Sei sulla pagina 1di 5

Il capitolo VIII de I promessi sposi si sviluppa su alcune grandi

sequenze narrative, che si riuniscono poi in una sequenza


centrale: il tentativo di Renzo e Lucia di sposarsi di nascosto e
di sorpresa; il tentato rapimento di Lucia da parte dei bravi; e
il tardivo intervento di Menico, mandato da Fra Cristoforo, per
avvertire i giovani dell’arrivo dei bravi. Questi tre eventi sono
destinati al fallimento. In questo capitolo viene presentata quella
che Manzoni stesso definisce “la notte degl’imbrogli e de’
sotterfugi”, in cui vengono concentrati tutti e tre questi fattori.
Nella prima sequenza i due testimoni Tonio, debitore di Don
Abbondio, e Gervasio giungono a casa del curato. Mentre Agnese
distrae Perpetua, Renzo e Lucia si introducono di nascosto nella
dimora di Don Abbondio, cercando di obbligarlo a sposarli,
pronunciando di fronte a lui la fatidica frase. Il curato tuttavia,
spegnendo le candele e iniziando a gridare, mette in fuga i due
sposi. Perpetua viene allertata dai rintocchi della campana suonata
dal sagrestano. Manzoni mette qui in luce l’ingiustizia di cui
sono vittime Renzo e Lucia; il capovolgimento dei ruoli tra
oppressori ed oppressi - dice ironicamente il narratore in una
breve pausa riflessiva - è un costume tipico del “secolo decimo
settimo”:
Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto
di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha
tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era
l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato,
mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima;
eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il
mondo... voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo 1.
Il suono delle campane battute a martello dal sagrestano Ambrogio
spostano la narrazione sul tentativo di rapimento di Lucia da
parte dei bravi di don Rodrigo 2, e degli spostamenti dei protagonisti
principali. La missione del “signor Griso” e della sua “truppa” 3 si
conclude però in maniera quasi comica: gli sgherri del Griso non
trovano nessuno, se non il povero Menico, un ragazzino inviato da
Agnese e Lucia da fra Cristoforo (cui un servo di don Rodrigo aveva
svelato i piani del nobilotto spagnolo), per avvisarle del grave
pericolo. I “bravi”, spaventati dal suono delle campane e dal timore
d’essere scoperti, lasciano fuggire Menico e vengono trattenuti a
stento dal Griso, prima che fuggano terrorizzati.
Il narratore sposta però un’altra volta il suo occhio, concentrandosi
su quel che avviene a Perpetua e Agnese; la madre di Lucia, che ha
distratto la serva di don Abbondio per facilitare il matrimonio
segreto, incrocia Renzo e la figlia (con Tonio e Gervaso al seguito).
Menico, che sopraggiunge di corsa, li indirizza da fra Cristoforo,
che saprà provvedere al loro destino; nel frattempo, gli abitanti del
paese si radunano sotto casa di don Abbondio e poi marciano su
casa di Agnese.

L’arrivo dei tre personaggi rincuora fra Cristoforo, che fa entrare


due donne nel convento nonostante gli scrupoli dello zelante fra
Fazio, preoccupato dall’applicazione letterale delle regole del
convento 4. Fra Cristoforo convince innanzitutto Renzo e Lucia a
sopportare la situazione:
È una prova, figliuoli: sopportatela con pazienza, con fiducia, senza
odio, e siate sicuri che verrà un tempo in cui vi troverete contenti di
ciò che ora accade 5.
e li convince poi a lasciare il paese: Lucia andrà in un
convento poco distante dal paese, mentre Renzo troverà rifugio in
un convento di Milano. Il capitolo si conclude con il celebre “Addio
ai monti”, una delle parti più liriche del romanzo, in cui il narratore
esterno presenta, come mediatore tra personaggio e lettore, i tristi
pensieri di Lucia, mostrandone i sentimenti e la commozione.

L’ironia e il comico nel capitolo ottavo dei Promessi sposi

Il capitolo ottavo dei Promessi sposi, uno dei più movimentati e


ricchi di avvenimenti di tutto il romanzo, è caratterizzato da una
fitta presenza di elementi comici ed ironici, che fanno quasi
da controcanto alla drammaticità degli eventi rappresentati.
L’incipit del capitolo è dedicato a don Abbondio, che si intrattiene
nella lettura di un “panegirico in onore di san Carlo” 6, interrotta con
la nota battuta sull’ignoto Carneade:

“Carneade! Chi era costui?” 7


L’ironia contiene qui un sottofondo amaro: il personaggio pare
più preoccupato di capire chi è lo sconosciuto filosofo piuttosto che
di svolgere il proprio compito, tutelando la libertà di Renzo e Lucia.
Il prevalere in don Abbondio degli interessi materiali è esplicito
anche nel dialogo a botta e risposta con Tonio, che intrattiene il
curato per permettere ai due protagonsiti di penetrare in casa e
pronunciare la formula matrimoniale 8. E naturalmente comica sarà
la caotica scena del “serra serra” 9 successiva al fallito
matrimonio di Renzo e Lucia, con i goffi tentativi di don Abbondio
di salvarsi e di chiedere aiuto.

L’elemento comico, con punte di sarcasmo da parte del


narratore, è evidente anche quando compaiono in scena il Griso e i
suoi “bravi”. Il primo si traveste da innocente pellegrino e, in
maniera antifrastica, dice ai suoi uomini di muoversi “da bravi” 10;
gli altri, quando sono presi dal panico per il rumore delle campane,
sono colpiti da un paragone degradante del narratore, che li
accomuna a una mandria di porci allo sbando:

Ci volle tutta la superiorità del Griso a tenerli insieme, tanto che


fosse ritirata e non fuga. Come il cane che scorta una mandra di
porci, corre or qua or là a quei che si sbandano; ne addenta uno per
un orecchio, e lo tira in ischiera; ne spinge un altro col muso; abbaia
a un altro che esce di fila in quel momento; così il pellegrino acciuffa
un di coloro, che già toccava la soglia, e lo strappa indietro; caccia
indietro col bordone uno e un altro che s'avviavan da quella parte:
grida agli altri che corron qua e là, senza saper dove; tanto che li
raccozzò tutti nel mezzo del cortiletto 11.
È infine da notare che ogni sequenza narrativa del capitolo si
conclude con un sostanziale insuccesso: Renzo e Lucia non
riescono a sposarsi, i “bravi non rapiscono la preda ambita da don
Rodrigo, fra Cristoforo non può avvisare in tempo i “promessi sposi”
del rischio che corrono. È una dimostrazione, per Manzoni, che la
volontà e i desideri degli uomini sono spesso sconvolti dal caso, e
che il “cuore” umano sa poco o nulla del grande ed
inestricabile mistero del mondo:
Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su
quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è
già accaduto 12
1A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di E. Raimondi e L. Bottoni, Milano, Principato,
1988, pp. 167-168.

2Si tratta tecnicamente di una analessi, cioè la narrazione di eventi antecedenti al


momento della narrazione, e che interrompono il racconto in corso.

3 A. Manzoni, I promessi sposi, cit., p. 169.

4 Manzoni si concede qui una riflessione generale (ivi, p. 179: “«Omnia munda
mundis,» disse poi, voltandosi tutt'a un tratto a fra Fazio, e dimenticando che questo non
intendeva il latino. Ma una tale dimenticanza fu appunto quella che fece l'effetto. Se il
padre si fosse messo a questionare con ragioni, a fra Fazio non sarebber mancate altre
ragioni da opporre; e sa il cielo quando e come la cosa sarebbe finita. Ma, al sentir quelle
parole gravide d'un senso misterioso, e proferite così risolutamente, gli parve che in quelle
dovesse contenersi la soluzione di tutti i suoi dubbi”), indicando che, più che per lo spirito
di carità di Cristoforo, fra Fazio è convinto dal senso ignoto delle parole da lui
proferite.

5 Ivi, p. 179.

6Ivi, p. 162. Il panegirico è un discorso, di tono esagerato e retorico, con finalità


encomiastica nei confronti di un potente o di una figura illustre.

7 Ibidem. Carneade (214-129 a.C.) è un filosofo greco della scuola scettica.

8Quando Tonio chiede la restituzione del proprio pegno dopo il pagamento del debito, don
Abbondio, di natura timorosa ed ipocrita, si lascia andare ad una considerazione quasi
paradossale: “Anche questa! [...] le sanno tutte, Ih! com’è divenuto sospettoso il mondo!
Non vi fidate di me?” (ivi, p. 365).

9 Ivi, p. 167.

10 Ivi, p. 169.

11 Ivi, p. 172.
12 Ivi, p. 181.

Potrebbero piacerti anche