un’indennità nei limiti del maggior valore recato al suo fondo.
•“Insula in flumine nata”, consiste nell’emersione di una porzione di terra nel corso di un fiume; nel nostro diritto tale porzione di terra
appartiene allo Stato mentre, per il diritto romano e per il vecchio Codice Civile apparteneva ai proprietari dei fondi limitrofi;oggi appartiene
allo stato
•Alveo derelitto, si ha quando una parte del fiume si prosciuga lasciando il letto, ovvero lasciando scoperta una porzione di terreno che
diventa proprietà dei proprietari dei fondi limitrofi.
L’USUCAPIONE
Secondo modo di acquisto della proprietà a titolo originario. Deriva dal latino “usu capere” (prendere con l’uso) è l’acquisto del diritto di
proprietà o altro diritto reale su di una cosa mediante il possesso interrotto della cosa stessa per un tempo stabilito dalla legge.(“est
adiectio dominii per continuazionem possessionis temporis lege definiti”,cioè l'usucapione è l’acquisto della proprietà attraverso la
continuità del possesso di un tempo stabilito dalla legge).
L’istituto ha una sua ragione sociale. È infatti giusto che, se il proprietario non usa la sua cosa, altri ne possa far uso e, con il tempo, ne
possa acquistare la proprietà. Si noti che la prescrizione estintiva si intreccia con questo istituto e viene anche detta prescrizione
acquisitiva(l'usucapione viene detta); infatti, mentre la prescrizione estintiva è la perdita di un diritto per non uso da parte del suo
titolare, l’usucapione è l’acquisto della proprietà di un bene attraverso l'uso continuato che si fa per la cosa stessa per il tempo stabilito
dalla legge.
L’usucapione può essere:
•Ordinaria;
•Abbreviata.
MODI DI ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO DELLA PROPRIETÀ IMMOBILIARE
I requisiti usucapione ordinaria sono:
•“Res abilis”, con quest’espressione si intende qualsiasi cosa idonea ad essere usucapita. Tutte le cose sono idonee, tranne i beni
demaniali, i beni fuori commercio, e gli stati personali e familiari.
•Possesso, che è la relazione materiale dell’uomo con la cosa corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale. Il possesso per
dar luogo all’usucapione deve essere “nec vi” ( non violento), “nec clam” (non clandestino), “nec precario”, con quest’ultima espressione
si intende che non vi deve essere alcun negozio che attribuisca quel bene ad un dato titolo tra il proprietario e il possessore. Il detentore
solitamente non può mai usucapire.Solo in un caso il detentore può usucapire, e cioè quando compia un atto di interversione del
titolo, e cioè quando contrasti l’esistenza e la validità del titolo, e cominci da quel momento in poi ad usucapire;
•“Continuatio possesionis”, con quest’espressione si intende il periodo di tempo stabilito dalla legge per usucapire. Esso è di 20 anni
per beni immobili, le universalità di mobili e beni mobili. Di 10 anni invece per i beni mobili registrati. Deve essere interrotta pur potendosi
congiungere il possesso causa con il Dante causa.
Requisiti dell’usucapione abbreviata sono:
•“Res abilis”
•Possesso
•“Continuatio possessionis”, che in questo caso deve essere sempre interrotta e deve essere di 10 anni per beni immobili e universalità
di mobili e di 3 anni invece per i beni mobili registrati.
•Titolo astrattamente idoneo, che è un negozio di compravendita del bene stipulato a non domino, cioè con un falso proprietario. Se la
compravendita fosse stata conclusa con il vero proprietario, essa attribuirebbe immediatamente la proprietà; poiché, invece, è
conclusa a non domino, essa costituisce solo un presupposto per usucapire;(quindi rappresenta un titolo astrattamente idoneo)
•Buona fede, con quest’espressione si intende l’ignoranza di concludere un contratto con il falso proprietario, e quindi l’ignoranza di
ledere l’altrui diritto. Essa è sufficiente che sussista al momento della conclusione del contratto perché, se anche un istante dopo si viene
a conoscenza del fatto che la controparte non è il vero proprietario, il soggetto si considera in buona fede (“mala fides super veniens non
nocet” ).Importante è notare che per i beni mobili, in realtà, non è necessario il requisito del titolo astrattamente idoneo ma, è
sufficiente il possesso in buona fede per 10 anni. Questo perché, se sussistono contemporaneamente i 3 requisiti (del possesso,
della buona fede, e del titolo astrattamente idoneo), il possessore di beni mobili diventa immediatamente proprietario di essi
(possesso vale titolo, disciplinato dall’art. 1153 del Codice Civile).
MODI DI ACQUISTO A TITOLO DERIVATIVO DELLA PROPRIETÀ IMMOBILIARE
I modi di acquisto a titolo derivativo della proprietà immobiliare sono due:
•Alienazione, che è il trasferimento della proprietà di un bene da un soggetto ad un altro per volontà concorde di entrambe le le parti
e legittimamente espressa. Il consenso Delle parti attribuisce la proprietà.Per il trasferimento di un bene immobile occorre la forma scritta
“ad substanziam” ed occorre che il negozio di acquisto sia trascritto ai fini della pubblicità dichiarativa;
•Successione “mortis causa”, si intende il subentrare di un soggetto nei rapporti giuridici del defunto.
La successione mortis causa può essere:
•A titolo universale o a titolo di erede: l’erede subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi del defunto. Egli cioè subentra
“nell’universum ius defuncti”, cioè nella stessa posizione giuridica del defunto;
•A titolo particolare o a titolo di legatario: il chiamato a succedere, che si chiama legatario, subentra in singoli e determinati rapporti.
I MODI DI ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO DELLA PROPRIETÀ MOBILIARE
Anche in tale caso abbiamo l’accessione. In base ad essa il proprietario della cosa principale diventa proprietario della cosa accessoria,
in applicazione del principio “accessorium sequitur principale”. L’accessione nei beni mobili dà luogo alle due figure:
•Unione, se si fondono due mobili solidi;
•Commistione, se si fondono due mobili liquidi.
Se fosse possibile separarle, sarebbero distinte ma, se non è possibile la separazione senza deterioramento, il proprietario della cosa
principale diventa proprietario della cosa accessoria, salvo compenso per questo.
La Specificazione, che si ha quando un artefice compie un’opera nuova con materie di proprietà di un altro soggetto; in tal caso,
l’opera nuova è di proprietà dello specificatore a meno che, il valore della materia non sia notevolmente superiore al valore della
“nova species” e, in questo caso, la nuova opera sarà di proprietà del proprietario della materia. Colui che diventa proprietario è
tenuto ad un compenso nei confronti dell’altro.
L’Occupazione è un modo di acquisto a titolo originario delle cose mobili “nullius” e “derelicte”.
Le “res nullius(cose che non appartengono a nessuno)” sono quelle cose che non hanno mai avuto e non hanno tutt’ora un
proprietario. Le “res derelicte”(cose abbandonate) invece hanno avuto un proprietario ma, questi le ha abbandonate con “l’animus
derelinquendi”,cioè con l’intenzione di spogliarsi della proprietà delle cose. Entrambe sono di proprietà di chi le occupa cioè di chi le
trova e le fa proprie. Da notare che non è ammessa occupazione di beni immobili perché, se nessuno si interessa di loro, essi vengono
automaticamente acquisiti dallo Stato.
Diverso è il caso del ritrovamento di cose smarrite: chi ritrova una cosa smarrita deve consegnarla al proprietario se lo conosce,
ovvero deve consegnarla al sindaco del luogo del ritrovamento. Sindaco il quale procede ad affiggere avviso del ritrovamento all’albo per
due domeniche consecutive. Decorso un anno dall’ultima pubblicazione, se si presenta il proprietario, spetterà un premio di ritrovamento
al ritrovatore, se invece non si presenta il proprietario, la cosa diventa di proprietà dell’autore del ritrovamento.
“L’inventio tesauri”, cioè il ritrovamento di un tesoro. Per tesoro si intende qualunque cosa mobile di pregio o di valore nascosta o
sotterrata di cui nessuno possa provare la proprietà. Se ritrovato un tesoro, appartiene per metà al ritrovatore, per diritto di
occupazione, e per metà al proprietario del fondo, per diritto di accessione. Ciò purché il ritrovamento sia stato casuale. Se invece
è stata fatta apposita ricerca, il tesoro è di proprietà del proprietario del fondo per accessione, salvo compenso all’esecutore delle
ricerche.L’usucapione sarà ordinaria, e quindi ventennale, nel caso di possesso in mala fede, o abbreviata, o decennale nel caso di
possesso in buona fede. Se oltre al possesso e alla buona fede vi è il titolo astrattamente idoneo, la cosa mobile diventa di proprietà del
possessore.
I MODI DI ACQUISTO A TITOLO DERIVATIVO DELLA PROPRIETÀ MOBILIARE
I modi di acquisto a titolo derivativo della proprietà mobiliari sono:
•Alienazione;
•Successione “mortis causa”.
L’unica particolarità rispetto a quella dei beni immobili è che per l’alienazione di beni mobili non occorre la forma scritta “ab sustantiam”.
AZIONI A TUTELA/DIFESA DELLA PROPRIETÀ E DEL POSSESSO
Dobbiamo distinguere tra “Azioni Petitorie” ed “Azioni Possessorie”. Le azioni petitorie sono quelle a tutela del diritto di proprietà e che
possono essere esperite solo da chi sia proprietario.
Esse sono:
•La “rei vindicatio”, azione di rivendica;
•“L’Actio negatoria”;
•L’azione di regolamento dei confini;
•L’azione per l’apposizione dei termini.
Le azioni possessorie sono le azioni a tutela del possesso ed esse competono al possessore, indipendentemente dal verificare se sia o
meno il proprietario.
Esse sono:
•Azione di spoglio;
•Azione di manutenzione.
In mezzo alle azioni petitorie e a quelle possessorie si pongono le azioni di enunciazione, che competono sia al proprietario sia al
possessore.
Esse sono:
•La denuncia di opera nuova;
•Azione di danno tenuto.
La “rei vindicatio” è l’azione petitoria mediante la quale il proprietario mira a riavere il possesso di una cosa tenuta e contestatagli da
un terzo.
In quest’azione perciò vi sono due soggetti:
•Uno è il proprietario spogliato del suo bene, legittimato attivamente all’azione; ovvero l'attore
•L’altro è l’autore dello spoglio, legittimato passivamente all’azione, il convenuto. Il proprietario, in quanto attore, deve provare il suo diritto
di proprietà. Infatti l’onere della prova incombe sull’attore (“onus probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat”).
La prova del diritto di proprietà come dicevano i giuristi medievali è “probatio diabolica”, in quanto bisognerebbe provare che nessun
trapasso, che ha avuto il bene nel tempo, sia stato viziato. Alla evidente difficoltà di tale prova si sostituisce la prova di aver acquistato il
bene a titolo originario per usucapione. La prova è agevolata con la regola che prevede che, ai fini del computo del tempo, per la
prova dell’acquisto si può cumulare il possesso dell’avente causa con quello del dante causa. Inoltre, il possessore del tempo
presente, che ha posseduto in epoca remota, si presume possessore del tempo intermedio, salvo prova contraria. L’azione di revindica
mira ad ottenere una sentenza che non è già limitata all’accertamento del diritto di proprietà ma, mira invece ad ottenere
sentenza di condanna del possessore alla restituzione del bene “cum omni causa”, cioè il possessore sarà condannato a
restituire oltre alla cosa tutti i frutti esistenti,ed inoltre “percepti” e “percipiendi”, quindi percepiti e che avrebbe dov uto
percepire con la diligenza del buon padre di famiglia. Questi ultimi due tipi di frutti vanno restituiti al decorrere dal giorno dell’inizio del
possesso, se si tratta di possessore in mala fede, se invece si tratta di possessore in buona fede, egli dovrà restituire oltre alla cosa i frutti
esistenti, ed inoltre quelli “percepti” e “percipiendi” ma dal giorno della domanda giudiziale, perché da quel momento la legge lo presume
in mala fede. L’azione di revindica si distingue da qualunque altra azione di restituzione della cosa nascente da altro titolo; infatti, solo
nella “rei vindicatio” bisogna provare il diritto di proprietà mentre, in qualunque altra azione di restituzione è sufficiente provare l’esistenza
e la durata del titolo da cui nasce il diritto alla restituzione. Poiché l’azione di revindica tutela il diritto di proprietà, essa è
imprescrittibile come il diritto che essa tutela.“L’actio negatoria” è quell’azione petitoria che mira a respingere le molestie o le
turbative su un bene oggetto di proprietà. Queste molestie o turbative possono essere di fatto, ma più spesso sono di diritto, e consistono
il più delle volte nella pretesa di un terzo e quindi del convenuto di avere sulla cosa un diritto reale di godimento anzi, il più delle volte, il
preteso diritto reale è un diritto di servitù, sicché spesso “l’actio” è detto “actio negatoria servitutis”. Vi sono due soggetti:Legittimato
attivamente è il proprietario vittima delle molestie o turbative mentre, legittimato passivamente è l’autore delle molestie, cioè il soggetto
che assume di avere un diritto reale di godimento o della servitù. Il proprietario deve provare il suo diritto di proprietà. Spetterà al Giudice
valutare la fondatezza della pretesa altrui sulla base della prova fornita dal convenuto. Anche “l’actio negatoria” è azione di condanna,
perché mira ad ottenere una sentenza che accertata l'esistenza del diritto di proprietà condanni il convenuto a cessare le molestie e a
rimettere le cose nel pristino stato, oltre a risarcire eventuali danni prodotti.
Azione di regolamento dei confini, si ha quando è incerto il confine tra due fondi contigui. Il proprietario di uno dei due fondi può esperire
tale azione affinché i confini siano determinati e resi certi. Anche tale azione, come la revindica, è imprescrittibile poiché essa è una
doppia revindica, poiché consiste nel rivendicare da parte dell’uno o dell’altro proprietario una determinata porzione di fondo in
contestazione. Azione in apposizione di termini, si ha quando i confini dei due fondi sono certi, però mancano i termini o sono
irriconoscibili. L’azione pertanto mira a rendere questi termini che sono certi anche chiari e riconoscibili.
DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI
Come premessa generale, i diritti reali di godimento su cosa altrui sono anche detti diritti reali minori o parziali, nel senso che sulla base
del più ampio diritto di proprietà si costituiscono i diritti reali di godimento da quello derivato e di portata minore. Dire che essi
sono diritti parziali non significa che essi siano parte del diritto di proprietà, poiché essi non partecipano dei caratteri della proprietà. Tanto
ciò è vero che se si estingue il diritto reale di godimento su cosa altrui, la proprietà ritorna piena elasticamente, e quind i
automaticamente, senza bisogno di alcun atto o negozio e per converso, se il titolare del diritto reale diventa per qualsiasi motivo
proprietario della cosa, il diritto reale si estingue per confusione automaticamente, e quindi senza bisogno di atto o negozio.
IL DIRITTO DI SUPERFICIE
Poiché la proprietà si estende in senso verticale “usque adsidera et usque ad inferos”, cioè all’infinito, ne consegue che “omne quod
plantatur vel inedificatur solo cedit", cioè tutto ciò che è piantato o edificato sul suolo appartiene al proprietario del suolo per diritto di
accessione; unica eccezione al principio generale è il diritto di superficie. Per superficie si intende ciò che viene all’esistenza sul
suolo.
Si conoscono due tipi:
•“Ius ad aedificandum”,(diritto a costruire) esso consiste nella concessione fatta dal proprietario di un suolo ad un soggetto affinché
quest’ultimo innalzi una costruzione sul suolo. Per questo tipo di superficie si discute se si tratti di alienazione di spazio aereo,o
costituzione di “servitus onere ferendi”(sopportare un peso), ovvero se vi sia rinunzia preventiva da parte del proprietario del suo
diritto di accessione. In realtà l’alienazione di spazio aereo non è comune, né si può ritenere che si tratti di servitù perché la servitù è un
peso imposto su un fondo a vantaggio di un altro fondo, che siano entrambi esistenti. Invece nel caso specifico, un fondo esiste ma l’altro,
a cui vantaggio dovrebbe costituirsi la servitù, è ancora da costruire, sicché deve ritenersi preferibile la terza soluzione dottrinaria e quindi,
che tale diritto configuri una rinunzia preventiva da parte del proprietario del suolo al suo diritto di accessione.
•Il secondo tipo di superficie si ha quando viene alienata una costruzione esistente sul suolo senza però alienare la pro prietà
del suolo ma con la costituzione di una “servitus onere ferendi”.
Il primo tipo di superficie, se non esercitata per 20 anni, si estingue per prescrizione. Invece il secondo tipo di superficie, poiché riguarda
la proprietà di una costruzione, è ovviamente imprescrittibile.(proprio poiché è proprietà vera e propria. La superficie si estingue per
scadenza del termine, se il diritto era stato previsto “ad tempus”. Può estinguersi per confusione, se il superficiario diventa
anche proprietario del suolo. Il superficiario titolare della costruzione può anche alienare la costruzione ad altri ma, se la superficie era
stata costituita “ad tempus”, verrà meno anche nei confronti del terzo,perché venuto meno nei confronti del superficiario viene meno
anche per il terzo (principio “resoluto iure dantis resolvitur et ius accipiendi”); salvo diverso accordo tra le parti, il perimento totale della
costruzione non estingue il diritto di superficie, perché il superficiario può ancora estrinsecare il suo diritto ricostruendo la cosa.
DIRITTO DI ENFITEUSI
L’enfiteusi ebbe un notevole sviluppo nel Medio Evo. Il Codice del 1865 considerò questa figura con sfavore. Invece il Codice Civile
del 1942, volle dare all’istituto un nuovo impulso, ritenendo che potesse rappresentare un notevole ausilio per l’economia
agricola. In concreto, non pare che l’istituto abbia dato tali risultati, ed infatti il Legislatore è intervenuto, e con esso la Corte Costituzionale
comportando l’abrogazione di alcune norme. Ciò premesso, l’enfiteusi è quel rapporto giuridico reale in forza del quale un soggetto, che
è il proprietario, che si chiama concedente, concede ad un altro soggetto, detto enfiteuta o utilista, il godimento di un fondo con l’obbligo
di migliorare il fondo stesso e di pagare un canone annuo in denaro o derrate. L’obbligo fondamentale, che sta a carico dell’enfiteuta,
è quello di migliorare il fondo. Normalmente, l’enfiteusi si costituisce proprio per far migliorare il fondo da un soggetto tecnicamente più
preparato ed attrezzato.In dottrina si discute della natura giuridica dell’enfiteusi. Secondo una dottrina minoritaria essa sarebbe un
vero e proprio diritto di proprietà. Tale affermazione non può essere condivisa.Secondo la dottrina maggioritaria essa sarebbe un
diritto reale di godimento su cosa altrui. I sostenitori della prima tesi portano come argomento la norma che prevede che, qualora
sul fondo concesso ad enfiteusi si trovi un tesoro, esso sarà di proprietà dell’enfiteuta ma, a ciò, si deve rispondere che questo
avviene perché l’enfiteuta sopporta tutti i pesi che gravano sul fondo ed è tenuto al pagamento delle imposte, e se il diritt o di
enfiteusi non viene esercitato e utilizzato per 20 anni, esso si estingue per prescrizione, come tutti gli altri diritti reali d i
godimento mentre, la proprietà è imprescrittibile.
L’enfiteusi può essere:
•Perpetua;
•“Ad tempus”, se è a termine non può essere inferiore a 20 anni, poiché in caso contrario, nessuno sarebbe invogliato a migliorare il
fondo.
Essa si costituisce per usucapione, testamento o contratto, il quale, avendo ad oggetto un bene immobile, deve avere la forma scritta “ad
substanziam” e deve essere trascritto ai fini della pubblicità dichiarativa.
Il Codice Civile prevedeva l’obbligo di revisione del canone annuo una volta ogni 10 anni, ma tale norma è stata abrogata. Il diritto di
enfiteusi può essere ceduto ad un terzo per atto “inter vivos” o “mortis causa”, a titolo gratuito o a titolo oneroso, e l’enfiteuta,
cedendo il suo diritto, non è tenuto ad alcun corrispettivo nei confronti del proprietario; invece in precedenza, era previsto che
l’enfiteuta pagasse una indennità detta “laudemio” (deriva da laudare ovvero approvare) al concedente, quale prezzo
dell’approvazione data dal concedente stesso al trasferimento del diritto. Era inoltre previsto il diritto di prelazione a favore del
concedente in caso di trasferimento dell’enfiteusi a parità di prezzo, ma è stato abrogato. Tale norma, tuttora in vigore nella
mezzadria e nell’affitto agricolo a favore del mezzagro e dell’affittuario, per l’enfiteusi è stata abrogata.Di particolare importanza è il
diritto di affrancazione dell’enfiteuta . Esso consiste nel diritto dell’enfiteuta di divenire proprietario del fondo grazie al pagamento di
una somma pari a 15 volte il canone annuo; trattasi di un diritto potestativo, e quindi, se il concedente si rifiuta di aderirvi, l’enfiteuta potrà
rivolgersi al Giudice che emanerà l’affrancazione con sentenza costitutiva. Un potere inverso spetta al proprietario, al quale spetta il
diritto di devoluzione; tuttavia, mentre l’enfiteuta può esercitare il suo diritto sempre e comunque, il concedente potrà farlo solo
se l’enfiteuta non adempie all’obbligo di migliorare il fondo, ovvero l’enfiteuta è in mora nel pagamento di 2 annualità; nel
conflitto tra diritto di affrancazione e diritto di devoluzione prevale il primo.
L’enfiteusi si estingue:
•per prescrizione ventennale;
•per esercizio del diritto di affrancazione;
•per esercizio del diritto di devoluzione;
•per perimento totale del fondo;
•per decorso\scadenza del termine, se era stata costituita “ad tempus”.
Per incentivare l’enfiteuta a migliorare il fondo, è previsto un rimborso spese\indennitá all’enfiteuta, nel caso in cui il fondo ritorni al
proprietario. Tale somma è pari all’aumento del valore conseguito dal fondo. Dalla disciplina delle migliorie si distingue quella relativa alle
addizioni (ad esempio: un pozzo, un magazzino e così via). In tal caso la legge attribuisce all’enfiteuta lo “ ius tollendi ” cioè, il diritto
di rimuovere le addizioni compiute, se ciò non comporta il deterioramento del fondo. Inoltre all’enfiteuta è riconosciuto lo “ ius
retenzionis ” cioè, il diritto di trattenere la cosa è quindi ritardare la consegna della cosa fino a che non saranno soddisfatte le
sue pretese.
L’USUFRUTTO, L’USO E L’ABITAZIONE
Usufrutto, uso ed abitazione erano chiamate nel Medio Evo servitù personali in quanto diritti di godimento costituiti a favore di
una persona, in modo da distinguerle dalle servitù prediali, che sono un diritto reale costituito a vantaggio di un fondo e non di
una persona. Tale terminologia oggi non si usa più poiché usufrutto, uso ed abitazione costituiscono tipi fissi disciplinati dalla legge, ed
è quindi inutile mantenere in vita una categoria generale. Invece le servitù prediali costituiscono una categoria generale perché,le
parti nel rispetto dei principi generali in materia di servitù, possono costituire infiniti tipi di servitù, in esecuzione de l principio
di autonomia o libertà contrattuale.
Ciò premesso, l ’ usufrutto è il diritto di usare e di godere della cosa altrui lasciando inalterata la destinazione economica dell a
cosa stessa (“usus fructus est ius alienis rebus utendi fruendi salva rerum substanzia”, l’usufrutto è il diritto di usare e godere della cosa
altrui lasciando inalterata la destinazione economica della cosa). L’usufrutto, comportando una grave limitazione del diritto di proprietà, è
necessariamente un diritto a termine. Se le parti non hanno previsto alcun termine, esso si estingue automaticamente con la morte
dell’usufruttuario, ovvero, se l’usufruttario è una persona giuridica, esso si estingue con lo scadere di 30 anni. Da notare che
l’usufruttuario può anche trasferire/cedere ad un terzo il proprio diritto, tuttavia, se l’usufruttario originario muore, si estingue comunque
automaticamente il diritto in capo al terzo; ciò significa che, ciò che può essere trasferito è in realtà il godimento materiale sulla
cosa, non anche la titolarità dell’usufrutto, che quindi resta sempre in capo all’originale usufruttuario.
L’usufrutto si costituisce per:
•Usucapione;
•Volontà delle parti, che si costituisce con un negozio “inter vivos” o “mortis causa”, a titolo gratuito o oneroso e, se esso cade su beni
immobili, deve avere la forma scritta “ad substanziam” e deve essere trascritto nei pubblici registri ai fini della pubblicità
dichiarativa;
•Legge, che si costituisce l’usufrutto legale dei genitori sui beni del figlio minore. Prima della riforma sul diritto di famiglia del 1975, era
prevista la figura dell’usufrutto legale del coniuge superstite sui beni del coniuge defunto. Oggi tale figura non esiste più e attualmente il
coniuge superstite non è più un legatario del coniuge defunto ma, è un suo erede, ed ha quindi diritto ad una quota del patrimonio
ereditario in piena proprietà.
Poiché l’usufruttuario deve lasciare inalterata la destinazione economica della cosa, se l’usufrutto ha ad oggetto beni
consumabili non è un vero usufrutto, il bene su cui esso cade entra in proprietà dell’usufruttario che, al termine dell’usufrutto, dovrà
restituire il cosiddetto “tantundem eiusdem generis” cioè, altrettanta quantità di cose della stessa qualità. Questa figura si chiama
usufrutto improprio o quasi usufrutto. Se la cosa è soltanto deteriorabile, la figura dell’usufrutto è quella normale e al termine
dell’usufrutto, l’usufruttuario avrà solo l’obbligo di riparare o sostituire le parti danneggiate. Poiché peraltro l’usufruttuario deve lasciare
inalterata la destinazione economica della cosa, l’usufruttuario deve destinare la cosa deteriorabile all’uso stabilito (così ad esempio: un
vestito da gala non potrà essere usato come abito da passeggio). Come l’usufruttuario ha diritto di usare la cosa e di percepirne i
frutti, così per converso, egli è tenuto al pagamento delle relative imposte e a quello delle spese necessarie per le opere d i
ordinaria amministrazione. Restano a carico del proprietario invece le spese per le opere di straordinaria manutenzione del
bene.
L’usufrutto si estingue:
•per prescrizione ventennale;
•per scadenza del termine;
•per morte dell’usufruttuario;
•per scadenza dei 30 anni, se l’usufruttuario è una persona giuridica;
•per confusione, se l’usufruttario diventa proprietario della cosa;
•per perimento totale del fondo;
•per abuso da parte dell’usufruttuario, che lascia deteriorare la cosa.(1015art)
Se l’usufruttuario ha compiuto miglioramenti anch’egli ha diritto ad un rimborso come l’enfiteuta ma, stavolta, il rimborso è pari alla minor
somma tra lo speso ed il migliorato. Anche l’usufruttuario ha inoltre lo “ius tollendi”, e quindi il diritto di rimuovere le addizioni
fatte, se ciò non comporta deterioramento della cosa.
L’uso è il diritto di usare una cosa e di percepirne i frutti entro i limiti dei bisogni dell’usuario e dei componenti della sua famiglia. Se l’uso
cade su cosa abitabile, prende il nome di abitazione. Poiché l’uso è il diritto di usare la cosa e percepirne i frutti entro i limiti dei
bisogni dell’usuario e dei propri familiari, l’uso non è cedibile a terzi ed è quindi un diritto personalissimo. Fatta questa differenza,
per il resto si applicano le norme in materia di usufrutto.
LE SERVITÙ PREDIALI
Le servitù prediali sono il peso imposto su un fondo a vantaggio di un altro fondo. Esse presuppongono l’esistenza di due fondi:
•Un fondo detto servente, su cui grava il peso;
•Un fondo detto dominante, a favore del quale è costituito il vantaggio.
Perché ci sia questo vantaggio è necessario che i fondi, se non proprio contigui/confinanti , debbano essere vicini, secondo il principio
“praedia vicina esse debent” cioè i fondi devono essere vicini.Le servitù prediali costituiscono una categoria generale, pertanto le
parti nel rispetto dei principi generali in tema di servitù prediali, potranno costituire infiniti tipi di servitù, in attuazione del
principio dell’autonomia o libertà contrattuale. Accade talvolta, che la servitù non sia costituita a favore di un fondo ma a favore
di una persona (ad esempio: servitù di esercizio della caccia concessa a Tizio). Poiché la servitù prediale è peso imposto su un fondo a
vantaggio di un altro fondo, indipendentemente dalla persona titolare del fondo, la dottrina qualifica tali servitù come servitù irregolari,
pertanto le servitù irregolari sono quelle costituite su un fondo, ma non a vantaggio di un altro fondo, bensì di un soggetto. La differenza
tra servitù prediali e servitù irregolari sta in ciò, che la servitù prediale si fissa attivamente e passivamente sul fondo servente
e sul fondo dominante, in modo da costituire peso sul fondo servente indipendentemente dal suo titolare, e vantaggio sul fondo
dominante indipendentemente da chi ne è titolare, mentre per le servitù irregolari, la servitù sussiste solamente su coloro che
l’hanno posta in essere e sui loro eredi, e quindi cessa, se il fondo viene alienato a terzi. La servitù non è un diritto reale ciò
perché, il diritto reale è potere immediato e diretto dell’uomo sulla cosa, indipendentemente da chi sia il proprietario, con
l’ulteriore conseguenza che la servitù irregolare è in realtà solo una obbligazione.
I PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI SERVITÙ PREDIALI
Le servitù prediali sono regolate da alcuni principi generali che risalgono al diritto romano:
•“Nemini res sua servit” cioè, non può esistere un diritto di servitù sul proprio fondo, ed infatti, poiché la proprietà si estende
ad ogni possibile godimento che si può ricavare dalla cosa, è impossibile che esista un diritto di servitù sul proprio fondo. Tanto
ciò è vero, che, se per avventura il proprietario del fondo servente diventa proprietario del fondo dominante o viceversa , la servitù si
estingue automaticamente per confusione e cioè, senza bisogno di alcun atto o negozio, secondo il principio “servitus in faciendo
consistere nequit” la servitù non può consistere in un fare. Tale principio si applica con riguardo al proprietario del fondo servente,
infatti quest’ultimo è tenuto ad un “pati” cioè, ad un sopportare (come ad esempio avviene nella servitù di passaggio deve sopportare
il passaggio dal proprietario dominante sul fondo), oppure è tenuto ad un “non facere”. Tuttavia fin dal diritto romano si conoscevano
esempi di “facere” accessori a carico del proprietario del fondo servente (ad esempio: nella servitù di appoggio del muro era previsto, per
il proprietario del fondo servente, l’obbligo di “reficere paretem” cioè, l’obbligo di rifare o riparare il muro pericolante o danneggiato).
Tuttavia, a ben vedere, questo “facere” è un “facere” accessorio al contenuto tipico della servitù che, anche in questo caso, consiste in
un “pati”. Ed allora è chiaro che questi obblighi di “facere” accessori sono “obbligationes propter rem”, delle quali il proprietario
del fondo servente potrà liberarsi abbandonando il fondo in favore del fondo dominante.
•“Servitus dividi non potest”, la servitù non può essere divisa. Questo principio afferma il carattere di indivisibilità della servitù
poiché, essa grava su tutto il fondo e su ciascuna parte del fondo, di modo che, se il fondo servente viene alienato a più soggetti,
essa continuerà a gravare su tutto il fondo e su ciascuna parte del fondo, a meno che, l’attività non sia concentrata in una parte
determinata del fondo (ad esempio: avviene nella servitù di presa d’acqua per la presenza, in quella determinata parte del fondo, di un
pozzo da cui attingere l’acqua).
VARIE CATEGORIE DI SERVITÙ
Il nostro Codice conosce vari tipi di servitù prediali:
•Le servitù apparenti , che sono quelle che risultano da opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù. Ad esempio
servitù di acquedotto
•Le servitù non apparenti , che sono quelle che non risultano da opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù. Ad
esempio servitus aitius non tollendi.
Tale distinzione è importante per i modi di acquisto della servitù. Inoltre si distinguono:
•Servitù positive , che comportano un “facere” per il proprietario del fondo dominante (ad esempio: servitù di passaggio);
•Servitù negative , che comportano per il proprietario del fondo dominante il potere di imporre obblighi o divieti al proprietario del fondo
servente (ad esempio: il proprietario del fondo dominante impone al proprietario del fondo servente di non costruire oltre una certa altezza).
Tale distinzione si fa con esclusivo riferimento al proprietario del fondo dominante poiché, come abbiamo detto, per il proprietario del
fondo servente la servitù può essere solo negativa, per il principio “servitus in facendo consistere nequit”. Anche tale distinzione è
rilevante ai fini delle cause di estinzione delle servitù. Si distinguono ancora:
•Le servitù continue , che sono quelle per il cui esercizio non è necessaria l’opera dell’uomo (ad esempio: servitù di stillicidio la goccia
che cade da sola in modo naturale );
•Servitù discontinue , che sono quelle per il cui esercizio è invece necessaria l’opera dell’uomo (ad esempio: servitù di passaggio).Anche
tale distinzione è rilevante ai fini delle cause di estinzione delle servitù.
LE FONTI DELLA SERVITÙ
Rispetto alla fonte le servitù possono essere:
•Servitù volontarie , sono quelle che si costituiscono per volontà delle parti con atto “inter vivos” o “mortis causa” che,riguardando beni
immobili, devono avere la forma scritta “ad substanziam” oltre che la trascrizione ai fini della pubblicità dichiarativa.
•Servitù legali o anche dette coattive ,quelle che si costituiscono per volontà della legge. Si deve però precisare che la legge
attribuisce al proprietario del fondo dominante lo “ius ad abendam servitutem”, cioè il diritto del proprietario di rivolgers i al
Giudice per ottenere una sentenza costitutiva della servitù. Tale diritto, che costituisce un diritto potestativo, va esercitato per via
giudiziaria. Il Giudice, valutata la sussistenza dei presupposti di legge per il sorgere della servitù, emetterà sentenza costitutiva dalla quale
nascerà il diritto di servitù. Nella sentenza il Giudice stabilisce l’entità della prestazione dovuta dal proprietario del fondo dominante al
proprietario del fondo servente per la costituzione della servitù.
Si possono così distinguere i limiti legali della proprietà dalle servitù legali:
•I limiti legali sono coevi al sorgere della proprietà invece, le servitù legali nascono solo in un secondo momento e per sentenza
costitutiva del Giudice.
•I limiti legali sono reciproci, e quindi a favore e contro dei due proprietari, mentre la servitù legale è peso per il fondo servente e
vantaggio per il fondo dominante.
•I limiti legali hanno il carattere della gratuità invece, nelle servitù legali il proprietario del fondo dominante è tenuto a corrispondere
un’indennità nella misura fissata dal Giudice al proprietario del fondo servente.
•Se è violato un limite legale, il proprietario è tutelato con “l’actio negatoria”; se invece è violata la servitù prediale, il proprietario
è tutelato “dall’actio confessoria servitutis”, che mira a far riconoscere l’esistenza della servitù.
Principali servitù legali o coattive sono:
•L’acquedotto coattivo, che si costituisce, non solo quando l’acqua del fondo servente è necessaria per irrigare il fondo dominante, ma
anche, quando essa è utile ad una più razionale coltivazione del fondo dominante.
•Il passaggio coattivo, che si costituisce sia se il fondo dominante è assolutamente intercluso, cioè se il proprietario del fondo dominante
può raggiungere la via pubblica solo attraversando il fondoservente, sia se il fondo dominante è relativamente intercluso, e cioè se è molto
disagevole per il proprietario del fondo dominante raggiungere la via pubblica attraverso il suo fondo.
Perché si costituisca la servitù di passaggio sono previsti i seguenti criteri:
•Maggior brevità di passaggio;
•Minor aggravio per il proprietario del fondo servente.
Ciò significa che il passaggio più breve deve essere preferito ma, se esso comporta un danno al fondo servente (ad esempio: perché si
attraversa un vigneto) andrà preferita la via più lunga ma meno disagevole. Ciò è del resto compatibile con quanto è previsto in via
generale in tema di misura dell’esercizio della servitù, a proposito della quale, la legge prevede che bisogna considerare l’utilità iniziale
del fondo dominante con il minor aggravio per il fondo servente.
I MODI DI ACQUISTO DELLE SERVITÙ
Come la proprietà si acquista a titolo originario e a titolo derivativo, così anche la servitù si acquista a titolo originario e a titolo derivativo.
I modi di acquisto delle servitù prediali a titolo originario sono:
•Usucapione;
•Destinazione del padre di famiglia.
Modi di acquisto delle servitù prediali a titolo derivativo sono:
•Il contratto;
•Negozio “mortis causa”.
Per quanto attiene ai modi di acquisto delle servitù prediali a titolo originario, l’usucapione è un’applicazione particolare dell’istituto già
analizzato, e quindi, sarà ordinaria o abbreviata. La destinazione del padre di famiglia è invece un modo di acquisto della servitù a titolo
originario che è tipico ed esclusivo delle servitù prediali. Esso si ha quando i due fondi, appartenenti prima ad un unico proprietario, ovvero
due parti di uno stesso fondo prima appartenente ad un unico proprietario, vengono alienati a soggetti diversi. Se questi due fondi, o
queste due parti di fondo, prima della vendita, erano poste tra loro in una situazione di servitù di fatto, con l’alienazione la servitù
si costituisce automaticamente, e quindi senza bisogno di un atto o di un negozio perché, essa deriva da una situazione di fatto
presistente, qual’era stata destinata dall’originario proprietario, che è appunto il padre di famiglia. Questi due modi di acquisto
a titolo originario sono propri solo delle servitù apparenti, cioè quelle che risultano da opere visibili e permanenti perché, solo in
esse, si evidenzia il possesso che porta all’usucapione e la situazione di fatto che porta all’acquisto per destinazione del padre di
famiglia.Con i modi di acquisto delle servitù prediali a titolo derivativo invece, si costituiscono tutti i tipi di servitù (apparenti e
non apparenti, positive e negative, ecc.). Se la servitù è apparente è possibile sia l'usucapione che la destinazione del pad re di
famiglia perché si evidenzia il possesso cioè la situazione di fatto , se la servitù non è apparente non può ne usucapire i ne
acquistarsi per destinazione del padre di famiglia.
Ovviamente l’atto di costituzione della servitù, riferendosi a beni immobili, deve avere la forma scritta “ad substanziam” e deve inoltre
essere trascritto ai fini della pubblicità dichiarativa. Da notare che, essendo la servitù prediale un peso imposto su di un fondo a
vantaggio di un altro fondo, la servitù volontaria si costituirà solo su iniziativa del proprietario del fondo servente. Se costui è
tale sotto condizione sospensiva, potrà costituire la servitù come effetto prodromico o preliminare, ed il negozio produrrà i suoi effetti con
efficacia “ex tunc”, se si verificherà la condizione. Qualora la condizione non si verifichi, il negozio cadrà del tutto nel nulla, anche
in tal caso, con effetto “ex tunc”, e quindi la servitù si considererà come mai venuta all’esistenza. Se il fondo servente è di proprietà
di più soggetti, ed è quindi in condominio, la legge dice che occorre il consenso di tutti i condomini per costituire la servitù prediale; tuttavia,
se uno o più condomini hanno espresso il loro consenso alla costituzione della servitù, i loro eredi e gli aventi causa sono tenuti
al rispetto del consenso dato, poiché la servitù è peso sul fondo servente a vantaggio del fondo dominante e non è quindi un
vincolo tra persone. In questo caso siamo di fronte ad una “obbligationes propter rem” vincolante solo per quei determinati soggetti
ed inquadrabile nella figura delle servitù irregolari.(costituite a vantaggio di una persona e non di un fondo)
ESERCIZIO DELLA SERVITÙ
Per determinare la misura, cioè la quantità dell’esercizio della servitù, bisogna avere riguardo al titolo, che generalmente
disciplina la misura dell’esercizio della servitù (ad esempio: prevedendo il passaggio un’ora al giorno o per tutto il giorno sul
fondo servente). Se manca questa determinazione nel titolo, essa si evincerà dallo scopo della servitù; se neanche dallo scopo
può dedursi la misura dell’esercizio della servitù, si ricorre a questo principio generale: il bisogno iniziale del proprietario del fondo
dominante con minor aggravio per il proprietario del fondo servente. Ciò è quanto già i romani affermavano dicendo che la servitù si
esercita “civiliter(in conformità allo ius civile)”. Naturalmente, il proprietario del fondo dominante non può rendere più gravoso
l’esercizio della servitù e, correlativamente, il proprietario del fondo servente non può diminuire l’esercizio stesso; poich é
“servitus in faciendo consistere nequit”, e quindi il proprietario del fondo servente non è mai tenuto ad un “facere”; le spese
per la conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante. Ciò non esclude che le parti
convenzionalmente stabiliscano che le spese possano gravare anche sul proprietario del fondo servente ma, in tal caso si ha un “facere”
accessorio al contenuto della servitù che, pertanto, costituisce “una obbligatio propter rem” della quale, il proprietario del fondo servente,
se la ritiene troppo gravosa, può anche liberarsi, mercé l’abbandono liberatorio del fondo servente in favore del proprietario del fondo
dominante. Si chiama modo o modalità di esercizio della servitù, l’elemento che determina come debba essere esercitata la
servitù(ad esempio: passaggio a piedi o con automezzi sul fondo servente). Di regola, il modo di esercizio, è stabilito nel titolo; ci si
chiede però, se il titolo stabilisce un determinato modo (ad esempio: passaggio a piedi), può usucapirsi un modo maggiore??? Va
premesso che deve ovviamente trattarsi di servitù apparente perché, come non può usucapirsi una servitù non apparente, così ancora
meno, potrà usucapirsi un modo di esercizio della servitù. Ciò premesso, la dottrina è unanime nel ritenere che, se il titolo stabilisce
in maniera chiara il modo di esercizio, non può usucapirsi un modo maggiore, se invece, manca questa determinazione nel
titolo, potrà usucapirsi in modo più ampio possibile. Talvolta, per l’esercizio di una servitù è necessario esercitare un’altra servitù (ad
esempio: passaggio sul fondo servente per attingere acqua da un pozzo che lì si trova, nella servitù di presa d’acqua).Si dice strumentale
la servitù il cui esercizio è necessario per l’esercizio della servitù principale.
ESTINZIONE DELLA SERVITÙ
Le servitù prediali si estinguono per prescrizione ventennale cioè, per non uso del diritto per 20 anni della cosa. Ma da che
momento cominciano a decorrere i vent’anni??? Torna utile la distinzione tra servitù continue e discontinue e tra servitù positive e
negative.Per le servitù discontinue e per le servitù positive, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il proprietario del
fondo dominante non esercita più il suo diritto.
Per le servitù continue e le servitù negative invece, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il proprietario del fondo
servente pone un ostacolo all’esercizio della servitù e il proprietario del fondo dominante non si oppone.Inoltre la servitù prediale si
estingue per impossibilità di fatto del suo esercizio (ad esempio: per la cessazione della fonte dalla quale si fruiva la servitù accessoria
per attingere l’acqua), purché siano trascorsi 20 anni dall’inizio dell’impossibilità di fatto. “Medio tempore”, e quindi nel periodo
intermedio, la servitù si dice “ quiescente ”, se essa riprende vita durante i 20 anni (ad esempio: se rivive la fonte, la servitù riprende
normalmente il suo esercizio da quiescente qual’era).
Inoltre le servitù si estinguono per confusione, se uno dei due proprietari diventa proprietario anche dell’altro fondo, e ciò per
applicazione del principio “nemini res sua servit”. Un’ipotesi frequente di confusione si ha per effetto dell’abbandono liberatorio da parte
del proprietario del fondo servente per la presenza di obblighi di “facere” troppo gravosi. Si ha quindi l’ipotesi di abbandono liberatorio del
fondo in favore del proprietario del fondo dominante. Se poi anche il proprietario del fondo dominante abbandona quello che era
fondo servente, e che ora è sua proprietà lo abbandona, poiché, come sappiamo, non sono concepibili come “res derelicte” i
beni immobili, il fondo servente abbandonato sarà di proprietà dello Stato. Secondo alcuni autori, con la servitù che continua a
gravare su di esso, secondo altri, con la definitiva estinzione della servitù.Tutte le cause di estinzione analizzate si riferiscono solo
alle servitù volontarie invece, per quanto riguarda le servitù legali o coattive, come esse si costituiscono per sentenza, così esse si
estinguono a seguito di sentenza costitutiva del Giudice, che, constatata la causa di estinzione, dichiara l’estinzione stessa della servitù.
L’AZIONE A TUTELA DELLA SERVITÙ
L’azione a tutela della servitù prediale si chiama “actio confessoria servitutis” ed è l’azione che mira al riconoscimento di una
servitù prediale. Legittimato attivamente all’esercizio dell’azione è il proprietario del fondo dominante, che chiede al Giudice di
riconoscere e tutelare la servitù. Legittimato passivamente all’azione è il proprietario del fondo servente, che contesta l’esistenza del
diritto di servitù.
“L’actio confessoria servitutis” è azione petitoria di condanna poiché, mediante essa, il proprietario del fondo dominante mira ad
ottenere una sentenza che, non solo accerti il diritto di servitù, ma che sia diretta a condannare il proprietario del fondo servente a
permettere l’esercizio della servitù, a rimuovere eventuali ostacoli e a risarcire eventuali danni subiti dal proprietario del fondo dominante.
Quest’ultimo, se ricorrono i presupposti di legge, potrà in alternativa, proporre le azioni possessorie di reintegrazione o quella di
manutenzione.
LA MULTIPROPRIETÀ
Il termine multiproprietà indica un’operazione economica che mira ad assegnare ad un soggetto, che si chiama multiproprietario,
il diritto di usare e di disporre un’unità immobiliare, e quindi il potere di godimento simile a quello di un vero proprietario su
un’unità immobiliare, per un determinato periodo di tempo nell’anno solare (ad esempio: dall’1 al 15 agosto). Mentre lo stesso
potere è attribuito agli altri multiproprietari per altri periodi.Ciò significa che, al momento della stipula del contratto, l’acquirente in
multiproprietà deve indicare il periodo dell’anno solare scelto tra quelli disponibili e corrispondentemente verserà una somma
di denaro, variabile in funzione del periodo prescelto.Ciò premesso, la multiproprietà attribuisce il diritto di godere e di disporre di un
bene, limitatamente ad un periodo dell’anno ma, in perpetuo. In tal modo, il multiproprietario dispone con certezza e per sempre di un
immobile generalmente utilizzato come alloggio per vacanza, corrispondendo una somma evidentemente inferiore, a quella che
normalmente spenderebbe per l’acquisto in proprietà esclusiva. D’altro lato, egli non è da solo ad affrontare le gravose spese di
conservazione del bene, di condominio, di riscaldamento. Il venditore avrà anzitutto più facilità a reperire acquirenti per il prezzo più
basso, potrà ottenere una somma complessivamente superiore, ed inoltre, spesso, questi beni in multiproprietà si trovano in residence,
dotati di servizi quali: piscina, ristorante, ecc., che il venditore riserva a se stesso.Il diritto del multiproprietario è di regola trasmissibile
per atto “inter vivos” o “mortis causa”. Si discute sulla natura giuridica del diritto di multiproprietà. Escluso che possa trattarsi di
un diritto reale di godimento su cosa altrui, si afferma che si tratti di un vero e proprio diritto di proprietà; però, per essere suddetto diritto,
è fortemente limitato, in quanto il proprietario esclusivo risponde dei deterioramenti delle cose, dell’uso che eccede quello ordinario da
destinare all’uso convenuto nel contratto, generalmente alloggio per vacanze. Egli deve impedire le molestie ed i danneggiamenti da
parte di terzi nel periodo di sua spettanza. Non è libero di usare e di godere la cosa a suo piacimento, come il proprietario
esclusivo invece è. Infatti, si afferma che potrebbe trattarsi di una comunione, tanto è vero che generalmente il venditore predispone un
regolamento di comunione tra i vari multiproprietari, per disciplinare il godimento turnario. Però, si osserva che, mentre nella comunione
il diritto di divisione può essere al massimo compresso per non più di 10 anni, ma mai soppresso, nella multiproprietà, tale
diritto non spetta affatto al multiproprietario; perciò si tende a dire, che il diritto di multiproprietà sarebbe un diritto di proprietà
su bene individuato bidimensionalmente cioè, spazialmente e temporalmente. Il legislatore, che con il cosiddetto codice del
consumo decreto legislativo numero 5 del 2006 ha disciplinato la multiproprietà, non ha chiarito il problema, limitandosi a disciplinare il
contratto di multiproprietà, prevedendo comunque importanti norme di tutela a favore dell’acquirente, considerato parte debole
(prevedendo ad esempio: gravosi obblighi informativi da parte del venditore, diritto di recesso per l’acquirente e obbligatorietà della forma
scritta).
LA COMUNIONE E IL CONDOMINIO
Per comunione in senso giuridico si intende la contitolarità di più soggetti nel medesimo diritto. Pertanto più soggetti possono,
ad esempio, essere contitolari dello stesso diritto di credito, ed essere quindi concreditori, ovvero di un diritto reale o di qualunque altro
diritto. Se la comunione ha ad oggetto il diritto di proprietà, essa prende il nome di condominio. Il condominio è quindi la
contitolarità di più soggetti nel medesimo diritto di proprietà.Il condominio, in apparenza, può sembrare in contrasto con l’esclusività del
diritto proprietà, secondo il principio “duorum in solidum dominium esse non potest”, cioè non vi può essere la proprietà di due sulla stessa
cosa.Tuttavia il contrasto è solo apparente in quanto, ciascun condomino non è proprietario del tutto, ma solo di una quota del bene. La
quota non è una nozione materiale o reale ma è una nozione ideale. Infatti essa è il rapporto di proporzione tra una parte ed il tutto
perciò, si suole dire, che il condomino è proprietario per un mezzo, un terzo e così via. Nei limiti della sua quota ciascun condomino
può disporre del suo diritto o cedendo la quota ad un terzo, nel quale caso l’avente causa subentra nel condominio nei limiti
della quota cedutagli, oppure il condomino può compiere atti di disposizione della cosa comune, come costituire un diritto di
usufrutto, una servitù o addirittura vendere una parte della cosa comune. In questo secondo caso, l’atto di disposizione si
considera sottoposto a condizione sospensiva. Esso produrrà i suoi effetti, e li produrrà con efficacia “ex tunc”, se in sede di divisione,
quella determinata parte su cui il condomino ha disposto, verrà attribuita in proprietà solitaria al condomino disponente, se invece in sede
di divisione, quella parte non sarà assegnata in proprietà solitaria al condomino disponente, l’atto di disposizione cadrà del tutto “ex
tunc”.Come si può già intuire, la comunione si estingue con la divisione. La divisione costituisce un diritto potestativo di ciascun
condomino, salvo che si tratti di comunione forzosa.
La divisione può essere:
•Amichevole (detta anche volontaria),quando vi è l’accordo tra le parti(tra i condomini). Solitamente viene posta in essere da un notaio
che procede alla formazione di diversi lotti con l’attribuzione per sorteggio della parte dovuta a ciascun condomino;
•Giudiziale, quando non vi è l’accordo tra le parti ed è cioè posta in essere dal Giudice, su istanza di uno o più condomini.
•Ordinaria,che è la comunione in cui ciascun condomino può chiedere in qualsiasi momento la divisione (ad esempio: condominio per le
parti comuni di un edificio);
•Forzosa, che è la comunione in cui manca la possibilità di chiedere la divisione (ad esempio: condominio per la parti comuni di un
edificio).
Nel nostro diritto la divisione ha natura dichiarativa, e quindi ciascun condomino si considera proprietario della parte
attribuitagli a seguito di divisione, fin dal primo momento in cui la cosa era in comune. Ciò spiega perché gli atti di disposizione
compiuti da un condomino sulla cosa comune, avranno efficacia “ex tunc”, se quella parte gli viene attribuita a seguito di divisione. Invece,
in diritto romano la divisione aveva natura costitutiva, e quindi ciascun condomino si considerava proprietario della parte
assegnatagli a seguito di divisione solo dal momento della divisione, ed anzi prima di essa, ciascun condomino si considerava
avente causa dell’altro. Recentemente la Cassazione ha dichiarato in una sentenza che la divisione nel nostro diritto avrebbe natura
costituiva. Anche se non è così poiché ha natura dichiarativa non costituiva.
Per quanto riguarda la fonte, la comunione si distingue in:
•Volontaria, se deriva dalla volontà delle parti. Normalmente con un contratto di società.
•Incidentale, quando essa deriva da una causa estrinseca alla volontà delle parti. E quindi per un rapporto di vicinato o di successione,
quando più eredi sono chiamati a succedere al “decuius”(defunto).
La comunione è di solito regolata da un titolo; in mancanza si applicano le seguenti norme:
•Ciascun condomino ha il diritto di usare le parti comuni (cortile, portone, scale), purché non alteri le cose comuni stesse e consenta il
pari uso agli altri condomini, senza danneggiarle e anzi contribuendo inoltre, nei limiti della sua quota, alle spese per la conservazione e
il godimento delle cose comuni stesse.
•L’organo deliberativo per le spese di uso e di conservazione della cosa comune è l’assemblea dei condomini, nella quale si applica il
principio maggioritario, in modo che la maggioranza delle quote, vincola le minoranze dissenzienti, e quindi la maggioranza non si
calcola con il numero dei condomini ma con il valore delle quote.
•Per le opere di ordinaria amministrazione è sufficiente la maggioranza semplice, cioè la metà più uno del valore dell’intera cosa.
•Per le opere di straordinaria amministrazione e per le innovazioni è necessaria la maggioranza qualificata, pari a due terzi del valore
dell’intera cosa. Inoltre perché si deliberino le innovazioni esse devono apportare un obbiettivo vantaggio per tutti i condomini, non devono
arrecare pregiudizio per alcuno di essi, non devono comportare una spesa eccessivamente onerosa.
•Gli atti deliberativi dell’assemblea dei condomini hanno la natura di atti collettivi.L’organo esecutivo delle deliberazioni dell’assemblea
è l’amministratore, che può essere rappresentato da uno o più condomini o da un terzo estraneo al condominio. Come detto è l’organo
esecutivo delle delibere assembleari, da solo può compiere solo le opere urgenti indilazionabili.
•Il potere della maggioranza nelle delibere assembleari incontra un limite nel caso di violazione di legge o di abusi; è consentito al
condomino dissenziente di impugnare la delibera davanti al Giudice. Si è detto che l’assemblea è regolata dal principio maggioritario
tuttavia, per disporre l’alienazione della cosa comune, occorre il consenso di tutti i condomini e non la maggioranza.
IL CONDOMINIO NEGLI EDIFICI
Un tipo particolare di condominio è il condominio negli edifici, in cui ciascun appartamento è in proprietà solitaria di ciascun
condomino ma, tutti i condomini sono in comunione forzosa relativamente alle parti comuni(scale, cortile, portone).Per la
conservazione e il godimento delle cose comuni si applicano le norme già viste in tema di condominio ordinario. Anche in tal caso l’organo
deliberativo è l’assemblea dei condomini. L’organo esecutivo è l’amministratore, che può essere rappresentato da uno o più condomini o
da un soggetto esterno al condominio. La particolarità è data dal fatto che, nei condomini con più di dieci condomini, è obbligatoria
l’adozione di un regolamento di condominio, facoltativa invece negli altri casi. Il regolamento disciplina l’uso ed il godimento delle
parti comuni e la ripartizione delle spese tra i vari condomini. Il regolamento ha la natura di atto collettivo e può essere impugnato
davanti al Giudice dai condomini dissenzienti.
Il POSSESSO
Il possesso, come afferma l’art.1140 del Codice Civile, è la relazione materiale dell’uomo con la cosa, che si manifesta in
un’attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale. Come si nota dalla definizione, la legge esclude che il possesso
possa consistere in un’attività che corrisponda a diritti familiari o diritti di credito ma, lo limita ad un’attività corrispondente al diritto di
proprietà o altro diritto reale. Si tratta di una situazione di fatto tutelata dalla legge per due motivi:
•Per evitare che i cittadini entrino in conflitto tra loro controvertendo sul possesso di un bene (dicevano i romani: “ne cives ad arma ruant”);
•Perché il possesso viene tutelato per agevolare le ragioni del proprietario che, il più delle volte è anche possessore.
Il possesso viene tutelato con le azioni possessorie di reintegrazione (o spoglio) e di manutenzione.
Il possesso si compone di due elementi:
•Uno materiale che è il corpus, che consiste nella relazione materiale dell’uomo con la cosa;
•Uno spirituale che è l’animus possidenti (o detto anche “rem sibi abendi”), cioè l’intenzione di possedere la cosa come propria.
Ovviamente con il concorso di entrambi gli elementi si acquista il possesso, che invece si perde per il venir meno di uno o di entrambi gli
elementi. Il possesso è cosa diversa dalla detenzione . Il detentore è un possessore “nominae alieno”, cioè in nome altrui, ed è
quindi un possessore precario (ad esempio: conduttore). La distinzione sta nel fatto che la detenzione non può portare all’usucapione
e perché la detenzione è tutelata solo da una delle due azioni possessorie, e cioè dall’azione di reintegrazione, non anche dall’azione di
manutenzione.
Il possesso si acquista:
•A titolo originario, quando il soggetto si pone senza l’intervento di altro soggetto direttamente nella relazione materiale con la cosa.
•A titolo derivativo con la “traditio”, che significa consegna (ad esempio: consegna delle chiavi al proprietario di un appartamento). La
“traditio” può anche essere “ficta”, e quindi finta (come accade quando, ad esempio, si vende una cosa a chi era già detentore di
essa). Invece l’istituto inverso, cioè il passaggio dal possesso alla detenzione, si chiama “costituto possessorio” (ad esempio: quando
chi era proprietario del bene lo vende ma, rimane all’interno dell’appartamento quale conduttore).
Dei due elementi di cui si compone il possesso mentre, è facile la prova del “corpus”, piuttosto ardua è quella “dell’animus” in
quanto, se un soggetto coltiva un fondo, è difficile dire se lo fa come proprietario, come affittuario, come usufruttuario e così
via. Per questo la legge agevola il possessore, prevedendo che egli sia tenuto solo a dare la prova del “corpus” mentre, spetterà alla
controparte provare che esiste un titolo che, di per sé esclude l’esistenza “dell’animus”. Il possessore è altresì facilitato da una “
presunzione legale iuris tantum ” infatti, chi possiede nel momento attuale ed ha posseduto anche in epoca remota, si presume
possessore del tempo intermedio, salvo prova contraria. Presunzione utilissima per provare di aver usucapito il bene, considerata la
difficoltà di dimostrare di aver posseduto ininterrottamente per 10 o per 20 anni. Il detentore non può usucapire tuttavia, anche il
detentore potrà usucapire, se compie un atto di interversione del titolo.
L’interversione del titolo si ha in due ipotesi:
•Un terzo che assume fondatamente o meno di essere proprietario o titolare di altro diritto reale, trasferisca il possesso al detentore;
•Il detentore contrasta in via giudiziale o stragiudiziale l’esistenza e la validità del titolo, ovvero compia atti incompatibili con la volontà di
riconoscerlo (ad esempio: chi dice di essere proprietario chiede la restituzione della cosa ed il detentore si rifiuta di restituirla, dimostrando
così, da quel momento in poi, l’intenzione di possedere la cosa come propria).
LA SUCCESSIONE NEL POSSESSO(SUCCESSIO POSSESSIONIS) E LA CONGIUNZIONE DI POSSESSO(ACCESSIO
POSSESSIONIS)
Si ha “ successio possessionis ” quando “ l’eres ” subentra nel possesso dei beni del “ decuius ”.
Si ha “ accessio possessionis ” quando l’avente causa a titolo particolare per atto “inter vivos” o “mortis causa”, quindi l’acquirente o il
legatario, subentra nel possesso del dante causa.L’importanza di tale distinzione sta in ciò: poiché l’erede subentra in tutti i rapporti
giuridici attivi e passivi del defunto, e quindi nella stessa posizione giuridica del defunto, il possesso continua nell’eres, con il carattere di
buona o mala fede che era presso il “decuius”. Viceversa nell’accessio possessionis si deve guardare la posizione soggettiva
dell’avente causa che potrà essere, ad esempio, in buona fede mentre, il possesso del dante causa era di mala fede, o viceversa.
In entrambe le ipotesi l’avente causa può cumulare il suo possesso con quello del dante causa, se ciò gli conviene e gli converrà senz’altro
se il possesso del dante causa era in buona fede.
POSSESSO IN BUONA FEDE
Una particolare protezione riceve dalla legge il possesso in buona fede, sia perché, ricorrendo gli altri requisiti, e cioè “res abilis
continuatio possessionis”, e titolo astrattamente idoneo, esso dà luogo all’usucapione abbreviata, sia perché il possessore in
buona fede di beni diventa automaticamente proprietario del bene mobile, ai sensi dell’art.1153 del Codice Civile. Per buona fede
si intendel’ignoranza di ledere un altrui diritto, e quindi l’ignoranza di acquistare da un falso proprietario e la convinzione di acquistare in
base ad un titolo idoneo; tuttavia, se tale convinzione deriva da colpa grave, cioè dalla mancanza di un minimo di diligenza anche
elementare, il soggetto è in errore inescusabile e l’errore inescusabile, derivando da colpa grave, non dà luogo a buona fede. È
sufficiente che la buona fede sussista nel momento iniziale, nel momento della stipula del contratto, sicché, se si viene a sapere anche
un istante dopo di aver acquistato da un falso proprietario, il soggetto sarà considerato in buona fede (“mala fidens super veniens non
nocet”). La buona fede si presume, e quindi in giudizio, spetta alla controparte provare che il soggetto era invece in mala fede. Per quanto
riguarda il possesso in buona fede di beni mobili, in base al principio “nemo transferre potest plus iuris quam ipse habeat”, cioè
nessuno può trasferire ad altri un diritto superiore a quello che egli stesso abbia; un soggetto che ha acquistato un bene mobile
da un falso proprietario, pur avendo il possesso e pur essendo in buona fede, non dovrebbe divenirne proprietario. Tuttavia, la
rigida applicazione del principio contrasta con le ragioni pratiche di una rapida circolazione dei beni mobili. Se ogni volta che si acquista
un bene mobile si dovesse verificare che il venditore è il vero proprietario, si paralizzerebbe il commercio, perciò la legge accorda al
possessore in buona fede di beni mobili una tutela particolare, e cioè, lo si ripeta: il soggetto che acquista il possesso in buona fede di un
bene mobile ne diventa automaticamente proprietario. Regola che si sintetizza con la frase possesso vale titolo . Ovviamente il titolo
di acquisto non deve essere solo astrattamente idoneo, ma anche valido, così, se si è acquistato un bene da un incapace o si è
acquistato un bene demaniale, è chiaro che non si acquisterà la proprietà, perché il titolo è viziato, nella prima ipotesi da incapacità,
nella seconda da inesistenza del soggetto. Ovviamente se il possessore acquista la proprietà del bene mobile, a maggior ragione egli
acquisterà la proprietà libera da pesi, e quindi da eventuali diritti di godimento esistenti sulla cosa, purché ignorati in buona fede.
IL CONFLITTO TRA PIÙ ACQUIRENTI DI BENI MOBILI
Nel nostro diritto la proprietà si acquista e si trasmette sulla base del mero consenso delle parti legittimamente espresso . Il
conflitto tra più acquirenti di un bene immobile si risolve con la priorità nella trascrizione; invece, il conflitto tra più acquirenti di un bene
mobile si risolve con la priorità nel possesso. Perciò, se Tizio vende un orologio a Caio, senza trasferirgli il possesso, e poi lo vende a
Sempronio, trasferendogli il possesso, l’effettivo acquirente sarà Sempronio. Si tratta di una chiara applicazione del principio dell’art.1153
del Codice Civile ed è disciplinato dall’art.1155. Resta salva ovviamente la facoltà per Caio di esperire azione di risarcimento del danno
nei confronti di Tizio. Il principio possesso vale titolo si applica per i beni mobili non anche per i beni mobili registrati (automobili,
aeromobili e navi) e per le universalità di mobili (biblioteca), ciò perché, nel primo caso dai pubblici registri è agevole individuare
l’effettivo proprietario, e nel secondo caso è parimenti facile capire chi sia il proprietario, considerata la mole del bene.
AZIONI POSSESSORIE
Il possessore o il detentore spogliati in modo violento o clandestino del possesso, o della detenzione del loro bene, sono tutelati dall’azione
di reintegrazione o spoglio ; mentre, il possessore molestato nel possesso del suo bene, è tutelato dall’azione di manutenzione.
Queste due azioni si chiamano azioni possessorie e competono al possessore di un bene, la prima anche al detentore,
indipendentemente dal verificare se egli sia o meno anche proprietario. Esse perciò si contrappongono alle azioni petitorie, che
competono al proprietario e che sono: la “rei vindicatio”, “l’actio negatoria”, l’azione di regolamento dei confini e l’azione per apposizione
di termini, alle quali va aggiunta “l’actio confessoria servitutis”. La tutela offerta dalle azioni possessorie è necessariamente provvisoria
perché, se per avventura il soccombente in azione possessoria è il vero proprietario, costui potrà promuovere azione petitoria e ribaltare
l’esito del giudizio precedente, anche se dovrà provare il suo diritto di proprietà che sappiamo è “probatio diabolica”.
L’AZIONE DI REINTEGRAZIONE O SPOGLIO
Tale azione compete al possessore ed al detentore di beni mobili, immobili e di universalità di mobili che siano stati spogliati
del possesso o della detenzione in modo violento o clandestino. Legittimati attivamente sono perciò il possessore ed il detentore
spogliati in modo violento o clandestino, anche se lo spoglio è posto in essere dal proprietario, perché costui non può farsi giustizia da
solo, essendo altrimenti responsabile del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni punito dal codice penale. Si è detto che
l’azione compete anche al detentore; tuttavia, essa non compete a chi detiene la “res” per ragioni di servizio (ad esempio:
domestico) o per ragioni di ospitalità (ad esempio: amico ospitato in una villa), perché per tali soggetti la detenzione è meramente
temporanea.
La giurisprudenza distingue inoltre le figure del detentore qualificato e non qualificato:
•Detentore qualificato, che è colui che detiene la cosa per sé, cioè nel proprio interesse (ad esempio: conduttore);
•Detentore non qualificato, che è colui che detiene la cosa in nome e per conto altrui (ad esempio: rappresentante, amministratore).
La distinzione è rilevante poiché il detentore qualificato può esperire l’azione nei confronti di chiunque, e quindi anche del proprietario nel
cui nome detiene, in applicazione del principio “spogliatus ante omnia restituendus”. Invece il detentore non qualificato può esperire azione
nei confronti di tutti i terzi ma, non nei confronti del soggetto in nome e per conto del quale detiene (rappresentato e proprietario).
Legittimato passivamente è l’autore dello spoglio, ovvero chi ha acquistato dallo “ spogliator ” conoscendo dello spoglio, o chi
ha istigato allo spoglio, cosiddetto autore morale. Spoglio violento non è solo quello posto in essere con violenza fisica o morale ma,
anche quello posto in essere contro la volontà espressa o presunta del possessore o detentore (ad esempio: il proprietario di casa che,
in un momento di assenza dell’inquilino, cambia la serratura dell’appartamento e vi si introduce).
Spoglio clandestino è quello celato al possessore o detentore. Vi deve essere inoltre “l’animus spogliandi”, cioè l’intenzione di
spogliare il possessore o il detentore. Elemento che di solito è insito nel fatto materiale dello spoglio. L’azione è soggetta ad un breve
termine di decadenza di un anno che decorre:
•nel caso di spoglio violento, dal giorno dello spoglio;
•nel caso di spoglio clandestino, dal giorno in cui è stato scoperto.
AZIONE DI MANUTENZIONE
Tale azione compete al possessore non al detentore di beni immobili e di universalità di mobili, non anche al possessore di beni mobili. Il
possesso di beni mobili non è perciò manutenibile, cioè non è tutelato dall’azione di manutenzione. L’azione tende a far cessare
le molestie o turbative sul bene oggetto di possesso. Tali molestie possono essere:
•di fatto, se consistono in fatti materiali (ad esempio: passaggio sul fondo). Tra le turbative di fatto vanno ricomprese lo spoglio non
violento e non clandestino, che come tali non sono tutelati dall’azione di reintegrazione;
•di diritto, se consistono in atti giuridici (ad esempio: opposizione al possessore per impedirgli di effettuare una costruzione, che si
assume in contrasto con una pretesa servitù di passaggio).
Legittimato attivamente è il possessore molestato, che abbia il possesso della cosa da oltre un anno.
Legittimato passivamente è l’autore delle molestie. Anche l’azione di manutenzione è soggetta al termine di decadenza di un anno
che decorre dal giorno della molestia. Se vi sono più molestie, il termine decorre dall’ultima di esse; tuttavia, se i vari atti di molestia
costituiscono un tutt’uno, nel senso che gli atti successivi sono solo una conseguenza del primo atto di molestia, allora il termine decorrerà
dal primo atto di molestia; così, se il titolare di una pretesa servitù di passaggio abbatte il muro sul fondo oggetto di possesso e poi traccia
il percorso per il passaggio, l’azione decorre comunque dal giorno in cui è stato rotto il muro, e quindi dalla prima molestia.
AZIONI DI NUNCIAZIONE
Tali azioni competono sia al proprietario che al possessore. Esse hanno natura cautelare, cioè mirano a prevenire un possibile danno
futuro sul bene oggetto di proprietà o di possesso, per un’opera nuova sul fondo vicino o un’opera già esistente sul fondo stesso.
•Denunzia di opera nuova, che spetta al proprietario o al possessore che abbiano fondato motivo di temere che da un’opera nuova sul
fondo vicino stia per derivare un danno. L’opera nuova deve essere iniziata da meno di un anno e non ancora terminata perché, se è già
terminata, si esperirà azione petitoria o possessoria. Il Giudice può vietare o permettere l’opera nuova, e nel secondo caso stabilire
idonee cautele;
•Azione di danno temuto, che compete al proprietario o al possessore che abbiano un fondato motivo di temere un danno grave e
prossimo da un’opera già esistente sul fondo del vicino (ad esempio: una costruzione, un albero). Il Giudice, se ritiene fondata la domanda
dell’attore, può stabilire che siano prestata idonee garanzie (come una cauzione per eventuali danni futuri).
CONCETTO DI OBBLIGAZIONE
Sappiamo che i diritti patrimoniali sono i diritti suscettibili di valutazione economica. Essi si distinguono in:
•Diritti reali;
•Diritti di credito o di obbligazione.
Perciò il diritto di obbligazione è una “species” del “genus” diritti patrimoniali. Sappiamo poi che i diritti reali, essendo il potere
immediato e diretto dell’uomo sulla cosa, hanno il carattere dell’immediatezza; mentre, i diritti di obbligazione, essendo la pretesa di
un soggetto nei confronti di un altro soggetto, hanno il carattere della mediatezza, poiché il creditore ha bisogno della
cooperazione del debitore per soddisfare la sue pretese. Inoltre, mentre i diritti reali sono assoluti, perché possono essere fatti valere
“erga omnes”, i diritti di obbligazione sono relativi, perché possono essere fatti valere solo dal creditore nei confronti del debitore. Ciò
premesso, se dal lato attivo, cioè dal lato del creditore, l’obbligazione è la pretesa di un soggetto nei confronti di un altro
soggetto, dal lato passivo, cioè del debitore, l’obbligazione è quel rapporto giuridico in forza del quale il debitore ha il dovere
giuridico di adempiere una determinata prestazione (“obbligatio est vinculum iuris quo necessitate ad stringimur alicuius solvendae
rei secundum nostrae civitatis iura”, cioè è quel dovere giuridico per il quale siamo costretti dalla necessità di pagare qualche cosa
secondo la legge dello Stato). Da notare che nella definizione latina si pone l’accento sul “vinculum iuris”, cioè sulla coercibilità
dell’adempimento, quindi sulla costrizione del debitore all’adempimento stesso.
Elementi costitutivi dell’obbligazione sono:
•Soggetto attivo, il creditore;
•Soggetto passivo, il debitore.
•L’oggetto, cioè la prestazione, che è l’atteggiamento, il comportamento che il debitore deve osservare;
•Il “vinculum iuris”, cioè la coercibilità della prestazione.
A seconda che la prestazione sia di dare, di fare o di non fare, si avrà un’obbligazione di dare, di fare o di non fare. Per il carattere
coercibile dell’adempimento, il debitore risponde dell’adempimento stesso con tutti i suoi beni presenti e futuri, quindi non solo
quelli esistenti al momento del sorgere dell’obbligazione, ma anche quelli successivi. Questa generica rispondenza si chiama
garanzia generica del credito . Per distinguerla dalla garanzia specifica che, come vedremo, si costituisce con il privilegio, il pegno e
l’ipoteca. Se allo scadere del termine il debitore non adempie, il creditore può agire ed ottenere sentenza di condanna e poi
promuovere processo di esecuzione forzata sui beni del debitore, in modo da ottenere soddisfazione del suo credito, degli
interessi e del risarcimento del danno (questo se si tratta di obbligazioni di denaro). Se si tratta di obbligazione di dare cosa certa
e determinata o di fare o di non fare, in caso di inadempimento, ottenuta la sentenza di condanna, il creditore in sede esecutiva
otterrà un provvedimento detto di esecuzione forzata in forma specifica, con il quale può costringere il debitore a farsi dare la cosa,
o lo può costringere a fare la cosa, o può eliminare le conseguenze negative derivanti dalla violazione dell’obbligo di non fare. Se ciò non
è possibile, perché ad esempio il debitore ha distrutto la cosa che doveva, il diritto del creditore si risolve nel diritto al risarcimento del
danno, che costituisce l’equivalente della prestazione mancata.
OBBLIGAZIONI NATURALI
L’obbligo che sta a carico del debitore è la necessità di tenere il comportamento dovuto, obbligo coercibile giuridicamente. L’esistenza
del “vinculum iuris”, quindi della coercibilità della prestazione è ciò che distingue un’obbligazione in senso tecnico da
un’obbligazione naturale. All’art.2034 del Codice Civile il legislatore afferma che non è ammessa la ripetizione di quanto è stato
spontaneamente prestato, in esecuzione dei doveri morali e sociali, a meno che l’obbligazione non sia stata adempiuta da un incapace.
Esempio dei doveri di cui al primo comma sono: il pagamento di un debito di gioco e il pagamento di un debito prescritto. Al
secondo comma aggiunge che i doveri indicati nel primo comma e tutti quelli per i quali la legge non accorda azione ma, esclude la
ripetizione, non producono altri effetti. Esempio dei doveri indicati dal secondo comma è costituito dall’ipotesi del negozio immorale
in cui nell’ipotesi di immoralità comune ad entrambe le parti, se una parte aveva comunque adempiuto la sua prestazione non
poteva più ripeterla.Non a caso tale regola è disciplinata dal successivo articolo 2035 del codice civile. Il dottrina si discute sulla natura
giuridica delle obbligazioni naturali. Secondo una parte della dottrina vi sarebbe un debito senza rispondenza, secondo altri vi sarebbe un
debito che entra nel mondo giuridico solo nel momento del pagamento spontaneo, tanto è vero, che è da questo momento che si produce
l’unico effetto dell’irripetibilità della prestazione. In verità nessuna delle due tesi può essere accolta, perché per poter parlare di debito, e
quindi di obbligazione, vi deve essere il “vinculum iuris”, ne consegue che se un soggetto non è obbligato ad adempiere, non potrà mai
parlarsi di obbligazione vera e propria. L’obbligazione naturale è costituita da tre requisiti e cioè:
•Pagamento;
•Spontaneità;
•Capacità.
Si tratta quindi di una fattispecie complessa composta da questi tre requisiti e che produce l’unico effetto della “soluti retenzio” cioè,
dell’irripetibilità della prestazione.
I SOGGETTI DELL’OBBLIGAZIONE
I soggetti del rapporto obbligatorio sono due:
•Un soggetto attivo, che è il creditore;
•Un soggetto passivo, che è il debitore;
Normalmente questi due soggetti sono determinati fin dal sorgere del rapporto obbligatorio ma, talvolta, per alcune circostanze in cui si
trova o il debitore o il creditore, tali soggetti sono determinabili solo in un secondo momento. Si ha in tal caso, la cosiddetta
obbligazione ambulatoria . L’ambulatorietà attiva si ha quando determinabile è il creditore (un esempio è dato dall’obbligazione nascente
da titolo di credito poiché, infatti, il titolo di credito è un titolo che circola mediante girata, il creditore sarà il soggetto possessore di quel
titolo). Se determinabile in seguito è la figura del debitore, si ha invece, l’ambulatorietà passiva (un esempio è dato “dall’obbligatio propter
rem” in cui il debitore è colui che si trova in un determinato rapporto con la cosa. Ad esempio: proprietario del fondo servente titolare di
un facere accessorio).
L’OGGETTO DELL’OBBLIGAZIONE: LA PRESTAZIONE
L’oggetto del rapporto obbligatorio è la prestazione. La prestazione è il comportamento che il debitore deve tenere nei confronti del
creditore.
La prestazione può essere:
•di dare, corrispondente ad un’obbligazione di dare;
•di fare, corrispondente ad un’obbligazione di fare;
•di non fare, corrispondente ad un’obbligazione di non fare.
La prestazione per avere rilevanza giuridica deve avere i seguenti caratteri:
•Patrimoniale, perché è tale lo stesso rapporto obbligatorio ed inoltre, perché, in caso di inadempimento del debitore, deve essere
possibile determinare il “quantum” dovuto a titolo di risarcimento. Risarcimento che costituisce l’equivalente della prestazione mancata;
•Lecita, in quanto non può essere contraria a norme imperative di diritto, buon costume ed ordine pubblico;
•Possibile, in quanto non esiste giuridicamente una prestazione materialmente impossibile né può esistere una prestazione
giuridicamente impossibile. Una prestazione impossibile non fa sorgere il “vinculum iuris” poiché “nemo tenetur ad impossibilia”, cioè
nessuno è obbligato alle cose impossibili;
•Determinata, o quanto meno determinabile, in quanto la prestazione deve essere individuata, o suscettibile di individuazione. Così se
le parti non hanno stabilito un compenso per il professionista, esso sarà determinabile sulla base delle tariffe esistenti o degli usi. Le parti
possono anche stabilire che sia un terzo a determinare la prestazione. In tal caso, il terzo che deve determinare la prestazione si
chiama arbitratore. Se l’arbitratore omette di fare la determinazione, ovvero, se la sua determinazione è manifestamente erronea
o iniqua, le parti potranno rivolgersi al Giudice. Le parti possono anche lasciare la determinazione della cosa al mero arbitrio di un
terzo. In tal caso però, le parti non potranno rivolgersi al Giudice, a meno che, non vi sia dolo del terzo.
Diverso dall’arbitratore è l’arbitro. Arbitro è quel soggetto o organo collegiale cui le parti si rivolgono per dirimere una
controversia. Il luogo del Giudice ordinario, e quindi per evitare le lungaggini di un processo ordinario. L’arbitro emette una decisione
che si chiama lodo arbitrale e che resa esecutiva dal Giudice, ha valore di sentenza tra le parti.
L’OBBLIGAZIONE CON PLURALITÀ DI SOGGETTI OBBLIGAZIONI DIVISIBILI E INDIVISIBILI
L’obbligazione si dice divisibile quando la prestazione è suscettibile di essere adempiuta per parti successive. L’obbligazione si dice
indivisibile quando la prestazione deve essere adempiuta per intero. La distinzione tra obbligazioni divisibili ed indivisibili ha rilievo
giuridico solo se vi siano più debitori e più creditori, non ha invece rilievo giuridico se vi è un solo debitore, poiché costui non
può adempiere per parti successive, anche se la prestazione è divisibile, salvo diverso accordo con il creditore. Invece la
distinzione acquista rilevanza giuridica se vi sono più debitori e più creditori. In tal caso, se l’obbligazione è divisibile, ciascun debitore
è tenuto a prestare nei limiti della sua quota e ciascun creditore ha il diritto di esigere la prestazione nei limiti della sua quota.
Se l’obbligazione è invece indivisibile ciascun debitore è tenuto a prestare l’intero e ciascun creditore ha diritto di esigere l’intero.
Ovviamente nei rapporti interni, il creditore che abbia ricevuto l’intero, dovrà corrispondere agli altri concreditori la loro parte. Così come
il debitore che ha pagato l’intero, ha il diritto di agire in via di regresso nei confronti degli altri condebitori per ripetere da ciascuno la propria
parte.
Giuridicamente il fenomeno dell’indivisibilità dell’obbligazione dà luogo:lato attivo alla comunione nel credito; dal lato passivo, alla
comunione nel debito.
Ma quando un’obbligazione è indivisibile??? Un’obbligazione è indivisibile quando è indivisibile la sua prestazione e ciò sarà, o per
natura, cosiddetta indivisibilità per natura, o per volontà delle parti, cosiddetta indivisibilità soggettiva. Importante è sottolineare
che l’indivisibilità opera a carico degli eredi del debitore per cui, se il “decuius” è debitore di un’obbligazione indivisibile, i suoi eredi sono
tutti tenuti per l’intero; ciò costituisce un’eccezione ed una deroga al generale principio “nomina et debita ipso iure dividuntur”, per il quale
i crediti e i debiti del “decuius” si dividono “ipso iure”, cioè automaticamente, in capo agli eredi al momento della morte del “decuius”,
proporzionalmente alla quota ereditabile di ciascuno. Se un condebitore rende impossibile per sua colpa la prestazione (ad esempio:
uccide o lascia morire il cavallo che doveva) ci si chiede cosa succeda per gli altri condebitori. Rinviamo la soluzione del quesito alle
obbligazioni solidali, poiché anche il legislatore, invia ad esse per la risoluzione del problema.
OBBLIGAZIONI PARZIARIE E SOLIDALI
Si dice parziaria l’obbligazione in cui ciascun debitore è tenuto a prestare nei limiti della sua parte e ciascun creditore ha diritto di esigere
la sua parte. Giuridicamente nell’obbligazione parziaria si hanno tanti piccoli rapporti obbligatori. L’obbligazione solidale invece,
si ha quando ciascun debitore è tenuto ad adempiere l’intero mentre, ciascun creditore, ha diritto di esigere l’intero. Come si evince dalla
definizione, la disciplina dell’adempimento delle obbligazioni parziarie e solidali è simile a quella delle obbligazioni divisibili e
indivisibili; tuttavia, tra l’una e l’altra, vi sono differenze:
•Una prima differenza ha riguardo ad una fonte. Un’obbligazione indivisibile è tale per natura o per volontà delle parti invece,
l’obbligazione solidale è tale, dal lato passivo, per legge, perché è la legge che dice che, se vi sono più debitori di uno stesso debito, essi
si considerano debitori solidali, salvo diverso accordo delle parti; mentre dal lato attivo, la solidarietà deriva dalla volontà delle parti.
•Una seconda differenza attiene alla struttura, poiché, mentre l’obbligazione indivisibile, dà luogo al fenomeno della comunione nel
debito e nel credito, nelle obbligazioni parziarie e solidali, vi sono tanti piccoli rapporti obbligatori tenuti insieme come in un fascio.
•In terzo luogo mentre, l’indivisibilità opera a carico degli eredi del “decuius”, la solidarietà non passa ai coeredi e perci ò, se il
“decuius” era debitore di un’obbligazione solidale, ciascuno degli eredi sarà tenuto ad adempiere nei limiti della sua quota
ereditaria, in applicazione del principio generale “nomina et debita ipso iure dividuntur”. Ovviamente anche nell’obbligazione solidale il
debitore che ha pagato l’intero ha diritto di agire in via di regresso nei confronti degli altri debitori e ripetere da ciascuno la propria parte,
così come il creditore, che ha ricevuto l’intero, deve poi corrispondere agli altri creditori la propria parte.
Cosa accade se un debitore di un’obbligazione indivisibile o solidale rende impossibile per sua colpa l’obbligazione?In tal caso
gli altri debitori non sono liberati dall’obbligo di corrispondere per l’intero il risarcimento del danno, tuttavia esso è per loro limitato dalla
cosiddetta “estimatio rei”, cioè al valore effettivo della prestazione. Invece l’ulteriore risarcimento del danno è posto solo a carico del
debitore che, per sua colpa, ha reso impossibile la prestazione.
LE OBBLIGAZIONI DI SPECIES E OBBLIGAZIONI DI GENUS
In relazione alle obbligazioni che hanno ad oggetto una prestazione di dare, si distingue l’obbligazione di “genus” da quella di “species”.
L’obbligazione di species è quella la cui prestazione è specificamente determinata (ad esempio: mi obbligo a darti quel quadro).
L’obbligazione di genus è invece quella che porta in sé dedotta una prestazione, in quanto appartenente ad un “ genus ” (ad
esempio: mi obbligo a darti 10 kg d’uva). Questa distinzione ha la sua importanza per due motivi:
•Il principio “consensus proprietate” può applicarsi solo alla vendita di “species” mentre, nella vendita di “genus”, può applicarsi solo
quando le parti abbiano specificato, cioè determinato la prestazione.
•Inoltre se per caso fortuito o forza maggiore (ad esempio: un terremoto o un naufragio) diventa impossibile la prestazione, l’obbligazione
di species si estingue, proprio perché “nemo tenetur ad impossibilia”, invece l’obbligazione di genus non si estingue, in applicazione del
principio “genus numquam perit”. A meno che non si tratti di un “genus” limitato e perisca tutto quel “genus” limitato (ad esempio: i cavalli
della mia scuderia). La specificazione è l’individuazione della “ res ” dovuta su accordo delle parti o nel modo dalle parti stabilito.
Intervenuta la specificazione, l’obbligazione si trasforma da generica in specifica. A proposito della specificazione, il legislatore afferma
che il debitore è tenuto a prestare cose di qualità non inferiore alla media.
LE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
Un problema particolare sorge per le obbligazioni che hanno ad oggetto una somma di denaro e che sono dette obbligazioni
pecuniarie . Se l’obbligazione è a termine, cioè se la sua scadenza è successiva al momento di costituzione dell’obbligazione, e nel
frattempo si verifica una svalutazione monetaria, ci si chiede se il debitore sia tenuto ad adempiere sempre la stessa somma di denaro
originariamente pattuita o quella rivalutata. Al quesito si risponde che il debitore è tenuto ad adempiere sempre la stessa somma nella
misura originariamente stabilita, così, se un soggetto si era obbligato a gennaio a dare mille euro con scadenza a dicembre, a dicembre
dovrà sempre prestare mille euro anche se è intervenuta nel frattempo una svalutazione monetaria. Ciò perché nel nostro diritto vige
il principio nominalistico, per il quale il debitore, alla scadenza del termine, dovrà prestare sempre lo stesso valore nominale
della moneta. Proprio per questo generalmente il creditore si cautela o prevedendo interessi sulla somma, o ancorando la somma stessa
agli indici dell’aumento del costo della vita individuati dall’ISTAT o al valore dell’oro sul mercato, cosiddetta clausola oro. Nonostante il
principio nominalistico, la giurisprudenza ha distinto le figure del debito di valuta e del debito di valore.Il debito di valuta è quello
che ha ad oggetto una somma sin dall’origine determinata.Nel debito di valore , pur avendo questo ad oggetto una somma di denaro,
tale somma deve essere determinata in relazione ad un valore (ad esempio: se Tizio distrugge in un incidente stradale la macchina di
Caio, egli dovrà corrispondergli il risarcimento del danno ma, la somma dovuta a titolo di risarcimento che costituisce l’equivalente della
macchina incidentata, non sarà determinato al momento dell’incidente ma, al momento in cui la somma va liquidata, cioè determinata, o
su accordo delle parti o dal Giudice). Altro problema delicato relativo alle obbligazioni pecuniarie, si ha quando il debitore è in
mora, cioè in ritardo nell’adempimento della prestazione. In tal caso, egli non dovrà prestare la somma di denaro nella misura
originariamente stabilita ma, se si è verificata svalutazione monetaria, dovrà prestare la somma rivalutata. Da notare che questa non è
un’eccezione al principio nominalistico ma, è invece effetto e conseguenza della cosiddetta “perpetuatio obbligationis” che,
come vedremo, è un effetto della mora. In forza del quale tutto ciò che si verifica dopo la mora, si considera effetto della mora stessa,
in applicazione del principio “post moram ergo propter moram”.(dopo la mora e quindi a causa della mora).
GLI INTERESSI
Un particolare tipo di obbligazione è quella degli interessi, sono detti anche frutti civili.Essa costituisce un’obbligazione accessoria
all’obbligazione principale che ha ad oggetto la somma di denaro che costituisce il capitale.
Gli interessi possono essere:
•Convenzionali , se previsti dalla volontà delle parti. In tal caso, le parti possono anche prevedere interessi in una misura superiore a
quella legale ma, devono farlo risultare da atto scritto, altrimenti gli interessi sono dovuti nella misura legale;
•Corrispettivi, se i crediti pecuniari sono liquidi, cioè determinati nel loro ammontare, ed esigibili, cioè possono essere immediatamente
esatti perché non sottoposti a condizione o a termine. Saranno dovuti automaticamente interessi nella misura legale;
•Moratori,se il debitore è in mora, cioè è in ritardo nell’adempimento della prestazione. Sono dovuti automaticamente interessi nella
misura legale senza che si sia verificato alcun danno nel patrimonio del creditore. Naturalmente, se le parti avevano stabilito interessi in
una misura superiore, essi saranno dovuti nella maggior misura stabilita convenzionalmente. In via di principio nel nostro diritto è vietato
l’anatocismo, cioè la capitalizzazione degli interessi, poiché questi producono a loro volta altri interessi(per evitare il fenomeno dell'usura).
LA DIFFERENZA TRA OBBLIGAZIONI SEMPLICI, CUMULATIVE, ALTERNATIVE E FACOLTATIVE
L’obbligazione si dice semplice quando reca in sé dedotta una sola prestazione.
L’obbligazione si dice cumulativa quando reca in sé dedotte più prestazioni, tutte dovute.
L’obbligazione si dice alternativa quando essa reca in sé dedotte più prestazioni, delle quali una sola sia dovuta alternativamente
(ad esempio: mi devi 5000 euro o il cavallo). Nell’obbligazione alternativa, in generale, la facoltà di scelta compete al debitore, salvo
diverso accordo tra le parti. Nel momento della scelta, il debitore concentra l’obbligazione su una sola “res”.L’obbligazione alternativa
si distingue dall’obbligazione facoltativa , detta anche “cum facultate soluzionis”;in essa è dedotta una sola prestazione ma, è
in facoltà del debitore, di adempiere un’altra prestazione che è al di fuori del rapporto obbligatorio. Bene dicevano i Romani per i
quali, nell’obbligazione alternativa “plures res sunt in obbligatione, una res est in solutione”, mentre in quella facoltativa “una res est in
obbligatione, plures altrae in facultatae solutionis”. La distinzione acquista rilievo giuridico nell’ipotesi di sopravvenuta impossibilità
della prestazione per caso fortuito o forza maggiore. Se perisce la prestazione nell’obbligazione alternativa, quest’ultima non si
estingue, perché l’obbligazione si concentra sulla “ res ” residua invece, se per caso fortuito o forza maggiore viene meno la prestazione
oggetto dell’obbligazione facoltativa, l’obbligazione stessa si estingue e non è più dovuta la “ res ” facoltativa ma, se perisce la cosa
facoltativa, l’obbligazione resta in piedi, perché quella prestazione era all’esterno, estranea al rapporto obbligatorio. Un’ipotesi di
obbligazione facoltativa è questa: il testatore può istituire erede un soggetto con l’obbligo di acquistare per conto di un legatario un bene
di proprietà di un terzo; in tal caso, l’erede ha l’obbligo di acquistare la cosa di un terzo ma, è in sua facoltà, pagare al legatario il giusto
prezzo e, se per caso fortuito o forza maggiore perisce la cosa di proprietà di un terzo, l’erede non è più tenuto a corrispondere il giusto
prezzo.
GARANZIE VOLONTARIE DEL CREDITO
Le garanzie volontarie del credito sono quelle stabilite dalla volontà delle parti per rafforzare un debito altrui. La prima garanzia volontaria
è la fideiussione.La fideiussione è una garanzia volontaria del credito ed è anche una garanzia personale. Si ha fideiussione
quando un terzo estraneo al rapporto obbligatorio assume su di sé un debito altrui obbligandosi nei confronti del creditore. Il rapporto
fideiussorio nasce da un contratto posto in essere tra fideiussore e creditore, ne rimane quindi estraneo il debitore, anche se il
contratto di fideiussione viene preceduto da un’intesa tra debitore e fideiussore. Il rapporto nasce dal contratto tra fideiussore e
creditore, ed anzi la fideiussione può essere persino prestata all’insaputa del debitore. Una volta stipulata la fideiussione il debitore
principale ed il fideiussore rispondono in solido, e quindi ciascuno è tenuto per l’intero nei confronti del creditore. Ciò significa
che il creditore potrà rivolgersi indifferentemente nei confronti del debitore o nei confronti del fideiussore per soddisfare le sue pretese sui
beni dell’uno o dell’altro in caso di inadempimento del debitore. Può essere però convenuto nel contratto di fideiussione il patto di
preventiva escussione, cosiddetto “beneficio escussionis”. Se è convenuto tale patto, il creditore conserva il diritto di rivolgersi
indifferentemente al debitore o al fideiussore ma, se si rivolge a quest’ultimo, egli potrà eccepire l’esistenza del patto ed indicare i beni
del debitore sui quali potrà soddisfarsi. Ciò significa che il patto opera subordinatamente non solo alla sua eccezione, ma anche
all’indicazione dei beni del debitore da parte del fideiussore. Ne consegue che, se il fideiussore non conosce i beni del debitore su cui il
creditore potrà soddisfarsi, o pur conoscendoli non li indica, il creditore potrà soddisfarsi per l’intero sui beni del fideiussore. Se vi sono
più fideiussori di uno stesso debito, può essere convenuto il “beneficium divisionis”,in forza del quale ciascun fideiussore sarà
tenuto alla sua parte. La fideiussione, poiché presuppone l’esistenza di un debito cui accede come garanzia, ha carattere accessorio
rispetto al debito cui accede. Ne consegue che, se il debito originario è nullo o è annullato, sarà nulla o annullabile anche la
fideiussione, a meno che non sia stata prestata a garanzia di un debito assunto da un incapace; perciò, solo in quest’ultima ipotesi, la
fideiussione rimane in vita se è nulla o è annullata l’obbligazione principale, e rimane in vita proprio perché la legge la considera prestata
a favore di un debito in quanto assunto da un incapace. Se il fideiussore in caso di inadempimento del debitore ha pagato l’intero,
subentra in tutti i diritti e le azioni che spettano al creditore. Il fideiussore inoltre ha diritto di regresso nei confronti del debitore, e
quindi ha diritto di ripetere quanto ha pagato per lui, anche se la fideiussione fu prestata all’insaputa del debitore.
LA PROMESSA DEL FATTO DI UN TERZO
Si ha promessa del fatto di un terzo quando un soggetto, che si chiama promittente, promette appunto il fatto di un terzo, cioè
promette che un terzo adempirà o che si assumerà un’obbligazione (ad esempio: il “falsus procurator” che agisce senza la procura
in nome e per conto del “dominus” e che promette che il “dominus” ratificherà il suo operato).
Se il terzo non compie il fatto promesso, il promittente sarà responsabile del danno subito dal destinatario della promessa, perciò la
promessa del fatto di un terzo non è solo una garanzia volontaria, ma è anche una garanzia personale, poiché il promittente risponderà
personalmente del risarcimento del danno subito dal destinatario della promessa. Tuttavia, mentre la fideiussione presuppone l’esistenza
di un debito cui accede come garanzia, la promessa del fatto di un terzo non ne presuppone alcuno anzi, un’obbligazione sorgerà a carico
del promittente solo se il terzo non compie il fatto promesso.
LA CLAUSOLA PENALE
È una garanzia volontaria del credito in forza della quale il debitore si obbliga nei confronti del creditore a pagare una determin ata
somma di denaro in caso di ritardo nell’adempimento, cosiddetta penale moratoria , o di inadempimento definitivo, cosiddetta
penale compensativa . Pertanto nell’obbligazione assistita da clausola penale vi sono in realtà due obbligazioni:
•L’obbligazione principale (ad esempio: obbligo dell’artista di dipingere un quadro);
•L’obbligazione accessoria, che ha per contenuto la somma dovuta come penale.
È chiaro che l’obbligazione accessoria, che ha per contenuto la penale, è sotto condizione sospensiva del ritardo
nell’adempimento o dell’inadempimento definitivo. Secondo i principi generali in tema di obbligazioni, il creditore, in caso di ritardo
nell’adempimento o di inadempimento definitivo, ha diritto al risarcimento del danno, però egli deve fornire la prova del danno subito.
Invece nell’obbligazione assistita da clausola penale, il creditore avrà diritto ad ottenere la penale indipendentemente dalla
prova del danno, e quindi in ipotesi, anche se nessun danno si è verificato nel suo patrimonio. In ciò sta appunto la funzione di garanzia
della clausola penale, nell’assicurare a priori e comunque la possibilità del creditore di ottenere il risarcimento del danno,
indipendentemente dalla prova di esso. Come si è detto, la penale può essere:
•Penale moratoria è quella stabilita per il ritardo nell’adempimento, perciò in caso di ritardo, il debitore è tenuto a prestare sia la penale,
che la prestazione;
•Penale compensativa , che è quella stabilita in caso di inadempimento definitivo. Comporta che, in caso di inadempimento, il debitore
sia tenuto solo alla penale, in quanto essa è sostitutiva della prestazione mancata.
Nel caso in cui la penale non sia sufficiente a risarcire il danno subito dal creditore, spetta al creditore stesso la facoltà di agire per la
risarcibilità del danno ulteriore, sempre che sia stata espressamente convenuta dalle parti la risarcibilità del danno ulteriore. Se, al
contrario, vi sia stato un adempimento parziale, o la penale sia manifestamente eccessiva, il debitore può ottenere una riduzione
della penale. Recentemente l’istituto della clausola penale è stato oggetto e lo è tutt’ora di un vivace dibattito in giurisprudenza ed in
dottrina relativo alla possibilità del Giudice di ridurre di ufficio la penale manifestamente eccessiva.
L’orientamento della suprema corte(corte di cassazione) a sezioni unite ha stabilito che il Giudice può di ufficio ridurre la penale in un’ottica
di salvaguardia delle ragioni del contraente più debole, contro gli abusi del contrante più forte. Tale principio è solo apparentemente in
contrasto con la libertà contrattuale delle parti ed autorizza attualmente la dottrina più recente a parlare di un più generale potere correttivo
del Giudice. Si dice che il contratto è legge tra le parti, ne consegue che il contratto è stato sempre avvolto da un certo carattere di
sacralità; è come una cosa dove il Giudice non può intervenire perché riservato alla volontà delle parti. Tuttavia si stanno riservando
una serie di leggi che tutelano il contraente più debole contro gli abusi del contraente più forte.
LA CAPARRA
La caparra è garanzia volontaria del credito ma, mentre la clausola penale consiste nella promessa di dare una somma di denaro in caso
di ritardo nell’adempimento o di inadempimento definitivo, la caparra consiste nell’immediata dazione di una somma di denaro o di
altre cose fungibili. Normalmente il contratto di compravendita è preceduto da un contratto che si chiama contratto preliminare , con il
quale il venditore ed il compratore si obbligano rispettivamente a vendere e ad acquistare l’immobile al prezzo convenuto. Trattasi com’è
chiaro di un contratto ad effetti obbligatori mentre, il contratto di compravendita è un contratto ad effetti reali. Nella stipulazione del
contratto preliminare normalmente le parti si cautelano con una caparra.
La caparra può essere:
•Confermatoria , detta “arra confirmatoria”, una volta eseguito il contratto, deve essere restituita, ovvero imputata a titolo di acconto sul
prezzo. Ove la parte che ha dato la caparra si rendesse inadempiente agli obblighi assunti, l’altra parte può scegliere se
rescindere dal contratto, trattenendo definitivamente la caparra ricevuta o preferire l’esecuzione del contratto trattenendo
sempre la caparra ricevuta come anticipo e garanzia del suo credito. Se invece a rendersi inadempiente è la parte che ha ricevuto
la caparra, la controparte potrà scegliere se recedere dal contratto, e in caso di recesso pretendere il doppio di quanto versato, o preferire
l’esecuzione del contratto;
•Penitenziale , detta anche “arra penitentialis”, che è invece quella che, presupponendo il diritto di entrambe le parti di recedere dal
contratto, attribuisce a chi ha ricevuto la caparra il diritto a ritenere la somma ricevuta e, a chi ha dato la caparra il di ritto di
pretendere il doppio di quella data.Tanto premesso, solo la caparra confermatoria è vera garanzia, poiché attribuisce alla parte che è
fedele al contratto di agire per la conferma, cioè per l’esecuzione del contratto stesso, sempre che la parte non preferisca ritenere la
caparra avuta o pretendere il doppio di quella data. Invece, poiché la caparra penitenziale presuppone il diritto di ciascuna parte di
recedere dal contratto, e quindi garantisce alla parte fedele solo il diritto di ritenere la caparra ricevuta o pretendere il doppio di quella
data, non può essere considerata una vera e propria garanzia del credito.
MODIFICAZIONI SOGGETTIVE ATTIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Sono quelle che riguardano la persona del creditore, nel senso che un creditore si sostituisce ad un altro, fermo restando, l’originario
rapporto obbligatorio.
CESSIONE DEL CREDITO
La cessione del credito è un negozio giuridico traslativo della titolarità di un credito.Tale negozio è posto in essere tra il cedente, che
è il creditore, e il cessionario, che è il nuovo creditore; trattasi quindi di un negozio bilaterale posto in essere tra vecchio e nuovo
creditore. Tuttavia, per essere produttiva di effetti, la cessione deve essere notificata al debitore, che si chiama ceduto, o quanto meno,
da lui accettata. Ne consegue che se il cedente o il cessionario, hanno notificato l’avvenuta cessione al ceduto, ovvero se il ceduto ha
accettato la cessione stessa, e tuttavia il ceduto paga al cedente, ha pagato male, poiché egli era a conoscenza dell’avvenuta
cessione e, ciò nonostante, ha pagato al vecchio creditore, e quindi dovrà ripetere la prestazione nei confronti del cessionario.
Invece, se la cessione non è stata notificata al ceduto o da lui accettata, ed il ceduto paga al cedente, ha pagato bene, poiché ignorava
l’avvenuta cessione, a meno che il cessionario non riesca a provare che il ceduto era per qualunque altra via a conoscenza dell’avvenuta
cessione. Da notare che il ceduto a cui non è stata notificata la cessione, si presume in buona fede, spetterà perciò al cessionario provare
che egli invece era a conoscenza dell’avvenuta cessione. Se un creditore cede il credito a più soggetti, diventerà effettivo cessionario
colui che per primo ha notificato la cessione al ceduto. Si ha in tale ipotesi una soluzione analoga a quella del conflitto tra più acquirenti
di beni immobili; così come è vero che effettivo acquirente è colui che per primo ha trascritto il negozio di vendita, così diventa effettivo
cessionario chi per primo ha notificato la cessione al ceduto. Per quanto riguarda gli effetti della cessione, di regola, il cedente
garantisce al cessionario solo la “ veritas nominis”, cioè l’effettiva esistenza del credito non anche la “ bonitas nominis ” , cioè
l’effettiva solvibilità del ceduto. Ne consegue che in caso di inadempimento del ceduto, il cessionario non potrà rivolgersi al cedente,
per soddisfare le sue pretese.Per quanto riguarda la causa, la cessione è un negozio a causa variabile, perché può essere:
•“Cessio causa credendi ”, che è la cessione fatta dietro corrispettivo (ad esempio: Tizio cede un credito di una serie di automobili dietro
corrispettivo di denaro);
•“Cessio causa donandi ”, che è la cessione del credito fatta a titolo gratuito per puro spirito di liberalità; poiché la donazione deve
essere fatta per atto pubblico e con la presenza di due testimoni a pena di nullità, anche la “ cessio causa donandi ” deve essere fatta per
atto pubblico, a meno che non si tratti di donazioni di modico valore;
•“Cessio causa solvendi ”, che è la cessione fatta in soluzione di un precedente rapporto obbligatorio.In tal caso, il cedente è debitore
del cessionario, ed invece di adempiere la prestazione, gli cede un suo credito.
La cessio causa solvendi può essere di due tipi:
•“Pro soluto ”, che estingue il precedente rapporto obbligatorio nel momento stesso della cessione; perciò il cedente nel momento della
cessione è automaticamente liberato dall’obbligazione precedente. Quindi, nella “cessio pro soluto”, come abbiamo visto in generale, il
cedente garantisce al cessionario solo la “veritas nominis” e non anche la “bonitas nominis”.
•“Pro solvendo ”, che estingue il precedente rapporto obbligatorio solo nel momento del pagamento da parte del ceduto. Ne consegue
che il cedente sarà liberato solo quando il ceduto avrà effettivamente adempiuto la sua prestazione nei confronti del cessionario.Quindi,
nella “cessio pro solvendo” il cedente garantisce non solo la “veritas nominis”, ma anche la “bonitas nominis”.Tutti i crediti possono
essere ceduti tranne qualcuno. Un esempio di credito che non può essere ceduto è il credito per gli alimenti. Gli alimenti sono dovuti
dai familiari/parenti nei confronti di altri familiari/parenti che versano in stato di bisogno. In considerazione del fatto che tali crediti sono
necessari per la sopravvivenza di chi versa in stato di bisogno, deriva l’incedibilità di questo credito.
LA SURROGAZIONE
Essa è la sostituzione del creditore con un terzo che, avendo pagato il credito, si surroga ,cioè, si sostituisce al creditore. La surrogazione
può avvenire:
•“Ex voluntate creditoris ”, cioè per volontà del creditore, quando il terzo che si surroga si accorda con il creditore per sostituirsi a lui.
•“ Ex voluntate debitoris ”, cioè per volontà del debitore, quando il terzo si accorda con il debitore e gli fornisce una somma di denaro a
mutuo per pagare il suo debito. A questo punto il creditore è ormai soddisfatto ed il terzo che ha fornito la somma a mutuo si surroga
all’originario creditore.
•“Ex lege”, cioè quella che avviene nei casi previsti dalla legge.
SUCCESSIONE MORTIS CAUSA
Poiché l’erede subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi del “ decuius ”(defunto), egli subentrerà in tutti i crediti del “ decuius” .
Invece, poiché il legatario subentra in singoli e determinati rapporti, egli succede solo in quei crediti espressamente disposti dal testatore,
in forza del principio “nomina et debita ipso iure dividuntur”. Se al “ decuius ” succedono più eredi, i crediti del defunto si dividono
automaticamente al momento stesso dell’apertura della successione, quindi prima ed indipendentemente dalla divisione. Per cui ciascun
coerede è creditore nei limiti della sua quota ereditaria, a meno che non si tratti di obbligazioni indivisibili.
IL CONTRATTO DI FACTORING
Una figura particolare di cessione del credito è il contratto di factoring, non disciplinato dal Codice Civile, ma ormai facente parte della
prassi, sulla base dell’esperienza degli Stati Uniti. Esso è un accordo tra un’impresa specializzata, detta factor, ed un’altra impresa in
forza della quale il factor si obbliga a curare l’amministrazione del patrimonio ed in particolare, a recuperare i suoi crediti, ponendo in
essere tutti quegli atti necessari al recupero dei crediti (come costituzioni in mora ed esperimento di azioni giudiziarie).Questa funzione
del factor è detta funzione di gestione. Talvolta, il factor concede all’impresa cliente anche un anticipo sulla somma che sarà recuperata,
sicché il factoring assume, in tal caso, anche funzione di finanziamento. A titolo di corrispettivo il factor riceve una parte dei crediti
che gli vengono ceduti. Tale parte, detta commissione, sarà ovviamente maggiore se il factor ha anche fatto anticipazioni di denaro.
MODIFICAZIONI SOGGETTIVE PASSIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Mentre al debitore non interessa il mutamento della persona fisica del creditore, è evidente che al contrario al creditore, interessa il
mutamento della persona fisica del debitore, poiché un debitore può essere solvibile ed un altro no. Perciò, perché sia liberato il vecchio
debitore, e subentri un nuovo debitore che lo sostituisca, è necessario il consenso del creditore.
LA DELEGAZIONE
Si ha delegazione quando il debitore, detto delegante , delega un altro soggetto, detto delegato , affinché si assuma il di lui debito nei
confronti del creditore, detto delegatario . Il più delle volte il delegato si assume l’altrui obbligazione, poiché egli è debitore del debitore
delegante. Per aversi delegazione occorre il consenso di tre soggetti:
•Delegante;
•Delegato;
•Delegatario.
Si tratta perciò di un negozio trilaterale. Questa figura è la cosiddetta delegazione promittenti in cui il delegato promette al creditore
di adempiere l’altrui debito. Accanto ad essa vi può essere la delegazione solvendi in cui il delegato si obbliga solo nei confronti del
debitore delegante. In tal caso, si ha un rapporto bilaterale ed è un rapporto interno che non riguarda il creditore. Tuttavia, la figura tipica
di delegazione, è quella promittenti.
La delegazione può essere:
•Cumulativa , nella quale il debitore delegato diventa il debitore principale mentre, il delegante resta debitore sussidiario, cioè il creditore
potrà a lui rivolgersi solo se abbia inutilmente escusso il debitore delegato;
•Privativa , che è quella in cui il debitore originario è estromesso dal rapporto obbligatorio e resta unico debitore il delegato, fermo
restando l’originario rapporto obbligatorio;
•Novativa , nella quale non solo viene estromesso il debitore originario ma, si costituisce anche un nuovo rapporto tra delegato e creditore
delegatario.
Per quanto riguarda il regime delle eccezioni opponibili dal delegato al delegatario, il delegato può opporre al delegatario solo le eccezioni
relative al rapporto con lui. Viceversa, il delegato non può opporre al delegatario le eccezioni che avrebbe potuto opporre nei
confronti del delegante. Tale regola deriva dal fatto che solitamente il delegato è normalmente un debitore del delegante, e quindi non
può opporre al delegatario le eccezioni che avrebbe potuto opporre al delegante. Se invece le parti ritengono possibile sollevare queste
eccezioni, vuol dire che esse si sono riferite ai rapporti sottostanti. In tal caso, la delegazione si dice titolata per distinguerla da quella
tipica in cui tale eccepibilità non è ammessa, che si chiama delegazione pura o astratta.
L’ESPROMISSIONE
Mentre nella delegazione è il debitore che delega un terzo, affinché si assuma la sua obbligazione, nell’espromissione è un terzo detto
espromittente , che spontaneamente si rivolge al creditore e si obbliga nei suoi confronti assumendosi un debito altrui (ad
esempio: il genitore che si obbliga per un figlio). Mentre la delegazione è un negozio trilaterale, l’espromissione è chiaramente un negozio
bilaterale che ha luogo tra espromittente e creditore.
L’espromissione può essere :
•Cumulativa, nella quale l’espromittente e il debitore originario rispondono solidarmente per cui il creditore potrà rivolgersi
indifferentemente o contro l’espromittente o contro l’originario debitore;
•Privativa,nella quale è estromesso il debitore originario e resta unico debitore l’espromittente, fermo restando l’originario rapporto
obbligatorio;
•Novativa,nella quale non solo viene estromesso il debitore originario ma, si costituisce un nuovo rapporto tra l’espromittente ed il
creditore.
L’ACCOLLO
Mentre nell’espromissione il terzo espromittente si rivolge al creditore e si assume nei suoi confronti l’altrui obbligazione, nell’accollo il
terzo, detto accollante , si rivolge nei confronti del debitore, detto accollato ,assumendosi il di lui debito(ne gozio bilaterale tra
nuovo e vecchio debitore). Quest’accollo si chiama semplice o interno e produce effetti solo tra accollante e accollato. Per produrre
effetti nei confronti del creditore, che si chiama accollatario, è necessaria una manifestazione di volontà “ad hoc” dell’accollatario data con
un suo negozio unilaterale di adesione.
L’accollo può essere:
•Cumulativo,quando interviene l’adesione, ed in tal caso, il soggetto accollante e l’accollato rispondono solidalmente, e quindi il creditore
accollatario potrà rivolgersi indifferentemente nei confronti dell’uno o dell’altro (un esempio è dato dalla vendita di un immobile da parte
del venditore costruttore. Solitamente il venditore costruttore per realizzare la costruzione chiede una somma di denaro a mutuo ad una
banca, e quindi sorge sulla costruzione un diritto di ipoteca.Quando il bene immobile viene venduto, l’acquirente vorrà cancellare l’ipoteca
esistente, e allora potrà accollarsi il debito del venditore costruttore e pagare in tutto o in parte il prezzo dovuto da questo con un atto di
adesione della banca che è il creditore accollatario);
•Privativo, ed anche in tal caso, viene estromesso il debitore originario e resta unico debitore il soggetto accollante, fermo restando
l’originario rapporto obbligatorio;
•Novativo , quando non solo è estromesso il debitore originario ma, si costituisce un nuovo rapporto obbligatorio tra accollante e creditore
accollatario.
Ciò premesso,abbiamo distinto una delegazione, un’espromissione e un accollo privativi da una delegazione espromissione ed accollo
novativi. La distinzione è teoricamente esatta tuttavia, essa non è giuridicamente possibile alla luce e sulla base del dato positivo,
perché la legge afferma che ogni qual volta il vecchio debitore sia liberato ed al suo posto subentri un nuovo debitore, cadono,
salvo diverso accordo delle parti, le garanzie dell’obbligazione (come ad esempio: il pegno e l’ipoteca). Ciò significa che la legge
non ha considerato l’ingresso del nuovo debitore come mera vicenda successoria nel debito a titolo particolare per atto “inter vivos” ma,
come vicenda novativa, e cioè come costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio, mercé l’estinzione di un precedente rapporto
obbligatorio. Tanto ciò è vero che quando la legge disciplina la novazione che, come vedremo, è l’estinguersi di un rapporto obbligatorio,
mercé la costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio, la legge stessa dice che ad essa si applicano le norme in materia di delegazione,
espromissione ed accollo. Ciò vuol dire che la legge ha considerato come disciplina unitaria sia la novazione che la delegazione,
l’espromissione e l’accollo ogni qual volta venga liberato il vecchio debitore.
SUCCESSIONE MORTIS CAUSA
Come sappiamo quando muore un soggetto ad esso succedono gli eredi ed eventuali legatari.Poiché l’erede subentra in tutti i rapporti
giuridici attivi e passivi del defunto, egli subentra in tutti i debiti del defunto mentre, poiché il legatario, subentra in singoli e determinati
rapporti, giammai risponde dei debiti del “decuius”, a meno che essi non siano stati stabiliti a suo carico dal testatore come modus o onere
per lui.Se vi sono più eredi, i debiti del “decuius”, in applicazione del principio “nomina et debita ipso iure dividuntur”, si dividono
automaticamente al momento stesso dell’apertura della successione, sicché gli eredi subentrano nei debiti del defunto pro
quota(ognuno in proporzione alla sua quota). Tutto ciò a meno che non si tratti di obbligazioni indivisibili.
LE MODIFICAZIONI OGGETTIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Sono quelle che riguardano l’oggetto dell’obbligazione, cioè la prestazione. Tali modificazioni possono essere:
•Qualitative , se muta l’oggetto della prestazione (ad esempio: Tizio doveva a Caio un cavallo e l’ha fatto morire; a questo punto, dovrà
al suo creditore una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno);
•Quantitative ,quando la prestazione diminuisce (ad esempio: per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione) ovvero si
accresce (ad esempio: debito fruttifero).
In tema di modificazioni oggettive qualitative dell’obbligazione va considerato l’istituto del “commodum rappresentationis”, o vantaggio
di surrogazione . Tale istituto consiste in ciò: se il debitore è tenuto ad una prestazione che è divenuta impossibile per fatto di un
terzo, normalmente il terzo, sarebbe tenuto al risarcimento nei confronti del debitore, che poi dovrebbe corrispondere la somma
al creditore; invece, per questo istituto, il risarcimento è dovuto direttamente dal terzo, che ha reso impossibile la presta zione,
al creditore (ad esempio: se Tizio doveva a Caio il cavallo e Sempronio l’ha ucciso, sarà Sempronio che direttamente dovrà dare a Caio
il risarcimento del danno, proprio per vantaggio di surrogazione).
I MODI DI ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE
I modi di estinzione dell’obbligazione sono quei fatti che estinguono il rapporto obbligatorio.
Essi si distinguono in:
•Modi di estinzione “satisfattori ”, se comportano il soddisfacimento delle pretese del creditore e sono: l’adempimento, la datio in
solutum, la compensazione e la confusione;
•Modi di estinzione “non satisfattori”, che quindi non comportano il soddisfacimento delle pretese del creditore e che sono: la
remissione del debito, la novazione e la sopravvenuta impossibilità della prestazione per fatto non imputabile al debitore.
L’ADEMPIMENTO
Per adempimento si intende il fatto con cui il debitore effettua la prestazione. L'adempimento può essere effettuato dal debitore o un suo
rappresentante e deve essere effettuato nei confronti del creditore o di un di lui rappresentante, o di persona da lui delegata, si parla di
delegazione attiva; infine, nei confronti di un soggetto incaricato alla riscossione, detto “adiectus solutionis causa”. Sul debitore grava
un dovere di esatto adempimento, nel senso che egli deve adempiere la prestazione nella sua specifica ed esatta qualità e
quantità e nell’esatto tempo e luogo dell’adempimento. Esaminando il requisito dell’esattezza della qualità, se si tratta di
obbligazioni di “species”, il debitore dovrà adempiere quella prestazione specificamente determinata, se l’obbligazione è di “genus”,
il debitore dovrà prestare la cosa appartenente a quel “genus” individuata d’accordo con il creditore, di qualità non inferiore alla media.
Per l’esattezza della quantità della prestazione, il debitore sappiamo che non può adempiere per parti successive, egli quindi deve
adempiere alla prestazione per l’intero in una sola volta. Per quanto attiene l’esattezza del luogo di adempimento, esso è di solito, stabilito
nel titolo. Se il titolo nulla dice, il luogo di adempimento è quello che deriva dagli usi; se neanche dagli usi può evincersi quale
sia il luogo di adempimento, si applicano le seguenti regole:
•Se si tratta di obbligazione che ha ad oggetto la prestazione di dare cosa certa e determinata, il luogo di adempimento sarà quello
dove la cosa si trovava al tempo in cui è sorta l’obbligazione.
•Se si tratta di obbligazioni pecuniarie, e quindi che hanno ad oggetto la prestazione di una somma di denaro, devono essere adempiute
al domicilio del creditore, cosiddetti debiti portable.
•Ogni altro tipo di obbligazione va invece adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo di scadenza, cosiddetti debiti querables,
da richiedere.
Venendo all’esattezza del tempo dell’adempimento, esso è di solito stabilito nel titolo e prende il nome di termine di scadenza. Il termine
di adempimento è di solito stabilito nell’interesse del debitore e tale la legge lo presume. Conseguentemente il creditore no n
potrà pretendere l’adempimento prima della scadenza del termine. Eccezionalmente le parti possono prevedere un termine
nell’interesse del creditore; in tal caso, il creditore potrà ovviamente chiedere l’adempimento prima della scadenza del termine. Se il
termine è stabilito nell’interesse sia del debitore sia del creditore, né il debitore può adempiere prima della scadenza, né il
creditore può pretendere l’adempimento prima della scadenza. Se le parti non hanno stabilito alcun termine, si applica il principio
“quod sine die debetur statim debetur”, cioè ciò che è dovuto senza un termine è dovuto immediatamente(previa costituzione in
mora del debitore), per cui il creditore potrà in qualunque tempo chiedere l’adempimento.Abbiamo detto che normalmente il termine
si presume a favore del debitore, vi sono però delle ipotesi in cui il debitore decade dal beneficio del termine.
Esse sono:
•Insolvenza del debitore, per essa si intende uno squilibrio che si verifica all'interno del patrimonio del debitore,tanto che il passivo
supera di gran lunga l'attivo. In questo modo il creditore ha fondato motivo di ritenere che non troverà più beni nel patrimonio del debitore
su cui soddisfarsi. Tra l’altro se il debitore è un imprenditore, l’insolvenza può portare al fallimento e la situazione è ancora più delicata;
•Distruzione o diminuzione delle garanzie date, che si ha quando ad esempio: il debitore distrugge o danneggia un fondo concesso
ad ipoteca;
•Mancata prestazione delle garanzie promesse, che si ha quando il debitore aveva promesso di garantire il debito (ad esempio: con
un pegno o dando un bene in ipoteca) ed è venuto meno alla promessa.
In tutte queste ipotesi il debitore decade automaticamente dal beneficio del termine ed il creditore può subito esigere la prestazione.In
tema di esattezza cronologica della prestazione va fatto riferimento al termine essenziale. Il termine essenziale è quello che è di essenza
alla prestazione, nel senso che la prestazione deve essere necessariamente adempiuta entro quel termine (ad esempio: il sarto che è
tenuto a consegnare l’abito nuziale entro il giorno delle nozze). Decorso il termine essenziale quel quid che fosse eventualmente
prestato non sarebbe più giuridicamente prestazione, con la conseguenza che il creditore potrà legittimamente rifiutare
l’adempimento. La legge consente al creditore di accettare ugualmente l’adempimento tardivo. Circa la natura giuridica dell’adempimento
si discute se si tratta di un negozio giuridico, o di un atto giuridico in senso stretto, o di un mero fatto giuridico. Il quesito si risolve sullo
base del dato positivo poiché la legge afferma che è valido l’adempimento anche se eseguito da un incapace. Ciò significa che
la legge prescinde non solo dall’intenzionalità ma, dalla stessa volontarietà, per cui l’adempimento è un mero fatto giuridico.
L’ADEMPIMENTO DA PARTE DEL TERZO
Se la prestazione è infungibile (ad esempio: quel pittore si obbliga a dipingere un quadro) può essere adempiuta solo dal
debitore. Invece, se la prestazione è fungibile, può essere adempiuta da un qualsiasi terzo persino all’insaputa del debitore. Il
creditore non può rifiutare l’adempimento del terzo, perché sarebbe altrimenti in mora del creditore, detta anche mora credendi o
accipiendi, a meno che il debitore non si sia espressamente opposto all’adempimento del terzo. Ovviamente se il terzo adempie la
prestazione, avrà diritto di ripetere quanto ha prestato dal debitore, e se questo invece non gli dà quanto dovuto, il terzo potrà
esperire azione di arricchimento senza causa, a meno che non abbia agito per puro spirito di liberalità.Il terzo infatti, può
adempiere l’altrui prestazione per i più svariati motivi: per spirito di liberalità, (ad esempio: il padre che paga il debito del figlio) o perché il
terzo intende surrogarsi al creditore, (ipotesi di modificazione soggettiva attiva) o per qualsiasi altra causa (ad esempio: il fornitore di
un’impresa che rischia il fallimento per il timore di non recuperare più i suoi debiti, preferisce pagare i creditori che minacciano di far fallire
l’impresa).
L’IMPUTAZIONE DI PAGAMENTO
Se un soggetto ha più debiti della stessa specie nei confronti di uno stesso creditore, e non effettua un pagamento che non
comprende la totalità e generalità dei suoi debiti, deve essere stabilito a quali debiti il pagamento va riferito . La legge lascia
facoltà al debitore di specificare a quali debiti egli intendeva riferirsi con il pagamento. In mancanza, il pagamento va imputato al debito
scaduto. Tra più debiti tutti scaduti, al debito meno garantito. Tra più debiti ugualmente garantiti, al debito più oneroso per il debitore. Tra
più debiti ugualmente onerosi, al debito più antico. Se tutti questi criteri sono tuttavia insufficienti, l’imputazione va fatta proporzionalmente
tra i vari debiti.
LA MORA DEL CREDITORE (DETTA ANCHE MORA CREDENDI O ACCIPIENDI)
Per l’adempimento della prestazione può essere necessaria la cooperazione del creditore, che egli normalmente presta volentieri perché
è un onere per lui, cioè un comportamento da tenere nel suo interesse. Tuttavia talvolta il creditore può avere un interesse contrario a
ricevere una prestazione, o perché vuole dimostrare che il debitore è inadempiente e giungere alla risoluzione del contratto per
inadempimento, o perché vi è un contrasto tra debitore e creditore circa l’entità della prestazione, o anche semplicemente perché il
creditore vuole continuare a percepire interessi vantaggiosi. In tali ipotesi, si ha la mora del creditore, che è il rifiuto del creditore di
ricevere la prestazione senza motivo legittimo. Tuttavia, perché il creditore sia costituito in mora non è sufficiente il suo rifiuto ma è
necessario che il debitore effettui offerta della prestazione e deposito della prestazione stessa. L’offerta può essere solenne o formale,
ovvero secondo gli usi. L’offerta solenne o formale è quella compiuta dal pubblico ufficiale, cioè dal notaio o da un ufficiale
giudiziario. Essa può essere:
•Reale, che si ha quando il pubblico ufficiale offre la prestazione al domicilio del creditore redigendo atto di offerta. Naturalmente si deve
trattare di una prestazione di somme di denaro o di titoli di credito o di altre cose mobili;
•Per intimazione, che si ha se per la natura della prestazione non è possibile l’offerta reale (ad esempio: perché si tratta di una prestazione
di fare), cioè il pubblico ufficiale si reca al domicilio e intima al creditore di recarsi il giorno tot all’ora tot in un luogo tot per ricevere la
prestazione.Dopo l’offerta il debitore deve effettuare il deposito della prestazione in un luogo determinato. Effettuato anche il deposito, il
debitore è liberato dall’obbligazione ed il creditore si considera giuridicamente in mora.
La mora del creditore produce i seguenti effetti:
•Il debitore non è più tenuto a corrispondere gli interessi;
•Il creditore è tenuto a risarcire il danno subito dal debitore, ivi compreso lespese per la conservazione e la custodia della cosa depositata;
•Il caso fortuito o la forza maggiore che rendano impossibile la prestazione, verificatisi dopo la mora, liberano ugualmente il debitore
dall’obbligazione. Il rischio del fortuito grava a carico del creditore

LE CAUSE DI ESTINZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO LE CAUSE SATISFACTORIE


LA DATIO IN SOLUTUM O PRESTAZIONE IN LUOGO DI ADEMPIMENTO
Generalmente il debitore non può adempiere una prestazione diversa da quella dedotta nell’obbligazione, gravando anzi sul debitore un
dovere di esatto adempimento in merito alla specifica ed esatta qualità della prestazione; tuttavia, se il debitore offre ed il creditore accetta
una prestazione diversa da quella dedotta in contratto, si ha l’istituto della “ datio in solutum ”. Essa nasce da un accordo tra debitore
e creditore, perciò è un contratto. Per precisione essa è un contratto reale.
I contratti si distinguono in:
•Contratti consensuali , che sono quelli che si perfezionano con il mero consenso delle parti legittimamente espresso (ad esempio:
compravendita);
•Contratti reali , sono quelli che si perfezionano con la dazione di una “ res ” (ad esempio: mutuo, pegno).
E poiché la “datio in solutum” è la prestazione di una “res” diversa in soluzione di un rapporto obbligatorio, essa è un contratto reale che
produce i suoi effetti quando la “res” diversa è effettivamente prestata.
LA COMPENSAZIONE
La compensazione è il contemporaneo estinguersi di due debiti reciproci. Se i due soggetti sono tra loro reciprocamente debitore e
creditore, i loro debiti si estinguono per compensazione fino all’uguale ammontare. Come dicevano i Romani “compensatio est debiti et
crediti inter se contributio”(la compensazione è la contribuzione tra loro di un credito e un debito).
La compensazione può essere:
•Legale , che avviene per volontà di legge, tra due debiti reciproci che siano entrambi omogenei( cioè che hanno ad oggetto somme di
denaro o altre cose fungibili), liquidi( ossia determinati nel loro ammontare) ed esigibili(cioè che possono essere immediatamente esatti
non essendo sottoposti né a condizione, né a termine. In tal caso la compensazione avviene “ ipso iure ” con la conseguenza che un
eventuale sentenza del Giudice sarebbe meramente dichiarativa;)
•Giudiziale , che è quella che avviene ad opera del Giudice quando i due debiti reciproci siano uno omogeneo, liquido ed esigibile e
l’altro, omogeneo ed esigibile ma non liquido ma, comunque di facile liquidità. In tal caso il Giudice con sentenza costitutiva pronuncia la
compensazione, previa determinazione del debito illiquido;
•Volontaria , che è quella posta in essere dalla volontà delle parti, e quindi tra i crediti più disparati senza necessità di rigidi
requisiti. Tuttavia va precisato che, come alcuni crediti non possono essere ceduti, così non possono essere oggetto di compensazione.
Classico caso è Il credito per gli alimenti, poiché riguarda la sopravvivenza di una persona, non può essere oggetto di compensazione.
Inoltre non è ammessa la compensazione tra un’obbligazione vera e propria in senso tecnico ed un’obbligazione naturale, in
quanto quest’ultima non produce altro effetto se non quello della “soluti retentio(irreperibilità della prestazione)”.
CONFUSIONE
Essa è un modo di estinzione dell’obbligazione che si ha quando in capo ad uno stesso soggetto si cumulano le due qualità di
debitore e di creditore. Come sappiamo, nell’obbligazione vi sono un soggetto attivo, il creditore, e un soggetto passivo, il debitore. Se
di questi soggetti ne rimane uno solo, ovviamente,l’obbligazione si estingue. Essa può avvenire per successione “ mortis causa ”,
quando l’erede era debitore o creditore del “ decuius ” o per atto “inter vivos”, come quando il creditore acquista l’intero patrimonio di un
soggetto che era già suo debitore. È superfluo aggiungere che ogni volta che si estingue un’obbligazione si estinguerà anche qualsiasi
garanzia del credito perché, se si è estinto il principale, non può rimanere in vita l’accessorio.
MODI DI ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE “NON SATISFACTORI”
LA REMISSIONE DEL DEBITO
Le remissione del debito è la rinunzia alla titolarità di un credito. Essa consiste in una dichiarazione di volontà dismissiva del creditore
diretta a rinunziare un credito. Trattasi perciò di un negozio giuridico unilaterale. Si è da alcuni detto che la remissione del debito
costituirebbe invece un contratto, e che quindi sarebbe necessaria la volontà di accettazione da parte del debitore. Tale teoria si basa in
realtà su un equivoco: quando la legge disciplina la remissione, afferma che essa produce i suoi effetti salvo che il debitore non ne voglia
approfittare. Da ciò si desume che, se il debitore nulla dice, in realtà starebbe accettando tacitamente la remissione; da qui la
pretesa natura contrattuale. In verità, è vero soltanto che la legge subordina la produzione degli effetti della remissione al fatto
che la rinunzia sia portata a conoscenza del debitore in modo da permettergli, se crede, di dichiarare di non volerne approfittare.
Trattasi quindi di un negozio unilaterale recettizio(per produrre i suoi effetti deve essere portato a conoscenza del debitore).
D'altronde così come il debitore può unilateralmente liberarsi dell’obbligazione, con l’offerta ed il deposito della prestazione, quando il
creditore rifiuta l’adempimento, così è maggiormente vero che il creditore può liberarsi unilateralmente dell’obbligazione.
La remissione può essere:
•Espressa , che consiste nella dichiarazione espressa di rinunzia al credito;
•Tacita , che consiste nella volontaria restituzione del titolo dal quale risulta il debito.
•Reale o “ in rem ”, che è quella posta in essere nei confronti di tutti i debitori di uno stesso debito;
•Personale o “ in personam ”, che è quella posta in essere nei confronti solo di uno o alcuno dei debitori di uno stesso debito.
E poiché la remissione tacita si sostanzia nella volontaria restituzione del documento da cui risulta il debito, essa non potrà che essere
reale, cioè fatta nei confronti di tutti i debitori di uno stesso debito; invece, quella espressa può essere sia reale che personale.
Dalla remissione del debito si distingue il “ pactum de non petendo”, con il quale il creditore si obbliga a non richiedere la prestazione
nei confronti di uno o alcuno dei debitori. La differenza è che mentre la remissione del debito, comportando l’estinzione dell’obbligazione,
comporta anche l’estinzione delle garanzie, il “ pactum de non petendo ”(patto del non richiedere) non estingue l’obbligazione, perché è
posto in essere solo nei confronti di qualche debitore, mentre l’obbligazione resta in piedi per gli altri (stessa cosa avviene nella remissione
personale).
LA NOVAZIONE
La novazione è l’estinzione di un precedente rapporto obbligatorio, mercé la costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio. Per
aversi novazione sono necessari un presupposto e due requisiti; il presupposto è che l’obbligazione che si intende novare sia valida,
perciò non può novarsi l’obbligazione nulla o annullabile. Può novarsi l’obbligazione annullabile solo quando il nuovo debitore che subentra
al vecchio conosceva la causa di annullabilità e intende ugualmente novare l’obbligazione.
I due requisiti sono:
•“L’animus novandi ”, che è la volontà di novare l'obbligazione con la costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio
•“ L’aliquid novi ”, che è qualcosa di nuovo che può riguardare o i soggetti del rapporto obbligatorio, o l’oggetto, cioè la prestazione. Si
avrà una novazione soggettiva quando mutano i soggetti del rapporto obbligatorio (ad esempio: delegazione, espromissione ed accollo
novativi).Oggettiva quando muta l’oggetto del rapporto obbligatorio, cioè la prestazione.
Vanno aggiunte due particolarità:
•L’obbligazione naturale, non essendo un’obbligazione in senso tecnico, non può essere novata ;
•Il rilascio della cambiale non costituisce giuridicamente novazione , sia perché ciò è espressamente detto nella legge cambiaria, sia
perché di solito, nel rilascio della cambiale, manca l ’ animus novandi.(l'intenzione di estinguere un rapporto obbligatorio con la costituzione
di un nuovo rapporto obbligatorio)
L’INADEMPIMENTO DELL’OBBLIGAZIONE NON IMPUTABILE AL DEBITORE
Si ha inadempimento non imputabile al debitore quando la prestazione è divenuta impossibile per caso fortuito (ad esempio: un incidente
stradale) o forza maggiore (ad esempio: terremoto o incendio). Forza maggiore detta dai Romani la “vis maior cui resisti non potest”(la
forza maggiore a cui non si può resistere). A cui è equiparato il “factum principis”, cioè l’ordine dell’autorità che vieta
l’adempimento (ad esempio: l’artista si era obbligato a dipingere il quadro ma, per un incidente stradale, resta privo dell’uso del braccio,
e quindi non può più adempiere alla prestazione).
L’impossibilità può essere:
•Permanente o temporanea;
•Totale o parziale.
Se l’impossibilità è parziale, il debitore si libera adempiendo la parte residua della prestazione.
Se l’impossibilità è temporanea, il debitore si libererà dell’obbligazione adempiendo la prestazione quando sarà venuta meno la causa di
impossibilità temporanea.
L’inadempimento dell’obbligazione non imputabile al debitore reca un rilevante problema: ci si chiede, posto che il caso fortuito o la forza
maggiore hanno reso impossibile la prestazione, chi risentirà di tutto il danno. Questo problema va sotto il nome di teoria dei rischi e
pericoli dell’obbligazione. Tale teoria si risolve distinguendo i contratti unilaterali dai contratti bilaterali. Il contratto è sempre un
negozio bilaterale per struttura ma, per quanto riguarda i suoi effetti, può essere unilaterale o bilaterale . Quindi in un contratto vi
è sempre la manifestazione di volontà di due parti distinte portatrici di due interessi diversi. Ciò non toglie che si distinguano contratti
unilaterali e bilaterali in riferimento agli effetti. Sono contratti unilaterali quelli produttivi di effetti vincolativi per una sola delle parti
(ad esempio: donazione, che comporta solo l’obbligo del donante di dare la cosa donata). Invece, i contratti bilaterali sono quelli
produttivi di effetti vincolativi per entrambe le parti (ad esempio: locazione, in cui da un lato vi è l’obbligo del locatore di concedere il
godimento della cosa locata, e dall’altro vi è l’obbligo del conduttore o locatario di pagare il canone di locazione). Questi contratti sono
caratterizzati dal fatto che le due prestazioni sono tra loro legate da un vincolo di interdipendenza chiamato sinallagma, tale che
una prestazione è causa dell’altra, in modo che venendo meno una, verrà meno l’altra automaticamente.
Ciò premesso nei contratti unilaterali si applica il principio “casum sentit creditor” cioè il caso fortuito o da forza maggiore sono a carico
del creditore che quindi risentirà di tutto il danno dovuto al fortuito o da forza maggiore( così ad esempio nella donazione sarà il creditore
cioè il donatario che non riceverà più la cosa oggetto di donazione). Invece, nei contratti bilaterali si applica l’opposto principio “casum
sentit debitor” per cui il caso fortuito o da forza maggiore sono a carico del debitore. È debitur è colui la cui prestazione è divenuta
impossibile, così nella locazione, se si distrugge per un terremoto la casa data in locazione, sarà il locatore, che è il nostro debitor, che
non solo non riceverà più il canone di locazione ma, che non potrà più mettere a disposizione la casa e darla in locazione. Nei contratti
ad effetti reali, cioè traslativi di proprietà o traslativi o costitutivi di altro diritto reale, si applica un altro princip io. Ricordiamo che
nel nostro diritto la proprietà si acquista e si trasmette sulla base del mero consenso delle parti legittimamente espresso. Ciò premesso,
nei contratti ad effetti reali si applica il principio “casum sentit dominus o res perit domino”, cioè la cosa perisce per il proprietario, nel
senso che l’acquirente diventa proprietario sin dal momento dell’incontro dei consensi. Ne consegue, che se anche un istante dopo, la
casa acquistata viene distrutta per un incendio, l’acquirente, già divenuto proprietario, sarà tenuto a pagare il prezzo. Tale principio non
si applica nella vendita di genus perché “genus numquam perit”(non perisce mai) a meno che non si tratti di un genus limitato ,
ovvero che sia stata già specificata la cosa. Tale principio non si applica nella vendita sotto condizione sospensiva, a meno che la
condizione non si sia già verificata perché, fino al momento del verificarsi della condizione, l’acquirente non è ancora proprietario, e quindi
se perisce la cosa, prima del verificarsi della condizione, non sarà tenuto a pagare alcun prezzo.
L’INADEMPIMENTO IMPUTABILE AL DEBITORE (RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE)
Esso è l’inadempimento dovuto a dolo o a colpa del debitore. In tale tipo di inadempimento il debitore o intenzionalmente non adempie
(ad esempio: uccide volontariamente il cavallo che doveva), o si pone nell’impossibilità di adempiere per imprudenza, negligenza o
imperizia (ad esempio: lasci negligentemente morire il cavallo che doveva). Come la conseguenza dell’inadempimento non imputabile al
debitore è l’impossibilità della prestazione, così la conseguenza dell’inadempimento imputabile al debitore è l’obbligo di costui di
risarcire il danno cagionato al creditore. Verificatosi l’inadempimento, la legge presume il debitore in colpa, sicché sarà poi il debitore
stesso tenuto a provare che l’inadempimento è invece dovuto a caso fortuito o forza maggiore, se vuole liberarsi dall’obbligo del
risarcimento del danno. Al contrario, poiché la legge presume il debitore in colpa, spetta al creditore provare il dolo del debitore e
quindi la sua maggiore intensità di colpevolezza.
La conseguenza dell’inadempimento imputabile al debitore è l’obbligo di risarcire il danno. In cosa consiste allora il
danno???Danno è la diminuzione economica che si produce nel patrimonio del creditore a causa dell’inadempimento. Esso va colmato
con l’equivalente, cioè con il risarcimento del danno nella seguente misura:vanno risarciti tutti i danni che siano conseguenza
immediata e diretta dell’inadempimento, non intesa in senso cronologico, cioè danni che si sono verificati dopo l’inadempimento, ma
in senso logico, cioè danni che si sono verificati a causa dell’inadempimento come causa dell'inadempimento stesso.Il debitore si
presume in colpa, mentre spetta al creditore provare che il debitore era in dolo. Tale differenza di onere probatorio si spiega
agevolmente; infatti, se il debitore è in colpa, dovrà risarcire tutti i danni previsti e prevedibili al tempo in cui è sorta l’obbligazione mentre,
se il debitore è in dolo, dovrà risarcire oltre ai danni previsti e prevedibili, anche quelli imprevisti ed imprevedibili al tempo in cui è sorta
l’obbligazione.
Va precisato che il danno è caratterizzato da due componenti:
•Il danno emergente , cosiddetto “damnum emergens”, che è il valore della prestazione mancata (ad esempio: il valore del cavallo);
•Il lucro cessante ,cosiddetto “lucrum cessans”, che è il mancato guadagno, cioè quanto il creditore avrebbe guadagnato con l’uso
della prestazione. È evidente che il risarcimento deve comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante.
Nella produzione del danno vi può essere concorso del fatto colposo del creditore. In tal caso, la prestazione del debitore si ridurrà
proporzionalmente. Inoltre, per avere diritto al risarcimento del danno, il creditore dovrà provare l’ammontare del danno subito.
La liquidazione del danno, cioè la sua determinazione, può essere:
•Giudiziale , che avviene ad opera del Giudice sulla base della prova fornita dal creditore. È chiaro che se il creditore avanza pretese di
risarcimento anche di danni imprevisti ed imprevedibili, dovrà provare anche il dolo del debitore. Il rigore di questo principio comporta che,
ove il creditore non riesca a dare la prova dell’esatto ammontare del danno, non gli spetterebbe alcun risarcimento ma, per questo
interviene l’articolo 1226 del Codice Civile il quale afferma che, se il creditore non riesce a provare il danno nel suo esatto
ammontare, il danno stesso viene liquidato dal Giudice con valutazione equitativa;
•Legale(prevista dalla legge) ,cha ha luogo nelle obbligazioni pecuniarie. Come già sappiamo, nelle obbligazioni pecuniarie in caso di
inadempimento, spetterà al creditore un risarcimento pari agli interessi nella misura legale, a meno che non sia stata prevista dalle parti
la risarcibilità del danno ulteriore;
•Convenzionale,ci si riferisce alla clausola penale, in quanto tale istituto ha la funzione di determinare forfettariamente e in anticipo il
quantum del risarcimento dovuto in caso di ritardo nell’adempimento (penale moratoria), e di inadempimento definitivo (penale
compensativa).
LA MORA DEL DEBITORE (MORA DEBENDI)
Essa è il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione imputabile al debitore. Nel nostro ordinamento ci sono due tipi di mora:
•“ Mora ex persona ”, ipotesi tipica per cui scaduto il termine di adempimento, il creditore esegue un atto di intimazione per iscritto con
cui invita il debitore ad adempiere (atto di costituzione in mora); da questo momento il debitore è costituito in mora;
•“Mora ex re”, ipotesi eccezionale, nel senso che essa si verifica nei casi tassativamente previsti dalla legge. In tali ipotesi, scaduto il
termine, il debitore si considera automaticamente(ipso iure) in mora.
Ciò avviene in caso di scadenza del termine nelle obbligazioni derivanti da fatto illecito, ovvero in caso di dichiarazione scritta del debitore
di non voler adempiere, o per scadenza del termine nelle obbligazioni pecuniarie, che come sappiamo, vanno adempiute al domicilio del
creditore (debiti portable).
Gli effetti della mora sono i seguenti:
•Risarcimento del danno da parte del debitore nei confronti del creditore per il ritardo nell'adempimento. Sappiamo che nei debiti
di denaro, tale risarcimento è pari all’interesse nella misura legale indipendentemente dalla prova del danno, cosiddetta “ perpetuatio
obbligationis ” che significa ciò: se si verifica un caso fortuito o una forza maggiore che rendono impossibile la prestazione, il debitore
non è liberato dall’obbligo del risarcimento integrale. Ciò perché tutto quello che si verifica dopo la mora si considera effetto della mora (“
post moram ergo propter moram ”). Il debitore potrà liberarsi solo provando che la prestazione sarebbe ugualmente perita anche
nelle mani del creditore. Se dopo la mora si verifica una svalutazione monetaria per effetto della “ pepetuatio obbligationis ”, il debitore
dovrà adempiere la somma rivalutata e non già il valore nominale originariamente stabilito della prestazione, come sarebbe se egli non
fosse in mora.
FATTO ILLECITO CIVILE (art.2043 del Codice Civile)
Il fatto illecito civile è la seconda fonte di obbligazioni; qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto.
È detto anche colpa extracontrattuale, o responsabilità extracontrattuale, o responsabilità aquilana, perché la “lex aquilia” disciplinava il
fatto illecito in diritto romano. Esso consiste nella violazione del principio generale del “neminem ledere” e si sostanzia nella violazione
di diritti assoluti o personali (ad esempio: diritto alla vita), oppure diritti assoluti reali (ad esempio: diritto di proprietà). Di solito il fatto
illecito civile è un fatto illecito penale (ad esempio: omicidio colposo) ma, ciò non toglie che da un’attività in sé lecita possa derivare
un danno ad altri (ad esempio: nel corso dei lavori di ristrutturazione di un appartamento viene lesionato il muro di un appartamento
confinante). Il fatto illecito deve essere o doloso , cioè intenzionale, o colposo , cioè dovuto a negligenza, imprudenza, imperizia
o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. L’imperizia è la colpa professionale dovuta a mancanza di attenzione
nell’esercizio della propria professione o a mancanza di nozioni tecniche. Per quanto riguarda invece l’inosservanza di leggi un esempio
può essere questo: l’imprenditore non osserva la norma antinfortunistica e non fa indossare ai suoi operai il casco di protezione; uno di
questi cade batte la testa e muore. Come in diritto penale non può essere punito chi al momento della commissione del fatto non
aveva la capacità di intendere e di volere, così allo stesso modo, l’incapace, anche se si tratta solo di incapacità naturale, non
risponde dei danni; tuttavia, mentre la responsabilità penale è personale, e quindi se un incapace ha commesso un reato, non può
essere punito chi doveva sorvegliarlo; invece in diritto civile, se il fatto illecito è commesso da un incapace, dei danni cagionati
risponderanno coloro che non hanno adeguatamente sorvegliato l’incapace. Essi potranno liberarsi solo provando di non aver
potuto impedire il fatto, prova peraltro molto difficile. Elemento indispensabile per la condanna al risarcimento del danno per l’autore del
fatto illecito è l’esistenza del nesso di causalità tra fatto e danno, nel senso che vi deve essere un rapporto tra causa ed effetto, e vi è tale
rapporto quando il danno non si sarebbe prodotto senza il fatto. Questo nesso di causalità può essere anche interrotto quando il
danno è determinato dal fatto di un terzo, fatto del tutto diverso da quello originario (ad esempio: un pedone viene investito da
un’automobilista che sarà responsabile delle lesioni cagionate al pedone ma, se questo pedone, viene trasportato con l’ambulanza e trova
la morte per un incidente avvenuto con l’ambulanza, dell’evento morte non risponde colui che l’ha investito, perché manca il nesso di
causalità tra causa e danno). Se il fatto illecito è dovuto al fatto doloso o colposo di più persone, ciascuna di esse è obbligata in solido, e
quindi per l’intero al risarcimento, a meno che non sia possibile provare un maggiore o un minore grado di responsabilità di qualcuno di
questi, ed in tal caso, la responsabilità sarà maggiore o minore. Anche un comportamento omissivo può essere causa di fatto illecito
produttivo di un danno ingiusto se, chi ha omesso, aveva il dovere giuridico di non omettere.Nella produzione del danno vi può
essere peraltro concorso del fatto colposo dello stesso danneggiato (ad esempio: pedone che viene investito e non attraversava la strada
sulle strisce pedonali). In tal caso, il risarcimento del danno si ridurrà in proporzione al concorso del danneggiato. Il fatto illecito può
essere giustificato dalle cosiddette cause di giustificazione che in diritto civile escludono l’obbligo del risarcimento del danno.
Esse sono:
•Esercizio di un diritto;
•L’adempimento di un dovere;
•La legittima difesa, che è la necessità di difendere sé o altri da un’offesa attuale ed ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata
all’offesa (così se ad esempio: la vittima di una violenza sessuale uccide il suo violentatore; vi può essere legittima difesa, perché vi è
proporzione tra i beni. Mentre, se si fissano armi automatiche in casa in modo che il ladro che penetri in casa trovi la morte, manca la
proporzione tra i diritti);
•Stato di necessità, che è la necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Pericolo non
volontariamente causato, né altrimenti evitabile (ad esempio: il naufrago si aggrappa ad una tavola di legno che regge il peso di una sola
persona e butta a mare l’altro che cerca di aggrapparsi). In tal caso, chi ha agito in stato di necessità, non è del tutto esente da
responsabilità ma, dovrà corrispondere al danneggiato, o ai suoi eredi, un indennizzo inferiore al risarcimento.
IPOTESI DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA
Nella responsabilità extracontrattuale, che si chiama così perché avviene al di fuori di un contratto, il danneggiato, che diventa il creditore
dell’obbligazione, che scaturisce dal fatto illecito, deve, non solo provare di aver subito un danno ma, deve anche provare l’elemento
soggettivo dell’autore del fatto illecito, cioè provare che egli era in colpa o in dolo. Vi sono tuttavia alcune ipotesi in cui, per la
responsabilità per fatto illecito si prescinde dalla colpa; e quindi, un soggetto è tenuto al risarcimento, indipendentemente dalla colpa.
Esse sono:
•Esercizio di attività pericolosa: se durante l’esercizio viene cagionato un danno, la legge presume che non siano state adottate tutte
le misure necessarie per prevenire il danno, e quindi l’esercente è responsabile del danno cagionato, a meno che non dimostri che esso
è dovuto a caso fortuito, o fatto di un terzo, o dello stesso danneggiato;
•Circolazione di veicoli: se si verifica un incidente e se il conducente cagiona un danno, la legge presume che egli non abbia fatto tutto
il possibile per evitare il danno. Egli potrà liberarsi solo dimostrando che il danno è dovuto al fatto di un terzo o dello stesso danneggiato.
Nel caso di collisione tra due autoveicoli, la legge presume che i due conducenti abbiano concorso in egual misura alla produzione del
danno salvo prova contraria;
•Danno cagionato da cose in custodia: nel caso di incendi, fuoriuscite di acqua o di gas, chi ha cose in custodia, è responsabile dei
danni cagionati salvo prova contraria di caso fortuito;
•Danno cagionato da animali, nel quale è responsabile dei danni il proprietario o chi se ne serve, salvo prova contraria di caso fortuito;
•Rovina di un edificio, il proprietario è responsabile dei danni cagionati per rovina di edificio, intendendosi per rovina anche il distacco
di parti accessorie o ornamentali. Tale soggetto è responsabile e per liberarsi dovrà provare che l’incidente non è dovuto a difetto di
costruzione o a vizio di manutenzione.
RESPONSABILITÀ INDIRETTA O PER FATTO ALTRUI
Mentre la responsabilità penale non può essere che personale, la responsabilità civile, oltre che personale, può essere dovuta ad un fatto
altrui, ed essere quindi una responsabilità indiretta.
Le principali ipotesi sono:
•Responsabilità del datore di lavoro per il fatto illecito commesso dai suoi dipendenti. Tale responsabilità è presunta “iuris et de iure” e
non può liberarsi . Precedentemente si credeva che tale responsabilità dipendesse da colpa nello scegliere i propri dipendenti o nel
vigilare sui propri dipendenti. Attualmente si ritiene che il datore di lavoro organizza e si avvale dell’opera dei suoi dipendenti
traendone i benefici per cui, come egli ne trae vantaggio, così dovrà sopportare gli svantaggi, secondo il principio “cuius commoda
eius incommoda”, cioè di chi sono i vantaggi di quello sono anche gli svantaggi;
•Responsabilità del proprietario del veicolo per i danni arrecati dal veicolo stesso, quando è guidato da persona diversa dal
proprietario. In tal caso, il proprietario risponde in solido con il conducente, a meno che non riesca a provare, che la guida del veicolo è
avvenuta contro la sua volontà;
•Responsabilità dei genitori e del tutore per il fatto illecito commesso dal minore o dall’interdetto.I genitori o il tutore rispondono
dei danni cagionati dal minore o dall’interdetto con essi conviventi, a meno che non riescano a provare di non aver potuto impedire il fatto.
Si tratta di un’ipotesi di culpa in “educando et in vigilando”. Uguale responsabilità è prevista anche per i precettori e i maestri d’arte,
per il tempo in cui gli allievi e gli apprendisti sono sotto la loro vigilanza.
DIFFERENZE TRA RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE E RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE
La responsabilità contrattuale è quella in cui si incorre per l’inadempimento definitivo imputabile al debitore. A ben vedere, nella
responsabilità contrattuale, ciò che si viola è il rapporto obbligatorio non il contratto che ne è la fonte, e quindi è, in un certo senso,
impreciso parlare di tale responsabilità. La responsabilità extracontrattuale consiste nella violazione di un diritto assoluto
personale o reale. Trattasi quindi del fatto illecito doloso o colposo produttivo di un danno ingiusto.
Tanto premesso vediamo le differenze
•Mentre nella responsabilità contrattuale si viola un precedente rapporto obbligatorio, nella responsabilità extracontrattuale non si viola
un precedente rapporto obbligatorio ma anzi, è il fatto illecito, costitutivo di obbligazioni tra le parti. Tanto ciò è vero che il fatto illecito
costituisce la seconda fonte delle obbligazioni;
•Nella responsabilità extracontrattuale vanno risarciti sempre tutti i danni, anche quelli imprevisti ed imprevedibili sia in fatto doloso che
colposo. Invece nella responsabilità contrattuale, se il debitore è in colpa, risarcirà solo i danni previsti e prevedibili al tempo in cui è sorta
l’obbligazione, mentre, se il debitore è in dolo, saranno risarciti anche i danni imprevisti ed imprevedibili;
•Mentre nella responsabilità contrattuale il debitore si presume in colpa, nella responsabilità extracontrattuale sarà il danneggiato a dover
provare di aver subito un danno e anche la colpa altrui;
•Mentre nella responsabilità contrattuale si risarciscono solo i danni patrimoniali, nella responsabilità extracontrattuale si risarcisce anche
il danno non patrimoniale, detto anche danno morale, quando il fatto costituisce anche reato. Il danno morale costituisce il “pretium
doloris”, cioè il danno derivante dalle sofferenze fisiche o psicologiche causate dal fatto illecito. Il danno morale non va confuso
con il danno patrimoniale indiretto, che ha pur sempre carattere patrimoniale.
•L’azione di risarcimento danni per responsabilità contrattuale si prescrive in dieci anni mentre, l’azione di risarcimento danni per fatto
illecito si prescrive in cinque anni, salvo il danno da trasporto che si prescrive in due anni e salvo che il fatto illecito costituisca anche
reato. In quest’ultimo caso, il termine di prescrizione sarà il più lungo previsto per il reato stesso.
GARANZIA GENERICA E SPECIFICA DEL CREDITO E DELLE CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE
Quando si costituisce un diritto di credito si trovano davanti due soggetti:
•Un debitore, tenuto ad adempiere la prestazione;
•Un creditore, che ha diritto a ricevere la prestazione.
Per l’esistenza stessa dell’adempimento, il debitore risponde dell’adempimento con tutti i suoi beni presenti e futuri; così come il creditore
ha diritto, in caso di inadempimento, di soddisfarsi su tutti i beni del debitore.
Questa generica rispondenza del debitore con tutti i suoi beni presenti e futuri è detta garanzia generica del credito . Essa si
chiama generica non solo perché cade indistintamente su tutti i beni del debitore, ma anche perché spetta indistintamente a tutti i creditori
di uno stesso debitore. Essi quindi, si trovano tra loro in “ par condicio creditorum ”, cioè nella stessa posizione, per cui tutti
avranno lo stesso diritto di soddisfarsi sui beni del debitore, con la conseguenza, che se tali beni siano insufficienti, si
ridurranno proporzionalmente le pretese dei creditori. La garanzia generica è tale ed esiste fino a che i beni appartengono al
patrimonio del debitore ma, cessa quando tali beni fuoriescono dal patrimonio stesso, salvo azione revocatoria. Contro la garanzia
generica sta la garanzia specifica . Tale garanzia è cosiddetta perché, anzitutto cade su beni specificamente determinati, ma anche
perché attribuisce ai creditori che hanno tale garanzia, il cosiddetto “ius prelationis”, cioè il diritto di soddisfarsi con precedenza
e preferenza, rispetto agli altri creditori, sui beni del debitore. La garanzia specifica altera la “par condicio creditorum” di modo che i
creditori che hanno garanzia specifica hanno diritto a soddisfarsi con precedenza rispetto agli altri creditori che non hanno tale garanzia
e che sono detti chirografari. La garanzia specifica è propria di quei crediti che hanno cause legittime di prelazione.
Esse sono:
•Il privilegio;
•Il pegno;
•L’ipoteca.
Le ultime due sono anche diritti reali di garanzia. Le cause legittime di prelazione accordano, in quanto tali, lo “ius prelationis”, e
quindi il diritto di soddisfarsi con precedenza e preferenza sui beni del debitore rispetto agli altri creditori ma, mentre il privilegio, è solo
una causa legittima di prelazione, e quindi attribuisce solo lo “ius prelationis” , essendo il pegno e l’ipoteca anche diritti reali di
garanzia, essi attribuiscono lo “ius persequendi ad versus omnes”, cioè il diritto di perseguire la cosa anche se è stata ven duta
a terzi, e lo “ius distraendi” , cioè il diritto di far vendere la cosa e di soddisfarsi sul ricavato della vendita.Il pegno e l’ipoteca
possono anche essere concessi da un terzo, detto terzo datore di pegno o di ipoteca. È chiara la differenza tra pegno ed ipoteca da un
lato, e fideiussione dall’altro. Se è vero che sia il pegno che l’ipoteca da un lato, sia la fideiussione dall’altro, presuppongono
l’esistenza di un debito cui accedono come garanzia, tuttavia il fideiussore, in caso di inadempimento risponde con tutto il suo
patrimonio, mentre il terzo datore di pegno e di ipoteca risponde in caso di inadempimento del debitore solo con quel determinato bene
pignorato o ipotecato.
IL PRIVILEGIO
Il privilegio, causa legittima di prelazione, non è come il pegno e l’ipoteca un autonomo diritto, ma è una “qualitas crediti”, cioè una
caratteristica del credito concessa dalla legge in ragione della causa del credito.
Il privilegio può essere:
•Generale , che è quello che cade su tutti i beni mobili del debitore;
•Speciale , che è quello che cade su specifici beni mobili o immobili del debitore.
La differenza è rilevante perché, mentre il privilegio generale attribuisce solo lo “ius prelationis” , il privilegio speciale attribuisce anche lo
“ius persequendi ad versus omnes” , tuttavia tale diritto non deriva dalla realtà del privilegio ma, dall’espressa volontà del legislatore.
DIFFERENZE TRA PRIVILEGIO, PEGNO ED IPOTECA
Mentre il privilegio è solo una causa legittima di prelazione e non è un autonomo diritto, il pegno e l’ipoteca oltre ad essere cause legittime
di prelazione, sono anche diritti reali di garanzia.Mentre il privilegio attribuisce solo lo “ius prelationis” , il pegno e l’ipoteca attribuiscono
anche lo “ius persequendi ad versus omnes” e lo “ius distraendi” .
DIFFERENZE TRA PEGNO ED IPOTECA
Entrambi sono diritti reali di garanzia. Una volta la differenza tra pegno ed ipoteca stava nel fatto che il pegno aveva ad oggetto beni
mobili e l’ipoteca aveva ad oggetto beni immobili. Oggi tale distinzione non è più vera perché l’ipoteca può anche avere ad oggetto
beni mobili registrati e rendite dello Stato. La vera distinzione sta nel momento costitutivo in quanto il pegno si costituisce con lo
spossessamento del bene che passa dalle mani del debitore a quelle del creditore mentre, l’ipoteca si costituisce con l’iscrizione ipotecaria
nei pubblici registri. Comune al pegno e all’ipoteca è il divieto del patto commissorio, cioè quel patto con cui il debitore ed il creditore
si accordano che nel caso di inadempimento la cosa pignorata o ipotecata passerà in proprietà del creditore. Invece nel nostro diritto
verificatosi l’inadempimento la cosa pignorata o ipotecata sono vendute all’asta ed il creditore si soddisferà sul ricavato d ella
vendita e se avanza qualcosa ciò spetterà agli altri creditori o in mancanza al debitore.
IL PEGNO
Oltre ad essere causa legittima di prelazione è un diritto reale di garanzia. Esso si costituisce con contratto ed è un contratto reale perché
si perfeziona con la dazione della “res”, che passa dalle mani del debitore a quelle del creditore. Il contratto di pegno deve avere forma
scritta con data certa, se garantisce un credito superiore a 2,58 euro; entro tale valore la forma scritta non è necessaria. Se
manca la forma scritta il credito sarà garantito entro 2,58 euro, in applicazione del principio “utile per inutile non viziatur”. Va distinta la
figura della cauzione , detta anche pegno irregolare. Talvolta a garanzia di un credito di denaro (ad esempio: canone di locazione)
viene prestata una somma di denaro a titolo di cauzione. Tale somma passa in proprietà del creditore che, alla fine del rapporto
obbligatorio (ad esempio: alla fine della locazione) o compensa la cauzione, ovvero restituisce al debitore il “tantundem” , altrettanta
quantità di cose della stessa quantità. Quindi la cosa data in pegno, a differenza della cauzione, non passa in proprietà del creditore ma,
resta in proprietà del debitore, anche se egli ne perde il possesso.
L’IPOTECA
L’ipoteca non è solo una causa legittima di prelazione che attribuisce lo “ ius praelationis ”, e cioè il diritto del creditore di soddisfarsi con
preferenza e precedenza rispetto agli altri creditori ma, è anche un diritto reale di garanzia e attribuisce anche lo “ ius persequendi ad
versus omnes ”, cioè il diritto di perseguire il bene alienato a terzi, e lo “ ius distraendi ”, cioè il diritto di far vendere la cosa e soddisfarsi
sul ricavato.L’ipoteca si costituisce con l’iscrizione ipotecaria che ha natura costitutiva, per cui il diritto di ipoteca sorge solo a
seguito di iscrizione ipotecaria. Ciò differentemente dalla trascrizione, che è pubblicità dichiarativa, poiché serve solo a portare a
conoscenza dei terzi il trasferimento della proprietà di un bene già avvenuto sulla base dell’incontro dei consensi.
L’ipoteca presenta i seguenti caratteri:
•Specialità , poiché essa ha ad oggetto beni immobili specificamente determinati, e quindi registrati, o rendite dello Stato;
•Pubblicità , poiché essa si costituisce con iscrizione ipotecaria che ha valore di pubblicità costitutiva;
•Indivisibilità , poiché essa grava su tutto il bene e su ciascuna parte del bene “est tota in toto et in qualibet parte fundi”, cioè è tutta
sull’intero ed in ciascuna parte del fondo. Ne consegue che in caso di inadempimento da parte del debitore, il creditore potrà soddisfarsi
su qualunque parte del bene ipotecato.Se vi sono più creditori che iscrivono ipoteca sullo stesso bene del debitore, avrà prevalenza chi
ha iscritto ipoteca per primo, che si dice creditore ipotecario di primo grado . Ciò, in applicazione del principio “prior in tempore potior
in iure”, cioè primo nel tempo più forte nel diritto. Tuttavia anche chi ha iscritto ipoteca dopo, divenendo così creditore di secondo o di
terzo grado, potrà soddisfare le pretese del primo e surrogarsi ad esso.
L’ipoteca può essere:
•Legale , è quella prevista dalla legge (ad esempio: l’ipoteca dell’alienante sulla cosa alienata agaranzia del prezzo);
•Volontaria , che si costituisce per volontà delle parti. Essa si può costituire o con un negozio unilaterale o con contratto. Non può però
costituirsi ipoteca con testamento (atto “mortis causa”);
•Giudiziale , è quella che trova la sua fonte in una sentenza del Giudice. Per precisione quando il Giudice condanna un soggetto
all’adempimento, l’altra parte ha il diritto di iscrivere ipoteca sui beni del condannato all’adempimento.
L’ipoteca può anche essere concessa da un terzo, terzo datore di ipoteca. L’ipoteca su cosa altrui comporta l’obbligazione del costituente
di procurarsi la proprietà della cosa altrui e, solo in questo momento, potrà iscrivere ipoteca. L’ipoteca su cosa futura potrà dirsi
giuridicamente esistente solo quando il bene sarà venuto all’esistenza.
L’ANTICRESI
L’anticresi è un contratto con il quale il debitore o un terzo si obbligano a concedere al creditore a garanzia, generalmente di una
somma di denaro, il godimento di un bene immobile, sicché il creditore potrà godere dell’immobile stesso percependone i frutti ed
imputandoli prima agli interessi, se dovuti, e poi al capitale. Con tale contratto si ha quindi che il debitore gode della somma di denaro,
mentre il creditore, gode dei frutti dell’immobile. Non a caso tale contratto deriva nell’etimologia del nome da “antì kraomai”, cioè
godere reciprocamente. È chiara la differenza tra ipoteca e anticresi:
•L’anticresi non è una causa legittima di prelazione, né un diritto reale di garanzia e non attribuisce né “ ius praelationis ”, né “ ius
persequendi ad versus omnes ”, né “ ius distraendo ”;
•Mentre nell’anticresi il possesso del bene passa al creditore, che percepisce i frutti, nell’ipoteca il possesso del bene ipotecato resta
comunque al debitore, che continua a percepirne i frutti.
I MEZZI LEGALI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE
Sappiamo che per l’esistenza stessa dell’obbligazione il debitore risponde dell’adempimento con tutti i suoi beni presenti e futuri. Il
creditore ha diritto a soddisfarsi su tutti i beni presenti e futuri del debitore. Questa generica rispondenza del debitore con tutti i suoi beni
si chiama garanzia generica del credito e uno dei motivi per cui essa si chiama così è costituito dal fatto che essa sussiste fino a quando
i beni sono a far parte del patrimonio del debitore ma, cessa quando i beni escono dal patrimonio del creditore. Può darsi perciò che il
debitore diminuisca la garanzia generica del creditore, o non esercitando diritti ed azioni che gli competono, o al contrario compiendo atti
di disposizione del suo patrimonio. Per tali ragioni il legislatore accorda al creditore due azioni che, poiché sono dirette a conservare
la garanzia patrimoniale del creditore, sono dette mezzi legali di conservazione della garanzia patrimoniale del creditore.
Essi sono:
- L’azione surrogatoria , che presuppone un’inerzia del debitore, cioè presuppone che il debitore non eserciti diritti ed azioni che gli
competono (ad esempio: non riscuotendo crediti o non essendo vigile affinché possa evitare che si compia un’usucapione di un suo
fondo). E con questa inerzia il debitore può determinare la diminuzione del suo patrimonio e quindi della garanzia generica.
Perciò la legge accorda al creditore il diritto di chiedere al Giudice di surrogarsi, cioè di sostituirsi, al debitore per esercitare i diritti e le
azioni che competono al debitore, sempre che abbiano natura patrimoniale e non siano invece strettamente personali. Conseguentemente
il creditore non potrebbe sostituirsi al debitore per chiedere la separazione legale tra coniugi, né promuovere il disconoscimento della
paternità e neppure chiedere gli alimenti nei confronti dei congiunti del debitore perché, anche se questa richiesta ha natura patrimoniale,
essa è però strettamente personale. Il risultato dell’azione surrogatoria è meramente recuperatorio, nel senso che i beni che il
creditore recupera restano a far parte del patrimonio del debitore. Sarà solo in caso di inadempimento del debitore che il creditore
potrà soddisfarsi sui beni del debitore, e tra questi anche sui beni recuperati;
- Azione revocatoria , o azione paoliana: mentre l’azione surrogatoria presuppone un’inerzia del debitore, quest’azione presuppone
invece un’attività del debitore. Essa presuppone che il debitore compia un atto di disposizione del suo patrimonio o a titolo oneroso
(venda un suo immobile) o a titolo gratuito (doni un immobile), diminuendo così il suo patrimonio, e quindi la garanzia generica del
creditore. Nelle dette ipotesi la legge accorda al creditore l’azione revocatoria con l’esperimento della quale, il creditore mira ad una
dichiarazione di inefficacia dell’atto di disposizione.
Perché sia esperibile tale azione sono necessari due requisiti:
•“ L’eventus damni ”, il pericolo della diminuzione del patrimonio del debitore, e quindi della garanzia generica del creditore;
•“ Consilium fraudis ”, cioè la consapevolezza del debitore di arrecare un danno al creditore;
Per quanto riguarda i terzi, l’azione produce effetti e può essere esperita nei confronti di tutti i terzi che abbiano acquistato a titolo gratuito
sia in buona, che in mala fede. Per quanto riguarda i terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso, saranno pregiudicati dall’azione
solo i terzi che abbiano acquistato e siano in mala fede mentre, restano salvi i diritti acquisiti dai terzi acquirenti a titolo oneroso in
buona fede. La “ratio” di tale differente trattamento è simile a quella degli effetti dell’annullamento del negozio in frode ai terzi. Di fronte al
creditore che esperisce azione e che lotta per evitare un danno, vi è un acquirente a titolo gratuito che invece lotta per conseguire
un lucro e quindi tra i due, la legge tutela il creditore. Se l’acquirente è a titolo oneroso, in questo caso di fronte al creditore che lotta
per evitare un danno, vi sarà un acquirente che anch’egli cerca di evitare un danno, in questo caso la legge sceglie di tutelare il terzo
acquirente a titolo oneroso, se in buona fede. Per mala fede del terzo si intende la “ partecipatio fraudis ”, che è la consapevolezza di
diminuire la garanzia generica del creditore arrecandogli un danno. La prova dei due requisiti “dell ’ eventus damni” e del “ consilium
fraudis” sta a carico del creditore, così come la prova della “ patecipatio fraudis ”. Il risultato dell’azione revocatoria è la dichiarazione
di inefficacia dell’atto di disposizione del debitore. Quindi tale atto non è né nullo, né annullabile; è invece valido e regolare in sé
ma, inidoneo a produrre effetti giuridici ed in particolare trattasi di inefficacia relativa, cioè solo nei confronti di quei creditori
che hanno esperito azione revocatoria. Ne consegue che ove il creditore sia soddisfatto con l’adempimento, oppure rinunzi ad
esercitare atti esecutivi sui beni di cui ha disposto il debitore, l’atto di disposizione posto in essere tra debitore e terzo, sarà pienamente
valido e regolare. Per la certezza dei rapporti giuridici va aggiunto che l’azione revocatoria si prescrive in 5 anni che decorrono dal giorno
della conclusione dell’atto di disposizione.Sottolineiamo le differenze tra simulazione e negozio in frode ai creditori.Il negozio simulato è
un negozio fintamente posto in essere dalle parti che in realtà non ne vogliono nessuno mentre, nel negozio in frode ai creditori, il negozio
è effettivamente voluto per frodare i creditori. Così se Tizio teme che un suo bene possa essere aggredito da un suo creditore, può
simulatamente venderlo ad un terzo ma, in tal caso, né il terzo paga alcun prezzo, né vi è trasferimento del possesso (simulazione).
Invece, se Tizio per lo stesso timore vende effettivamente ad un terzo il suo bene, in tal caso, non solo il terzo pagherà il prezzo ma, vi
sarà anche trasferimento di possesso (negozio in frode al creditore). Il primo negozio in quanto simulato è nullo. Il secondo, in quanto in
frode ai creditori è inefficace e lo è solo nei confronti del creditore che abbia esperito l’azione revocatoria;
IL SEQUESTRO CONSERVATIVO
Il sequestro è una misura cautelare che riguarda il diritto processuale e si ha quando il creditore, avendo fondato motivo di temere
di perdere la garanzia generica, chiede al Giudice di porre un vincolo sui beni del debitore, cioè appunto un sequestro. La
violazione del sequestro da parte del debitore costituisce reato. Il sequestro si chiama conservativo proprio perché mira a conservare la
garanzia generica patrimoniale del creditore.
I MEZZI ECCEZIONALI DI RAFFORZAMENTO DEL DIRITTO DI CREDITO
“ Ius retentionis ”: il diritto di ritardare la consegna di una cosa fino al soddisfacimento delle proprie pretese.Il possessore in buona fede,
tenuto alla restituzione dell’immobile, può ritardarne la consegna fino a che non gli sia corrisposta l’indennità dovutagli per le migliorie
apportate al fondo.
Il patto del “ solve et repete ” (paga e ripeti): il patto con cui il creditore e il debitore si accordano nel senso che il debitore non potrà
opporre alcuna eccezione per ritardare l’adempimento, nemmeno “l’exceptio indemplaeti contractus”, che è tipica dei contratti
sinallagmatici. La legge con norma imperativa esclude però che il patto del “ solvet et repete ” possa riguardare eccezioni di nullità,
annullabilità ed inefficacia, che quindi potranno essere fatte valere. Perciò se viene stipulato questo patto, il debitore dovrà subito
adempiere e solo poi potrà far valere le sue ragioni che, se fondate, gli danno diritto a ripetere la prestazione. Inoltre il Giudice
per gravi motivi può ordinare la sospensione dell’adempimento. Questi due mezzi di rafforzamento del credito devono ritenersi eccezionali
poiché normalmente il privato non può farsi giustizia da sé. Si tratta quindi di ipotesi tassativamente previste dalla legge che la dottrina
qualifica come mezzi di autotutela del creditore. Altri mezzi di autotutela possono considerarsi gli istituti della clausola risolutiva espressa,
della diffida ad adempiere, del termine essenziale, “dell’exceptio inademplaeti contractus” e della clausola penale.
TEORIA GENERALE DEL CONTRATTO
Il contratto è un negozio giuridico bilaterale perché consta della manifestazione di volontà di due parti distinte. Ai sensi dell’articolo 1321
del Codice Civile, il contratto è l’accordo tra due o più parti diretto a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale.
Suoi elementi essenziali sono:
•La manifestazione di volontà delle due parti , quindi l’accordo;
•L’oggetto , che deve essere patrimoniale, lecito, possibile, determinato o quantomeno determinabile;
•La causa , che non deve essere contraria a norme imperative di diritto, buon costume e ordine pubblico;
•La forma , quando essa è richiesta “ ad substantiam”.
I contratti si classificano in:
•Contratti tipici o nominati , che sono quelli la cui disciplina è prevista dalla legge (ad esempio: compravendita, locazione);
•Contratti atipici o innominati , che sono quelli la cui disciplina non è prevista dalla legge ma, creata dalla libera volontà delle parti, in
attuazione del principio dell’autonomia contrattuale, sempre nei limiti dei principi generali stabiliti per i contratti;
•Contratti misti , che sono quelli che partecipano di due o più tipi di contratti nominati.
I Contratti plurilaterali sono quelli che hanno 3 o più parti distinte (ad esempio: contratto costitutivo di società). Il contratto è
solitamente un negozio bilaterale per struttura perché generalmente è posto in essere da due parti; tuttavia, si conoscono anche
contratti con 3 o più parti, detti plurilaterali. Da notare che, mentre nel contratto tra due parti, il vizio di una di essa si estende all’intero
contratto, in quello plurilaterale, il vizio di una parte lascia salvo il resto del contratto, a meno che quella parte non sia essenziale a tutto il
contratto, nel qual caso tutto il contratto viene meno.
Riguardo gli effetti del contratto, i contratti sono distinti anche in:
•Contratti unilaterali , che producono effetti vincolativi per una sola parte (ad esempio: donazione, mutuo);
•Contratti bilaterali , detti contratti a prestazioni corrispettive o sinallagmatiche, che producono effetti vincolativi per entrambe le parti. In
tali contratti le parti sono tenute ad adempiere ciascuna una prestazione, e le due prestazioni sono legate da un vincolo di interdipendenza,
detto sinallagma. Se una delle prestazioni è illecita o impossibile sin dall’inizio, per il sinallagma genetico , verrà meno anche l’altra
prestazione. Mentre, se una delle due prestazioni diventa impossibile dopo la conclusione del contratto, per effetto del sinallagma
funzionale , verrà meno anche l’altra prestazione. Alcuni contratti sono detti bilaterali imperfetti in quanto producono effetti vincolativi per
una sola parte (ad esempio: mandato, che obbliga il mandatario a svolgere gli obblighi del mandato stesso). Ma tali contratti per taluni
effetti possono produrre conseguenze anche nei confronti dell’altra parte (ad esempio: obblighi del mandante di rimborsare le spese del
mandatario o di anticipargli i mezzi per svolgere il mandato).
Si distinguono ancora:
•Contratti a titolo gratuito , che comportano depauperamento di un soggetto senza vantaggio (ad esempio: donazione);
•Contratti a titolo oneroso , che comportano un reciproco vantaggio per le parti (ad esempio: compravendita).
Distinguiamo ancora:
•Contratti di scambio , in cui una prestazione è a vantaggio dell’altra;
•Contratti associativi , in cui ogni singola prestazione è diretta al perseguimento di uno scopo comune.
Distinguiamo anche:
•Contratti commutativi , in cui le reciproche prestazioni sono entrambe certe e determinate;(es compravendita)
•Contratti aleatori , in cui le reciproche prestazioni non sono entrambe certe e determinate (adesempio: nel contratto di assicurazione,
mentre è certo il premio che paga l’assicurato, non è certo se e quanto l’assicuratore pagherà). In questi contratti è insita l’idea del rischio,
e quindi per essi non è possibile esperire né azione di rescissione per lesione, né azione di risoluzione per sopravvenuta eccessiva
onerosità della prestazione.
Abbiamo anche contatti:
•Contratti ad esecuzione istantanea (ad esempio: la compravendita , che essendo scambio di cosa contro prezzo, sono ad esecuzione
istantanea);
•Contratti ad esecuzione continuata o differita , detti anche contratti di durata, che sono caratterizzati dal fatto di avere prestazioni che
hanno esecuzioni periodiche nel tempo. (Esempio contratto di appalto,contratto di lavoro)
Si distinguono anche:
•Contratti a forma libera , che possono essere posti in essere in qualunque forma a scelta delle parti;
•Contratti a forma vincolata , detti contratti solenni, per i quali è prevista una determinata forma “ ad substantiam ”.
Si distinguono:
•Contratti consensuali , che si perfezionano con il mero consenso delle parti legittimamente espresso (ad esempio: compravendita);
•Contratti reali , che si perfezionano con la dazione di una “ res ”.(esempio pegno,mutuo,datio in solutum)
Infine si distinguono:
•Contratti ad effetti reali , che sono quelli traslativi di proprietà oppure traslativi o costitutivi di altro diritto reale;(esempio compravendita)
•Contratti ad effetti obbligatori , che sono quelli produttivi di obbligazioni per le parti.(esempio locazione).
IL CONTRATTO PRELIMINARE
Il contratto preliminare, o compromesso, o “pactum de contraendo”, è un accordo di due parti con il quale esse si obbligano a stipulare
un contratto futuro del quale delineano gli elementi essenziali, che si chiama contratto definitivo . Il contratto preliminare, in quanto è
prodromico del contratto definitivo, deve avere la stessa forma prevista per quest’ultimo, a pena di nullità. Il contratto preliminare
non va confuso con le trattative contrattuali che sono scambi di punti di vista, accordi sul futuro contratto e a bozza di contratto futuro.
Nemmeno va confuso il contratto preliminare con il contratto posto in essere dalle parti in una determinata forma, con l’obbligo
di riprodurlo in forma pubblica. In tal caso, infatti il contratto è già un contratto definitivo e l’obbligo di riprodurlo in forma
pubblica è solo una questione di forma e non di sostanza. Per quanto riguarda gli effetti, se una delle parti non adempie all’obbligo
derivante dal contratto preliminare, che è quello di stipulare il definitivo, la parte fedele al contratto preliminare può avere diritto al
risarcimento, se ciò è possibile e non è escluso dal titolo, e soprattutto potrà rivolgersi al Giudice e ottenere una sentenza costitutiva che
produce gli stessi effetti del contratto definitivo non concluso (esecuzione in forma specifica, art. 2932 Codice Civile). In tal caso, il Giudice
con la sua sentenza si sostituisce al privato e tiene luogo del consenso da lui non prestato e che aveva invece l’obbligo di prestare in
forza del contratto preliminare, trattasi dell’adempimento forzoso di un obbligo di fare che consiste nel prestare il consenso per il definitivo.
Recentemente il legislatore ha anche previsto la possibilità di trascrivere il preliminare.Tutti i contratti possono essere preceduti
da un contratto preliminare, anche i contratti reali. Fanno eccezione la donazione, perché la libertà di donare deve essere totale, e il
testamento, che è revocabile dal testatore “usque ad supremum vitae ad exitum”, fino all’ultimo istante di vita.
CESSIONE DEL CONTRATTO
Nei contratti bilaterali,se le prestazioni non sono state ancora eseguite una parte detta cedente,può cedere il contratto, cioè i diritti e le
obbligazioni da esso nascenti, ad un’altra parte, detta cessionario , purché la parte ceduta presti il suo consenso. Il consenso può essere
prestato in via preliminare,e in tal caso, sarà sufficiente la notifica alla parte ceduta. Il cedente non risponde verso il ceduto
dell’inadempimento del cessionario, a meno che, non abbia prestato una garanzia ad hoc; in tal caso, il cedente resta debitore
sussidiario e quindi, egli risponderà nei confronti del ceduto solo in caso di inadempimento del cessionario. Allo stesso modo, il cedente
non risponde verso il cessionario del mancato adempimento del ceduto, a meno che non abbia prestato una garanzia ad hoc.
In tal caso, resta debitore accessorio, e quindi risponde come se fosse un fideiussore, e quindi in solido con il ceduto, ed il cessionario
potrà rivolgersi indifferentemente o nei confronti del cedente, o nei confronti del ceduto. Il debitore sussidiario è quello a cui il creditore
può rivolgersi solo se sia stato inutilmente escusso il debitore principale mentre, il debitore accessorio invece, risponde in solido con il
debitore principale, di modo che il creditore potrà rivolgersi indifferentemente nei confronti del debitore originario o del debitore accessorio
indifferentemente(come avviene nella fideiussione). Dalla cessione del contratto va distinto il subcontratto . Nella cessione vi è un
contratto originario con i suoi rapporti giuridici attivi e passivi che viene ceduto da una delle parti ad un terzo, e quindi restando fermo il
rapporto. Invece, si ha subcontratto, quando le parti sulla base dell'originario contratto stipulano un altro contratto che potrà essere
diverso dal primo per qualsiasi clausola (come la durata).
TRATTATIVE CONTRATTUALI
Le trattative contrattuali sono scambi di punti di vista o intese sul futuro contratto,abbozzo di futuro contratto . In tale fase le parti hanno
il dovere di adempiere ad un obbligo di lealtà e di comportarsi in buona fede. Trasgredisce tale dovere la parte che senza giustificato
motivo recede dalle trattative quando esse avevano raggiunto un punto tale da generare nell’altra parte la ragionevole convinzione di
poter fare affidamento su un futuro contratto e quindi andassero a buon fine .La parte che ha violato il dovere di lealtà dovrà risarcire
i danni alla parte fedele. Si parla di responsabilità pre contrattuale. Per la natura giuridica, la dottrina maggioritaria la fa rientrare
nella responsabilità extracontrattuale poiché vi è un fatto illecito produttivo di un danno ingiusto. È chiaro che il risarcimento del danno
sarà inferiore ad un risarcimento dovuto nell’ipotesi di inadempimento e consisterà nel risarcimento del cosiddetto interesse negativo
che comprende le spese sopportate per le trattative, ed il lucro cessante , che è il mancato guadagno consistente nell’aver perso tempo
in trattative inutili mentre, ci si sarebbe potuti dedicare a trattative più produttive.
PROCESSO/ITER DI FORMAZIONE DEL CONTRATTO
Quando si parla di iter di formazione del contratto si presuppone che sia tra persone lontane, in quanto se le parti sono vicine è facile
l’incontro dei consensi.Ciò premesso, essendo il contratto un negozio bilaterale, esso consta di una proposta e di un’accettazione.
La proposta deve contenere tutti gli estremi del futuro contratto, ciò perché l’accettazione deve consistere in una manifestazione di
volontà di mera adesione alla proposta, altrimenti valendo come nuova proposta. Proposta e accettazione sono manifestazioni di
volontà ma non sono negozi giuridici, tanto che una parte della dottrina li qualifica come elementi pre negoziali( essendo elementi
del futuro contratto.)
Quando si conclude il contratto???
Per risolvere questa questione la legge distingue:
•Contratti bilaterali, produttivi di effetti vincolativi per entrambe le parti per cui il legislatore ha accolto la teoria della cognizione , per
cui il contratto si considera concluso quando l’accettazione della proposta giunge al proponente;
•Contratti unilaterali, produttivi di effetti vincolativi per una sola parte, per cui il legislatore ha accolto la teoria dell’accettazione , per
cui il contratto si considera concluso quando esso è accettato dal destinatario della proposta, che si chiama anche oblato.
Il momento della formazione del contratto è importante per le ipotesi di revoca della proposta o di revoca dell’accettazione. Il
proponente può infatti revocare la proposta purché emetta la dichiarazione di revoca prima che giunga l’accettazione da parte
dell’oblato(destinatario). L’oblato può revocare l’accettazione purché tale dichiarazione di revoca giunga all’altra parte prima
dell’accettazione. Le ipotesi di revoca si applicano anche nel caso di morte o sopravvenuta incapacità di una delle due parti, nel senso
che esse interrompono l’iter di formazione del contratto negli stessi termini della revoca della proposta o dell’accettazione, a meno che
non si tratti di proposta fatta da un imprenditore nell’esercizio della sua impresa. Solo in quest’ultima ipotesi si verifica il
fenomeno della successione nella proposta o nell’accettazione mentre, in tutti gli altri casi, si interrompe l’iter di formazione del
contratto, a meno che il proponente non si sia obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo periodo di tempo, cosiddetta proposta
ferma . Tuttavia, se nonostante la revoca della proposta l'oblato di essa abbia dato esecuzione al contratto, prima di conoscere
la revoca della proposta, il proponente sarà tenuto al risarcimento dei danni nei confronti dell’oblato, trattasi di responsabilità
precontrattuale che comporta un obbligo di risarcimento del danno come visto in precedenza.
L’OFFERTA AL PUBBLICO
L’offerta al pubblico è una proposta contrattuale rivolta ad un numero indeterminato di persone contenente in sé gli estremi essenziali del
futuro contratto. L’offerta al pubblico è sempre e comunque revocabile senza che la regola sia portata a conoscenza dei destinatari, che
sono potenzialmente numerosi e indeterminati, sicché è impossibile portare a loro conoscenza la revoca della proposta.
L’OPZIONE
Analogo istituto a quello della proposta ferma è l’opzione. Anche nell’opzione vi è una proposta ferma per un certo periodo di tempo ma,
nell’opzione essa avviene per volontà di entrambe le parti. Anche nell’opzione vi è quindi una proposta che rimane ferma per un
certo periodo di tempo e da essa deriva il diritto della parte beneficiaria dell’opzione di perfezionare il contratto con la sua sola
accettazione.L’opzione non può essere stabilita a tempo indeterminato; se manca un termine, l’interessato potrà rivolgersi al Giudice e
far fissare un termine da questo.
IL CONTRATTO A FAVORE DI UN TERZO
Il contratto produce effetti solo tra le parti mentre, per i terzi è “res inter alios acta”, cioè cosa fatta tra altri.
Non è eccezione a tale principio il contratto a favore di un terzo perché, tale contratto non è vincolativo per il terzo ma, è solo produttivo
di un favor per lui. In diritto romano tale figura di contratto non era ammessa, e anzi vigeva il principio “nemo stipulari alteri potest”,
nessuno può stipulare per un altro. Il Codice Civile del 1865 l’aveva prevista come modalità di contratto ma, è solo con il Codice
del 1942 che diventa una figura autonoma. Questo contratto è posto in essere da uno stipulante ed un promittente con l’accordo che il
diritto o il beneficio, scaturente dal contratto, si produrrà direttamente a favore del terzo (ad esempio: lo stipulante è il soggetto che stipula
un’assicurazione sulla propria vita a favore del coniuge, il promittente è la società assicuratrice ed il terzo è il coniuge). Tale diritto viene
acquistato immediatamente dal terzo senza che sia necessario che il terzo stesso dichiari di volerne approfittare, di modo ch e
la dichiarazione di volerne approfittare data dal terzo è meramente confermativa e non attributiva del favore.Lo stipulante conserva
il diritto di revocare il beneficio, a meno che il terzo non abbia dichiarato di volerne approfittare. Ne consegue che il terzo acquista
immediatamente il diritto ma, questo è sottoposto alla condizione risolutiva della revoca da parte dello stipulante mentre, la
dichiarazione da parte del terzo di volerne approfittare, è paralizzata del potere di revoca. Un tipo particolare di contratto a favore
di un terzo è quello che produce effetti dopo la morte dello stipulante. In tale ipotesi, lo stipulante conserva sempre il potere di revocare
il beneficio anche con testamento e nonostante la dichiarazione del terzo di volerne approfittare. Lo stipulante perde il diritto di
revocare il beneficio solo ed esclusivamente se vi abbia rinunciato per iscritto. Il contratto a favore di un terzo va distinto dal contratto
concluso dal rappresentante. In quest’ultimo caso, agendo il rappresentante in nome e per conto del rappresentato, gli effetti si
producono in capo al rappresentato che diventa parte contraente. Invece, il contratto a favore di un terzo non è vincolativo per il terzo che
non diventa parte contraente ma, solo destinatario del favor.
LA PRELAZIONE
Di regola, tutti sono liberi di concludere il contratto con chi vogliano; tuttavia, se vi è per volontà delle parti, o per volontà della legge, un
soggetto munito del diritto di prelazione, nella stipulazione del contratto, questi dovrà essere preferito a qualsiasi altro. Perciò il soggetto
resta libero di concludere o non concludere un contratto ma, se lo conclude, dovrà farlo nei confronti di chi abbia la prelaz ione
volontaria o legale.Prelazione volontaria , se è violato il diritto di prelazione, il contratto con il terzo produce tutti i suoi effetti, e quindi
sono salvi i diritti dei terzi ma, il titolare della prelazione, avrà diritto al risarcimento del danno.Prelazione legale , se è violato tale diritto,
il titolare della prelazione potrà agire per riscattare il bene a parità di condizioni rispetto al terzo, cosiddetto retratto. Un esempio di
prelazione legale è dato dall’affittuario agricolo che sia coltivatore diretto, o in mancanza, dal coltivatore diretto del fondo confinante.
I CONTRATTI PER ADESIONE
Quando un contratto è stipulato tra due privati, si segue il normale iter:
Trattative contrattuali Proposta Accettazione Stipulazione
Se una delle due parti è un’impresa di grosse dimensioni, per le sue stesse dimensioni, è difficile seguire cliente per cliente tutte le fasi
che portano alla conclusione del contratto. Ecco perché tali imprese si premuniscono di contratti tipo o contratti standard, che contengono
in sé tutte le clausole contrattuali che l’altra parte accetta in blocco. Se la parte aderisce a tutte le clausole si ha la figura del contratto
per adesione. Il contratto per adesione è quel contratto in cui le clausole sono prestabilite e predisposte unilateralmente da una
parte, mentre l’altra le accetta in blocco. La legge tutela il legittimo affidamento chela parte aderente fa nel contratto standard ed ha
attenzione per le clausole cosiddette vessatorie, cioè quelle clausole che comportano una deroga rispetto ai principi generali. Per queste
clausole, il Codice prevede che esse siano efficaci solo se sottoscritte a parte dall’aderente. Il legislatore comunitario ha previsto
una tutela del cosiddetto consumatore, parte debole.
LA FORZA VINCOLANTE DEL CONTRATTO
Il contratto è vincolativo per le parti, tanto che si dice che esso ha forza di legge tra le parti. Pertanto una volta concluso, il contratto è
obbligatorio per le parti e può essere sciolto solo con il concorde consenso delle parti stesse, cosiddetto “consensus contrarius” o mutuo
dissenso. Talvolta, è prevista la facoltà per le parti di recedere dal contratto. In questo caso, le parti predeterminano il quantum della
somma di denaro dovuta per recedere, che costituisce il contenuto della caparra penitenziale.
LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
La risoluzione del contratto è un istituto tipico ed esclusivo dei contratti bilaterali. I contratti bilaterali producono effetti vincolativi per
entrambe le parti. In essi ciascuna delle parti deve adempiere una prestazione, e le due prestazioni sono tra loro legate dal sinallagma.
Ne consegue che, se dopo la conclusione del contratto viene meno una delle due prestazioni, deve venire meno anche l’altra, perché una
prestazione è causa dell’altra. In tal caso, si ha la risoluzione del contratto, che è quindi il venir meno del contratto per cause
sopravvenute dopo la conclusione del contratto stesso, e precisamente:
•per inadempimento di una delle parti;
•per sopravvenuta impossibilità di una delle prestazioni;
•per sopravvenuta eccessiva onerosità di una delle prestazioni.
RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO
Nei contratti bilaterali, se una delle parti è inadempiente, l’altra ha il diritto di agire per ottenere l’adempimento tardivo e il risarcimento del
danno. Essa però in alternativa, può agire per chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento. Da notare che, se la parte ha agito
per ottenere l’adempimento può rinunciarvi e poi esperire azione di risoluzione, se al contrario la parte ha optato per risoluzione per
inadempimento, non può poi rinunciarvi e pretendere l’adempimento, perché ha implicitamente affermato di non avere più interesse
all’adempimento. La risoluzione del contratto per inadempimento di una delle parti era considerata dalla dottrina come un’ipotesi
di condizione risolutiva tacita del contratto bilaterale; tale tesi non può essere accolta perché la condizione è un elemento
accidentale del negozio mentre la risoluzione è insita nella natura del contratto e anche perché essa è prevista come sanzione
della parte inadempiente. La risoluzione per inadempimento di una delle parti deve essere chiesta al Giudice che, valutato che
l’inadempimento è dovuto alla parte colpevole, pronuncia sentenza costitutiva con la quale viene risolto il contratto e vengono liquidati,
se richiesti, gli eventuali danni.
La risoluzione del contratto bilaterale per inadempimento di una delle parti può avvenire anche ipso iure in tre ipotesi previste
dalla legge:
•Clausola risolutiva espressa, le parti di un contratto bilaterale possono sin dall’inizio stabilire che, se una delle due parti non adempie
la sua prestazione, il contratto si intende risolto di diritto; quando una parte è inadempiente, la parte fedele dovrà limitarsi a
comunicare all’altra parte che intende avvalersi della clausola risolutiva espressa. Nel momento in cui giunge questa
comunicazione, il contratto è risolto di diritto. Se eventualmente insorge una lite tra le parti (perché ad esempio: la parte inadempiente
afferma che l’inadempimento è dovuto a caso fortuito o forza maggiore) sarà necessario l’intervento del Giudice, ma quest’ultimo
pronunzierà solo una sentenza dichiarativa in cui si limiterà ad accertare che il contratto si è risolto per effetto della clausola risolutiva
espressa;
•Diffida ad adempiere , se nel contratto bilaterale le parti non hanno sin dall’origine stabilito la clausola risolutiva espressa,la parte fedele
potrà giungere alla risoluzione di diritto nel seguente modo: verificatosi l’inadempimento di una parte, la parte fedele può invitare
l’altra parte ad adempiere entro un congruo termine (di solito non inferiore a 15 giorni) con l’avvertenza che, decorso inutilmente
questo termine, il contratto si intenderà risolto di diritto, come se le parti avessero ad origine espresso la clausola risolutiva espressa,
ed una sentenza del Giudice sarebbe meramente dichiarativa;(in caso di lite)
•Il termine essenziale , che è quel termine che è di essenza alla prestazione in modo che, quel quid che fosse eventualmente prestato
dopo la scadenza del termine, non sarebbe più giuridicamente prestazione (ad esempio: sarto che non consegna l’abito di nozze entro il
giorno del matrimonio). Scaduto il termine essenziale, la parte che aveva diritto all’adempimento(creditore) può legittimamente
rifiutare la cosiddetta prestazione senza essere tenuta a comunicare alcunché. È tuttavia previsto il diritto della parte che intenda
accettare la cosiddetta prestazione tardiva, di accettarla ma, in tal caso, dovrà comunicarlo all’altra parte entro 3 giorni dopo la scadenza
del termine essenziale.
Queste tre ipotesi hanno anche il nome di autotutela .
EXCEPTIO INADIMPLETI CONTRACTUS (ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO)
Qualora per i contratti bilaterali sia stabilito un termine diverso di adempimento per le parti o ciò risulti per la natura stessa del contratto,
la parte che deve adempiere per seconda, può rifiutarsi di adempiere se quella che avrebbe dovuto adempiere per prima non ha
ancora adempiuto (dicevano i romani che non si deve adempiere a chi non ha adempiuto). Ricordiamo che tale “exceptio” non può
essere fatta valere quando le parti abbiano stipulato il patto del “solve et repete”. Se le due prestazioni devono essere adempiute
contemporaneamente, una parte può rifiutarsi di adempiere se l’altra non adempia contemporaneamente o quanto meno non si offra di
adempiere contemporaneamente.
IL MUTAMENTO DELLE CONDIZIONI PATRIMONIALI DI UN CONTRAENTE
Nei contratti bilaterali la legge ha previsto un ulteriore tutela che prescinde dall’inadempimento, ed anzi lo precede. Se una parte
ha subito un mutamento delle sue condizioni patrimoniali (ad esempio: il compratore che non ha ancora pagato il prezzo e subisce un
dissesto finanziario), l’altra parte potrà fondatamente ritenere di non offrire più la sua prestazione. In tal caso, potrà rivolgersi al Giudice
e chiedere di sospendere l’esecuzione della sua prestazione. Ciò in attesa di ottenere l’adempimento della controprestazione.
LA RISOLUZIONE PER SOPRAVVENUTA IMPOSSIBILITÀ DELLA PRESTAZIONE
Come sappiamo, nei contratti bilaterali se per caso fortuito o per forza maggiore, una delle due prestazioni diviene impossibile, deve venir
meno anche l’altra, poiché, dato il rapporto sinallagmatico, se viene meno una delle prestazioni, anche l’altra verrà meno restando priva
di causa. In questa ipotesi, il contratto si risolve ipso iure , poiché il venir meno di una prestazione determina l’estinguersi anche dell’altra.
Ne consegue che un'eventuale sentenza del Giudice sarà meramente dichiarativa.
RISOLUZIONE PER SOPRAVVENUTA ECCESSIVA ONEROSITÀ DELLA PRESTAZIONE
Nei contratti bilaterali ad esecuzione continuata o differita, cosiddetti contratti di durata, se per effetto di eventi straordinari o imprevedibili
una delle due prestazioni diventa eccessivamente onerosa, la parte, la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa, può chiedere
al Giudice la risoluzione del contratto.Pertanto vi sono tre presupposti per l’azione di risoluzione per sopravvenuta eccessiva
onerosità:
•Che si tratti di contratti bilaterali ad esecuzione continuata o differita(contratti di durata);
•Che la prestazione di una Delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa dopo la conclusione del contratto. A tale proposito
va rilevato che la prestazione deve essere divenuta eccessivamente onerosa dopo la conclusione del contratto, purché la parte non sia
in mora, perché per il principio della “perpetuatio obligationis", tutto ciò che si verifica dopo la mora, si considera effetto della mora. Inoltre,
tale onerosità deve essere eccessiva, cioè tale da creare uno squilibrio patrimoniale grave tra le due prestazioni. Il valutare questa
gravità è rimesso al prudente apprezzamento del Giudice che valuterà caso per caso;
•Che tale onerosità derivi da eventi straordinari o imprevedibili (ad esempio: eccezionale svalutazione monetaria, prolungato sciopero
nazionale o scoppio di una guerra).
Questo tipo di risoluzione non si applica ai contratti aleatori poiché in essi è insita l’idea del rischio e quindi anche la possibilità che una
prestazione diventi eccessivamente onerosa. Analogamente a ciò che avviene nella rescissione per lesione , anche qui la parte
contro la quale è proposta l'azione, può paralizzare l’azione stessa offrendo di ricondurre il contratto ad equità, cosiddetta “reductio ad
aequitatem(riconduzione ad equità) ”, così da ricreare l’equilibrio contrattuale. Quest’ultimo tipo di risoluzione, come quella per
inadempimento, poiché comporta la valutazione da parte del Giudice dell’esistenza e del fondamento dei presupposti, opera
“officio iudicis ”, e quindi con sentenza costitutiva del Giudice.
Si possono a questo punto vedere le differenze tra azione di risoluzione e azione di annullamento:
•L’annullamento ha luogo per i vizi della volontà o per incapacità, cioè per vizi coevi al sorgere del contratto; invece, la risoluzione ha
luogo per cause tutte sopraggiunte dopo la conclusione di un contratto quali: l’inadempimento di una parte, la sopravvenuta impossibilità
della prestazione, la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione stessa;
•Distinzione importante si può fare con riguardo agli effetti sui terzi. Mentre l’annullamento opera su tutti i terzi ad eccezione di coloro
che hanno acquistato a buona fede e con titolo oneroso, nella risoluzione sono salvi i diritti dei terzi. La ragione sta in ciò: poiché i vizi che
determinano l’annullamento esistono sin dal primo momento della conclusione del contratto i terzi erano in condizione di conoscerli.
Invece poiché nella risoluzione le cause sono sopravvenute dopo la conclusione del contratto, i terzi possono conoscerli ma possono
anche non conoscerli affatto.
•Unico punto di contatto è che intervenuta la sentenza del Giudice sia l’annullamento che la risoluzione operano ex tunc(fin
dall'inizio della conclusione del contratto), e quindi il contratto si considera come mai venuto all’esistenza.
AZIONE DI RESCISSIONE
Si dice rescindibile quel contratto che, per essere stato concluso in stato di bisogno ovvero di necessità di una delle parti, comporta un
notevole squilibrio patrimoniale tra le due prestazioni. Da questa stessa definizione emerge che anche la rescissione è un vizio tipico dei
contratti bilaterali. La situazione è questa: contro un soggetto che si trova in stato di bisogno o in stato di necessità, si trova un
altro soggetto che approfitta dello stato di bisogno o di necessità per conseguire un lucro enorme o iniquo.
La legge prevede due tipi di azione di rescissione:
•La rescissione per lesione , di carattere generale.
Essa presuppone l’esistenza dei seguenti requisiti:
•Lesione degli interessi di una parte : si intende la sproporzione tra le 2 prestazioni contrattuali. La legge afferma che tale sproporzione
deve essere enorme, ed è tale quando una prestazione è meno della metà dell’altra, cosiddetta “lesio ultra dimidium”;(lesione oltre la
metà)
•Stato di bisogno della stessa parte : si intende lo stato di bisogno economico di una parte, che non significa necessariamente indigenza
ma, può anche consistere nella necessità di reperire con urgenza denaro liquido. Lo stato di bisogno dovrà essere valutato dal Giudice in
relazione al caso concreto;
•Mala fede della controparte : si intende la consapevolezza dello stato di bisogno e l’intenzione di approfittarne.
Facciamo un esempio: Tizio è in stato di bisogno ed ha un appartamento del valore di mercato di 200.000 euro e Caio, conoscendo lo
stato di bisogno di Tizio, ne approfitta e acquista l’appartamento per 90.000 euro. Nel caso concreto, vi è una “ lesio ultra dimidium ”,
perché una prestazione è meno della metà dell’altra. Va aggiunto che, come visto per la risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità,
anche la rescissione per lesione non può essere chiesta per i contratti aleatori, nei quali è insita l’idea del rischio. Va aggiunto, in tal caso,
come nella risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità, la parte contro cui è proposta l’azione di rescissione, che poi è la
parte che ha approfittato dello stato di bisogno, può paralizzare la rescissione offrendo di ricondurre il contratto ad equità, e
cioè offrendo un congruo supplemento, che nel caso di prima è pari a 110.000 euro.
RECESSIONE PER I CONTRATTI CONCLUSI IN STATO DI PERICOLO
I suoi presupposti sono:
•La lesione degli interessi di una parte : si intende la sproporzione tra le due prestazioni ma, non è necessario che essa sia enorme, è
infatti sufficiente che essa sia iniqua, cioè ingiusta.La valutazione dell’iniquità è rimessa al prudente apprezzamento del Giudice;
•Necessità : si intende la necessità di salvare sé o altri dal pericolo grave e urgente della vita o di un danno alla persona;
•Mala fede della controparte : si intende la consapevolezza dello stato di necessità altrui e l’intenzione di approfittarne (ad esempio: un
giovane facendo imprudentemente alpinismo cade in un crepaccio. Un soccorritore chiede al padre del ragazzo la somma di 120.000
euro per salvarlo e il padre accetta.
Il negozio rescindibile è posto nel nulla officio iudicis , quindi con sentenza costitutiva del Giudice. Nell’ipotesi di contratti conclusi
in stato di pericolo, il Giudice, pur pronunziando la rescissione, può stabilire per il soccorritore un equo compenso.L’azione di rescissione
si prescrive in un anno dal giorno della conclusione del contratto. Se però il fatto costituisce anche reato, il termine di prescrizione
sarà quello più lungo previsto per il reato. L’eccezione di rescissione non è più proponibile una volta che sia prescritta l’azione. Si tratta
di un’eccezione al principio “quae temporalia sunt ad agendum, perpetua sunt ad excipiendum”.
Differenze tra annullabilità e rescissione:
•L’azione di annullamento si prescrive in 5 anni mentre, l’azione di rescissione si prescrive in un anno;
•Mentre l’eccezione di annullamento è sempre proponibile, anche quando si è prescritta l’azione, l’eccezione di rescissione non è più
proponibile quando si è prescritta l’azione;
•Mentre il contratto annullabile può essere sanato con la convalida, il contratto rescindibile non può essere sanato, può al massimo l’azione
di rescissione essere paralizzata mediante l’offerta di riconduzione ad equità da parte di chi ha approfittato dello stato di bisogno nella
sola ipotesi della rescissione per lesione.
LE PROMESSE UNILATERALI
Mentre il contratto è una figura generale,perché le parti, in considerazione della loro autonomia contrattuale, possono stipulare infiniti tipi
di contratto, le promesse unilaterali, cioè provenienti da una sola parte, sono “ numerus clausus”, e quindi sono solo quelle previste dalla
legge.
Esse sono fonti di obbligazioni e sono:
•La promessa di pagamento e la ricognizione di debito: la promessa di pagamento è la promessa con cui una parte si obbliga ad
una determinata prestazione mentre, la ricognizione di debito(detta anche riconoscimento di debito) ,è quella dichiarazione con cui una
parte riconosce un debito nei confronti di un soggetto, quindi riconosce di dovere una determinata prestazione; la promessa di
pagamento e la ricognizione di debito possono essere astratte, se prescindono dalla causa, oppure titolate, se alla causa fanno
riferimento (ad esempio: ti devo 1.000 euro per aver superato l’esame. Riconosco di doverti 1.000 euro per il lavoro che hai svolto). Se
alla promessa o alla ricognizione non segue l’adempimento, la parte a cui era rivolta la promessa o nei cui confronti era riconosciuto il
debito, avrà diritto ad ottenere l’adempimento. Essa potrà rivolgersi al Giudice, ed in tal caso, si verifica un’inversione dell’onere
della prova, poiché sulla base della promessa o della ricognizione il debito si presume esistente, salvo prova contraria che
dimostri che il debito sia inesistente o a causa illecita;
•La promessa al pubblico , che è un atto unilaterale con cui una parte si obbliga ad una determinata prestazione nei confronti di chi si
trova in una determinata situazione (ad esempio: consegue la miglior media agli esami), o di chi compie una determinata azione (ad
esempio: ritrova un cane smarrito). La promessa al pubblico è vincolante quando è resa pubblica con i mezzi necessari. È chiara la
differenza tra offerta al pubblico e promessa al pubblico: l’offerta al pubblico è una proposta contrattuale e come tale revocabile fino a
che non sia giunta al proponente l’accettazione della controparte, invece la promessa al pubblico è vincolativa di per sé e solo può
essere revocata per giusta causa. Se non è fissato alcun termine nella promessa al pubblico, essa cessa di avere effetto se entro un anno
nessuno si trova in quella determinata situazione o compie quella determinata azione;
•I titoli di credito , verranno approfonditi in diritto commerciale.
LE OBBLIGAZIONI NASCENTI DALLA LEGGE (DETTE UNA VOLTA QUASI CONTRATTI)
Le tre figure: della “negotiorum gestio”, del pagamento di indebito (o ripetizione di indebito) e l’arricchimento senza causa che
erano comprese nel Codice del 1865 nella fonte del quasi contratto mentre ora sono riconducibili alla legge.
RIPETIZIONE O PAGAMENTO DI INDEBITO
Per i principi generali in tema di obbligazioni, un pagamento presuppone l’obbligo di effettuarlo, pertanto è logico che, se un soggetto ha
pagato erroneamente senza esservi obbligato, ha diritto a ripetere quanto ha prestato.
L’indebito può essere di due tipi:
•Indebito oggettivo ,quando un soggetto, detto “ solvens ”(colui che paga),paga una prestazione senza avere alcun debito. A
quest’ipotesi è equiparata quella in cui un soggetto paga una prestazione perché aveva un debito ma, paga il debito nei confronti di un
soggetto diverso dal suo creditore;
•Indebito soggettivo ,quando un soggetto, ritenendosi erroneamente debitore, paga in realtà un debito altrui nei confronti del vero
creditore.
Ciò premesso, nel caso di indebito oggettivo, il solvens ha senz’altro diritto di ripetere quanto ha pagato;nel caso di indebito soggettivo,
il solvens ha diritto di ripetere quanto ha pagato, purché l’errore in cui si è indotto sia scusabile, cioè non dovuto a sua colpa. Se invece
trattasi di errore inescusabile, cioè dovuto a mancanza di diligenza media, egli non avrà diritto a ripetere dall ’ accipien s quanto
ha prestato ma, può solo subentrare nei diritti e nelle azioni che spettano al creditore nei confronti del debitore. A questa ipotesi
va assimilata quella in cui il debitore si sia in buona fede privato del titolo o delle garanzie; in tal caso, la legge sceglie di tutelare la buona
fede del creditore e concede al solvens solo di subentrare nei diritti e nelle azioni del creditore verso il debitore.
L’azione di ripetizione di indebito è soggetta al termine ordinario di prescrizione. Essa è inoltre azione personale, perché può essere
proposta solo nei confronti dell’accipiens e non contro i terzi aventi causa da lui.
ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA
Nessuno può arricchirsi con danno altrui, perciò la legge non consente che vi sia depauperamento di un soggetto e conseguente
arricchimento di un altro soggetto senza una causa giustificatrice. Ne consegue che chi si è arricchito senza causa o senza giusta
causa, è tenuto a risarcire nei limiti dell’arricchimento chi si è depauperato. L’azione di arricchimento senza causa, detta anche di utile
versione o “actio de in rem verso”,è azione sussidiaria nel senso che può essere esperita solo se nessun’altra azione tipica possa
essere utilmente esperita.
Suoi elementi costitutivi sono:
•Il depauperamento di un soggetto;
•L’arricchimento di un altro soggetto;
•Il nesso di causalità tra arricchimento e depauperamento;
•La mancanza di una giusta causa.
LE SUCCESSIONI:
I PRINCIPI GENERALI IN TEMA DI SUCCESSIONI
In via generale, per successione si intende il subentrare di un soggetto ad un altro, fermo restando l’identità del rapporto.
Due sono quindi gli elementi costitutivi della successione:
•Il subentrare di un soggetto ad un altro;
•Il restar fermo del precedente rapporto;
Pertanto la successione si distingue dalla novazione soggettiva in quanto, in entrambi i casi vi è il subentrare di un soggetto ad un altro
soggetto ma, mentre nella successione resta fermo il precedente rapporto, nella novazione se ne costituisce uno nuovo.(di rapporto
obbligatorio)
La successione può essere:
•“Inter vivos” , se produce effetti in vita delle parti (ad esempio: compravendita nella quale si ha la successione di un soggetto ad un altro
nel medesimo diritto di proprietà). La successione inter vivos è sempre a titolo particolare, perché comporta il subentrare di un
soggetto in singoli e determinati rapporti;
•“Mortis causa” , quando produce effetti per la morte e dopo la morte di un soggetto
La successione mortis causa può essere:
•A titolo universale (o a titolo di erede ), che comporta il subentrare dell’erede nella stessa posizione giuridica del defunto. L’erede
pertanto subentra nell ’universum ius defuncti, cioè in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo al defunto. Ne consegue che,
subentrando l’erede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi del defunto, l’erede stesso risponderà anche dei debiti del defunto;
•A titolo particolare (o a titolo di legatario ), che comporta il subentrare del legatario in singoli e determinati rapporti. Subentrando il
legatario in singoli e determinati rapporti, giammai risponderà dei debiti ereditari, a meno che non siano stati previsti a suo carico dal“
decuius ” come modus o onere a suo carico;
L’art.588 del Codice Civile indica il criterio di distinzione tra l’erede e il legatario:
•L’erede è quel soggetto che è chiamato a succedere in tutto il patrimonio del defunto o in una quota di esso; se ciò non avviene si ha la
figura del legatario.
•Il legatario è chiamato a succedere in singoli e determinati rapporti.
L’indicazione da parte del testatore di un complesso di beni o anche di singoli beni determinati non esclude che l’attribuzione sia a titolo
di erede, poiché, se il testatore ha considerato quei beni come quota del suo patrimonio, l’attribuzione sarà senz’altro a titolo di
erede.
Volendo definire “ l ’ hereditas ”, essa è quel complesso di rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo al defunto. Essa è
considerata dalla legge come “ universitas iuris ”, e cioè come un’unità a sé stante diversa e distinta dalle singole cose che la
compongono.
L’eredità può comprendere:
•Diritti ;
•Beni ;
•Crediti e debiti (o anche solo debiti , cosiddetta “damnosa hereditas", che tuttavia gravano sull’erede se costui accetterà l’eredità).Solo
pochi rapporti non si trasmettono per successione all’erede (ad esempio: l’usufrutto, l’uso e l’abitazione che si estinguono con la
morte del titolare). Ugualmente non si trasmettono i rapporti basati sull’intuitus personae, e cioè quei rapporti che presuppongono
un particolare rapporto di fiducia che si crea tra due soggetti (ad esempio: il mandato che si estingue per morte del mandante e del
mandatario).
La successione sia a titolo universale che a titolo particolare può essere:
•Legittima o “Ex lege ”, se si apre per volontà di legge;
•“Ex testamento ”, se si apre per volontà del testatore che dispone con un testamento della sorte del proprio patrimonio per il tempo
successivo alla sua morte.
Storicamente nacque per primo il legato “ex testamento”; solo in seguito si è affermato il legato “ex lege”.
I RAPPORTI TRA SUCCESSIONE LEGITTIMA E SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
La successione legittima o “ ex lege” è quella che si apre per volontà di legge a favore dei parenti del “ decuius ” fino al 6 grado incluso.
Ovviamente, la successione del parente prossimo esclude quella del parente meno prossimo. Poiché la successione legittima tutela la
famiglia, che è un istituto sociale, essa ha rilevanza sociale.
La successione testamentaria o “ ex testamento ” si apre invece per volontà di un privato che è il testatore che dispone con il
testamento del suo patrimonio per il tempo successivo alla sua morte. Derivando essa da un negozio privato ha rilievo del tutto privatistico.
Ciò premesso, la legge dice che morto un soggetto si apre la successione legittima se manca in tutto o in parte quella
testamentaria. Da ciò sembrerebbe apparentemente che il legislatore assegni una preferenza e una prevalenza alla successione
testamentaria ma, questa prevalenza è solo cronologica, non nella sostanza delle cose, in quanto nello spirito del legislatore prevale la
successione legittima. Tanto ciò è vero che ove il testatore abbia disposto al di là della cosiddetta quota disponibile intaccando la
cosiddetta quota indisponibile o di riserva, detta anche quota di legittima, che la legge vuole in ogni caso destinata ad alcuni soggetti detti
legittimari(parenti molto stretti del testatore), i legittimari stessi potranno esperire un’apposita azione detta di riduzione diretta atta
a ridurre le quote testamentarie al fine di reintegrare la quota di legittima, che è indisponibile per il testatore.
Il testatore ha il testimonio che si distingue in due tipi di quote:
•Disponibile , a disposizione del testatore;
•Indisponibile , disponibile per i coniugi o i parenti più vicini legittimari;
La successione dei legittimari si chiama successione necessaria . Essa si inquadra nell’ambito della successione legittima poiché
non esiste un “terzius genus” di successione. Nel nostro ordinamento non vige più il principio “nemo pro parte testatus pro parte
intestatus decedere potest”, cioè nessuno può morire sia con testamento che senza testamento, principio per il quale non potevano
coesistere le due successioni. Oggi invece morto un soggetto si apre la successione testamentaria, se vi è un testamento relativamente
a quei beni per i quali il testatore ha disposto. Per gli altri beni si apre la successione legittima. Se manca del tutto un testamento, si
aprirà la successione legittima.
PRESUPPOSTI DEL FENOMENO SUCCESSORIO
I presupposti del fenomeno successorio sono tre:
•Morte di un soggetto , con questa espressione si intende solo la sua morte fisica naturale non anche la cosiddetta morte civile, cioè la
condanna all’ergastolo. Nel nostro ordinamento non vige più infatti, a differenza dell’abrogato ordinamento francese, il principio per cui la
morte civile è equiparata a quella naturale, e quindi la successione del condannato all’ergastolo si aprirà alla morte naturale di costui. La
morte determina l’apertura della successione nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto. La morte va provata con gli atti dello
stato civile o con qualunque altro mezzo idoneo. Se due soggetti legati da vincolo di parentela tale che uno possa discendere dall’altro
(ad esempio: padre e figlio), muoiono in uno stesso incidente o disastro e non si può provare scientificamente chi dei due è morto per
primo, la legge presume che siano commorti , cioè morti nello stesso istante, e quindi senza possibilità di succedere l’uno all’altro.
Invece, in diritto romano, se nello stesso incidente morivano il padre e il figlio, la legge presumeva premorto il padre, se il figlio
era “puber”; premorto il figlio, se questi era “impuber”. Ciò perché si presumeva più resistente il “puber” rispetto al padre e meno
resistente “l’impuber”. Vanno ricordati gli istituti dell’assenza e della morte presunta. Quando una persona scompare dall’ultimo domicilio
per due anni e si ignora “an et ubi sit”, la legge consente che possa avere luogo la dichiarazione di assenza. In conseguenza gli eredi
legittimi e testamentari, ove vi sia un testamento dell’assente, sono immessi nel possesso temporaneo dei beni dell’assente
(ovviamente, se l’assente ritorna riprenderà la titolarità dei suoi beni). Trascorsi 10 anni dal giorno in cui il soggetto cessò di dare notizia
di sé, la legge consente che si faccia luogo alla dichiarazione di morte presunta. A questo punto gli eredi legittimi e testamentari sono
immessi nel possesso definitivo dei beni del morto presunto. Si comprende agevolmente che per quanto riguarda gli effetti la morte
presunta è equiparata alla morte naturale. Ciò tuttavia, in dottrina c’è chi dubita di questa equiparazione poiché, in teoria, il presunto morto
può tornare e riprendere la titolarità dei suoi beni nello stato in cui si trovano. La questione si risolve dicendo che si tratta di apertura della
successione sotto la condizione risolutiva del ritorno del presunto morto;
•Esistenza in vita del successibile e sua capacità a succedere : si dice successibile il soggetto che è chiamato a succedere. Tale
soggetto, perché possa succedere, deve esistere al momento dell’apertura della successione. Ne consegue che non può succedere al “
decuius ” né il premorto al “ decuius ” stesso, né l’assente, poiché si ignora se costui esista o meno. Ovviamente, ove l’assente ritorni,
potrà fare cadere la successione verificatasi in capo ad altro soggetto e divenire egli l’erede. In via eccezionale la legge consente che
sia chiamato alla successione il nascituro concepito al tempo dell’apertura della successione. Il nascituro concepito è chiamato
come “ spes hominis ”(speranza di uomo), e quindi verrà alla successione solo se e quando sarà nato e nato vivo (non verrà invece
alla successione in caso contrario). La legge presume concepito un soggetto al tempo dell’apertura quando nasce entro 300 giorni
dall’apertura della successione stessa. Trattasi di presunzione “ iuris tantum ”, che quindi ammette la prova contraria; perciò, gli
interessati potranno dimostrare con mezzi scientifici che il nato entro 300 giorni dall’apertura non era concepito a quell’ep oca.
Se però il concepito è figlio del “ decuius ” e nasce entro 300 giorni dall’apertura delle successioni, egli si considera figlio legittimo del “
decuius ” con presunzione “ iuris et de iure ”, che quindi non ammette la prova contraria. In via eccezionale la legge consente che sia
chiamato alla successione, ma solo con disposizione testamentaria, il nascituro non ancora concepito di persona vivente al tempo
dell’apertura, e anche in tal caso ovviamente, il nascituro verrà effettivamente alla successione solo se nascerà e nascerà vivo. Il
soggetto può anche esistere ma essere incapace a succedere, questi è l’ indegno .
È indegno a succedere :
•Chi ha ucciso o tentato di uccidere il “ de cuius ” o un di lui ascendente o discendente o il di lui coniuge;
•Chi ha calunniato un di lui ascendente o discendente o il di lui coniuge;
•Chi ha indotto il testatore con violenza o dolo a fare mutare o revocare un testamento;
•Chi ha formato un testamento falso.
Ci si chiede se l’indegno sia del tutto incapace a succedere, cioè se non possa succedere nemmeno per un istante o se possa venire alla
successione ma, possa poi essere estromesso, a seguito di apposita azione di indennità esperita dagli interessati. La prima soluzione
comporterebbe che l’indennità operi ipso iure; la seconda soluzione che l’indennità operi officio iudicis, con sentenza costitutiva del
Giudice. Nel primo caso l’indennità produrrebbe effetti simili a quelli di un negozio nullo; nella seconda ipotesi di un negozio annullabile.
In dottrina alcuni autori propendono per la prima soluzione e altri per la seconda. Pare preferibile la seconda ipotesi, e cioè ritenere che
l’indegno possa venire alla successione ma, possa poi essere estromesso a seguito di azione di indennità promossa dagli interessati. Da
ciò consegue che, se gli interessati non esperiscono azione nel termine ordinario di prescrizione, e cioè 10 anni dall’apertu ra
della successione, l’indegno diventerà definitivamente ed inattaccabilmente erede. Tale soluzione è d'altronde in armonia con i
principi derivanti dal diritto romano nel quale “indignus potest capere sed non potest retinere”, cioè l’indegno può venire alla
successione ma non può conservare i beni. L’indegno può comunque succedere a pieno titolo se è stato riabilitato dal decuis. La
riabilitazione è l’atto con il quale il “ decuius ” perdona l’indegno e lo riammette alla successione. Essa deve essere fatta per atto
pubblico, ovvero deve essere contenuta nel testamento poiché è un atto solenne. Si discute se la riabilitazione sia una manifestazione di
sentimento, quindi un atto giuridico in senso stretto, o una manifestazione di volontà, e quindi un negozio giuridico. Pare preferibile
ritenerla un negozio giuridico poiché il legislatore richiede un’espressa volontà di perdono. Una riabilitazione con effetti limitati si ha
quando l’indegno, pur non espressamente perdonato, è contemplato come erede o come legatario nel testamento, sempre che
il testatore conoscesse la causa di indennità. Tuttavia, in tal caso, l’indegno conseguirà solo quanto espressamente conferitogli nel
testamento e non altri beni, anche ove la sua chiamata comprenda una quota del patrimonio del defunto;
•Vocazione all’eredità ,che è la chiamata di un soggetto, cioè del successibile all’eredità. Corrispondentemente ai due tipi di
successione “ ex lege ” ed “ ex testamento ” avremo una vocazione “ ex lege ” ed “ ex testamento ”. La vocazione “ ex lege ” è la
chiamata a favore dei parenti del “ decuius ”fino al 6 grado incluso. Se il “ decuius ” non ha parenti, ovvero se questi non vogliono(premorti
o assenti) o non possono accettare l’eredità(gli indegni), ovvero se questi sono indegni, premorti o assenti, l'erede necessario è lo stato.
La vocazione “ ex testamento ” è la chiamata a favore sia di parenti che di estranei del “ decuius ”, per volontà dello stesso
testatore, ferma restando l’intangibilità della quota di legittima destinata inattaccabilmente ai legittimari che sono:
•I figli legittimi ;
•I figli legittimati adottivi ;
•I figli naturali riconosciuti o giudizialmente dichiarati ;
•Gli ascendenti legittimi ;
•Il coniuge .
• Il partner dell'Unione civile che è stato aggiunto dal 2016
Nel nostro diritto è nulla la vocazione pattizia , cioè quella che discende dai cosiddetti patti successori. I patti successori , in
generale, sono quei patti con cui si dispone sui beni di un’eredità futura. Futura perché è ancora in vita il soggetto della cui eredità si
tratta.
I patti successori possono essere:
•Istitutivi , se si istituisce erede un soggetto con un vincolo “ inter vivos”;
•Dispositivi , se si compiono atti di disposizione sui beni di un’eredità futura;
•Rinunziativi , se un soggetto rinunzia ad un’eredità futura.
In tutte le loro forme i patti successori sono nulli per norma imperativa di diritto, quindi cogente e quindi inderogabile dai privati. Vi è una
duplice ragione che spiega la nullità dei patti successori: da un lato il rispetto per la volontà e la libertà di testare, poiché un soggetto
è libero di testare fino all’ultimo istante di vita, in applicazione del principio “ambulatoria voluta defuncti usque ad supremum vitae
exitum”(la volontà del defunto è derogabile fino all'ultimo istante di vita). Seconda motivazione è l’esigenza di evitare l’abominevole “votum
captandae mortis”, cioè la volontà di vedere morto al più presto il soggetto della cui eredità si tratta. Eccezione al divieto di patti
successori è costituita dall’istituto recentemente introdotto del patto di famiglia.
LA DELAZIONE
L’effetto della vocazione è la delazione. La delazione è l’acquisto del diritto di accettare l’eredità. Perciò con la delazione non si acquista
l’eredità, che nel nostro diritto si acquista solo con l’accettazione. Infatti nel Codice Civile del 1942 non vige più il principio derivante dal
diritto tedesco e recepito dall’abrogato Codice Civile del 1865, per il quale l’eredità si acquistava ipso iure, senza bisogno di accettazione,
al momento stesso dell’apertura della successione. Tale principio si esprimeva efficacemente con la frase: “il morto impossessa il vivo”,
con la quale si figurava che il morto rendesse possessore il vivo senza bisogno di accettazione da parte di lui e senza apprensione dei
beni ereditari. L’acquisto ipso iure era giustificato dall’esigenza di consentire agli eredi di esperire subito le azioni cautelari e
possessorie a tutela dei beni ereditari. Cosa che, se si fosse ammesso che l’eredità si acquistava solo con l’accettazione, non sarebbe
stata possibile fin da subito perché, vi sarebbe stato un periodo di tempo più o meno lungo dall’apertura all’accettazione in cui nessuno
avrebbe potuto esperire azione a tutela dei beni ereditari. Il Codice attuale ha risolto il problema prevedendo che l’eredità si acquista
con accettazione ma, consentendo al chiamato ugualmente di esperire, indipendentemente dall’accettazione, le azioni cautelari
e possessorie. In quale momento si verifica la delazione??? Normalmente morto un soggetto, all’apertura della successione, la
vocazione e la delazione si verificano contemporaneamente, pur essendo concettualmente distinte. Vi sono però due eccezioni a tale
principio:
•L’istituzione di erede che sia un nascituro concepito o non ancora concepito , poiché in tale ipotesi, con l’apertura della
successione, si verifica la vocazione, e quindi la chiamata ma, solo con la nascita, si avrà la delazione, e cioè l’acquisto del diritto di
accettare l’eredità;
•Istituzione di erede sotto condizione sospensiva , poiché, in tal caso, si verifica subito la vocazione,quale effetto prodromico o
preliminare mentre, la delazione si avrà solo con il verificarsi della condizione. Se per esempio: il ricco zio d’America vi istituisce eredi
sotto condizione sospensiva del conseguimento della laurea, la vocazione si avrà al momento dell’apertura della successione ma, la
delazione, quindi il diritto di accettare l’eredità, si avrà solo al momento del conseguimento della laurea.
L’ACCETTAZIONE DELL’EREDITÀ
L’accettazione dell’eredità è l’atto mediante il quale il chiamato acquista l’eredità. Più precisamente è la dichiarazione di volontà con la
quale il chiamato dichiara di fare propria l’eredità. Si tratta di un negozio giuridico unilaterale e non recettizio poiché non deve essere
portato a conoscenza di alcuno per produrre effetti giuridici. La legge afferma che è nulla l’accettazione fatta pro parte o sotto condizione
o termine; essa deve essere fatta per l’intero e deve essere incondizionata.
Vi sono due tipi di accettazione dell’eredità:
•Accettazione pura e semplice ;
•Accettazione con il beneficio di inventario .
L’accettazione pura e semplice si distingue in:
•Accettazione espressa , che consiste nell’espressa dichiarazione del chiamato di accettare l’eredità.Essa necessita di atto scritto, e
quindi scrittura privata o atto pubblico. L’accettazione espressa può consistere o in espressa accettazione dell’eredità o in espressa
assunzione del titolo di erede;
•Accettazione tacita, che è quella che si argomenta da atti che possono essere compiuti solo da un soggetto che sia divenuto erede, e
quindi da atti che lasciano argomentare la volontà di accettare l’eredità.(facta concludentia)
Il pagamento dei debiti del “ decuius” con denaro proprio è un atto ambiguo perché chiunque può estinguere un debito altrui e se ,
contestualmente al pagamento, il chiamato dichiara verbalmente di accettare l’eredità, questa sua “ contestatio ” non ha valore giuridico
in quanto l’atto è ambiguo, e quindi non si ha accettazione tacita ma, non vi è nemmeno accettazione espressa perché manca l’atto scritto.
Ciò premesso, l’accettazione pura e semplice è quella con la quale il chiamato accetta l’eredità senza riserva alcuna; invece,
l’accettazione con il beneficio di inventario comporta sia la dichiarazione del chiamato di accettare l’eredità con il beneficio di
inventario, sia la redazione dell’inventario. L’accettazione con il beneficio di inventario è un negozio solenne perché deve essere posto in
essere davanti al notaio o al cancelliere del tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del defunto.
Essa quindi consta:
•di un elemento negoziale, cioè la dichiarazione di volontà;
•di un elemento materiale, cioè la redazione dell’inventario.
È un atto solenne perché va fatto dinnanzi al cancelliere del tribunale dell'ultimo domicilio del defunto o dinnanzi al giudice per la sua
rilevanza.Il chiamato ha 10 anni di tempo per decidere se accettare o meno l’eredità e se accettarla in maniera pura e semplice o con il
beneficio di inventario. Perciò il diritto di accettare l’eredità si prescrive in 10 anni che decorrono dall’apertura delle successioni se però
durante questi 10 anni ad un certo punto il chiamato manifesta nelle forme prescritte l’intenzione di accettare l’eredità con il beneficio di
inventario la legge gli assegna 3 mesi di tempo per redigere l’inventario(se si tratti di inventario particolarmente gravoso), altrimenti sarà
considerato erede puro e semplice.Nel caso contrario, e cioè se ad un certo punto il chiamato redige l’inventario egli ha 40 giorni per
rendere la dichiarazione di accettare l’eredità, in caso contrario perde il diritto di accettare l’eredità.
I due tipi di accettazione comportano diverse conseguenze giuridiche:
•L’accettazione pura e semplice comporta la confusione del patrimonio del “ decuius ” con il patrimonio dell’erede, con la
conseguenza che l’erede risponderà dei debiti del defunto “ultra vires ereditatis”, cioè oltre il valore dei beni ereditari, e quindi anche con
i propri beni;
•L’accettazione col beneficio di inventario comporta la separazione del patrimonio del “ decuius ” da quello dell’erede, con la
conseguenza che l’erede risponderà dei debiti del defunto “intra vires ereditati et cum viribus ereditatis”, cioè entro il valore dei beni
ereditari e solo con i beni ereditari.
Il chiamato è libero di accettare o con accettazione pura e semplice o con il beneficio di inventario. Vi sono però alcune ipotesi in
cui il chiamato deve necessariamente accettare l’eredità con il beneficio di inventario;
Esse sono:
•Quando l’eredità è devoluta a persone giuridiche(ivi compreso lo Stato);
•Quando l’eredità è devoluta a minori;
•Quando l’eredità è devoluta a soggetti incapaci(interdetti e inabilitati).
L’accettazione dell’eredità può essere viziata solo da violenza morale e da dolo e non da errore. La relativa azione si prescrive in 5 anni,
che decorrono dal giorno in cui la violenza è cessata o in cui il dolo è stato scoperto.
LA SUCCESSIONE “IURE TRANSMISSIONIS/DELAZIONIS E SUCCESSIONE “IURE RAPPRESENTATIONIS”
(TRASMISSIONE DELLA DELAZIONE E SUCCESSIONE PER DIRITTO DI RAPPRESENTAZIONE)
La successione “ iure transmissionis” è quella che si verifica quando il chiamato muore prima di aver deciso se accettare o
rinunziare all’eredità. È l’ipotesi in cui il chiamato esista al momento dell’apertura della successione, per questo è successibile; tuttavia,
muore prima di aver deciso se accettare l’eredità o rinunziarvi. Da notare, che essendo il chiamato successibile, la delazione, cioè il
diritto di accettare l’eredità, è già entrata a far parte del suo patrimonio, essa perciò si trasmetterà agli eredi insieme a l suo
patrimonio. Ne consegue che saranno gli eredi del trasmittente che potranno decidere di accettare o rinunziare all’eredità, già devoluta
al loro trasmittente.
La successione “ iure rappresentazionis” ha luogo quando il chiamato non può o non vuole accettare l’eredità. Se il chiamato
non può accettare l’eredità perché indegno, premorto o assente, o se non vuole accettare l’eredità ed esso è figlio, fratello o sorella del “
decuius”, la legge per tutelare la famiglia consente che l'eredità devoluta al primo chiamato possa essere accettata dai figli di lui. Il codice
del 1942 prima della riforma del diritto di famiglia attribuiva il diritto di succedere per rappresentazione solo ai figli legittimi. La riforma del
diritto di famiglia del 1975 ha esteso tale diritto anche ai figli naturali riconosciuti e giudizialmente dichiarati. Si tratta di un caso di
sostituzione “ ex lege ” in favore dei figli o dei figli del fratello o della sorella del “ decuius ”; essa è voluta dalla legge per tutelare l’istituto
della famiglia. E poiché l’eredità viene accettata per volontà della legge a favore dei figli del primo chiamato, se esso è figlio o fratello o
sorella del “ decuius ”, il diritto di accettare si acquista “ iure proprio ”, e quindi senza una trasmissione dal primo chiamato ma, direttamente
dall’originario “ decuius ”. Ne consegue che il successore per rappresentazione sarà libero di accettare l’eredità già devoluta al loro
genitore e non quella del genitore o viceversa. La successione “iure rappresentationis” ha luogo per stirpi e non per rami così, se al “
decuius ” succedono i figli Tizio e Caio, e costoro non vogliono o non possono accettare, ammettendo che Tizio abbia 2 figli e Caio ne
abbia 4, l’eredità sarà devoluta per metà ai 2 figli di Tizio e per l’altra metà ai 4 figli di Caio.
Differenze tra la successione “iure transmissionis” e la successione “iure rappresentationis”:
•Nella prima, la delazione si acquista “ iure transmissionis ” mentre, nella seconda la delazione si acquista “ iure proprio ”, automaticamente
per volontà di legge rispetto all'originario de cuius.
•Poiché nella prima la delazione si acquista “ iure transmissionis ”, il tempo di prescrizione del diritto di accettare l’eredità è quello che
era presso il trasmittente, cioè se erano già decorsi 5 anni, il secondo chiamato avrà solo i 5 anni rimanenti per accettare o rinunziare;
invece, poiché nella seconda la delazione si acquista “ iure proprio ”, comincia a decorrere per il chiamato in rappresentazione un nuovo
termine di prescrizione, e quindi altri 10 anni;
•Nella successione “ iure transmissionis ” l’eventuale indennità produce i suoi effetti se sussiste nei confronti del trasmittente; mentre,
nella successione “ iure rappresentationis ”,l’indennità deve sussistere nei confronti dell’originario “ de cuius ” al quale direttamente si
succede.
GLI EFFETTI DELL’ACQUISTO DELL’EREDITÀ
Nel nostro diritto l’eredità si acquista mediante accettazione. L’accettazione può essere pura e semplice o con il beneficio dell’inventario.
L’accettazione pura e semplice comporta la confusione del patrimonio del de cuius con quello dell’erede con la conseguenza che l’erede
risponde dei debiti del defunto “ultra vires hereditatis", cioè oltre il valore dei beni ereditari, e quindi anche con i propri beni), inoltre, i
creditori del defunto sono in “ par condicio creditorum” rispetto ai creditori dell’erede, cioè tutti i creditori sono posti sullo stesso piano
ed hanno uguale diritto a soddisfarsi sui beni ereditari, con la conseguenza che, ove tali beni non siano sufficienti per tutti, le loro
pretese si ridurranno proporzionalmente; invece, l’accettazione con il beneficio di inventario comporta la separazione del patrimonio
del “ decuius ” dal patrimonio dell’erede, con la conseguenza che l’erede risponderà dei debiti ereditari “intra vires ereditatis et cum viribus
ereditatis”, cioè entro il valore dei beni ereditari e solo con quei beni; inoltre, i creditori del defunto avranno lo “ius prelationis”, cioè
preferenza e precedenza a soddisfarsi sui beni ereditari rispetto ai creditori dell’erede.Se al defunto succedono più eredi, essi sono in
comunione ereditaria rispetto ai beni ereditari fino al momento della divisione. Ciò però riguarda i beni ereditari invece, per quanto riguarda,
i crediti ed i debiti del defunto, essi, in applicazione del principio “nomina et debita ipso iure dividuntur”, si dividono
automaticamente nel momento stesso dell’apertura della successione in capo agli eredi ed in proporzione alla quota ereditaria
di ciascuno. Ciò sempre che non si tratti di obbligazione indivisibili infatti, l’indivisibilità come sappiamo, opera a carico degli eredi del
“decuius” a differenza della solidarietà per cui, se un “ decuius ” era debitore di un’obbligazione indivisibile, i suoi eredi rispondono
dei debiti del defunto ciascuno per l’intero, salvo il diritto dell’erede che ha pagato l’intero di ripetere la sua parte da ciascuno
degli altri coeredi.
EREDITÀ GIACENTE
Nel nostro diritto l’eredità si acquista mediante accettazione ed il chiamato ha 10 anni di tempo dall’apertura per decidere se accettare o
rinunziare all’eredità; ne consegue che tra l’apertura della successione e l’accettazione vi è un periodo di tempo più a meno lungo, durante
il quale l’eredità è priva di un titolare e prende il nome di eredità giacente. Tuttavia, per aversi eredità giacente non è sufficiente il
requisito della mancanza di accettazione ma, è necessario anche un'altra requisito ovvero la vacanza di possesso , cioè occorre
che l’erede non sia nel possesso di alcun bene ereditario. Infatti, se il chiamato è nel possesso anche di un solo bene ereditario, egli
ha solo tre mesi di tempo che decorrono dall'apertura per decidere se accettare o rinunziare all’eredità. Se il chiamato intende accettare
con il beneficio di inventario e deve redigere un lungo inventario, può essere autorizzato dal Giudice del tribunale del luogo
dell’ultimo domicilio del defunto ad ottenere altri tre mesi per redigere l’inventario, e quindi tale chiamato, decorsi inutilmente tre
mesi eventualmente prorogati, se nulla dice, sarà considerato dalla legge erede puro e semplice. E poiché in questa ipotesi il chiamato
ha un tempo veramente breve per decidere se accettare o rinunziare all’eredità, la legge non considera questa ipotesi come un’ipotesi di
eredità giacente, perché la giacenza sarebbe troppo limitata nel tempo.
I presupposti dell’eredità giacente sono appunto:
•La mancanza di accettazione;
•La vacanza di possesso.
Se l’eredità è giacente, su istanza degli interessati o d'ufficio, il tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del “ decuius” nomina
un curatore del patrimonio ereditario. Il curatore è tenuto ad amministrare il patrimonio ereditario, e quindi ad esigere i crediti e a
pagare i debiti, tutto nell’interesse di chi accetterà l’eredità divenendone l’erede. Si discute in dottrina sulla natura giuridica dell’eredità
giacente. Secondo una parte della dottrina, si tratterebbe di un complesso di beni destinati ad uno scopo, cioè di un “universitas
bonorum”(complesso di beni destinati ad uno scopo), e quindi di una persona giuridica ma, se così fosse, non si succederebbe al “decuius”
ma, alla persona giuridica; invece il legislatore afferma, che l’accettazione retroagisce al momento dell’apertura. Il che significa che si
succede al “decuius”. Merita accoglimento la tesi, secondo la quale l’eredità giacente sarebbe un patrimonio sotto
amministrazione che attende il suo titolare.
Ipotesi particolari di eredità giacente sono:
•L’istituzione di nascituro concepito e non ancora concepito ;
•L’istituzione di erede sotto condizione sospensiva .
Infatti in entrambe le ipotesi vi è mancanza di accettazione e vacanza di possesso.
ACCETTAZIONE LEGALE (O COATTA, O PRESUNTA)
Se il chiamato è nel possesso di uno o più beni ereditari, egli ha tre mesi di tempo per decidere se accettare o rinunziare all’eredità.
Decorsi inutilmente questi tre mesi, sarà considerato dalla legge erede puro e semplice. Inoltre, se il chiamato ha sottratto o nascosto
beni ereditari, decade dalla facoltà di rinunziare all’eredità, e quindi è automaticamente considerato erede puro e semplice, nonostante
un’eventuale sua rinunzia. In queste due ipotesi la dottrina parla di accettazione legale o coatta o presunta. In verità, nella prima ipotesi
la legge prescinde dall’accettazione, poiché il chiamato ha un breve periodo di tempo(3mesi) per decidere se accettare o rinunziare
all’eredità. Nella seconda ipotesi, la legge prescinde dall’accettazione come pena/sanzione al comportamento/condotta fraudolento del
chiamato.
LA RINUNZIA ALL’EREDITÀ
Una volta accettata l’eredità l’erede non può più dismetterla, in applicazione del principio “semer eres semper eres”, cioè una volta erede
sempre erede.
Tuttavia, il chiamato ha 10 anni di tempo per rinunziare all’eredità. In realtà, poiché l’eredità si acquista con l’accettazione, quando il
chiamato rinunzia, egli non rinunzia tecnicamente all’eredità ma, al diritto di accettare l’eredità stessa, cioè rinunzia alla delazione. Quindi,
più propriamente, invece che di rinunzia all’eredità, bisognerebbe parlare di rinunzia alla delazione. Il chiamato ha 10 anni che
decorrono dall’apertura della successione per rinunziare, tuttavia, chi è nel possesso di beni ereditari ha soli tre mesi per farlo, altrimenti
sarà considerato erede puro e semplice, chi invece ha sottratto o nascosto beni ereditari, perde del tutto il diritto di rinunziare ed è
considerato erede puro e semplice. Come l’accettazione la rinunzia è nulla se fatta “ pro parte ”, o sotto condizione o termine.
L’effetto della rinunzia è che il chiamato si considera come mai chiamato, cioè come mai venuto alla successione, con la conseguenza
che si produce la vocazione nei confronti degli ulteriori chiamati. Se si tratta di successione legittima e non ha luogo la
rappresentazione o l’accrescimento, si produce la vocazione in favore degli altri parenti fino al 6 grado incluso, o in mancanza,
in favore dello Stato come erede necessario. Se si tratta di successione testamentaria e non ha luogo la rappresentazione o
l’accrescimento, si produce la vocazione nei confronti dell’eventuale chiamato in subordine o si apre la successione legittima.
Come l’accettazione, la rinunzia all’eredità è un negozio unilaterale non recettizio(non deve essereportato a conoscenza di alcuno per
produrre i suoi effetti). Si tratta di un negozio solenne perché la dichiarazione di rinunzia va fatta davanti ad un notaio o al cancelliere del
tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del “decuius”. In via di massima, la rinunzia all'eredità è un atto irrevocabile, eccezionalmente
però, la legge consente che il chiamato rinunziante revochi la rinunzia per evitare che un patrimonio ereditario resti troppo a lungo senza
un titolare La revoca della rinunzia è ammessa purché nel frattempo altri non abbia accettato l’eredità, e purché non si sia
prescritto il termine per accettare. Anche la rinunzia, come l’accettazione, può essere viziata da violenza morale e da dolo, non da
errore, e la relativa azione di impugnazione si prescrive in 5 anni che decorrono dal giorno in cui è cessata la violenza o dal giorno in cui
è stato scoperto il dolo. Da notare che la rinunzia all’eredità può comportare un pregiudizio per i creditori del rinunziante che potrebbero
soddisfarsi sui beni ereditari. Ne consegue che tali creditori possono impugnare la rinunzia e chiedere al Giudice di essere
autorizzati ad accettare l’eredità in nome ed in luogo del loro debitore. Si discute sulla natura giuridica di tale azione. Secondo alcuni
si tratta di azione surrogatoria, secondo altri di azione revocatoria. Nessuna Delle tesi può essere accolta.Non si tratta in realtà di azione
surrogatoria perché essa presuppone l’inerzia del debitore. In tal caso invece, il debitore non è rimasto inerte ma, anzi ha compiuto un
atto di disposizione del patrimonio ereditario anche se dismissivo .Non si tratta nemmeno di azione revocatoria perché essa
presuppone l’esistenza di due requisiti:
•“L’eventus damni”, cioè il pericolo di danno per il creditore;
•“Consilium fraudis”, cioè la consapevolezza di arrecare un danno al creditore.
Mentre nell’azione di impugnazione della rinunzia vi è senz’altro il requisito dell ’ eventus damni , non necessariamente vi sarà quello del
“ consilium fraudis”, poiché la legge dice che l’azione può essere esperita anche se la rinunzia è stata fatta senza frode. Tuttavia, per
quanto riguarda gli effetti, l’impugnazione della rinunzia e l’azione revocatoria possono essere accostate; infatti, come l’azione revocatoria
produce l’inefficacia relativa(solo nei confronti del creditore che ha agito) dell’atto di disposizione, così l’impugnazione della rinunzia
comporta l’inefficacia della rinunzia relativamente ai creditori che hanno esperito l’azione. Tale azione si prescrive in 5 anni che
decorrono dal giorno della rinunzia.
“SEPARATIO BONORUM” (SEPARAZIONE DEI BENI DEL DEFUNTO DA QUELLI DELL’EREDE)
Abbiamo detto che l’accettazione pura e semplice comporta la confusione del patrimonio del “decuius” con il patrimonio dell’erede, con la
conseguenza che i creditori del “decuius” si trovano in “par condicio creditorum” con i creditori dell’erede. Per evitare che i creditori del
defunto trovino un erede pieno di debiti, la legge prevede l’istituto della “ separatio bonorum ”, consentendo ai creditori del “ decuius ” di
chiedere al Giudice la separazione di tutti o alcuni beni dal patrimonio del “ decuius ” rispetto a quello dell’erede, purché tale diritto sia
esercitato entro tre mesi dall’apertura della successione. La “ separatio bonorum ” può anche essere chiesta dai legatari(che sono
anche essi creditori dell'eredità). La conseguenza della “ separatio bonorum ” è che i creditori e i legatari separatisti hanno
precedenza e preferenza a soddisfarsi sui beni ereditari rispetto, non solo agli altri creditori dell’erede ma, anche ai cred itori del
“ decuius ” e legatari non separatisti.
La separazione si attua:
•Per quanto riguarda i beni immobili, con iscrizione a titolo di separazione che è un’iscrizione simile a quella ipotecaria e, come
quest’ultima, consente lo “ius persequendi adverus omnes” cioè, il diritto di perseguire la cosa anche se è stata alienata a terzi.
•Per i beni mobili, la separazione si attua con ricorso al Giudice del luogo dell’ultimo domicilio del defunto.
COLLAZIONE
La collazione è l’obbligo che astringe i coeredi, i discendenti ed il coniuge di conferire nella massa ereditaria le donazioni avute in vita dal
“ decuius ”. La “ ratio ” di questo istituto è la seguente: si presume che se il padre ha fatto una donazione al figlio, gli abbia voluto
anticipare in vita ciò che gli sarebbe spettato dopo la sua morte. Il conferimento, se si tratta di beni immobili, si attua o in natura
o per imputazione, cioè scomputando dalla quota ereditaria il valore del bene oggetto di donazione, se si tratta di beni mobi li, il
conferimento ha luogo solo per imputazione. Poiché la collazione è l’obbligo che astringe i coeredi, i discendenti ed il coniuge, è chiaro
che tali soggetti potranno liberarsi dall’obbligo del conferimento anche rinunziando all’eredità, e quindi non diventando eredi. Inoltre, tali
soggetti possono essere espressamente dispensati dal testatore dall’obbligo del conferimento, a meno che non vi sia lesione
della quota di legittima. Oltre alle donazioni si conferiscono anche le spese di matrimonio, le spese eccezionali per l’istruzione dei figli
ma, non anche quelle ordinarie per l’educazione e l’allevamento dei figli e per le loro malattie. Prima che l’istituto fosse abrogato si
conferiva anche la dote.
COMUNIONE EREDITARIA
La comunione ereditaria è la contitolarità di più soggetti nel medesimo diritto di eredità. Tale comunione tra coeredi riguarda solo
i beni ereditari mentre, i debiti e i crediti del “decuius”, in applicazione del principio “nomina et debita ipso iure dividuntur cioè i debiti
e i crediti del defunto si dividono ipso iure al momento stesso dell’apertura delle successioni, prima ed indipendentemente dalla
divisione, a meno che non si tratti di obbligazioni indivisibili. Sappiamo che per quanto riguarda la fonte la comunione può
essere:
•Volontaria , se deriva dalla volontà delle parti con un contratto di società;
•Incidentale , se deriva da rapporti di successione o di vicinato.
Trattasi dunque di una comunione incidentale che cessa con la divisone, la quale può essere amichevole o volontaria e giudiziale e
può essere chiesta in qualsiasi momento da ciascun coerede. Medio tempore(finché non si giunge alla divisione) ciascun coerede può
alienare la propria quota ma, poiché i coeredi sono parenti tra loro, quando uno di essi decide di alienare la quota, dovrà darne preventivo
avviso agli altri coeredi che sulla quota hanno diritto di prelazione. Ne consegue che, decorsi 3 mesi senza che gli altri coeredi rispondano
in alcun modo o qualora costoro rispondano negativamente, il coerede è libero di alienare la quota a terzi. Se invece, il coerede ha venduto
ad un terzo la sua quota senza previamente informare i titolari della prelazione, costoro potranno agire per riscattare la quota alle stesse
condizioni dell’alienazione. Quest’istituto si chiama retratto successorio ed è una particolare applicazione del retratto che si ha nella
prelazione legale. Ciascun coerede può anche compiere atti di disposizione su una determinata parte dei beni ereditari e, tale parte,
qualora tocchi in proprietà solitaria al coerede, fa si che tali atti di disposizione come costituzione di usufrutto o ipoteca siano validi con
effetto “ ex tunc ”. Ciò deriva dal fatto che la divisione nel nostro diritto ha natura dichiarativa, per cui ciascun coerede si considera
proprietario della parte che gli viene assegnata a seguito di divisione sin dal primo momento in cui la cosa è in comune. Ciò spiega perché
gli atti di disposizione avranno appunto efficacia “ex tunc” se la parte su cui si è disposto toccherà in proprietà solitaria al coerede
disponente; invece, in diritto romano la divisione aveva natura costitutiva o attributiva, per cui ciascun coerede si riteneva proprietario
della cosa che gli veniva assegnata a seguito di divisione solo dal momento,della divisione, ed anzi ciascun coerede, si considerava
avente causa dall’altro. Un tipo particolare di divisione è quella fatta dallo stesso “ de cuius ”. Con il Codice Civile del 1865 il "de cuius"
poteva farla o con atto “inter vivos” o con atto “mortis causa”. Il nostro Codice attuale invece, prevede che la divisione del testatore sia
fatta solo con atto “ mortis causa ” poiché, la divisione con atto “ inter vivos ”, può celare patti successori istitutivi, nulli come tali. Secondo
una parte della dottrina la divisione del testatore non sarebbe vera divisione, in quanto, poiché essa produce effetti nel momento stesso
dell’accettazione, e quindi dell’acquisto dell’eredità, non vi è stato nemmeno un momento in cui i beni sono stati in comunione, e quindi
tanto meno potrebbe parlarsi di divisione. La divisione fatta dal testatore è nulla se non ha ricompreso i legittimari o alcuni degli eredi
istituiti. Si afferma inoltre in dottrina che, poiché con la divisione vi è solo attribuzione di beni, vi sarebbero solo legati e non istituzioni di
eredi, a ciò però deve replicarsi che l’articolo 588 del Codice Civile precisa che, l’indicazione di un complesso di beni o di singoli beni
determinati, non esclude che l’attribuzione sia a titolo di erede, se il “decuius” ha considerato quei beni come quota del suo patrimonio.
VOCAZIONE CONGIUNTIVA O SOLIDALE
La vocazione congiuntiva o solidale si verifica sia nella successione legittima che in quella testamentaria. Nella successione
testamentaria si ha quando il testatore chiama più soggetti allo stesso grado come se fossero un solo uomo. Più precisamente
si ha quando il testatore chiama più soggetti senza determinazione di parti o in parti uguali (ad esempio: il testatore dice: lascio la mia
eredità a Tizio, Caio e Sempronio senza determinazioni di parti; oppure quando il testatore dice: lascio la mia eredità a Tizio, Caio e
Sempronio per un terzo ciascuno in part uguali).
Vi deve essere inoltre “coniuctio re et verbis”, cioè la chiamata, senza determinazione di parti o in parti uguali, deve riguardare
la stessa eredità (“coniuctio re”) e deve essere fatta con lo stesso testamento (coniuctio verbis). Perciò se per avventura più
soggetti sono istituiti eredi della stessa eredità ma con testamenti diversi, non vi sarà vocazione congiuntiva o solidale per mancanza di
della “coniuctio verbis”. Nella successione legittima si ha vocazione congiuntiva o solidale quando la legge chiama più soggetti
come gruppo (ad esempio: morto il padre, la legge chiama all’eredità i figli come gruppo). Effetto della vocazione congiuntiva o
solidale è il diritto di accrescimento . Esso consiste in ciò: se uno dei soggetti chiamato congiuntivamente o solidalmente non può
accettare perché indegno, premorto o assente, o non vuole accettare la sua quota, essa si devolverà automaticamente, senza bisogno di
nuova accettazione, agli altri chiamati congiuntivamente. Ciò avviene perché il testatore o la legge volevano attribuire a ciascuno il tutto
ed è solo con il concorso effettivo dei chiamati che il tutto si fraziona in parti, con la conseguenza che, venendo meno uno dei chiamati,
la sua parte ricade nel tutto.
Cosa accade in caso di conflitto tra diritto di rappresentazione e diritto di accrescimento? Se un soggetto chiamato
congiuntivamente o solidalmente non può o non vuole accettare la sua quota, spetterà ai figli, se è figlio, fratello o sorella del "de cuius",
o si accrescerà agli altri chiamati congiuntivamente o solidalmente. In presenza di tale conflitto prevale il diritto di rappresentazione, per
cui la quota si devolverà ai figli del primo chiamato. Ciò perché la rappresentazione è un istituto che tutela la famiglia ed ha quindi una
funzione sociale. Può esservi accrescimento anche nel legato, quando uno stesso bene è attribuito a più persone, salvo diritto di
rappresentazione.
LA “PETITIO EREDITATIS” (AZIONE DI PETIZIONE DELL’EREDITÀ)
La “ petitio ereditatis” è l’azione posta a tutela della qualità di erede e si esercita contro coloro che posseggono beni ereditari. Essa può
essere esperita dall’erede, e quindi dal chiamato che ha accettato l’eredità. Tuttavia, se è esperita dal chiamato che non ha ancora
accettato, essa è indiscutibilmente una classica ipotesi di accettazione tacita dell’eredità, poiché lascia senza dubbio argomentare la
volontà di accettare l’eredità e perché il soggetto non potrebbe esperirla, se non nella sua qualità di erede. L’azione, come si è detto, si
esperisce contro chi possiede beni ereditari e mira da un lato, ad ottenere il riconoscimento della qualità di erede, e dall’ altro
alla condanna alla restituzione dei beni ereditari, quindi una sentenza di condanna. Il legittimato attivo è l’erede; il legittimato
passivo è il possessore dei beni ereditari che può essere di due tipi:
•“ Possessor pro erede ”, è colui che possiede assumendo di essere egli l’erede. È chiamato dalla dottrina erede apparente e può anche
essere in buona fede come può anche essere in mala fede;
•“ Possessor pro possessore ”, è colui che possiede beni ereditari senza titolo alcuno. Egli perciò sa senz’altro di non essere l’erede, e
quindi è sicuramente in mala fede.
La “ petitio hereditatis" è simile alla “ rei vindicatio ”, infatti, come questa mira ad ottenere la restituzione di beni posseduti da un
terzo.
Tra le due azioni però vi sono due differenze:
•La “ rei vindicatio ” si esperisce per “ singulas res ”, cioè per quelle cose che sono oggetto di proprietà, mentre la “ pet itio
hereditatis ”, si esperisce per “l’ universum ius defuncti ”, cioè per quanti beni sono nel patrimonio del defunto;
•Mentre la prova nella “ rei vindicatio ” è “ probatio diabolica ”, la prova nella “ petitio hereditatis ” è molto più agevole:se si
tratta di successione legittima, basterà esibire l’atto di stato civile con cui si dimostra di essere il parente più vicino; o se si
tratta di successione testamentaria, basterà esibire il testamento che istituisce erede l’attore in petizione.L’azione di petizione
dell'eredità, come la rivendica, è imprescrittibile, salvo gli effetti dell’usucapione ormai verificatisi in capo al possessore. Perciò, se l’erede
lascia decorrere il tempo per usucapire e poi si fa avanti con la “ petitio ereditatis ”, il Giudice non può fare altro che riconoscergli il suo “
nudumius eredis ” ma, non potrà condannare la controparte alla restituzione del bene perché ormai tale bene è stato acquistato a titolo
originario per usucapione. L’azione si esperisce dinanzi al tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del “ decuius” e mira ad ottenere, oltre
il riconoscimento della qualità di erede, anche una sentenza di condanna alla restituzione dei beni.
Tale sentenza varia i suoi effetti in base alla buona e alla mala fede del convenuto:
•Se trattasi di possessore in buona fede, egli dovrà restituire il bene, o il suo valore se l’ha alienato, ed inoltre i frutti esistenti oltre ai
frutti “ percepti ” (percepiti)e “ percipiendi ”(che avrebbe dovuto per dal giorno della domanda giudiziale.
•Se invece si tratta di possessore in mala fede, non solo dovrà restituire i beni ma, sarà tenuto al risarcimento del danno, ed inoltre
dovrà restituire i frutti esistenti e quelli “ percepti ” e “ percipiendi ” dal giorno dell’inizio del possesso. Al possessore in mala fede si applica
anche una regola tipica del debitore in mora, per la quale, se il possessore è in mala fede ed il bene ereditario perisce per caso fortuito o
forza maggiore, egli non è liberato dall’obbligo dell’integrale risarcimento del danno, a meno che non riesca a provare che la cosa sarebbe
ugualmente perita nelle mani dell’erede. L’azione di “ petitio hereditatis ” può anche essere esperita nei confronti dei terzi aventi
causa dal “ possessornpro erede ” o “ dal possessor pro possessore ”. La “ petitio ” produce i suoi effetti nei confronti di tutti i terzi
restando salvaguardati solo i terzi in buona fede che abbiano acquistato dall’erede apparente a titolo oneroso; ciò anzitutto, perché tali
terzi sono in buona fede, poi perché essi hanno acquistato da chi appariva essere il legittimo proprietario del bene e poi perché “certant
de damno vitando”, cioè lottano per evitare un danno avendo acquistato a titolo oneroso. Infine, per esperire azione fruttuosa nei confronti
dei terzi è necessario che la domanda giudiziale sia trascritta anteriormente al titolo di acquisto altrimenti l’azione non avrà effetto nei
confronti dei terzi.
L’ACTIO INTERROGATORIA
Sappiamo che il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni. Tale termine decorre per tutti i chiamati. Ne consegue che durante
questo tempo i chiamati in subordine o in grado ulteriore, possono avere concretamente interesse a sapere se i primi chiamati
hanno intenzione di accettare o meno l’eredità. Perciò, tutti gli interessati possono esperire azione e chiedere al Giudice che fissi un
termine breve entro il quale il primo chiamato dovrà decidere se accettare o rinunziare all’eredità. Decorso inutilmente il termine breve,
il primo chiamato perde il diritto di accettare l’eredità. Si è da alcuni sostenuto che, se il chiamato nulla dice, da ciò dovrebbe
dedursi una sua rinunzia tacita. A ciò si replica che nel nostro diritto non esiste la rinunzia tacita all’eredità, in quanto la rinunzia
all’eredità è un atto solenne che va posto in essere necessariamente nelle forme stabilite dal legislatore.
LA SUCCESSIONE LEGITTIMA
La successione legittima è quella che si apre per volontà di legge quando manca in tutto o in parte quella testamentaria. Essa si apre a
favore dei parenti del “ decuius ” fino al 6° grado incluso, mancando o rinunziando tali parenti, in favore dello Stato quale erede necessario.
Le categorie dei successibili “ex lege” sono:
•Il coniuge;ha recentemente ha affiancato il partner dell'Unione civile
•I discendenti legittimi, i legittimati adottivi, naturali riconosciuti e giudizialmente dichiarati;
•Gli ascendenti legittimi;
•I collaterali;
•I genitori del figlio naturale;
•Gli altri parenti;
•Lo Stato.
Per quanto riguarda il coniuge la disciplina successoria del coniuge ha subito una profonda rivoluzione. Nel Codice del 1942 era previsto
che il coniuge non fosse titolare di una quota ereditaria in piena proprietà ma in usufrutto. Ne conseguiva che non subentrando il
coniuge nella stessa posizione giuridica del defunto, egli era considerato dalla dottrina un legatario “ex lege”, e quindi non un erede. La
situazione è mutata a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha previsto una migliore tutela economica per il
coniuge debole. Oggi infatti, il coniuge ha diritto ad una quota del patrimonio ereditario in piena proprietà, ed egli quindi è erede
del “ de cuius ”. In particolare al coniuge spetterà la metà del patrimonio, se concorre con un solo figlio, un terzo del patrimonio, se
concorre con due o più figli, due terzi del patrimonio, se concorre con ascendenti legittimi e fratelli o sorelle del “ decuius” . In mancanza
di tali coeredi viene devoluto al coniuge l’intero patrimonio. In caso di separazione coniuge separato conserva gli stessi diritti del
coniuge non separato, a meno che la separazione non sia stata a lui addebitata, in tal caso, gli spetterà un assegno vitalizio pari
all’assegno alimentare precedentemente goduto. Il coniuge divorziato perde qualsiasi diritto successorio, tuttavia il legislatore, quando ha
disciplinato l’istituto del divorzio, ha previsto che spetti al coniuge divorziato che versi in stato di bisogno, un assegno periodico a carico
dell’eredità, sempre che egli già fruisse di un assegno divorzile. L’assegno periodico va rapportato, non solo all’entità del bisogno, ma
anche alla misura dell’assegno divorzile e al numero e alla qualità degli eredi.
Tra i successibili “ ex lege ” possiamo individuare tre ordini:
•I figli legittimi, legittimati adottivi, naturali riconosciuti e giudizialmente dichiarati, ai quali bisogna aggiungere i discendenti di
questi per rappresentazione;
•Gli ascendenti legittimi, il fratello o la sorella del “ decuius ”, e i figli del fratello o della sorella del “ decuius ” sempre per diritto
di rappresentazione;
•I collaterali tra il 3 e il 6 grado, tra i quali vige il principio che il parente più vicino esclude quello più remoto.
I figli naturali sono quelli nati fuori dal matrimonio. Hanno avuto una notevole evoluzione dal Codice del 1865 fino ad oggi. Con il Codice
del 1865 essi avevano diritto alla quota “iuris”, cioè alla metà di quanto spettante per legge ai figli legittimi. Con il Codice del 1942 essi
avevano diritto alla quota “facti”, cioè alla metà di quanto effettivamente conseguito dai figli legittimi. Con la riforma del diritto di
famiglia del 1975 sono stati equiparati ai figli legittimi. La riforma fa però salva la facoltà per i figli legittimi di liquidare con somme di
denaro o beni determinati i figli naturali, escludendoli così dalla comunione ereditaria, a meno che non vi sia opposizione da parte dei figli
naturali. In caso di opposizione da parte dei figli naturali a decidere sarà il Giudice con il suo prudente apprezzamento.Ai fratelli
consanguinei, cioè coloro che hanno stesso padre e madre diversa, ed ai fratelli uterini, cioè che abbiano stessa madre e pad re
diverso, spetta la metà di quanto conseguito dai fratelli germani, stesso padre e stessa madre.I figli naturali non riconoscibili,
che sono i figli incestuosi, hanno diritto ad un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota cui essi avrebbero diritto se
fossero riconosciuti. Su istanza dei figli non riconoscibili, è possibile la capitalizzazione della rendita con denaro o altri beni ereditari. In
mancanza o rinunziando tutti i parenti del “ decuius ”, erede sarà lo Stato, che diventa erede ipso iure , senza bisogno di accettazione e
senza possibilità di rinunziare (erede necessario). Lo Stato risponde dei debiti del “ decuius” sempre e comunque entro il valore
dei beni ereditari e solo con i beni ereditari senza però che siano necessarie le formalità dell’accettazione con il benef icio
dell’inventario.
IL LEGATO
Il legato è attribuzione a titolo particolare “ mortis causa ”. Esso può consistere nell’attribuzione di un diritto o nella remissione di un
debito(il creditore rinuncia ad un suo credito). Il legatario subentra in singoli e determinati rapporti, e poiché quindi non subentra
nella stessa posizione giuridica del defunto, non risponde dei debiti ereditari, a meno che ciò non sia stato espressamente
stabilito dal testatore come modus o onere a carico del legatario. Chi è capace di agire è capace di testare. ciò premesso,
Il legato può essere di due tipi:
•Legato di specie , che ha ad oggetto la proprietà di una cosa o altro diritto reale;
•Legato di quantità , che ha ad oggetto somme di denaro o altra quantità di cose fungibili.
Ne consegue che il legato di specie attribuisce al legatario il diritto di proprietà o altro diritto reale, mentre il legato di quantità, attribuisce
al legatario un diritto di credito nei confronti di altro soggetto tenuto al pagamento, che di solito è l’erede che si dice onerato per
distinguerlo dal legatario che si chiama invece, onorato. Mentre l’eredità si acquista mediante accettazione, il legato si acquista
ipso iure al momento dell’apertura della successione, salvo il diritto del legatario di rinunziare al legato. Egli ha tempo di rinunziare
nei 10 anni che decorrono dall’apertura della successione. Tuttavia, qualunque interessato che voglia sapere se il legatario rinunzierà o
meno al legato può esperire “ actio interrogatoria ” per chiedere che il Giudice fissi un termine breve, entro il quale il legatario dovrà
decidersi. Qualora questi nulla dica nel termine breve, perderà il diritto di rinunziare al legato.
Volendo quindi definire le differenze tra eredità e legato diremo che:
•L’eredità comporta il subentrare dell'erede “nell’ universum ius defuncti” , quindi in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi del defunto, e
quindi nella stessa posizione giuridica del defunto; invece, il legato comporta il subentrare del legatario in singoli e determinati rapporti;
•L’erede risponde dei debiti ereditari; il legatario non ne risponde invece(a meno che non venga espressamente disposti dal de cuis);
•L’eredità si acquista con l’accettazione mentre, il legato, si acquista ipso iure.
SUCCESSIONE NECESSARIA O DEI LEGITTIMARI
La successione necessaria è quella disposta a favore di alcuni parenti del “ decuius ” che sono a lui legati da vincolo di “
coniugio ” o da stretti vincoli di parentela. La legge perciò prevede che il testatore possa disporre come crede di una quota del suo
patrimonio, detta quota disponibile; mentre, prevede che una determinata quota, detta quota di riserva o quota di legittima, sia destinata
inattaccabilmente e indisponibilmente ai legittimari che sono:
•Il coniuge;a cui si è affiancato il partner dell'Unione civili con la legge cirirnà
•I figli legittimi, legittimati adottivi, naturali riconosciuti e giudizialmente dichiarati;
•Gli ascendenti legittimi.
I FRATELLI O SORELLE DEL DE CUIUS NON SONO LEGITTIMARI!!!!
Circa la natura giuridica della successione necessaria, poiché non esiste un “tertium genus” di successione,è da ritenersi che essa rientri
nell’ambito della successione legittima, poiché anch’essa si apre per volontà di legge. Tuttavia, mentre le norme sulla successione
legittima sono disponibili e dispositive, cioè derogabili dal privato, le norme sulla successione dei legittimari sono senz’altro
imperative e cogenti, e quindi inderogabili dalla volontà del privato. LA QUOTA DI LEGITTIMA È INATTACCABILE A COLORO A CUI
SPETTA. Il testatore non può opporre alcun peso o condizione sulla quota di riserva, si parla perciò di intangibilità della quota di
legittima. Secondo la migliore dottrina e giurisprudenza, tale intangibilità va intesa non in senso qualitativo ma in senso quantitativo. Se
per esempio, il “decuius” lascia alla figlia femmina determinati beni immobili e somme di denaro ed al figlio maschio la conduzione
dell’azienda, poiché lo ritiene più idoneo della figlia femmina, non vi è lesione della legittima se non vi è stata lesione dal punto di vista
quantitativo. Come vedremo tale giurisprudenza molto evoluta, deve ormai ritenersi superata dall’entrata in vigore nel nostro ordinamento
giuridico dell’istituto del patto di famiglia che ha espressamente disciplinato la materia.
Il principio di intangibilità conosce due temperamenti:
•Il primo temperamento è costituito dall’istituto della cautela sociniana dal nome del giurista Socino; supponiamo che Tizio lasci
come erede un unico figlio e che abbia un patrimonio di 1000. Ne consegue che la quota di legittima è pari a 500 e supponiamo che il
“decuius” lasci al figlio la nuda proprietà del tutto e contemporaneamente un legato di usufrutto del valore di 700. Com’è chiaro, come
reddito il legittimario consegue un reddito inferiore a quello che gli spetterebbe per legittima, tuttavia, la nuda proprietà si estende all’intero
patrimonio perciò, per verificare se vi è lesione di legittima, bisognerebbe capitalizzare l’usufrutto ma, poiché come sappiamo esso si
estingue con la morte dell’usufruttuario, tale calcolo sarebbe incerto ed aleatorio. Allora la legge lascia al legittimario una facoltà di scelta;
egli potrà o eseguire la disposizione testamentaria così com’è, oppure pretendere la piena proprietà della quota di legittima abbandonando
ciò che eccede la quota in proprietà del legatario, che però non diventa erede. Se il testatore quindi lascia al legittimario una parte
del suo patrimonio superiore alla quota di riserva, sia pure in nuda proprietà, e contemporaneamente disponga un legato di
usufrutto che eccede la quota disponibile, il legittimario potrà scegliere se eseguire la disposizione così com’è, o pretendere la
piena proprietà della legittima abbandonando in proprietà al legatario quanto è eccedente;
•Il secondo temperamento è dato dal legato in sostituzione di legittima . In tal caso, il testatore per evitare un eccessivo
frazionamento del suo patrimonio, può lasciare al suo legittimario un legato di somme di denaro o di beni determinati per un valore uguale
o superiore a quello della legittima a condizione però che il legittimario rinunci ad ogni altra pretesa sull’eredità, poiché appunto il legato
sostituisce la legittima. Anche in quest’ipotesi il legittimario può scegliere: o esegue la disposizione così com’è, o richiedere la piena
proprietà della quota di legittima. Se però ha accettato il legato in sostituzione di legittima e si rende poi conto che esso ha un
valore inferiore a quello che gli spetta per legittima, non può più chiedere il supplemento. Il legato in sostituzione di legittima è
cosa diversa dal legato in conto di legittima . In tal caso, il “ de cuius ” fa al legittimario una semplice attribuzione di beni che
avrebbe potuto anche anticipargli in vita e che vanno computati ai fini del calcolo della legittima, con la conseguenza che, se i
beni sono insufficienti rispetto al valore della legittima, il legittimario potrà chiedere il supplemento.Fuori da queste due ipotesi i
legittimari lesi nelle loro ragioni possono esperire apposita azione, detta azione di riduzione contro coloro che hanno conseguito oltre
la quota disponibile, al fine di essere integrati nei loro diritti. L’azione di riduzione(mira a ridurre le disposizioni testamentarie che
hanno intaccato la quota di legittima in modo da essere reintegrati nella loro quota)si rivolge contro le disposizioni testamentarie
che si riducono tutte proporzionalmente. Qualora tale riduzione non sia sufficiente a reintegrare la quota di legittima, l’azione si rivolge
contro le donazioni fatte in vita dal “ de cuius ” a partire dall’ultima in poi, poiché si presume che l’ultima donazione abbia intaccato la
quota di legittima. Da notare che per l’esperimento della quota di riduzione è necessario aver accettato l’eredità con il beneficio
dell’inventario, a meno che l’azione non sia posta in essere contro soggetti chiamati come coeredi (ad esempio: da un fratello contro un
altro).
L’azione si prescrive nel termine ordinario di 10 anni dall’apertura della successione. L’azione può esperirsi anche contro i terzi aventi
causa dal donatario, sempre che il donatario non sia in grado di pagare il valore del bene che eccede la quota disponibile. Il terzo, anziché
restituire il bene, potrà corrisponderne il valore. Trattasi secondo la giurisprudenza di un debito di valore e non di valuta, e quindi il terzo
dovrà corrispondere il valore del bene al tempo della domanda giudiziale ed eventualmente rivalutato, se vi è stata svalutazione monetaria.
IL PATTO DI FAMIGLIA
Il patto di famiglia, come già avemmo modo di accennare, costituisce un’eccezione al divieto dei patti successori. I patti successori
sono quei patti con cui si dispone sui beni facenti parte di un’eredità futura e essi in tutte le loro forme sono nulli, per norma imperativa di
diritto. Eccezione a tale principio è data dal patto di famiglia introdotto dal legislatore del 2006 con legge 55 che ha novellato il Codice
Civile introducendo gli articoli 768 bis e seguenti. Il patto di famiglia è un contratto(Inter vivos) con il quale l’imprenditore trasferisce
in tutto o in parte la sua azienda ad uno o più discendenti, ovvero è il contratto con cui il titolare di partecipazioni soci etarie,
trasferisce in tutto o in parte le proprie quote ai suoi discendenti. Beneficiari/assegnatari del complesso produttivo possono essere
solo i figli, non estranei, né altri parenti e neppure il coniuge. Il contratto deve essere redatto a pena di nullità per atto pubblico. La
stabilità del trasferimento dipende dalla neutralizzazione delle pretese degli altri legittimari non assegnatari che potrebbero esperire azione
di riduzione, vanificando così il patto di famiglia. A tale scopo il legislatore stabilisce che al patto di famiglia debbano partecipare tutti
coloro che sarebbero legittimari, se al momento della stipulazione si aprisse la successione. I legittimari non assegnatari possono o
rinunziare ad ogni loro pretesa, oppure potranno essere liquidati dagli assegnatari con una somma di denaro corrispondente al valore
della loro quota di legittima. I contraenti possono anche stabilire che la liquidazione avvenga in natura. Inoltre con il medesimo
contratto, il disponente può anche attribuire ai partecipanti non assegnatari, determinati beni, ciò a scopo perequativo, e tali beni saranno
computati ai fini del calcolo della somma da liquidarsi ai partecipanti non assegnatari. L’assegnazione di beni può avvenire anche con
un successivo contratto che però sia dichiarato espressamente collegato al primo ed al quale devono partecipare tutti coloro
che hanno partecipato al primo contratto. Sottolineiamo che quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto né a riduzione né a
collazione. Per rafforzare la stabilità del patto, vanno tenute presenti anche le ragioni dei legittimari futuri (ad esempio: figlio
sopravvenuto,nuovo coniuge); tali nuovi legittimari hanno diritto di chiedere ai beneficiari del patto di famiglia il pagamento della somma
spettante loro come legittima. Da notare che per beneficiari non si intende solo il soggetto assegnatario dell’azienda ma, tutti i partecipanti
al patto di famiglia. Qualora i nuovi legittimari siano lesi nelle loro ragioni potranno impugnare il patto di famiglia. Il patto di famiglia
può essere viziato da errore, violenza morale e dolo. La relativa azione non si prescrive nei consueti 5 anni ma, in 1 anno, che
decorre dal momento in cui l’errore e il dolo sono stati scoperti e la violenza morale è cessata.
Il patto può essere sciolto in due ipotesi:
•Con un nuovo contratto concluso da tutti i partecipanti al precedente con cui si decida di sciogliere il primo contratto, cosiddetto
“consensus contrarius” o mutuo dissenso;
•Il recesso dal patto di famiglia, qualora però esso sia stato stabilito come facoltà fin dall’origine, e quindi fin dal momento in cui è stato
posto in essere il patto di famiglia. La dichiarazione di recesso, certificata da un notaio, deve essere comunicata agli altri contraenti.
LE SUCCESSIONI TESTAMENTARIE
Le successioni testamentarie sono la massima affermazione dell’autonomia del privato in quanto il testatore mediante il testamento
disciplina e dispone della sorte del proprio patrimonio per il tempo successivo alla sua morte. Il testamento infatti è il negozio giuridico
con cui il testatore dispone della sorte dei propri beni per il tempo successivo alla sua morte. Ogni soggetto che ha la capacità di agire ha
anche la capacità di testare; sono perciò incapaci di testare: il minore, l’interdetto e l’incapace naturale. Il testamento di un incapace è
impugnabile da chi ne ha interesse entro 5 anni che decorrono dal giorno dell’esecuzione del testamento.
Il testamento è un negozio giuridico con i seguenti caratteri:
•Unilaterale , perché consiste nella dichiarazione di volontà del solo testatore
•A titolo gratuito , perché comporta depauperamento del testatore/de cuius senza vantaggio;
•Non recettizio , perché per produrre i suoi effetti non deve essere portato a conoscenza del destinatario;
•“Mortis causa ”, perché produce i suoi effetti per la morte e dopo la morte di un soggetto;
•A contenuto normalmente patrimoniale , perché normalmente con esso il testatore dispone del proprio patrimonio;
•Revocabile ,perché per principio della libertà di testare, il testamento è revocabile o anche solo modificabile, “ usque ad supraemum
vitae exitum ”, cioè fino all’ultimo istante di vita;
•Solenne , perché può essere posto in essere solo nelle forme previste dalla legge.
Per quanto riguarda la forma, il testamento può essere.
•Ordinario
•Speciale che è posto in essere in occasione di eventi eccezionali come guerre, davanti ad un soggetto qualificato ma, non
necessariamente un notaio (come ad esempio: il sindaco o il parroco). Questi testamenti speciali cessano di avere effetto decorsi tre mesi
dalla cessazione dell’evento eccezionale, perciò il testamento speciale, produrrà i suoi effetti solo se il “ decuius ” muore entro i tre mesi
successivi alla cessazione dell’evento eccezionale.
Il testamento ordinario può essere:
•Testamento olografo, quello redatto di pugno dal testatore, esso a pena di nullità deve presentare i seguenti caratteri: deve essere
scritto di pugno dal testatore, datato e sottoscritto dallo stesso testatore. In mancanza di uno di questi elementi il testamento olografo è
nullo.
•Testamento per atto di notaio
Il testamento per atto di notaio si distingue in:
•Pubblico , che consiste in un documento redatto da un notaio che riproduce le dichiarazioni a lui fatte dal testatore in presenza di due
testimoni;
•Segreto , che è il testamento che consiste in un plico sigillato che viene consegnato dal testatore al notaio che vi appone l’autenticazione.
Il testamento segreto nullo come tale, perché privo di sigillo, si converte automaticamente in testamento olografo se di esso ha i requisiti(se
è scritto di pugno dal testatore,datato e sottoscritto).
Alcuni autori distinguono inoltre:
•Un testamento sostanziale , che è il testamento che contiene disposizioni patrimoniali, con istituzioni di eredi e di legati;
•Un testamento formale , che è invece il testamento che contiene disposizioni non patrimoniali. Confine ad esempio istruzioni all'altro
coniuge per l'educazione dei figli etc.
Da notare che non può essere istituito erede un soggetto a termine finale, poiché ciò contrasterebbe con il principio “semel eres semper
eres”, neppure può essere istituito erede un soggetto a termine iniziale, perché ciò contrasterebbe con il principio della retroattività
dell’accettazione al momento dell’apertura.
LE SOSTITUZIONI
Nel Codice Civile del 1942 la sostituzione poteva essere:
•Ordinaria anche detta volgare
•Fedecommissaria .
A seguito della riforma sul diritto di famiglia del 1975 la sostituzione ordinaria è rimasta inalterata mentre quella fede
commissaria ha subito una modificazione legislativa.Per quanto riguarda la sostituzione ordinaria, essa si ha quando il testatore
nomina erede Tizio e aggiunge che se esso non vuole accettare o non può accettare sarà erede Caio. Perciò Tizio sarà l’ istituito e
Caio sarà il sostituto . Nella sostituzione ordinaria vi è un’unica vocazione che si fissa definitivamente in capo al soggetto che
effettivamente accetta, e quindi diventa erede e succede sempre al “decuius”. Da notare che in ossequio al rispetto della legge per
la volontà del testatore, si parla di favor testamenti, la sostituzione ordinaria prevale sia sulla rappresentazione che sull’accrescimento.(C’è
da chiedersi se questa norma non sia incostituzionale).La sostituzione fedecommissaria era stata abolita del Codice del 1865 perché era
ritenuta un ostacolo alla libera circolazione e disponibilità dei beni. Il Codice del 1942 l’ha reintrodotta pur in limiti ben precisi. Ma è con la
riforma del diritto di famiglia del 1975 che l’istituto acquista una nuova fisionomia. In astratto si ha sostituzione fede
commissaria quando il testatore istituisce erede Tizio con l’obbligo di conservare i beni ereditari e di restituirli alla sua morte a
Caio. Tizio è l’ istituito e Caio è il sostituto . Tizio è erede dalla morte del “ decuius” fino alla sua morte, cioè è erede a termine finale
in deroga al principio “semel eres semper eres”, mentre il sostituto (Caio) è erede dal giorno della morte dell’istituito (Tizio) in poi,
cioè è erede a termine iniziale, in deroga al principio della retroattività dell’accettazione al momento dell’apertura. Ne consegue
che differentemente dalla sostituzione ordinaria, nella sostituzione fede commissaria vi sono due vocazioni: una per l’istituito, che succede
al testatore, e l’altra per il sostituto, che succede all’istituito.
Tanto premesso in astratto, il Codice del 1942 l’aveva ripristinata in limiti precisi. Era consentita purché l’istituito fosse figlio,
fratello, o sorella del “decuius” e il sostituto fosse figlio dell’istituito, o un ente pubblico . In ogni altro caso la sostituzione fede
commissaria era considerata nulla. A seguito della riforma del diritto di famiglia, la sostituzione fede commissaria è ammessa solo se il
testatore è genitore o ascendente in linea retta, o coniuge dell’istituito ed inoltre, se l’istituito è un incapace o un minore ed il sostituto è la
persona o l’ente, che sotto la vigilanza del tutore, si sono presi cura in vita dell’interdetto o del minore. Si tratta perciò di un istituto con
chiare finalità assistenziali di protezione di un incapace. In ogni altro caso, tale sostituzione è nulla, tuttavia una sostituzione fede
commissaria, nulla come tale, può convertirsi in sostituzione ordinaria o volgare se di essa ha i requisiti.

Parte speciale 1 domanda a piacere della parte speciale accordi in vista del divorzio

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