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CORSO DI TEORIA MUSICALE E CANTO LEGGERO

by Virdust

Lezione n°1

Introduzione alla tecnica vocale

Cantare è un'arte e significa utilizzare alcune parti del nostro corpo:

• le corde vocali innanzitutto (dalle loro vibrazioni esce all’esterno del nostro corpo la voce);
• la faringe (chiamata comunemente anche GOLA) è un muscolo a forma di canale che
deformandosi, in lungo e/o in largo, ha la capacità di modifi care gli effetti della risonanza del
suono nella testa;
• i polmoni (sono il serbatoio per l’aria che utilizziamo per far vibrare le corde vocali);
• il diaframma ( è un muscolo a forma di cupola, sottile e flessibile, che separa il torace
dall’addome, dalla sua cooperazione con i polmoni e i muscoli addominali nasce la colonna
d’aria destinata a trasformarsi in suono con le vibrazioni delle corde vocali);
• i muscoli addominali (aiutano il diaframma a comprimere i polmoni e a far uscire la colonna
d’aria);
• i muscoli del collo e delle spa*le (per una corretta postura durante l’esecuzione di una
canzone).

Quindi per cantare bene bisogna utilizzare in modo corretto alcune parti del nostro corpo.
Se utilizziamo in modo errato le corde vocali, causiamo delle infiammazioni dell’apparato
fonatorio, accompagnate da conseguenti abbassamenti di voce.

Se questo utilizzo nocivo persiste nel tempo, ci possono essere delle conseguenze anche più
gravi(cistiti, noduli, etc…)!

Quanto è stato detto finora non vale solo per i cantanti, ma anche chi usa il parlato per
professione (doppiatori, attori, speaker, conferenzieri, insegnanti, venditori ecc. ecc), nonché per
chi vuole comunque parlare correttamente (sempre più persone oggigiorno si rivolgono per
questo al medico - logopedista).
Per cantare bene occorre acquisire una tecnica. Chiaramente ogni genere musicale ha una sua
specifica tecnica, quindi diffidate, per esempio, dall’insegnante di musica lirica che vuole
insegnare canto leggero e viceversa.
Importantissimo è conoscere i propri limiti, che , attraverso lo studio del canto, possono variare,
per evitare così i danni sopra citati.

Tanti sono i vantaggi che si hanno utilizzando una buona tecnica nel cantare:
• Possiamo aumentare la nostra estensione vocale (saremo cioè in grado di cantare note più
basse e note più alte di quanto non avessimo mai creduto).
• Possiamo avere sempre una perfetta intonazione.
• Possiamo rendere la nostra voce più gradevole e armoniosa all’ascolto.
• Possiamo cantare più a lungo ed evitare, così, che la voce si abbassi.
N.B.: Ci tengo a precisare che ogni caso è a sé e che l’ascolto da parte dell’insegnante è molto
importante per correggere eventuali errori (questo si sa, non vale solo per il canto), ma queste
sono regole generali che valgono un po’ per tutti!
La respirazione diaframmatica

Siete stonati??Niente paura!!

Partiamo dal presupposto che praticamente tutti possono cantare bene. Prova ne è che nei
paesi nordici, dove è molto sentito il canto corale, gli stonati sono praticamente inesistenti.
Le persone completamente stonate sono rarissime, e debbono questa loro condizione perlopiù
ad una anomalia che risiede in una zona ben precisa del cervello, oppure a seri problemi di
udito, tutti gli altri che si definiscono “completamente stonati” sono probabilmente soltanto
diseducati al canto e non hanno mai preso in seria considerazione lo studio del canto.
E’ chiaro che poi, come per tutte le altre attività umane, ci sono persone particolarmente
predisposte al canto , ma ripeto, gli stonati totali sono casi rarissimi.

Iniziamo con un po’ di pratica!!

1. Immettete nei polmoni una gran quantità d’aria, stando attenti a non alzare le spa*le e a
gonfiare la cassa toracica (vi consiglio di mettervi davanti allo specchio per controllare il
procedimento).
2. Trattenete l’aria per qualche secondo e poi “svuotate” i polmoni emettendo il suono “O”,
facendo assumere alla vostra bocca una posizione più tondeggiante possibile (esagerate!!).
3. Quest’ultima è detta bocca (udite, udite!!) a “culo di gallina”!!
4. Quando decidiamo di espirare dobbiamo mantenere ben tonici i muscoli addominali onde
fornire la giusta pressione sul diaframma e regolare quindi l’emissione dell’aria così come noi
vogliamo mantenendo così costante e prolungato nel tempo lo svuotamento dei polmoni. Il flusso
di aria emessa dovrebbe essere il più possibile costante. Eventuali tremoli si ripercuoteranno
anche sulla stabilità della nota quando andremo a cantare. Un vecchio trucco per vedere se
stiamo facendo bene ed esercitarci è quello di emettere l'aria sulla fiammella di una candela. Se il
flusso sarà costante, come deve essere, la fiammella sarà sempre piegata con una inclinazione
sempre uguale. Se si alza e si abbassa in continuazione il nostri flusso di aria non è costante.
5. Questi movimenti vanno fatti lentamente, cioè inspirando ed espirando con calma, e vanno
ripetuti varie volte.

Lezione n°2

Respirazione diaframmatica (approfondimento) e postura nel canto

Il diaframma

E’ un muscolo a forma di cupola, sottile e flessibile, che separa il torace dall’addome. Dalla sua
cooperazione con i polmoni e i muscoli addominali nasce la colonna d’aria destinata a
trasformarsi in suono con le vibrazioni delle corde vocali. Durante l’inspirazione il diaframma,
compresso dalla base dei polmoni che si gonfiano, si abbassa assumendo una forma
pianeggiante. Quando espiriamo, invece, i polmoni si sgonfiano e il diaframma si risolleva.
Oltre che a separare due cavità con funzionalità differenti, il diaframma è il nostro fondamentale
sostegno del suono: è qui che avviene il cosiddetto 'appoggio'. Con un'immagine fantasiosa
possiamo dire che il diaframma è il 'vassoio' che sostiene il suono.

Nella prima lezione abbiamo parlato di come effettuare una buona respirazione diaframmatica.

Abbiamo detto che, per cominciare a respirare correttamente, bisogna immettere una gran
quantità d’aria nei polmoni, stando attenti a non alzare le spa*le e a gonfiare la cassa toracica.
Bisogna , inoltre, cercare di spingere l’aria inspirata verso la pancia, percependo, così, la
sensazione di un palloncino che si gonfia nel nostro addome (in questo modo stiamo
convogliando l’aria inspirata anche nella parte bassa dei polmoni costringendo il diaframma a
spostarsi verso il basso sotto la spinta dei polmoni).

Quella diaframmatica, allora, non è altro che una respirazione effettuata con tutto il polmone.

Per avere un’idea di questo tipo di respirazione “completa”, effettuata nel modo più naturale
possibile, bisogna osservare i bambini molto piccoli.
La loro, infatti, i quali non sono diventati ancora vittime dello stress della vita quotidiana, è quella
respirazione che noi abbiamo perduto da tempo e dobbiamo, quindi, imparare di nuovo.

N.B.: Per verificare se la vostra respirazione diaframmatica è corretta, mettetevi davanti ad un


grande specchio e fate un bel respirone. Se nell'inspirare le spa*le si alzano, allora la vostra
respirazione va rivista. Se invece, sempre facendo un bel respiro, le spa*le rimangono immobili e
l'aria inspirata vi va a gonfiare l'addome, (questo accade perchè a gonfiarsi sono la parte bassa
dei polmoni) allora va tutto bene, la vostra respirazione diaframmatica è corretta. Ora si tratta
solo di applicarla al canto!!

La postura

Molto importante nel canto è anche la postura, sia da un punto di vista fisico che estetico. Una
adeguata postura permette al suono di sfruttare al meglio le risonanze naturali del nostro corpo.

La nostra posizione, allora, deve essere rilassata e sicura nello stesso tempo:

1.VERTICALITA’ DELLA COLONNA VERTEBRALE


2. GINOCCHIA LEGGERMENTE FLESSSE E MANTENUTE ELASTICHE

Questa posizione permette di avere una buona distribuzione del peso sul tutto il corpo e ottenere
una postura che favorisca l’appoggio e una buona respirazione.

LE GAMBE DEVONO ESSERE LEGGERMENTE DIVARICATE

Il bacino si sposta leggermente in avanti, sostenuto in questo dalla lieve flessione delle ginocchia.
Il tronco va tenuto eretto.
Le spa*le vanno tenute basse e il collo ben rilassato.
La testa va tenuta dritta con lo sguardo fisso in avanti verso un punto qualsiasi.

vProcediamo con un po’ di pratica:

Per esercitare la respirazione addominale.

Questo esercizio ci insegna ad utilizzare la pancia nella respirazione.


Sdraiamoci in posizione supina su una superficie rigida. Appoggiamo bene le spa*le a terra.
Posiamo una mano sull'ombelico. Inspiriamo col naso e gonfiamo la pancia. Dobbiamo vedere la
nostra mano che si alza per effetto dell'aria che ci riempie.
Tratteniamo l'aria per 2-3 secondi. Espiriamo con la bocca sgonfiando la pancia. La nostra mano
segue anche la fine di questo movimento. Prima di riprendere restiamo un paio di secondi con il
corpo svuotato.
Tecniche di rilassamento corporeo

La respirazione diaframmatica, se eseguita correttamente, insieme all’assunzione di una corretta


postura, contribuiscono entrambe al rilassamento totale del nostro corpo.
Non a caso, questo tipo di respirazione è molto simile a quella effettuata nelle tecniche di
meditazione “mantra”, tipiche della tradizione indiana.
Se, per esempio, mentre si effettua la respirazione “a pieni polmoni”, eseguita molto lentamente e
assumendo una posizione più comoda possibile, si pronunciano con un filo di voce le parole “am”
e “so” (rispettivamente all’atto dell’inspirazione e dell’espirazione), che dal sanscrito (lingua
antichissima) significano “io esisto”, il nostro corpo ne trarrà immediato giovamento e si avrà un
sensazione di relax totale.

vParte dei contenuti delle lezioni sono rielaborazioni di appunti ed immagini scaricate dal web.

Lezione n°3

Nozioni di teoria musicale

Iniziamo con la parte un po’ più noiosa del corso, ma indispensabile per un buon cantante per
essere, appunto, definito tale.
Niente paura però!!! E’ solo “un’infarinatura” per permettere a chiunque di avere conoscenze di
base (se non le avete già) della teoria musicale.

Il suono e le sue caratteristiche

Il suono è l'elemento che costituisce la musica ed è riconoscibile attraverso quattro attributi:


Altezza, Durata, Timbro e Intensità.

L'altezza di un suono è ciò che ci permette di dire se un suono è grave (basso) o acuto (alto).

La durata è la proprietà del suono di durare nel tempo. Durate diverse di suoni successivi danno
vita al ritmo (disposizione dei suoni nel tempo).

Il timbro è l'impronta che un certo strumento dà al suono. E' quindi quella caratteristica che ci
permette di distinguere, per esempio, il suono di un pianoforte da quello di una chitarra.

L'intensità di un suono è data dalla forza con cui viene prodotto o percepito.
L'alternarsi di suoni forti e deboli genera la dinamica.

Le note musicali

Chi di noi non conosce le note musicali?!?


Beh, per chi ancora non lo sapesse, le note sono 7 e sono:
DO – RE – MI – FA – SOL – LA – SI.

Nota storica: Gli attuali nomi delle note in uso nei paesi latini risalgono al XII secolo e la
definizione del loro criterio e del loro nome è attribuita a Guido d’Arezzo; corrispondono alle
sillabe iniziali dei primi sei versetti di un inno a San Giovanni Battista:UT queant laxis REsonare
fibris MIra gestorum FAmuli tuorum SOLve polluti LAbii reatum, Sancte Iohannes (affinché i tuoi
servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato, o santo
Giovanni, dalle loro labbra indegne). Nel XVI secolo la settima nota riceve il suo nome definitivo
(SI, dalle iniziali di Sancte Iohannes) e nel XVII secolo la nota UT (nome ancora oggi usato in
Francia) viene sostituita con il nome attuale DO. Anticamente si usava una notazione di origine
greca che utilizzava le lettere dell’alfabeto. Tale notazione è ancora in uso nei paesi di lingua
inglese:
A = LA ; B = SI ; C = DO ; D = RE ; E = MI ; F = FA ; G = SOL.
La notazione letterale è tuttora in uso anche nei paesi di lingua tedesca, con un'unica differenza:
la nota SI viene indicata con la lettera H (mentre B corrisponde al si bemolle).

Esse vengono rappresentate sul pentagramma in modo da distinguerne l’altezza.

In realtà, i suoni producibili sono ben più di sette. Quindi, per raffigurarli tutti, occorre ripetere la
sequenza delle sette note più volte a diverse altezze.

Questo provoca la ripetizione dei nomi ogni sette note. L'ottava nota ha lo stesso nome della
prima. Infatti la distanza tra due note di ugual nome ma di altezza diversa si chiama "ottava".

Piu' precisamente l'ottava e' divisa in dodici parti uguali: i sette suoni principali e le cinque
alterazioni. Queste dodici frazioni sono chiamate semitoni; due semitoni formano un tono. Per
capire meglio questo concetto si pensi alla tastiera di un pianoforte, composta di tasti bianchi e
tasti neri. I tasti bianchi corrispondono ai sette suoni principali (le sette note), i tasti neri alle loro
alterazioni. Il passaggio da un tasto a quello adiacente (bianco o nero) e' un semitono (o
mezzotono).

La laringe e le corde vocali

La laringe è la fonte di produzione del suono. Si tratta di un organo mobile formato da cartilagini,
la più voluminosa delle quali è la cartilagine tiroidea, o pomo d'Adamo, visibile sulla parte
anteriore del collo (soprattutto negli uomini). Questa cartilagine è la più voluminosa di tutte e
costituisce una sorta di scudo protettivo per le altre cartilagini della laringe.
All'interno della cavità laringea troviamo le corde vocali o “pieghe vocali”.
Esse sono quattro, due “false” (superiori) e due “vere” (inferiori), per parlare e cantare vengono
usate solo quelle “vere”.
Sono ripiegature della mucosa laringea ,spesse, di colore bianco-perla tra le quali c'è uno spazio
di circa 2 mm.

Il suono si produce utilizzando il passaggio dell'aria tra le corde vere, unitamente all'azione dei
muscoli vocali che sono, a loro volta, comandati dai centri nervosi cerebrali.
Lo spazio allungato in cui le corde vocali sono collocate si chiama glottide o rima glottica. La
misura della lunghezza della glottide, e dunque delle corde vocali, è di circa 14-20 mm nella
donna e 18-25 mm nell'uomo. La misura della larghezza della fessura tra le corde, varia a
seconda dei movimenti delle corde. Aumentando l'altezza del suono le corde si avvicinano
sempre di più fino a chiusura quasi totale nei suoni alti. La misura di massima apertura si ottiene
durante il riposo (il silenzio) ed è di circa 7 mm.

fig.1 Corde in fonozione fig.2 Corde a riposo


Le differenze timbriche della voce dipendono anche dallo spessore delle corde: le corde più sottili
appartengono a persone con voce più leggera ed acuta; corde grosse producono invece suoni
più gravi.

Emissione e attacco del suono

L’emissione del suono vocale deve iniziare dopo che l’inspirazione è completamente ultimata;
l’atto deve essere del tutto naturale. Effettuata l’inspirazione nasale, bisogna abbassare la
mascella inferiore, cercando di mantenere i muscoli del collo, della testa e del viso in uno stato di
calma e di riposo, atteggiando le parti mobili della bocca (labbra, lingua) come per la pronuncia
della vocale “A”.
L’attacco del suono consiste nel passaggio delle corde vocali dalla posizione normale respiratoria
a quella fonatoria. La bocca dovrà chiudersi solo dopo che il suono sarà del tutto terminato,
evitando così fastidiosi suoni gutturali finali.

Procediamo con un po’ di pratica…

Esercizio n° 1

N.B.: Prenotatevi per ricevere il file mp3 " Esercizio n° 1" in "Prenotazione esercizio vocale n°1"!!!

Si tratta di una serie di vocalizzi per incominciare ad allenare la voce in modo corretto rendendola
più melodica.
E’ un esercizio molto semplice (standard), adatto sia a voci maschili che a quelle femminili, in
quanto si sviluppa nella tessitura centrale, che custodisce i caratteri timbrici naturali. Per cui, gli
uomini tenderanno naturalmente ad intonare le note “un’ottava sotto”(a meno che non abbiano un
estensione abbastanza acuta), mentre le donne intoneranno l’esercizio nell’ottava in cui è
suonato quest’ultimo.
Eseguite l’esercizio diverse volte, cercando di intonare le note e pronunciando (esagerate
nell’articolazione della bocca!) la seguente successione di sillabe : GEF – GHEN – MIC – SONG
– AIR – LES – GO – UIN – GEF.
Queste ultime non significano assolutamente nulla, ma sono state studiate, recentemente, per
associare all’intonazione di ogni nota la giusta apertura (nonostante l’esagerazione dei movimenti
che vi ho consigliato).
Ammetto che è difficile esercitarsi senza l’aiuto di un maestro che possa correggere eventuali
errori, ma non dovrebbero esserci grosse difficoltà!!
Si tratta di un modo innovativo di eseguire esercizi vocali standard (molti maestri di canto non ne
sono neppure a conoscenza), ma ricordate di utilizzare la respirazione diaframmatica, di
assumere la postura corretta (vedi lezioni 1 – 2) e , soprattutto, di non forzare mai la voce.

Lezione n°4

Nozioni di teoria musicale

Le alterazioni

Le alterazioni hanno la funzione di aumentare o diminuire l’altezza di un suono naturale


(principale) di un semitono (o di un tono, nel caso di alterazioni doppie). Le note alterate
corrisponderanno quindi ai tasti neri del pianoforte. Le alterazioni sono due: il Diesis (simbolo # ),
alterazione ascendente, e il Bemolle (simbolo b), alterazione discendente. Ogni tasto nero,
perciò, potrà contemporaneamente avere due nomi. Ad esempio, il tasto nero tra Do e Re potrà
chiamarsi Do diesis o Re bemolle, quello tra Fa e Sol Fa diesis o Sol bemolle, ecc.

Le alterazioni vengono neutralizzate dal Bequadro, che riporta il suono alla nota naturale.

Il pentagramma

Il pentagramma, detto anche "rigo" musicale, è composto di 5 linee orizzontali e 4 spazi. Linee e
spazi si contano dal basso verso l'alto.

Su di esso le note sono disposte in modo alternato sulle linee e negli spazi. Se una nota è
posizionata su una linea, quella che nella sequenza delle sette note viene dopo, occupa uno
spazio. Ad esempio se sulla prima linea c'è un mi, allora nel primo spazio c'è un fa.

Le note sulle linee, quindi, sono: MI – SOL – SI – RE – FA ; mentre quelle negli spazi sono: FA –
LA – DO – MI .

Per meglio associare il nome delle note alla rispettiva posizione sul rigo musicale, è preferibile
memorizzare le note sulle linee separatamente da quelle negli spazi.
Il pentagramma permette di contenere solo 9 note (5 sulle linee e 4 negli spazi). Tuttavia, ciò non
basta a rappresentare le note più acute e quelle più gravi.
Quindi è stato introdotto un sistema per estendere il pentagramma ogni qual volta ve ne sia
bisogno. Bisogna, cioè, usare dei "tagli addizionali", vale a dire dei trattini che servono a creare
temporaneamente nuove linee e nuovi spazi sopra e sotto il rigo musicale.

Sul margine sinistro del pentagramma sono indicate la chiave, il tempo e la tonalità. E' suddiviso
in battute, o misure, che sono spazi compresi tra due linee verticali.

Criteri per la classificazione delle voci

E’ piuttosto comune fare una sommaria distinzione fra le voci acute e quelle gravi, ignorando e
confondendo alcuni termini (estensione, tessitura, timbro o colore, volume o intensità)
indispensabili alla precisa definizione delle caratteristiche di una voce.
L’ESTENSIONE : è il numero di note che il cantante può eseguire partendo dal suono più grave
(basso) che riesce ad emettere fino a raggiungere quello più acuto (alto).

LA TESSITURA : è la parte dell’estensione di una voce nella quale l’emissione delle note risulta
più spontanea e comoda. Talvolta con questo termine si intende anche, con riferimento ad un
brano musicale, l’altezza media delle note che compongono una melodia.

IL TIMBRO (o colore) : spesso definito anche pasta, è una caratteristica della voce che non può
essere cambiata se non in minima parte. Il timbro esprime la fisionomia di un suono e permette di
distinguere una voce dalle altre (si pensi ad esempio al particolare timbro della voce di Mia
Martini o di Carmen Consoli).

IL VOLUME (o intensità): il volume di una voce può essere forte oppure piano. Chiaramente con
tutte le gradazioni del caso. Nel canto si può variare e mantenere l’intensità della voce con un
delicato gioco di compensazioni tra tecnica vocale, forza fisica e indole personale. Ricordate però
che è un errore concentrare gli sforzi sul potenziamento del volume attraverso il fiato, perchè può
portare a un logoramento dell’organo vocale, in più, rischia di essere inefficace, quando non
fastidioso. L’intensità del suono va utilizzata e dosata in funzione dell’espressività e non come
valore in sè. E tenete sempre presente che alto volume non significa alta qualità.

Lezione n°5

Nozioni di teoria musicale


Violino

Le chiavi musicali

Le chiavi musicali sono segni che indicano come leggere le note sul pentagramma.
Convenzionalmente, sono sette: Chiave di violino o chiave di sol; Chiave di Basso o chiave di Fa;
Chiave di tenore; Chiave di soprano; Chiave di mezzosoprano ;Chiave di contralto o chiave di Do;
Chiave di baritono.
La più usata e' la chiave di violino, che fissa la posizione del Sol sulla seconda riga. Da lì si può
determinare la posizione delle altre note.

Altra chiave frequentemente utilizzata e' la chiave di Basso, che determina la posizione del Fa
sulla quarta riga

Voce di petto, voce di testa e falsetto

Ogni voce, anche quella non allenata, si sviluppa almeno su due registri: quello di petto o basso e
quello di testa o alto.
La voce di petto è un'emissione dal timbro grave e scuro, ottenuta utilizzando le sole vibrazioni
della scatola cranica.
La voce di testa è un'emissione, invece, dal timbro sottile, ottenuta utilizzando le sole vibrazioni
della scatola cranica.
Una delle proprietà del suono è quella di propagarsi attraverso le ossa del corpo umano. Si
capisce, dunque, perché la testa e il petto, siano zone di risonanza importantissime.
Nella voce di petto è presente una componente della voce di testa e viceversa. Le interferenze
della voce di testa su quella di petto sono più consistenti dell'inverso.

Con l'esercizio teso a migliorare la voce di petto si ottiene anche un benefico effetto sulla voce di
testa.
E, viceversa, migliorando la voce di testa, la voce di petto risulterà più brillante.
Le due voci sono assolutamente interconnesse. Non si può avere buona solo una delle due voci.
Se pensate di avere, ad esempio, dei buoni bassi ma pochi alti, state certi che non avete davvero
dei buoni bassi.

Esiste poi il registro in “falsetto” (che approfondiremo più avanti) dovuto alla vibrazione del solo
margine libero esterno delle corde vocali vere.

Lezione n°6

Nozioni di teoria musicale

Le figure musicali

La durata dei suoni viene rappresentata dando forma diversa alle note. Queste forme prendono il
nome di "figure musicali".
Queste ultime sono costituite da una testa, che può essere piena o vuota, ed eventualmente da
una gamba, la quale può presentare uno o più tagli.

I nomi delle figure musicali sono: semibreve, minima, semiminima, croma, semicroma, biscroma,
semibiscroma.

La durata di ciascuna figura vale metà della precedente ed il doppio della successiva. Ad
esempio, la semiminima vale la metà di una minima ed il doppio di una croma.

Il valore della semibreve, che nella nostra notazione moderna è definita anche come “intero”, in
quanto rappresenta la figura musicale di valore più grande, è espresso con la frazione 4/4. Da
questa figura si originano tutte le altre figure musicali.
Di conseguenza la “minima” rappresenta i 2/4 dell'intero (1/2, la metà), la “semiminima” 1/4, la
“croma” 1/8, la “semicroma” 1/16, la “biscroma” 1/32 e la “semibiscroma” 1/64.
La durata dei suoni espressa dalle figure musicali è comunque facilmente intuibile anche
graficamente.
Infatti, al segno ovale della semibreve, per ottenere una minima occorre aggiungere una gamba;
la semiminima ha in più la testa piena; la croma ha un taglio nella gamba; la semicroma due tagli,
e così via.

Per comodità di scrittura e di lettura, quando è possibile si tende a sostituire i tagli delle figure
musicali di valore più piccolo con delle linee orizzontali che le uniscano a gruppi di due o più note.
I registri vocali (prima parte)

Nell’ambito dell’estensione della voce umana si distinguono diversi registri vocali:

•per le voci femminili quelli di SOPRANO, MEZZOSOPRANO, CONTRALTO;


•per le voci maschili quelli di TENORE, BARITONO e BASSO.

I suddetti registri a loro volta si suddividono in tre settori:


(comunemente detti a loro volta registri) grave o di petto – medio – acuto o di testa (vedi lezione
n°5).

Il registro varia sia a seconda dell’età della persona (infanzia, adolescenza, maturità) che del
sexxo, perché diversa è la conformazione delle strutture dell’apparato fonatorio (laringee e
sopraglottiche) che rendono in genere la voce femminile più chiara ed alta (acuta) di quelle
maschile che risulta essere più bassa (grave) e scura.
La voce adulta è, quindi, un carattere sessuale secondario.
Una delle prime cose che si nota infatti nell’età della pubertà, soprattutto nei ragazzi, è il
cambiamento della voce (muta vocale).
La voce nei maschi, in effetti, diventa più profonda e grave, mentre nelle femmine la differenza si
nota poco.
Inoltre, il completamento dello sviluppo vocale avviene in genere intorno ai 15-16 anni per le
ragazze e ai 17-18 per i ragazzi.
Fino a quell’età non è consigliabile iniziare a studiare canto, perché un’impostazione della voce
non corretta potrebbe causare danni permanenti alle corde vocali.
Nelle voci infantili (le cosiddette voci bianche) invece lieve è la diversificazione delle voci, che è
dovuta ad un’immaturità anatomico-strutturale dell’apparato fonatorio.

Lezione n°7

I registri vocali (seconda parte)

Voci femminili

Il Soprano nel canto è il registro più acuto delle voci femminili. L'estensione normale del soprano
è di circa due ottave, generalmente a partire dal do centrale, anche se molti soprani superano
questi limiti. I soprani si suddividono in drammatici, lirici e di coloratura, una voce, quest'ultima,
estremamente flessibile e capace di eseguire passaggi di grande virtuosismo.
Il termina indica anche la cantante in possexxo di tale registro vocale; tra le voci di soprano più
note del XX secolo in Italia e all’estero si ricordano Maria Callas, Renata Tebaldi, Katia Ricciarelli,
Cecilia Gasdia, Montserrat Caballé e Jessye Norman.

Il Mezzosoprano è la voce femminile il cui registro cade tra quello del soprano e quello del
contralto. La sua estensione, di circa due ottave, va generalmente dal la bemolle sotto il rigo al si
sopra il rigo. I mezzosoprani si suddividono in leggeri e drammatici.
Il Contralto è la più profonda delle tre principali gamme vocali femminili. La sua estensione è di
circa due ottave a partire dal mi o dal fa sotto il do centrale, ed è caratterizzato da un timbro ricco
e corposo nel registro più basso.
Tra le voci di contralto più note ricordiamo quella di Marian Anderson. L'artista americana,
celebre negli anni Cinquanta, riscosse per la sua eccezionale voce il plauso di Toscanini.

Voci maschili

Il Tenore nel canto è il registro più alto della voce maschile, con un'estensione approssimativa di
due ottave a partire normalmente dal do sotto il rigo.
Abitualmente si distinguono due classi di tenori: il tenore drammatico, che nel registro inferiore
ricorda il tono del baritono, e il più leggero e agile tenore lirico.
Il termine indica anche il cantante in possexxo di tale registro vocale; tra i tenori più noti del XX
secolo in Italia e all’estero si ricordano Tito Schipa, Enrico Caruso, Luciano Pavarotti, Placido
Domingo e José Carreras.

Il Baritono è la voce maschile intermedia tra il basso e il tenore, dotata normalmente di


un'estensione di circa due ottave a partire dal secondo la sotto il do centrale.
I baritoni si suddividono in comici, lirici e drammatici.

Il Basso è la voce maschile più profonda, la cui estensione è normalmente di circa due ottave a
partire dal mi che si trova un'ottava e una sesta sotto il do centrale, ma può toccare anche note
poste molto più in basso e più in alto. I bassi abitualmente si suddividono in basso profondo, un
tipo di voce molto grave e potente; basso cantante, una voce con la gamma superiore ben
sviluppata; e basso buffo, una voce agile e adatta ai ruoli comici.

Questa classificazione vocale, abbastanza rigida, in genere è utilizzata nella musica lirica. Nel
canto moderno questa diversificazione è molto più elastica.
Spesso, infatti, capita che dei cantanti abbiano delle caratteristiche vocali appartenenti a più
registri vocali.

Una piccola curiosità: l’estensione vocale più ampia

Maria Pia Kupeczik (Ungheria) ha un'estensione vocale che spazia dal grande Si bemolle al Re4,
cioè dal registro di basso maschile a quello di soprano, con un intervallo di oltre quattro ottave.
dal "Guinnes dei primati 2002"

Procediamo con un po’ di pratica…

Esercizio n°2

N.B.: Prenotatevi per ricevere il file mp3 in "Prenotazione esercizio vocale n°2"!!!

L’esercizio è una serie di vocalizzi molto simile all’esercizio n°1, ma è suonato in una tonalità
leggermente più alta e in un tempo più veloce.
Ciò serve a sviluppare una cerca duttilità vocale (vi ricordo che questi sono esercizi standard
indispensabili per allenare al meglio la voce, soprattutto quelle più “diseducate”!).

[size=16pt]Step 1

Come per l’esercitazione n°1 (attenzione alla respirazione e alla postura – vedi lezioni 1 – 2),
eseguite l’esercizio diverse volte, cercando di intonare le note e pronunciando (esagerate
nell’articolazione della bocca!) la seguente successione di sillabe : GEF – GHEN – MIC – SONG
– AIR – LES – GO – UIN – GEF.
Step 2

Fate assumere alla vostra bocca una posizione tondeggiante come per la pronuncia della “o” o di
una “a chiusa” (una specie di a/o, insomma!!).
Anche in questo caso e non per essere ripetitivo, è importante assumere una postura corretta ed
effettuare la respirazione diaframmatica.
Eseguite tutto l’esercizio intonando le cinque vocali (nella sequenza A-E-I-O-U) una alla volta e
cercando di mantenere la posizione iniziale della bocca.
Vi consiglio di mettervi davanti ad uno specchio per controllare tutto il procedimento.
Ripetete l’esercizio diverse volte cercando di non forzare mai la voce.

Lezione n°8

Elementi di Storia della musica

Cenni sulla musica Afroamericana (introduzione)

L’Afroamericana nasce come musica degli africani deportati come schiavi nel continente
americano e dei loro discendenti.
Le prime manifestazioni della musica afroamericana, infatti, (i canti di lavoro (work songs), i
richiami, gli hollers (grida di campo e di strada), i canti in rima, gli spirituals), oltre a rappresentare
un sollievo psicologico alla situazione degradante della schiavitù e una forma di preghiera,
offrivano agli schiavi anche un mezzo per scandire i gesti del lavoro e un modo per comunicare
tra loro senza farsi intendere dai padroni bianchi.
I canti di lavoro avevano perlopiù la tipica forma africana a chiamata e risposta: una voce solista
intonava la melodia e gli altri si univano in coro nel ritornello.
Lo spiritual, genere popolare religioso della tradizione musicale americana che si sviluppò
parallelamente al movimento evangelico dell'inizio dell'Ottocento (i primi riferimenti a spirituals
cantati dagli schiavi neri risalgono al periodo compreso tra il 1825 e il 1850), come il gospel, il
blues, il jazz e il soul, si rifà appunto alla pratica della chiamata e risposta tipica della musica
africana e cioè, quindi, all'alternarsi di solo e coro.
Alla fine dell'Ottocento gli spirituals, sia bianchi sia neri, furono in gran parte soppiantati dai
gospels.

L’articolazione e la dizione

Il termine articolazione si riferisce alla produzione di suoni per formare le parole di un linguaggio.
Tra le strutture necessarie all'articolazione dei suoni vi sono le labbra, la lingua, i denti e il palato.
La parola è articolata interrompendo o dando una forma alla corrente d'aria, vocalizzata o non
vocalizzata, con il movimento della lingua. I denti sono usati per produrre alcuni suoni specifici.

Nel canto, per articolazione si intende la giusta apertura delle vocali quando esse si pronunciano.
E' importantissimo specificare per bene il suono di ogni vocale. Più la nota è acuta e più bisogna
dare spazio alla voce, occorre quindi aprire maggiormente le vocali e assumere un'espressione
del viso sorridente. L'articolazione del viso è molto importante anche nel parlato.

Cenni sulla dizione (prima parte)

Un’attenzione particolare deve essere prestata, nel canto, alla cura della dizione.
L’incisività, la chiarezza e l’articolazione eviteranno di ostacolare la comprensione delle parole e
nello stesso tempo faciliteranno l’emissione e l’intonazione.
Quindi è inutile dire che per cantare bene bisogna avere una buona dizione!

Nella lingua italiana le vocali vanno distinte fra:

• Vocali alfabetiche (che sono cinque):


a–e–i–o–u;
• Vocali fonetiche (che sono sette):
a – è (aperta) – é (chiusa) – i – ò (aperta) - ó (chiusa) – u.

Altra distinzione necessaria per pronunciare correttamente le parole italiane è quella tra accento
tonico e accento fonico:
l’accento tonico è la forza che viene data ad una sillaba in particolare tra quelle che compongono
la parola (Es.: tàvolo, perché, tastièra);

l’accento fonico indica la distinzioni tra suoni aperti e chiusi per le vocali e ed o.

Per indicare quali vocali vanno pronunciate aperte e quali chiuse, inoltre, si usano due tipi di
accento fonico:

Accento grave
ò è per indicare le vocali da pronunciare aperte (Es.: pòdio, sèdia);

Accento acuto
ó é per indicare le vocali da pronunciare chiuse (Es.: bórsa, perché).

La “è” aperta
Ecco alcuni casi in cui la lettera “e” ha un suono aperto:
1.Nel dittongo "-ie-" - Esempi: bandièra, ièri, cavalière, lièto, diètro…;
2.Quand'è seguita da vocale - Esempi: colèi, costèi, fèudo, idèa, lèi…;
3.Quand'è seguita da una consonante dopo la quale vengono due vocali -Esempi: assèdio,
gènio, egrègio, prèmio…;
4.Nelle terminazioni in "-ello", "-ella" - Esempi: pagèlla, mastèllo, èllo, sorèlla, fratèllo, fardèllo,
spinèllo, porcèllo, padèlla, caramèlla, lavèllo, manovèlla… spesso usate anche come suffissi di
diminutivi e/o vezzeggiativi come asinèllo, torèllo, praticèllo, bricconcèlla, cattivèlla, orticèllo…

La “é” chiusa
Ecco alcuni casi in cui la lettera “e” ha un suono chiuso:
1. Nei monosillabi atoni - Esempi: é (congiunzione), mé, né, té, sé, ré (monarca), vé, pér…;
2. Nei vocaboli tronchi in "-ché" - Esempi: perché, giacché, anziché, poiché, fuorché, sicché,
macché…;
3. Nei pronomi personali - Esempi: égli, élla, ésso, éssa, éssi, ésse…;
4. Nelle preposizioni articolate - Esempi: dél, délla, déllo, dégli, délle, déi, nél, néllo, nélla, négli,
nélle, néi, péi…

La “ò” aperta
Ecco alcuni casi in cui la lettera “o” ha un suono aperto:
1. Nel dittongo "-uo" - Esempi: tuòno, scuòla, uòmo, suòi, tuòi, buòi, vuòi, suòcera, nuòra, suòra,
cuòre…;
2. Nei vocaboli tronchi terminanti in "-o" comprese le forme verbali del futuro e del passato
remoto - Esempi: però, falò, andrò, arrivò, cercò, sognò, pedalò, ritirò, acquistò…;
3. Nelle terminazioni in "-orio", "-oria" – Esempi: stòria, glòria, dormitòrio, conservatorio…;
4. Nelle terminazioni in "-odo", "-oda", "-ode" – Esempi: bròdo, chiòdo, sòda, mòda, pagòda,
chiòdo, lòdo, òdo, fròdo, fròde…
La “ó” chiusa
Ecco alcuni casi in cui la lettera “o” ha un suono chiuso:
1. Nei monosillabi che terminano con consonante – Esempi: cón, nón, cól…;
2. Nelle terminazioni in "-oce" – Esempi: cróce, feróce, atróce, fóce, nóce…;
3. Nelle terminazioni in "-ogno", "-ogna" – Esempi: bisógno, carógna, sógno, cicógna, zampógna,
rampógna…;
4. Nelle terminazioni in "-one" – Esempi: missióne, ottóne, nasóne, calzóne, coccolóne, briccóne,
mascalzóne, pantalóne, giaccóne, veglióne, torrióne, bastióne…

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