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RUBRICA: TEATRO
di Enrico Regattin
“Di donne ne ho fin troppe e per il mio “Lasciami e fammi sedere, parliamone
lavoro sono sempre ovunque!” da uomini.” Satana lo lasciò; Alfredo
riprese il bastone, con cui si aiutò ad dal quale estrasse un mazzo di carte.
alzarsi, e si rimise a sedere sulla “Ecco, usa queste.”
poltrona. “Quindi tu mi chiedi solo delle
“Cosa sono?”
fiabe?”
“I tarocchi: le mie carte da briscola.” Li
“Esatto.”
mescolò e dispose le carte lungo tutto il
“Quante?” tavolino. “Prendine una e raccontami
una fiaba.”
“Ventuno.”
“No, sono troppe! È irragionevole.”
“Niente è mai troppo per rivedere chi si
ama, ma forse tu non l’ami più…” I. 10, La ruota della fortuna
“Non permetterti, canaglia!”
Dietro a un bosco, all’ingresso di un
“Allora mi racconterai le storie?”
grande viale di querce, stava una
“Sì, ma a una sola condizione: alla fine piccola casetta, povera, completamente
della ventunesima fiaba me la dovrai spoglia, impoverita dai continui sibili e
far vedere.” spifferi del vento che entravano
rumorosamente dalle fessure delle
“Perbacco, se sei incosciente! Contratti
finestre rotte e dai piccoli buchi dei
con il Diavolo… è innegabile che ci
muri. Qui viveva una giovane donna,
vuole coraggio!”
alta e magra, con una testa resa ancor
“Non perdiamo tempo in chiacchere, ci più grande dalla sua capigliatura
stai o no?” voluminosa e nera. Passava il suo
tempo a fare i lavori domestici e di
“Va bene, sarà fatto.”
agricoltura, così da vendere il raccolto
“Lo giuri?” alla fiera del paese e, coi soldi ricavati,
poter mettere sotto i denti qualcosa di
“Satana è sempre di parola.” Si inchinò
diverso rispetto alle solite pannocchie,
e aggiunse: “Io sono un signore. Però,
pomodori e altri ortaggi che tanto
voglio che tu faccia le fiabe su misura
disgustano i monelli (e anche alcuni
per me.”
adulti dal palato carnivoro e un po’
“Esistono i sarti, va’ da loro.” raffinato). Spesso, lavando i panni,
cucinando o spazzando a terra, si
“Non fare lo spiritoso! Voglio che utilizzi fermava a guardare le fitte chiome degli
la tua fantasia da vecchio per creare alberi e a porgere l’orecchio al beato
fiabe sul mio mondo.” canto degli uccelli. Estasiata da tanta
“Io non so niente né su di te e né sul tuo delicatezza e armonia esclamava: “Oh,
mondo.” vorrei avere un figlio bravo e bello
quanto un usignolo!”, ma la povera
Il Diavolo guardò Alfredo, alzò un donna era sola e sapeva che forse quel
artiglio e cominciò a grattarsi il collo, giorno non sarebbe mai giunto.
prima verso la scapola e poi verso
l’attaccatura dell’orecchio. Arrivato lì, si Arrivarono le piogge: le querce, gli
bagnò il dito e se lo mise nel timpano, abeti e i castagni si fecero splendidi,
sopportavano il peso dell’acqua come se guerre e carestie, aumentò per la
fossero dei giganti incaricati da Dio di piccola famiglia, tanto che la madre fu
sostenere il mondo. Intanto, con l’erba costretta a lavorare il doppio e fare la
umida e il petricore diffuso, con i fiori sarta.
che chinavano il loro capo greve e
“Mamma,” disse il figlio, piegandosi su
stanco, gli uccelli intonarono un nuovo
di lei e baciandole le mani “un giorno
canto: baritoni e contralti da una parte,
diventerò re e non dovrai più lavorare
tenori e soprani da un’altra; l’eco
per sfamarci.”
amalgamata in un unico spartito
vivente camminava a fianco delle foglie “Cosa dici, bambino mio?”
portate via dal vento. In questo quadro,
“Lasciami andare in città, lì potrò
colmo di silenzio e di musica naturale,
entrare a corte e conoscere il re.”
la donna, in preda alla disperazione, si
mise in ginocchio e chiese a Dio, o a “No, tesoro, rimani qui, ci penso io a te.”
qualche animale o divinità del bosco, di
“Perché, mamma?”
mandarle un figliolo. La bontà divina
supera ogni cosa: nove mesi dopo la “Girati, figliolo.” Si girò, la donna gli
donna fu svegliata dal pianto di un alzò la camicia, prese il filo rosso e lo
bambino. La giovane si precipitò fuori tirò. Scucita, la pelle diventò una tenda
di casa e si mise a cercare quella piccola quasi trasparente. La madre la sollevò,
creatura. Fece alcuni passi verso una mise alcune dita nella grotta del
quercia isolata, nata in mezzo agli polmone e da questo portò fuori
abeti, e vide un neonato in una cesta. l’usignolo, che, appena vide la donna,
Lo prese in braccio, lo cullò e lo calmò cantò. “Ecco, vedi? Tu sei il mio
dicendo: “Oh, piccolo mio, non piangere uccellino.”
più, ci sono qui io. Sei così bello, sei la
“Non capisco.”
mia benedizione. No, non piangere più.”
Dopo averlo tranquillizzato, però, la “Tesoro, Dio ha avuto pietà di me e mi
donna sentì un lieve fischio, come un ha dato un figlio buono e bello come un
cinguettare sottovoce, provenire dal usignolo. Pensavo che non potesse
bimbo. Stupita, portò l’orecchio prima al esaudire la mia preghiera, ma mi
braccio, poi al petto, alla pancia e alla sbagliavo. Sei stato e sei il mio dono più
gamba. “No, qui non c’è niente!” Allora grande: quante volte ho potuto tenerti
lo girò e vide che, intorno al polmone, tra le braccia e sentire il tuo canto.
c’era una lunga cucitura con un filo Perché vuoi andartene?”
rosso. Picchiettò sulla schiena e sentì
nuovamente il cinguettio; provò a “Voglio aiutarti, mamma, cucire non
sollevare un pochino un lembo di pelle basta…”
scucito, ci vide dentro e scorse un becco. “Devo occuparmi io di te, non il
“Dio ha esaudito le mie preghiere: ho un contrario.”
figlio bravo e bello quanto un usignolo!
“Sarebbe tutto più facile se diventassi
Passarono gli anni, la donna re, potremmo avere una bella vita.”
raggiunse la primavera della vecchiaia, Prese le mani della donna e in lacrime
il bimbo era ormai un giovanotto di disse: “Basta mamma, hai cucito
diciotto anni; la povertà, segnata da abbastanza.”
“No, non ancora.” Rimise l’usignolo nel Il ragazzo si fermò e, in collera, tirò il
polmone e lo ricucì. filo rosso e strappò la pelle che chiudeva
il polmone, prese l’usignolo dal collo e lo
Mesi dopo dalla città si sparsero voci
lanciò. “Tu porti solo guai! Non servi a
di subbuglio: il sovrano era morto e non
niente, nessuno vuole sentire il tuo
aveva lasciato eredi; i contadini,
canto, è inutile! Non provare più a
oppressi dalla fatica e dall’assenza di
venirmi vicino, io sarò il re!” e così
viveri, misero a fuoco e fiamme il regno
dicendo, ancora sanguinante, corse via.
e protestarono contro la regina perché
volevano eleggere loro un nuovo Raggiunto il castello, il giovane spinse
regnante, uno nato nella miseria e via tutti gli avversari: alcuni li buttò
cresciuto nella fatica a fianco della dal balcone, altri li chiuse in una
gente del popolo, un uomo coraggioso e stanza, altri ancora furono colpiti al
consapevole dei bisogni dei soggiogati e ginocchio e non poterono più rialzarsi
degli umili. I nobili scapparono dalle perché s’erano rotti i menischi. La folla,
mura, i mercanti partirono con le loro in preda al delirio e al cieco bisogno di
navi per non cadere vittima della rabbia giustizia e ordine, incitò i candidati a
e della violenza dei contadini e degli presentarsi, ma rispose solo uno: il
artigiani. Alcune donne, memori del ragazzo col polmone scoperto. “Amici,
giogo consueto che porta ogni compagni di miseria, ho sofferto
incontrollata protesta e devastazione, insieme a voi: per anni abbiamo dovuto
scapparono verso il bosco: Dio le piegarci alle ingiustizie del potente, ci
avrebbe protette dai briganti e dai lupi. hanno dato bastonate per farci piegare
Tutti gli uomini, giovani e adulti, la testa e spezzarci la schiena, abbiamo
persino i bambini, andavano in massa dovuto dare da mangiare ai nostri figli
verso il castello per declamare un solo patate ammuffite, cadute nella
discorso e farsi eleggere dal popolo. polvere, e bacche marce del bosco, ma
Uno di questi corse verso la meta ora basta! È finita l’epoca dei supplizi,
sognata, passando di fronte alla casa si è concluso il lungo periodo dove la
della povera famiglia. Vedendo il protagonista l’ha fatta la morte! Sono
giovane correre, il ragazzo dal polmone qui, al cospetto di tutti, mi inchino a te,
con l’usignolo lo seguì e gli chiese: popolo! Sono stato ferito, ancora
“Perdio, perché tanta fretta?” sanguino, ma mi sono trascinato fino a
qui, stringendo i denti e confortando il
“Ma come, non sai che stanno cercando
mio cuore dicendogli che noi siamo il
un nuovo re?”
domani, siamo l’unione di tutti quelli
“Chi?” che sono morti per la disgrazia e
l’incomprensione di un sovrano viziato e
“I contadini, il popolo!”
capriccioso! Io sono il vostro nuovo re e,
“Aspettami, vengo anche io!” insieme, l’avremo vinta sui nostri
predecessori!”
“Lascia stare, non sprecare tempo! Chi
vuoi che elegga uno che cinguetta Fu così che il popolo, spinto dalla
sempre? Fermati, dammi ascolto: il tuo speranza e dall’ammirazione, elesse il
usignolo sta pigolando, non ce la fa a ragazzo col polmone scoperto nuovo re.
reggere la fatica.” Accelerò e se ne andò. Ben presto, però, si rese conto che il
nuovo monarca, all’apparenza savio e
giusto, era in realtà un dittatore
Dopo qualche giorno, giaceva già a
spietato: la gente, piegata dalla fame e
terra qualche tronco, che ancora
agonizzante dalla sete, divenne schiava
ansimava, e i loro nervi, bramosi di
di ogni suo ordine, anche il più futile;
vita, facevano saltare le foglie. Una
per un decreto deciso in preda
quercia secolare, situata all’inizio del
all’ubriachezza fu vietato di mettere al
sentiero – vicino a quella casetta ove è
mondo più di un bambino per famiglia e
iniziato il racconto –, tossiva, si rigirava
ogni donna della città, di ogni età e
sul terreno e malediceva il re: “Qualcosa
stato sociale, doveva passare una notte
del passato ritorna, attento, uomo
con lui e soddisfare tutti i suoi desideri.
lontano, il cui cuore condivide le nostre
L’unico sollievo che poteva avere il radici. Tu sii maledetto: hai ucciso i tuoi
popolo, prendersi una pausa dal fratelli e hai tramortito chi ti dava la
continuo giogo di potere e dalla voce.” E si spense.
sofferenza, era il bosco con il canto dei
La maledizione, violenta come la
suoi uccelli: una musica divina, un
bufera in inverno, bussò alla porta del
canto gregoriano che chiamava a sé gli
castello.
uomini, e chiedeva loro di togliersi i
sandali e rimanere a piedi nudi, spogli “Serva, va’ ad aprire!” ma nessuno
delle loro vesti umane di dolore, di vizi e rispose. Dal silenzio profondo e
di pensieri. C’era solo la natura, un dall’atmosfera cupa, dove l’oscurità
disegno di Dio contemplato per dare stiracchiava il suo corpo oltre la
pace e far ritrovare chi si è perso nelle comprensione umana, si sentì un
perdizioni e nelle incomprensioni. cinguettio. Il re, spaventato,
L’animo dei fedeli e degli atei poteva riconoscendo il suono, si toccò il
essere elevato sopra il cielo: tutto era polmone aperto. L’eco di alcuni passi si
superfluo di fronte alla bellezza e sentiva provenire dalle scale. Una
all’armonia dell’universo. Ma il re, grossa ombra, grande quanto una torre,
accortosi della gioia e della tranquillità si avvicinava all’uomo maledetto.
dei fedeli, diede ordine di abbattere gli Chiuse gli occhi. Il cinguettio si fece più
alberi e uccidere gli uccelli. forte e vicino. Tutto cadde nel silenzio.
Il re aprì gli occhi e vide l’usignolo che
nacque nel suo polmone.
“Perché sei qui?”
“Hai ucciso tua madre e nemmeno sai
che vita ha fatto, ti sei dimenticato di
lei. Hai voluto la gloria, mi hai ferito:
hai sradicato la parte più bella di te.
Hai voluto assumerti il peso di questa
corona, promettendo al tuo popolo
benessere e pace, e invece hai causato
solo stenti, morte e dolore. Hai
assassinato chi ha risposto alle
preghiere di una donna disperata,
coloro che ti hanno dato le loro radici. senza sapere quale,
Guardati: eri figlio della natura e
che il desiderio da sempre
adesso sei un uomo. Da quanti anni
tace il tuo polmone?” preparò alle notti insonni
“Non ho bisogno di te! Sono io il re!” dando nome di bellezza alle cose
“Il tuo polmone sanguina e non perché non perissero mai.
smetterà. Gli anziani ti hanno
maledetto: il destino è scritto.”
L’usignolo gigante si alzò in volo e
ghermì l’uomo. Lo portò nel bosco, ai Inizia con questi versi Scendevamo giù
piedi dell’unica quercia ancora in vita, e per la collina, l’ultima raccolta di poesie
lo lasciò cadere dall’alto: sbatté a terra, portata a termine da Gabriella Valera
grondante di sangue; uno stormo di Gruber (1947-2021), nota intellettuale e
uccelli puntò il suo polmone scoperto, studiosa, nonché promotrice culturale e
ad uno ad uno beccarono e strapparono poetessa di grande rilievo nella scena
quell’organo ormai putrido e privo di letteraria triestina e regionale
alcun valore. tristemente scomparsa all’inizio di
quest’anno. Edita da Battello
Ecco che, come una ruota che gira, si
Stampatore con prefazione e commento
ritorna al punto di partenza: alle radici
conclusivo a cura di Claudia Azzola ed
di una quercia giace l’uomo senza un
Enzo Santese, e corredata dalle
polmone, la stessa dove fu trovato da
incisioni di Ottavio Gruber, sposo
bambino.
dell’autrice che negli ultimi vent’anni è
La situazione è capovolta. stato per lei un importante compagno di
vita e esperienze artistiche, quest’opera
costituisce il testamento letterario di
- Armando Malatesta un’esistenza vissuta all’insegna della
dedizione all’Altro in ogni sua forma, un
viaggio che è dialogo con la
trascendenza incarnata nella concreta
varietà del quotidiano e ricerca di un
RUBRICA: PAROLE IN DIALOGO
comune principio di umanità.
di Mark Veznaver
I.
Scendevamo giù per la collina:
trascendenza e creatività nella
poesia di Gabriella Valera Gruber
Il viaggio inizia dall’Amore. Quand’è
Scendevamo giu per la collina. ancora troppo presto per la razionalità
Gabriella Valera Gruber. Trieste del pensiero che si fa parola, è l’Amore –
Battello Stampatore, 2019 pp. 221 mistero “troppo grande … /per
impararare a piangere” (18) – che
istintivamente coglie il respiro
Lasciare che si realizzi il sogno, dell’autrice (29) e la fa trasalire,
spingendola alla ricerca di “altri la musica’’, 182). La poesia viene
mondi,/altre chimere” (29). L’amore per dunque ad assumere in quest’opera la
l’Altro, colto nella reale concretezzae funzione di strumentodi una ricerca di
materialità degli “altri”, ferisce l’unità ciò che Valera Gruber definisce in un
del soggetto, che si frantuma e passo “l’anima del mondo” (99),
moltiplica allargandosi fino a diventando medium di un incontro
universalizzarsi e comprendere il quasi mistico con una trascendenza
lettore, nuovo “compagn[o] della fatta di terra e materia, e
mestizia e dell’amore” (56) invitato a rappresentando con grande efficacia e
seguire l’autrice nel suo cammino visionaria potenza d’immagini il
(“Amico/dammi la mano”, 21; “Ho tentativo dell’autrice di “imparare ad
cercato il tuo volto” 22; ‘’Ricordati di essere/come la riva che accoglie …
me/quando cadono le stelle’’, 59). Pur imparare ad essere come il cielo” (106),
non disdegnando l’io e di “lasciarmi offrire/cosi come sono
l’autoriflessione/narrazione in prima ora/ferita/con gli occhi spalancati/e il
persona, elemento che emerge in alcuni volto tragico/alle vicendevoli saggezze
dei componimenti piu belli del libro (cfr. della terra/sapendo che
‘’Quando la tenebra entrò nella mia qualcuno/farebbe dei miei pensieri/carta
mente’’, 28), la poesia di Valera Gruber da macero’’ (30). La poetica di Valera
privilegia l’inclusività del tu, del voi, Gruber, da sempre orientata verso uno
del noi, e ‘’Scendevamo giù per la spirito di universalita dialogica
collina’’, seconda lirica del poemario che tematizzato assai bene dal titolo del
da il titolo all’opera, inaugura un libro precedente a questo, Le molte case
rapporto con Autrui (termine francese dei miei ritorni, si caratterizza cosi per
che traduce l'”altro” nella propria il costante rapporto con la trascendenza
dimensione di soggetto, spesso usato da che si rispecchia nell’incommensurabile
Emmanuel Lévinas, pensatore di cui e fragile bellezza della realta di ogni
Valera Gruber è stata un’importante giorno, il riconoscimento di un
interprete e studiosa) che giunge alla principio dell’essere che – Dio o non Dio
totale dedizione e immersione- – si disvela quotidianamente all’occhio
abitazione in esso (‘’Ho costruito la mia del poeta, e tuttavia esige da lui una
dimora in te’’, 57). La ricerca di un costante ricerca e introspezione.
dialogo cosi fitto con l’Altro incarnato
nell’umano apre dunque la strada a un
confronto piu diretto con la II.
trascendenza, e in particolare a un
dialogo con l’idea di Dio che dal punto di
vista di Valera Gruber, autrice Ma ogni ricerca necessita di un punto di
dichiaratamente agnostica, è costellato partenza, una base solida su cui
di momenti di difficolta e rinuncia (‘’Tu dispiegare le proprie ali. Il dialogo con il
solo lo sai/che ho rinunciato a Dio/per divino e il trascendentale emerge
queste bellezze,/per cancellare il dunque in Scendevamo giu per la
dolore’’, 53) alternati a momenti di collina anche per quanto concerne la
riconoscimento che sfociano nella creatività del fare poesia, il cui lavoro
preghiera laica (‘’Signore/concedi a me costituisce un rimodellamento, il
demiurgico plasmare di una materia dialogico tra ‘’l’azzurro cielo ... punto
informe che, proprio come nel mito prospettico infinito’’ (39) che rimanda
platonico della creazione e all’idea di Dio come principio
nell’interpretazione che ne da ordinatore, sommo simbolo della
Michelangelo in uno dei suoi piu celebri potenza creativa del fare poesia, e la
sonetti (Non ha l’ottimo artista alcun fragile bellezza della ‘’terra degli
concetto), resiste all’operato del poeta- uomini’’ (209). E’ proprio sulle ‘’rotaie
scultore. “È un canto il mio/che trova celesti’’ di questa meravigliosa
dura la resistenza del linguaggio” (28), dicotomia tra cielo e terra, umano e
scrive Valera Gruber, i cui versi divino che – a dire dell’autrice –
rimandano a quell’idea vichiana del dobbiamo costruire un cammino tutti
fare come attivo “intessere la trama” insieme.
(105) del reale, sforzo di mano e
intelletto che ‘’trasfigura/il tempo delle
nostre dimore’’ (28). E’ dunque assai [1] Si vedano a tale proposito anche gli straordinari
versi alle pagine 96-97, e specialmente ''Sono nata
significativo che nel 2016 il tema del dalla pioggia/quando feconda il grano/e moriro/come
Concorso Internazionale di Poesia e la terra quando piange./Nel mio seno ho
Teatro ‘’Castello di Duino’’, organizzato portato/ricchi papaveri/ed ho ancora/il profumo delle
spighe//Lasciatemi un po' di caldo sole/e saro
annualmente da Valera Gruber fino alla bella/come i fiori d'oro/che Saffo cantava''.
sua scomparsa, sia stato ‘’Il gesto e la
[2] Cfr. ''Irretita dalla parola/ho forse peccato
genesi’’, poiche l’associazione tra Dio e invano/aspirando ad emulare/l'onnipotenza del
la creativita del fare arte, del fare verbo/mentre tutto intorno/era solo fragile segno di
poesia, si ripete piu volte in terra'' (89).