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Appunti diritto privato
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CAPACITÀ DELLA PERSONA GIURIDICA(non può contrarre matrimonio ovviamente non essendo una persona fisica)
Essa gode di diritti personalissimi, quali il diritto al nome e all’integrità morale. La sua capacità subisce una limitazione. È previsto,
infatti, che per gli acquisti di beni immobili, sia a titolo gratuito o a titolo oneroso, sia necessaria un’autorizzazione amministrativa; tale
autorizzazione è richiesta per aiutare il fenomeno della cosiddetta “mano morta”, cioè il divieto di accumulo dei beni che non vengano
rimessi in circolazione. L’autorizzazione non è un requisito di validità dell'atto ma di efficacia.Da notare che l’autorizzazione è un
requisito di efficacia dell’atto e, quindi, l’acquisto di un bene immobile senza l’autorizzazione da parte della persona giuridica, non
è nullo, ma può essere sanato con un’autorizzazione successiva che ha efficacia retroattiva (“ex tunc”). È prevista questa norma
nell'interesse degli associati e persone giuridiche .Tuttavia se manca l’autorizzazione, chiunque potrà far valere tale mancanza che potrà,
inoltre, essere rilevata d'ufficio dal Giudice.La volontà della persona giuridica si esprime attraverso gli organi dei quali i più
importanti sono gli amministratori.
Come si forma la volontà della persona giuridica???La volontà della persona giuridica si forma nell’assemblea, per la validità
della quale, in prima convocazione è richiesta la metà+1 degli associati, mentre in seconda convocazione è sufficiente un numero
qualsiasi di associati.La volontà si forma raggiungendo la maggioranza. L’atto posto in essere dall’assemblea di una persona
giuridica è detto atto collegiale.
NAZIONALITÀ E SEDE GIURIDICA
Mentre per la persona fisica è importante il concetto di cittadinanza, per la persona giuridica lo è quello di nazionalità.
La persona giuridica acquista la nazionalità dello Stato che la riconosce, perciò hanno nazionalità italiana le persone giuridiche
riconosciute dallo Stato italiano.
Anche il concetto di residenza e dimora, non interessano la persona giuridica per la quale invece, è importante la sede, che è il luogo in
cui si svolge la sua attività.La sede deve risultare dal registro delle persone giuridiche e dall’atto costitutivo e prende il nome di “sede
legale”.Tuttavia la sede legale è diversa da quella effettiva: i terzi potranno dare prevalenza a quest’ultima.(sede effettiva)
CAUSE DELL’ESTINZIONE DELLA PERSONA GIURIDICA
La persona giuridica si estingue:
•per volontà degli associati o del fondatore, secondo quanto stabilito e previsto nell’atto costitutivo o nello statuto;
•per il venir meno dello scopo, che è divenuto impossibile o irrealizzabile o si è esaurito. In tal caso l’autorità governativa può anche
decidere di accorpare più associazioni per garantirne la continuazione;
•per l’associazione. La persona giuridica si estingue per lo scioglimento dell’assemblea deliberata dalla stessa assemblea o
dall’autorità governativa;
•per il venir meno di tutti gli associati. Per delibera della assemblea .Importante è sottolineare che qualsiasi sia la causa di scioglimento
o estinzione, la persona giuridica smetterà di esistere solo con il provvedimento dell’autorità giuridica.
Verificatasi la causa di estinzione, ha luogo un particolare procedimento detto “liquidazione” della persona giuridica. Con esso
vengono soddisfatti i creditori della persona giuridica e, dove ci siano alcuni beni, questi verranno devoluti in conformità dell’atto costitutivo
o dello statuto o in mancanza di dichiarazione, secondo quanto stabilito dall’autorità governativa.
L’atto di nascita della persona giuridica e tutte le vicende principali della sua attività sono indicate nel registro delle p ersone
giuridiche che si trova nelle cancellerie del Tribunale di ogni Capoluogo di Provincia. Se gli amministratori omettono la registrazione
della persona giuridica, sono responsabili penalmente e rispondono personalmente e solidalmente (insieme)alla persona giuridica per le
obbligazioni assunte da queste.
La registrazione(non ha valore costitutivo ma dichiarativo) ha semplice valore dichiarativo e serve per portare a conoscenza dei
terzi, la consistenza patrimoniale della persona giuridica, perciò l'omissione della registrazione non comporta la nullità degli atti
compiuti dalla persona giuridica e, questi atti, non potranno essere opposti a terzi.(non potranno essere fatti valere nei confronti dei terzi)
ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA E NON RICONOSCIUTA(DETTA ENTE DI FATTO)
L’associazione non riconosciuta è quella che non ha ottenuto o non ha ancora ottenuto o richiesto il riconoscimento
dell’autorità governativa.È chiaro che associazioni culturali, sportive, ecc. possano fare richiesta per ottenere riconoscimento, non
ottenere riconoscimento o non ottenerlo subito.Ciò non toglie che anche gli atti dell’associazione non riconosciuta producano
determinati effetti giuridici(riconosciute dalla legge).Anzitutto è riconosciuta validità agli accordi interni degli associati.In secondo
luogo, validità del contributo dato da ciascun associato e i beni acquistati dall’ente di fatto, costituiscono il “fondo comune” (patrimonio
della persona giuridica)e quindi tutti gli associati sono comproprietari di questi beni.
Si ha una situazione simile a quella della comunione dei beni, con la differenza che, mentre il comunista può in ogni tempo
chiedere lo scioglimento della comunione (e tale diritto è potestativo), il socio dell’ente di fatto, se vuole recedere, non potrà
chiedere la divisione del fondo comune e la restituzione della sua quota versata. Inoltre, l’autonomia patrimoniale sussiste, ma è
imperfetta(.patrimonio della persona giuridica diverso dai singoli associati )
-Nella società ad autonomia patrimoniale perfetta i soci non rispondono dei debiti e delle obbligazioni aziendali con il proprio
patrimonio personale,
-Nella società ad autonomia patrimoniale imperfetta, al contrario, sono i soci a rispondere con il proprio patrimonio.
Anche in tal caso il patrimonio dell’ente di fatto è diverso da quello della singola persona giuridica, tuttavia gli associati che hanno agito
in nome e per conto dell’associazione rispondono personalmente e solidalmente con l’associazione, delle obbligazioni assunte da questa;
ciò perché non essendo intervenuto il riconoscimento governativo, non è stato effettuato un controllo preventivo circa la consistenza
patrimoniale dell'associazione. Il presidente dell’associazione non riconosciuta, ha capacità processuale e la legge ha ammesso
che anche l’ente di fatto possa acquistare beni immobili.
I COMITATI
I comitati sono associazioni di fatto di persone che si riuniscono per esempio in occasione di pubbliche calamità, per mostre o beneficenze
per il perseguimento di un determinato scopo, si riuniscono proponendosi di raccogliere fondi. Se si costituisce la persona giuridica,
si applicano le norme in tema di personalità giuridica, altrimenti si applicano le norme in tema di associazioni non riconosciute.
Il comitato ha una figura analoga a quella della fondazione, poiché anche in tal caso vi è un patrimonio destinato ad uno scopo.I
singoli organizzatori sono responsabili personalmente e solidalmente per la conservazione dei beni del comitato per la
realizzazione dello scopo. Anche al presidente del comitato è riconosciuta capacità processuale. Vi può essere responsabilità
penale per appropriazione indebita a carico degli amministratori.
I BENI O COSA
Poiché il diritto reale è il potere immediato e diretto dell’uomo sulle cose, vediamo cosa si intende giuridicamente per “cosa”.Il senso
giuridico, per bene si intende qualunque cosa che assoggettata al potere dell’uomo gli arrechi una qualche utilità, o sia
suscettibile di godimento da parte di lui.
Non sono beni, pertanto, le “res communes omnium”, cioè il sole, le stelle, la luna ecc., proprio perché non possono essere
assoggettate al potere dell’uomo, a meno che non se ne stacchi una parte che venga destinata all’uomo (ad esempio: l’aria compressa
nelle bombole ad ossigeno)Lo “spazio atmosferico” non è un bene, un res. Sono, invece, beni giuridici: le energie naturali, se suscettibili
a sfruttamento economico(ad esempio: l’energia elettrica).
CLASSIFICAZIONE DEI BENI
I beni si dividono in:
•Beni corporali, sono quei beni percettibili con i nostri sensi o con appositi strumenti , cosiddette “res quae tangi possunt”, cioè le cose
che possono essere toccate(ad esempio: animali, automobili ecc.).
•Beni incorporali, sono quelli che sono concepibili astrattamente come creazioni della mente “res quae tangi non possunt” che non
possono essere toccati(ad esempio: quadri d’autore).
Da notare che il diritto su cosa immateriale, che deriva da creazione intellettuale, così detto “diritto d’autore(può appartenere
solo all'autore e ai suoi eredi)” è cosa diversa dal bene materiale oggetto della creazione intellettuale.
Infatti, il libro, come idea, appartiene solo al suo autore ed ai suoi eredi.Mentre, il libro materialmente acquistato dal singolo compratore
è di sua proprietà e quindi, il compratore, potrà farne l’uso che crede, rivendendolo o anche distruggendolo.Allo stesso modo il quadro
d’autore non può essere riprodotto, ma il proprietario del singolo quadro potrà farne ciò che vuole.
I BENI MOBILI E I BENI IMMOBILI
I beni immobili: sono il suolo, corsi d’acqua e tutto ciò che è prodotto naturalmente (es: albero) o artificialmente (es: edificio),
sono incorporati al suolo stesso e pertanto, i beni immobili, sono quelli che non possono essere trasferiti da un luogo all’altro.I beni
mobili sono tutti gli altri e sono quelli che possono essere trasferiti da un luogo all’altro.
Per il trasferimento da un soggetto ad un altro di beni immobili, occorre la forma scritta. Mentre per trasferire i beni mobili non occorre
alcuna forma. Anzi ai sensi dell’art. 1153 del Codice Civile,se un soggetto acquista un bene mobile da un falso proprietario, ma ha di
questo bene mobile il possesso in buona fede(ignorando che sia falso il proprietario), egli diventerà automaticamente proprietario del
bene stesso.Questo principio è riassunto dal “possesso vale titolo” e riguarda solo i beni mobili.
Poiché, per il trasferimento di un bene immobile occorre la forma scritta, è agevole seguire la vicenda di un bene immobile,
anche perché i singoli possessori del bene vengono trascritti nei registri immobiliari, presso la conservatoria delle ipoteche.La
trascrizione(dal negozio di vendita) ha valore dichiarativo.
La forma scritta è richiesta, inoltre, per alcune categorie di beni mobili che sono perciò detti “beni mobili registrati” (ad esempio:
automobili, navi ecc.).
I BENI FUNGIBILI E I BENI INFUNGIBILI
I beni fungibili o di genere, sono i beni che possono essere sostituiti indifferentemente con altri beni (ad esempio: bicicletta di quella
marca o cavallo di quella razza).
I beni infungibili , invece, sono i beni che non possono essere sostituiti indifferentemente con altri beni(esempio un quadrod'autore). Le
parti, di comune accordo, possono stabilire che un bene per sua natura fungibile sia considerata da loro infungibile. La
distinzione è importante perché, se un bene è fungibile è oggetto di obbligazione, se il bene perisce, per causa non imputabi le
al debitore, l’obbligazione resta in vita.
Se, invece, si tratta di un bene infungibile e la cosa perisce per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue e il
debitore è liberato dall’obbligazione stessa.
I BENI CONSUMABILI E I BENI INCONSUMABILI
In natura tutti i beni si consumano con l’uso(si deteriorano conl'uso) . In senso giuridico vi è una distinzione tra beni consumabili
da quelli inconsumabili.
I beni consumabili sono quelli che nel dare utilità all’uomo, perdono la loro individualità o costituiscono privazione per un soggetto (ad
esempio: le tovaglie, denaro ecc.).Gli altri beni che perdono la loro individualità e non costituiscono privazione per un soggetto sono sì
deteriorabili, ma inconsumabili (ad esempio: vestiti, scarpe ecc.).
La distinzione è importante perché i beni inconsumabili possono essere goduti dal proprietario e non possono essere oggetto di
usufrutto (diritto di usare e godere delle cose altrui lasciando inalterata la destinazione economica della cosa stessa, “est ius rebus alienis
utendi et fruendi, salva rerum substantia”).Per i beni consumabili è configurabile la figura del quasi usufruttuario che consiste nel
fatto che l’usufruttuario gode della cosa altrui e al termine dell’usufrutto ne restituisce il valore.
I BENI DIVISIBILI E I BENI INDIVISIBILI
I beni divisibili sono quelli suscettibili ad essere divisi senza che se ne alteri la loro natura e destinazione economica(ad esempio: un
fondo, un edificio, un animale morto).
I beni indivisibili sono quelli che non possono essere divisi se non alterando la loro destinazione economica(ad esempio: un animale
vivo).Le parti, per loro volontà, possono stabilire che un bene, per sua natura divisibile, sia considerato indivisibile.La distinzione
è importante nell’istituto della comunione.Se è, in comunione, un bene indivisibile, lo scioglimento della comunione potrà essere fatto
solo con attribuzione del tutto ad un singolo comunista e attribuire delle quote agli altri, ovvero con vendita del bene comune indivisibile
e con la successiva ripartizione del ricavato tra gli interessati.
I BENI PRESENTI E I BENI FUTURI
I beni presenti sono quelli esistenti in natura; essi soltanto, in quanto esistono in natura , possono formare l’oggetto di diritto di proprietà
o di altri diritti reali.Invece ,i beni futuri che non sono ancora esistenti e presenti in natura potranno formare oggetto solo di rapporti
obbligatori(diritti di credito).Nel contratto di acquisto di cose future, se le parti hanno subordinato l’acquisto al fatto che la cosa
venga in esistenza, il contratto produrrà i suoi effetti se la cosa viene all’esistenza e nei limiti in cui viene all’esistenza. (Acquisto
di cosa sperata ).Se, invece, le parti hanno posto ad oggetto la cosa futura, indipendentemente dal suo venire effettivamente
all’esistenza, il contratto produrrà i suoi effetti anche se la cosa non verrà all’esistenza e, quindi, l’altra parte sarà comunque tenuta a
pagare quanto dovuto.Questo contratto è chiamato “contratto aleatorio”.
I FRUTTI
I frutti sono beni che provengono da altri beni. Essi potranno essere beni futuri se non sono ancora venuti all’esistenza. Si distinguono:
•I frutti naturali sono beni che provengono direttamente da altri beni (concorre o meno l’opera dell’uomo, ad esempio: prodotti agricoli o
parti di animali). Fino a che non avviene la separazione dalla cosa madre, i frutti non hanno una loro individualità, ne consegue
che se il creditore vuole compiere atti di esecuzione sui beni del debitore, essi si estenderanno anche sui frutti pendenti, se questi ultimi
non si sono ancora separati dalla cosa madre. Se essi non si sono ancora separati si dicono pendenti.
•I frutti civili sono beni che provengono indirettamente da altri beni perché costituiscono il corrispettivo del bene che viene assegnato o
concesso ad altri (canone di locazione o interessi).
COMBINAZIONE DI BENI:LE COSE SEMPLICI E LE COSE COMPOSTE
La cosa semplice è quella i cui elementi sono totalmente compenetrati tra loro, da non potersi staccare senza alterare la fisionomia del
tutto (ad esempio: piante,animali ecc.).
La cosa composta è, invece, quella risultante dalla connessione materiale di più cose, ciascuna delle quali potrebbe avere una propria
individualità giuridica ed economica (ad esempio: casa con porte, mattoni ecc.). Entrando a far parte della cosa composta, le singole cose
perdono la loro individualità, che, però, resta potenziale e latente(può riaffiorare in un secondo momento).Se le cose composte,
appartengono a persone diverse, bisogna fare una distinzione:
•se la cosa composta è un bene mobile, il proprietario della cosa accessoria (ad esempio: le gomme dell’automobile) potrà rivendicarla,
purché la separazione possa avvenire senza notevole deterioramento.
•se, invece, la cosa composta è un bene immobile, il proprietario della cosa principale, diventa proprietario della cosa accessoria
secondo il principio “accessorium sequitur principale”, salvo compenso al proprietario della cosa stessa.(indennizzo della cosa
accessoria.)
LE PERTINENZE
Si intende una cosa posta al servizio o all’ornamento di un’altra.Perché si abbia una pertinenza, occorre un elemento oggettivo :cioè
il rapporto di servizio o ornamento tra la cosa accessoria e cosa principale, la prima deve arrecare un'utilità alla seconda. Un altro
elemento necessario è l'elemento soggettivo rappresentato dalla volontà, espressa o solo tacita di effettuare la destinazione dell’una cosa
a servizio o ornamento dell’altra.
•di pertinenza di bene immobile a bene immobile (ad esempio: garage vs appartamento);
•di pertinenza di bene mobile a bene immobile (ad esempio: scaldabagno vs appartamento);
•di pertinenza di bene mobile a bene mobile (ad esempio: elementi di una nave).
Occorre che il vincolo di pertinenza sia durevole e non occasionale e che sia posto in essere dal proprietario o titolare di altro diritto reale
sulla cosa principale.Le pertinenze seguono la stessa sorte delle cose principali, salvo che non sia stabilito diversamente. Così se si
vende o si dona un appartamento e non si dice alcunché, vengono vendute o donate anche le pertinenze (ad esempio: autorimessa
annessa all’appartamento).
Per poter configurare un rapporto pertinenziale sarebbe necessario secondo la giurisprudenza che la cosa accessoria
appartenga al proprietario della cosa principale o quantomeno che quest’ultimo abbia la disponibilità,tuttavia il vincolo è tale da
generare nei terzi la ragionevole convinzione che le cose appartengono ad un unico proprietario, perciò la legge, quando si costituisce o
si estingue il vincolo tende a tutelare la buona fede dei terzi, così come serve la volontà dell’uomo per costituire una pertinenza, così
servirà una volontà uguale e contraria per farla cessare(per l'estinzione)
UNIVERSALITÀ PATRIMONIALI
Il nostro ordinamento conosce solo le universalità di beni mobili.Esse sono una pluralità di cose mobili appartenenti ad un unico
proprietario ed aventi destinazione unitaria (ad esempio: quadri di una pinacoteca, libri di una biblioteca, ecc.).
L’universalità di beni mobili si distingue dalla “res composta(cosa composta)”, in quanto nella cosa composta, le cose sono tra loro
connesse materialmente, mentre ciò non avviene nelle universalità patrimoniali.I romani chiamavano le cose composte “res aderentes”
e le universalità “res distantes”.L’universalità di mobili si distingue, inoltre, per le ‘ pertinenze ‘ quando tra le cose non vi è vincolo.Le
universalità sono elevate dalla legge ad unità, nel senso che sono considerate come un tutt’ uno diverso e distinto dalle singole cose che
la compongono.
Il principio dell’art. 1153 del Codice Civile non si applica alle universalità di beni mobili, perciò chi ha acquistato da un falso
proprietario una biblioteca, e di questa ne abbia il possesso in buona fede, non ne diventerà proprietario; lo diventerà solo con
il possesso ininterrotto per 10 anni, per effetto, come vedremo, di usucapione.Inoltre, il possesso delle universalità patrimoniali è
tutelato dall’azione di manutenzione che, invece,non è concessa per i singoli beni mobili.La dottrina distingue le universalità in “universitas
facti"(universalità di fatto)e “universitas iuris(universalità di diritto).
“L’ Universitas Facti” è il complesso di beni la cui unificazione avviene per volontà del proprietario. “L’ Universitas Iuris”la cui
unificazione avviene per legge ed è rappresentato dal complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi(ad esempio: l’ HEREDITAS) .
L’AZIENDA
Ha un posto tra le cose composte.La legge definisce l’azienda come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa, ossia per la produzione di beni o di servizi.(Ad esempio: l’azienda commerciale è composta dalle merci, dal denaro ecc.)
tutti quei beni sono tra loro interdipendenti ed organizzati dall’imprenditore per svolgere la sua attività.In dottrina si discute sulla natura
giuridica dell’azienda: secondo una parte della dottrina, l’azienda la considera“universitas facti”. Non può essere accolta questa
ipotesi perché il concetto di universalità esige da un lato che di essa facciano parte solo beni mobili mentre l’azienda può
comprendere anche i beni immobili e dall’altro lato che le cose appartengono ad uno stesso proprietario mentre questo non è
richiesto dall’azienda.(ad esempio: locale preso in affitto ecc.).
A tale tesi, si prospetta che l’azienda sia una cosa composta funzionale, nel senso che le cose sono tra loro connesse non materialmente,
ma funzionalmente.A ciò si obietta che, una cosa è composta quando vi è una connessione materiale(tra cosa e cosa) e non funzionale.
Altri ancora l'azienda,la considerano un bene immateriale che consisterebbe tutto nell’attività organizzatrice
dell’imprenditore.Secondo un’ultima tesi, si tratterebbe di “universitas Iuris”.Trattasi in realtà di una figura “sui generis”, no n
inquadrabile in alcuna categoria prestabilita degli elementi che la compongono.L’altro particolare importante è rivestito dall’
“avviamento”che è la capacità di profitto di un’azienda.
Si discute sulla natura giuridica dell’avviamento:
•secondo alcuni sarebbe la “ clientela “,la quale sarebbe piuttosto l’effetto dell’avviamento;
•altri lo considerano un bene materiale (rappresentata dalla capacità organizzativa dell’imprenditore);
•altri negano che sia un bene, ritenendo che si tratti di una “qualitas”, cioè una caratteristica dell’azienda. Tale orientamento è
condiviso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che asserisce che tale esercizio(cioè l avviamento)può anche mancare,
come in effetti avviene per l’azienda di nuova formazione.C’è una disputa privata anche sui rapporti tra azienda e impresa.Va
premesso che il cc definisce l’imprenditore colui che svolge professionalmente, cioè sistematicamente un’attività economica diretta alla
produzione, ovvero alla distribuzione di beni e servizi.Ciò premesso, l’azienda sarebbe lo strumento di cui si avvale l’imprenditore.Secondo
altri, l’impresa sarebbe l’azienda di medie e/o grandi dimensioni; tuttavia tale tesi contrasta con la lettera della legge che inquadra l’azienda
come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.Secondo altri, l’azienda e l’impresa costituiscono
2 aspetti dello stesso fenomeno:
•l’azienda sarebbe quello statico;
•l’impresa quello dinamico.
Secondo, l’ultima tesi, l’impresa costituirebbe una istituzione di diritto privato, cioè un’organizzazione privata composta da due
elementi:
•Complesso di persone gerarchicamente subordinate all’imprenditore.
•Complesso dei beni organizzati dall’imprenditore, per l’esercizio dell’impresa e quindi, secondo tale tesi, che sembra da condividere,
l’azienda sarebbe una parte del tutto.
BENI PUBBLICI
Quando si parla di beni pubblici si parla in due sensi:
•bene oggettivo;
•bene soggettivo.
I beni pubblici oggettivi sono quei beni assoggettati alla disciplina del diritto pubblico e quindi sottratti alle norme di diritto privato.Và
aggiunto che i beni pubblici in senso oggettivo sono quelli che appartengono ad un ente pubblico territoriale, cioè allo Stato, alle Regioni,
alle Province e ai Comuni.
Sono pubblici in senso oggettivo i beni demaniali ed i beni del patrimonio indisponibile. I beni demaniali si distinguono:
•Demanio Marittimo (lido,spiaggia ecc.);
•Demanio Idrico (fiumi, laghi ecc.);
•Demanio Militare, che comprende le opere destinate alla difesa nazionale..
Questi beni demaniali (beni pubblici) costituiscono il ‘ demanio necessario ‘ perché possono appartenere solo allo Stato.
Appartengono, invece, anche agli altri enti pubblici territoriali, il demanio stradale (vie comunali, statali ecc.) ed, inoltre, altri beni quali
acquedotti, oppure beni di interesse storico o archeologico (cimiteri ecc.).I beni demaniali sono disciplinati dal diritto pubblico, sono
inalienabili e non possono essere oggetto di possesso; conseguentemente non possono essere usucapiti.
I beni pubblici in senso soggettivo sono i beni patrimoniali, sono quelli che appartengono ad un ente pubblico. Essi si dicono beni
strumentali e si distinguono in:
•beni “patrimoniali indisponibili” non possono essere sottratti alla loro destinazione(non può essere modificata la loro destinazione)
•beni “patrimoniali disponibili” se, invece, la loro destinazione può essere modificata, essendo conseguentemente tali beni liberamente
alienabili secondo le norme del Codice Civile.
La Chiesa ed i beni ecclesiastici sono beni demaniali e ad essi si applicano le norme del Codice Civile.Però, per quanto riguarda la Chiesa,
fino a che non sono sconsacrate non possono essere sottratte alla loro destinazione, cioè al culto.
PRESCRIZIONE E DECADENZA
Per prescrizione si intende la perdita di un diritto per il non uso del diritto stesso da parte del suo titolare, per un periodo di
tempo stabilito dalla legge, (se il fondamento della prescrizione è di carattere sociale e consiste nell’esigenza della certezza dei rapporti
giuridici).Infatti, se un soggetto non usa il suo diritto per un determinato periodo di tempo, può far ritenere legittimamente nella collettività,
che tale diritto non esiste e sia stato abbandonato.
Dal carattere pubblico del fondamento dell’istituto della prescrizione, deriva che le norme in tema di prescrizione sono “imperative” e
quindi “inderogabili” dalla volontà delle parti; non possono né allungare né abbreviare i termini della prescrizione, né poss ono
rinunciare preventivamente alla prescrizione stessa. Diverso è il caso della rinuncia successiva della prescrizione già verificatasi,
poiché in tal caso è rimesso, alla volontà della parte, che potrebbe avvalersi dell’avvenuta prescrizione per una rinuncia.
La rinuncia può essere espressa, se fatta appunto espressamente o tacita, se consiste in atti incompatibili con la volontà di avvalersi
della prescrizione (ad esempio: pagamento di un debito già prescritto).
Poiché è rimessa alla volontà delle parti, la scelta se avvalersi o meno della prescrizione, essa potrà essere fatta valere solo dalle parti e
non potrà, quindi, essere rilevata di ufficio dal Giudice.
Il tempo ordinario di prescrizione è di 10 anni, salvo che la legge non preveda altrimenti (ad esempio:l’azione di annullamento si
prescrive in 5 anni, mentre i diritti reali si prescrivono in 20 anni).Vi sono poi, anche diritti imprescrittibili che quindi non si
perdono per non uso (ad esempio: diritto imprescrittibile è il diritto di proprietà poiché anche il non uso è un estrinsecazione del diritto
di proprietà).
Il diritto di prescrizione è soggetto a sospensione o interruzione.
Se si verifica la sospensione, il periodo di tempo decorso prima della causa di sospensione si cumula con quello successivo all’estinguersi
della causa di sospensione.
Se vi è invece interruzione, il periodo di tempo decorso precedentemente si considera come mai decorso e, quindi, dopo l’estinguersi
della causa di interruzione comincia a decorrere “ex novo” il periodo di prescrizione.
La sospensione della prescrizione è determinata dalla particolarità di un rapporto (ad esempio: genitore che esercita la
responsabilità genitoriale sui minori, o dalle condizioni soggettive del titolare del diritto; militare in tempo di guerra). Si verifica, invece,
interruzione, quando vi è compimento di un atto di esercizio di un diritto in via formale di un esercizio di diritto da parte del titolare (ad
esempio: la proposizione della domanda giudiziale, ovvero quando il debito viene riconosciuto dal debitore).
Mentre, la prescrizione è la perdita di un diritto per non uso del diritto stesso per un determinato periodo di tempo, la decadenza
è l’estinguersi di un diritto per lo scadere di un termine già fissato dalla legge per l’esistenza stessa di quel diritto.
In altri termini, mentre nella prescrizione il diritto nasce con vita illimitata e può essere perso solo per non uso, nella decadenza il diritto
nasce già con una vita limitata (ad esempio: dal diritto di impugnare una sentenza si decade, decorsi 30 giorni dalla sua notificazione).La
distinzione tra prescrizione e decadenza è importante perché nella decadenza non si applicano e non sussistono gli istituti della
sospensione e dell’ interruzione.
La decadenza è generalmente prevista dalla legge (decadenza legale) ma può essere anche stabilita dalle parti (decadenza
convenzionale) purché si tratti di diritti disponibili e purché le parti non stabiliscano un termine che renda troppo gravoso l’esercizio del
diritto, in quel caso la decadenza si considera come non apposta.
Dobbiamo far riferimento alle prescrizioni presuntive.(sono prescrizioni brevi stabilite dal legislatore in rapporti che avvengono
sollecitamente nella vita di tutti i giorni) Esse hanno luogo nei rapporti che avvengono sollecitamente nella vita di tutti i giorni (ad
esempio: nei negozi tra commercianti e clienti).In tale ipotesi, la legge, trascorso un breve periodo di tempo (6 mesi, 1 anno o 3 anni) a
seconda di quanto previsto tassativamente dalla legge, presume che il debito sia estinto.
Devesi notare che il debito non è necessariamente estinto e, quindi, se il debitore è convenuto in giudizio, egli non è tenuto a provare di
aver adempiuto, ma dovrà limitarsi ad eccepire l’avvenuta prescrizione del diritto altrui.Si è detto che la legge “presume” che il debito sia
estinto.Le presunzioni legali possono essere: “iuris tantum”, se ammettono la prova contraria, o “iuris et de iure”, se non ammettono
la prova contraria.Tanto premesso, la presunzione di prescrizione breve è una presunzione “iuris tantum” e, quindi, ammette la prova
contraria.Tuttavia se il creditore non ha a disposizione tutti i mezzi di prova per provare il suo credito,egli potrà solo ottenere una
confessione dal debitore o, in mancanza, potrà deferire al debitore giuramento decisorio che, se dà esito negativo, determina la
soccombenza del creditore in giudizio restando ferma solo la possibilità di denuncia penale per falso giuramento.
IL FATTO GIURIDICO
Fatto giuridico è qualunque fatto o atto che produce effetti giuridici (ad esempio: nascita, morte, terremoto, contratto).La norma prevede
fatti tipo o situazioni tipo, al cui verificarsi si ricollegano effetti giuridici.Tali fatti tipo si chiamano “fattispecie”.
La fattispecie può essere semplice se consta di un solo fatto o atto (ad esempio: morte,nascita), oppure può essere complessa se
consta di più atti o fatti (ad esempio: per vendere un bene del minore occorre la volontà dei genitori e l’autorizzazione del giudice tutelare).
I fatti giuridici possono consistere in un evento naturale (ad esempio: nascita, morte, terremoto ecc.), e sono detti fatti giuridici in
senso stretto o meri fatti giuridici, oppure sono dovuti alla volontà dell’uomo, in questo caso sono detti atti giuridici .
NEGOZIO GIURIDICO
L’atto giuridico è il fatto giuridico proveniente dall’uomo.Esso si distingue in: negozio giuridico e atto giuridico in senso stretto.
•Il negozio giuridico è la manifestazione di volontà diretta al perseguimento di uno scopo pratico riconosciuto e tutelato dal ordinamento
giuridico.
•L’atto giuridico in senso stretto può essere manifestazione di scienza o sentimento.La manifestazione di scienza consiste nel portare
a conoscenza di un soggetto, un determinato fatto o atto (ad esempio: notificazione di un atto).La manifestazione di un sentimento è
l’estrinsecazione dell’interno sentire di un soggetto (ad esempio:perdono).
La scienza disciplina le singole figure/tipi del negozio (ad esempio: testamenti, contratti, donazione).
Tuttavia all’art. 1324 del Codice Civile è previsto che la disciplina del contratto si applica in quanto compatibile agli atti unilaterali tra vivi
con contenuto patrimoniale, sicché la disciplina del contratto è sostanzialmente la disciplina del negozio giuridico; in relazione alla
struttura si distinguono negozi unilaterali, bilaterali e plurilaterali.
Negozio giuridico unilaterale è quello che proviene da una sola parte. La parte può essere costituita da più soggetti che siano legati da
un identico interesse ad un rapporto (ad esempio: più persone conferiscono la procura che è un negozio unilaterale).Se la parte si
compone di più persone, il negozio prende anche il nome di “ negozio pluri-personale “.Negozio giuridico Bi laterale è composto da due
parti, negozio giuridico plurilaterale è composto da più di tre parti ciascuna delle quali si rende portatrice di un’autonoma posizione di
interesse e non deve essere confuso con il caso in cui una delle parti di un contratto bilaterale abbia struttura pluri soggettiva.
Sempre in tema di negozio unilaterale, vanno distinte le figure dell’atto collettivo, atto collegiale e atto complesso.
•L’atto collettivo consiste in più dichiarazioni di volontà di soggetti che restano tra loro distinte, ma mirano ad uno stesso fine (ad esempio:
delibera di un’assemblea di condominio).
•L’atto collegiale . Se vi sono più volontà di più soggetti che tendono a formare la volontà di un’altra persona che è la persona giuridica,
avremo l’atto collegiale (ad esempio: delibere dei soci di una società, la volontà si forma con il “ concorso della maggioranza ”.
•L’atto complesso , consiste anch’esso di più volontà di soggetti diversi, ma queste non tendono a rimanere distinte, ma tendono a
fondersi per formare un’unica volontà (ad esempio: acquisto di un bene immobile fatto da inabilitato con assistenza del curatore).
L’importanza della distinzione sta nel fatto che nell’atto collettivo ed in quello collegiale(sono il risultato di una delibera fa tta a
maggioranza, nell'atto complesso ciò non avviene), poiché le volontà rimangono distinte, il “vizio” di una di esse non vizia l’altro; al
contrario, nell’atto complesso, poiché le diverse volontà tendono a fondersi, il vizio di una di esse, vizia l’intero atto.
Si distinguono, ancora:
•Il negozio recettizio è quello che per produrre i suoi effetti, deve essere portato a conoscenza del destinatario (ad esempio: la procura).
Difatti in questa tipologia di negozi la dichiarazione negoziale deve pervenire a conoscenza di un determinato soggetto al quale deve
essere notificata e comunicata.
•Il negozio non recettizio è quello che produce effetti indipendentemente dal fatto di essere portato a conoscenza del destinatario (ad
esempio: il testamento).
In relazione alle funzioni, si distinguono:
•I negozi Inter Vivos producono effetti in vita delle parti.(es compravendita)
•I negozi Mortis Causa producono effetti per la morte e dopo la morte di un soggetto.(es testamento)
Si distinguono inoltre:
•I negozi di disposizione comportano la diminuzione del patrimonio mediante l’alienazione o la rinuncia (ad esempio: donazione).
•I negozi di obbligazione creazione di un'obbligazione,comportano l’obbligo di trasferire un bene (ad esempio: vendita di cose altrui nella
quale il venditore deve prima acquisire la proprietà delle cose altrui, e poi trasferire al compratore).
Si distinguono, ancora:
•Il negozio tipico o nominato, è quello la cui disciplina è stabilita dal codice civile (ad esempio: compravendita, locazione, ecc.).
•Il negozio atipico o innominato, è quello la cui disciplina NON è prevista dal codice civile, ma dalla libera volontà delle parti, in
esecuzione del loro principio di autonomia negoziale.
•Il negozio misto è il negozio connotato da una pluralità di frammenti appartenenti a diversi tipi negoziali, che si condizionano a vicenda,
confluendo e fondendosi in un’operazione contrattuale unitaria.
NEGOZI A TITOLO GRATUITO E NEGOZI A TITOLO ONEROSO
I negozi a titolo gratuito sono i negozi per effetti dei quali un soggetto acquisisce un vantaggio senza alcun correlativo sacrificio. (ad
esempio: donazione).
I negozi a titolo oneroso si considerano tali quando un soggetto per acquistare qualsiasi tipo di diritto, beneficio o vantaggio accetta un
correlativo sacrificio. Comportano per una o entrambe le parti, un depauperamento, poiché vi è adempimento di una prestazione (ad
esempio: compravendita).
LA RINUNZIA
La rinunzia è un negozio giuridico unilaterale non recettizio e abdicativo, con il quale il titolare del diritto manifesta la volontà di dismettere
la titolarità del diritto stesso senza trasferirlo ad altri. È possibile che dopo la rinunzia altri acquistino il diritto dismesso, ma ciò non è
conseguenza della rinunzia ma può avvenire solo in maniera indiretta ed occasionale e indipendente dalla rinunzia. Così se l'usufruttuario
rinuncia al suo diritto, il nudo proprietario diventerà pieno proprietario, ma ciò non è conseguenza della rinunzia ma l'effetto del principio
dell'elasticità del dominio in forza del quale la proprietà ritorna ipso iure(automaticamente) piena se cessa un vincolo esistente su di
essa. Se la rinunzia ha ad oggetto un credito prende il nome di remissione del debito, che è una delle cause di estinzione delle
obbligazioni. Se la rinunzia è fatta dietro corrispettivo, si avrà un contratto atipico, perché si tratterà di un negozio bilaterale,
mentre la rinunzia è un negozio unilaterale.
Gli elementi del negozio giuridico si distinguono in:
•Elementi essenziali, cosiddetti “essentialia negotii”, che sono quelli necessari per l'esistenza stessa del negozio. Essi sono elencati
nell’articolo 1325 cc: la volontà, la manifestazione di volontà, la causa e la forma, quando essa è richiesta “ad substantiam”, ovvero per
l'esistenza stessa del negozio. La mancanza di uno o più elementi essenziali del negozio comporta la nullità del negozio stesso, che
quindi si considera come mai venuto all'esistenza;
•Elementi accidentali, cosiddetti “accidentalia negotii”, che sono quegli elementi che possono essere presenti come possono anche
mancare in un negozio, ma se ci sono essi acquistano la stessa importanza degli elementi essenziali. Essi sono la condizione sospensiva
o risolutiva, il termine iniziale o finale ed il modo (o onere);
•Elementi naturali, cosiddetti “naturalia negotii”, che sono quelli che la legge presume esistenti in ogni tipo di negozio, ma che la legge
stessa lascia libere le parti di escludere o di modificare.
MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ(la dichiarazione)
La manifestazione di volontà è un elemento essenziale del negozio giuridico, perciò la sua mancanza comporta la nullità del negozio
stesso, che si considera come mai venuto all'esistenza. La manifestazione di volontà è l'estrinsecazione dell'interno volere di un
soggetto. Essa può essere espressa, se è fatta con parole o per iscritto, cioè esplicitamente, o tacita se risulta da “facta concludentia”,
cioè da comportamenti che lasciano argomentare l'interno volere di un soggetto (ad esempio: il pagamento dei debiti di un defunto con
denaro del defunto è atto di accettazione tacita dell'eredità, perché è un atto che può essere compiuto solo da chi abbia accettato l'eredità
e abbia assunto il ruolo/qualità di erede). Viceversa il pagamento dei debiti del defunto con denaro proprio è un atto ambiguo, perché
chiunque può estinguere un debito altrui. La manifestazione di volontà può essere fatta anche “per relationem”, e si ha così la figura del
negozio “per relationem”, quando le parti per il contenuto di un negozio, fanno riferimento ad altro contratto o ad una disposizione di
legge. Bisogna, a proposito della manifestazione di volontà, definire che rilievo ha il silenzio.
Il silenzio è di per se un atto ambiguo. Tuttavia nel nostro ordinamento, chi tace, quando aveva il dovere giuridico di parlare, dovere
nascente dalla legge, da consuetudine o da contratto, presta il suo consenso. “Qui tacet dum loqui potuit et debuit, consentire videtur”cioè,
chi tace quando poteva parlare presta il suo consenso. Perciò nel nostro diritto il silenzio ha valore di affermazione positiva di volontà.(ad
esempio: se il figlio raggiunta la maggiore età nulla dice al genitore, presta il suo consenso affinché il genitore stesso continui a percepire
l'usufrutto legale dei suoi beni. Conseguentemente, il genitore non dovrà restituire i frutti consumati al figlio, quando ne farà richiesta, ma
solo i frutti esistenti).
FORMA
La forma è la veste esterna del negozio giuridico, ed è quindi il modo in cui esso si presenta all'esterno. Nel nostro ordinamento vige il
principio della libertà della forma. (Le parti sono libere di porre in essere il negozio in qualsiasi forma).Tuttavia in alcuni casi la legge
richiede espressamente una determinata forma per il negozio (ad esempio: per il trasferimento di beni immobili è richiesta la forma scritta,
e ancor più per la donazione è necessario l'atto pubblico).
Quando la legge richiede una determinata forma, si parla di forma “ad substantiam”. In tal caso, la forma è elemento essenziale del
negozio e la sua mancanza comporterà la nullità del negozio stesso, che si considererà come mai venuto all'esistenza. La forma può
essere anche richiesta “ad probationem”, cioè per la prova del negozio. In tal caso, la sua mancanza non comporta nullità del negozio,
solo che il negozio stesso non può essere provato per contratto perché non esiste, né per testimoni, ma solo per confessione o giuramento.
BOLLO E LA REGISTRAZIONE
Il bollo e la registrazione non sono requisiti di forma, ma sono imposizioni fiscali. La mancanza della carta bollata non produce la nullità
dell'atto, ma comporta solo il pagamento di una sanzione pecuniaria. La cambiale e l'assegno bancario privi di bollo perdono il valore
di titoli esecutivi, cioè di titoli in forza dei quali si può procedere ad atti di esecuzione forzata da parte del creditore sui beni del
suo debitore senza bisogno di adire il giudice. Anche la registrazione del negozio, che consiste nel deposito di una copia del negozio
presso gli uffici di pubblico registro, ha un valore fiscale, e la sua inosservanza comporta l'obbligo di pagare una pena pecuniaria. La
registrazione inoltre serve anche a provare la data certa del negozio di fronte a tutti i terzi.
PUBBLICITÀ
In molti casi la legge prescrive trascrizioni o iscrizioni nei pubblici registri per rendere note le vicende più importanti della persona giuridica
o dell'atto giuridico. Da questi risulta lo stato delle persone fisiche e le vicende delle persone giuridiche.
Nel nostro ordinamento conosciamo tre tipi di pubblicità:
•Pubblicità notizia, che serve per portare a conoscenza dei terzi un determinato fatto o atto (ad esempio: pubblicazioni matrimoniali). La
mancanza di tale forma di pubblicità dà luogo solo ad una sanzione pecuniaria (nell'esempio di cui prima: a carico degli sposi e dell'ufficiale
di stato civile).
•Pubblicità dichiarativa (o trascrizione). Serve a rendere opponibile il negozio ai terzi. La omissione della pubblicità dichiarativa
non determina l'invalidità dell'atto che produce egualmente i suoi effetti tra le parti del negozio. È rispetto ai terzi che gioca la mancata
attuazione.Consiste nella trascrizione di un trasferimento immobiliare ovvero di un negozio costitutivo di un diritto reale su un bene
immobile negli uffici di pubblico registro. Mancando la trascrizione il negozio è valido ed efficace tra le parti, ma non può essere provato
e opposto ai terzi perciò, se il proprietario di un bene immobile vende lo stesso bene prima ad un soggetto, e poi ad un altro, non diventerà
proprietario chi ha acquistato per primo, bensì chi ha trascritto per primo il negozio di acquisto. Poiché peraltro il negozio è valido
tra le parti, colui che ha trascritto dopo ha diritto di ottenere l'integrale risarcimento del danno subito da parte del venditore.
•Pubblicità costitutiva (o iscrizione). In questo tipo la pubblicità è elemento costitutivo della fattispecie , senza la pubblicità il negozio
non soltanto non si può opporre ai terzi ma non produce effetti nemmeno tra le parti.Essa esiste solo per l'ipoteca. L'ipoteca è un diritto
reale di garanzia, e cioè una garanzia del credito con il vincolo che si pone su di un bene. Essa sorge solo a seguito di iscrizione ipotecaria,
che ha quindi efficacia costitutiva a differenza della trascrizione che ha valore dichiarativo.
IPOTESI/CASI DI DIVERGENZA TRA MANIFESTAZIONE DI VOLONTÀ E INTERNO VOLERE
Sotto questo concetto, si comprendono due ipotesi. La prima ipotesi è che alla volontà manifestata non corrisponda in realtà alcun
volere. Tale ipotesi da luogo agli istituti dell'errore ostativo e della violenza fisica.
Seconda ipotesi è che alla volontà manifestata corrisponda una volontà diversa e divergente da quella dichiarata/manifestata.
Tale ipotesi da luogo agli istituti della riserva mentale e della simulazione. C'è da chiedersi cosa prevale tra la volontà interna e quella
manifestata. A tale proposito sono state elaborate dalla dottrina quattro teorie.
•Teoria della volontà, per cui bisogna dar rilievo solo alla volontà interna, perché solo da essa derivano gli effetti giuridici.
•Teoria della dichiarazione, per la quale bisogna dar rilievo solo alla volontà manifestata, perché solo questa è esterna e quindi entra
nel mondo del commercio giuridico.
Teorie intermedie:
•Teoria della responsabilità, per la quale se la divergenza è imputabile al dichiarante, egli ne è responsabile e quindi il negozio è valido
così come è stato dichiarato.
•Teoria dell'affidamento, per cui bisogna preoccuparsi di tutelare i terzi che in buona fede abbiano fatto affidamento nel negozio così
come è stato dichiarato.Il nostro ordinamento ha principalmente accolto la teoria dell'affidamento ed in talune ipotesi quella della
responsabilità.
ERRORE OSTATIVO
È quell'errore che è di ostacolo all'esatta estrinsecazione del volere. Esso in pratica consiste in un lapsus, che può essere ad opera
dello stesso dichiarante o di un “nuncius” che trasferisce erroneamente la volontà altrui (ad esempio: un ufficio telegrafico). Il negozio
viziato da errore ostativo dovrebbe essere radicalmente nullo, in quanto del tutto privo dell'elemento essenziale della volontà. Tuttavia,
per tutelare l'affidamento dei terzi in buona fede, il negozio è solo annullabile, purché l'errore sia essenziale e riconoscibile. L'errore
è essenziale se ha ad oggetto un elemento essenziale del negozio, ovvero, se riguarda una norma giuridica, se esso sia stato la ragione
unica o principale del negozio. L'errore è riconoscibile quando può essere riconosciuto usando una media diligenza.
VIOLENZA FISICA O VIOLENZA ASSOLUTA
Si ha quando l'autore del negozio è stato fisicamente costretto ad esso (ad esempio: se un soggetto è fisicamente costretto a sottoscrivere
una cambiale). Il negozio viziato da violenza fisica, poiché del tutto privo della volontà, è nullo, e si considera come mai venuto
all'esistenza. La violenza fisica si chiama anche violenza assoluta o “vis atrox”, e si distingue dalla violenza morale, detta anche
violenza relativa o “vis compulsiva”,che non è un'ipotesi di divergenza tra manifestazione di volontà e interno volere, ma è un
vizio della volontà. La violenza morale è la minaccia di un male fatta da un soggetto nei confronti di un altro soggetto affinché
quest'ultimo si determini a volere ciò che il primo vuole (ad esempio: negozio compiuto sotto la minaccia di una pistola). Poiché nell'ipotesi
di violenza morale una volontà pur formatasi male tuttavia c'è, il negozio non sarà nullo come nella violenza fisica, ma sarà annullabile. Il
soggetto “coactus tamen voluit” cioè, il soggetto anche se costretto ha voluto.
FIGURA DELLA RISERVA MENTALE
Si ha riserva mentale quando un soggetto dichiara di volere una cosa ma, deliberatamente ne vuole un'altra. In tal caso, poiché la
divergenza tra manifestazione di volontà ed interno volere è imputabile al dichiarante, in applicazione della teoria della
responsabilità, il negozio è valido. Si noti però che la dichiarazione fatta “ioci causa”, cioè per scherzo o nel corso di uno scherzo, è
nulla(non esiste giuridicamente), così come quella fatta “docendi causa”, cioè a scopo didattico.
SIMULAZIONE
Simulare significa fingere, perciò il negozio simulato è un negozio apparente creato dalle parti proprio per far apparire una
situazione di fronte ai terzi mentre, in realtà, le parti non vogliono nessun negozio(simulazione assoluta) o ne vogliono uno
diverso da quello apparente (“simulazione relativa”), ad esempio: Tizio teme che un suo bene immobile venga aggredito dai suoi
creditori, perciò simula una vendita del bene con Caio. Apparentemente Tizio è il venditore, Caio è l'acquirente, ma in realtà Caio non
paga alcun prezzo e Tizio continua ad essere proprietario del bene). Nella simulazione perciò, si ha una divergenza tra volontà dichiarata
e volontà interna che non è solo consapevole come nella riserva mentale, ma è anche concordata. Proprio per questo le parti sono solite
rilasciarsi una controdichiarazione scritta nella quale affermano che il negozio non produrrà alcun effetto.
La simulazione può essere:
•Assoluta, quando le parti fingono di porre in essere un negozio ma in realtà non ne vogliono nessuno;
•Relativa, quando le parti fingono di porre in essere un negozio ma ne vogliono uno diverso da quello apparente. In tal caso il negozio
apparente si chiama negozio simulato , mentre il negozio voluto in realtà si chiama negozio dissimulato (ad esempio: le parti possono
voler porre in essere una donazione, che però vogliono nascondere ai parenti, e quindi pongono in essere una vendita simulata che cela
la donazione). Nell'esempio fatto la vendita è il negozio simulato, la donazione quello dissimulato. La simulazione relativa può essere
oggettiva o soggettiva a seconda che il negozio simulato differisca da quello dissimulato per l'oggetto o per i soggetti. La simulazione
relativa oggettiva si ha spesso nella compravendita di beni immobili in cui si fa risultare per motivi fiscali un prezzo inferiore a quello
reale. La simulazione relativa soggettiva dà luogo alla figura dell' interposizione fittizia di persona. Essa si ha quando le parti (ad
esempio: Tizio e Caio), si accordano, nel senso che, il contratto produrrà effetti nei confronti di un terzo (ad esempio: di Sempronio).
Se Sempronio vuole acquistare un bene immobile da tizio ma teme che il bene venga poi aggredito dai suoi creditori, potrà accordarsi
con Tizio e Caio. Tizio è il venditore, Caio il simulato acquirente, mentre gli effetti si produrranno nei confronti di Sempronio, che sarà
colui che pagherà il prezzo e diventerà proprietario del bene. Poiché Caio è un soggetto solo interposto solo fittiziamente (è anche detto
“testa di legno”). L'interposizione fittizia di persona si distingue dall ' interposizione reale di persona . Essa ha luogo nella
cosiddetta rappresentanza indiretta. Il rappresentante indiretto agisce in nome proprio ma per conto altrui, e gli effetti del negozio si
producono effettivamente in capo al rappresentante, che però è obbligato a ritrasferire gli effetti in capo al rappresentato.
GLI EFFETTI DELLA SIMULAZIONE TRA LE PARTI
Se la simulazione è assoluta, poiché le parti non hanno voluto in realtà alcun negozio, il negozio simulato è nullo. Il Codice dice che il
negozio simulato non produce effetti, dal che una parte della dottrina afferma che il negozio è inefficace, l’altra parte che è nullo. Se la
simulazione è relativa, è nullo il negozio simulato, mentre quello dissimulato è valido, purché abbia i requisiti di forma e di
sostanza richiesti dalla legge per quel negozio. Nell'esempio della vendita che cela la donazione, sarà necessario, purché la donazione
sia valida, che essa abbia ad oggetto beni presenti e che sia fatta per atto pubblico. Peraltro, se il negozio dissimulato è illecito, sarà
nullo il negozio simulato in quanto tale e nullo il negozio dissimulato in quanto illecito (ad esempio: se una vendita simulata cela
la donazione ad un funzionario da corrompere, è nulla la vendita perché è simulata, ed è nulla la donazione perché illecita).
EFFETTI DELLA SIMULAZIONE NEI CONFRONTI DEI TERZI
Se i terzi estranei al negozio simulato possono essere da esso pregiudicati, potranno far valere in giudizio la simulazione e far dichiarare
la nullità del negozio (ad esempio: i creditori di Tizio, simulato alienante e venditore, potranno far valere in giudizio la vendita simulata, e
quindi, farne dichiarare la sua nullità, dimostrando che il bene non è mai uscito dal patrimonio del loro debitore, e potranno aggredire il
bene stesso). Più delicata è la situazione dei terzi che abbiano acquistato diritti dal simulato acquirente, cioè: se Tizio vende simulatamente
il bene a Caio, e Caio lo rivende ad un terzo, poiché la vendita tra Tizio e Caio è nulla, in quanto simulata, dovrebbe essere nulla anche
la seconda vendita da parte di Caio nei confronti del terzo; Ciò in applicazione del principio “nemo transferre potest plus iuris quam
ipse habeat” cioè, nessuno può trasferire ad altri un diritto maggiore di quello che egli stesso ha. Tuttavia, in applicazione della teoria
dell'affidamento, sono tutelati i terzi in buona fede che, con una normale diligenza, non si sono accorti dell'accordo simula torio.
Poiché nell'esempio, Tizio (originario proprietario, venditore simulato), ha perso il suo bene per fatto e colpa del simulato acquirente, egli
avrà diritto di ottenere l'integrale risarcimento del danno subito. La buona fede è l'ignoranza dell'accordo simulatorio. È sufficiente che
essa esista nel momento della conclusione del negozio, sicché se anche un istante dopo, la parte viene a conoscenza della simulazione,
sarà comunque considerata in buona fede, in applicazione del principio “mala fidens superveniens non nocet”cioè, la malafede che
sopraggiunta non nuoce. Inoltre la buona fede si presume, sicché spetta all'altra parte provare che il soggetto era invece in malafede.
GLI EFFETTI DELLA SIMULAZIONE NEI CONFRONTI DEI CREDITORI
I creditori del simulato alienante potranno senz'altro agire in giudizio e far dichiarare la nullità della simulazione, onde provare che il
bene del loro debitore non è mai uscito dal patrimonio del debitore stesso, e così aggredirlo. Più delicata è la situazione dei creditori
del simulato acquirente. Se si tratta di creditori cosiddetti “chirografari” cioè, sforniti di garanzia reale (ad esempio: sforniti di ipoteca),
poiché essi non hanno posto nessun vincolo e quindi garanzia sul bene, non potranno soddisfarsi sul bene simulatamente acquistato dal
loro debitore, perché il simulato alienante farà valere in giudizio la nullità del negozio, dimostrando che il bene è sempre stato di sua
proprietà. Viceversa, se i creditori hanno iscritto ipoteca sul bene simulatamente acquistato dal loro debitore, poiché hanno creato un
vincolo(garanzia) su quel bene, e sempre che siano in buona fede, essi potranno soddisfarsi su quel bene, poiché il diritto reale, e quindi
il potere immediato e diretto sulla cosa, prevarrà rispetto all'azione di nullità esperita dal simulato alienante.
NEGOZIO INDIRETTO E NEGOZIO FIDUCIARIO
La simulazione(Il negozio simulato) va distinta da alcune figure che sembrano simili ad essa:
•anzitutto il negozio simulato va distinto dal negozio in frode alla legge e dal negozio in frode ai creditori. Infatti, mentre nel negozio
simulato gli effetti non sono voluti dalle parti, nel negozio in frode alla legge e nel negozio in frode ai creditori invece, gli effetti sono voluti
dalle parti proprio allo scopo di frodare i creditori o la legge.
•Il negozio simulato si distingue dal negozio indiretto: nel negozio indiretto gli effetti giuridici del negozio non si producono
direttamente ma indirettamente o per via traversa (ad esempio: voglio estinguere un mio debito e conferisco al mio creditore la procura
a riscuotere i canoni di locazione di un mio appartamento fino al suo soddisfacimento del credito). Come è evidente, mentre nel negozio
simulato gli effetti non sono voluti dalle parti, in quello indiretto gli effetti sono voluti, anche se le parti si prefig gono scopi
diversi da quelli tipici del negozio posto in essere.Nell’esempio precedente il negozio di rappresentanza mirava invece ad estinguere
un’obbligazione.
La categoria più importante di negozio indiretto è quello fiduciario. Nel negozio fiduciario un soggetto detto fiduciante trasferisce, o
fa trasferire da un terzo, tutti, o parte dei suoi beni, ad un altro soggetto detto fiduciario, che si obbliga a servirsi dei beni secondo gli scopi
concordati. Il fiduciario può servirsi dei beni ed anche alienarli se necessario ma poi dovrà restituirli al fiduciante o, se li ha
alienati, dovrà restituire il ricavato. Già in diritto romano si conoscevano le figure di negozi fiduciari “cum amico” e della fiducia “cum
creditore”. Il Codice Civile non disciplina espressamente il negozio fiduciario, tuttavia, esso deve ritenersi ammesso in applicazione del
principio dell’autonomia contrattuale. Esiste però una figura di negozio fiduciario: Una sola norma prevede un’ipotesi di negozio
fiduciario in materia di disposizioni testamentarie l’art.627 del codice civile. In essa si prevede che il testatore può nominare erede
un soggetto con l’obbligo di trasferire i beni ad un terzo; in tal caso l’erede ha l’obbligo morale, e non giuridico, di trasferire i beni; se però
li trasferisce al terzo spontaneamente, non potrà più ripeterli(richiederli indietro), a meno che non sia un incapace. Anche nel negozio
fiduciario gli effetti sono voluti dalle parti, a differenza del negozio simulato in cui gli effetti non sono voluti dalle parti.
I VIZI DELLA VOLONTÀ
I vizi della volontà sono quelle cause che incidono sul percorso di formazione della volontà stornandola dal suo retto cammino.
Essi sono:
•L’errore vizio;
•La violenza morale;
•Il dolo.
Queste tre figure ricorrendone i requisiti rendono il negozio annullabile. Il negozio non è nullo ma è annullabile, e quindi, produce per
intanto i suoi effetti, ma può essere annullato a seguito dell’esperimento di apposita azione di annullamento da parte
dell’interessato. Il Giudice pronuncerà l’annullamento con sentenza costitutiva che, quindi, pone la nullità del negozio con effetti “ex
tunc”(dal primo momento della conclusione del negozio).
L’ERRORE VIZIO
In generale, per errore si intende l’ignoranza o la falsa conoscenza della realtà. In particolare in senso tecnico giuridico, per errore
vizio si intende l’ignoranza o la falsa conoscenza di un fatto o di una norma giuridica. La legge pone sullo stesso piano l’errore ostativo
e l’errore vizio per quanto riguarda le conseguenze giuridiche. Infatti, in entrambi i casi, il negozio è annullabile. L’errore vizio può
essere di fatto o di diritto a seconda che abbia ad oggetto un fatto giuridico o una norma. L’errore può essere essenziale o accidentale
a seconda che cada su elementi essenziali o accidentali del negozio.
L’errore vizio di fatto è essenziale quando è:
•“error in persona”, cioè errore sulla persona destinataria del negozio;es mi inducono donare una somma di denaro a tizio per salvare
mio figlio invece era Caio.
•“error in substanzia”, cioè errore sulla sostanza dell’oggetto del negozio. Si discute in dottrina se l’errore sul valore sia “error in
substanzia”; generalmente non lo è, sicché la sproporzione tra cosa e prezzo non dà luogo ad annullamento ma solo ad eventuale
rescissione, se ricorrono i requisiti di legge;
•“error in corpore”, cioè errore sul corpo dell’oggetto del negozio;
•“ error in negozio”, cioè mi induco a concludere un contratto perché lo ritengo di enfiteusi, mentre è di locazione. L’errore vizio di diritto
è essenziale quando è stato la ragione unica o principale del negozio avendo ad oggetto una norma giuridica.L’errore vizio è accidentale
quando è “error in qualitate” o “in quantitate” cioè, quando è errore sulle qualità accessorie del negozio o di peso o di misura. Tale tipo
di errore non dà luogo ad annullamento ma solo a rettifica, ed eventuale risarcimento. Ciò premesso,L’errore vizio è riconoscibile,
quando può essere riconosciuto da una persona di media diligenza. Tutto ciò premesso, l’errore vizio dà luogo ad annullabilità,
quando è essenziale e riconoscibile dall’altra parte, o dal destinatario del negozio. Per quanto concerne l’errore vizio sui motivi va fatta
una distinzione; si distinguono i negozi a titolo oneroso da quelli a titolo gratuito. Nei negozi a titolo oneroso l’errore vizio è irrilevante e
non dà luogo ad annullabilità. Nei negozi a titolo gratuito(testamento o donazione) l’errore vizio è causa di annullabilità, se esso è
stato l’unico motivo principale e determinante e ciò risulta dall’atto di liberalità.
VIOLENZA MORALE
La violenza morale detta anche violenza relativa (o “ vis compulsiva ”) è la minaccia di un male fatta da un soggetto nei confronti
di un altro soggetto, affinché quest’ultimo si determini a volere ciò che il primo vuole. Essa si distingue dalla violenza fisica in cui
l’autore del negozio è fisicamente costretto ad esso. Nel caso di violenza fisica manca del tutto la volontà, e quindi, il negozio è
nullo invece, nel caso di violenza morale, una volontà, pur formatasi male, c’è stata, e quindi, il negozio non è nullo ma è
annullabile “coactus tamen voluit”(pur costretto ha tuttavia voluto). Ciò posto, il negozio viziato da violenza morale è annullabile, se la
violenza è grave ed ingiusta e se vi sia un nesso di causalità tra violenza e negozio. La minaccia è grave quando è posta in essere nei
confronti dell’autore del negozio, o del di lui coniuge, o di un suo ascendente, o discendente; se, invece, è posta in essere nei
confronti di un soggetto legato da altro vincolo affettivo con l’autore del negozio, il valutare la gravità della violenza è rimesso al prudente
apprezzamento del Giudice, che valuterà l’intensità del rapporto tra il soggetto minacciato e l’autore del negozio. Se la violenza morale
proviene da un terzo, essa è causa di annullabilità anche se l’altra parte del negozio non ne era a conoscenza. Non è invece
violenza morale il cosiddetto “metus reverenzialis” cioè, il timore reverenziale e, quindi, quel particolare rispetto che si ha nei confronti di
soggetti autorevoli, o, di genitori, perciò il negozio concluso per “metus reverenzialis” è valido ed efficace. Va poi distinto il negozio
compiuto sotto violenza morale da quello concluso in stato di pericolo. Infatti nella violenza morale la minaccia viene dall’esterno
cioè, dall’altra parte, o da un terzo invece, nei negozi in stato di pericolo la minaccia e la paura sono nell’animo dell’autore(all’interno) del
negozio a causa di eventi naturali o disastri, così, se mi induco a promettere un’ingente somma di denaro a chi salverà mio figlio dalle
fiamme, non sarà un negozio viziato da violenza morale ma porrò in essere un negozio che potrà non essere annullabile bensì potrà
essere solo oggetto di rescissione se ne ricorrono gli estremi.
IL DOLO
Il dolo è quel complesso di artifizi e raggiri posti in essere da un soggetto per indurre un altro a un determinato negozio giuridico.
Il dolo si distingue in:
•“dolus bonus”;
•“dolus malus”.
Il “dolus bonus” è quel complesso di vanterie con cui i commercianti vantano la loro merce in vetrina al fine di indurre più acquirenti
possibile all’acquisto. Esso non è vietato dalla legge. Il dolus malus come dicevano i romani è “omnis calliditas fallacia machinatio ad
circumveniendum fallendum decipiendum alterum adibita” cioè è, quel complesso di inganno o raggiro diretto ad insidiare trarre in errore
o ingannare l’altro. Ad esempio compro un terreno perché ingannato dal raggiro del venditore che mi mostra una falsa concessione ad
edificare. Anche la menzogna o il tacere possono costituire dolo se consistono e costituiscono un raggiro. Avremo quindi un dolo
commissivo(il venditore che inganna l'altra parte)o omissivo. Ad esempio il tacere l’esistenza di una pesante servitù prediale su di
un fondo può costituire dolo se l’acquirente non avrebbe acquistato se avesse saputo dell’esistenza di tale servitù.
Il “dolus malus” si distingue:
•“ Il dolus malus determinante ”, che è quello che ha determinato la conclusione di un negozio e senza il quale il negozio non si sarebbe
concluso. Esso è causa di annullabilità.
•“ Il dolus malus incidente ”, che è quello senza il quale il negozio sarebbe stato ugualmente concluso ma a condizioni meno gravose
per la parte. Esso dà luogo solo ad eventuale risarcimento.
Va aggiunto che, mentre la violenza morale che proviene da un terzo è sempre causa di annullamento del negozio anche se l’altra parte
la ignorava, se il dolo proviene da un terzo, il negozio sarà annullabile solo se l’altra parte ne era a conoscenza e ne abbia voluto
approfittare. Nell’ipotesi di dolo reciproco, mentre per diritto romano vi era compensazione di frode, nel nostro ordinamento nel
silenzio della legge può presumere che ciascuna delle parti potrà chiedere/esperire azione di l’annullamento. Nei negozi unilaterali
non recettizi il dolo ha rilevanza da qualunque parte provenga. Vi sono peraltro negozi in cui il dolo è irrilevante come il matrimonio,
che può essere viziato e annullato solo per errore o per violenza morale. Va specificato che il dolo, quale vizio della volontà, è cosa
diversa dal dolo, quale elemento psichico di un atto umano.
Ogni atto umano in quanto proveniente dall’uomo è volontario, tuttavia, questa generica volontarietà è dolo, se l’atto è compiuto con
coscienza, ed è invece colpa, se l’atto è effetto di imprudenza negligenza o imperizia come l’omicidio colposo. Il dolo così inteso è cosa
diversa dal dolo vizio della volontà.Quest’ultimo proviene dall’esterno mentre il primo proviene dall’interno.
LA CAUSA
La causa è uno degli elementi essenziali del negozio giuridico assieme alla volontà, alla manifestazione di volontà ed alla forma quando
essa è richiesta “ad substanziam”. La causa è la ragione economico giuridica del negozio stesso. Essa è unica e costante per tutti
i tipi di negozi. Nella compravendita la causa è lo scambio di cosa contro prezzo e, precisamente per il compratore, è il conseguimento
della cosa per il venditore il conseguimento del prezzo. Per il locatore è il conseguimento del canone per il conduttore è il godimento del
bene nel contratto di locazione.La causa si distingue dai motivi poiché questi sono interni e possono esser plurimi mentre la causa è
unica ed è esterna si può quindi dire che la causa è il motivo ultimo determinante, e perciò si manifesta all’esterno. Essendo la causa
un elemento essenziale del negozio giuridico la sua mancanza determina la nullità del negozio. La legge pone sullo stesso piano
la mancanza della causa e la sua illiceità. Come vedremo la causa è illecita se è contraria a norme imperative di diritto, buon costume o
ordine pubblico e, quindi, anche se la causa è illecita il negozio è nullo.
NEGOZI ASTRATTI
In generale ed in via di massima tutti i negozi sono causali(hanno una causa che si manifesta in maniera evidente tanto che uno degli
elementi essenziali). Eccezionalmente tuttavia la legge conosce anche negozi cosiddetti astratti perché, vivono indipendentemente
dalla causa che li ha generati. Ad esempio la cambiale è un negozio astratto poiché vive indipendentemente dalla causa che l’ha generata.
La cambiale è un titolo di credito che circola mediante girata ed essa è un negozio astratto perché per la sua circolazione si prescinde
dalla causa e, quindi, dal rapporto sottostante che l’ha generata. Poiché i negozi astratti, pur vivendo indipendentemente dalla causa che
li ha generati, hanno tuttavia una causa, e la sua mancanza o la sua illiceità produrrà i suoi effetti sia pure in ritardo. Così se firmo delle
cambiali a Tizio per avere del denaro in prestito e Tizio non mi dà il denaro promesso e gira le cambiali ad un terzo, io sono costretta a
pagare il denaro indicato ma potrò agire per ottenere sia la restituzione della somma che il risarcimento del danno subito, e ciò facendo
valere il rapporto sottostante, che nell’esempio è un rapporto di mutuo. Come si vede la causa produrrà i suoi effetti anche se con ritardo.
L’astrazione può essere sostanziale o processuale. L’astrazione sostanziale è quella che riguarda i negozi che vivono indipendentemente
dalla causa che li ha generati, mentre l’astrazione processuale dà luogo a tale situazione, cioè che l’attore è tenuto solo a provare
l’esistenza del negozio non anche l’esistenza e la liceità della causa, è anzi il convenuto, che se non vuole soccombere, dovrà provare
l’inesistenza o la illiceità della causa. L’astrazione processuale introduce perciò un’inversione dell’onere della prova, perché nel processo
civile, l’onere della prova, incombe sull’attore “onus probandi incumbi ei qui dicit non ei qui negat”.
MANCANZA GENETICA O FUNZIONALE DELLA CAUSA
La causa può mancare fin dall’origine cosiddetta mancanza genetica. Ad esempio: se compro una cosa, che in effetti è già mia, manca
all’origine una causa, perché non si può trasferire una cosa a chi è già proprietario di essa. In tal caso il negozio è nullo. Se invece il
negozio ha una sua causa, ma essa viene meno successivamente alla conclusione del negozio, quest’ultimo non sarà nullo ma,
sarà suscettibile di risoluzione.
I casi sono tre:
•Inadempimento della prestazione di una delle parti;
•Sopravvenuta impossibilità della prestazione di una delle parti;
•Sopravvenuta eccessiva onerosità di una delle prestazioni, nei contratti cosiddetti ad esecuzione continuata.
Nei tre casi, venuta meno una delle due prestazioni, verrà meno anche l’altra, perché le due prestazioni sono legate tra loro da un vincolo
di interdipendenza, che si chiama sinallagma. Se viene meno una delle due prestazioni, verrà meno anche l’altra, perché una è causa
dell’altra. Nel primo e nel terzo caso la risoluzione avviene con sentenza costitutiva del Giudice, invece, nella seconda ipotesi il
venir meno di una prestazione, fa venir meno l’altra “ipso iure” e, quindi, la sentenza del Giudice sarà solo dichiarativa o di mero
accertamento.
L’ILLICEITÀ DELLA CAUSA
La legge pone sullo stesso piano la mancanza della causa e la sua illiceità. In entrambe le ipotesi il negozio è nullo. La causa è
illecita se è contraria a norme imperative di diritto, ordine pubblico o buon costume.Norme imperative di diritto sono quelle poste a
tutela di un interesse generale. Esse sono inderogabili dalla volontà delle parti. Ad esempio: negozi con causa illecita per contrasto
con norme imperative è dato dai patti successori, che sono quegli atti con cui si dispone di beni facenti parte di un’eredità non ancora
aperta, perché è ancora in vita il proprietario di essi.Per ordine pubblico si intendeva un tempo l’interesse generale della collettività
ma, essendo tale concetto troppo astratto e generico, oggi per ordine pubblico si intendono i principi giuridici generali del
nostro ordinamento. Ad esempio: negozio con causa illecita per contrasto con l’ordine pubblico è il "pactum de non licitando” cioè, il
patto con cui una persona si impegna a non partecipare ad una gara per favorire un altro. Per buon costume si intende la coscienza
morale di un popolo in un determinato momento storico. Il concetto di buon costume perciò non comprende solo principi quali quelli
del pudore o della decenza ma, in generale, tutti i principi etici della collettività. Ad esempio: negozio con causa illecita per contrasto
con il buon costume è la donazione fatta nei confronti di un funzionario al fine di corromperlo. Si noti che il negozio con causa illecita in
generale si chiama negozio illecito tuttavia la dottrina ha elaborato una distinzione tra i negozi illegali, che sono quelli nulli per causa
contraria a norme imperative di diritto e ordine pubblico, e dall’altro, negozi immorali, che sono quelli nulli per causa contraria al buon
costume. La distinzione non è meramente teorica perché in presenza di un negozio illegale, se la parte ha adempiuto può, tuttavia,
agire in giudizio e ripetere la prestazione, se, invece, trattasi di negozio immorale, se una parte ha tuttavia adempiuto e, se
l’immoralità era comune ad entrambe le parti, essa non potrà ripetere la prestazione, in applicazione del principio “in pari causa
turpitudinis meglio res in condicio possidentis”. Abbiamo detto che i motivi sono interni e plurimi e quindi sono giuridicamente
generalmente irrilevanti, tuttavia, la legge stabilisce che, se le parti hanno concluso un negozio per un motivo illecito comune ad
entrambe, il negozio è nullo per motivo illecito comune. Così se Tizio fa un finanziamento di denaro nei confronti di Caio e Caio dona
questo denaro ad un funzionario, al fine di ottenere un provvedimento favorevole a Tizio e Caio, tale contratto è nullo. La nullità ha luogo
anche nei negozi a titolo gratuito quindi testamento e donazione quando il motivo illecito è stato l’unico determinante e ciò risulta dall'atto
di liberalità. L’errore vizio sui motivi è causa di annullamento del negozio, se il negozio è a titolo gratuito, e se l’errore vizio è stato l’unico
motivo determinante e ciò risulti dall’atto di liberalità.
NEGOZIO IN FRODE ALLA LEGGE
Si ha quando un negozio pur rispettando formalmente la lettera della legge costituisce in realtà un mezzo per eludere
l’applicazione di una norma imperativa di diritto. Tale negozio si distingue dal negozio contrario alla legge, cioè quello con causa
illecita per contrasto con norme imperative; quest’ultimo ha una causa illecita e viola una norma imperativa mentre il negozio in frode
alla legge è costituito da una serie di operazioni formalmente ineccepibili ma dirette a frodare la legge (ad esempio: una norma
imperativa di diritto vieta ad una società di concedere prestito ai suoi amministratori, ciò nonostante la società può concedere il prestito
ad un terzo che si era preventivamente obbligato a trasferire il denaro ad uno, o più amministratori, e così, pone in essere un negozio in
frode alla legge). Una volta provata la frode, su istanza di chiunque vi abbia interesse, anche questo negozio è nullo. Questo si
distingue dal negozio in frode ai creditori che ha luogo quando il debitore, per evitare che i suoi beni vengano aggrediti dai
creditori, li vende in tutto o in parte ad un terzo. Il negozio in frode ai creditori dà luogo all’azione revocatoria con l’esperimento della
quale i creditori possono far rientrare nel patrimonio del debitore i beni alienati. Il negozio in frode alla legge si distingue inoltre dal
negozio simulato infatti in questo gli effetti non sono voluti dalle parti mentre nel negozio in frode alla legge gli effetti sono
voluti dalle parti anche se per via traversa ed elusiva di una norma imperativa.
LA RAPPRESENTANZA
Si ha rappresentanza quando un soggetto detto rappresentante agisce in nome e per conto di un altro soggetto detto
rappresentato.La rappresentanza è quella figura giuridica che si ha quando un soggetto, che si chiama rappresentante, agisce in nome
e per conto di un altro soggetto, detto rappresentato. Il rappresentante si distingue dal “nuncius” o messo, in quanto il “nuncius”, è un
organo di trasmissione della volontà altrui mentre, il rappresentante si sostituisce con la sua volontà a quella del rappresentato.
La rappresentanza può essere di due tipi:
•Diretta o propria;
•Indiretta o impropria.
La rappresentanza diretta si ha quando il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato, mentre in quella indiretta, il
rappresentante agisce in nome proprio e per conto del rappresentato. I due tipi di rappresentanza comportano conseguenze diverse:
Nella rappresentanza diretta, poiché il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato, gli effetti del negozio posti in essere
si producono automaticamente in capo al rappresentato invece, nella rappresentanza indiretta, poiché il rappresentante agisce per
conto del rappresentato ma in nome proprio, gli effetti si produrranno in un primo momento in capo al rappresentante, che poi sarà poi
obbligato a trasferire con un nuovo negozio giuridico gli effetti in capo al rappresentato.
La rappresentanza indiretta dà luogo alla figura all’interposizione reale di persona perché vi è l’intromissione del rappresentante
che agisce in nome proprio si distingue dall’interposizione fittizia di persona che ha luogo nella simulazione relativa soggettiva.
La rappresentanza non è ammessa per tutti i tipi di negozi; infatti è esclusa per i negozi di diritto famigliare e successorio (per il
testamento). Nel matrimonio, per procura, il procuratore e un nuncius, si limita a trasferire la dichiarazione del si davanti
all’ufficiale di stato civile. Secondo la fonte la rappresentanza si distingue in legale e volontaria. Quella legale deriva dalla volontà
della legge, ed è quella prevista dei genitori nei confronti del minore e del tutore nei confronti dell’interdetto, ed anche quella
dell’amministrazione di sostegno, nei casi in cui il Giudice abbia previsto che egli sostituisca del tutto la sua volontà a quella del
beneficiario. Tale rappresentanza si distingue dall’assistenza data dal curatore nei confronti dell’inabilitato e del minore emancipato, infatti
in questi casi poiché si limita ad integrare la volontà dell’incapace per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione. Rappresentante
legale si intende anche quella degli organi di una persona giuridica o società perché hanno la facoltà di avere rapporti all’esterno con i
terzi. Va fatta una precisazione: per le norme in materia di persona giuridica la volontà di essa si forma in assemblea con il concorso della
maggioranza quindi, il rappresentante legale non si sostituisce con la sua volontà a quella della persona giuridica, tuttavia, egli è l’unico
che abbia il potere di avere rapporti all’esterno con i terzi. La rappresentanza volontaria deriva dalla volontà delle parti e il negozio
con cui si conferisce il potere di rappresentanza, è la procura. La procura è un negozio giuridico unilaterale recettizio perché
deve essere portato a conoscenza del rappresentante per produrre i suoi effetti ed è inoltre un negozio formale poiché dovrà
avere la stessa forma prevista per il negozio che dovrà essere compiuto dal rappresentante e quindi sarà a forma libera se nessuna
forma è prevista per il negozio del rappresentante mentre sarà a forma vincolata se al contrario per il negozio del rappresentante è prevista
una forma “ad substanziam”. La procura si distingue dal mandato, con il quale nella pratica si confonde in quanto, mentre la procura è
un negozio unilaterale, il mandato è un negozio bilaterale(cioè un contratto); inoltre, mentre la procura conferisce sempre potere di
rappresentanza, il mandato può essere con o senza rappresentanza. La procura quando non è a forma vincolata può essere espressa
o tacita. Espressa quando si conferisce espressamente il potere di rappresentanza(verbalmente o per iscritto); tacita quando tale
conferimento si desume da “facta concludenzia” (ad esempio: procura tacita a vendere data ad un commesso in un’azienda commerciale).
Per la validità di un negozio compiuto da un rappresentante è necessario che il rappresentato abbia la capacità di agire, invece, poiché
ciascuno è libero di tutelare i propri interessi come meglio crede, il rappresentante potrà essere anche un incapace legale purché sia
capace di intendere e di volere. La procura è speciale se è limitata ad uno o più negozi determinati, o procura generale detta anche
“ad negotia”, se si riferisce alla generalità degli affari del rappresentato. La procura può avere ad oggetto sia l’amministrazione dei
beni del rappresentato, che la loro alienazione.
Il potere di rappresentanza si estingue:
•per compimento del negozio per il quale era stata conferita procura speciale;
•per revoca espressa; laddove intervenga espressa revoca dal rappresentato
•per revoca tacita che si ha o quando il negozio è compiuto direttamente dal rappresentato, o quando quest’ultimo proceda alla nomina
di un nuovo rappresentante comunicando tale nomina al vecchio rappresentante.
Da notare che la revoca della procura non è giuridicamente possibile quando la procura è conferita nell’interesse di un terzo, o
dello stesso rappresentante, che diventa “procurator in rem suam” cioè procuratore delle sue stesse cose( ad esempio: si ha
nell’ipotesi in cui il debitore conferisca la procura al suo creditore a riscuotere i canoni di locazione di un suo appartamento, al fine di
soddisfare il suo credito). Inoltre il rapporto di rappresentanza si estingue per morte o del rappresentante o del rappresentato in quanto
trattasi di un rapporto che si basa sul cosiddetto “intuitus personae”, cioè sul particolare rapporto di fiducia che lega i due soggetti. La
revoca e la sostituzione del rappresentante vanno comunicate ai terzi, poiché altrimenti l’eventuale negozio posto in essere dal vecchio
rappresentante, sarà valido per loro a meno che, non si riesca a dimostrare che i terzi erano a conoscenza dell’avvenuta revoca e
sostituzione.
VIZI DELLA VOLONTÀ E GLI STATI SOGGETTIVI DEL NEGOZIO RAPPRESENTATIVO
Il negozio giuridico posto in essere dal rappresentante si chiama negozio rappresentativo. Per identificare ipotesi di divergenza tra
manifestazione di volontà e interno volere, ovvero se vi siano vizi della volontà, bisogna valutare la persona e l’operato de l
rappresentante, perché egli si sostituisce con la sua volontà a quella del rappresentato, e fa eccezione a tale principio l’ipotesi di vizi che
si riferiscono ad istruzioni predeterminate dal rappresentato; in tal caso il negozio sarà annullabile, anche se la volontà del rappresentante
non era viziata (ad esempio: se il rappresentante ha avuto procura ad acquistare un quadro ritenuto, per errore del rappresentato, quadro
d’autore, il negozio sarà annullabile anche se dell’errore non è partecipe il rappresentante). Anche per valutare la sussistenza degli
stati di buona e mala fede bisogna tener presente la figura del rappresentante, tuttavia, poiché la mala fede inquina tutti i negozi
determinandone l’invalidità; il negozio sarà annullabile, anche se vi è mala fede solo del rappresentato (se ad esempio: il rappresentante
abbia avuto procura a vendere un bene non di proprietà del rappresentato, il negozio è annullabile anche se il rappresentante non ne era
a conoscenza).
IL CONFLITTO DI INTERESSI TRA RAPPRESENTANTE E RAPPRESENTATO
La procura è conferita di regola nell’interesse del rappresentato. Può essere conferita anche nell’interesse di un terzo o dello stesso
rappresentante, che in questo caso diventa “procurator in rem suam”. Un classico esempio di procura conferita nell’interesse dello
stesso rappresentante è la “cessio bonorum”(cessione di beni), che si ha quando il debitore cede tutto, o parte i suoi beni ai creditori,
affinché questi li vendano, e si soddisfino dei loro crediti sul ricavato della vendita. La procura conferita nell’interesse di un terzo, o
dello stesso rappresentante, è irrevocabile. Di regola però la procura è conferita nell’interesse del rappresentato.
Possono quindi sorgere delle ipotesi di conflitto di interesse (se ad esempio: Tizio conferisce a Caio la procura a vendere un suo
bene immobile, e Caio lo vende ad una società di cui egli è socio, in tal caso Caio, che è il rappresentante, può avere agito correttamente,
ma può sorgere il legittimo sospetto che egli abbia agito nell’interesse proprio, che del rappresentato; pertanto, in ipotesi di conflitto di
interessi, o il rappresentato è consapevole del potenziale conflitto, e autorizza ciò nonostante il negozio, ovvero il negozio è annullabile
su istanza del rappresentato). L’azione di annullamento produce i suoi effetti anche nei confronti dei terzi, a meno che questi non fossero
in buona fede, e quindi, ignorassero il potenziale conflitto di interessi. In quest’ipotesi, poiché l’annullamento non ha effetto nei
confronti dei terzi, si risolverà nel diritto del rappresentato all’integrale risarcimento del danno da parte del rappresentante. Nella
rappresentanza legale se vi è conflitto tra genitori e minori può essere nominato un curatore speciale. Se vi è conflitto tra tutore e interdetto
viene nominato un protutore, vi è conflitto di interessi, nell’ipotesi del cosiddetto contratto con se stesso.Questo contratto si ha quando
il rappresentante ha avuto la procura a vendere un bene del rappresentato e lo vende a se stesso, sicché egli si trova ad essere
nello stesso momento venditore e compratore. Il contratto con se stesso è sempre annullabile su istanza dell’interessato, a meno che
il rappresentato non abbia predeterminato le condizioni di vendita (ad esempio: commesso che acquista dal titolare merci allo stesso
prezzo che viene praticato con i terzi).
LA RAPPRESENTANZA SENZA POTERE
Un soggetto, senza avere potere di rappresentanza, può agire in nome e per conto di un altro soggetto, o perché egli ecceda i limiti stabiliti
dalla procura, cosiddetto eccesso di potere, o perché è del tutto privo di una procura, cosiddetto difetto di potere. In tal caso avremo la
figura del “falsus procurator”, o rappresentante senza potere. Il negozio giuridico posto in essere dal “falsus procurator” non è nullo,
perché la nullità ha un carattere di definitività, ma è solo inefficace nei confronti del rappresentato.
La soluzioni possono essere due:
•il “dominus negotii”, cioè cosiddetto rappresentato, accetta e ratifica il suo operato con un negozio detto appunto ratifica, che ha gli
stessi effetti di un’autorizzazione preventiva. La ratifica, come la procura, è un negozio giuridico unilaterale,recettizzio ed è un negozio
formale, di modo che, se il negozio concluso dal “falsus procurator” riveste la forma dell’atto pubblico, anche la ratifica dovrà essere fatta
per atto pubblico. Anche la ratifica può essere espressa o tacita. Un esempio della ratifica tacita è l’esecuzione del negozio da parte del
“dominus”. Una volta intervenuta la ratifica, essa produce effetti “ex tunc”, cioè fin dal primo momento in cui è stato concluso il negozio
dal “falsus procurator”.
•il “dominus negotii” non intende ratificare l’operato del “falsus procurator”. Il negozio diviene definitivamente inefficace nei confronti del
“dominus”, ma il terzo, che ha concluso il negozio in buona fede, quindi confidando nella validità del negozio, ha diritto di ottenere dal
“falsus procurator” il risarcimento del danno. Si badi però che egli ha diritto, non già all’integrale risarcimento, ma solo al risarcimento del
cosiddetto interesse negativo, cioè l’interesse a non concludere il negozio, negozio inefficace (in sostanza l’interesse a non perdere tempo
inutile). Tale interesse negativo sarà costituito dal danno emergente, rappresentato dalle spese sostenute/sopportate per le trattative, e
dal lucro cessante, che consiste nel mancato guadagno derivante dall’aver perso tempo inutilmente e quindi per aver stipulato un contratto
improduttivo di effetti.La responsabilità del “falsus procurator” rientra nella responsabilità precontrattuale.
LA NEGOTIORUM GESTIO (GESTIONE DI AFFARI ALTRUI)
Sotto il Codice Civile del 1865 le fonti delle obbligazioni erano 5: il contratto, il quasi contratto, il delitto, il quasi delitto e la legge. Nel
codice civile attuale del 1942 le fonti delle obbligazioni sono state ridotte a 3: il contratto, il fatto illecito e la legge. Tale situazione è
dovuta a ciò: le due figure del delitto e del quasi delitto sono state unificate nel fatto illecito, poiché qualunque fatto d oloso
chiamato delitto, o qualunque fatto colposo chiamato quasi delitto, producono le stesse conseguenze, cioè l’obbligo a carico
dell’autore del fatto illecito di risarcire i danni conseguenti al fatto illecito stesso, sia esso doloso o colposo. Inoltre si è proceduto
alla soppressione della categoria del quasi contratto, perché da tale figura derivavano solo 3 istituti, cioè la “negotiorum gestio”, il
pagamento di indebito, l’arricchimento senza causa. Il legislatore ha perciò ritenuto preferibile far rientrare queste tre figure nella
legge, piuttosto che mantenere in vita un’autonoma fonte di obbligazione. Non sempre l’ingerenza di un soggetto negli affari altrui, senza
essere abilitato a farlo, è un fatto riprovevole; talvolta, un soggetto può essere lontano o impedito, e quindi, nell’impossibilità di curare i
propri interessi. Si ha gestione di affari altrui quando un soggetto spontaneamente, quindi senza esservi obbligato, assume
appunto la gestione di affari altrui. La legge dice che, se la gestione è stata utile per il “dominus”, quest’ultimo ha l’obbligo di adempiere
le obbligazioni per lui assunte dal “gestor”. La legge precisa che non bisogna considerare l’utilità finale, cosiddetto “utiliter gestum”, ma
l’utilità iniziale(se lo stesso dominus avrebbe concluso gli affari secondo la valutazione del buon padre di famiglia), cosiddetto “utiliter
ceptum”. È sufficiente quindi che vi sia utilità iniziale perché il dominus sia obbligato ad adempiere alle obbligazioni per lui
assunte dal “gestor”, ed è cioè sufficiente valutare se nella sua fase iniziale anche il dominus avrebbe posto in essere quel
determinato negozio, secondo la diligenza del buon padre di famiglia. La “negotiorum gestio” può avere ad oggetto anche
l’alienazione di beni altrui; come si nota agevolmente, la figura si avvicina alquanto a quella della rappresentanza senza potere, con la
differenza che il “falsus procurator” agisce anche in nome e per conto di un soggetto che non sia, né lontano, né impedito
mentre, per aversi “negotiorum gestio”, il dominus deve appunto essere o lontano, o impedito. Anche in tal caso il dominus può
ratificare l’operato del “gestor”.
IL CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE
Al momento della stipula e conclusione di un contratto una parte può riservarsi di nominare un terzo, nella cui sfera giuridica il contratto
produrrà i suoi effetti. Si ha dunque contratto per persona da nominare quando un soggetto al momento della stipula si riserva di
nominare un terzo contraente quale effettivo contraente in suo luogo.
La nomina del terzo si chiama “electio amici”. Essa deve avvenire entro tre giorni dalla conclusione del negozio, e tale termine è
stabilito dalla legge, ma le parti possono anche prevedere un termine più lungo. Una volta intervenuta “l’electio amici” e l’accettazione da
parte dell’amico nominato, il contratto si considera concluso tra il contraente originario ed il terzo nominato, sicché quest’ultimo acquista
i diritti e si assume i doveri nascenti dal contratto, mentre esce definitivamente di scena l’originario contraente. Se il dichiarante non fa
“l’electio amici”, ovvero se non segue l’accettazione della persona nominata, il contratto si considera concluso definitivamente
tra le parti originarie.
Solo a fini fiscali, se le parti hanno previsto un termine più lungo rispetto ai tre giorni stabiliti dalla legge, il contratto si considera
concluso tra le parti originarie ed il subentrare del terzo è considerato doppio passaggio di proprietà con pagamento di dopp ia
tassa di registro. Il contratto per persona da nominare è frequente nell’ipotesi in cui il terzo non voglia figurare fin da subito al fine di non
ingenerare nella controparte una pretesa più onerosa.
Si discute sulla natura giuridica del contratto per persona da nominare. Secondo una parte della dottrina si tratta di un contratto
concluso tra le parti originarie sotto la sospensione “dell’electio amici” e dell’accettazione dell’amico nominato. La maggior parte della
dottrina, tuttavia, ritiene che si tratti di una rappresentanza eventuale in “incertam personam”. La rappresentanza è tale perché,
fino “all’electio amici”, non è nota la figura del contraente definitivo ed è eventuale perché, se non ha luogo “l’electio amici”, o l’accettazione
da parte dell’amico nominato, non ha luogo alcun fenomeno rappresentativo. La nomina del terzo e la sua accettazione sono atti
distinti e separati e sono atti unilaterali che devono avere necessariamente la stessa forma utilizzata per il contratto. Inoltre, se
hanno ad oggetto trasferimenti di beni immobili, anch’essi, come la compravendita, dovranno essere trascritti ai fini della pubblicità
dichiarativa. Il contratto per persona da nominare si distingue dalla rappresentanza indiretta; in quest’ultima, è necessario che il
rappresentante ponga in essere un nuovo negozio per trasferire gli effetti al rappresentato mentre, nel contratto per persona da
nominare, è sufficiente “l’electio amici” e l’accettazione dell’amico nominato. Si distingue anche dall’interposizione fittizia di
persona; in questo caso, vi è un soggetto che dichiara di essere parte contraente mentre, il vero contraente è un terzo. Nel contratto per
persona da nominare, invece, vi è un soggetto che dichiara effettivamente di contrarre per un terzo, che è la persona da
nominare. Si distingue dal contratto per conto di chi spetti; la figura tipica di questo contratto si ha nel caso di vettore di derrate
reperibili, che non conoscendo il destinatario di esse, le vende per conto di chi spetti, cioè dell’avente diritto, che sarà indicato dal Giudice
mentre, nel contratto per persona da nominare, la nomina è eventuale ed avviene appunto per dichiarazione di nomina. Nel contratto per
contro di chi spetti la nomina è immancabile ed avviene per fatto oggettivo qual è l’accerttamento del Giudice.
GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DEL NEGOZIO GIURIDICO
Accanto agli elementi essenziali del contratto vi sono gli elementi accidentali.Gli elementi accidentali del negozio sono quelli che possono
esistere e possono non esistere in un negozio giuridico ma, se vi sono, acquistano la stessa importanza degli elementi essenziali, e il
vizio di uno di essi vizia il negozio.
Essi sono:
•La condizione;
•Il termine;
•Il modo o onere.
LA CONDIZIONE
La condizione è un evento futuro ed incerto dal cui verificarsi o non verificarsi dipende l’efficacia giuridica di un negozio e il risolversi dello
stesso.
Vi sono due tipi di condizione:
•La condizione sospensiva, che sospende l’efficacia giuridica di un negozio;
•La condizione risolutiva, risolve cioè che fa cessare gli effetti giuridici di un negozio.(ad esempio ti dono questo anello ma me lo devi
restituire se non passi l'esame)
La condizione sospensiva, come detto, sospende l’efficacia giuridica del negozio che, quindi, è in uno stato di pendenza; ciò
significa che fino a che la condizione non si verifica non si producono gli effetti del negozio posto in essere. Si producono invece,
solo gli effetti prodromici o preliminari.(es la parte può compiere atti conservativi del bene)
Quando la condizione si verifica, essa opera retroattivamente cioè “ex tunc” e quindi gli effetti si considerano prodotti sin dal
primo momento; viceversa, se la condizione non si verifica, gli effetti cadranno del tutto “ex tunc”, e se un soggetto aveva trasferito
il diritto condizionato e la condizione sospensiva non si verifica, il negozio cadrà del tutto con effetti “ex tunc”, anche nei confronti del
terzo. Se però la condizione non si verifica, per fatto e colpa del comportamento del soggetto che aveva un interesse contrario al suo
verificarsi,in tal caso la condizione si dà per verificata come pena al comportamento fraudolento del soggetto (ad esempio: nella vendita
a prova, sottoposta alla condizione sospensiva, che la cosa abbia le qualità pattuite e sia idonea all’uso, la condizione si considererà
verificata se il soggetto o la parte si rifiuta di procedere alla verifica).
Nella condizione risolutiva gli effetti cominciano a prodursi sin dal primo momento; se però si verifica la condizione risolutiva gli
effetti cadranno del tutto nel nulla “ex tunc” e se un soggetto aveva trasferito il suo diritto sottoposto a condizione risolutiva e
si verifica la condizione, il negozio cadrà del tutto nel nulla, anche per il terzo, in applicazione del principio resoluto “iure dantis
resoluto et ius accipiendis( venuto meno il diritto del Dante causa, viene meno anche il diritto dell'avente causa) .Ciò premesso, la
condizione può essere positiva o negativa a seconda che l’evento dedotto in condizione sia positivo o negativo.
La condizione può inoltre essere:
•Potestativa, quando l’evento dedotto in condizione deriva dalla volontà di un soggetto. Naturalmente l’evento dedotto in condizione non
deve essere eccessivamente facile da realizzare, ma deve comportare una certa difficoltà e non deve essere rimesso al mero arbitrio di
un soggetto infatti la condizione è sospensiva potestativa “viziatur et viziat” cioè è essa nulla e rende nullo il negozio.
•Casuale, che è la condizione che dipende dal caso o dal fatto di un terzo
•Mista, che è quella condizione il cui evento dipende sia dalla volontà di un soggetto, che dal caso, o dal fatto di un terzo.
Secondo la fonte, la condizione può essere:
•Volontaria, che deriva dalla volontà delle parti;
•Legale, che “condicio iuris” deriva ed è previsto dalla legge.
Essendo la condizione un evento futuro ed incerto, non sono condizioni in senso tecnico le “condiciones in presens vel in
preteritum collate”, cioè le condizioni il cui evento si verifica nel presente o si è già verificato, anche se soggettivamente ignorato.
Se la condizione è illecita, cioè contrarie a norme imperative di diritto, buon costume, o ordine pubblico, essa “viziatur et viziat” cioè,
è essa nulla e rende nullo il negozio, sia che si tratti di condizione sospensiva, sia che si tratti di condizione risolutiva.
Se la condizione è impossibile, va fatta una distinzione:
•Se si tratta di condizione sospensiva, essa “viziatur et viziat”(essa è nulla e rende nullo il negozio).
•Se si tratta di condizione risolutiva, “viziatur sed non viziat”.(essa nulla ma non rende nullo il negozio)
La differenza di disciplina si spiega per il fatto che nel negozio sottoposto a condizione risolutiva gli effetti si producono sin dal primo
momento e sarebbe antieconomico porli nel nulla per la presenza di una condizione impossibile invece, nella condizione sospensiva,
poiché è sospesa l’efficacia giuridica del negozio, e quindi non si producono i suoi effetti tipici, è logico e possibile che una condizione
impossibile faccia venir meno l’intero negozio. L’impossibilità può essere materiale o giuridica. Se però la condizione illecita o
impossibile è apposta ad un negozio “mortis causa”(negozio a titolo gratuito quindi ad un testamento), in ogni caso, essa “viziatur sed
non viziat”, sia che si tratti di condizione sospensiva, che risolutiva; ciò per l’evidente motivo che il testatore è defunto e per il particolare
rispetto che ha la legge per la volontà del defunto. Vi sono inoltre negozi che non tollerano l’apposizione della condizione; tra essi
vi sono: il matrimonio, l’accettazione e la rinuncia all’eredità. Gli atti che non tollerano l’apposizione si dicono “actus legittimi”.
LA PRESUPPOSIZIONE
La presupposizione è la cosiddetta condizione inespressa dalle parti ma dalle stesse presupposta in buona fede. Le parti cioè,
nella conclusione di un negozio, hanno subordinato la sua efficacia ad un evento e questo non è stato esplicitato dalle parti, ma risulta da
esse presupposto in buona fede. L’esempio classico è il pagamento di una somma di denaro per accedere ad un balcone dal quale si
potrà vedere un concerto ecc. Un altro esempio è la compravendita di un terreno agricolo sul presupposto inespresso di entrambe le parti
che trattasi di terreno edificabile, mentre non lo è.La presupposizione può essere un evento futuro ma, anche un evento presente;
ecco perché si parla di cosiddetta condizione, perché la condizione in senso tecnico è, si un evento inc erto, ma anche sempre
futuro. Cosa succede se l’evento presupposto non esiste o non si verifica??? Secondo una parte della dottrina, il negozio sarebbe tuttavia
valido, ciò sia perché la presupposizione non è disciplinata dalla legge, e sia perché essa comporterebbe un’indagine sui motivi che,
come sappiamo interni, e sono giuridicamente irrilevanti. L’altra parte della dottrina ritiene che il negozio sia nullo, in applicazione del
principio dell’affidamento che le parti hanno fatto in buona fede su quel determinato evento presupposto. Il negozio deve considerarsi
nullo, se l’evento presupposto non esista affatto. Il negozio è passibile di risoluzione per impossibilità della prestazione, se l’evento è
divenuto irrealizzabile o non si è verificato.
IL TERMINE
Il secondo elemento accidentale del negozio giuridico.Il termine è un evento futuro, ma certo, dal cui verificarsi hanno inizio o
cessano di prodursi gli effetti giuridici di un negozio.
È chiaro che vi sono due tipi di termine:
•Termine iniziale (o “dies a quo”,giorno dal quale) al verificarsi del quale, cominciano a prodursi gli effetti del negozio;
•Termine finale (o “dies ad quem”, giorno in cui scade il termine) al verificarsi del quale, cessano di prodursi gli effetti giuridici del negozio.
Il termine è sempre un evento futuro e certo, però può essere determinato(31 dicembre 2023)o indeterminato(il giorno della mia m orte).
La dottrina ha individuato quattro tipologie di termine ma, in realtà, come vedremo, solo le prime due figure sono vere e proprie ipotesi di
termine mentre, le altre due, sono vere e proprie condizioni(essendo eventi futuri ma incerti).
Le quattro tipologie sono:
•“dies certus a nec”, quando è sicuro e certo se e quando (termine determinato);
•“dies certus an incertus”, quando il termine ci sarà ma, non si sa quando (termine indeterminato);
•“dies incertus an et certus”, quando il termine non si sa se avverrà ma, se avverrà, si sa quando;
•“dies incertus an et”, quando il termine non si sa se avverrà e quando avverrà.
Come vi sono negozi che non tollerano l’apposizione di una condizione, così vi sono negozi che non tollerano l’apposizione di un termine:
il matrimonio, l’accettazione e la rinuncia all’eredità. Gli atti che non tollerano l’apposizione di un termine si chiamano “actus
legittimi”. Anche il termine può essere potestativo, cioè rimesso alla volontà di una delle parti. In verità il termine, a differenza della
condizione, può essere anche meramente potestativo perché sarà possibile per la parte rivolgersi al Giudice, affinché fissi
equitativamente il termine. Anche nel negozio sottoposto a termine iniziale, come per la condizione sospensiva, vi è uno stato di
pendenza e una scadenza. Durante la pendenza, il diritto non può essere esercitato, tuttavia, se una parte adempie alla sua
prestazione e si tratta di negozio sottoposto a condizione sospensiva, essa potrà ripetere quanto ha prestato invece, nel termine
iniziale, se una parte ha adempiuto non può più ripetere. Tale differente disciplina si spiega agevolmente per il fatto che la condizione
è un evento futuro ma incerto, e quindi non è detto che la parte sarà realmente tenuta ad adempiere, invece, poiché il termine è certo, la
parte prima o poi adempierà necessariamente, e quindi, se la parte ha adempiuto in anticipo, potrà ottenere in giudizio un risarcimento
pari all’arricchimento dell’altra parte (pari per effetto del pagamento anticipato, cioè agli interessi e alla svalutazione monetaria). Con la
scadenza del termine iniziale si producono tutti gli effetti del negozio e si producono con effetto “ex nunc”(da quel momento in
poi), perché è stata la volontà delle parti a fissare quel termine come momento di inizio della produzione degli effetti.
Allora, possiamo fissare le differenze tra condizione sospensiva e termine iniziale:
•La condizione è un evento futuro ed incerto. Il termine è un evento futuro ma certo;
•Verificatasi la condizione sospensiva, essa produrrà effetti “ex tunc”. Verificatosi il termine iniziale, esso produrrà effetti “ex
nunc”.
IL MODO O ONERE
Il modo è un peso apposto al destinatario di un atto di liberalità(testamento o donazione).Dalla definizione è chiaro che il modo è un
elemento accidentale tipico ed esclusivo dei negozi a titolo gratuito “inter vivos o mortis causa”, cioè donazione e testamento.Nei negozi
a titolo oneroso in realtà possono anche esservi pesi imposti alle parti, ma essi si confondono con la prestazione e la contro
prestazione cui sono tenute le parti, invece nei negozi a titolo gratuito, il modus(modo o onere) acquista una sua individualità. Il modo
può comportare un obbligo di dare (ad esempio: ti istituisco erede con l’obbligo di dare 5000 euro all’anno ad un’associazione di
beneficenza), oppure può comportare un obbligo di fare (ad esempio: ti dono la mia casa con giardino con l’obbligo di costruire una
determinata statua), o di non fare (ad esempio: ti dono la mia casa con giardino con l’obbligo di non demolire la statua che lì si trova). Il
modus si distingue dalla semplice raccomandazione fatta dal donante o dal testatore, al donatario e all’erede, perché questa
obbliga solo moralmente il destinatario, mentre il modus è un vero obbligo giuridico imposto al destinatario di un atto di
liberalità. Se il “modus” è illecito o impossibile, di regola “viziatur sed non viziat”, cioè è esso nullo, ma non rende nullo il negozio, a
meno che non sia stato l’unico motivo determinante.
Si possono quindi fare le differenze tra condizione sospensiva e modo:
•Nel negozio sottoposto a condizione sospensiva gli effetti restano sospesi, invece nel modus gli effetti cominciano a prodursi
sin dal primo momento;
•Mentre la condizione sospensiva illecita o impossibile “viziatur et viziat”, il modus illecito o impossibile di regola “vizi atur sed
non viziat”.
Se il modus non è adempiuto, gli interessati non possono chiedere la risoluzione per inadempimento, perché l’attribuzione a titolo gratuito
non è legata in sinallagma (rapporto di interdipendenza tra le due prestazioni) con una contro prestazione, e perciò, gli interessati potranno
solo esperire azione per costringere l’obbligato ad adempiere. La risoluzione in caso di inadempimento è ammessa solo quando sia
stata espressamente prevista dal donante, o dal testatore, in caso di inadempimento del modus, ovvero quando l’adempimento del
modus risulta essere il motivo determinante del negozio, e ciò soprattutto se si tratta di testamento, per il rispetto dovuto alla volontà del
testatore.
L’INTERPRETAZIONE DEL NEGOZIO GIURIDICO
Ai sensi dell’articolo 1321 del Codice Civile il contratto è l’accordo tra due o più parti diretto a costituire, modificare o estinguere
un rapporto giuridico patrimoniale. Successivamente all’articolo 1324 il Codice afferma che le norme in materia di contratti si applicano
in quanto compatibili agli atti unilaterali tra vivi con contenuto patrimoniale. Quindi sostanzialmente, la disciplina del contratto è anche
la disciplina del negozio; ciò vale senz’altro in materia di norme in tema di interpretazione del negozio. La legge dice che un
negozio va interpretato. Interpretare un negozio significa ricercare, comprendere e capire la portata di esso, cioè l’effettiva volontà
comune delle parti. Per fare questo bisogna anzitutto indagare sul contenuto letterale(parole) delle clausole negoziali ma,
l’interpretazione deve essere allo stesso tempo sistematica, cioè una clausola va interpretata in collegamento con le altre e non una
disgiunta dall’altra. L’interpretazione deve essere riferita alla materia del negozio giuridico e, se le parti hanno fatto qualche
esemplicazione, è possibile l'estensione degli esempi fatti anche a casi analoghi non espressamente contemplati. Se un negozio presenta
norma oscure o ambigue l'interpretazione va fatta secondo quanto praticato nel luogo della conclusione del negozio. Se un negozio è
suscettibile a produrre più effetti, va preferita l’interpretazione che permette la produzione di tutti gli effetti del negozio, o quanto
meno, della maggior parte di essi (cosiddetto principio di conservazione del negozio). Se le parti hanno usato espressioni polisense,
esse vanno interpretate nel senso più consono all’oggetto del contratto. Inoltre, se il negozio presenta qualche lacuna, cioè se le parti
non hanno previsto alcune ipotesi, le lacune vanno colmate/integrata mediante l’integrazione per mezzo della legge o, in
mancanza, degli usi e dell’equità. Se, nonostante l’osservanza di tutti questi criteri interpretativi, il negozio rimane ancora oscuro o
ambiguo, se si tratta di negozio a titolo gratuito, esso va interpretato nel senso meno gravoso/oneroso per l’obbligato e, se si tratta di
negozio a titolo oneroso, in modo da contemperare equamente gli interessi delle parti.
NEGOZI CON EFFETTI REALI E NEGOZI CON EFFETTI OBBLIGATORI
Essendo il contratto e quindi il negozio un accordo tra due o più parti diretto a costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale,e distinguendosi i diritti patrimoniali in diritti reali e diritti di credito o di obbligazione, ne consegue che vi saranno negozi con
effetti reali e negozi con effetti obbligatori. I negozi con effetti reali sono quelli traslativi di proprietà, oppure traslativi, o costitutivi di
altro diritto reale (ad esempio: compravendita di un fondo o negozio costitutivo di usufrutto).
I negozi con effetto obbligatorio sono quelli produttivi di obbligazioni per le parti (ad esempio: locazione o vendita di cosa altrui). In
particolare, la vendita di cosa altrui è un negozio ad effetti obbligatori, perché comporta l’obbligo per il venditore di procurarsi da un terzo
la proprietà del bene e trasferirlo al compratore che, se non viene soddisfatto, avrà diritto al risarcimento del danno. I negozi con effetti
reali non vanno confusi con i negozi reali.
I negozi reali sono quelli che si perfezionano con la dazione di una “res” (ad esempio: il pegno). Essi si distinguono concettualmente dai
negozi consensuali, che sono quelli che si perfezionano con il mero consenso delle parti legittimamente espresso (ad esempio: la
compravendita, in quanto nel nostro diritto la proprietà si acquista e si trasmette sulla base del mero consenso delle parti legittimamente
espresso, “consensus partium parit proprietatem”, il consensoDelle parti attribuisce la proprietà). Per completezza il contratto di
compravendita è un contratto consensuale ad effetti reali. Come è chiaro, mentre la distinzione tra negozi con effetti reali e con effetti
obbligatori era riferita al momento degli effetti del negozio, la distinzione tra negozi reali e negozi consensuali si riferisce al momento
perfezionativo del negozio, cioè al momento della sua conclusione.
PATOLOGIA DEL NEGOZIO
Si intendono tutte quelle cause che determinano un vizio, e quindi una malattia del negozio. Col termine generico di invalidità ci si
riferisce alla nullità e all’annullabilità. A parte va considerata l’inefficacia.Va aggiunto che, per alcuni autori, poiché il negozio nullo
non è esistente per il diritto, la nullità equivarrebbe alla vera inesistenza del negozio, cioè dire negozio nullo e dire negozio inesistente
sarebbe la stessa cosa, invece, come ritiene la dottrina maggioritaria, è da ritenersi che il negozio inesistente si abbia quando
manca anche la minima parvenza di un negozio (come ad esempio: in una vendita tra persone lontane, dove il venditore propone
l’acquisto di 100 quintali d’uva e l’acquirente equivocando accetta di acquistare 100 kg di farina).
NULLITÀ DEL NEGOZIO
Dicesi nullo il negozio inesistente per il diritto. Esso può anche esistere in natura ma, per il diritto il negozio nullo si considera come mai
venuto all’esistenza, e quindi non produce alcun effetto, in applicazione del principio “quod nullum est nullum producit effectum”. Le cause
che determinano la nullità del negozio sono sostanzialmente e principalmente le seguenti:
•Mancanza di uno degli elementi essenziali del negozio: volontà, causa e forma;
•Sussistenza di una causa illecita per contrasto con norme imperative di diritto, buon costume o ordine pubblico;
•Esistenza di un motivo illecito comune ad entrambe le parti, ovvero presenza di un motivo illecito in un negozio a titolo gratuito, quando
esso sia stato l’unico motivo determinante;
•Condizione sospensiva o risolutiva illecita e condizione sospensiva impossibile.
Se soltanto una parte del negozio giuridico è colpita da nullità, in applicazione del principio “utile per inutile non viziatur”, cade
la parte affetta da nullità ed il negozio resta valido ed efficace per il resto; ciò, a meno che le due parti del negozio sia no tra loro
così interdipendenti in modo che il vizio di una parte fa cadere anche l’altra. Talvolta interviene proprio la legge a sostituire
automaticamente le clausole nulle ed il contratto rimane in vita. Ciò accade ad esempio quando sussiste per un bene un prezzo imposto
ed il bene viene venduto ad un prezzo superiore in questo caso il prezzo automaticamente si riduce nei limiti di legge, tale fenomeno è
detto sostituzione automatica di clausole. La nullità opera “ipso iure”, cioè automaticamente, poiché il negozio è inesistente per il
diritto; come conseguenza, una sentenza eventuale del Giudice si limiterà ad accertare la nullità del negozio, e quindi sarà una
sentenza dichiarativa o di mero accertamento. Poiché il negozio giuridico si considera come mai venuto all’esistenza, la nullità può
essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, ed inoltre, può essere rilevata d’ufficio dal Giudice, quindi anche se non è dedotta
dall’attore o eccepita dal convenuto. Poiché l’azione di nullità è diretta all’accertamento di un negozio mai venuto all’esistenza essa è
imprescrittibile, conseguentemente, il negozio nullo non può mai sanarsi (dicevano i romani “quod nullum est tractu temporis non
potest convalescere”, cioè ciò che è nullo con il passare del tempo non può sanarsi). Al massimo il negozio nullo come tale può convertirsi.
La conversione consiste nel passaggio di un negozio nullo come tale ad altro tipo di negozio.
La conversione può essere di due tipi:
•Sostanziale
•Formale
Per aversi conversione sostanziale sono necessari due presupposti:
•Uno di carattere soggettivo, cioè l’ipotetica volontà delle parti diretta al nuovo negozio;
•Uno di carattere oggettivo, cioè la sussistenza dei requisiti di forma e di sostanza richiesti per il nuovo negozio;
Per la conversione formale invece non è richiesta l’ipotetica volontà delle parti; si ha infatti conversione formale quando un
negozio nullo come tale si converte automaticamente in un nuovo negozio, e quindi “ipso iure”, senza bisogno di alcun atto, o
negozio (ad esempio: il testamento segreto nullo o come tale si converte in testamento olografo, se ha i requisiti richiesti dalla legge).Per
quanto riguarda gli effetti del negozio nullo, si è detto che non produce alcun effetto, e quindi la nullità opera nei confronti di chiunque,quindi
sia nei confronti delle parti, che dei terzi. In base ai principi: “Nessuno può trasferire ad un altro un diritto maggiore di quello che
egli stesso ha” e “risolto il diritto del Dante causa si risolve anche quello dell'avente causa”.Ne consegue che, se un terzo aveva
acquistato un diritto in base ad un negozio nullo, tale diritto è anch’esso nullo; tuttavia, se una parte in ossequio ad un contratto
nullo ha adempiuto, ha diritto di ripetere quanto ha prestato. Tale regola conosce un’eccezione: quella del negozio immorale, cioè
del negozio con causa illecita per contrasto con il buon costume. In tale caso, se dell’immoralità sono partecipi entrambe le parti e una ha
adempiuto, non potrà ripetere quanto prestato (“in pari causa turpitudinis meior est condicio possidentis”).
L’ANNULLABILITÀ
Si dice annullabile quel negozio che può essere annullato ma, che per intanto produce i suoi effetti. È chiaro, dunque, che per porre nel
nulla un negozio annullabile è necessario esperire apposita azione, detta azione di annullamento. Tale azione si prescrive in
cinque anni che decorrono da momenti diversi a seconda delle cause di annullamento.
Esse sono:
•Vizi della volontà: errore,violenza e dolo;
•Negozio concluso da un soggetto incapace di intendere e di volere per minore età, o per incapacità naturale non dichiarata;
•Negozio compiuto da interdetto o inabilitato o dell'emancipato, senza la rappresentanza del tutore o l’assistenza del curatore;
•Il negozio concluso dal beneficiario dell’amministrazione di sostegno, qualora egli l’abbia compiuto da solo, ed invece era previsto che
fosse rappresentato o assistito dall’amministratore di sostegno.
I cinque anni cominciano a decorrere:
•Se si tratta di errore vizio o di dolo, dal giorno in cui l'errore o il dolo sono stati scoperti;
•Se si tratta di violenza morale, dal giorno in cui essa è cessata;
•Se si tratta di negozio è compiuto da incapace naturale, dal giorno della conclusione del negozio;
•Se si tratta di negozio compiuto da minore, interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno, dal giorno in cui è
cessato(dal giorno di revoca) lo stato di minore età, interdizione, inabilitazione o amministrazione di sostegno.
Se l’azione si prescrive, l’eccezione di annullamento è invece imprescrittibile, in applicazione del principio “que -temporalia sunt ad
agendum perpetua sunt ad excipiendum”. L’importanza della perpetuità dell’eccezione di annullamento può evincersi da un caso pratico:
poniamo che Tizio minorenne venda a Caio un immobile di sua proprietà ad un prezzo irrisorio; il possesso del bene non viene trasferito,
né Caio paga alcun prezzo. Caio potrebbe maliziosamente far decorrere cinque anni dal compimento della maggiore età di Tizio e poi
convenirlo in giudizio per acquisire la proprietà del bene offrendo il prezzo. Tizio, se non esistesse la perpetuità dell’eccezione di
annullamento, non avrebbe alcuna tutela. Se l’annullabilità non ha bisogno di un’apposita azione, è chiaro che non può essere
rilevata di ufficio dal Giudice, ed essa non opera “ipso iure”, ma opera “officio iudicis”, cioè per mezzo di una sentenza
costitutiva del Giudice che non si limiterà ad accertare il fatto che il negozio non produca effetti, ma che porrà essa nel n ulla il
negozio; trattasi perciò di sentenza costitutiva. Una volta annullato il negozio con sentenza, essa agisce retroattivamente con effetti
“ex tunc”, sicché il negozio si considera privo di effetti sin dal primo momento della conclusione del negozio.
Legittimati all’esperimento dell’azione di annullamento sono i soggetti il cui consenso fu viziato, o l’incapace naturale, o il minore che
abbia raggiunto la maggiore età, o i vari rappresentanti legali. Mentre il negozio nullo non può mai sanarsi, il negozio annullabile
può essere sanato grazie ad un nuovo negozio che si chiama la convalida. La convalida può essere espressa o tacita. È espressa
quando il soggetto legittimato a far valere l’annullamento dichiara invece il negozio viziato, il vizio e l’intenzione ciò nonostante di
convalidare, cioè di sanare il negozio. Si ha convalida tacita quando la volontà di sanare il negozio si desume da “facta concludenzia”
comportamento dal quale inequivocabilmente si desume la sua volontà di sanare il negozio (ad esempio: lasciar decorrere il quinquennio
utile per far valere l’annullamento, ovvero esecuzione diretta del negozio da parte di chi potrebbe invece chiederne l’annullamento).
Ovviamente, per aversi convalida, il vizio deve essere cessato; se per esempio il vizio era la minore età, il soggetto deve e ssere
maggiorenne o debitamente rappresentato.
Per quanto riguarda gli effetti, mentre abbiamo visto che la nullità opera nei confronti di tutti, l’annullabilità opera nei confronti solo
di alcuni terzi. L'azione di annullabilità opera senz’altro nei confronti dei terzi che abbiano acquistato a titolo gratuito, siano essi in buona
o mala fede. Opera nei confronti dei terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso e siano in mala fede. Non opera e restano quindi salvi
gli effetti dei terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso in buona fede perché, di fronte alla legge, se vi è un soggetto che lotta per
evitare un danno e uno che lotta per conseguire un lucro, la legge darà valore al primo.
L’annullabilità produce effetti contro tutti i terzi, tranne coloro che abbiano acquistato a titolo oneroso e siano in buona fede.
Differenze tra negozio nullo e negozio annullabile:
•Il negozio nullo è inesistente per il diritto mentre, il negozio annullabile produce per intanto i suoi effetti fino a che non venga annullato(a
seguito di azione di annullamento), anche se l’annullamento ha effetti “ex tunc”.
•La nullità opera “ipso iure”, mentre l’annullabilità opera “officio iudicis”.
•Mentre la sentenza del giudice in caso di nullità è meramente dichiarativa, la sentenza di annullamento invece è costitutiva.
•L’azione di nullità è imprescrittibile, mentre quella di annullamento si prescrive in 5 anni.
•Il negozio nullo non può mai sanarsi, mentre quello annullabile può essere sanato grazie alla convalida.
•La nullità può essere rilevata di ufficio dal Giudice, mentre questo non è possibile per l’annullabilità.
•La nullità opera nei confronti di tutti i terzi, mentre l’annullabilità non opera nei confronti di tutti tranne nei confronti dei terzi che acquistano
a titolo oneroso e che siano in buona fede.
L’INEFFICACIA
È inefficace il negozio in sé valido e regolare ma inidoneo e incapace di produrre effetti giuridici.
L’inefficacia può essere:
•Originaria, che è sempre transitoria(esempio negozio sottoposto a condizione sospensiva o termine iniziale);
•Successiva, cioè quella che ha luogo dopo la conclusione del negozio si verifica nel negozio sottoposto a condizione risolutiva o a
termine finale.Il negozio concluso dal “falsus procurator” è inefficace nei confronti del dominus. Trattasi di inefficacia transitoria perché
può intervenire ratifica e quindi suscettibile di diventare definitiva. È originaria e permanente laddove non intervenga la ratifica del dominus.
I DIRITTI REALI
I diritti patrimoniali sono i diritti suscettibili di valutazione economica.
Essi si distinguono in:
•Diritti reali, che è il potere immediato e diretto dell’uomo sulla cosa;
•Diritti di credito o di obbligazione, che è la pretesa di un soggetto nei confronti di un altro soggetto.
Differenze:
•I diritti reali sono assoluti, poiché essi possono essere fatti valere “erga omnes” e, correlativamente, tutti devono sapere quali sono i
diritti per i quali è esclusa la loro partecipazione. Invece, i diritti di credito, sono relativi perché possono essere fatti valere solo nei confronti
di una persona, che è il debitore. Si aggiunga che i diritti reali si fissano sulla cosa, cioè si fanno tutt’uno con essa, indipendentemente
dal titolare/proprietario di esso, cosiddetto diritto di seguito o di sequela.
•I diritti reali hanno il carattere dell’immediatezza nella realizzazione del diritto mentre, i diritti di credito hanno il carattere della mediatezza,
poiché il creditore ha bisogno della cooperazione del debitore, e quindi del suo adempimento, per soddisfare le sue pretese.
•Essendo i diritti reali diritti assoluti, essi sono “numerus clausus” (a numero chiuso)poiché tutti devono sapere quali sono i diritti dalla cui
partecipazione sono esclusi, invece i diritti di credito non hanno limitazione numerica(sono a numero illimitato), in quanto possono
discendere da contratti atipici o innominati che le parti possono porre in essere, in considerazione della loro autonomia contrattuale.
I diritti reali si distinguono in:
•“Iura res propria”, diritti reali su cosa propria;
•“Iura in re aliena”, diritti su cosa altrui.
Gli iura in re aliena si distinguono in diritti reali di godimento(ad esempio usufrutto) e diritti reali di garanzia, che sono pegno ed
ipoteca, che comportano un potere di garanzia sulla cosa altrui, sicché in caso di inadempimento del debitore, il creditore potrà soddisfarsi
su quella cosa.
DIRITTO DI PROPRIETÀ
Lo Statuto Albertino del 1848 definiva la proprietà inviolabile prevedendo inoltre che il proprietario fosse tenuto a cedere in tutto
o in parte il suo diritto, quando l’interesse pubblico lo richiedesse. Al diritto di proprietà era attribuito il valore di premio per la libertà
individuale, ed anzi esso era la stessa espressione della libertà dell’individuo(principio di diritto liberale e di liberismo in economia).Il
codice civile del 1865 accolse lo stesso carattere della proprietà. Nel codice civile del 1942 vi è qualche temperamento, ma è solo con
la costituzione del 1948 l'istituto risulta profondamente modificato cambiando così fisionomia. All’art. 42 si specifica che la
proprietà è pubblica e privata e si pone sullo stesso piano l’uno e l’altro tipo di proprietà e si demanda al legislatore ordinario di garantire
e di assicurare la funzione sociale della proprietà, rendendola accessibile a tutti. All’art.42, comma 2 della Costituzione si afferma che il
legislatore ordinario deve determinare i limiti legali della proprietà, lasciando così intendere che la proprietà privata può essere esclusa
per alcune categorie come acque sotterranee o prodotti minerari.All’art. 43 la Costituzione prevede la possibilità di procedere
all’espropriazione di intere categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia. Nel 1962 si è proceduto
alla nazionalizzazione delle società elettriche che erano a carattere privato con la creazione di un unico ente pubblico nazionale che è
l’Enel, attualmente di nuovo privatizzato. Per quanto riguarda la disciplina contenuta nel Codice Civile l’art.832 afferma che il proprietario
ha diritto di usare e di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa propria, nell’osservanza dei limiti e nel rispetto degli obblighi stabiliti
dalla legge. Oggi il carattere assoluto del diritto di proprietà è temperato dalle istanze sociali, sicché l’interesse pubblico risulta essere
prominente. Tuttavia ciò non esclude che al diritto di proprietà e al proprietario siano attualmente riconosciuti i seguenti caratteri:
•Pienezza ed autonomia, poiché il proprietario ha diritto di godere della cosa propria in modo pieno ed esclusivo, e quindi anche non
usandola, poiché anche il non uso è un’estrinsecazione del diritto di proprietà.
•Esclusività, perché il proprietario può escludere chiunque dal godimento della cosa propria, si suole dire infatti che è “ius ad alios
escludendos”(diritto di escludere gli altri).
•Imprescrittibilità, poiché il diritto di proprietà non si estingue per non uso da parte del proprietario, e se altri diventa proprietario della
cosa, ciò non è conseguenza del non uso del proprietario, bensì dell’uso ininterrotto che altri faccia della cosa per un tempo stabilito dalla
legge, acquistando la cosa per usucapione.
•Elasticità, in quanto la proprietà si estende ad ogni possibile godimento che si può trarre dalla cosa e, se per caso sulla cosa si costituisce
un diritto reale minore, la proprietà tornerà piena elasticamente, cioè automaticamente con l’estinguersi del diritto minore.
L’ESTENSIONE DELLA PROPRIETÀ
In senso verticale la proprietà si estende all’infinito. All’infinito sia nel sottosuolo che nello spazio aereo sovrastante. Il proprietario però
non può opporsi ad attività che si svolgano ad un’altezza o ad una profondità tali che egli non abbia interesse ad escludere. In senso
orizzontale come è facilmente intuibile la proprietà si estende entro i suoi confini.( Salvo le norme di legge ovvero le ipotesi nel momento
in cui il proprietario deve consentire per esempio l'esercizio di caccia)
ATTI EMULATIVI
Gli atti emulativi sono quegli atti che, non comportando alcuna utilità per chi li compie, hanno il solo scopo di nuocere o arrecare molestia
ad altri. Vi devono essere due elementi:un elemento oggettivo cioè l’assenza di utilità per chi li compie, e un elemento soggettivo
che è “l’animus nocendi”, cioè l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri. Classici esempi possono essere piantare alberi
con il solo scopo di togliere la vista al vicino o dipingere il tetto di nero e così via.
LE IMMISSIONI
Il proprietario come si è detto può opporsi a qualsiasi attività di terzi sul proprio fondo. Di regola egli non può invece opporsi allo
svolgimento di attività nel fondo altrui tuttavia se dal fondo altrui provengono le cosiddette immissioni immateriali cioè fumi, rumori,
esalazioni ecc,provenienti dal fondo vicino.
Bisogna distinguere:
•Se le immissioni non superano la soglia della normale tollerabilità, il proprietario è tenuto a sopportarle, senza aver diritto né ad un
indennizzo né al risarcimento.
•Se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità, ma sono legate alle esigenze della produzione (ad esempio: se
provengono da un’industria) chi le subisce, non ha il diritto di inibirle ma, tuttavia, ha il diritto ad ottenere un indennizzo per il pregiudizio
sofferto.
•Se invece le immissioni eccedono la soglia della normale tollerabilità, il proprietario può senz’altro rivolgersi al Giudice e far inibire
la loro prosecuzione, avendo inoltre diritto al risarcimento del danno.
In alternativa può essere chiesto che il giudice riporti le immissioni al di sotto delle soglie della normale tollerabilità.
Nel fare queste valutazioni il giudice deve contemperare le esigenze della produzione con le esigenze della proprietà. Spesso infatti la
sentenza non è diretta a far cessare del tutto le immissioni ma a contenerle nei limiti della normale tollerabilità. Il Codice dice che il
giudice può tener presente il criterio della priorità di un uso. Tale criterio è meramente sussidiario e facoltativo per il g iudice.
LE DISTANZE LEGALI
Le costruzioni per il codice civile se non sono unite o aderenti devono essere poste ad una distanza non inferiore a tre metri; in
caso contrario, il proprietario può rivolgersi al Giudice ed ottenere la rimozione dell’immobile abusivamente costruito oltre al
risarcimento. Generalmente la materia è oggetto anche dei regolamenti comunali; in tal caso, la disciplina del Codice va integrata con
quella del regolamento comunale. Va valutato ciò che prevede il codice civile e il regolamento comunale.Particolare disciplina è quella
della comunione forzosa del muro. Se si trova un muro sul confine, ovvero ad una distanza non superiore di un metro e mezzo
dal confine, il proprietario dell’altro fondo può acquistare la proprietà del muro, che quindi viene acquisito in comproprietà,
pagando un corrispettivo all’altro proprietario pari a mezzo suolo e mezzo muro. Da notare che trattasi di un diritto
potestativo(forzosa), e quindi il proprietario del fondo confinante a quello dove si trova il muro, potrà ottenerne la comproprietà con
sentenza del Giudice, se l’altro proprietario si rifiuta di attribuire la comproprietà stessa.
LE LUCI E LE VEDUTE
Le aperture nel muro contiguo al fondo vicino si distinguono: in vedute o prospetti che sono quelle aperture che permettono di
guardare nel fondo del vicino,devono essere poste alla distanza stabilità dalla legge. Possono essere vedute dirette,vedute obligue o
vedute laterali.La legge disciplina le distanze legali che devono sussistere tra il fondo vicino e le vedute. Le luci sono quelle aperture
che, pur consentendo il passaggio di luce e di aria, non permettono di guardare nel fondo del vicino. Il proprietario è libero di
aprire quante luci vuole, con la vertenza però che esse potranno essere legittimamente chiuse, se il proprietario confinante vi costruisce
in aderenza, o in appoggio al muro dove si trovano le luci stesse.
I DIRITTI LEGALI DELLA PROPRIETÀ
I limiti legali della proprietà stabiliti dalla legge nell’interesse dei confinanti giuridicamente costituiscono per il proprietario, tenuto a fare o
a non fare, “obbliegationem prop rem”, cioè obbligazioni di contenuto negativo.
Si tratta quindi si di obbligazioni ma, esse hanno carattere reale in quanto connesse alla proprietà di un fondo, di modo che, se la cosa
viene trasferita ad altro proprietario, l’obbligazione cessa per il primo proprietario e sorge automaticamente in capo al nuovo proprietario.
Se il proprietario ritiene che tali obbligazioni siano per lui troppo gravose, potrà liberarsi di esse, abbandonando il fondo.(abbandono
liberatorio).
I MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ
Sono quei fatti giuridici ai quali la legge riconnette il sorgere del diritto di proprietà.
Essi possono essere:
•Modi di acquisto della proprietà a titolo originario, che determinano la nascita di un diritto nuovo. Essi si realizzano senza l’intervento
di un altro soggetto;
•Modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo, che importano lo stesso diritto già appartenente ad un altro soggetto. Essi
necessitano e si compiono grazie al l’intervento di un altro soggetto.
I modi di acquisto a titolo derivativo si distinguono in:
•Modo di acquisto della proprietà a titolo traslativo, che comportano il trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro;
•Modo di acquisto della proprietà a titolo costitutivo, sulla base del più ampio diritto di proprietà si costituisce un diritto reale minore.
(negozio costitutivo di usufrutto).
I modi di acquisto a titolo originario della proprietà immobiliare sono due:
•Accessione, che consente al proprietario della cosa principale l’acquisto anche della cosa accessoria (principio “accessorium sequitur
principale”);
•Usucapione, che è l’acquisto della proprietà di una cosa mediante l’uso continuato della cosa stessa.
L’accessione nei beni immobili dà luogo a quattro diverse figure:
•Alluvione, che consiste nell’accrescimento successivo ed impercettibile dei fondi rivieraschi di fiumi e torrenti per l’azione naturale
dell’acqua corrente, di fatti i terreni alluvionali appartengono al proprietario del fondo incrementato .
•Avulsione, consiste nell’unione al fondo rivierasco di porzioni di terreno considerevoli riconoscibili staccatesi da altro fondo per forza
istantanea dell’acqua corrente: dette porzioni di terreno appartengono al proprietario del fondo incrementato, il quale è tenuto a pagare
all’altro proprietario un’indennità nei limiti del maggior valore recato al suo fondo.
•“Insula in flumine nata”, consiste nell’emersione di una porzione di terra nel corso di un fiume; nel nostro diritto tale porzione di terra
appartiene allo Stato mentre, per il diritto romano e per il vecchio Codice Civile apparteneva ai proprietari dei fondi limitrofi;oggi appartiene
allo stato
•Alveo derelitto, si ha quando una parte del fiume si prosciuga lasciando il letto, ovvero lasciando scoperta una porzione di terreno che
diventa proprietà dei proprietari dei fondi limitrofi.
L’USUCAPIONE
Secondo modo di acquisto della proprietà a titolo originario. Deriva dal latino “usu capere” (prendere con l’uso) è l’acquisto del diritto di
proprietà o altro diritto reale su di una cosa mediante il possesso interrotto della cosa stessa per un tempo stabilito dalla legge.(“est
adiectio dominii per continuazionem possessionis temporis lege definiti”,cioè l'usucapione è l’acquisto della proprietà attraverso la
continuità del possesso di un tempo stabilito dalla legge).
L’istituto ha una sua ragione sociale. È infatti giusto che, se il proprietario non usa la sua cosa, altri ne possa far uso e, con il tempo, ne
possa acquistare la proprietà. Si noti che la prescrizione estintiva si intreccia con questo istituto e viene anche detta prescrizione
acquisitiva(l'usucapione viene detta); infatti, mentre la prescrizione estintiva è la perdita di un diritto per non uso da parte del suo
titolare, l’usucapione è l’acquisto della proprietà di un bene attraverso l'uso continuato che si fa per la cosa stessa per il tempo stabilito
dalla legge.
L’usucapione può essere:
•Ordinaria;
•Abbreviata.
MODI DI ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO DELLA PROPRIETÀ IMMOBILIARE
I requisiti usucapione ordinaria sono:
•“Res abilis”, con quest’espressione si intende qualsiasi cosa idonea ad essere usucapita. Tutte le cose sono idonee, tranne i beni
demaniali, i beni fuori commercio, e gli stati personali e familiari.
•Possesso, che è la relazione materiale dell’uomo con la cosa corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale. Il possesso per
dar luogo all’usucapione deve essere “nec vi” ( non violento), “nec clam” (non clandestino), “nec precario”, con quest’ultima espressione
si intende che non vi deve essere alcun negozio che attribuisca quel bene ad un dato titolo tra il proprietario e il possessore. Il detentore
solitamente non può mai usucapire.Solo in un caso il detentore può usucapire, e cioè quando compia un atto di interversione del
titolo, e cioè quando contrasti l’esistenza e la validità del titolo, e cominci da quel momento in poi ad usucapire;
•“Continuatio possesionis”, con quest’espressione si intende il periodo di tempo stabilito dalla legge per usucapire. Esso è di 20 anni
per beni immobili, le universalità di mobili e beni mobili. Di 10 anni invece per i beni mobili registrati. Deve essere interrotta pur potendosi
congiungere il possesso causa con il Dante causa.
Requisiti dell’usucapione abbreviata sono:
•“Res abilis”
•Possesso
•“Continuatio possessionis”, che in questo caso deve essere sempre interrotta e deve essere di 10 anni per beni immobili e universalità
di mobili e di 3 anni invece per i beni mobili registrati.
•Titolo astrattamente idoneo, che è un negozio di compravendita del bene stipulato a non domino, cioè con un falso proprietario. Se la
compravendita fosse stata conclusa con il vero proprietario, essa attribuirebbe immediatamente la proprietà; poiché, invece, è
conclusa a non domino, essa costituisce solo un presupposto per usucapire;(quindi rappresenta un titolo astrattamente idoneo)
•Buona fede, con quest’espressione si intende l’ignoranza di concludere un contratto con il falso proprietario, e quindi l’ignoranza di
ledere l’altrui diritto. Essa è sufficiente che sussista al momento della conclusione del contratto perché, se anche un istante dopo si viene
a conoscenza del fatto che la controparte non è il vero proprietario, il soggetto si considera in buona fede (“mala fides super veniens non
nocet” ).Importante è notare che per i beni mobili, in realtà, non è necessario il requisito del titolo astrattamente idoneo ma, è
sufficiente il possesso in buona fede per 10 anni. Questo perché, se sussistono contemporaneamente i 3 requisiti (del possesso,
della buona fede, e del titolo astrattamente idoneo), il possessore di beni mobili diventa immediatamente proprietario di essi
(possesso vale titolo, disciplinato dall’art. 1153 del Codice Civile).
MODI DI ACQUISTO A TITOLO DERIVATIVO DELLA PROPRIETÀ IMMOBILIARE
I modi di acquisto a titolo derivativo della proprietà immobiliare sono due:
•Alienazione, che è il trasferimento della proprietà di un bene da un soggetto ad un altro per volontà concorde di entrambe le le parti
e legittimamente espressa. Il consenso Delle parti attribuisce la proprietà.Per il trasferimento di un bene immobile occorre la forma scritta
“ad substanziam” ed occorre che il negozio di acquisto sia trascritto ai fini della pubblicità dichiarativa;
•Successione “mortis causa”, si intende il subentrare di un soggetto nei rapporti giuridici del defunto.
La successione mortis causa può essere:
•A titolo universale o a titolo di erede: l’erede subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi del defunto. Egli cioè subentra
“nell’universum ius defuncti”, cioè nella stessa posizione giuridica del defunto;
•A titolo particolare o a titolo di legatario: il chiamato a succedere, che si chiama legatario, subentra in singoli e determinati rapporti.
I MODI DI ACQUISTO A TITOLO ORIGINARIO DELLA PROPRIETÀ MOBILIARE
Anche in tale caso abbiamo l’accessione. In base ad essa il proprietario della cosa principale diventa proprietario della cosa accessoria,
in applicazione del principio “accessorium sequitur principale”. L’accessione nei beni mobili dà luogo alle due figure:
•Unione, se si fondono due mobili solidi;
•Commistione, se si fondono due mobili liquidi.
Se fosse possibile separarle, sarebbero distinte ma, se non è possibile la separazione senza deterioramento, il proprietario della cosa
principale diventa proprietario della cosa accessoria, salvo compenso per questo.
La Specificazione, che si ha quando un artefice compie un’opera nuova con materie di proprietà di un altro soggetto; in tal caso,
l’opera nuova è di proprietà dello specificatore a meno che, il valore della materia non sia notevolmente superiore al valore della
“nova species” e, in questo caso, la nuova opera sarà di proprietà del proprietario della materia. Colui che diventa proprietario è
tenuto ad un compenso nei confronti dell’altro.
L’Occupazione è un modo di acquisto a titolo originario delle cose mobili “nullius” e “derelicte”.
Le “res nullius(cose che non appartengono a nessuno)” sono quelle cose che non hanno mai avuto e non hanno tutt’ora un
proprietario. Le “res derelicte”(cose abbandonate) invece hanno avuto un proprietario ma, questi le ha abbandonate con “l’animus
derelinquendi”,cioè con l’intenzione di spogliarsi della proprietà delle cose. Entrambe sono di proprietà di chi le occupa cioè di chi le
trova e le fa proprie. Da notare che non è ammessa occupazione di beni immobili perché, se nessuno si interessa di loro, essi vengono
automaticamente acquisiti dallo Stato.
Diverso è il caso del ritrovamento di cose smarrite: chi ritrova una cosa smarrita deve consegnarla al proprietario se lo conosce,
ovvero deve consegnarla al sindaco del luogo del ritrovamento. Sindaco il quale procede ad affiggere avviso del ritrovamento all’albo per
due domeniche consecutive. Decorso un anno dall’ultima pubblicazione, se si presenta il proprietario, spetterà un premio di ritrovamento
al ritrovatore, se invece non si presenta il proprietario, la cosa diventa di proprietà dell’autore del ritrovamento.
“L’inventio tesauri”, cioè il ritrovamento di un tesoro. Per tesoro si intende qualunque cosa mobile di pregio o di valore nascosta o
sotterrata di cui nessuno possa provare la proprietà. Se ritrovato un tesoro, appartiene per metà al ritrovatore, per diritto di
occupazione, e per metà al proprietario del fondo, per diritto di accessione. Ciò purché il ritrovamento sia stato casuale. Se invece
è stata fatta apposita ricerca, il tesoro è di proprietà del proprietario del fondo per accessione, salvo compenso all’esecutore delle
ricerche.L’usucapione sarà ordinaria, e quindi ventennale, nel caso di possesso in mala fede, o abbreviata, o decennale nel caso di
possesso in buona fede. Se oltre al possesso e alla buona fede vi è il titolo astrattamente idoneo, la cosa mobile diventa di proprietà del
possessore.
I MODI DI ACQUISTO A TITOLO DERIVATIVO DELLA PROPRIETÀ MOBILIARE
I modi di acquisto a titolo derivativo della proprietà mobiliari sono:
•Alienazione;
•Successione “mortis causa”.
L’unica particolarità rispetto a quella dei beni immobili è che per l’alienazione di beni mobili non occorre la forma scritta “ab sustantiam”.
AZIONI A TUTELA/DIFESA DELLA PROPRIETÀ E DEL POSSESSO
Dobbiamo distinguere tra “Azioni Petitorie” ed “Azioni Possessorie”. Le azioni petitorie sono quelle a tutela del diritto di proprietà e che
possono essere esperite solo da chi sia proprietario.
Esse sono:
•La “rei vindicatio”, azione di rivendica;
•“L’Actio negatoria”;
•L’azione di regolamento dei confini;
•L’azione per l’apposizione dei termini.
Le azioni possessorie sono le azioni a tutela del possesso ed esse competono al possessore, indipendentemente dal verificare se sia o
meno il proprietario.
Esse sono:
•Azione di spoglio;
•Azione di manutenzione.
In mezzo alle azioni petitorie e a quelle possessorie si pongono le azioni di enunciazione, che competono sia al proprietario sia al
possessore.
Esse sono:
•La denuncia di opera nuova;
•Azione di danno tenuto.
La “rei vindicatio” è l’azione petitoria mediante la quale il proprietario mira a riavere il possesso di una cosa tenuta e contestatagli da
un terzo.
In quest’azione perciò vi sono due soggetti:
•Uno è il proprietario spogliato del suo bene, legittimato attivamente all’azione; ovvero l'attore
•L’altro è l’autore dello spoglio, legittimato passivamente all’azione, il convenuto. Il proprietario, in quanto attore, deve provare il suo diritto
di proprietà. Infatti l’onere della prova incombe sull’attore (“onus probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat”).
La prova del diritto di proprietà come dicevano i giuristi medievali è “probatio diabolica”, in quanto bisognerebbe provare che nessun
trapasso, che ha avuto il bene nel tempo, sia stato viziato. Alla evidente difficoltà di tale prova si sostituisce la prova di aver acquistato il
bene a titolo originario per usucapione. La prova è agevolata con la regola che prevede che, ai fini del computo del tempo, per la
prova dell’acquisto si può cumulare il possesso dell’avente causa con quello del dante causa. Inoltre, il possessore del tempo
presente, che ha posseduto in epoca remota, si presume possessore del tempo intermedio, salvo prova contraria. L’azione di revindica
mira ad ottenere una sentenza che non è già limitata all’accertamento del diritto di proprietà ma, mira invece ad ottenere
sentenza di condanna del possessore alla restituzione del bene “cum omni causa”, cioè il possessore sarà condannato a
restituire oltre alla cosa tutti i frutti esistenti,ed inoltre “percepti” e “percipiendi”, quindi percepiti e che avrebbe dov uto
percepire con la diligenza del buon padre di famiglia. Questi ultimi due tipi di frutti vanno restituiti al decorrere dal giorno dell’inizio del
possesso, se si tratta di possessore in mala fede, se invece si tratta di possessore in buona fede, egli dovrà restituire oltre alla cosa i frutti
esistenti, ed inoltre quelli “percepti” e “percipiendi” ma dal giorno della domanda giudiziale, perché da quel momento la legge lo presume
in mala fede. L’azione di revindica si distingue da qualunque altra azione di restituzione della cosa nascente da altro titolo; infatti, solo
nella “rei vindicatio” bisogna provare il diritto di proprietà mentre, in qualunque altra azione di restituzione è sufficiente provare l’esistenza
e la durata del titolo da cui nasce il diritto alla restituzione. Poiché l’azione di revindica tutela il diritto di proprietà, essa è
imprescrittibile come il diritto che essa tutela.“L’actio negatoria” è quell’azione petitoria che mira a respingere le molestie o le
turbative su un bene oggetto di proprietà. Queste molestie o turbative possono essere di fatto, ma più spesso sono di diritto, e consistono
il più delle volte nella pretesa di un terzo e quindi del convenuto di avere sulla cosa un diritto reale di godimento anzi, il più delle volte, il
preteso diritto reale è un diritto di servitù, sicché spesso “l’actio” è detto “actio negatoria servitutis”. Vi sono due soggetti:Legittimato
attivamente è il proprietario vittima delle molestie o turbative mentre, legittimato passivamente è l’autore delle molestie, cioè il soggetto
che assume di avere un diritto reale di godimento o della servitù. Il proprietario deve provare il suo diritto di proprietà. Spetterà al Giudice
valutare la fondatezza della pretesa altrui sulla base della prova fornita dal convenuto. Anche “l’actio negatoria” è azione di condanna,
perché mira ad ottenere una sentenza che accertata l'esistenza del diritto di proprietà condanni il convenuto a cessare le molestie e a
rimettere le cose nel pristino stato, oltre a risarcire eventuali danni prodotti.
Azione di regolamento dei confini, si ha quando è incerto il confine tra due fondi contigui. Il proprietario di uno dei due fondi può esperire
tale azione affinché i confini siano determinati e resi certi. Anche tale azione, come la revindica, è imprescrittibile poiché essa è una
doppia revindica, poiché consiste nel rivendicare da parte dell’uno o dell’altro proprietario una determinata porzione di fondo in
contestazione. Azione in apposizione di termini, si ha quando i confini dei due fondi sono certi, però mancano i termini o sono
irriconoscibili. L’azione pertanto mira a rendere questi termini che sono certi anche chiari e riconoscibili.
DIRITTI REALI DI GODIMENTO SU COSA ALTRUI
Come premessa generale, i diritti reali di godimento su cosa altrui sono anche detti diritti reali minori o parziali, nel senso che sulla base
del più ampio diritto di proprietà si costituiscono i diritti reali di godimento da quello derivato e di portata minore. Dire che essi
sono diritti parziali non significa che essi siano parte del diritto di proprietà, poiché essi non partecipano dei caratteri della proprietà. Tanto
ciò è vero che se si estingue il diritto reale di godimento su cosa altrui, la proprietà ritorna piena elasticamente, e quind i
automaticamente, senza bisogno di alcun atto o negozio e per converso, se il titolare del diritto reale diventa per qualsiasi motivo
proprietario della cosa, il diritto reale si estingue per confusione automaticamente, e quindi senza bisogno di atto o negozio.
IL DIRITTO DI SUPERFICIE
Poiché la proprietà si estende in senso verticale “usque adsidera et usque ad inferos”, cioè all’infinito, ne consegue che “omne quod
plantatur vel inedificatur solo cedit", cioè tutto ciò che è piantato o edificato sul suolo appartiene al proprietario del suolo per diritto di
accessione; unica eccezione al principio generale è il diritto di superficie. Per superficie si intende ciò che viene all’esistenza sul
suolo.
Si conoscono due tipi:
•“Ius ad aedificandum”,(diritto a costruire) esso consiste nella concessione fatta dal proprietario di un suolo ad un soggetto affinché
quest’ultimo innalzi una costruzione sul suolo. Per questo tipo di superficie si discute se si tratti di alienazione di spazio aereo,o
costituzione di “servitus onere ferendi”(sopportare un peso), ovvero se vi sia rinunzia preventiva da parte del proprietario del suo
diritto di accessione. In realtà l’alienazione di spazio aereo non è comune, né si può ritenere che si tratti di servitù perché la servitù è un
peso imposto su un fondo a vantaggio di un altro fondo, che siano entrambi esistenti. Invece nel caso specifico, un fondo esiste ma l’altro,
a cui vantaggio dovrebbe costituirsi la servitù, è ancora da costruire, sicché deve ritenersi preferibile la terza soluzione dottrinaria e quindi,
che tale diritto configuri una rinunzia preventiva da parte del proprietario del suolo al suo diritto di accessione.
•Il secondo tipo di superficie si ha quando viene alienata una costruzione esistente sul suolo senza però alienare la pro prietà
del suolo ma con la costituzione di una “servitus onere ferendi”.
Il primo tipo di superficie, se non esercitata per 20 anni, si estingue per prescrizione. Invece il secondo tipo di superficie, poiché riguarda
la proprietà di una costruzione, è ovviamente imprescrittibile.(proprio poiché è proprietà vera e propria. La superficie si estingue per
scadenza del termine, se il diritto era stato previsto “ad tempus”. Può estinguersi per confusione, se il superficiario diventa
anche proprietario del suolo. Il superficiario titolare della costruzione può anche alienare la costruzione ad altri ma, se la superficie era
stata costituita “ad tempus”, verrà meno anche nei confronti del terzo,perché venuto meno nei confronti del superficiario viene meno
anche per il terzo (principio “resoluto iure dantis resolvitur et ius accipiendi”); salvo diverso accordo tra le parti, il perimento totale della
costruzione non estingue il diritto di superficie, perché il superficiario può ancora estrinsecare il suo diritto ricostruendo la cosa.
DIRITTO DI ENFITEUSI
L’enfiteusi ebbe un notevole sviluppo nel Medio Evo. Il Codice del 1865 considerò questa figura con sfavore. Invece il Codice Civile
del 1942, volle dare all’istituto un nuovo impulso, ritenendo che potesse rappresentare un notevole ausilio per l’economia
agricola. In concreto, non pare che l’istituto abbia dato tali risultati, ed infatti il Legislatore è intervenuto, e con esso la Corte Costituzionale
comportando l’abrogazione di alcune norme. Ciò premesso, l’enfiteusi è quel rapporto giuridico reale in forza del quale un soggetto, che
è il proprietario, che si chiama concedente, concede ad un altro soggetto, detto enfiteuta o utilista, il godimento di un fondo con l’obbligo
di migliorare il fondo stesso e di pagare un canone annuo in denaro o derrate. L’obbligo fondamentale, che sta a carico dell’enfiteuta,
è quello di migliorare il fondo. Normalmente, l’enfiteusi si costituisce proprio per far migliorare il fondo da un soggetto tecnicamente più
preparato ed attrezzato.In dottrina si discute della natura giuridica dell’enfiteusi. Secondo una dottrina minoritaria essa sarebbe un
vero e proprio diritto di proprietà. Tale affermazione non può essere condivisa.Secondo la dottrina maggioritaria essa sarebbe un
diritto reale di godimento su cosa altrui. I sostenitori della prima tesi portano come argomento la norma che prevede che, qualora
sul fondo concesso ad enfiteusi si trovi un tesoro, esso sarà di proprietà dell’enfiteuta ma, a ciò, si deve rispondere che questo
avviene perché l’enfiteuta sopporta tutti i pesi che gravano sul fondo ed è tenuto al pagamento delle imposte, e se il diritt o di
enfiteusi non viene esercitato e utilizzato per 20 anni, esso si estingue per prescrizione, come tutti gli altri diritti reali d i
godimento mentre, la proprietà è imprescrittibile.
L’enfiteusi può essere:
•Perpetua;
•“Ad tempus”, se è a termine non può essere inferiore a 20 anni, poiché in caso contrario, nessuno sarebbe invogliato a migliorare il
fondo.
Essa si costituisce per usucapione, testamento o contratto, il quale, avendo ad oggetto un bene immobile, deve avere la forma scritta “ad
substanziam” e deve essere trascritto ai fini della pubblicità dichiarativa.
Il Codice Civile prevedeva l’obbligo di revisione del canone annuo una volta ogni 10 anni, ma tale norma è stata abrogata. Il diritto di
enfiteusi può essere ceduto ad un terzo per atto “inter vivos” o “mortis causa”, a titolo gratuito o a titolo oneroso, e l’enfiteuta,
cedendo il suo diritto, non è tenuto ad alcun corrispettivo nei confronti del proprietario; invece in precedenza, era previsto che
l’enfiteuta pagasse una indennità detta “laudemio” (deriva da laudare ovvero approvare) al concedente, quale prezzo
dell’approvazione data dal concedente stesso al trasferimento del diritto. Era inoltre previsto il diritto di prelazione a favore del
concedente in caso di trasferimento dell’enfiteusi a parità di prezzo, ma è stato abrogato. Tale norma, tuttora in vigore nella
mezzadria e nell’affitto agricolo a favore del mezzagro e dell’affittuario, per l’enfiteusi è stata abrogata.Di particolare importanza è il
diritto di affrancazione dell’enfiteuta . Esso consiste nel diritto dell’enfiteuta di divenire proprietario del fondo grazie al pagamento di
una somma pari a 15 volte il canone annuo; trattasi di un diritto potestativo, e quindi, se il concedente si rifiuta di aderirvi, l’enfiteuta potrà
rivolgersi al Giudice che emanerà l’affrancazione con sentenza costitutiva. Un potere inverso spetta al proprietario, al quale spetta il
diritto di devoluzione; tuttavia, mentre l’enfiteuta può esercitare il suo diritto sempre e comunque, il concedente potrà farlo solo
se l’enfiteuta non adempie all’obbligo di migliorare il fondo, ovvero l’enfiteuta è in mora nel pagamento di 2 annualità; nel
conflitto tra diritto di affrancazione e diritto di devoluzione prevale il primo.
L’enfiteusi si estingue:
•per prescrizione ventennale;
•per esercizio del diritto di affrancazione;
•per esercizio del diritto di devoluzione;
•per perimento totale del fondo;
•per decorso\scadenza del termine, se era stata costituita “ad tempus”.
Per incentivare l’enfiteuta a migliorare il fondo, è previsto un rimborso spese\indennitá all’enfiteuta, nel caso in cui il fondo ritorni al
proprietario. Tale somma è pari all’aumento del valore conseguito dal fondo. Dalla disciplina delle migliorie si distingue quella relativa alle
addizioni (ad esempio: un pozzo, un magazzino e così via). In tal caso la legge attribuisce all’enfiteuta lo “ ius tollendi ” cioè, il diritto
di rimuovere le addizioni compiute, se ciò non comporta il deterioramento del fondo. Inoltre all’enfiteuta è riconosciuto lo “ ius
retenzionis ” cioè, il diritto di trattenere la cosa è quindi ritardare la consegna della cosa fino a che non saranno soddisfatte le
sue pretese.
L’USUFRUTTO, L’USO E L’ABITAZIONE
Usufrutto, uso ed abitazione erano chiamate nel Medio Evo servitù personali in quanto diritti di godimento costituiti a favore di
una persona, in modo da distinguerle dalle servitù prediali, che sono un diritto reale costituito a vantaggio di un fondo e non di
una persona. Tale terminologia oggi non si usa più poiché usufrutto, uso ed abitazione costituiscono tipi fissi disciplinati dalla legge, ed
è quindi inutile mantenere in vita una categoria generale. Invece le servitù prediali costituiscono una categoria generale perché,le
parti nel rispetto dei principi generali in materia di servitù, possono costituire infiniti tipi di servitù, in esecuzione de l principio
di autonomia o libertà contrattuale.
Ciò premesso, l ’ usufrutto è il diritto di usare e di godere della cosa altrui lasciando inalterata la destinazione economica dell a
cosa stessa (“usus fructus est ius alienis rebus utendi fruendi salva rerum substanzia”, l’usufrutto è il diritto di usare e godere della cosa
altrui lasciando inalterata la destinazione economica della cosa). L’usufrutto, comportando una grave limitazione del diritto di proprietà, è
necessariamente un diritto a termine. Se le parti non hanno previsto alcun termine, esso si estingue automaticamente con la morte
dell’usufruttuario, ovvero, se l’usufruttario è una persona giuridica, esso si estingue con lo scadere di 30 anni. Da notare che
l’usufruttuario può anche trasferire/cedere ad un terzo il proprio diritto, tuttavia, se l’usufruttario originario muore, si estingue comunque
automaticamente il diritto in capo al terzo; ciò significa che, ciò che può essere trasferito è in realtà il godimento materiale sulla
cosa, non anche la titolarità dell’usufrutto, che quindi resta sempre in capo all’originale usufruttuario.
L’usufrutto si costituisce per:
•Usucapione;
•Volontà delle parti, che si costituisce con un negozio “inter vivos” o “mortis causa”, a titolo gratuito o oneroso e, se esso cade su beni
immobili, deve avere la forma scritta “ad substanziam” e deve essere trascritto nei pubblici registri ai fini della pubblicità
dichiarativa;
•Legge, che si costituisce l’usufrutto legale dei genitori sui beni del figlio minore. Prima della riforma sul diritto di famiglia del 1975, era
prevista la figura dell’usufrutto legale del coniuge superstite sui beni del coniuge defunto. Oggi tale figura non esiste più e attualmente il
coniuge superstite non è più un legatario del coniuge defunto ma, è un suo erede, ed ha quindi diritto ad una quota del patrimonio
ereditario in piena proprietà.
Poiché l’usufruttuario deve lasciare inalterata la destinazione economica della cosa, se l’usufrutto ha ad oggetto beni
consumabili non è un vero usufrutto, il bene su cui esso cade entra in proprietà dell’usufruttario che, al termine dell’usufrutto, dovrà
restituire il cosiddetto “tantundem eiusdem generis” cioè, altrettanta quantità di cose della stessa qualità. Questa figura si chiama
usufrutto improprio o quasi usufrutto. Se la cosa è soltanto deteriorabile, la figura dell’usufrutto è quella normale e al termine
dell’usufrutto, l’usufruttuario avrà solo l’obbligo di riparare o sostituire le parti danneggiate. Poiché peraltro l’usufruttuario deve lasciare
inalterata la destinazione economica della cosa, l’usufruttuario deve destinare la cosa deteriorabile all’uso stabilito (così ad esempio: un
vestito da gala non potrà essere usato come abito da passeggio). Come l’usufruttuario ha diritto di usare la cosa e di percepirne i
frutti, così per converso, egli è tenuto al pagamento delle relative imposte e a quello delle spese necessarie per le opere d i
ordinaria amministrazione. Restano a carico del proprietario invece le spese per le opere di straordinaria manutenzione del
bene.
L’usufrutto si estingue:
•per prescrizione ventennale;
•per scadenza del termine;
•per morte dell’usufruttuario;
•per scadenza dei 30 anni, se l’usufruttuario è una persona giuridica;
•per confusione, se l’usufruttario diventa proprietario della cosa;
•per perimento totale del fondo;
•per abuso da parte dell’usufruttuario, che lascia deteriorare la cosa.(1015art)
Se l’usufruttuario ha compiuto miglioramenti anch’egli ha diritto ad un rimborso come l’enfiteuta ma, stavolta, il rimborso è pari alla minor
somma tra lo speso ed il migliorato. Anche l’usufruttuario ha inoltre lo “ius tollendi”, e quindi il diritto di rimuovere le addizioni
fatte, se ciò non comporta deterioramento della cosa.
L’uso è il diritto di usare una cosa e di percepirne i frutti entro i limiti dei bisogni dell’usuario e dei componenti della sua famiglia. Se l’uso
cade su cosa abitabile, prende il nome di abitazione. Poiché l’uso è il diritto di usare la cosa e percepirne i frutti entro i limiti dei
bisogni dell’usuario e dei propri familiari, l’uso non è cedibile a terzi ed è quindi un diritto personalissimo. Fatta questa differenza,
per il resto si applicano le norme in materia di usufrutto.
LE SERVITÙ PREDIALI
Le servitù prediali sono il peso imposto su un fondo a vantaggio di un altro fondo. Esse presuppongono l’esistenza di due fondi:
•Un fondo detto servente, su cui grava il peso;
•Un fondo detto dominante, a favore del quale è costituito il vantaggio.
Perché ci sia questo vantaggio è necessario che i fondi, se non proprio contigui/confinanti , debbano essere vicini, secondo il principio
“praedia vicina esse debent” cioè i fondi devono essere vicini.Le servitù prediali costituiscono una categoria generale, pertanto le
parti nel rispetto dei principi generali in tema di servitù prediali, potranno costituire infiniti tipi di servitù, in attuazione del
principio dell’autonomia o libertà contrattuale. Accade talvolta, che la servitù non sia costituita a favore di un fondo ma a favore
di una persona (ad esempio: servitù di esercizio della caccia concessa a Tizio). Poiché la servitù prediale è peso imposto su un fondo a
vantaggio di un altro fondo, indipendentemente dalla persona titolare del fondo, la dottrina qualifica tali servitù come servitù irregolari,
pertanto le servitù irregolari sono quelle costituite su un fondo, ma non a vantaggio di un altro fondo, bensì di un soggetto. La differenza
tra servitù prediali e servitù irregolari sta in ciò, che la servitù prediale si fissa attivamente e passivamente sul fondo servente
e sul fondo dominante, in modo da costituire peso sul fondo servente indipendentemente dal suo titolare, e vantaggio sul fondo
dominante indipendentemente da chi ne è titolare, mentre per le servitù irregolari, la servitù sussiste solamente su coloro che
l’hanno posta in essere e sui loro eredi, e quindi cessa, se il fondo viene alienato a terzi. La servitù non è un diritto reale ciò
perché, il diritto reale è potere immediato e diretto dell’uomo sulla cosa, indipendentemente da chi sia il proprietario, con
l’ulteriore conseguenza che la servitù irregolare è in realtà solo una obbligazione.
I PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI SERVITÙ PREDIALI
Le servitù prediali sono regolate da alcuni principi generali che risalgono al diritto romano:
•“Nemini res sua servit” cioè, non può esistere un diritto di servitù sul proprio fondo, ed infatti, poiché la proprietà si estende
ad ogni possibile godimento che si può ricavare dalla cosa, è impossibile che esista un diritto di servitù sul proprio fondo. Tanto
ciò è vero, che, se per avventura il proprietario del fondo servente diventa proprietario del fondo dominante o viceversa , la servitù si
estingue automaticamente per confusione e cioè, senza bisogno di alcun atto o negozio, secondo il principio “servitus in faciendo
consistere nequit” la servitù non può consistere in un fare. Tale principio si applica con riguardo al proprietario del fondo servente,
infatti quest’ultimo è tenuto ad un “pati” cioè, ad un sopportare (come ad esempio avviene nella servitù di passaggio deve sopportare
il passaggio dal proprietario dominante sul fondo), oppure è tenuto ad un “non facere”. Tuttavia fin dal diritto romano si conoscevano
esempi di “facere” accessori a carico del proprietario del fondo servente (ad esempio: nella servitù di appoggio del muro era previsto, per
il proprietario del fondo servente, l’obbligo di “reficere paretem” cioè, l’obbligo di rifare o riparare il muro pericolante o danneggiato).
Tuttavia, a ben vedere, questo “facere” è un “facere” accessorio al contenuto tipico della servitù che, anche in questo caso, consiste in
un “pati”. Ed allora è chiaro che questi obblighi di “facere” accessori sono “obbligationes propter rem”, delle quali il proprietario
del fondo servente potrà liberarsi abbandonando il fondo in favore del fondo dominante.
•“Servitus dividi non potest”, la servitù non può essere divisa. Questo principio afferma il carattere di indivisibilità della servitù
poiché, essa grava su tutto il fondo e su ciascuna parte del fondo, di modo che, se il fondo servente viene alienato a più soggetti,
essa continuerà a gravare su tutto il fondo e su ciascuna parte del fondo, a meno che, l’attività non sia concentrata in una parte
determinata del fondo (ad esempio: avviene nella servitù di presa d’acqua per la presenza, in quella determinata parte del fondo, di un
pozzo da cui attingere l’acqua).
VARIE CATEGORIE DI SERVITÙ
Il nostro Codice conosce vari tipi di servitù prediali:
•Le servitù apparenti , che sono quelle che risultano da opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù. Ad esempio
servitù di acquedotto
•Le servitù non apparenti , che sono quelle che non risultano da opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù. Ad
esempio servitus aitius non tollendi.
Tale distinzione è importante per i modi di acquisto della servitù. Inoltre si distinguono:
•Servitù positive , che comportano un “facere” per il proprietario del fondo dominante (ad esempio: servitù di passaggio);
•Servitù negative , che comportano per il proprietario del fondo dominante il potere di imporre obblighi o divieti al proprietario del fondo
servente (ad esempio: il proprietario del fondo dominante impone al proprietario del fondo servente di non costruire oltre una certa altezza).
Tale distinzione si fa con esclusivo riferimento al proprietario del fondo dominante poiché, come abbiamo detto, per il proprietario del
fondo servente la servitù può essere solo negativa, per il principio “servitus in facendo consistere nequit”. Anche tale distinzione è
rilevante ai fini delle cause di estinzione delle servitù. Si distinguono ancora:
•Le servitù continue , che sono quelle per il cui esercizio non è necessaria l’opera dell’uomo (ad esempio: servitù di stillicidio la goccia
che cade da sola in modo naturale );
•Servitù discontinue , che sono quelle per il cui esercizio è invece necessaria l’opera dell’uomo (ad esempio: servitù di passaggio).Anche
tale distinzione è rilevante ai fini delle cause di estinzione delle servitù.
LE FONTI DELLA SERVITÙ
Rispetto alla fonte le servitù possono essere:
•Servitù volontarie , sono quelle che si costituiscono per volontà delle parti con atto “inter vivos” o “mortis causa” che,riguardando beni
immobili, devono avere la forma scritta “ad substanziam” oltre che la trascrizione ai fini della pubblicità dichiarativa.
•Servitù legali o anche dette coattive ,quelle che si costituiscono per volontà della legge. Si deve però precisare che la legge
attribuisce al proprietario del fondo dominante lo “ius ad abendam servitutem”, cioè il diritto del proprietario di rivolgers i al
Giudice per ottenere una sentenza costitutiva della servitù. Tale diritto, che costituisce un diritto potestativo, va esercitato per via
giudiziaria. Il Giudice, valutata la sussistenza dei presupposti di legge per il sorgere della servitù, emetterà sentenza costitutiva dalla quale
nascerà il diritto di servitù. Nella sentenza il Giudice stabilisce l’entità della prestazione dovuta dal proprietario del fondo dominante al
proprietario del fondo servente per la costituzione della servitù.
Si possono così distinguere i limiti legali della proprietà dalle servitù legali:
•I limiti legali sono coevi al sorgere della proprietà invece, le servitù legali nascono solo in un secondo momento e per sentenza
costitutiva del Giudice.
•I limiti legali sono reciproci, e quindi a favore e contro dei due proprietari, mentre la servitù legale è peso per il fondo servente e
vantaggio per il fondo dominante.
•I limiti legali hanno il carattere della gratuità invece, nelle servitù legali il proprietario del fondo dominante è tenuto a corrispondere
un’indennità nella misura fissata dal Giudice al proprietario del fondo servente.
•Se è violato un limite legale, il proprietario è tutelato con “l’actio negatoria”; se invece è violata la servitù prediale, il proprietario
è tutelato “dall’actio confessoria servitutis”, che mira a far riconoscere l’esistenza della servitù.
Principali servitù legali o coattive sono:
•L’acquedotto coattivo, che si costituisce, non solo quando l’acqua del fondo servente è necessaria per irrigare il fondo dominante, ma
anche, quando essa è utile ad una più razionale coltivazione del fondo dominante.
•Il passaggio coattivo, che si costituisce sia se il fondo dominante è assolutamente intercluso, cioè se il proprietario del fondo dominante
può raggiungere la via pubblica solo attraversando il fondoservente, sia se il fondo dominante è relativamente intercluso, e cioè se è molto
disagevole per il proprietario del fondo dominante raggiungere la via pubblica attraverso il suo fondo.
Perché si costituisca la servitù di passaggio sono previsti i seguenti criteri:
•Maggior brevità di passaggio;
•Minor aggravio per il proprietario del fondo servente.
Ciò significa che il passaggio più breve deve essere preferito ma, se esso comporta un danno al fondo servente (ad esempio: perché si
attraversa un vigneto) andrà preferita la via più lunga ma meno disagevole. Ciò è del resto compatibile con quanto è previsto in via
generale in tema di misura dell’esercizio della servitù, a proposito della quale, la legge prevede che bisogna considerare l’utilità iniziale
del fondo dominante con il minor aggravio per il fondo servente.
I MODI DI ACQUISTO DELLE SERVITÙ
Come la proprietà si acquista a titolo originario e a titolo derivativo, così anche la servitù si acquista a titolo originario e a titolo derivativo.
I modi di acquisto delle servitù prediali a titolo originario sono:
•Usucapione;
•Destinazione del padre di famiglia.
Modi di acquisto delle servitù prediali a titolo derivativo sono:
•Il contratto;
•Negozio “mortis causa”.
Per quanto attiene ai modi di acquisto delle servitù prediali a titolo originario, l’usucapione è un’applicazione particolare dell’istituto già
analizzato, e quindi, sarà ordinaria o abbreviata. La destinazione del padre di famiglia è invece un modo di acquisto della servitù a titolo
originario che è tipico ed esclusivo delle servitù prediali. Esso si ha quando i due fondi, appartenenti prima ad un unico proprietario, ovvero
due parti di uno stesso fondo prima appartenente ad un unico proprietario, vengono alienati a soggetti diversi. Se questi due fondi, o
queste due parti di fondo, prima della vendita, erano poste tra loro in una situazione di servitù di fatto, con l’alienazione la servitù
si costituisce automaticamente, e quindi senza bisogno di un atto o di un negozio perché, essa deriva da una situazione di fatto
presistente, qual’era stata destinata dall’originario proprietario, che è appunto il padre di famiglia. Questi due modi di acquisto
a titolo originario sono propri solo delle servitù apparenti, cioè quelle che risultano da opere visibili e permanenti perché, solo in
esse, si evidenzia il possesso che porta all’usucapione e la situazione di fatto che porta all’acquisto per destinazione del padre di
famiglia.Con i modi di acquisto delle servitù prediali a titolo derivativo invece, si costituiscono tutti i tipi di servitù (apparenti e
non apparenti, positive e negative, ecc.). Se la servitù è apparente è possibile sia l'usucapione che la destinazione del pad re di
famiglia perché si evidenzia il possesso cioè la situazione di fatto , se la servitù non è apparente non può ne usucapire i ne
acquistarsi per destinazione del padre di famiglia.
Ovviamente l’atto di costituzione della servitù, riferendosi a beni immobili, deve avere la forma scritta “ad substanziam” e deve inoltre
essere trascritto ai fini della pubblicità dichiarativa. Da notare che, essendo la servitù prediale un peso imposto su di un fondo a
vantaggio di un altro fondo, la servitù volontaria si costituirà solo su iniziativa del proprietario del fondo servente. Se costui è
tale sotto condizione sospensiva, potrà costituire la servitù come effetto prodromico o preliminare, ed il negozio produrrà i suoi effetti con
efficacia “ex tunc”, se si verificherà la condizione. Qualora la condizione non si verifichi, il negozio cadrà del tutto nel nulla, anche
in tal caso, con effetto “ex tunc”, e quindi la servitù si considererà come mai venuta all’esistenza. Se il fondo servente è di proprietà
di più soggetti, ed è quindi in condominio, la legge dice che occorre il consenso di tutti i condomini per costituire la servitù prediale; tuttavia,
se uno o più condomini hanno espresso il loro consenso alla costituzione della servitù, i loro eredi e gli aventi causa sono tenuti
al rispetto del consenso dato, poiché la servitù è peso sul fondo servente a vantaggio del fondo dominante e non è quindi un
vincolo tra persone. In questo caso siamo di fronte ad una “obbligationes propter rem” vincolante solo per quei determinati soggetti
ed inquadrabile nella figura delle servitù irregolari.(costituite a vantaggio di una persona e non di un fondo)
ESERCIZIO DELLA SERVITÙ
Per determinare la misura, cioè la quantità dell’esercizio della servitù, bisogna avere riguardo al titolo, che generalmente
disciplina la misura dell’esercizio della servitù (ad esempio: prevedendo il passaggio un’ora al giorno o per tutto il giorno sul
fondo servente). Se manca questa determinazione nel titolo, essa si evincerà dallo scopo della servitù; se neanche dallo scopo
può dedursi la misura dell’esercizio della servitù, si ricorre a questo principio generale: il bisogno iniziale del proprietario del fondo
dominante con minor aggravio per il proprietario del fondo servente. Ciò è quanto già i romani affermavano dicendo che la servitù si
esercita “civiliter(in conformità allo ius civile)”. Naturalmente, il proprietario del fondo dominante non può rendere più gravoso
l’esercizio della servitù e, correlativamente, il proprietario del fondo servente non può diminuire l’esercizio stesso; poich é
“servitus in faciendo consistere nequit”, e quindi il proprietario del fondo servente non è mai tenuto ad un “facere”; le spese
per la conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante. Ciò non esclude che le parti
convenzionalmente stabiliscano che le spese possano gravare anche sul proprietario del fondo servente ma, in tal caso si ha un “facere”
accessorio al contenuto della servitù che, pertanto, costituisce “una obbligatio propter rem” della quale, il proprietario del fondo servente,
se la ritiene troppo gravosa, può anche liberarsi, mercé l’abbandono liberatorio del fondo servente in favore del proprietario del fondo
dominante. Si chiama modo o modalità di esercizio della servitù, l’elemento che determina come debba essere esercitata la
servitù(ad esempio: passaggio a piedi o con automezzi sul fondo servente). Di regola, il modo di esercizio, è stabilito nel titolo; ci si
chiede però, se il titolo stabilisce un determinato modo (ad esempio: passaggio a piedi), può usucapirsi un modo maggiore??? Va
premesso che deve ovviamente trattarsi di servitù apparente perché, come non può usucapirsi una servitù non apparente, così ancora
meno, potrà usucapirsi un modo di esercizio della servitù. Ciò premesso, la dottrina è unanime nel ritenere che, se il titolo stabilisce
in maniera chiara il modo di esercizio, non può usucapirsi un modo maggiore, se invece, manca questa determinazione nel
titolo, potrà usucapirsi in modo più ampio possibile. Talvolta, per l’esercizio di una servitù è necessario esercitare un’altra servitù (ad
esempio: passaggio sul fondo servente per attingere acqua da un pozzo che lì si trova, nella servitù di presa d’acqua).Si dice strumentale
la servitù il cui esercizio è necessario per l’esercizio della servitù principale.
ESTINZIONE DELLA SERVITÙ
Le servitù prediali si estinguono per prescrizione ventennale cioè, per non uso del diritto per 20 anni della cosa. Ma da che
momento cominciano a decorrere i vent’anni??? Torna utile la distinzione tra servitù continue e discontinue e tra servitù positive e
negative.Per le servitù discontinue e per le servitù positive, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il proprietario del
fondo dominante non esercita più il suo diritto.
Per le servitù continue e le servitù negative invece, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il proprietario del fondo
servente pone un ostacolo all’esercizio della servitù e il proprietario del fondo dominante non si oppone.Inoltre la servitù prediale si
estingue per impossibilità di fatto del suo esercizio (ad esempio: per la cessazione della fonte dalla quale si fruiva la servitù accessoria
per attingere l’acqua), purché siano trascorsi 20 anni dall’inizio dell’impossibilità di fatto. “Medio tempore”, e quindi nel periodo
intermedio, la servitù si dice “ quiescente ”, se essa riprende vita durante i 20 anni (ad esempio: se rivive la fonte, la servitù riprende
normalmente il suo esercizio da quiescente qual’era).
Inoltre le servitù si estinguono per confusione, se uno dei due proprietari diventa proprietario anche dell’altro fondo, e ciò per
applicazione del principio “nemini res sua servit”. Un’ipotesi frequente di confusione si ha per effetto dell’abbandono liberatorio da parte
del proprietario del fondo servente per la presenza di obblighi di “facere” troppo gravosi. Si ha quindi l’ipotesi di abbandono liberatorio del
fondo in favore del proprietario del fondo dominante. Se poi anche il proprietario del fondo dominante abbandona quello che era
fondo servente, e che ora è sua proprietà lo abbandona, poiché, come sappiamo, non sono concepibili come “res derelicte” i
beni immobili, il fondo servente abbandonato sarà di proprietà dello Stato. Secondo alcuni autori, con la servitù che continua a
gravare su di esso, secondo altri, con la definitiva estinzione della servitù.Tutte le cause di estinzione analizzate si riferiscono solo
alle servitù volontarie invece, per quanto riguarda le servitù legali o coattive, come esse si costituiscono per sentenza, così esse si
estinguono a seguito di sentenza costitutiva del Giudice, che, constatata la causa di estinzione, dichiara l’estinzione stessa della servitù.
L’AZIONE A TUTELA DELLA SERVITÙ
L’azione a tutela della servitù prediale si chiama “actio confessoria servitutis” ed è l’azione che mira al riconoscimento di una
servitù prediale. Legittimato attivamente all’esercizio dell’azione è il proprietario del fondo dominante, che chiede al Giudice di
riconoscere e tutelare la servitù. Legittimato passivamente all’azione è il proprietario del fondo servente, che contesta l’esistenza del
diritto di servitù.
“L’actio confessoria servitutis” è azione petitoria di condanna poiché, mediante essa, il proprietario del fondo dominante mira ad
ottenere una sentenza che, non solo accerti il diritto di servitù, ma che sia diretta a condannare il proprietario del fondo servente a
permettere l’esercizio della servitù, a rimuovere eventuali ostacoli e a risarcire eventuali danni subiti dal proprietario del fondo dominante.
Quest’ultimo, se ricorrono i presupposti di legge, potrà in alternativa, proporre le azioni possessorie di reintegrazione o quella di
manutenzione.
LA MULTIPROPRIETÀ
Il termine multiproprietà indica un’operazione economica che mira ad assegnare ad un soggetto, che si chiama multiproprietario,
il diritto di usare e di disporre un’unità immobiliare, e quindi il potere di godimento simile a quello di un vero proprietario su
un’unità immobiliare, per un determinato periodo di tempo nell’anno solare (ad esempio: dall’1 al 15 agosto). Mentre lo stesso
potere è attribuito agli altri multiproprietari per altri periodi.Ciò significa che, al momento della stipula del contratto, l’acquirente in
multiproprietà deve indicare il periodo dell’anno solare scelto tra quelli disponibili e corrispondentemente verserà una somma
di denaro, variabile in funzione del periodo prescelto.Ciò premesso, la multiproprietà attribuisce il diritto di godere e di disporre di un
bene, limitatamente ad un periodo dell’anno ma, in perpetuo. In tal modo, il multiproprietario dispone con certezza e per sempre di un
immobile generalmente utilizzato come alloggio per vacanza, corrispondendo una somma evidentemente inferiore, a quella che
normalmente spenderebbe per l’acquisto in proprietà esclusiva. D’altro lato, egli non è da solo ad affrontare le gravose spese di
conservazione del bene, di condominio, di riscaldamento. Il venditore avrà anzitutto più facilità a reperire acquirenti per il prezzo più
basso, potrà ottenere una somma complessivamente superiore, ed inoltre, spesso, questi beni in multiproprietà si trovano in residence,
dotati di servizi quali: piscina, ristorante, ecc., che il venditore riserva a se stesso.Il diritto del multiproprietario è di regola trasmissibile
per atto “inter vivos” o “mortis causa”. Si discute sulla natura giuridica del diritto di multiproprietà. Escluso che possa trattarsi di
un diritto reale di godimento su cosa altrui, si afferma che si tratti di un vero e proprio diritto di proprietà; però, per essere suddetto diritto,
è fortemente limitato, in quanto il proprietario esclusivo risponde dei deterioramenti delle cose, dell’uso che eccede quello ordinario da
destinare all’uso convenuto nel contratto, generalmente alloggio per vacanze. Egli deve impedire le molestie ed i danneggiamenti da
parte di terzi nel periodo di sua spettanza. Non è libero di usare e di godere la cosa a suo piacimento, come il proprietario
esclusivo invece è. Infatti, si afferma che potrebbe trattarsi di una comunione, tanto è vero che generalmente il venditore predispone un
regolamento di comunione tra i vari multiproprietari, per disciplinare il godimento turnario. Però, si osserva che, mentre nella comunione
il diritto di divisione può essere al massimo compresso per non più di 10 anni, ma mai soppresso, nella multiproprietà, tale
diritto non spetta affatto al multiproprietario; perciò si tende a dire, che il diritto di multiproprietà sarebbe un diritto di proprietà
su bene individuato bidimensionalmente cioè, spazialmente e temporalmente. Il legislatore, che con il cosiddetto codice del
consumo decreto legislativo numero 5 del 2006 ha disciplinato la multiproprietà, non ha chiarito il problema, limitandosi a disciplinare il
contratto di multiproprietà, prevedendo comunque importanti norme di tutela a favore dell’acquirente, considerato parte debole
(prevedendo ad esempio: gravosi obblighi informativi da parte del venditore, diritto di recesso per l’acquirente e obbligatorietà della forma
scritta).
LA COMUNIONE E IL CONDOMINIO
Per comunione in senso giuridico si intende la contitolarità di più soggetti nel medesimo diritto. Pertanto più soggetti possono,
ad esempio, essere contitolari dello stesso diritto di credito, ed essere quindi concreditori, ovvero di un diritto reale o di qualunque altro
diritto. Se la comunione ha ad oggetto il diritto di proprietà, essa prende il nome di condominio. Il condominio è quindi la
contitolarità di più soggetti nel medesimo diritto di proprietà.Il condominio, in apparenza, può sembrare in contrasto con l’esclusività del
diritto proprietà, secondo il principio “duorum in solidum dominium esse non potest”, cioè non vi può essere la proprietà di due sulla stessa
cosa.Tuttavia il contrasto è solo apparente in quanto, ciascun condomino non è proprietario del tutto, ma solo di una quota del bene. La
quota non è una nozione materiale o reale ma è una nozione ideale. Infatti essa è il rapporto di proporzione tra una parte ed il tutto
perciò, si suole dire, che il condomino è proprietario per un mezzo, un terzo e così via. Nei limiti della sua quota ciascun condomino
può disporre del suo diritto o cedendo la quota ad un terzo, nel quale caso l’avente causa subentra nel condominio nei limiti
della quota cedutagli, oppure il condomino può compiere atti di disposizione della cosa comune, come costituire un diritto di
usufrutto, una servitù o addirittura vendere una parte della cosa comune. In questo secondo caso, l’atto di disposizione si
considera sottoposto a condizione sospensiva. Esso produrrà i suoi effetti, e li produrrà con efficacia “ex tunc”, se in sede di divisione,
quella determinata parte su cui il condomino ha disposto, verrà attribuita in proprietà solitaria al condomino disponente, se invece in sede
di divisione, quella parte non sarà assegnata in proprietà solitaria al condomino disponente, l’atto di disposizione cadrà del tutto “ex
tunc”.Come si può già intuire, la comunione si estingue con la divisione. La divisione costituisce un diritto potestativo di ciascun
condomino, salvo che si tratti di comunione forzosa.
La divisione può essere:
•Amichevole (detta anche volontaria),quando vi è l’accordo tra le parti(tra i condomini). Solitamente viene posta in essere da un notaio
che procede alla formazione di diversi lotti con l’attribuzione per sorteggio della parte dovuta a ciascun condomino;
•Giudiziale, quando non vi è l’accordo tra le parti ed è cioè posta in essere dal Giudice, su istanza di uno o più condomini.
•Ordinaria,che è la comunione in cui ciascun condomino può chiedere in qualsiasi momento la divisione (ad esempio: condominio per le
parti comuni di un edificio);
•Forzosa, che è la comunione in cui manca la possibilità di chiedere la divisione (ad esempio: condominio per la parti comuni di un
edificio).
Nel nostro diritto la divisione ha natura dichiarativa, e quindi ciascun condomino si considera proprietario della parte
attribuitagli a seguito di divisione, fin dal primo momento in cui la cosa era in comune. Ciò spiega perché gli atti di disposizione
compiuti da un condomino sulla cosa comune, avranno efficacia “ex tunc”, se quella parte gli viene attribuita a seguito di divisione. Invece,
in diritto romano la divisione aveva natura costitutiva, e quindi ciascun condomino si considerava proprietario della parte
assegnatagli a seguito di divisione solo dal momento della divisione, ed anzi prima di essa, ciascun condomino si considerava
avente causa dell’altro. Recentemente la Cassazione ha dichiarato in una sentenza che la divisione nel nostro diritto avrebbe natura
costituiva. Anche se non è così poiché ha natura dichiarativa non costituiva.
Per quanto riguarda la fonte, la comunione si distingue in:
•Volontaria, se deriva dalla volontà delle parti. Normalmente con un contratto di società.
•Incidentale, quando essa deriva da una causa estrinseca alla volontà delle parti. E quindi per un rapporto di vicinato o di successione,
quando più eredi sono chiamati a succedere al “decuius”(defunto).
La comunione è di solito regolata da un titolo; in mancanza si applicano le seguenti norme:
•Ciascun condomino ha il diritto di usare le parti comuni (cortile, portone, scale), purché non alteri le cose comuni stesse e consenta il
pari uso agli altri condomini, senza danneggiarle e anzi contribuendo inoltre, nei limiti della sua quota, alle spese per la conservazione e
il godimento delle cose comuni stesse.
•L’organo deliberativo per le spese di uso e di conservazione della cosa comune è l’assemblea dei condomini, nella quale si applica il
principio maggioritario, in modo che la maggioranza delle quote, vincola le minoranze dissenzienti, e quindi la maggioranza non si
calcola con il numero dei condomini ma con il valore delle quote.
•Per le opere di ordinaria amministrazione è sufficiente la maggioranza semplice, cioè la metà più uno del valore dell’intera cosa.
•Per le opere di straordinaria amministrazione e per le innovazioni è necessaria la maggioranza qualificata, pari a due terzi del valore
dell’intera cosa. Inoltre perché si deliberino le innovazioni esse devono apportare un obbiettivo vantaggio per tutti i condomini, non devono
arrecare pregiudizio per alcuno di essi, non devono comportare una spesa eccessivamente onerosa.
•Gli atti deliberativi dell’assemblea dei condomini hanno la natura di atti collettivi.L’organo esecutivo delle deliberazioni dell’assemblea
è l’amministratore, che può essere rappresentato da uno o più condomini o da un terzo estraneo al condominio. Come detto è l’organo
esecutivo delle delibere assembleari, da solo può compiere solo le opere urgenti indilazionabili.
•Il potere della maggioranza nelle delibere assembleari incontra un limite nel caso di violazione di legge o di abusi; è consentito al
condomino dissenziente di impugnare la delibera davanti al Giudice. Si è detto che l’assemblea è regolata dal principio maggioritario
tuttavia, per disporre l’alienazione della cosa comune, occorre il consenso di tutti i condomini e non la maggioranza.
IL CONDOMINIO NEGLI EDIFICI
Un tipo particolare di condominio è il condominio negli edifici, in cui ciascun appartamento è in proprietà solitaria di ciascun
condomino ma, tutti i condomini sono in comunione forzosa relativamente alle parti comuni(scale, cortile, portone).Per la
conservazione e il godimento delle cose comuni si applicano le norme già viste in tema di condominio ordinario. Anche in tal caso l’organo
deliberativo è l’assemblea dei condomini. L’organo esecutivo è l’amministratore, che può essere rappresentato da uno o più condomini o
da un soggetto esterno al condominio. La particolarità è data dal fatto che, nei condomini con più di dieci condomini, è obbligatoria
l’adozione di un regolamento di condominio, facoltativa invece negli altri casi. Il regolamento disciplina l’uso ed il godimento delle
parti comuni e la ripartizione delle spese tra i vari condomini. Il regolamento ha la natura di atto collettivo e può essere impugnato
davanti al Giudice dai condomini dissenzienti.
Il POSSESSO
Il possesso, come afferma l’art.1140 del Codice Civile, è la relazione materiale dell’uomo con la cosa, che si manifesta in
un’attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale. Come si nota dalla definizione, la legge esclude che il possesso
possa consistere in un’attività che corrisponda a diritti familiari o diritti di credito ma, lo limita ad un’attività corrispondente al diritto di
proprietà o altro diritto reale. Si tratta di una situazione di fatto tutelata dalla legge per due motivi:
•Per evitare che i cittadini entrino in conflitto tra loro controvertendo sul possesso di un bene (dicevano i romani: “ne cives ad arma ruant”);
•Perché il possesso viene tutelato per agevolare le ragioni del proprietario che, il più delle volte è anche possessore.
Il possesso viene tutelato con le azioni possessorie di reintegrazione (o spoglio) e di manutenzione.
Il possesso si compone di due elementi:
•Uno materiale che è il corpus, che consiste nella relazione materiale dell’uomo con la cosa;
•Uno spirituale che è l’animus possidenti (o detto anche “rem sibi abendi”), cioè l’intenzione di possedere la cosa come propria.
Ovviamente con il concorso di entrambi gli elementi si acquista il possesso, che invece si perde per il venir meno di uno o di entrambi gli
elementi. Il possesso è cosa diversa dalla detenzione . Il detentore è un possessore “nominae alieno”, cioè in nome altrui, ed è
quindi un possessore precario (ad esempio: conduttore). La distinzione sta nel fatto che la detenzione non può portare all’usucapione
e perché la detenzione è tutelata solo da una delle due azioni possessorie, e cioè dall’azione di reintegrazione, non anche dall’azione di
manutenzione.
Il possesso si acquista:
•A titolo originario, quando il soggetto si pone senza l’intervento di altro soggetto direttamente nella relazione materiale con la cosa.
•A titolo derivativo con la “traditio”, che significa consegna (ad esempio: consegna delle chiavi al proprietario di un appartamento). La
“traditio” può anche essere “ficta”, e quindi finta (come accade quando, ad esempio, si vende una cosa a chi era già detentore di
essa). Invece l’istituto inverso, cioè il passaggio dal possesso alla detenzione, si chiama “costituto possessorio” (ad esempio: quando
chi era proprietario del bene lo vende ma, rimane all’interno dell’appartamento quale conduttore).
Dei due elementi di cui si compone il possesso mentre, è facile la prova del “corpus”, piuttosto ardua è quella “dell’animus” in
quanto, se un soggetto coltiva un fondo, è difficile dire se lo fa come proprietario, come affittuario, come usufruttuario e così
via. Per questo la legge agevola il possessore, prevedendo che egli sia tenuto solo a dare la prova del “corpus” mentre, spetterà alla
controparte provare che esiste un titolo che, di per sé esclude l’esistenza “dell’animus”. Il possessore è altresì facilitato da una “
presunzione legale iuris tantum ” infatti, chi possiede nel momento attuale ed ha posseduto anche in epoca remota, si presume
possessore del tempo intermedio, salvo prova contraria. Presunzione utilissima per provare di aver usucapito il bene, considerata la
difficoltà di dimostrare di aver posseduto ininterrottamente per 10 o per 20 anni. Il detentore non può usucapire tuttavia, anche il
detentore potrà usucapire, se compie un atto di interversione del titolo.
L’interversione del titolo si ha in due ipotesi:
•Un terzo che assume fondatamente o meno di essere proprietario o titolare di altro diritto reale, trasferisca il possesso al detentore;
•Il detentore contrasta in via giudiziale o stragiudiziale l’esistenza e la validità del titolo, ovvero compia atti incompatibili con la volontà di
riconoscerlo (ad esempio: chi dice di essere proprietario chiede la restituzione della cosa ed il detentore si rifiuta di restituirla, dimostrando
così, da quel momento in poi, l’intenzione di possedere la cosa come propria).
LA SUCCESSIONE NEL POSSESSO(SUCCESSIO POSSESSIONIS) E LA CONGIUNZIONE DI POSSESSO(ACCESSIO
POSSESSIONIS)
Si ha “ successio possessionis ” quando “ l’eres ” subentra nel possesso dei beni del “ decuius ”.
Si ha “ accessio possessionis ” quando l’avente causa a titolo particolare per atto “inter vivos” o “mortis causa”, quindi l’acquirente o il
legatario, subentra nel possesso del dante causa.L’importanza di tale distinzione sta in ciò: poiché l’erede subentra in tutti i rapporti
giuridici attivi e passivi del defunto, e quindi nella stessa posizione giuridica del defunto, il possesso continua nell’eres, con il carattere di
buona o mala fede che era presso il “decuius”. Viceversa nell’accessio possessionis si deve guardare la posizione soggettiva
dell’avente causa che potrà essere, ad esempio, in buona fede mentre, il possesso del dante causa era di mala fede, o viceversa.
In entrambe le ipotesi l’avente causa può cumulare il suo possesso con quello del dante causa, se ciò gli conviene e gli converrà senz’altro
se il possesso del dante causa era in buona fede.
POSSESSO IN BUONA FEDE
Una particolare protezione riceve dalla legge il possesso in buona fede, sia perché, ricorrendo gli altri requisiti, e cioè “res abilis
continuatio possessionis”, e titolo astrattamente idoneo, esso dà luogo all’usucapione abbreviata, sia perché il possessore in
buona fede di beni diventa automaticamente proprietario del bene mobile, ai sensi dell’art.1153 del Codice Civile. Per buona fede
si intendel’ignoranza di ledere un altrui diritto, e quindi l’ignoranza di acquistare da un falso proprietario e la convinzione di acquistare in
base ad un titolo idoneo; tuttavia, se tale convinzione deriva da colpa grave, cioè dalla mancanza di un minimo di diligenza anche
elementare, il soggetto è in errore inescusabile e l’errore inescusabile, derivando da colpa grave, non dà luogo a buona fede. È
sufficiente che la buona fede sussista nel momento iniziale, nel momento della stipula del contratto, sicché, se si viene a sapere anche
un istante dopo di aver acquistato da un falso proprietario, il soggetto sarà considerato in buona fede (“mala fidens super veniens non
nocet”). La buona fede si presume, e quindi in giudizio, spetta alla controparte provare che il soggetto era invece in mala fede. Per quanto
riguarda il possesso in buona fede di beni mobili, in base al principio “nemo transferre potest plus iuris quam ipse habeat”, cioè
nessuno può trasferire ad altri un diritto superiore a quello che egli stesso abbia; un soggetto che ha acquistato un bene mobile
da un falso proprietario, pur avendo il possesso e pur essendo in buona fede, non dovrebbe divenirne proprietario. Tuttavia, la
rigida applicazione del principio contrasta con le ragioni pratiche di una rapida circolazione dei beni mobili. Se ogni volta che si acquista
un bene mobile si dovesse verificare che il venditore è il vero proprietario, si paralizzerebbe il commercio, perciò la legge accorda al
possessore in buona fede di beni mobili una tutela particolare, e cioè, lo si ripeta: il soggetto che acquista il possesso in buona fede di un
bene mobile ne diventa automaticamente proprietario. Regola che si sintetizza con la frase possesso vale titolo . Ovviamente il titolo
di acquisto non deve essere solo astrattamente idoneo, ma anche valido, così, se si è acquistato un bene da un incapace o si è
acquistato un bene demaniale, è chiaro che non si acquisterà la proprietà, perché il titolo è viziato, nella prima ipotesi da incapacità,
nella seconda da inesistenza del soggetto. Ovviamente se il possessore acquista la proprietà del bene mobile, a maggior ragione egli
acquisterà la proprietà libera da pesi, e quindi da eventuali diritti di godimento esistenti sulla cosa, purché ignorati in buona fede.
IL CONFLITTO TRA PIÙ ACQUIRENTI DI BENI MOBILI
Nel nostro diritto la proprietà si acquista e si trasmette sulla base del mero consenso delle parti legittimamente espresso . Il
conflitto tra più acquirenti di un bene immobile si risolve con la priorità nella trascrizione; invece, il conflitto tra più acquirenti di un bene
mobile si risolve con la priorità nel possesso. Perciò, se Tizio vende un orologio a Caio, senza trasferirgli il possesso, e poi lo vende a
Sempronio, trasferendogli il possesso, l’effettivo acquirente sarà Sempronio. Si tratta di una chiara applicazione del principio dell’art.1153
del Codice Civile ed è disciplinato dall’art.1155. Resta salva ovviamente la facoltà per Caio di esperire azione di risarcimento del danno
nei confronti di Tizio. Il principio possesso vale titolo si applica per i beni mobili non anche per i beni mobili registrati (automobili,
aeromobili e navi) e per le universalità di mobili (biblioteca), ciò perché, nel primo caso dai pubblici registri è agevole individuare
l’effettivo proprietario, e nel secondo caso è parimenti facile capire chi sia il proprietario, considerata la mole del bene.
AZIONI POSSESSORIE
Il possessore o il detentore spogliati in modo violento o clandestino del possesso, o della detenzione del loro bene, sono tutelati dall’azione
di reintegrazione o spoglio ; mentre, il possessore molestato nel possesso del suo bene, è tutelato dall’azione di manutenzione.
Queste due azioni si chiamano azioni possessorie e competono al possessore di un bene, la prima anche al detentore,
indipendentemente dal verificare se egli sia o meno anche proprietario. Esse perciò si contrappongono alle azioni petitorie, che
competono al proprietario e che sono: la “rei vindicatio”, “l’actio negatoria”, l’azione di regolamento dei confini e l’azione per apposizione
di termini, alle quali va aggiunta “l’actio confessoria servitutis”. La tutela offerta dalle azioni possessorie è necessariamente provvisoria
perché, se per avventura il soccombente in azione possessoria è il vero proprietario, costui potrà promuovere azione petitoria e ribaltare
l’esito del giudizio precedente, anche se dovrà provare il suo diritto di proprietà che sappiamo è “probatio diabolica”.
L’AZIONE DI REINTEGRAZIONE O SPOGLIO
Tale azione compete al possessore ed al detentore di beni mobili, immobili e di universalità di mobili che siano stati spogliati
del possesso o della detenzione in modo violento o clandestino. Legittimati attivamente sono perciò il possessore ed il detentore
spogliati in modo violento o clandestino, anche se lo spoglio è posto in essere dal proprietario, perché costui non può farsi giustizia da
solo, essendo altrimenti responsabile del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni punito dal codice penale. Si è detto che
l’azione compete anche al detentore; tuttavia, essa non compete a chi detiene la “res” per ragioni di servizio (ad esempio:
domestico) o per ragioni di ospitalità (ad esempio: amico ospitato in una villa), perché per tali soggetti la detenzione è meramente
temporanea.
La giurisprudenza distingue inoltre le figure del detentore qualificato e non qualificato:
•Detentore qualificato, che è colui che detiene la cosa per sé, cioè nel proprio interesse (ad esempio: conduttore);
•Detentore non qualificato, che è colui che detiene la cosa in nome e per conto altrui (ad esempio: rappresentante, amministratore).
La distinzione è rilevante poiché il detentore qualificato può esperire l’azione nei confronti di chiunque, e quindi anche del proprietario nel
cui nome detiene, in applicazione del principio “spogliatus ante omnia restituendus”. Invece il detentore non qualificato può esperire azione
nei confronti di tutti i terzi ma, non nei confronti del soggetto in nome e per conto del quale detiene (rappresentato e proprietario).
Legittimato passivamente è l’autore dello spoglio, ovvero chi ha acquistato dallo “ spogliator ” conoscendo dello spoglio, o chi
ha istigato allo spoglio, cosiddetto autore morale. Spoglio violento non è solo quello posto in essere con violenza fisica o morale ma,
anche quello posto in essere contro la volontà espressa o presunta del possessore o detentore (ad esempio: il proprietario di casa che,
in un momento di assenza dell’inquilino, cambia la serratura dell’appartamento e vi si introduce).
Spoglio clandestino è quello celato al possessore o detentore. Vi deve essere inoltre “l’animus spogliandi”, cioè l’intenzione di
spogliare il possessore o il detentore. Elemento che di solito è insito nel fatto materiale dello spoglio. L’azione è soggetta ad un breve
termine di decadenza di un anno che decorre:
•nel caso di spoglio violento, dal giorno dello spoglio;
•nel caso di spoglio clandestino, dal giorno in cui è stato scoperto.
AZIONE DI MANUTENZIONE
Tale azione compete al possessore non al detentore di beni immobili e di universalità di mobili, non anche al possessore di beni mobili. Il
possesso di beni mobili non è perciò manutenibile, cioè non è tutelato dall’azione di manutenzione. L’azione tende a far cessare
le molestie o turbative sul bene oggetto di possesso. Tali molestie possono essere:
•di fatto, se consistono in fatti materiali (ad esempio: passaggio sul fondo). Tra le turbative di fatto vanno ricomprese lo spoglio non
violento e non clandestino, che come tali non sono tutelati dall’azione di reintegrazione;
•di diritto, se consistono in atti giuridici (ad esempio: opposizione al possessore per impedirgli di effettuare una costruzione, che si
assume in contrasto con una pretesa servitù di passaggio).
Legittimato attivamente è il possessore molestato, che abbia il possesso della cosa da oltre un anno.
Legittimato passivamente è l’autore delle molestie. Anche l’azione di manutenzione è soggetta al termine di decadenza di un anno
che decorre dal giorno della molestia. Se vi sono più molestie, il termine decorre dall’ultima di esse; tuttavia, se i vari atti di molestia
costituiscono un tutt’uno, nel senso che gli atti successivi sono solo una conseguenza del primo atto di molestia, allora il termine decorrerà
dal primo atto di molestia; così, se il titolare di una pretesa servitù di passaggio abbatte il muro sul fondo oggetto di possesso e poi traccia
il percorso per il passaggio, l’azione decorre comunque dal giorno in cui è stato rotto il muro, e quindi dalla prima molestia.
AZIONI DI NUNCIAZIONE
Tali azioni competono sia al proprietario che al possessore. Esse hanno natura cautelare, cioè mirano a prevenire un possibile danno
futuro sul bene oggetto di proprietà o di possesso, per un’opera nuova sul fondo vicino o un’opera già esistente sul fondo stesso.
•Denunzia di opera nuova, che spetta al proprietario o al possessore che abbiano fondato motivo di temere che da un’opera nuova sul
fondo vicino stia per derivare un danno. L’opera nuova deve essere iniziata da meno di un anno e non ancora terminata perché, se è già
terminata, si esperirà azione petitoria o possessoria. Il Giudice può vietare o permettere l’opera nuova, e nel secondo caso stabilire
idonee cautele;
•Azione di danno temuto, che compete al proprietario o al possessore che abbiano un fondato motivo di temere un danno grave e
prossimo da un’opera già esistente sul fondo del vicino (ad esempio: una costruzione, un albero). Il Giudice, se ritiene fondata la domanda
dell’attore, può stabilire che siano prestata idonee garanzie (come una cauzione per eventuali danni futuri).
CONCETTO DI OBBLIGAZIONE
Sappiamo che i diritti patrimoniali sono i diritti suscettibili di valutazione economica. Essi si distinguono in:
•Diritti reali;
•Diritti di credito o di obbligazione.
Perciò il diritto di obbligazione è una “species” del “genus” diritti patrimoniali. Sappiamo poi che i diritti reali, essendo il potere
immediato e diretto dell’uomo sulla cosa, hanno il carattere dell’immediatezza; mentre, i diritti di obbligazione, essendo la pretesa di
un soggetto nei confronti di un altro soggetto, hanno il carattere della mediatezza, poiché il creditore ha bisogno della
cooperazione del debitore per soddisfare la sue pretese. Inoltre, mentre i diritti reali sono assoluti, perché possono essere fatti valere
“erga omnes”, i diritti di obbligazione sono relativi, perché possono essere fatti valere solo dal creditore nei confronti del debitore. Ciò
premesso, se dal lato attivo, cioè dal lato del creditore, l’obbligazione è la pretesa di un soggetto nei confronti di un altro
soggetto, dal lato passivo, cioè del debitore, l’obbligazione è quel rapporto giuridico in forza del quale il debitore ha il dovere
giuridico di adempiere una determinata prestazione (“obbligatio est vinculum iuris quo necessitate ad stringimur alicuius solvendae
rei secundum nostrae civitatis iura”, cioè è quel dovere giuridico per il quale siamo costretti dalla necessità di pagare qualche cosa
secondo la legge dello Stato). Da notare che nella definizione latina si pone l’accento sul “vinculum iuris”, cioè sulla coercibilità
dell’adempimento, quindi sulla costrizione del debitore all’adempimento stesso.
Elementi costitutivi dell’obbligazione sono:
•Soggetto attivo, il creditore;
•Soggetto passivo, il debitore.
•L’oggetto, cioè la prestazione, che è l’atteggiamento, il comportamento che il debitore deve osservare;
•Il “vinculum iuris”, cioè la coercibilità della prestazione.
A seconda che la prestazione sia di dare, di fare o di non fare, si avrà un’obbligazione di dare, di fare o di non fare. Per il carattere
coercibile dell’adempimento, il debitore risponde dell’adempimento stesso con tutti i suoi beni presenti e futuri, quindi non solo
quelli esistenti al momento del sorgere dell’obbligazione, ma anche quelli successivi. Questa generica rispondenza si chiama
garanzia generica del credito . Per distinguerla dalla garanzia specifica che, come vedremo, si costituisce con il privilegio, il pegno e
l’ipoteca. Se allo scadere del termine il debitore non adempie, il creditore può agire ed ottenere sentenza di condanna e poi
promuovere processo di esecuzione forzata sui beni del debitore, in modo da ottenere soddisfazione del suo credito, degli
interessi e del risarcimento del danno (questo se si tratta di obbligazioni di denaro). Se si tratta di obbligazione di dare cosa certa
e determinata o di fare o di non fare, in caso di inadempimento, ottenuta la sentenza di condanna, il creditore in sede esecutiva
otterrà un provvedimento detto di esecuzione forzata in forma specifica, con il quale può costringere il debitore a farsi dare la cosa,
o lo può costringere a fare la cosa, o può eliminare le conseguenze negative derivanti dalla violazione dell’obbligo di non fare. Se ciò non
è possibile, perché ad esempio il debitore ha distrutto la cosa che doveva, il diritto del creditore si risolve nel diritto al risarcimento del
danno, che costituisce l’equivalente della prestazione mancata.
OBBLIGAZIONI NATURALI
L’obbligo che sta a carico del debitore è la necessità di tenere il comportamento dovuto, obbligo coercibile giuridicamente. L’esistenza
del “vinculum iuris”, quindi della coercibilità della prestazione è ciò che distingue un’obbligazione in senso tecnico da
un’obbligazione naturale. All’art.2034 del Codice Civile il legislatore afferma che non è ammessa la ripetizione di quanto è stato
spontaneamente prestato, in esecuzione dei doveri morali e sociali, a meno che l’obbligazione non sia stata adempiuta da un incapace.
Esempio dei doveri di cui al primo comma sono: il pagamento di un debito di gioco e il pagamento di un debito prescritto. Al
secondo comma aggiunge che i doveri indicati nel primo comma e tutti quelli per i quali la legge non accorda azione ma, esclude la
ripetizione, non producono altri effetti. Esempio dei doveri indicati dal secondo comma è costituito dall’ipotesi del negozio immorale
in cui nell’ipotesi di immoralità comune ad entrambe le parti, se una parte aveva comunque adempiuto la sua prestazione non
poteva più ripeterla.Non a caso tale regola è disciplinata dal successivo articolo 2035 del codice civile. Il dottrina si discute sulla natura
giuridica delle obbligazioni naturali. Secondo una parte della dottrina vi sarebbe un debito senza rispondenza, secondo altri vi sarebbe un
debito che entra nel mondo giuridico solo nel momento del pagamento spontaneo, tanto è vero, che è da questo momento che si produce
l’unico effetto dell’irripetibilità della prestazione. In verità nessuna delle due tesi può essere accolta, perché per poter parlare di debito, e
quindi di obbligazione, vi deve essere il “vinculum iuris”, ne consegue che se un soggetto non è obbligato ad adempiere, non potrà mai
parlarsi di obbligazione vera e propria. L’obbligazione naturale è costituita da tre requisiti e cioè:
•Pagamento;
•Spontaneità;
•Capacità.
Si tratta quindi di una fattispecie complessa composta da questi tre requisiti e che produce l’unico effetto della “soluti retenzio” cioè,
dell’irripetibilità della prestazione.
I SOGGETTI DELL’OBBLIGAZIONE
I soggetti del rapporto obbligatorio sono due:
•Un soggetto attivo, che è il creditore;
•Un soggetto passivo, che è il debitore;
Normalmente questi due soggetti sono determinati fin dal sorgere del rapporto obbligatorio ma, talvolta, per alcune circostanze in cui si
trova o il debitore o il creditore, tali soggetti sono determinabili solo in un secondo momento. Si ha in tal caso, la cosiddetta
obbligazione ambulatoria . L’ambulatorietà attiva si ha quando determinabile è il creditore (un esempio è dato dall’obbligazione nascente
da titolo di credito poiché, infatti, il titolo di credito è un titolo che circola mediante girata, il creditore sarà il soggetto possessore di quel
titolo). Se determinabile in seguito è la figura del debitore, si ha invece, l’ambulatorietà passiva (un esempio è dato “dall’obbligatio propter
rem” in cui il debitore è colui che si trova in un determinato rapporto con la cosa. Ad esempio: proprietario del fondo servente titolare di
un facere accessorio).
L’OGGETTO DELL’OBBLIGAZIONE: LA PRESTAZIONE
L’oggetto del rapporto obbligatorio è la prestazione. La prestazione è il comportamento che il debitore deve tenere nei confronti del
creditore.
La prestazione può essere:
•di dare, corrispondente ad un’obbligazione di dare;
•di fare, corrispondente ad un’obbligazione di fare;
•di non fare, corrispondente ad un’obbligazione di non fare.
La prestazione per avere rilevanza giuridica deve avere i seguenti caratteri:
•Patrimoniale, perché è tale lo stesso rapporto obbligatorio ed inoltre, perché, in caso di inadempimento del debitore, deve essere
possibile determinare il “quantum” dovuto a titolo di risarcimento. Risarcimento che costituisce l’equivalente della prestazione mancata;
•Lecita, in quanto non può essere contraria a norme imperative di diritto, buon costume ed ordine pubblico;
•Possibile, in quanto non esiste giuridicamente una prestazione materialmente impossibile né può esistere una prestazione
giuridicamente impossibile. Una prestazione impossibile non fa sorgere il “vinculum iuris” poiché “nemo tenetur ad impossibilia”, cioè
nessuno è obbligato alle cose impossibili;
•Determinata, o quanto meno determinabile, in quanto la prestazione deve essere individuata, o suscettibile di individuazione. Così se
le parti non hanno stabilito un compenso per il professionista, esso sarà determinabile sulla base delle tariffe esistenti o degli usi. Le parti
possono anche stabilire che sia un terzo a determinare la prestazione. In tal caso, il terzo che deve determinare la prestazione si
chiama arbitratore. Se l’arbitratore omette di fare la determinazione, ovvero, se la sua determinazione è manifestamente erronea
o iniqua, le parti potranno rivolgersi al Giudice. Le parti possono anche lasciare la determinazione della cosa al mero arbitrio di un
terzo. In tal caso però, le parti non potranno rivolgersi al Giudice, a meno che, non vi sia dolo del terzo.
Diverso dall’arbitratore è l’arbitro. Arbitro è quel soggetto o organo collegiale cui le parti si rivolgono per dirimere una
controversia. Il luogo del Giudice ordinario, e quindi per evitare le lungaggini di un processo ordinario. L’arbitro emette una decisione
che si chiama lodo arbitrale e che resa esecutiva dal Giudice, ha valore di sentenza tra le parti.
L’OBBLIGAZIONE CON PLURALITÀ DI SOGGETTI OBBLIGAZIONI DIVISIBILI E INDIVISIBILI
L’obbligazione si dice divisibile quando la prestazione è suscettibile di essere adempiuta per parti successive. L’obbligazione si dice
indivisibile quando la prestazione deve essere adempiuta per intero. La distinzione tra obbligazioni divisibili ed indivisibili ha rilievo
giuridico solo se vi siano più debitori e più creditori, non ha invece rilievo giuridico se vi è un solo debitore, poiché costui non
può adempiere per parti successive, anche se la prestazione è divisibile, salvo diverso accordo con il creditore. Invece la
distinzione acquista rilevanza giuridica se vi sono più debitori e più creditori. In tal caso, se l’obbligazione è divisibile, ciascun debitore
è tenuto a prestare nei limiti della sua quota e ciascun creditore ha il diritto di esigere la prestazione nei limiti della sua quota.
Se l’obbligazione è invece indivisibile ciascun debitore è tenuto a prestare l’intero e ciascun creditore ha diritto di esigere l’intero.
Ovviamente nei rapporti interni, il creditore che abbia ricevuto l’intero, dovrà corrispondere agli altri concreditori la loro parte. Così come
il debitore che ha pagato l’intero, ha il diritto di agire in via di regresso nei confronti degli altri condebitori per ripetere da ciascuno la propria
parte.
Giuridicamente il fenomeno dell’indivisibilità dell’obbligazione dà luogo:lato attivo alla comunione nel credito; dal lato passivo, alla
comunione nel debito.
Ma quando un’obbligazione è indivisibile??? Un’obbligazione è indivisibile quando è indivisibile la sua prestazione e ciò sarà, o per
natura, cosiddetta indivisibilità per natura, o per volontà delle parti, cosiddetta indivisibilità soggettiva. Importante è sottolineare
che l’indivisibilità opera a carico degli eredi del debitore per cui, se il “decuius” è debitore di un’obbligazione indivisibile, i suoi eredi sono
tutti tenuti per l’intero; ciò costituisce un’eccezione ed una deroga al generale principio “nomina et debita ipso iure dividuntur”, per il quale
i crediti e i debiti del “decuius” si dividono “ipso iure”, cioè automaticamente, in capo agli eredi al momento della morte del “decuius”,
proporzionalmente alla quota ereditabile di ciascuno. Se un condebitore rende impossibile per sua colpa la prestazione (ad esempio:
uccide o lascia morire il cavallo che doveva) ci si chiede cosa succeda per gli altri condebitori. Rinviamo la soluzione del quesito alle
obbligazioni solidali, poiché anche il legislatore, invia ad esse per la risoluzione del problema.
OBBLIGAZIONI PARZIARIE E SOLIDALI
Si dice parziaria l’obbligazione in cui ciascun debitore è tenuto a prestare nei limiti della sua parte e ciascun creditore ha diritto di esigere
la sua parte. Giuridicamente nell’obbligazione parziaria si hanno tanti piccoli rapporti obbligatori. L’obbligazione solidale invece,
si ha quando ciascun debitore è tenuto ad adempiere l’intero mentre, ciascun creditore, ha diritto di esigere l’intero. Come si evince dalla
definizione, la disciplina dell’adempimento delle obbligazioni parziarie e solidali è simile a quella delle obbligazioni divisibili e
indivisibili; tuttavia, tra l’una e l’altra, vi sono differenze:
•Una prima differenza ha riguardo ad una fonte. Un’obbligazione indivisibile è tale per natura o per volontà delle parti invece,
l’obbligazione solidale è tale, dal lato passivo, per legge, perché è la legge che dice che, se vi sono più debitori di uno stesso debito, essi
si considerano debitori solidali, salvo diverso accordo delle parti; mentre dal lato attivo, la solidarietà deriva dalla volontà delle parti.
•Una seconda differenza attiene alla struttura, poiché, mentre l’obbligazione indivisibile, dà luogo al fenomeno della comunione nel
debito e nel credito, nelle obbligazioni parziarie e solidali, vi sono tanti piccoli rapporti obbligatori tenuti insieme come in un fascio.
•In terzo luogo mentre, l’indivisibilità opera a carico degli eredi del “decuius”, la solidarietà non passa ai coeredi e perci ò, se il
“decuius” era debitore di un’obbligazione solidale, ciascuno degli eredi sarà tenuto ad adempiere nei limiti della sua quota
ereditaria, in applicazione del principio generale “nomina et debita ipso iure dividuntur”. Ovviamente anche nell’obbligazione solidale il
debitore che ha pagato l’intero ha diritto di agire in via di regresso nei confronti degli altri debitori e ripetere da ciascuno la propria parte,
così come il creditore, che ha ricevuto l’intero, deve poi corrispondere agli altri creditori la propria parte.
Cosa accade se un debitore di un’obbligazione indivisibile o solidale rende impossibile per sua colpa l’obbligazione?In tal caso
gli altri debitori non sono liberati dall’obbligo di corrispondere per l’intero il risarcimento del danno, tuttavia esso è per loro limitato dalla
cosiddetta “estimatio rei”, cioè al valore effettivo della prestazione. Invece l’ulteriore risarcimento del danno è posto solo a carico del
debitore che, per sua colpa, ha reso impossibile la prestazione.
LE OBBLIGAZIONI DI SPECIES E OBBLIGAZIONI DI GENUS
In relazione alle obbligazioni che hanno ad oggetto una prestazione di dare, si distingue l’obbligazione di “genus” da quella di “species”.
L’obbligazione di species è quella la cui prestazione è specificamente determinata (ad esempio: mi obbligo a darti quel quadro).
L’obbligazione di genus è invece quella che porta in sé dedotta una prestazione, in quanto appartenente ad un “ genus ” (ad
esempio: mi obbligo a darti 10 kg d’uva). Questa distinzione ha la sua importanza per due motivi:
•Il principio “consensus proprietate” può applicarsi solo alla vendita di “species” mentre, nella vendita di “genus”, può applicarsi solo
quando le parti abbiano specificato, cioè determinato la prestazione.
•Inoltre se per caso fortuito o forza maggiore (ad esempio: un terremoto o un naufragio) diventa impossibile la prestazione, l’obbligazione
di species si estingue, proprio perché “nemo tenetur ad impossibilia”, invece l’obbligazione di genus non si estingue, in applicazione del
principio “genus numquam perit”. A meno che non si tratti di un “genus” limitato e perisca tutto quel “genus” limitato (ad esempio: i cavalli
della mia scuderia). La specificazione è l’individuazione della “ res ” dovuta su accordo delle parti o nel modo dalle parti stabilito.
Intervenuta la specificazione, l’obbligazione si trasforma da generica in specifica. A proposito della specificazione, il legislatore afferma
che il debitore è tenuto a prestare cose di qualità non inferiore alla media.
LE OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
Un problema particolare sorge per le obbligazioni che hanno ad oggetto una somma di denaro e che sono dette obbligazioni
pecuniarie . Se l’obbligazione è a termine, cioè se la sua scadenza è successiva al momento di costituzione dell’obbligazione, e nel
frattempo si verifica una svalutazione monetaria, ci si chiede se il debitore sia tenuto ad adempiere sempre la stessa somma di denaro
originariamente pattuita o quella rivalutata. Al quesito si risponde che il debitore è tenuto ad adempiere sempre la stessa somma nella
misura originariamente stabilita, così, se un soggetto si era obbligato a gennaio a dare mille euro con scadenza a dicembre, a dicembre
dovrà sempre prestare mille euro anche se è intervenuta nel frattempo una svalutazione monetaria. Ciò perché nel nostro diritto vige
il principio nominalistico, per il quale il debitore, alla scadenza del termine, dovrà prestare sempre lo stesso valore nominale
della moneta. Proprio per questo generalmente il creditore si cautela o prevedendo interessi sulla somma, o ancorando la somma stessa
agli indici dell’aumento del costo della vita individuati dall’ISTAT o al valore dell’oro sul mercato, cosiddetta clausola oro. Nonostante il
principio nominalistico, la giurisprudenza ha distinto le figure del debito di valuta e del debito di valore.Il debito di valuta è quello
che ha ad oggetto una somma sin dall’origine determinata.Nel debito di valore , pur avendo questo ad oggetto una somma di denaro,
tale somma deve essere determinata in relazione ad un valore (ad esempio: se Tizio distrugge in un incidente stradale la macchina di
Caio, egli dovrà corrispondergli il risarcimento del danno ma, la somma dovuta a titolo di risarcimento che costituisce l’equivalente della
macchina incidentata, non sarà determinato al momento dell’incidente ma, al momento in cui la somma va liquidata, cioè determinata, o
su accordo delle parti o dal Giudice). Altro problema delicato relativo alle obbligazioni pecuniarie, si ha quando il debitore è in
mora, cioè in ritardo nell’adempimento della prestazione. In tal caso, egli non dovrà prestare la somma di denaro nella misura
originariamente stabilita ma, se si è verificata svalutazione monetaria, dovrà prestare la somma rivalutata. Da notare che questa non è
un’eccezione al principio nominalistico ma, è invece effetto e conseguenza della cosiddetta “perpetuatio obbligationis” che,
come vedremo, è un effetto della mora. In forza del quale tutto ciò che si verifica dopo la mora, si considera effetto della mora stessa,
in applicazione del principio “post moram ergo propter moram”.(dopo la mora e quindi a causa della mora).
GLI INTERESSI
Un particolare tipo di obbligazione è quella degli interessi, sono detti anche frutti civili.Essa costituisce un’obbligazione accessoria
all’obbligazione principale che ha ad oggetto la somma di denaro che costituisce il capitale.
Gli interessi possono essere:
•Convenzionali , se previsti dalla volontà delle parti. In tal caso, le parti possono anche prevedere interessi in una misura superiore a
quella legale ma, devono farlo risultare da atto scritto, altrimenti gli interessi sono dovuti nella misura legale;
•Corrispettivi, se i crediti pecuniari sono liquidi, cioè determinati nel loro ammontare, ed esigibili, cioè possono essere immediatamente
esatti perché non sottoposti a condizione o a termine. Saranno dovuti automaticamente interessi nella misura legale;
•Moratori,se il debitore è in mora, cioè è in ritardo nell’adempimento della prestazione. Sono dovuti automaticamente interessi nella
misura legale senza che si sia verificato alcun danno nel patrimonio del creditore. Naturalmente, se le parti avevano stabilito interessi in
una misura superiore, essi saranno dovuti nella maggior misura stabilita convenzionalmente. In via di principio nel nostro diritto è vietato
l’anatocismo, cioè la capitalizzazione degli interessi, poiché questi producono a loro volta altri interessi(per evitare il fenomeno dell'usura).
LA DIFFERENZA TRA OBBLIGAZIONI SEMPLICI, CUMULATIVE, ALTERNATIVE E FACOLTATIVE
L’obbligazione si dice semplice quando reca in sé dedotta una sola prestazione.
L’obbligazione si dice cumulativa quando reca in sé dedotte più prestazioni, tutte dovute.
L’obbligazione si dice alternativa quando essa reca in sé dedotte più prestazioni, delle quali una sola sia dovuta alternativamente
(ad esempio: mi devi 5000 euro o il cavallo). Nell’obbligazione alternativa, in generale, la facoltà di scelta compete al debitore, salvo
diverso accordo tra le parti. Nel momento della scelta, il debitore concentra l’obbligazione su una sola “res”.L’obbligazione alternativa
si distingue dall’obbligazione facoltativa , detta anche “cum facultate soluzionis”;in essa è dedotta una sola prestazione ma, è
in facoltà del debitore, di adempiere un’altra prestazione che è al di fuori del rapporto obbligatorio. Bene dicevano i Romani per i
quali, nell’obbligazione alternativa “plures res sunt in obbligatione, una res est in solutione”, mentre in quella facoltativa “una res est in
obbligatione, plures altrae in facultatae solutionis”. La distinzione acquista rilievo giuridico nell’ipotesi di sopravvenuta impossibilità
della prestazione per caso fortuito o forza maggiore. Se perisce la prestazione nell’obbligazione alternativa, quest’ultima non si
estingue, perché l’obbligazione si concentra sulla “ res ” residua invece, se per caso fortuito o forza maggiore viene meno la prestazione
oggetto dell’obbligazione facoltativa, l’obbligazione stessa si estingue e non è più dovuta la “ res ” facoltativa ma, se perisce la cosa
facoltativa, l’obbligazione resta in piedi, perché quella prestazione era all’esterno, estranea al rapporto obbligatorio. Un’ipotesi di
obbligazione facoltativa è questa: il testatore può istituire erede un soggetto con l’obbligo di acquistare per conto di un legatario un bene
di proprietà di un terzo; in tal caso, l’erede ha l’obbligo di acquistare la cosa di un terzo ma, è in sua facoltà, pagare al legatario il giusto
prezzo e, se per caso fortuito o forza maggiore perisce la cosa di proprietà di un terzo, l’erede non è più tenuto a corrispondere il giusto
prezzo.
GARANZIE VOLONTARIE DEL CREDITO
Le garanzie volontarie del credito sono quelle stabilite dalla volontà delle parti per rafforzare un debito altrui. La prima garanzia volontaria
è la fideiussione.La fideiussione è una garanzia volontaria del credito ed è anche una garanzia personale. Si ha fideiussione
quando un terzo estraneo al rapporto obbligatorio assume su di sé un debito altrui obbligandosi nei confronti del creditore. Il rapporto
fideiussorio nasce da un contratto posto in essere tra fideiussore e creditore, ne rimane quindi estraneo il debitore, anche se il
contratto di fideiussione viene preceduto da un’intesa tra debitore e fideiussore. Il rapporto nasce dal contratto tra fideiussore e
creditore, ed anzi la fideiussione può essere persino prestata all’insaputa del debitore. Una volta stipulata la fideiussione il debitore
principale ed il fideiussore rispondono in solido, e quindi ciascuno è tenuto per l’intero nei confronti del creditore. Ciò significa
che il creditore potrà rivolgersi indifferentemente nei confronti del debitore o nei confronti del fideiussore per soddisfare le sue pretese sui
beni dell’uno o dell’altro in caso di inadempimento del debitore. Può essere però convenuto nel contratto di fideiussione il patto di
preventiva escussione, cosiddetto “beneficio escussionis”. Se è convenuto tale patto, il creditore conserva il diritto di rivolgersi
indifferentemente al debitore o al fideiussore ma, se si rivolge a quest’ultimo, egli potrà eccepire l’esistenza del patto ed indicare i beni
del debitore sui quali potrà soddisfarsi. Ciò significa che il patto opera subordinatamente non solo alla sua eccezione, ma anche
all’indicazione dei beni del debitore da parte del fideiussore. Ne consegue che, se il fideiussore non conosce i beni del debitore su cui il
creditore potrà soddisfarsi, o pur conoscendoli non li indica, il creditore potrà soddisfarsi per l’intero sui beni del fideiussore. Se vi sono
più fideiussori di uno stesso debito, può essere convenuto il “beneficium divisionis”,in forza del quale ciascun fideiussore sarà
tenuto alla sua parte. La fideiussione, poiché presuppone l’esistenza di un debito cui accede come garanzia, ha carattere accessorio
rispetto al debito cui accede. Ne consegue che, se il debito originario è nullo o è annullato, sarà nulla o annullabile anche la
fideiussione, a meno che non sia stata prestata a garanzia di un debito assunto da un incapace; perciò, solo in quest’ultima ipotesi, la
fideiussione rimane in vita se è nulla o è annullata l’obbligazione principale, e rimane in vita proprio perché la legge la considera prestata
a favore di un debito in quanto assunto da un incapace. Se il fideiussore in caso di inadempimento del debitore ha pagato l’intero,
subentra in tutti i diritti e le azioni che spettano al creditore. Il fideiussore inoltre ha diritto di regresso nei confronti del debitore, e
quindi ha diritto di ripetere quanto ha pagato per lui, anche se la fideiussione fu prestata all’insaputa del debitore.
LA PROMESSA DEL FATTO DI UN TERZO
Si ha promessa del fatto di un terzo quando un soggetto, che si chiama promittente, promette appunto il fatto di un terzo, cioè
promette che un terzo adempirà o che si assumerà un’obbligazione (ad esempio: il “falsus procurator” che agisce senza la procura
in nome e per conto del “dominus” e che promette che il “dominus” ratificherà il suo operato).
Se il terzo non compie il fatto promesso, il promittente sarà responsabile del danno subito dal destinatario della promessa, perciò la
promessa del fatto di un terzo non è solo una garanzia volontaria, ma è anche una garanzia personale, poiché il promittente risponderà
personalmente del risarcimento del danno subito dal destinatario della promessa. Tuttavia, mentre la fideiussione presuppone l’esistenza
di un debito cui accede come garanzia, la promessa del fatto di un terzo non ne presuppone alcuno anzi, un’obbligazione sorgerà a carico
del promittente solo se il terzo non compie il fatto promesso.
LA CLAUSOLA PENALE
È una garanzia volontaria del credito in forza della quale il debitore si obbliga nei confronti del creditore a pagare una determin ata
somma di denaro in caso di ritardo nell’adempimento, cosiddetta penale moratoria , o di inadempimento definitivo, cosiddetta
penale compensativa . Pertanto nell’obbligazione assistita da clausola penale vi sono in realtà due obbligazioni:
•L’obbligazione principale (ad esempio: obbligo dell’artista di dipingere un quadro);
•L’obbligazione accessoria, che ha per contenuto la somma dovuta come penale.
È chiaro che l’obbligazione accessoria, che ha per contenuto la penale, è sotto condizione sospensiva del ritardo
nell’adempimento o dell’inadempimento definitivo. Secondo i principi generali in tema di obbligazioni, il creditore, in caso di ritardo
nell’adempimento o di inadempimento definitivo, ha diritto al risarcimento del danno, però egli deve fornire la prova del danno subito.
Invece nell’obbligazione assistita da clausola penale, il creditore avrà diritto ad ottenere la penale indipendentemente dalla
prova del danno, e quindi in ipotesi, anche se nessun danno si è verificato nel suo patrimonio. In ciò sta appunto la funzione di garanzia
della clausola penale, nell’assicurare a priori e comunque la possibilità del creditore di ottenere il risarcimento del danno,
indipendentemente dalla prova di esso. Come si è detto, la penale può essere:
•Penale moratoria è quella stabilita per il ritardo nell’adempimento, perciò in caso di ritardo, il debitore è tenuto a prestare sia la penale,
che la prestazione;
•Penale compensativa , che è quella stabilita in caso di inadempimento definitivo. Comporta che, in caso di inadempimento, il debitore
sia tenuto solo alla penale, in quanto essa è sostitutiva della prestazione mancata.
Nel caso in cui la penale non sia sufficiente a risarcire il danno subito dal creditore, spetta al creditore stesso la facoltà di agire per la
risarcibilità del danno ulteriore, sempre che sia stata espressamente convenuta dalle parti la risarcibilità del danno ulteriore. Se, al
contrario, vi sia stato un adempimento parziale, o la penale sia manifestamente eccessiva, il debitore può ottenere una riduzione
della penale. Recentemente l’istituto della clausola penale è stato oggetto e lo è tutt’ora di un vivace dibattito in giurisprudenza ed in
dottrina relativo alla possibilità del Giudice di ridurre di ufficio la penale manifestamente eccessiva.
L’orientamento della suprema corte(corte di cassazione) a sezioni unite ha stabilito che il Giudice può di ufficio ridurre la penale in un’ottica
di salvaguardia delle ragioni del contraente più debole, contro gli abusi del contrante più forte. Tale principio è solo apparentemente in
contrasto con la libertà contrattuale delle parti ed autorizza attualmente la dottrina più recente a parlare di un più generale potere correttivo
del Giudice. Si dice che il contratto è legge tra le parti, ne consegue che il contratto è stato sempre avvolto da un certo carattere di
sacralità; è come una cosa dove il Giudice non può intervenire perché riservato alla volontà delle parti. Tuttavia si stanno riservando
una serie di leggi che tutelano il contraente più debole contro gli abusi del contraente più forte.
LA CAPARRA
La caparra è garanzia volontaria del credito ma, mentre la clausola penale consiste nella promessa di dare una somma di denaro in caso
di ritardo nell’adempimento o di inadempimento definitivo, la caparra consiste nell’immediata dazione di una somma di denaro o di
altre cose fungibili. Normalmente il contratto di compravendita è preceduto da un contratto che si chiama contratto preliminare , con il
quale il venditore ed il compratore si obbligano rispettivamente a vendere e ad acquistare l’immobile al prezzo convenuto. Trattasi com’è
chiaro di un contratto ad effetti obbligatori mentre, il contratto di compravendita è un contratto ad effetti reali. Nella stipulazione del
contratto preliminare normalmente le parti si cautelano con una caparra.
La caparra può essere:
•Confermatoria , detta “arra confirmatoria”, una volta eseguito il contratto, deve essere restituita, ovvero imputata a titolo di acconto sul
prezzo. Ove la parte che ha dato la caparra si rendesse inadempiente agli obblighi assunti, l’altra parte può scegliere se
rescindere dal contratto, trattenendo definitivamente la caparra ricevuta o preferire l’esecuzione del contratto trattenendo
sempre la caparra ricevuta come anticipo e garanzia del suo credito. Se invece a rendersi inadempiente è la parte che ha ricevuto
la caparra, la controparte potrà scegliere se recedere dal contratto, e in caso di recesso pretendere il doppio di quanto versato, o preferire
l’esecuzione del contratto;
•Penitenziale , detta anche “arra penitentialis”, che è invece quella che, presupponendo il diritto di entrambe le parti di recedere dal
contratto, attribuisce a chi ha ricevuto la caparra il diritto a ritenere la somma ricevuta e, a chi ha dato la caparra il di ritto di
pretendere il doppio di quella data.Tanto premesso, solo la caparra confermatoria è vera garanzia, poiché attribuisce alla parte che è
fedele al contratto di agire per la conferma, cioè per l’esecuzione del contratto stesso, sempre che la parte non preferisca ritenere la
caparra avuta o pretendere il doppio di quella data. Invece, poiché la caparra penitenziale presuppone il diritto di ciascuna parte di
recedere dal contratto, e quindi garantisce alla parte fedele solo il diritto di ritenere la caparra ricevuta o pretendere il doppio di quella
data, non può essere considerata una vera e propria garanzia del credito.
MODIFICAZIONI SOGGETTIVE ATTIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Sono quelle che riguardano la persona del creditore, nel senso che un creditore si sostituisce ad un altro, fermo restando, l’originario
rapporto obbligatorio.
CESSIONE DEL CREDITO
La cessione del credito è un negozio giuridico traslativo della titolarità di un credito.Tale negozio è posto in essere tra il cedente, che
è il creditore, e il cessionario, che è il nuovo creditore; trattasi quindi di un negozio bilaterale posto in essere tra vecchio e nuovo
creditore. Tuttavia, per essere produttiva di effetti, la cessione deve essere notificata al debitore, che si chiama ceduto, o quanto meno,
da lui accettata. Ne consegue che se il cedente o il cessionario, hanno notificato l’avvenuta cessione al ceduto, ovvero se il ceduto ha
accettato la cessione stessa, e tuttavia il ceduto paga al cedente, ha pagato male, poiché egli era a conoscenza dell’avvenuta
cessione e, ciò nonostante, ha pagato al vecchio creditore, e quindi dovrà ripetere la prestazione nei confronti del cessionario.
Invece, se la cessione non è stata notificata al ceduto o da lui accettata, ed il ceduto paga al cedente, ha pagato bene, poiché ignorava
l’avvenuta cessione, a meno che il cessionario non riesca a provare che il ceduto era per qualunque altra via a conoscenza dell’avvenuta
cessione. Da notare che il ceduto a cui non è stata notificata la cessione, si presume in buona fede, spetterà perciò al cessionario provare
che egli invece era a conoscenza dell’avvenuta cessione. Se un creditore cede il credito a più soggetti, diventerà effettivo cessionario
colui che per primo ha notificato la cessione al ceduto. Si ha in tale ipotesi una soluzione analoga a quella del conflitto tra più acquirenti
di beni immobili; così come è vero che effettivo acquirente è colui che per primo ha trascritto il negozio di vendita, così diventa effettivo
cessionario chi per primo ha notificato la cessione al ceduto. Per quanto riguarda gli effetti della cessione, di regola, il cedente
garantisce al cessionario solo la “ veritas nominis”, cioè l’effettiva esistenza del credito non anche la “ bonitas nominis ” , cioè
l’effettiva solvibilità del ceduto. Ne consegue che in caso di inadempimento del ceduto, il cessionario non potrà rivolgersi al cedente,
per soddisfare le sue pretese.Per quanto riguarda la causa, la cessione è un negozio a causa variabile, perché può essere:
•“Cessio causa credendi ”, che è la cessione fatta dietro corrispettivo (ad esempio: Tizio cede un credito di una serie di automobili dietro
corrispettivo di denaro);
•“Cessio causa donandi ”, che è la cessione del credito fatta a titolo gratuito per puro spirito di liberalità; poiché la donazione deve
essere fatta per atto pubblico e con la presenza di due testimoni a pena di nullità, anche la “ cessio causa donandi ” deve essere fatta per
atto pubblico, a meno che non si tratti di donazioni di modico valore;
•“Cessio causa solvendi ”, che è la cessione fatta in soluzione di un precedente rapporto obbligatorio.In tal caso, il cedente è debitore
del cessionario, ed invece di adempiere la prestazione, gli cede un suo credito.
La cessio causa solvendi può essere di due tipi:
•“Pro soluto ”, che estingue il precedente rapporto obbligatorio nel momento stesso della cessione; perciò il cedente nel momento della
cessione è automaticamente liberato dall’obbligazione precedente. Quindi, nella “cessio pro soluto”, come abbiamo visto in generale, il
cedente garantisce al cessionario solo la “veritas nominis” e non anche la “bonitas nominis”.
•“Pro solvendo ”, che estingue il precedente rapporto obbligatorio solo nel momento del pagamento da parte del ceduto. Ne consegue
che il cedente sarà liberato solo quando il ceduto avrà effettivamente adempiuto la sua prestazione nei confronti del cessionario.Quindi,
nella “cessio pro solvendo” il cedente garantisce non solo la “veritas nominis”, ma anche la “bonitas nominis”.Tutti i crediti possono
essere ceduti tranne qualcuno. Un esempio di credito che non può essere ceduto è il credito per gli alimenti. Gli alimenti sono dovuti
dai familiari/parenti nei confronti di altri familiari/parenti che versano in stato di bisogno. In considerazione del fatto che tali crediti sono
necessari per la sopravvivenza di chi versa in stato di bisogno, deriva l’incedibilità di questo credito.
LA SURROGAZIONE
Essa è la sostituzione del creditore con un terzo che, avendo pagato il credito, si surroga ,cioè, si sostituisce al creditore. La surrogazione
può avvenire:
•“Ex voluntate creditoris ”, cioè per volontà del creditore, quando il terzo che si surroga si accorda con il creditore per sostituirsi a lui.
•“ Ex voluntate debitoris ”, cioè per volontà del debitore, quando il terzo si accorda con il debitore e gli fornisce una somma di denaro a
mutuo per pagare il suo debito. A questo punto il creditore è ormai soddisfatto ed il terzo che ha fornito la somma a mutuo si surroga
all’originario creditore.
•“Ex lege”, cioè quella che avviene nei casi previsti dalla legge.
SUCCESSIONE MORTIS CAUSA
Poiché l’erede subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi del “ decuius ”(defunto), egli subentrerà in tutti i crediti del “ decuius” .
Invece, poiché il legatario subentra in singoli e determinati rapporti, egli succede solo in quei crediti espressamente disposti dal testatore,
in forza del principio “nomina et debita ipso iure dividuntur”. Se al “ decuius ” succedono più eredi, i crediti del defunto si dividono
automaticamente al momento stesso dell’apertura della successione, quindi prima ed indipendentemente dalla divisione. Per cui ciascun
coerede è creditore nei limiti della sua quota ereditaria, a meno che non si tratti di obbligazioni indivisibili.
IL CONTRATTO DI FACTORING
Una figura particolare di cessione del credito è il contratto di factoring, non disciplinato dal Codice Civile, ma ormai facente parte della
prassi, sulla base dell’esperienza degli Stati Uniti. Esso è un accordo tra un’impresa specializzata, detta factor, ed un’altra impresa in
forza della quale il factor si obbliga a curare l’amministrazione del patrimonio ed in particolare, a recuperare i suoi crediti, ponendo in
essere tutti quegli atti necessari al recupero dei crediti (come costituzioni in mora ed esperimento di azioni giudiziarie).Questa funzione
del factor è detta funzione di gestione. Talvolta, il factor concede all’impresa cliente anche un anticipo sulla somma che sarà recuperata,
sicché il factoring assume, in tal caso, anche funzione di finanziamento. A titolo di corrispettivo il factor riceve una parte dei crediti
che gli vengono ceduti. Tale parte, detta commissione, sarà ovviamente maggiore se il factor ha anche fatto anticipazioni di denaro.
MODIFICAZIONI SOGGETTIVE PASSIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Mentre al debitore non interessa il mutamento della persona fisica del creditore, è evidente che al contrario al creditore, interessa il
mutamento della persona fisica del debitore, poiché un debitore può essere solvibile ed un altro no. Perciò, perché sia liberato il vecchio
debitore, e subentri un nuovo debitore che lo sostituisca, è necessario il consenso del creditore.
LA DELEGAZIONE
Si ha delegazione quando il debitore, detto delegante , delega un altro soggetto, detto delegato , affinché si assuma il di lui debito nei
confronti del creditore, detto delegatario . Il più delle volte il delegato si assume l’altrui obbligazione, poiché egli è debitore del debitore
delegante. Per aversi delegazione occorre il consenso di tre soggetti:
•Delegante;
•Delegato;
•Delegatario.
Si tratta perciò di un negozio trilaterale. Questa figura è la cosiddetta delegazione promittenti in cui il delegato promette al creditore
di adempiere l’altrui debito. Accanto ad essa vi può essere la delegazione solvendi in cui il delegato si obbliga solo nei confronti del
debitore delegante. In tal caso, si ha un rapporto bilaterale ed è un rapporto interno che non riguarda il creditore. Tuttavia, la figura tipica
di delegazione, è quella promittenti.
La delegazione può essere:
•Cumulativa , nella quale il debitore delegato diventa il debitore principale mentre, il delegante resta debitore sussidiario, cioè il creditore
potrà a lui rivolgersi solo se abbia inutilmente escusso il debitore delegato;
•Privativa , che è quella in cui il debitore originario è estromesso dal rapporto obbligatorio e resta unico debitore il delegato, fermo
restando l’originario rapporto obbligatorio;
•Novativa , nella quale non solo viene estromesso il debitore originario ma, si costituisce anche un nuovo rapporto tra delegato e creditore
delegatario.
Per quanto riguarda il regime delle eccezioni opponibili dal delegato al delegatario, il delegato può opporre al delegatario solo le eccezioni
relative al rapporto con lui. Viceversa, il delegato non può opporre al delegatario le eccezioni che avrebbe potuto opporre nei
confronti del delegante. Tale regola deriva dal fatto che solitamente il delegato è normalmente un debitore del delegante, e quindi non
può opporre al delegatario le eccezioni che avrebbe potuto opporre al delegante. Se invece le parti ritengono possibile sollevare queste
eccezioni, vuol dire che esse si sono riferite ai rapporti sottostanti. In tal caso, la delegazione si dice titolata per distinguerla da quella
tipica in cui tale eccepibilità non è ammessa, che si chiama delegazione pura o astratta.
L’ESPROMISSIONE
Mentre nella delegazione è il debitore che delega un terzo, affinché si assuma la sua obbligazione, nell’espromissione è un terzo detto
espromittente , che spontaneamente si rivolge al creditore e si obbliga nei suoi confronti assumendosi un debito altrui (ad
esempio: il genitore che si obbliga per un figlio). Mentre la delegazione è un negozio trilaterale, l’espromissione è chiaramente un negozio
bilaterale che ha luogo tra espromittente e creditore.
L’espromissione può essere :
•Cumulativa, nella quale l’espromittente e il debitore originario rispondono solidarmente per cui il creditore potrà rivolgersi
indifferentemente o contro l’espromittente o contro l’originario debitore;
•Privativa,nella quale è estromesso il debitore originario e resta unico debitore l’espromittente, fermo restando l’originario rapporto
obbligatorio;
•Novativa,nella quale non solo viene estromesso il debitore originario ma, si costituisce un nuovo rapporto tra l’espromittente ed il
creditore.
L’ACCOLLO
Mentre nell’espromissione il terzo espromittente si rivolge al creditore e si assume nei suoi confronti l’altrui obbligazione, nell’accollo il
terzo, detto accollante , si rivolge nei confronti del debitore, detto accollato ,assumendosi il di lui debito(ne gozio bilaterale tra
nuovo e vecchio debitore). Quest’accollo si chiama semplice o interno e produce effetti solo tra accollante e accollato. Per produrre
effetti nei confronti del creditore, che si chiama accollatario, è necessaria una manifestazione di volontà “ad hoc” dell’accollatario data con
un suo negozio unilaterale di adesione.
L’accollo può essere:
•Cumulativo,quando interviene l’adesione, ed in tal caso, il soggetto accollante e l’accollato rispondono solidalmente, e quindi il creditore
accollatario potrà rivolgersi indifferentemente nei confronti dell’uno o dell’altro (un esempio è dato dalla vendita di un immobile da parte
del venditore costruttore. Solitamente il venditore costruttore per realizzare la costruzione chiede una somma di denaro a mutuo ad una
banca, e quindi sorge sulla costruzione un diritto di ipoteca.Quando il bene immobile viene venduto, l’acquirente vorrà cancellare l’ipoteca
esistente, e allora potrà accollarsi il debito del venditore costruttore e pagare in tutto o in parte il prezzo dovuto da questo con un atto di
adesione della banca che è il creditore accollatario);
•Privativo, ed anche in tal caso, viene estromesso il debitore originario e resta unico debitore il soggetto accollante, fermo restando
l’originario rapporto obbligatorio;
•Novativo , quando non solo è estromesso il debitore originario ma, si costituisce un nuovo rapporto obbligatorio tra accollante e creditore
accollatario.
Ciò premesso,abbiamo distinto una delegazione, un’espromissione e un accollo privativi da una delegazione espromissione ed accollo
novativi. La distinzione è teoricamente esatta tuttavia, essa non è giuridicamente possibile alla luce e sulla base del dato positivo,
perché la legge afferma che ogni qual volta il vecchio debitore sia liberato ed al suo posto subentri un nuovo debitore, cadono,
salvo diverso accordo delle parti, le garanzie dell’obbligazione (come ad esempio: il pegno e l’ipoteca). Ciò significa che la legge
non ha considerato l’ingresso del nuovo debitore come mera vicenda successoria nel debito a titolo particolare per atto “inter vivos” ma,
come vicenda novativa, e cioè come costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio, mercé l’estinzione di un precedente rapporto
obbligatorio. Tanto ciò è vero che quando la legge disciplina la novazione che, come vedremo, è l’estinguersi di un rapporto obbligatorio,
mercé la costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio, la legge stessa dice che ad essa si applicano le norme in materia di delegazione,
espromissione ed accollo. Ciò vuol dire che la legge ha considerato come disciplina unitaria sia la novazione che la delegazione,
l’espromissione e l’accollo ogni qual volta venga liberato il vecchio debitore.
SUCCESSIONE MORTIS CAUSA
Come sappiamo quando muore un soggetto ad esso succedono gli eredi ed eventuali legatari.Poiché l’erede subentra in tutti i rapporti
giuridici attivi e passivi del defunto, egli subentra in tutti i debiti del defunto mentre, poiché il legatario, subentra in singoli e determinati
rapporti, giammai risponde dei debiti del “decuius”, a meno che essi non siano stati stabiliti a suo carico dal testatore come modus o onere
per lui.Se vi sono più eredi, i debiti del “decuius”, in applicazione del principio “nomina et debita ipso iure dividuntur”, si dividono
automaticamente al momento stesso dell’apertura della successione, sicché gli eredi subentrano nei debiti del defunto pro
quota(ognuno in proporzione alla sua quota). Tutto ciò a meno che non si tratti di obbligazioni indivisibili.
LE MODIFICAZIONI OGGETTIVE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Sono quelle che riguardano l’oggetto dell’obbligazione, cioè la prestazione. Tali modificazioni possono essere:
•Qualitative , se muta l’oggetto della prestazione (ad esempio: Tizio doveva a Caio un cavallo e l’ha fatto morire; a questo punto, dovrà
al suo creditore una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno);
•Quantitative ,quando la prestazione diminuisce (ad esempio: per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione) ovvero si
accresce (ad esempio: debito fruttifero).
In tema di modificazioni oggettive qualitative dell’obbligazione va considerato l’istituto del “commodum rappresentationis”, o vantaggio
di surrogazione . Tale istituto consiste in ciò: se il debitore è tenuto ad una prestazione che è divenuta impossibile per fatto di un
terzo, normalmente il terzo, sarebbe tenuto al risarcimento nei confronti del debitore, che poi dovrebbe corrispondere la somma
al creditore; invece, per questo istituto, il risarcimento è dovuto direttamente dal terzo, che ha reso impossibile la presta zione,
al creditore (ad esempio: se Tizio doveva a Caio il cavallo e Sempronio l’ha ucciso, sarà Sempronio che direttamente dovrà dare a Caio
il risarcimento del danno, proprio per vantaggio di surrogazione).
I MODI DI ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE
I modi di estinzione dell’obbligazione sono quei fatti che estinguono il rapporto obbligatorio.
Essi si distinguono in:
•Modi di estinzione “satisfattori ”, se comportano il soddisfacimento delle pretese del creditore e sono: l’adempimento, la datio in
solutum, la compensazione e la confusione;
•Modi di estinzione “non satisfattori”, che quindi non comportano il soddisfacimento delle pretese del creditore e che sono: la
remissione del debito, la novazione e la sopravvenuta impossibilità della prestazione per fatto non imputabile al debitore.
L’ADEMPIMENTO
Per adempimento si intende il fatto con cui il debitore effettua la prestazione. L'adempimento può essere effettuato dal debitore o un suo
rappresentante e deve essere effettuato nei confronti del creditore o di un di lui rappresentante, o di persona da lui delegata, si parla di
delegazione attiva; infine, nei confronti di un soggetto incaricato alla riscossione, detto “adiectus solutionis causa”. Sul debitore grava
un dovere di esatto adempimento, nel senso che egli deve adempiere la prestazione nella sua specifica ed esatta qualità e
quantità e nell’esatto tempo e luogo dell’adempimento. Esaminando il requisito dell’esattezza della qualità, se si tratta di
obbligazioni di “species”, il debitore dovrà adempiere quella prestazione specificamente determinata, se l’obbligazione è di “genus”,
il debitore dovrà prestare la cosa appartenente a quel “genus” individuata d’accordo con il creditore, di qualità non inferiore alla media.
Per l’esattezza della quantità della prestazione, il debitore sappiamo che non può adempiere per parti successive, egli quindi deve
adempiere alla prestazione per l’intero in una sola volta. Per quanto attiene l’esattezza del luogo di adempimento, esso è di solito, stabilito
nel titolo. Se il titolo nulla dice, il luogo di adempimento è quello che deriva dagli usi; se neanche dagli usi può evincersi quale
sia il luogo di adempimento, si applicano le seguenti regole:
•Se si tratta di obbligazione che ha ad oggetto la prestazione di dare cosa certa e determinata, il luogo di adempimento sarà quello
dove la cosa si trovava al tempo in cui è sorta l’obbligazione.
•Se si tratta di obbligazioni pecuniarie, e quindi che hanno ad oggetto la prestazione di una somma di denaro, devono essere adempiute
al domicilio del creditore, cosiddetti debiti portable.
•Ogni altro tipo di obbligazione va invece adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo di scadenza, cosiddetti debiti querables,
da richiedere.
Venendo all’esattezza del tempo dell’adempimento, esso è di solito stabilito nel titolo e prende il nome di termine di scadenza. Il termine
di adempimento è di solito stabilito nell’interesse del debitore e tale la legge lo presume. Conseguentemente il creditore no n
potrà pretendere l’adempimento prima della scadenza del termine. Eccezionalmente le parti possono prevedere un termine
nell’interesse del creditore; in tal caso, il creditore potrà ovviamente chiedere l’adempimento prima della scadenza del termine. Se il
termine è stabilito nell’interesse sia del debitore sia del creditore, né il debitore può adempiere prima della scadenza, né il
creditore può pretendere l’adempimento prima della scadenza. Se le parti non hanno stabilito alcun termine, si applica il principio
“quod sine die debetur statim debetur”, cioè ciò che è dovuto senza un termine è dovuto immediatamente(previa costituzione in
mora del debitore), per cui il creditore potrà in qualunque tempo chiedere l’adempimento.Abbiamo detto che normalmente il termine
si presume a favore del debitore, vi sono però delle ipotesi in cui il debitore decade dal beneficio del termine.
Esse sono:
•Insolvenza del debitore, per essa si intende uno squilibrio che si verifica all'interno del patrimonio del debitore,tanto che il passivo
supera di gran lunga l'attivo. In questo modo il creditore ha fondato motivo di ritenere che non troverà più beni nel patrimonio del debitore
su cui soddisfarsi. Tra l’altro se il debitore è un imprenditore, l’insolvenza può portare al fallimento e la situazione è ancora più delicata;
•Distruzione o diminuzione delle garanzie date, che si ha quando ad esempio: il debitore distrugge o danneggia un fondo concesso
ad ipoteca;
•Mancata prestazione delle garanzie promesse, che si ha quando il debitore aveva promesso di garantire il debito (ad esempio: con
un pegno o dando un bene in ipoteca) ed è venuto meno alla promessa.
In tutte queste ipotesi il debitore decade automaticamente dal beneficio del termine ed il creditore può subito esigere la prestazione.In
tema di esattezza cronologica della prestazione va fatto riferimento al termine essenziale. Il termine essenziale è quello che è di essenza
alla prestazione, nel senso che la prestazione deve essere necessariamente adempiuta entro quel termine (ad esempio: il sarto che è
tenuto a consegnare l’abito nuziale entro il giorno delle nozze). Decorso il termine essenziale quel quid che fosse eventualmente
prestato non sarebbe più giuridicamente prestazione, con la conseguenza che il creditore potrà legittimamente rifiutare
l’adempimento. La legge consente al creditore di accettare ugualmente l’adempimento tardivo. Circa la natura giuridica dell’adempimento
si discute se si tratta di un negozio giuridico, o di un atto giuridico in senso stretto, o di un mero fatto giuridico. Il quesito si risolve sullo
base del dato positivo poiché la legge afferma che è valido l’adempimento anche se eseguito da un incapace. Ciò significa che
la legge prescinde non solo dall’intenzionalità ma, dalla stessa volontarietà, per cui l’adempimento è un mero fatto giuridico.
L’ADEMPIMENTO DA PARTE DEL TERZO
Se la prestazione è infungibile (ad esempio: quel pittore si obbliga a dipingere un quadro) può essere adempiuta solo dal
debitore. Invece, se la prestazione è fungibile, può essere adempiuta da un qualsiasi terzo persino all’insaputa del debitore. Il
creditore non può rifiutare l’adempimento del terzo, perché sarebbe altrimenti in mora del creditore, detta anche mora credendi o
accipiendi, a meno che il debitore non si sia espressamente opposto all’adempimento del terzo. Ovviamente se il terzo adempie la
prestazione, avrà diritto di ripetere quanto ha prestato dal debitore, e se questo invece non gli dà quanto dovuto, il terzo potrà
esperire azione di arricchimento senza causa, a meno che non abbia agito per puro spirito di liberalità.Il terzo infatti, può
adempiere l’altrui prestazione per i più svariati motivi: per spirito di liberalità, (ad esempio: il padre che paga il debito del figlio) o perché il
terzo intende surrogarsi al creditore, (ipotesi di modificazione soggettiva attiva) o per qualsiasi altra causa (ad esempio: il fornitore di
un’impresa che rischia il fallimento per il timore di non recuperare più i suoi debiti, preferisce pagare i creditori che minacciano di far fallire
l’impresa).
L’IMPUTAZIONE DI PAGAMENTO
Se un soggetto ha più debiti della stessa specie nei confronti di uno stesso creditore, e non effettua un pagamento che non
comprende la totalità e generalità dei suoi debiti, deve essere stabilito a quali debiti il pagamento va riferito . La legge lascia
facoltà al debitore di specificare a quali debiti egli intendeva riferirsi con il pagamento. In mancanza, il pagamento va imputato al debito
scaduto. Tra più debiti tutti scaduti, al debito meno garantito. Tra più debiti ugualmente garantiti, al debito più oneroso per il debitore. Tra
più debiti ugualmente onerosi, al debito più antico. Se tutti questi criteri sono tuttavia insufficienti, l’imputazione va fatta proporzionalmente
tra i vari debiti.
LA MORA DEL CREDITORE (DETTA ANCHE MORA CREDENDI O ACCIPIENDI)
Per l’adempimento della prestazione può essere necessaria la cooperazione del creditore, che egli normalmente presta volentieri perché
è un onere per lui, cioè un comportamento da tenere nel suo interesse. Tuttavia talvolta il creditore può avere un interesse contrario a
ricevere una prestazione, o perché vuole dimostrare che il debitore è inadempiente e giungere alla risoluzione del contratto per
inadempimento, o perché vi è un contrasto tra debitore e creditore circa l’entità della prestazione, o anche semplicemente perché il
creditore vuole continuare a percepire interessi vantaggiosi. In tali ipotesi, si ha la mora del creditore, che è il rifiuto del creditore di
ricevere la prestazione senza motivo legittimo. Tuttavia, perché il creditore sia costituito in mora non è sufficiente il suo rifiuto ma è
necessario che il debitore effettui offerta della prestazione e deposito della prestazione stessa. L’offerta può essere solenne o formale,
ovvero secondo gli usi. L’offerta solenne o formale è quella compiuta dal pubblico ufficiale, cioè dal notaio o da un ufficiale
giudiziario. Essa può essere:
•Reale, che si ha quando il pubblico ufficiale offre la prestazione al domicilio del creditore redigendo atto di offerta. Naturalmente si deve
trattare di una prestazione di somme di denaro o di titoli di credito o di altre cose mobili;
•Per intimazione, che si ha se per la natura della prestazione non è possibile l’offerta reale (ad esempio: perché si tratta di una prestazione
di fare), cioè il pubblico ufficiale si reca al domicilio e intima al creditore di recarsi il giorno tot all’ora tot in un luogo tot per ricevere la
prestazione.Dopo l’offerta il debitore deve effettuare il deposito della prestazione in un luogo determinato. Effettuato anche il deposito, il
debitore è liberato dall’obbligazione ed il creditore si considera giuridicamente in mora.
La mora del creditore produce i seguenti effetti:
•Il debitore non è più tenuto a corrispondere gli interessi;
•Il creditore è tenuto a risarcire il danno subito dal debitore, ivi compreso lespese per la conservazione e la custodia della cosa depositata;
•Il caso fortuito o la forza maggiore che rendano impossibile la prestazione, verificatisi dopo la mora, liberano ugualmente il debitore
dall’obbligazione. Il rischio del fortuito grava a carico del creditore
Parte speciale 1 domanda a piacere della parte speciale accordi in vista del divorzio