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Dallavalle
FRIT-‐M505
Dalla
novella
alla
pièce:
metateatralità
e
contrasto
autore/regista
in
Questa
Questa
sera
si
recita
a
soggetto,
scritta
tra
il
1928
e
il
1929
e
rappresentata
nel gennaio del 1930 a Königsberg, rappresenta l’ultima pièce della trilogia del
‘teatro nel teatro’, insieme a Sei Personaggi in cerca d’autore (1921) e Ciascuno a suo
problematica metateatrale, mettendo in scena i conflitti tra i vari attanti: personaggi,
attori, pubblico, direttore di scena, autore. Se in Sei personaggi l’opposizione si crea
con il triangolo personaggio/autore/attore e in Ciascuno a suo modo con la polarità
momento stesso in cui termina di scrivere la sua opera. Il vero orchestratore diventa
rappresentazione teatrale3.
1
Renato
BARILLI,
Pirandello.
Una
rivoluzione
culturale,
Milano,
Mursia,
1986,
p.
191
2
Preambolo,
in
PIRANDELLO
Luigi,
Questa
sera
si
recita
a
soggetto
/
Trovarsi
/
Bellavita,
a
cura
di
C.
colleghi,
mandando
all’uno
una
prima
volta,
sei
personaggi
sperduti,
in
cerca
d’autore,
che
misero
la
rivoluzione
sul
palcoscenico
e
fecero
perdere
la
testa
a
tutti;
e
presentando
un’altra
volta
con
inganno
una
commedia
a
chiave,
per
cui
l’altro
mio
collega
si
vide
mandare
a
monte
lo
spettacolo
da
tutto
il
pubblico
sollevato;
questa
volta
non
c’è
pericolo
che
la
faccia
anche
a
me.
Stiano
tranquilli.
1
Attraverso
questo
saggio
cercherò
di
mettere
in
luce
i
rapporti
che
si
generano tra la lettura della novella e la stesura del testo teatrale, e il ruolo ultimo
Come avviene spesso nel teatro di Pirandello, il soggetto della pièce è fornito
pubblicata per il «Corriere della Sera» nel 1910 e due anni più tardi per Treves.
A
venticinque
anni
ufficialetto
di
complemento,
Rico
Verri
si
piaceva
della
compagnia
degli
altri
ufficiali
del
reggimento,
tutti
del
Continente,
i
quali,
non
sapendo
come
passare
il
tempo
in
quella
polverosa
città
dell’interno
della
Sicilia,
s’erano
messi
attorno
come
tante
mosche
all’unica
famiglia
ospitale,
la
famiglia
La
Croce,
composta
dal
padre,
don
Palmiro,
ingegnere
minerario
(Sampognetta,
come
lo
chiamavano
tutti,
perché,
distratto,
fischiava
sempre),
dalla
madre,
donna
Ignazia,
oriunda
napoletana,
intesa
in
paese
La
Generala
e
chiamata
da
loro,
chi
sa
poi
perché,
donna
Nicodema;
e
da
quattro
belle
figliuole,
pienotte
e
sentimentali;
vivaci
e
appassionate:
Mommina
e
Totina,
Dorina
e
Memè.4
In
incipit
di
novella,
Pirandello
fornisce
le
coordinate
per
comprendere
lo
sviluppo
della vicenda. I protagonisti saranno: Rico Verri, gli ufficiali suoi amici e la famiglia
La Croce, ovvero don Palmiro con la moglie Ignazia e le quattro figlie Mommina,
Totina, Dorina e Memè. Siamo in Sicilia, ma da subito si crea un contrasto tra l’isola e
il «continente», e «con la scusa che in Continente “si faceva così”, quegli ufficiali […]
erano riusciti a far commettere a quelle quattro figliuole le più audaci e ridicole
matterie» 5 . Tre quarti della novella sono però occupati dall’infelice storia del
geloso, tanto da rinchiudere la moglie e le figlie in casa, lontano dalla famiglia di lei e
L’ho
eliminato.
Il
suo
nome
non
figura
nemmeno
sui
manifesti,
anche
perché
sarebbe
stato
ingiusto
da
parte
mia
farlo
responsabile,
sia
pure
per
poco,
dello
spettacolo
di
questa
sera.
L’unico
responsabile
sono
io».
4
PIRANDELLO
Luigi,
Novelle
per
un
anno,
a
cura
di
M.
Costanzo
,
Milano,
Arnoldo
Mondadori,
1990
(«I
2
dalla
vista
di
tutti.
Mommina,
da
vivace
e
pienotta
ragazza
che
era,
diventa
l’ombra
di se stessa, «le spalle non più sostenute dal busto erano quasi scivolate e, davanti, il
«per casa, ansante, con lenti passi faticosi, spettinata, imbalordita dal dolore, ridotta
quasi materia inerte»6. Sulle note di Leonora, addio!, dall’atto VI del Trovatore,
Mommina cade a terra morta, di fronte agli increduli visini delle sue figlie.
opere, eppure già in questo racconto è possibile cogliere il teatro nel teatro, o per
meglio dire, il ‘melodramma nella novella‘. La vita di Mommina e le sue scelte sono,
per ammissione dell’autore, melodrammatiche: «ma Mommina, oltre alle tante cose
che capiva, aveva anche la passione dei melodrammi»7. Una passione talmente forte
promesso sposo. Mommina vive nella finzione teatrale e assimila Verri agli eroici
protagonisti delle sue opere preferite: «E scattò [Verri] di fatti una sera, e successe
un parapiglia: seggiole per aria, vetri rotti, urli, pianti, convulsioni; tre sfide, tre
duelli» 8 . Gli atti ‘eroici‘ di Rico sono solo in parte dettati dalla volontà di
salvaguardare l’onore dell’amata; si tratta, più che altro, di pura e semplice gelosia,
quella che lo spingerà a segregarla in casa come una prigioniera. Eppure, Mommina
non se ne vuole rendere conto, anche se «era buona, la più saggia tra le quattro
sorelle» e «capiva tante cose». La ragazza, in definitiva, sente il bisogno di una certa
drammaticità, che culminerà con la tragedia madre: la sua morte.
6
Ibidem
7
Ibidem
8
Ibidem
3
Ripercorrendo
la
storia
di
Mommina,
vediamo
che
sono
molteplici
le
opere
Se
il
teatro
era
chiuso,
scuola
di
galanteria
e
danze
e
rappresentazioni
ogni
sera
in
casa
La
Croce:
la
madre
sonava
a
tempesta
sul
pianoforte
tutti
i
«pezzi
d’opera»
che
avevano
sentito
nell’ultima
stagione,
e
le
quattro
sorelle,
dotate
di
discrete
vocette,
cantavano
in
costumi
improvvisati,
anche
le
parti
da
uomo,
coi
buffetti
sul
labbro
fatti
con
tappi
di
sughero
bruciati
e
certi
cappellacci
piumati
e
le
giubbe
e
le
sciabole
degli
ufficiali.
9
Mommina, in particolare, impersona Siebel nel Faust: «Le parlate d’amor[e]
– o cari fior» (atto III, scena I). Nel dramma di Charles Gounod (1859), Siebel è il
ruolo en travesti per il quale è necessario un mezzosoprano – e infatti è truccata e
vestita da uomo. Altro melodramma con esito drammatico è La forza del destino di
Giuseppe Verdi (1862), per il quale Mommina recita la parte di Leonora: «né
togliermi potrò /l’immagin sua dal cor...» (atto IV, scena VI). In questa scena la
protagonista, morente, riafferma il suo amore per Don Alvaro, mai sopito
nonostante la violenta opposizione del padre. Qui Leonora è «pallida, sfigurata»10, e
non è certo un caso che lo stesso destino tocchi poi alla protagonista della novella
Verri aveva fatto tre duelli per lei; Raul, Ernani, don Alvaro...». Ritroviamo, di nuovo,
i protagonisti dei melodrammi preferiti di Mommina, da quel Don Alvaro della Forza
del destino – che per amore di Leonora combatte il padre di lei, proprio come Verri
affronta l’opposizione di donna Ignazia e delle figlie per sposare Mommina, con esiti
4
opposti
ma
altrettanto
tragici
–,
a
Ernani
dell’omonima
opera
verdiana
(1844)
–
che
per rispettare un giuramento, si uccide davanti all’amata Elvira trafiggendosi il petto
ugonotto, muore sotto i colpi dei cattolici insieme Valentine e al suo servo Marcel,
insegnare alle figlie tutto quello che sa del teatro, fare loro vivere la stessa
esperienza che lei da giovane ha vissuto. E si mette così a:
descrivere
affollatamente
il
teatro,
gli
spettacoli
che
vi
si
davano,
la
ribalta,
l’orchestra,
gli
scenarii,
poi
a
narrare
l’argomento
dell’opera
e
a
dire
dei
varii
personaggi,
com’erano
vestiti,
e
infine,
tra
lo
stupore
delle
piccine
che
la
guardavano,
sedute
sul
letto,
con
tanto
d’occhi
e
temevano
che
fosse
impazzita,
si
mise
a
cantare
con
strani
gesti
questa
e
quell’aria
e
i
duetti
e
i
cori,
a
rappresentar
la
parte
dei
varii
personaggi
[…].11
personaggi in una volta sola quando canta Gli Ugonotti, «sostenendo a volta a volta, e
anche a due e tre alla volta, tutte le parti»: «Pif, paf, pif, /Dispersa sen vada /La nera
masnada / Al rezzo placido / Dei verdi faggi / Correte, o giovani / Vaghe beltà...»
(atto I, scena III). Siamo di fronte alla canzone di Marcel, un’invettiva nei confronti
essere un caso che Pirandello abbia scelto proprio questo passo. Si può forse inferire
che Mommina, nel suo fittizio scagliarsi contro i cattolici, si stia allo stesso tempo
5
scagliando
contro
il
marito,
in
una
sorta
di
sublimazione
del
suo
avvilimento.
Inoltre
Un pattern comune tra le opere scelte da Pirandello è evidente, caratterizzate
come sono da amori dall’destino infelice, o per meglio dire, tragico. Ma è anche
s’avvia...», «Sconto col sangue mio / L’amor che posi in te! / Non ti scordar, non ti
scordar di me, / Leonora, addio!»13. La ragazza sta qui interpretando il quarto atto,
nel quale Manrico, imprigionato, si congeda dalla sua amata – la parte di Manrico
sarebbe affidata a un tenore, e infatti Mommina indossa «un cappellaccio piumato in
capo, i baffetti sul labbro fatti col sughero bruciato» 14 . I versi dell’opera che
Pirandello cita, forse volontariamente o forse per una svista, non corrispondono
cantata dalle ‘voci interne’, e una sola ripetizione di «Non ti scordar di me»15. È
come i personaggi a cui è tanto affezionata, e allo stesso tempo alza un lamento che
6
essere
dimenticata.
Devono
passare
undici
anni
prima
della
teorizzazione
presente
nei Sei personaggi, ma è indubbio che questo finale anticipi, in un certo senso,
pensieri più strutturati: «tutto ciò che vive, per il fatto che vive, ha forma, e per ciò
stesso deve morire: tranne l'opera d'arte, che appunto vive per sempre, in quanto è
diventare forma si eternizza, almeno per un attimo. Se la novella si fosse conclusa in
questo modo, l’avremmo a ragione potuta chiamare una tragedia. Ma poiché siamo
di fronte a una rappresentazione, a Mommina che ‘nel pensier si finge’, con il sipario
calato le cose tornano com’erano prima: «Rico Verri con un urlo di rabbia s’avventò
sopra il corpo caduto della moglie e lo rimosse con un piede. Era morta».17 Il gesto
climax patetico, e riporta alla realtà fattuale della morte di una vita, e non di una
forma d’arte. Non si può parlare di comicità, poiché il dramma di Mommina è reso
ancora più acuto dalla mancanza di rispetto esibita da Verri, ma l’ironia intrinseca
nel congedo è evidente. Il ‘sentimento del contrario’ postulato nel saggio l’Umorismo
(1908) si rileva nella scelta di concludere la novella proprio con quel gesto
irrispettoso, che sottrae carica eroica alla fine di Mommina, e la consegna al nulla
della morte.
Come si è avuto modo di capire, Leonora, addio! è una novella che fa il verso
16
Prefazione
a
Sei
personaggi
in
cerca
d’autore
in
Luigi
PIRANDELLO,
Maschere
nude,
a
cura
di
A.
D’Amico,
Milano,
Arnoldo
Mondadori,
2004
(«I
Meridiani»,
II),
da
http://www.classicitaliani.it/pirandel/pira19_prefazione.htm
17
Leonora,
addio!,
da
http://www.classicitaliani.it/pirandel/novelle/12_171.htm;
(grassetto
mio)
7
Siamo
di
fronte,
dunque,
a
un
racconto
metaletterario
che
per
sua
natura
si
presta
bene a una trasposizione teatrale che voglia ragionare su se stessa.
Quando, tra il 1928 e il 1929, Pirandello mette mano alla novella per
trasformarla in pièce, ha quindi il compito facilitato. Essa funge da soggetto di Questa
sera, ma la metateatralità dell’opera fa sì che, in sostanza, essa occupi solamente il
terzo atto. L’opera in tre atti inizia, infatti, con alcuni rumori sul palcoscenico, come
se la compagnia di attori non fosse pronta per l’apertura del sipario. Dopo qualche
protesta del pubblico fittizio, esce il Dottor Hinkfuss, il direttore di scena (e notiamo
che non si parla di ‘capocomico‘, come avveniva in Sei personaggi), che si mette a
primo atto, con Hinkfuss che presenta gli attori tramite il loro vero nome. Il Vecchio
Attore Brillante, colui che interpreterà il Sampognetta, sarà il primo dei personaggi a
esprimere il suo dissenso nei confronti del regista. La polemica nasce da una
sostanziale percezione di incoerenza che gli attori gli attribuiscono: egli chiede che
si reciti senza battute scritte, solo con un canovaccio, e quando loro si sono ormai
calati nelle parti, ecco che il Dottor Hinkfuss ne svela la finzione chiamandoli con il
loro nome. Tutto il primo, movimentato, atto è un susseguirsi di entrate e uscite dai
propri ruoli da parte degli attori, e di interventi extradiegetici (o presunti tali)18 da
(grassetto
mio):
IL
DOTTOR
HINKFUSS:
(con
un
lampo
di
malizia,
trovando
lì
per
lì
la
via
di
scampo
per
salvare
il
suo
prestigio).
Come
il
pubblico
avrà
capito,
questa
ribellione
degli
attori
ai
miei
ordini
è
finta,
concertata
avanti
tra
me
e
loro,
per
far
più
spontanea
e
vivace
la
presentazione.
A
questa
uscita
mancina,
gli
attori
restano
di
colpo
come
tanti
fantocci
atteggiati
di
sbalordimento.
Il
Dottor
Hinkfuss
lo
avverte
subito:
si
volta
a
guardarli
e
li
mostra
al
pubblico:
Finto
anche
questo
sbalordimento.
IL
PRIMO
ATTORE:
(scrollandosi,
indignato).
Buffonate!
Io
prego
il
pubblico
di
credere
che
la
mia
protesta
non
è
stata
affatto
una
finzione.
8
parte
del
regista.
Nel
secondo
atto,
invece,
viene
a
precisarsi
maggiormente
l’argomento del ‘soggetto’. Dopo l’introduzione dei personaggi fatta nel precedente,
come raccontato nella novella. Si assiste a una processione che sfila nella platea,
mentre sul palco viene recitata una scena di Cabaret. Protagonista è il Sampognetta,
ammaliato dalla chanteuse e per questo fatto oggetto di scherno dagli altri avventori.
Uscendo dal locale avviene un battibecco tra il signor (non più ‘don‘) Palmiro e
questi altri personaggi, a loro volta attaccati dagli ufficiali e da Rico Verri, nel
torna a casa mentre gli ufficiali, a braccetto con le quattro figlie, e la signora Ignazia,
si recano a teatro. L’atto si chiude con i soliti dialoghi extradiegetici del regista e
degli attori. A questo punto si ha un intermezzo, che prevede la recitazione di cinque
scenette «sparse e simultanee»19 nel ridotto del teatro, mentre sul palco il Dottor
Hinkfuss prepara una nuova scenografia. Il terzo atto si svolge all’interno di casa La
Croce. Prima la famiglia si unisce in una folkloristica preghiera alla Madonna perché
guarisca il mal di denti della Signora Ignazia, poi le figlie e gli ufficiali mettono in
scena Il Trovatore. Sul più bello arriva Rico Verri, furente e geloso di Mommina, e si
scatena il litigio. Poco dopo compare anche il Vecchio Attore Brillante e, indignato
dal fatto che nessuno gli avesse prestato attenzione, decide di non recitare la sua
propria morte. La Prima Attrice, troppo coinvolta emotivamente, sviene. Sul palco
19 Preambolo, da
http://www.classicitaliani.it/pirandel/drammi/38_pira_recita_soggetto.htm
9
calano
le
luci,
e
mentre
gli
attori
si
vestono
di
nero
per
il
momento
successivo,
il
regista dà conto del proprio operato e della propria creatività nell’aggiungere parti
non presenti nel soggetto. Nel frattempo la stizza della compagnia è andata
crescendo, e non sopportando oltre l’ingerenza del regista, decide di cacciarlo via.
le altre attrici truccano il volto della Prima Attrice e la rendono credibile nella sua
questo momento in poi il copione teatrale si discosta poco dalla novella originale, e
salvo qualche strano ma azzeccato movimento di luci – che gli attori non capiscono
melodrammi di fronte alle figlie, avvengono senza intromissioni di sorta. Alla morte
del personaggio, tutti gli altri rientrano in scena, e con essi anche il regista, che si
complimenta della riuscita dell’atto. Gli attori non sono comunque soddisfatti: lo
svenimento della Prima Attrice, nuovamente troppo coinvolta dal suo ruolo, li
promessa di reintegrare il copione, ma non lo scrittore, il Dottor Hinkfuss si congeda
dal pubblico.
dalle sue aggiunte personali; il terzo dagli interventi metateatrali del Dottor
10
quinto
dalla
voluta
mutevolezza
della
pièce
nel
suo
prevedere,
in
locandina
e
nel
Il ‘soggetto’ di per sé, dunque, altro non è che una scusa per parlare di altro,
ovvero dei rapporti paratestuali, e di come il testo scenico venga riadattato a uso e
consumo del regista e degli attori. È il regista stesso, nel preambolo, a specificare il
Ho
in
questo
rotoletto
di
poche
pagine
tutto
quello
che
mi
serve.
Quasi
niente.
Una
novelletta,
o
poco
più,
appena
appena
qua
e
là
dialogata
da
uno
scrittore
a
voi
non
ignoto
[…]
Ho
preso
una
sua
novella,
come
avrei
potuto
prendere
quella
d’un
altro.
Ho
preferito
una
sua,
perché
tra
tutti
gli
scrittori
di
teatro
è
forse
il
solo
che
abbia
mostrato
di
comprendere
che
l’opera
dello
scrittore
è
finita
nel
punto
stesso
ch’egli
ha
finito
di
scriverne
l’ultima
parola.20
Come
ha
giustamente
notato
Renato
Barilli,
«si
tratta
di
ampliare,
anzi
soggetto di partenza. Le aggiunte del direttore di scena sono quelle che egli definisce
stesso.
La
prendo
[l’opera
dello
scrittore]
a
materia
della
mia
creazione
scenica
e
me
ne
servo,
come
mi
servo
della
bravura
degli
attori
scelti
a
rappresentar
le
parti
secondo
l’interpretazione
che
io
n’avrò
fatta;
e
degli
scenografi
a
cui
ordino
di
dipingere
o
architettar
le
scene;
e
degli
apparatori
che
le
mettono
su;
e
degli
elettricisti
che
le
illuminano;
tutti,
secondo
gli
insegnamenti,
i
suggerimenti,
le
indicazioni
che
avrò
dato
io.
[…]
E
confido
d’avervi
creato
uno
spettacolo
gradevole,
se
quadri
e
scene
procederanno
con
l’attenta
cura
con
cui
io
li
ho
preparati,
così
nel
loro
complesso
come
in
ogni
particolare;
e
se
i
miei
attori
risponderanno
in
tutto
alla
fiducia
che
ho
riposto
in
loro.
Del
resto,
sarò,
io
qua
tra
voi,
pronto
a
intervenire
a
un
bisogno,
o
per
ravviare
a
un
minimo
intoppo
la
rappresentazione,
o
per
supplire
a
qualche
manchevolezza
del
lavoro
con
chiarimenti
e
20
Preambolo,
http://www.classicitaliani.it/pirandel/drammi/38_pira_recita_soggetto.htm
21
Renato
BARILLI,
op.
cit.,
p.
207
22
Preambolo,
http://www.classicitaliani.it/pirandel/drammi/38_pira_recita_soggetto.htm
11
spiegazioni;
il
che
(mi
lusingo)
vi
renderà
più
piacevole
la
novità
di
questo
tentativo
di
recita
a
soggetto.23
Il signor Hinkfuss è regista nel senso che regge, governa gli elementi che
compongono una rappresentazione teatrale, è – con un termine noto alla critica – un
vero e proprio demiurgo. Il suo rapporto con il testo avviene, quindi, nel segno
solo perché noi possiamo ancora rimuoverla dalla fissità della sua forma […]e la vita
glie la diamo allora noi; di tempo in tempo diversa, e varia dall’uno all’altro di noi;
sicché quella che do io non è affatto possibile che sia uguale a quella di un altro».24
Con queste premesse il Dottor Hinkfuss riesce a giustificare con logicità la sua
ingerenza sul testo, in nome di un’interpretazione che gli è propria e che non può
essere di nessun altro, nemmeno dell’autore. A conti fatti, si tratta di un’idea molto
moderna di regista, non più semplice coordinatore, bensì creatore. È bene, tuttavia,
far notare che i termini regia/regista non vengono mai utilizzati da Pirandello, che
parla invece di ‘direttore di scena’, dal francese messeur en scène – i lessemi vennero
proposti e poi adottati su larga scala solo a partire dal 1932.25
Si inizia nell’atto II, che all’interno della finzione teatrale rappresenta il vero
e proprio inizio della commedia a soggetto. Quella che in Leonora, addio! era una
23
Preambolo,
http://www.classicitaliani.it/pirandel/drammi/38_pira_recita_soggetto.htm,
(grassetto
mio)
24
Ibidem
25
Silvio
D’AMICO,
Gianluigi
RONDI,
Regia,
Enciclopedia
Italiana
Treccani,
1949
(appendice
II),
da
http://www.treccani.it/enciclopedia/regia_res-‐bb92f42b-‐87e6-‐11dc-‐8e9d-‐
0016357eee51_%28Enciclopedia-‐Italiana%29/
12
«polverosa
città
dell’interno
della
Sicilia»26,
diventa
sul
palcoscenico
(o
meglio,
nella
con quanto appena affermato, nelle idee del regista la processione non è affatto un
pastore […] e un altro più giovane pastore», «un codazzo di popolani e popolane»;
infine, «al levarsi del sipario e all’entrata della processione, si vedranno sul
otto o nove) che si troveranno a passare per la strada».28 Si capisce che il Dottor
stereotipate («ancor oggi si possano vedere in Sicilia, per Natale, in certe rozze
Scena
capitale,
signori,
per
le
conseguenze
che
porta.
L'ho
trovata
io;
nella
novella
non
c'è;
e
son
certo
anzi
che
l'autore
non
l'avrebbe
mai
messa,
anche
per
uno
scrupolo
ch'io
non
avevo
motivo
di
rispettare:
di
non
ribadire,
cioè,
la
credenza,
molto
diffusa,
che
in
Sicilia
si
faccia
tant'uso
del
coltello.
Se
l'idea
di
far
morire
il
personaggio
gli
fosse
venuta,
l'avrebbe
forse
fatto
morire
d'una
sincope
o
d'altro
accidente.
Ma
voi
vedete
che
altro
effetto
teatrale
consegue
una
morte
come
io
l'ho
immaginata,
col
vino
e
il
sangue
e
un
braccio
al
collo
di
quella
chanteuse.
Il
personaggio
deve
morire;
la
famiglia
piombare
per
questa
morte
nella
miseria.30
Nelle intenzioni del regista, questa scena è «capitale» poiché è quella che
spinge l’azione verso il dramma. Egli si complimenta con se stesso per la propria
(grassetto mio)
13
creatività,
ponendosi
sullo
stesso
gradino
dell’autore,
e
anzi
superandolo.
Da
soprassedere sui cliché – come l’uso del coltello in Sicilia – al fine di accentuarne la
accasciarsi al suolo, morto. Una scena simile sarebbe risultata decisamente in linea
con il tono melodrammatico della vicenda legata a Mommina, che nel finale avrebbe
potuto rivivere questi momenti tragici, confondendoli con le sue opere preferite:
I
fatti
dell'opera,
che
è
Il
Trovatore,
il
più
fosco
e
allucinato
dramma
di
Verdi,
si
confondono
con
quelli
della
vita.
Altri
personaggi
si
affacciano
alla
sua
mente.
Tre
eroi,
Raul,
Ernani,
Don
Alvaro,
hanno
duellato
per
conquistarla.
Una
notte
il
padre
fu
riportato
a
casa
tutto
sanguinante
e
aveva
accanto
una
specie
di
zingara.
Quella
notte
si
compì
il
suo
destino.31
32
piani della diegesi pirandelliana: si ha un esempio di creazione scenica del regista, il
della compagnia. Dal canto suo il Vecchio Attore Brillante entra ed esce dalla sua
recitando
le
ultime
battute
di
Manrico,
nel
Trovatore,
ma
curiosamente
non
le
stesse
di
Leonora,
addio!.
La
scelta
ricade
qui
sulla
battuta
immediatamente
precedente:
«Ah!
che
la
morte
ognora
/
è
tarda
nel
venir
/
a
chi
desia
/
a
chi
desia
morir!
/
Addio,
addio,
Leonora,
addio...».
Nessun
riferimento,
qui,
al
bisogno
di
essere
ricordati
oltre
la
morte,
ma
il
cambiamento
può
essere
dovuto
al
fatto
che
Mommina
nella
pièce
ha
coscienza
di
essere
un
personaggio,
mentre
nella
novella
questa
metaletterarietà
andava
integrata.
14
parte
con
grande
disinvoltura,
imponendo
agli
altri,
di
volta
in
volta,
di
reggergli
il
gioco. A sipario abbassato il Dottor Hinkfuss riprende il suo dialogo con il pubblico:
L'effetto
è
in
parte
mancato;
ma
prometto
che
s'otterrà
domani
sera,
potentissimo.
Capita,
anche
nella
vita,
signori,
che
un
effetto
preparato
con
diligenza,
e
su
cui
contavamo,
venga
sul
meglio
a
mancare
e
seguano
naturalmente
i
rimproveri
alla
moglie,
alle
figliuole:
«Tu
dovevi
far
questo»
e
«Tu
dovevi
dire
così!».
È
vero
che
qui
era
un
caso
di
morte.
Peccato,
che
il
mio
bravo...
si
sia
così
impuntato
sulla
sua
entrata!
Ma
l'attore
è
valente;
saprà
certo
domani
sera
disimpegnarsi
di
questa
scena
a
maraviglia.33
livello diegetico, alla cornice diciamo, ma nel momento in cui Pirandello fa uso del
metateatrale.
dell’autore Pirandello. È tuttavia arduo stabilire in che misura il regista sia alter ego
dell’autore, e in che misura sia invece una caricatura. Su questo punto la critica ha
fatto che Pirandello è egli stesso sia autore sia capocomico, in parte perché la pièce è
stata pensata prima di tutto per un pubblico e una compagnia tedeschi, e solo dopo
15
‘tradotta’
a
uso
italiano.34
Già
i
commenti
della
stampa
all’indomani
della
prima
a
La
recensione
su
«La
Stampa»
di
Francesco
Bernardelli
[15
aprile
1930]
coglie
bene
l’essenza
dell’opera
in
quanto
«dramma
della
realizzazione
teatrale
e
insieme
la
satira
delle
smanie
attuali
per
la
messa
in
scena».
[…]
È
così
poco
importante,
il
testo
teatrale,
che
esso
può
anche
non
esserci
[…].
Ciò
che
conta
è
la
rielaborazione
che
farà
il
metteur
en
scène,
utilizzando
gli
attori
come
marionette.
[…]
Ancora
Bernardelli:
«I
comici
diventano
per
istinto
vitale
creatori
dei
propri
personaggi;
ma
[…]
essi
vogliono
ora,
e
invocano,
la
suprema
coercizione,
che
è
la
bellezza
dell’opera
compiuta.
Vogliono
insomma
il
poeta
tiranno».35
melodramma alla riflessione, o comunque che l’intento metateatrale non da tutti è
percepito come istanza principale. Di tutt’altro parere è Silvio D’Amico (18 giugno
1930):
Avevamo
letto
che,
buttandosi
decisamente
dalla
parte
di
quegli
autori
i
quali
oggi
si
ribellano
all'invadenza
(ahimè,
anche
economica)
del
metteur
en
scène,
Pirandello
avrebbe
fatto,
nel
suo
lavoro,
la
satira
di
cotesta
invadenza.
Ma
l'asserzione
ci
pare
tutt'altro
che
esatta
[…].
Il
motivo
fondamentale
di
Questa
sera
si
recita
a
soggetto
è
che,
in
fondo,
tutte
le
sere
si
recita
a
soggetto.
[…]
perché,
insomma,
l'opera
del
poeta
si
conosce
nel
libro,
a
teatro
si
conosce
l'opera
degli
artisti
che,
rappresentandola,
la
ricreano
a
modo
loro.37
necessario per la messa in scena stessa. A supporto della sua tesi, D’Amico ribadisce
34 A Marta Abba, Pirandello scrive: «[…] ho scritto il lavoro in vista dei teatri di qua e degli attori e
attrici
di
qua»
(Germania,
7
aprile
1929)
in
Luigi
PIRANDELLO,
Lettere
a
Marta
Abba,
a
cura
di
B.
Ortolani,
Milano,
Mondadori,
1995
35
Roberto
ALONGE,
Teoria
e
tecnica
della
messinscena
nella
trilogia
del
teatro
nel
teatro,
in
Pirandello
e
il
linguaggio
della
scena,
a
cura
di
E.
Lauretta,
Agrigento,
Centro
Nazionale
Studi
Pirandelliani,
2002,
pp.
16-‐17
36
Ivi,
p.
17
37
Silvio
D’AMICO,
Apologia
del
regista,
in
Cronache
del
teatro,
a
cura
di
E.
Palmieri
e
A.
D'Amico,
Bari,
16
come
«il
terz'atto,
quello
della
reclusione,
svolge
senza
interventi
del
régisseur
le
sue
tinte cupe, affidate alla libera improvvisazione degli attori: e forse appunto per la
sua scura monotonia, non più variata dai brillanti incidenti a cui il pubblico aveva
preso gusto, non è quello che lo stesso pubblico goda di più».38 In sostanza il critico
ritiene che sotto le spoglie del direttore di scena si celi veramente Pirandello autore,
e che la pièce non sia una satira, bensì «nonostante alcune ironie di dettaglio,
sostanziale apologia del metteur in scéne, creatore e signore dello spettacolo».39
Ancora. Artioli, sulla base della traduzione dal tedesco di Hinkfuss, ovvero «pie’
zoppo»40, afferma che «alludendo alle friabili basi del regno registico, la simbolica
Hinkfuss
che,
nel
discorso
della
Corona,
arroga
a
se
stesso
ogni
responsabilità,
è
contemporaneamente
il
garante
dell'Ordine
e
la
causa
di
Disordine,
la
salvaguardia
dell'Istituzione
e
colui
che
può
condurla
in
rovina.
[…]
Va
da
sé
che
Pirandello,
profilando
dietro
la
figura
di
Hinkfuss
il
mito
d'Edipo,
non
fa
che
proiettare
sul
tema
una
sua
convinzione
di
sempre:
il
padre
del
teatro,
l'unico
ad
avere
contatto
con
l'imago
originaria,
è
il
drammaturgo.
Se
il
regista
misconosce
questa
paternità
e,
smanioso
d'affermare
il
suo
io,
inonda
la
scena
di
risibili
icone,
l'arte
teatrale,
a
partire
dal
suo
prezioso
supporto
-‐
l'attore
,
conosce
un
inesorabile
declino.42
Se accettassimo questa interpretazione, e ritenessimo il regista tanto preso nella sua
l’autore dall’equazione, come si spiegherebbe l’insistenza di Pirandello sul conflitto
38
Ibidem
39
Ibidem
40
Umberto
ARTIOLI,
Il
nome
e
il
nume:
alla
ricerca
della
scrittura
seconda,
in
L’officina
segreta
di
Pirandello,
Roma-‐Bari,
Laterza,
1989
da
http://www.pirandelloweb.com/intorno/sicilia_teatro_questa_sera_si_recita_a_soggetto.htm#artioli
41
Ibidem
42
Ibidem
43
Ibidem
17
Vita-‐Forma?
Possiamo
davvero
credere
che
non
ci
sia
l’autore
dietro
ad
affermazioni
[…]
v’invito
a
considerare
che
un’opera
d’arte
è
fissata
per
sempre
in
una
forma
immutabile
che
rappresenta
la
liberazione
del
poeta
dal
suo
travaglio
creativo:
la
perfetta
quiete
raggiunta
dopo
tutte
le
agitazioni
di
questo
travaglio.
[…]
Se
la
vita
si
movesse
sempre,
non
consisterebbe
mai:
se
consistesse
per
sempre,
non
si
moverebbe
più.
E
la
vita
bisogna
che
consista
e
si
muova.
Il
poeta
s’illude
quando
crede
d’aver
trovato
la
liberazione
e
raggiunto
la
quiete
fissando
per
sempre
in
una
forma
immutabile
la
sua
opera
d’arte.
Ha
soltanto
finito
di
vivere
questa
sua
opera.
La
liberazione
e
la
quiete
non
si
hanno
se
non
a
costo
di
finire
di
vivere.
[…]
Se
un’opera
d’arte
sopravvive
è
solo
perché
noi
possiamo
ancora
rimuoverla
dalla
fissità
della
sua
forma;
sciogliere
questa
sua
forma
dentro
di
noi
in
movimento
vitale;
e
la
vita
glie
la
diamo
allora
noi;
di
tempo
in
tempo
diversa,
e
varia
dall’uno
all’altro
di
noi;
tante
vite,
e
non
una;
come
si
può
desumere
dalle
continue
discussioni
che
se
ne
fanno
e
che
nascono
dal
non
voler
credere
appunto
questo:
che
siamo
noi
a
dar
questa
vita;
sicché
quella
che
do
io
non
è
affatto
possibile
che
sia
uguale
a
quella
di
un
altro.44
E,
inoltre,
come
spieghiamo
la
scena
finale
della
pièce,
quando
il
Dottor
Hinkfuss
si
IL
DOTTOR
HINKFUSS:
Magnifico!
Magnifico
quadro!
Avete
fatto
come
dicevo
io!
Questo,
nella
novella,
non
c'è!
L’ATTRICE
CARATTERISTA:
Eccolo
qua
di
nuovo!
L’ATTORE
BRILLANTE:
(sopravvenendo
da
sinistra)
Ma
è
stato
sempre
qua,
con
gli
elettricisti,
a
governar
di
nascosto
tutti
gli
effetti
di
luce!
NENÈ:
Ah,
per
questo,
così
belli...
TOTINA:
L'ho
sospettato,
quando
siamo
apparse
là
in
gruppo...
Indica,
dall'altra
parte,
a
destra,
dietro
la
parete:
...
chi
sa
che
bell'effetto
da
giù!
DORINA:
(indicando
l'Attore
Brillante)
Mi
pareva
assai
che
l'avesse
ottenuto
lui!
L’ATTRICE
CARATTERISTA:
(mostrando
la
Prima
Attrice
ancora
a
terra)
Ma
perché
non
s'alza
la
signorina?
Se
ne
sta
ancora
lí...
L’ATTORE
BRILLANTE:
Ohè,
non
sarà
morta
per
davvero?
Tutti
si
chinano
premurosi
su
la
Prima
Attrice.
IL
PRIMO
ATTORE:
(chiamandola
e
scotendola)
Signorina...
signorina...
L’ATTRICE
CARATTERISTA:
Si
sente
male
davvero?
NENÈ:
Oh
Dio,
è
svenuta!
Solleviamola!
18
LA
PRIMA
ATTRICE:
(sollevandosi
da
sé
col
solo
busto).
No...
grazie...
È
il
cuore,
davvero...
Mi
lascino,
mi
lascino
respirare...
L’ATTORE
BRILLANTE:
Eh,
sfido!
Se
vuole
che
si
viva...
Ecco
le
conseguenze!
Ma
noi
non
siamo
qua
per
questo,
sa!
Noi
siamo
qua
per
recitare,
parti
scritte,
imparate
a
memoria.
Non
pretenderà
mica
che
ogni
sera
uno
di
noi
ci
lasci
la
pelle!
IL
PRIMO
ATTORE:
Ci
vuole
l’autore!
IL
DOTTOR
HINKFUSS:
No,
l’autore
no!
Le
parti
scritte,
sì,
se
mai,
perché
riabbiano
vita
da
noi,
per
un
momento,
e...
rivolto
al
pubblico
senza
più
le
impertinenze
di
questa
sera,
che
il
pubblico.45
In queste ultime battute si assiste a un compromesso tra attori e regista, che porta a
direttore, perché è attraverso il suo coordinamento che la loro bravura risalta (con
l’uso delle luci al momento giusto, per esempio), e d’altro canto il regista modifica le
sue convinzioni sul recitare a soggetto, poiché non è comunque la mancanza di testo
scritto a rendere una commedia più viva. Ogni recitazione, anche quella legata ad un
testo e a battute fissate, è comunque interpretazione, proprio in virtù del fatto che
«può tradursi in vita e tornare a muoversi ciò che l’arte fissò nell’immutabilità d’una
forma; a patto che questa forma riabbia movimento da noi, una vita varia e diversa e
momentanea: quella che ciascuno di noi sarà capace di darle»46. Scrive Barilli al
riguardo:
[…]
ciò
è
quanto
basta
a
Pirandello,
che
non
ha
mai
difeso
la
concezione
di
un
autore
forte,
abbarbicato
all’esibizione
narcisistica
del
proprio
Ego;
egli
ha
difeso
tutt’al
più
un
autore-‐
funzione,
che
si
esplichi
appunto
nel
dotare
il
dramma
di
un
testo
scritto.47
19
In
definitiva
un
Pirandello
fautore
di
un’idea
più
misurata,
capace
di
tener
conto
del
peso
della
tradizione
attorica,
assai
forte
in
Italia.
[…]
[Scrive
Pirandello
(22
aprile
1930)]
«La
sua
[di
Hartung]
régie
m’importa
fino
a
un
certo
punto;
voglio
vedere
gli
attori».
[…]
[Ma
allo
stesso
tempo],
ribadisce
più
volte
che
è
necessario
piegare
l’individualismo
degli
attori.48
In
conclusione:
Pirandello
teorizza
insomma,
sì,
il
regista
servo
d’autore,
ma
va
scoprendo
per
intanto,
forse
senza
nemmeno
rendersene
troppo
conto,
tutta
l’importanza
capitale
del
lavoro
del
metteur
en
scène,
tutta
l’autonoma
creatività
dello
spettacolo.49
Questa sera, più ancora delle precedenti, è un’opera complessa, ambigua nel
suo affrontare un tema tanto spinoso come il rapporto tra lo scrittore e il direttore
di scena, tra il soggetto e la regia teatrale. Quello che resta della riflessione
integrarli nella sua creazione. Come Pirandello adopera versi tratti dai libretti di
opere famose, riadattandoli o storpiandoli affinché siano coerenti con la storia che
vuole raccontare, così il regista si approccia a una materia preesistente e le dà nuova
vita, la interiorizza fino a farla propria. L’autore ‘originale’, quindi, diventa una fonte
di ispirazione, ma non necessariamente un comprimario, poiché una volta fissato, il
testo diventa patrimonio di chiunque ne voglia usufruire. Questa sera è l’ultima pièce
20
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