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Riassunto dettagliato Promessi Sposi (Capitolo 30)

Riprendendo il viaggio verso il castello dell’Innominato, Agnese, Perpetua e Don Abbondio incontrano
subito altre persone che si dirigono a piedi verso la loro stessa destinazione, e quindi anche gruppi di
uomini armati messi dall’uomo per accogliere gli ospiti e proteggerli. Mentre le donne se ne
compiacciono, pensando di aver scelto un posto sicuro, il religioso si mostra al solito impaurito,
temendo che il castello possa facilmente attirare l’attenzione dei Lanzichenecchi. Ad infastidirlo sono
anche le continue chiacchiere delle due donne: teme che possano portagli guai e chiede quindi loro di
pesare le parole e dirne il minor numero possibile. Arrivati alla taverna della Malanotte, i tre personaggi
scendono dal baroccio per proseguire a piedi. L’Innominato riconosce Don Abbondio e viene loro
incontro. Saputo che una delle due donne è la madre di Lucia, l’uomo la
accoglie calorosamente e si propone quindi di accompagnarli per il
resto della salita. Una volta giunti al castello, Agnese e Perpetua
vengono condotte in una stanza del quartiere assegnato alle donne, don
Abbondio in una delle camere riservate agli ecclesiastici nel quartiere
degli uomini.
I giorni passano senza che accada nulla di straordinario. Gli allarmi
sono frequenti ma sempre infondati. Solo una volta viene affrontato un
gruppo di Lanzichenecchi mentre sta per compiere un saccheggio. I
soldati imperiali però, presi alla sprovvista, si danno subito alla fuga e
non è neanche necessario usare la forza per liberarsene. All’interno del palazzo, per evitare
possibili disordini, quasi inevitabili tra gruppi di persone totalmente diverse tra loro, vengono incaricati
gli uomini più autoritari per vigilare sulla situazione. Non ci saranno però mai incidenti, grazie anche al
fatto che ognuno si ricorda bene chi è il padrone del castello ed ha anche i propri guai a cui badare.
Per ripagare in parte l’ospitalità, Agnese e Perpetua si fanno assegnare dei lavori, ai quali dedicarsi per la
maggior parte della giornata. Don Abbondio passa invece le giornate senza fare niente, in compagnia
delle sue paure.
Giungono ogni giorno al castello notizie dei saccheggi e dei movimenti compiuti da ogni squadrone
dell’esercito. Si tiene soprattutto conto dei reggimenti che passano il ponte di Lecco e si allontanano
quindi dal territorio. Quando arriva la notizia che anche l’ultimo se ne è andato e che quindi anche i
cappelletti avevano smesso di presidiare il confine bergamasco, tutti gli ospiti dell’Innominato
riprendono le proprie cose e fanno ritorno alle proprie case. Agnese, Perpetua e Don Abbondio sono
gli ultimi ad andarsene: il curato teme di poter incontrare in giro ancora qualche Lanzichenecco rimasto
indietro. Il giorno della partenza dei tre ospiti, l’Innominato fa trovare loro pronta una carrozza alla
taverna della Malanotte e dona ad Agnese un corredo di biancheria ed un’altra somma di denaro.
Durante il viaggio di ritorno al paesello, i tre personaggi fanno un’altra tappa alla casa del sarto. Il suo
paese non è stato bersaglio della devastazione portata da Lanzichenecchi e l’uomo racconta le notizie
ricevute dai quelli circostanti. Ripreso il viaggio, iniziano a presentarsi ai loro occhi scene di
devastazione: nei campi sembra che si siano abbattute la grandine e la bufera contemporaneamente, i
paesi sono disseminati di rottami e dalle case fuoriescono odori nauseabondi. La situazione che si
trovano di fronte una volta tornati a casa non è certamente diversa e subito si mettono tutti in opera
per rassettare l’abitazione. La casa di Don Abbondio e Perpetua è in particolare piena di sporcizia, non
c’è nulla di intero e sulle pareti i soldati di passaggio hanno lasciato anche scarabocchi raffiguranti preti,
per farsi scherno del religioso. Quando i due si accorgono che tutti gli oggetti nascosti con cura sono
stati facilmente trovati e rubati, Don Abbondio e Perpetua iniziano a litigare tra loro accusandosi l’un
l’altro. Un altro motivo di disputa nasce quando la donna scopre che alcuni loro averi si trovano intatti
nelle case di altre persone del paese: lei incita lui a farsi valere, lui non ne vuole ovviamente sapere.
Il terrore della guerra non è ancora passato che subito se ne presenta uno nuovo ben peggiore: la peste.
Riassunto dettagliato Promessi Sposi (Capitolo 31)
Come temuto, i soldati imperiali, i Lanzichenecchi, portarono la peste nel territorio milanese, ed in
poco tempo una buona parte dell’Italia ne fu infetta.
Furono molti gli errori umani che contribuirono all’espansione incontrollata della malattia.
L’esercito aveva disseminato di morti i territori attraverso i quali era passato. In breve diverse persone si
ammalarono e morirono di mali violenti, sconosciuti alla maggior parte delle persone; erano infatti
pochi a ricordarsi ancora della peste di San Carlo (chiamata con il nome del santo a testimoniare la
grande carità mostrata dal religioso in quell’occasione). Il tribunale della sanità mandò due diverse
commissioni ad indagare sui casi sospetti che iniziarono a verificarsi nella provincia: la prima diede
parere negativo, la seconda commissione confermò invece i sospetti e il tribunale chiese il 30 di Ottobre
l’isolamento della città di Milano per evitare il
contagio. Il nuovo governatore, Ambrogio Spinola,
succeduto a Don Gonzalo, non solo trascurò la
richiesta, occupato dai pensieri della guerra, ma
ordinò anche pubbliche feste per la nascita del
primogenito del re Filippo VI. A sorprendere
maggiormente è però il fatto che la stessa
popolazione di Milano trascurò le notizie
provenienti dai paesi limitrofi: le morti venivano
attribuite a cause di ogni tipo, ma guai a nominare la
peste.
La grida che doveva eseguire l’isolamento della città venne pubblicata solo il 29 di
Novembre: la peste era ormai già entrata in città attraverso un soldato italiano al servizio della Spagna,
giunto a Milano con vestiti rubati o comprati da soldati nemici. In breve tempo morì il militare e
morirono le persone che erano venute in contatto con lui. Vennero date indicazioni perché tutti gli
oggetti contaminati venissero bruciati o isolati, ma le leggi non furono efficaci e comparvero focolai in
ogni parte della città. I casi erano però ancora isolati ed i decessi continuarono ad essere attribuiti ad
altre cause. Una volta accertato un caso di peste, il tribunale della sanità faceva bruciare oggetti,
sequestrare la casa e mandare l’intera famiglia al Lazzaretto. Non fu quindi difficile suscitare l’odio del
popolo e trovare ostacoli al proprio operato. I medici vennero accusati di voler speculare sul pubblico
spavento e non furono rari i casi di aggressione.
Sul finire del mese di Marzo le morti iniziarono a diventare frequenti e fu difficile nascondere la verità.
Per non dover ammettere la propria ignoranza ed i propri errori, non si parlò però ancora di peste ma
di febbre pestilenziale. I magistrati iniziarono comunque a dare maggior ascolto alle richieste della
sanità. La popolazione del Lazzaretto crebbe di giorno in giorno nonostante le numerose morti
giornaliere, e la sua gestione iniziò ad essere difficoltosa; venne così deciso di affidarne il governo ai
frati cappuccini, che si distinsero ancora una volta per il loro senso di carità e sacrificio. Anche tra il
popolo iniziò a vacillare il voler negare a tutti i costi l’esistenza della peste, ma la reale causa del
contagio non venne comunque accettata: per la gente l’origine del male erano veleni contagiosi,
operazioni diaboliche e malefici. A contribuire al pensiero comune fu uno scherzo sciocco portato a
termine da sconosciuti: in ogni parte della città comparvero improvvisamente macchie di sudiciume
giallognole e biancastre. Scoppiò il panico, ogni persona sospetta era un possibile untore.
Nonostante le continue morti, non tutti erano ancora persuasi che si trattasse effettivamente di peste.
Per togliere ogni dubbio, per convincere il popolo, spaventarlo e farsi dare ascolto, il tribunale della
sanità approfittò di una festa religiosa per trasportare in mezzo alla folla, in bella mostra, i corpi di
un’intera famiglia appena morta, con segni evidenti della malattia. Si trattava finalmente per tutti di
peste.
Riassunto dettagliato Promessi Sposi (Capitolo 32)
Tra carestia, guerra e peste, la spesa pubblica divenne insostenibile. Venne chiesto l’intervento del
governatore Spinola, ma costui, impegnato nella guerra di successione al ducato di Mantova e del
Monferrato (che dopo tante morti si risolverà con il riconoscimento del successore legittimo, Carlo
Gonzaga), in tutta risposta trasferì la propria autorità al cancelliere Ferrer, lavandosene quindi di fatto le
mani. Contemporaneamente venne chiesto al cardinale Federigo Borromeo di portare in processione
lungo le vie della città la salma di San Carlo. Il religioso rispose con un rifiuto sostenendo che il
radunarsi di tante persone avrebbe favorito il contagio, esistessero realmente o meno gli untori.
L’esistenza di tali individui divenne invece sempre più una certezza per il resto del popolo, spinto dal
desiderio inconscio di sfogare la propria ira su qualcosa di materiale. Si parlò di veleni e malefici, e
coloro che erano sospettati di essere untori venivano aggrediti rabbiosamente ed a volte linciati.
Anche il popolo iniziò a chiedere a gran voce che la processione si facesse ed il cardinale infine
acconsentì.
Il tribunale della sanità ordinò alcune precauzioni, ma già il giorno seguente alla festa religiosa, che si
tenne l’11 di Giugno, il numero di morti crebbe in modo
repentino. Si disse che lungo le strade erano state sparse
dagli untori delle polveri velenose, la processione aveva
quindi favorito il contagio.
Nel Lazzaretto si arrivò ad avere fino a sedicimila ospiti, la
mortalità giornaliera superò quota tremila e la popolazione
milanese si ridusse di due terzi. Il numero di cadaveri
continuò ad aumentare e non si riuscì più a stare dietro
alle sepolture. La fossa vicino al Lazzaretto era inoltre
ormai colma di morti. Ancora una volta venne chiesto
l’aiuto dei frati cappuccini e nel giro di quattro giorni, con la
realizzazione di altre tre fosse comuni, il problema venne risolto. Grazie alla carità di alcuni
privati le spese pubbliche più urgenti poterono essere sostenute; le carenze di organico vennero invece
colmate da ecclesiastici. Non mancò comunque anche chi approfittò della situazione per trarne
vantaggio: i monatti, incaricati di portar via su carri i cadaveri e di sotterrarli, e gli apparitori, incaricati di
avvertire del passaggio dei carri, rimasti senza chi li controllasse, iniziarono a dedicarsi al saccheggio ed
all’estorsione. Anche la pubblica sicurezza non mancò di distinguersi nel compiere atti perversi.
Il peggioramento della situazione contribuì a dare nuova forza alla paura della popolazione nei
confronti degli untori, fino a farla divenire vera e propria pazzia. Dietro alle azioni degli untori iniziò ad
essere vista la mano del diavolo, la gente iniziò a dubitare dei loro stessi parenti, iniziarono a diffondersi
storie deliranti e si arrivò anche ad attribuire la causa della peste al passaggio di una cometa. Il delirio
iniziò a coinvolgere gli stessi medici che fin dal principio aveva combattuto da soli contro la pubblica
ignoranza. Lo stesso cardinale Federigo Borromeo non escluse l’esistenza di untori e di unguenti
velenosi. I pochi che riuscirono fino all’ultimo a mantenersi lucidi ed a ragionare, tanto da ritenere
assurde le opinioni popolari, non vollero però ovviamente esporsi per prudenza. I magistrati, confusi e
ridotti in numero ogni giorno di più, si dedicarono quasi solo alla ricerca degli untori: numerosi furono i
processi ed altrettanto numerose le condanne di innocenti, accusati di aver propagato la peste.
Riassunto dettagliato Promessi Sposi (Capitolo 33)
Una notte, verso la fine d’agosto, Don Rodrigo inizia ad avvertire uno strano malessere mentre sta
tornando a casa da una festa, durante la quale ha suscitato l’ilarità dei presenti con un elogio funebre del
conte Attilio, morto due giorni prima. Arrivato a casa, viene accompagnato subito nella camera da letto
dal Griso, uno dei pochi servitori rimasti ancora vivi, e dopo un lungo rigirarsi nel letto riesce
finalmente ad addormentarsi. Il sogno è per lui terribile: Don Rodrigo si trova in una chiesa in mezzo
ad una fitta folla di appestati che si accalcano intorno a lui urtandolo in particolare al fianco sinistro, tra
il cuore e l’ascella, dove l’uomo sente una violenta fitta; al
pulpito della chiesa compare infine padre Cristoforo e
punta il dito verso il tiranno, come aveva fatto in
precedenza. Don Rodrigo si sveglia urlando, si guarda il
fianco sinistro e scopre di avere un bubbone: è malato di
peste. Terrorizzato non solo dalla morte ma anche
dall’idea di essere condotto dai monatti al Lazzaretto,
l’uomo chiama il Griso (che con un colpo d’occhio si
accerta del presentimento avuto la sera prima) e gli
ordina di andare a chiedere soccorso ad un chirurgo noto
per tenere nascosti gli ammalati. Il bravo si prende carico
della missione ma tradisce però il padrone, liberando la
casa dagli altri servitori con falsi incarichi e andando a chiamare lui stesso i
monatti, per dividere con loro il tesoro di Don Rodrigo. Mentre il tiranno viene portato al Lazzaretto, il
Griso fruga tra gli averi del padrone e spinto dalla cupidigia non esita anche a toccarne i vestiti infetti:
morirà il giorno dopo.
Tornando a parlare di Renzo, iniziata la guerra tra la repubblica Veneta e la Spagna, e cessato quindi
ogni timore di ricerche, il giovane era tornato nel paese di Bortolo. Più volte era stato sul punto di
arruolarsi nell’esercito, ma grazie alle parole del cugino aveva poi sempre abbandonato l’idea. Giunta la
peste anche nel bergamasco, Renzo si era anche lui ammalato ma era infine riuscito a guarire.
Ritornato ora in salute, il giovane decide di tornare al suo paese per accertarsi della condizione di
Agnese, e di raggiungere poi Milano, dove sa che si trova Lucia, per convincere la ragazza ad
abbandonare il voto. Il ritorno a casa riempie di tristezza Renzo. Per strada incontra Tonio e lo scambia
inizialmente per il fratello Gervasio, tanto è istupidito dalla peste. Incontra poi anche Don Abbondio,
anche lui guarito dalla peste, che lo informa del fatto che Agnese si trova a Pasturo in Valsassina da suoi
parenti, che Lucia si trova ancora a Milano, che anche Don Rodrigo si trova a Milano, che Perpetua è
morta e che padre Cristoforo non ha fatto ancora ritorno. Sapute le intenzioni del giovane, il religioso
tenta inutilmente di convincerlo a fare ritorno nel territorio di Bergamo, per evitare che vada a cacciarsi
nei guai e soprattutto, con il solito egoismo, per evitare che ne crei a lui stesso. Renzo fa poi visita alla
sua vigna ed alla sua abitazione e trova solo degrado e distruzione. Si reca infine alla casa di un suo
vecchio amico, da quale riceve ospitalità. Durante la cena, mentre i due si scambiano informazioni, il
giovane viene a conoscenza del casato di Don Ferrante e viene anche a sapere che il podestà e buona
parte degli sbirri sono morti: si convince così di andare direttamente a Milano, senza nessun timore
della giustizia. Il giorno dopo Renzo riprende il suo viaggio. Prima di arrivare a Milano si ferma in una
bottega di Monza ed acquista due pani da tenere in tasca in caso di necessità.
Riassunto breve Promessi Sposi (Capitolo 30)
Don Abbondio, Agnese e Perpetua arrivano al castello dell'innominato, che li accoglie benevolmente.
Soggiorno dei tre nella fortezza. L'innominato difende il luogo dai lanzichenecchi, che dopo circa un
mese completano il loro passaggio. L'ex-bandito regala ad Agnese del denaro, prima che questa riparta
con i due compagni di viaggio. I tre tornano in paese e trovano le case devastate dai saccheggi dei
soldati.

Riassunto breve Promessi Sposi (Capitolo 31)


Proposito dell'autore di narrare la storia della peste a Milano. L'epidemia si diffonde nei luoghi del
passaggio dei Lanzichenecchi. Negligenza e incuria delle pubbliche autorità nel cercare di arginare il
contagio. La peste entra a Milano e si diffonde lentamente in città. La popolazione non crede alle cause
dell'epidemia e accusa i medici, tra cui Lodovico Settala. Il contagio si diffonde e le autorità faticano ad
affrontare la situazione. Il lazzaretto viene affidato ai padri cappuccini, che si prodigano per i malati.
Iniziano a circolare a Milano le prime dicerie sugli untori. Il Tribunale di Sanità mostra al popolo un
carro con i cadaveri di un'intera famiglia morta di peste.

Riassunto breve Promessi Sposi (Capitolo 32)


I magistrati di Milano chiedono al governatore provvedimenti fiscali per far fronte alla peste, senza
successo, quindi si rivolgono al cardinal Borromeo per una processione solenne. Si diffonde in città e
nel contado la paura degli untori. Episodi di linciaggio della folla. Borromeo acconsente alla
processione, che si svolge l'11 giugno 1630. La furia del contagio aumenta e la folla ne attribuisce la
causa agli untori. Monatti, apparitori, commissari. I padri cappuccini assicurano il governo del
lazzaretto. L'impegno degli ecclesiastici e del cardinal Borromeo. Le autorità sono impotenti e i monatti
diventano i padroni delle strade. Si diffondono le leggende più assurde sugli untori e anche i dotti
sostengono teorie fallaci. Opinioni di Borromeo e Muratori sugli untori. I processi a carico dei presunti
untori aumentano, persone innocenti sono condannate!

Riassunto breve Promessi Sposi (Capitolo 33)


Don Rodrigo, a Milano, scopre di essere ammalato di peste. Il Griso lo consegna ai monatti per
derubarlo, poi si ammala a sua volta e muore. Renzo, sempre rifugiato nel Bergamasco, guarisce dalla
peste e decide di andare a Milano per cercare Lucia. Il giovane torna al suo paese dove incontra Tonio,
la cui mente è sconvolta dalla malattia, e don Abbondio, che lo informa della morte di Perpetua. La casa
di Renzo è ormai in abbandono, come la sua vigna, così lui chiede ospitalità a un suo vecchio amico
d'infanzia. Renzo parte alla volta di Milano.

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