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Hannah Bullen-Ryner, Bird, 2022 Roger Dautais: Kerpenhir - spiral for Maé (
Mind eye di Olga Ziemska Parco d’arte RespirArt 2015 phase II )
Una delle realtà che si pongono con Nata alla fine degli anni sessanta negli Stati Uniti d’America,
drammatica evidenza davanti ai nostri nota anche come Earth Works o Earth Art, affine per ideologia
occhi è la degradazione dell’ambiente all’arte povera, e in antitesi a quella cultura metropolitana
naturale, di cui diventiamo sempre più della Minimal Art e della Neo Pop Art, la Land Art è fatta di
coscienti. Il problema del rapporto con il installazioni effimere, interviene sul paesaggio, lo trasforma,
paesaggio e l’ambiente interessò, già negli lo manipola, per conferirgli un nuovo senso, ed è temporanea,
anni 60, un gruppo di artisti americani. si degrada con il passare del tempo. È una forma d’arte green
Essi erano influenzati dal concettualismo e sostenibile, che supera i confini tradizionali della pittura e
(che rifiutava l’opera come oggetto di
della scultura, per esaltare il rapporto tra uomo e natura.
scambio sul mercato e insisteva
sull’importanza del messaggio, il
significato da comunicare, tanto che, a
volte, l’opera si risolveva in segni, parole, o
progetti) e dal minimalismo, per la scelta
dei materiali elementari, allo stato
grezzo, e delle forme essenziali. Il
paesaggio dei deserti, le rocce, gli immensi
spazi delle pianure americane suggerirono
loro opere grandiose e suggestive. https://ww
w.youtube.c
om/watch?
v=IX8GHPX
I principali esponenti furono: Robert Smithson, Walter 1gR0
De Maria, Dennis Oppenheim, Michael Heizer, Robert Troublemak
Morris, Nancy Holt, Alan Sonfist, (Americani) Richard ers - The
Story of
Long, Jan Dibbets, Gunther Uecker e Hans Haake Land Art -
dall’Europa. In Italiano
Fare arte utilizzando il paesaggio non solo come soggetto ma come materia stessa dell’opera. È questa
l’essenza della land art. Nata come reazione di molti artisti alle atmosfere museali percepite come
asettiche, la land art porta l’arte al di là degli spazi espositivi tradizionali. Lo fa tuttavia in modo più radicale.
La land art consiste in “una forma integrata di scultura come paesaggio e di paesaggio come scultura in cui
il contesto con le sue mutevoli condizioni assume valore di soggetto principe nella formazione e nella
percezione dell’opera”. Il land-artist fa del paesaggio naturale ed urbano non solo il contesto dell’opera ma
l’opera stessa, realizzando su e attraverso di esso interventi a varia scala e invasività. Dalla scala
infinitesimale dell’impronta, della debole traccia lasciata dal passaggio dell’artista (si vedano i cicli di opere
“Walking a Line” e “Walking a Circle” di Richard Long), alla grande scala dell’intervento che trasforma,
anche se in maniera solo effimera, interi paesaggi, distese desertiche, scogliere, isole (si veda per esempio
l’opera di Christo & Jean Claude Javacheff “Wrapped Coast, one million square feet”, Little Bay, Australia,
1968).
Christo and Jeanne-Claude Wrapped Coast, One Million Square Feet, Little
Richard Long, A Line Made by Walking, 1967
Bay, Sydney, Australia, 1968-69 Photo- Harry Shunk
Il land-artista non si limita a collocare
opere e sculture nella natura, egli fa del
paesaggio naturale non solo il contesto
dell’opera ma l’opera stessa, utilizza lo
spazio e i materiali naturali come mezzi
fisici dell’opera,, apportando interventi che
in qualche modo ne modificano la
percezione, ne distorcono la naturalezza,
sottolineano come l’intervento umano
possa modificarne l’aspetto anche se,
sembrano dirci, la natura farà il suo corso
e passerà sopra ogni nostro tentativo di
modificarla.
Le opere di land art nascono, infatti, per Danae Stratou, Desert Breath; una delle più grandi opere di
Land Art al mondo, che copre una superficie di 100.000 m2,
durare nella natura il tempo che la natura
situata nella parte orientale del deserto del Sahara in Egitto, al
stessa permetterà loro di sopravvivere, confine con il Mar Rosso (1997). La sua costruzione consiste
fino a quando non spariranno ricomprese nell’utilizzo di 8000m3 di sabbia per creare dei volumi conici
nell’interminabile suo corso.La land art, si concavi e pieni che formano una doppia spirale extra-large.
può dire, costituisce la presa di coscienza Al centro dell’opera d’arte c’era un corpo d’acqua di 30 m di
da parte degli artisti della questione diametro. L’opera è soggetta all’erosione naturale e segna in
ambientale, diverso tempo prima che il tal modo il tempo che passa, fino a quando il deserto non
ritornerà alla sua forma naturale e piana. Quest’opera può
mondo si rendesse conto che era un tema
essere esperita sia come immagine visuale che come
da tenere in considerazione in ogni nostro esperienza fisica.
intervento e passo verso il progresso.
Tra gli esempi più conosciuti di Land Art nel nostro
Paese c’è sicuramente il Grande Cretto, realizzato a
partire dal 1985 dall’artista italiano Alberto Burri. Il
cretto sorge su quella che un tempo era la città
di Gibellina, distrutta per sempre dal terremoto del
Belice del 1968. Ottantamila metri quadrati di
cemento bianco ricoprono i detriti della cittadina,
compattati in modo da ricostruire quelli che, prima
della tragedia, erano i suoi vicoli e i suoi viali,, e oggi,
visivamente, ricordano le spaccature della terra,
tipiche dei cretti ambientali.
Altrettanto famosa in Italia, in tempi più
recenti, è l’installazione realizzata dal
celebre Christo sul Lago d’Iseo, la
famosissima “The Floating Piers”, ”, passerella
in polietilene ad alta densità che ha
collegato, dal 18 giugno al 3 luglio 2016, la
cittadina di Sulzano al Monte Isola. Visitata
da oltre 1,5 milioni di persone, l’opera di
Christo ha permesso letteralmente di
camminare sull’acqua, su una passerella
ricoperta di tessuto color oro in grado di
cambiare colore a seconda del suo stato, se
umido o asciutto, in ombra o al sole. La rete
di pontili è stata realizzata con circa
220.000 cubi di polietilene ad alta densità e
ricoperta da 100.000 metri quadrati di
tessuto. Il progetto definitivo ha realizzato
pontili larghi 16 metri, digradanti ai lati,
per una lunghezza complessiva di 3
chilometri. Il percorso proseguiva per 1,5
chilometri lungo le strade pedonali di
Sulzano e Monte Isola. Una volta chiusa la
visita al pubblico, tutte le componenti
dell’opera sono state smaltite e, ove
possibile, riciclate.
Altre opere di Christo e Jeanne-Claude
Valley Curtain in Colorado
Christo
Vladimirov
Yavachev e
Jeanne-Claude
Denat de
Guillebon
Altre opere di Christo e Jeanne-Claude
The Umbrellas, tra California e Giappone
https://amsacta.unibo.it/id/eprint/6405/1/Artype%20SEIDITA%2020
20.pdf Richard Long. Rievocare la memoria della natura di
Richard Long, South Bank Circle, Bristol City Art Gallery, 1991 Alessandra Seidita
Approccio ancora diverso è quello di Walter De Maria che nelle sue opere cerca in certo modo l’appoggio
della natura per produrre eventi straordinari.
Se Smithson sottolineava il contrasto dell’azione umana nello spazio naturale, se Long univa attraverso l’arte
i due termini, De Maria crea occasioni di collaborazione fra l’azione umana e le forze della natura con un
fine estetico ben preciso.
La sua opera più famosa è The lighting field per la quale l’artista cha conficcato nel terreno del remoto
deserto del Nuovo Messico 400 pali metallici appuntiti in un territorio ampio circa tre chilometri quadrati in
attesa dell’evento naturale che avrebbe dato origine all’opera. Sfruttando l’effetto para-fulmini dei pali
durante i temporali De Maria raccoglie e moltiplica la potenza dei fulmini e dà origine a uno spettacolo
grandioso di luce ed energia, così veloce ed effimero che solo in pochissimi fortunati vi possono assistere.
Agli altri, come a noi, non resta che guardare immagini e filmati.
Walter De
Maria, The
Lightning
Field, 1977,
New Mexico
Olafur Eliasson
Con le sue opere Olafur Eliasson indaga il ruolo dell’arte nella contemporaneità,
cercando di innescare dei cambiamenti sociali.
Proprio per la sua attenzione alle tematiche come la sostenibilità e al suo
impegno nel rendere tangibile e percepibile il cambiamento climatico, Vogue, in
occasione della sua mostra a Bilbao, ha definito Eliasson un “Artivist”;
Le sue opere superano anche i limiti fisici ed espositivi degli spazi
convenzionali come le gallerie e i musei, creando un continuum tra l’esterno e
l’interno e modificando, secondo le sue necessità artistiche, gli ambienti;
Little Sun è il suo progetto che ha preso vita nel 2012: si tratta di una lampada
portatile ad energia solare creata per dare la possibilità a più di un miliardo di
persone sul pianeta di usufruire di una luce pulita evitando il ricorso a lampade
alimentate con combustibili tossici;
Nel 2003 ha rappresentato la Danimarca alla Biennale di Venezia; https://antinomie.it/index.php/
Olafur Eliasson è impegnato anche in ambito accademico e si dedica a progetti 2021/07/30/life-ecologie-del-
sensibile-in-olafur-eliasson/
architettonici e per l’energia rinnovabile con finalità sociali.
Little Sun, 2012 Addis Ababa. Photo Michael Tsegay Olafur Eliasson stringe un accordo con IKEA per produrre piccoli ed economici oggetti a energia solare
Secondo Eliasson l’arte può essere uno
strumento concreto per sensibilizzare il
pubblico su tutto ciò che riguarda
l’ambiente, invitando ad ampliare il
nostro sguardo e a renderci conto di ciò
che sta avvenendo e a cui non prestiamo
attenzione.
Una delle sue frasi più emblematiche è Il rapporto quindi tra arte, natura e fenomeni atmosferici si
questa:” Una delle cose che l’arte può dimostra centrale per l’artista che ne fa un mantra e diventa
fare, e non è l’unica cosa, è che può dare centro pulsante della sua poetica. Maestoso, arrogante e anche
una sorta di “narrazione fisica” di delicato allo stesso momento è stato il progetto realizzato site
qualcosa che si conosce solo in teoria. specific per il Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca,
Penso che abbiamo una migliore Riverbed (2014-2015). Si tratta della ricostruzione di un
capacità di tradurre la nostra indagine paesaggio roccioso con torrenti ricchi d’acqua, massi e fango. Le
critica in azione una volta che abbiamo persone, in quell’occasione, sono state costrette a percorrere un
una relazione fisica con il mondo.” sentiero diventando esse stesse le protagoniste del lavoro. Tanti
Ed è proprio qui che entra in gioco potrebbero dire contrariati che questa non è arte, ma d’altronde
il ruolo del visitatore a cui è richiesta perché non dovrebbe esserlo?
una partecipazione attiva per essere
parte integrante dell’esperienza artistica.
L’artista danese ci invita a riflettere sul
nostro mondo di relazionarci con
l’ambiente e con il mondo attorno a noi.
https://www.thegreensideofpink.com/design/arte/2
021/percezioni-e-performance-di-olafur-eliasson/ Olafur Eliasson, Riverbed, 2014, veduta dell'installazione. Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk
Olafur Eliasson, The glacier melt series 1999/2019, 2019. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2019 Olafur
Eliasson. Photo: Michael Waldrep / Studio Olafur Eliasson
“The glacier melt” series è una serie fotografica durata due decenni dal 1999 al 2019. L’artista si è immerso
nella fotografia di un paesaggio islandese, come prova inconfutabile dello scioglimento dei
ghiacciai avvenuto negli ultimi 20 anni. Si è posizionato sulle stesse coordinate e il risultato è spaventoso,
una differenza abissale tra allora e adesso. Le foto sono un “apri gli occhi” in quanto rendono semplicemente
visibili e vivide le conseguenze della azioni umane sull’ambiente.
‹‹Ciò che accade nell’Artico, non rimane nell’Artico.
Questo è il motivo per cui Ice Watch sta arrivando a
Londra››, così a inizio dicembre Olafur
Eliasson annunciava l’approdo delle sue installazioni
nella capitale inglese. L’obiettivo è sensibilizzare
l’opinione pubblica a proposito del cambiamento
climatico e delle sue conseguenze sullo scioglimento
dei ghiacci.. L’artista ha così deciso di disporre diversi
blocchi di ghiaccio di dimensioni considerevoli,
precedentemente prelevati dal fiordo Nuup
Ice Watch, di Olafur Eliasson, davanti alla Tate Modern, Londra
Kangerlua in Groenlandia, in due punti della città. I
blocchi sono stati depositati e lasciati a subire gli
effetti del clima londinese in modo che i passanti https://www.raicultura.it/arte/articoli/2020/04/Olafur-Eliasson-
potessero constatarli personalmente, ‹‹La speranza 0b694002-1a8d-46ec-87fe-31239b437e4a.html
https://olafureliasson.net/artwork/green-river-1998
The green river series, 1998, The Menil Collection, Houston, 2004 – 1998, Photo: Oren Slor
Life, Fondazione Beyeler, Basilea 2021
Eliasson allaga le sale con una decina di centimetri
d’acqua, che diventano novanta davanti alla facciata.
L’acqua è verde grazie alla uranina, un colorante non
tossico utilizzato per studiare flussi e correnti marine, e
al quale Eliasson è affezionato sin da Green River (1998--
2001). Eliasson invita il pubblico a circolare
fluidamente nello spazio alla stessa stregua dell’acqua.
Sul pelo dell’acqua pullula un mondo vegetale : ninfee nane (Nymphaea tetragona, Nymphaea ‘Pigmaea
Rubra’, Nympaea ‘Ellisiana’), erba pesce (Salvinia natans) e altre felci acquatiche (Azolla filiculoides), piante
galleggianti antialghe (Phyllanthus fluitans), lattuga acquatica (Pistia stratiotes), trapa (Trapa natans),
lenticchia d’acqua (Lemnar minor), morso di rana (Hydrocharis morsus-ranae), quadrifoglio acquatico
(Marsilea quadrifolia) e altre piante galleggianti (Limnobium laevigatum).
https://www.youtube.com/watch?v=pyKGopHvjyI&t=148s Olafur Eliasson on “Life” 2021 at the Fondation Beyeler
Olafur Eliasson presenta la mostra “Life” alla Fondation Beyeler.
"Con Life, lavoro attivamente per creare uno spazio di convivenza tra coloro che sono coinvolti e interessati
dalla mostra: l'istituzione artistica, l'opera d'arte, i visitatori, altri esseri che partecipano, gli alberi e le altre
piante del parco, il paesaggio urbano che circonda il museo e oltre. Attraverso l'esplorazione collettiva del
mondo che condividiamo, possiamo, spero, renderlo vivibile per tutte le specie.”
L’artista spagnolo Silvestre Santiago, conosciuto come Pejac, utilizza varie tecniche e materiali diversi ma
tutte le sue opere, sia indoor che outdoor, evocano la stessa visione lirica ed onirica del mondo: uomini,
arte, animali, natura, città e cielo, siamo una sola cosa. Il dipinto, quadro e murales, intitolato “Mi única
bandera (My Only Flag)” è la sintesi di questo pensiero: l’unica bandiera che Pejac vede, in realtà, è un
intreccio di rami e foglie che tende all’infinito. Se la sua street art ha già convinto numerosi discepoli,
Pejac lavora anche su tela e altri supporti, dalla creazione di piccole stampe ai grandi murales all'aperto.
L’artista e multidisciplinare designer viennese Alper Dostal è diventato
famoso grazie alla realizzazione della serie “Hot Art Exhibition”, un insieme
di rappresentazioni tridimensionali atrocemente realistiche, in cui i grandi
capolavori dell’arte sono colti nell’atto di sciogliersi. La domanda cui l’artista
ha cercato di dare risposta in queste opere d’arte è stata: “Qual’è l’incubo di
tutti i galleristi? Cosa potrebbe succedere ai quadri in esposizione in una
giornata torrida, senza aria condizionata?”. Il tema affrontato vuole fare
riflettere gli spettatori sul riscaldamento globale in atto e promuovere una
presa di coscienza sulla questione climatica puntata sulla forte necessità di
proteggere il nostro patrimonio ambientale e culturale.
Arte Povera
Alla fine degli anni Sessanta si sviluppa in Italia l’Arte Povera, un movimento artistico di stampo
sostanzialmente concettuale, che puntò alla riconquista del rapporto uomo-natura e al recupero del gesto
artistico, in aperta polemica con le ricerche patinate e (apparentemente) disimpegnate della Pop Art,
contrapponendosi all’imperante cultura dei consumi e alla mercificazione dell’artista e della sua opera. La
scelta del nome si legò alla decisione di utilizzare i materiali “umili”, quindi poveri perché privi di valore
intrinseco, come carta, stoffa, paglia, terra, legno, frammenti organici, vegetali e minerali, prelevati dal
quotidiano per ricavarne “energie primordiali”. Nel corso degli anni Settanta, il concetto di Arte Povera si è
esteso fino a includere nella nozione di “povero” anche l’idea di “elementare”; in base a questa nuova
lettura, molti artisti hanno fatto entrare nelle proprie creazioni elementi tecnologici essenziali e primari,
come le resistenze elettriche incandescenti, creando estrosi giochi di luci e neon.
Luciano Fabro, L’Italia rovesciata (1968;
Pino Pascali, Trappola (1968) Jannis Kounellis, Senza titolo (2005; installazione; Napoli, MADRE) ferro e carta geografica, 127 x 75 x 4 cm;
Collezione privata)
Mario Merz. Igloos. Installazione al Pirelli Hangar-Bicocca in occasione di una esposizione, Milano 2018. Accanto, Igloo nei pressi della Fontana del Cervo, Venaria Reale,
Torino 2018
Mario Merz (1925-2003) è diventato famoso soprattutto per i suoi “igloo”, sculture-installazioni che
diventano metafore della provvisorietà e della precarietà dell’essere umano. Il primo igloo di Merz è del
1967. Da allora ne ha fatti tanti, aperti o chiusi, trasparenti oppure opachi, realizzati con le materie più
povere: naturali, come la tela di juta, il catrame, l’argilla, la pietra, il legno; industriali, come il vetro, il
metallo, la gomma-piuma, i tubi al neon. Al loro interno ha raccolto, soprattutto negli anni delle rivolte
studentesche, frasi scritte col neon, pamphlet, princìpi filosofici, poesie. Nell’immaginario dell’artista
convivono nell’igloo il contemporaneo e l’arcaico, in una circolarità dove il tempo è sospeso. Definito da
Merz con un’ampia varietà di termini – tra cui capanna, cupola, tenda, ventre, cranio, terra – l’igloo
materializza un’architettura primordiale in dialogo con la complessità del contesto sociale e industriale
della seconda metà del Novecento.
La chiesa di San Lorenzo si trova nel
borgo di Porto Rotondo. Realizzata e
ideata dagli scultori Andrea Cascella e
Mario Ceroli, vi si accede attraverso
una solenne gradinata. La croce
megalitica, situata all’ingresso, e
l’altare, sono opere realizzate
interamente in granito. L’interno della
chiesa ha la forma di una carena di
nave rovesciata con migliaia di figure,
sagomate in legno di pino di Russia.
Sono raffigurati particolari come
l’albero della vita, l’ultima cena, la Mario Ceroli, chiesa di San Lorenzo, Porto Rotondo, part. Fuga in Egitto. Sotto, veduta dell'interno.