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Il capitolo ottavo costituisce un caso pressoché unico all’interno del romanzo manzoniano: in esso
infatti Manzoni presenta elementi molto differenti, riuscendo però, grazie alla sua grande abilità
letteraria, a mescolarli in modo omogeneo dando origine a un capitolo che fa sì che gli occhi del
lettore stiano incollati alle pagine per scoprire l’esito delle buffe vicende che vi sono narrate.
Nel capitolo ottavo infatti l’autore racconta di come Renzo e Lucia tentino, grazie all’aiuto dei loro
complici Agnese, Tonio e Gervaso, di opporsi al destino che don Rodrigo vuole imporre loro,
presentandosi all’improvviso davanti a Don Abbondio e recitando in sua presenza la formula
nuziale, così da celebrare, secondo la legge, un matrimonio valido, anche se senza l’approvazione
del curato.
La narrazione procede con ritmo veloce, soprattutto nella prima parte, in cui la pettegola Agnese e il
misurato Tonio, aiutati da un Gervaso un po’ impacciato, riescono ad allontanare Perpetua dalla
sacrestia, facendo sì che ella la lasci incustodita, per permettere ai due sposi di intrufolarsi in casa
del prete. E’ proprio in questo punto, inoltre, che traspare il profondo umorismo di Manzoni: egli
descrive con ilarità la scena ridicola di un Don Abbondio che, di fronte alla dichiarazione di eterno
amore dei due sposi che gli si parano di fronte improvvisamente, tappa la bocca alla già titubante
Lucia con mossa fulminea e la atterra avvolgendola in un tappeto perché non riesca a finire di
pronunciare la formula. Il prete quindi, solitamente controllato e silenzioso, abbandona di fronte a
questa situazione pericolosa ogni briciola di dignità e, scomposto, si butta addosso alla bella Lucia
Mondella con tutto il suo peso per metterla a tacere, scosso da un misto di rabbia, spavento, stupore
e indignazione per essere stato scoperto. Poi la stanza piomba nel buio e tutti i personaggi, confusi e
agitati, iniziano a muoversi carponi in modo disordinato, saltando, gridando, Renzo cercando di
impedire la fuga di Abbondio, Lucia pregandolo di andarsene prima che qualcuno scopra
l’accaduto, Tonio cercando il suo documento e Gervaso la maniglia per uscire in strada e scappare.
La confusione e i toni concitati con cui Manzoni descrive il succedersi degli eventi si ritrovano poco
dopo a casa di Lucia dove i bravi, in cerca della ragazza con l’ordine di rapirla e consegnarla a
Rodrigo, dopo aver catturato il giovane garzone Menico, sentono il suono delle campane e, non
sapendo che la causa di quell’allarme improvviso è proprio ciò che è avvenuto in sacrestia, bensì
credendo di essere stati scoperti, si danno alla fuga in modo codardo, tradendo in questo modo la
loro vigliaccheria solitamente così ben nascosta dietro a un velo di durezza ed arroganza.
Tutto il concatenarsi di questi avvenimenti, l’irruzione nella casa del curato, la fuga scomposta dei
bravi e i pettegolezzi divertenti degli abitanti del paese che, scesi in piazza, cercano di ricostruire il
corso degli eventi dandone ognuno la sua versione, dà origine ad un forte contrasto se affiancato a
ciò che accade dopo: il profondo sentimento di delusione che affligge i due “sposi rimasti
promessi”, come li definisce Manzoni, infatti, prende il posto del precedente umorismo, dando alla
narrazione uno sfondo ben più drammatico che raggiunge il suo culmine proprio negli ultimi versi,
con il commovente “addio ai monti” in cui l’autore dice di dar voce ai pensieri della giovane e
candida Lucia. Grazie al tono lirico e al patos con cui questo addio viene raccontato, si riesce a
immedesimarsi nel personaggio della giovane e a comprendere con quale sofferenza obbedisca a ciò
che le viene imposto dal destino, ovvero di abbandonare il paese in cui è cresciuta e sogna di vivere,
la casa che aveva progettato di acquistare con Renzo, il paesaggio cui è tanto affezionata.
In questo capitolo quindi emerge in modo evidente la grandissima abilità con cui Manzoni riesce, in
un romanzo la cui storia potrebbe apparire a tratti banale e scontata, a renderla interessante e
coinvolgente attraverso descrizioni che, sebbene molto particolareggiate, conservano generalmente
un ritmo non eccessivamente lento grazie alla loro intensità ed alla varietà di aggettivi usati; è però
ancor più sorprendente vedere come le vicende descritte da un autore ottocentesco possano rivelarsi
estremamente divertenti anche per i lettori moderni che, dalla prima all’ultima parola del capitolo,
restano attaccati al foglio per vedere cosa personaggi buffi come Agnese o Gervaso possono ancora
riservare loro, immedesimandosi nella storia e percependo le forti e profonde emozioni dei
protagonisti.