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C.

Zanghì, Diritto delle organizzazioni internazionali


Capitolo I - Il fenomeno delle organizzazioni internazionali
Origini e sviluppo
La storia della comunità internazionale, concepita nell’accezione moderna del termine,
inizia con la pace di Westfalia del 1648. I rapporti tra i soggetti della comunità
internazionale, all’epoca e per molti secoli prima, erano stati regolati mediante accordi
internazionali (il primo è probabilmente l’accordo di Qadesh fra egiziani ed ittiti nel 1278 a.
C.).
La prima evoluzione del modello scaturito in seguito alla guerra dei Trent’anni si registrò
con l’uso sempre più frequente dello strumento della “unione di Stati” (unione fra Austria
ed Ungheria – unione fra Polonia e Sassonia).
I rapporti tra due o più Stati, infatti, tendevano talvolta ad acquisire una particolare natura
che si caratterizzava per l’ampiezza dei rapporti stessi oppure, in altri casi, per la stabilità
delle relazioni instaurate.
Il termine “unione” può essere utilizzato a fronte di fenomeni estremamente diversi cati.
In un'accezione onnicomprensiva del termine, l'unione dovrebbe individuare un rapporto
intrinseco e duraturo, almeno fra due soggetti, che coinvolge tutte le potenziali relazioni
fra i medesimi.
In un senso diametralmente opposto, l’unione dovrebbe considerare tutti i risultati di quei
rapporti mediante i quali due o più soggetti si uniscono per perseguire insieme un
obiettivo comune.
I due signi cati attribuiti da queste due de nizioni sono però entrambi da escludere.
La prima perché troppo restrittiva e quindi inidonea ad identi care un fenomeno che si è
sviluppato dal 1800 ad oggi; la seconda perché costruendo il concetto di unione quale
risultato cui tende qualunque accordo internazionale renderebbe inutile e fuorviante l'uso
del termine.
Il concetto di unione si diversi ca certamente da un rapporto di collaborazione che
sorregge qualunque accordo internazionale, come pure dal rapporto intrinseco che
conduce alla fusione dei soggetti medesimi.
Esso può riferirsi all'instaurazione di relazioni stabili che abbracciano molteplici aspetti o
che, anche se limitate a taluni, se ne caratterizzano per l'intensità.
La dottrina ha, dapprima, proposto la ripartizione fra “unioni personali” ed “unioni reali”.
Le prime sono caratterizzate dall’importanza fondamentale delle persone che
rappresentano gli Stati uniti tra loro.
Le seconde, invece, focalizzano l’attenzione maggiormente sull’aspetto formale,
individuano per iscritto in un accordo internazionale competenze ed eventuali organi
esecutivi.
La dottrina ha altresì proposto la ripartizione fra “unioni semplici” ed “unioni istituzionali”.
Le prime non danno vita ad alcun nuovo soggetto ma soltanto a diritti ed obbligazioni
reciproci tra gli Stati ad esse appartenenti.
Le unioni istituzionali, invece, determinano la nascita di un soggetto diverso dagli Stati
che vi hanno dato vita è dotato di propri organi.
Il secondo passo nella storia della comunità internazionale moderna fu generato proprio
dall’esperienza delle unioni di Stati, che, avendo creato un terreno comune tra alcune
potenze europee, facilitarono la creazione di una nuova forma di collaborazione.
Il congresso di Vienna elaborò così la strategia del “concerto europeo” o “direttorio
europeo” secondo la quale le potenze europee si riunivano in incontri periodici per
discutere delle questioni internazionali più importanti.
L'esperienza europea fu presto imitata nel continente americano con la conferenza di
Città del Messico del 1902 che istituiva un Bureau internazionale delle Repubbliche
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americane, trasformato poi in “Unione panamericana” con la conferenza di Buenos Aires
del 1910.
Il passo successivo nell'edi cazione di una vera e propria comunità internazionale fu
motivato dalla esigenza di risolvere i problemi speci ci di interesse internazionale, sia
pure limitati ad un piccolo numero di Stati, per i quali i tradizionali accordi mostravano i
loro limiti.
Il primo esempio è dato dalle commissioni uviali di origine europea.
Si riteneva infatti che la problematica connessa con la navigazione nei umi internazionali
ed in Europa potesse essere più agevolmente regolata mediante la costituzione di un
u cio al quale attribuire poteri e competenze per disciplinare e gestire la navigazione.
Il primo esempio è costituito dalla Amministrazione generale per la navigazione del Reno,
istituita nell'aprile 1804 tra la Francia ed il Sacro Impero.
La soluzione delle accennate commissioni rappresentò una svolta signi cativa nelle
relazioni internazionali.
Venne infatti realizzata una nuova metodologia che, pur utilizzando la base consueta
dell'accordo internazionale, se ne discostava successivamente perché la cooperazione
veniva gestita da un ente appositamente istituito e non direttamente dagli stessi Stati.
Il processo di sviluppo della comunità internazionale, successivamente, venne fortemente
in uenzato dallo scoppio della prima guerra mondiale, che generò l'esigenza di dare un
nuovo assetto paci co e stabile alle nazioni, conducendo alla costituzione della Società
delle Nazioni, la prima organizzazione internazionale a vocazione universale e con
competenze generali.
La Società delle Nazioni, in ragione del carattere autonomo dei suoi organi, delle funzioni
attribuitele, delle intese raggiunte con lo Stato della sede, ha visto riconoscersi
un'autonoma personalità giuridica internazionale, mai contestata dalla dottrina.
Tale ente, quindi, è stata la prima organizzazione internazionale istituzionalizzata, a
vocazione universale, con competenza generale, dotata di personalità giuridica
nell'ambito dell'ordinamento internazionale.
Una serie di enti che rappresentavano i primi esempi di organizzazioni internazionali a
vocazione universale e competenze settoriali vennero istituiti con numerosi atti allegati al
Trattato di Versailles del 1919.
Tali enti riuscirono anche a sopravvivere alle vicende della seconda guerra mondiale, per
trasformarsi poi in Istituzioni specializzate delle Nazioni Unite.
L’evoluzione successiva del sistema delle organizzazioni nazionali si realizzò, al termine
della seconda guerra mondiale, con la conferenza di San Francisco che istituì
l'Organizzazione delle Nazioni Unite e con le molteplici convenzioni che, nell'arco di pochi
anni (1945-1948) diedero vita alle organizzazioni settoriali con competenze speci che.
La molteplicità degli enti istituiti in questo periodo segna una ulteriore svolta nei modelli
utilizzabili per le relazioni di cooperazione internazionale.
Il modello “organizzazione internazionale”, nonostante la varietà delle soluzioni, assunse
un ruolo determinante che si a ancava, ed in taluni casi sostituiva, il tradizionale modello
dell'accordo.
Gli Stati, per il raggiungimento di obiettivi comuni, pur potendo far ricorso al consueto
sistema di un accordo multilaterale, preferivano istituire un ente, dotato di organi idonei, e
quindi istituzionalizzato, al quale attribuire mezzi, competenze e poteri opportuni per
gestire la cooperazione che gli Stati intendevano instaurare fra loro.
L'ultimo sviluppo registrato nel sistema delle relazioni internazionali fu costituito dalla
creazione dei cosiddetti “enti di integrazione economica”, il cui modello venne per la
prima volta realizzato con il Trattato di Parigi del 1951, istitutivo della Comunità Europea
del Carbone e dell'Acciaio.
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Tali enti si caratterizzano proprio per il rapporto di integrazione che sostituisce la
tradizionale cooperazione tra Stati, creando obblighi direttamente in capo ai cittadini degli
Stati membri.
Gli Stati tendono ad integrare progressivamente settori originariamente appartenenti alle
reciproche sfere di competenza sovrana, attribuendole a un nuovo ente che si sostituisce
o sovrappone così agli Stati membri per la gestione diretta, e spesso esclusiva, dei settori
di competenza ad essa attribuiti.
Questo modello organizzativo è stato anche applicato a svariate attività industriali, di
servizi e di ricerche.
Questi nuovi enti creati si di erenziano dalle molteplici organizzazioni di cooperazione e si
caratterizzano per porre in essere direttamente un apparato tecnico scienti co o un
apparato industriale, realizzando un modello più vicino allo schema di una società
commerciale che ad una organizzazione internazionale (CERN).
L’evoluzione della comunità internazionale ha visto, in ne, il sorgere di due tipologie molto
particolari di soggetti agenti nell’ambito internazionale, ossia le organizzazioni non
governative e le cosiddette “pseudo-organizzazioni” o conferenze intergovernative
istituzionalizzate.
Le organizzazioni non governative sono caratterizzate dall'iniziativa privata sottesa alla
nascita dell'ente, che può essere assunta da un gruppo di persone siche o anche di
persone giuridiche.
Si tratta quindi di soggetti privati di uno o più Stati e non di Stati.
Questo è senza dubbio l'elemento fondamentale che ha dato origine all'espressione
“organizzazioni non governative”, proprio a sottolineare che si tratta di forme associative
non costituite a livello di governi e quindi non fra Stati.
Le organizzazioni non governative, inoltre, considerato che vengono fondate da soggetti
agenti nell'ambito dell'ordinamento dello Stato al quale appartengono, non hanno
personalità giuridica internazionale e non possono quindi concludere atti giuridici
appartenenti al predetto ordinamento, Le ONG presentano quindi un atto esecutivo che
dovrà obbedire agli schemi ed alle procedure previsti nell'ordinamento dello Stato al
quale appartiene uno o più dei soggetti promotori dell'iniziativa.
Una tale organizzazione risulterà quindi disciplinata dall'ordinamento interno dello Stato
secondo le cui forme è stata costituita.
L’elemento soggettivo dei membri (persone siche o giuridiche di diritto interno) e
l’elemento obiettivo della costituzione (un atto di diritto interno) portano alla conclusione
logica che tali organizzazioni non possono avere alcuna natura giuridica di carattere
internazionale.
Lo sviluppo conosciuto dalle organizzazioni non governative nel corso degli ultimi decenni
e l'ampiezza degli interessi e delle tematiche dalle stesse coperte ha condotto ad
attribuire, in via di fatto, alle ONG un ruolo di partecipazione a talune forme di relazioni
internazionali.
L'apporto manifestato dalle ONG in alcuni settori speci ci e delimitati costituisce un
rilevante contributo alla cooperazione internazionale svolta fra Stati o nell'ambito di
organizzazioni internazionali intergovernative, poiché consente da un lato di avvalersi di
una massa di esperti più ampia e dall'altro perché le opinioni espresse dalle ONG, sia
pure con tutte le peculiarità, permettono di acquisire l'opinione della società civile, spesso
distante dalla volontà dei governi dei singoli Stati.
Nell'ambito delle Nazioni Unite, le ONG sono dotate di status consultivo; ciò consente
loro di partecipare ai lavori sia del Consiglio sia dell'Assemblea generale sia del
Segretario generale, degli organi sussidiari e degli Istituti specializzati delle Nazioni Unite.
Nell'ambito dell'Unione Europea, le ONG dialogano con le istituzioni comunitarie
attraverso due organismi di rappresentanza ad hoc.
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Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) è senza dubbio una importante, e al
tempo stesso controversa, organizzazione non governativa.
Il Comitato nasce sotto forma di associazione di persone, costituito in base al Codice
civile svizzero e composto da un numero variabile da 15 a 25 persone che devono essere
di cittadinanza svizzera.
Il Comitato quindi, limitatamente alla sua formale istituzione, non si distingue da ogni altra
ONG, con l'aggravante che, mentre per la quasi totalità delle ONG che operano nella
comunità internazionale, gli organi delle stesse sono aperti alla partecipazione di persone
di diversa nazionalità, esso è limitato alla partecipazione di soli cittadini svizzeri,
sottolineando il carattere volutamente svizzero dell'istituzione.
Il CICR quindi non presenta la natura di un'organizzazione internazionale intergovernativa.
Esso in seguito ad alcuni “accordi di sede” conclusi con la confederazione elvetica nel
1993 ha visto attribuirsi la personalità giuridica internazionale dalla stessa Svizzera.
La personalità giuridica internazionale di un ente, tuttavia, non può derivare dalla volontà
manifestata dagli Stati.
Anche le speci che esenzioni, privilegi ed immunità riconosciuti da molti Stati al comitato
ed ai suoi funzionari sono irrilevanti ai ni dell’attribuzione della soggettività
internazionale.
Il CICR dunque può essere inquadrato fra gli enti non territoriali soggetti della comunità
internazionale, piuttosto che fra le organizzazioni internazionali vere e proprie.
Le cosiddette “pseudo-organizzazioni” o conferenze intergovernative istituzionalizzate
rappresentano anch'esse un elemento innovativo all'interno della comunità internazionale.
Alcune conferenze internazionali, nella storia recente delle relazioni internazionali, hanno
assunto un carattere di continuità e stabilità, a volte dotandosi anche di un segretariato
permanente e manifestando talune similitudini con le organizzazioni internazionali.
Esse, però, non costituiscono organizzazioni internazionali nel senso tradizionale del
termine.
L'aspetto obiettivo da perseguire risulta di gran lunga prevalente rispetto a quello
soggettivo consistente nella creazione di un ente internazionale.
Gli Stati, attraverso tali forme organizzative, continuano ad operare singolarmente
nell'obiettivo della cooperazione programmata servendosi degli strumenti messi a
disposizione dalla conferenza.
L'elemento soggettivo, ossia la creazione di un nuovo ente al quale attribuire
competenze, funzioni e poteri per il raggiungimento degli obiettivi comuni agli Stati
membri, è senza dubbio prevalente nelle organizzazioni internazionali vere e proprie.
Gli esempi più signi cativi di tali strumenti sono costituiti dalla “conferenza per la
sicurezza e la cooperazione in Europa” e dal gruppo dei paesi più industrializzati “G 7” o
“G 8”.
La CSCE è l'espressione con la quale si individua la conferenza convocata ad Helsinki nel
1975 per porre le basi di una coesistenza paci ca fra paesi europei occidentali.
La conferenza del 1975 si concluse con l’Atto nale che non costituisce un accordo
internazionale in senso proprio, bensì un accordo politico.
La peculiarità della conferenza di Helsinki è costituita dalla circostanza che già nel
richiamato Atto nale gli Stati si impegnavano formalmente a rendere continuo e duraturo
il processo di distensione intrapresa.
La conferenza, nella sessione di Budapest del 1994, si è poi trasformata in
“Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa”.
Il nuovo titolo e la complessa struttura posta in essere non ha modi cato però lo status
della CSCE e delle sue istituzioni.
Il G 7 nacque nel 1975 quando i capi di Stato o di governo dei sette paesi maggiormente
industrializzati si incontrarono per discutere i maggiori problemi relativi alla situazione
economica mondiale.
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La riunione di Napoli del 1994 decise l'ingresso all'interno del vertice anche della
Federazione russa, trasformando la precedente conferenza in G 8.

L’istituzione delle organizzazioni internazionali


Il procedimento giuridico diplomatico che dà inizio alla fase preliminare ed alle diverse
tappe da realizzare in vista della costituzione di un ente internazionale non è omogeneo.
L'atto istitutivo è senza dubbio l'elemento più importante che deve essere analizzato
sotto il pro lo giuridico.
L'atto istitutivo ha una natura certamente convenzionale nel quale si manifesta la
concorde volontà degli Stati fondatori; esso può essere inoltre ricondotto all'ampia
categoria degli accordi internazionali multilaterali.
Questa prima conclusione in ordine alla costituzione dell'organizzazione internazionale
consente di di erenziare agevolmente le numerose organizzazioni non governative, che
vengono liberamente istituite per iniziativa privata, e le diverse organizzazioni
internazionali.
L'atto istitutivo di una qualsiasi organizzazione internazionale si di erenzia, però, da ogni
altro accordo multilaterale perché è destinato a divenire la “costituzione” cui l'ente stesso
è collegato nel corso della sua esistenza.
Esso, in sintesi, se da una parte riveste la forma consueta dell'accordo, dall'altra ha la
sostanza di una costituzione, in cui sono inserite le norme mediante le quali viene creato
l'ente con le sue nalità, la sua struttura, le modalità di partecipazione e di
funzionamento, nonché l'attribuzione di competenze e poteri e di quant'altro necessario
per il funzionamento del medesimo.
Lo Statuto fondativo di un ente internazionale è quindi un accordo internazionale, ma la
sua funzione non è preordinata al classico obiettivo degli accordi internazionali, ossia la
costituzione di diritti ed obblighi fra i contraenti, in quanto assume la sostanza di un atto
di fondazione di un ente e quindi ha carattere costitutivo.
Il contenuto contrattuale dell'atto con i suoi tipici e etti passa in seconda linea di fronte
alla conseguenza primaria che è la costituzione del nuovo ente.
Questo aspetto spiega perché un ente internazionale dotato di soggettività dispieghi i
suoi e etti anche nei confronti degli Stati terzi, di erentemente dagli accordi multilaterali
che creano obblighi giuridici soltanto fra i contraenti.
La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 sottolinea proprio la natura
sostanzialmente di erente dell'atto istitutivo, stabilendo all'articolo 5 che la medesima si
applica ad ogni trattato che abbia tale funzione “sotto riserva di qualsiasi norma
pertinente dell'organizzazione”.
Ciò signi ca che gli atti istitutivi vengono a situarsi in una categoria particolare, nel senso
che possono, ma non devono necessariamente, essere sottoposti alle norme della
Convenzione, a cui invece debbono sottostare tutti gli altri accordi internazionali.
Tale disposizione della Convezione deve ritenersi applicabile anche alla prassi successiva
seguita dagli organi dell'ente stesso, dato che l'e cacia dell'atto istitutivo non deriva
soltanto dalla sua entrata in vigore ma si a erma gradualmente attraverso la prassi degli
organi dell'ente.
L'atto istitutivo ha certamente la caratteristica della permanenza del tempo, intesa come
espressione della volontà delle parti di non ssare limiti alla durata degli obblighi assunti.
Gli scopi e gli obiettivi per i quali l'ente è stato istituito non solo hanno carattere di
continuità ma non possono essere raggiunti se non attraverso un'azione progressiva
protratta nel tempo.
Tale caratteristica non è contraddetta neanche da quei rari esempi di organizzazioni che
prevedono una scadenza, per quanto ampia (50 anni per la CECA, ad esempio).
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La previsione non intende infatti far cessare l'organizzazione istituita e con essa la
cooperazione realizzata, bensì sottoporla ad una profonda revisione per il prevedibile
mutare delle circostanze.
L'atto istitutivo, proprio perché valido nel tempo, presenta la necessità di adattarsi alle
mutate condizioni ed alle diverse esigenze che possono sorgere nel corso della vita
dell'ente.
L'adeguata interpretazione delle norme dell'atto, formulata dagli organi a tal ne
competenti, in genere l'organo assembleare, o attraverso speci che procedure per
l'adozione di emendamenti, svolge proprio questa funzione fondamentale di aggiornare lo
statuto giuridico dell'ente al cambiamento dei tempi.
Il procedimento per l'adozione di emendamenti si di erenzia notevolmente dai consueti
procedimenti di revisione dei tradizionali accordi internazionali multilaterali.
Tali procedure certamente peculiari agli atti istitutivi in oggetto costituiscono un ulteriore
elemento di di erenziazione rispetto ai tradizionali accordi multilaterali.
L'atto istitutivo, inoltre, presenta il carattere della integrità.
L'istituto delle riserve è infatti generalmente escluso nei confronti degli atti istitutivi delle
organizzazioni internazionali che rimangono integralmente ed uniformemente applicabili
nei confronti di tutti gli Stati membri.
Una eventuale richiesta di riserva, anche qualora consentita derogando al principio
precedente, deve essere accettata dall'organo competente dell’organizzazione
considerata e non già dalle altre parti contraenti, come avviene invece nel caso di accordi
multilaterali tradizionali.
L'atto istitutivo di un'organizzazione internazionale risulta peculiare anche in relazione al
rapporto fra tali atti e gli accordi internazionali conclusi tra gli Stati membri dell'ente nelle
materie che rientrano nelle competenze attribuite all'ente stesso.
Numerosi esempi di atti istitutivi mostrano come si tende ad attribuire agli stessi valori ed
e cacia superiori ai consueti accordi multilaterali.
Un caso molto importante è rappresentato dall’articolo 103 dello statuto delle Nazioni
Unite, in cui si dispone la prevalenza degli obblighi derivanti dallo statuto in caso di
contrasto fra questi ultimi ed ogni altro obbligo derivante da altri accordi internazionali.
L'entrata in vigore dell’atto istitutivo di un'organizzazione internazionale è un altro
elemento fondamentale nell'analisi giuridica delle organizzazioni internazionali.
Tale procedimento, in realtà, non presenta di erenze rispetto agli altri accordi multilaterali.
Sia l'atto istitutivo sia gli accordi multilaterali tradizionali necessitano infatti di un numero
determinato di Stati contraenti che devono aver completato le procedure previste per la
loro partecipazione a nché l'accordo o l'atto istitutivo possa entrare in vigore.
L’e ettiva nascita dell'organizzazione internazionale necessita sia della rma, della rati ca
e dell'entrata in vigore dell'atto istitutivo sia dell'e ettiva costituzione materiale dell'ente
con i suoi organi, i suoi u ci, le sue strutture e il suo personale.
L'accordo istitutivo, infatti, determina il sorgere di rapporti giuridici fra i membri fondatori
e disciplinerà, in seguito, il funzionamento dell'ente, ma non è idoneo di per sé ad istituirlo
concretamente.
Il processo di costituzione e ettiva di organi e strutture non può essere precedente o
simultaneo all'entrata in vigore dell'atto stesso.
Il primo organo istituito è generalmente l'organo assembleare al quale spetta poi il
compito di nominare gli altri organi dell'ente, ed in particolare l'organo amministrativo che
provvederà all'apparato burocratico ed alle esigenze materiali.

La personalità giuridica delle organizzazioni internazionali


La questione della personalità giuridica delle organizzazioni internazionali è un tema
estremamente importante, che ha interessato gli studiosi nel periodo di maggior sviluppo
del fenomeno.
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La comunità internazionale riconosceva storicamente come soggetti soltanto gli Stati, enti
politici territoriali dotati di piena sovranità.
La nozione di Stato sovrano assoluto è divenuta, negli ultimi decenni, sempre più
obsoleta, dal momento che vi è una maggiore necessità di organizzazioni internazionali
che operino in via indipendente a livello internazionale, separate dagli Stati membri.
L'ordinamento internazionale generale non contempla norme che hanno ad oggetto i
poteri spettanti alle organizzazioni internazionali né tantomeno norme attributive di
personalità giuridica.
La dottrina si è dunque chiesta anzitutto quali fossero i requisiti minimi che
un'organizzazione internazionale deve possedere per potersi poi eventualmente porre il
problema del riconoscimento di una personalità giuridica.
Il requisito indispensabile per ogni organizzazione internazionale attiene anzitutto alla
imputabilità degli atti alla stessa organizzazione e non già ai suoi Stati membri.
Un altro requisito fondamentale è l'esistenza di un apparato istituzionale, in virtù del quale
le attività poste in essere dagli organi sono riferiti all'ente medesimo come centro unitario
di imputazioni giuridica e quindi non sono imputabili agli Stati membri.
Un requisito sostanziale è invece costituito dall'idoneità della struttura posta in essere in
relazione alle nalità che l'ente ha visto attribuirsi nella sua carta costitutiva.
La Corte internazionale di giustizia, in un celebre parere dell'11 aprile 1949, ha sostenuto
che “50 Stati, rappresentanti un'ampia maggioranza dei membri della comunità
internazionale, conformemente al diritto internazionale, avevano il potere di istituire
un'organizzazione avente una personalità internazionale oggettiva e non solo una
personalità riconosciuta dei medesimi Stati”.
La Corte sembrerebbe quindi riconoscere ad un congruo numero di Stati la capacità di
istituire un ente e di dotarlo di personalità giuridica internazionale, introducendo in tal
modo un ulteriore elemento di valutazione assai controverso, quale la circostanza di un
numero rilevante di Stati che rappresentino un'ampia parte della comunità internazionale.
L'interpretazione letterale dell’a ermazione richiamata indurrebbe a riconoscere tale
possibilità solo di fronte ad un'organizzazione tendenzialmente universale, escludendo
dunque le organizzazioni regionali.
Tale interpretazione non tiene però conto del fatto che un'organizzazione tendenzialmente
universale, al momento dell'atto istitutivo, potrebbe essere costituita da un numero non
rilevante di Stati e diventare poi, realmente universale, mediante una larga adesione di
Stati membri.
Il parere della Corte va quindi interpretato nella direzione che gli Stati possono, con l'atto
istitutivo, istituire un ente dotato di tutti quei requisiti necessari per svolgere compiti e
funzioni riservati ai soggetti della comunità internazionale e che possono altresì esprimere
la loro volontà che tali enti acquisiscano la soggettività internazionale, sebbene questa
non sia di per sé su ciente perché l'ente considerato si veda poi riconoscere una
concreta personalità.
La dottrina ha quindi stabilito che l'elemento soggettivo, ossia la volontà degli Stati
fondatori, deve essere completata da un elemento oggettivo, ossia la realizzazione di un
atto o di un comportamento giuridicamente rilevante nell'ordinamento internazionale.
L'atto istitutivo, appunto perché ha la funzione di creare l'ente internazionale, rappresenta
un prius rispetto alla personalità.
Una organizzazione non possiede, quindi, una personalità giuridica sin dal primo
momento e per il solo fatto stesso della sua creazione, bensì tale personalità è uno status
da veri care attraverso elementi obiettivi.
Solo in presenza di determinati presupposti, contenuti nell'atto istitutivo, ma che debbono
concretamente realizzati nell'ambito di attuazione e di sviluppo dell'ente, si potrà
veri care l'esistenza della predetta soggettività.
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Gli Stati membri fondatori di un ente non posso infatti attribuire al medesimo la
soggettività giuridica internazionale; ciò trova conferma nella circostanza che soltanto in
rari casi gli atti istitutivi di tali enti contengono una speci ca norma sulla personalità
giuridica internazionale.
Gli Stati possono invece attribuire alle organizzazioni internazionali la personalità giuridica
di diritto interno (detta anche capacità giuridica), ossia la prerogativa di creare e etti
nell’ordinamento giuridico nazionale.
La questione della personalità giuridica internazionale degli enti internazionali è stata
ampiamente discussa dai vari esperti, raggruppandosi in tre fondamentali scuole di
pensiero.
La prima scuola di pensiero sostiene che la personalità esiste solo se esplicitamente
attribuita all'organizzazione dallo statuto.
Un trattato internazionale tuttavia, anche istitutivo di un ente, non produce e etti giuridici
nei confronti dei terzi e quindi non è per sé stesso giuridicamente idoneo a creare una
condizione giuridica soggettiva.
La seconda scuola ha sviluppato l'idea della personalità giuridica oggettiva delle
organizzazioni internazionali.
Un'organizzazione internazionale possiede quindi una personalità giuridica quando è
presente almeno un organo in grado di manifestare la volontà distinta da quella degli Stati
membri.
La terza scuola di pensiero, ormai prevalente, ritiene che la soluzione del problema sia da
ricercarsi nella contemporanea presenza di requisiti soggettivi, determinati dalla volontà
degli Stati membri attraverso l'atto istitutivo, confermati però da elementi obiettivi
derivanti dal concreto operare dell'ente nell'ordinamento internazionale.
Il dibattito circa la personalità giuridica delle organizzazioni internazionali è stato in parte
regolato da un celebre parere della Corte internazionale di giustizia dell’11 aprile 1949.
La Corte ha confermato, con e cacia, l'evoluzione della situazione sostenendo che lo
sviluppo del diritto internazionale è stato in uenzato dalle esigenze della vita
internazionale e lo sviluppo progressivo delle attività collettive degli Stati ha già fatto
sorgere esempi di azioni svolte sul piano internazionale da talune entità che non sono
Stati.
Lo sviluppo in questione ha condotto alla creazione di un'organizzazione internazionale i
cui ni ed i cui principi sono enunciati nella Carta delle Nazioni Unite.
La realizzazione di tali ni richiede necessariamente l’assegnazione della personalità
giuridica internazionale per l'ente in questione.
La Corte conferma dunque la convinzione che l'atto istitutivo, in sé considerato, non
basta a far sorgere la personalità.
L’ente di giustizia internazionale ha riconosciuto un'autonoma personalità internazionale
dell'ONU rispetto agli Stati membri basandosi su quattro grandi argomentazioni.
In primo luogo, per raggiungere i ni dell'Organizzazione, il possesso della personalità
internazionale è indispensabile.
In secondo luogo, l'Organizzazione è dotata di organi ed ha compiti speciali.
In terzo luogo, la Carta ha de nito la posizione degli Stati membri in relazione
all'organizzazione, richiedendo loro di dar l'assistenza in ogni azione intrapresa e
prevedendo la conclusione di accordi tra l'organizzazione ed i suoi membri.
In ne, la prassi ha confermato che l'Organizzazione occupa una posizione per molti
aspetti separata dai suoi Stati membri.
La CIG, inoltre, valutando se la personalità giuridica internazionale dell’ONU sussisteva
anche in relazione agli Stati non membri, rispose a ermativamente, sostenendo che la
maggior parte degli Stati ha il potere di porre in essere un'entità investita della personalità
giuridica internazionale anche nei confronti degli Stati terzi.
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La questione della personalità giuridica internazionale delle organizzazioni è stata
dibattuta anche sotto il pro lo della sua eventuale divisibilità.
La dottrina, però, non è concorde nel ritenere possibile frazione la soggettività
internazionale di un ente fra i suoi organi istituzionali.
La Banca Europea per gli Investimenti, ad esempio, è una istituzione inserita nel contesto
della Comunità Europea.
Essa quindi, in via generale, agisce per conto della Comunità; talvolta, però, la Banca ha
stretto direttamente con alcuni Stati vari accordi internazionali.
Il tema della personalità giuridica delle organizzazioni internazionali pone anche il
problema della capacità funzionale e ettiva delle suddette organizzazioni.
Le organizzazioni internazionali a carattere istituzionale non hanno infatti una personalità
giuridica assimilabile a quella degli Stati.
Gli Stati, soggetti storici della comunità internazionale, hanno infatti la pienezza delle
capacità per svolgere nell'ambito dell'ordinamento internazionale qualunque atto.
Gli enti internazionali, così come la Santa Sede, i governi in esilio, gli insorti, i movimenti
di liberazione nazionale, incontrano delle limitazioni collegate alla loro natura e non
possono quindi compiere atti o porre in essere comportamenti per i quali non sono
strutturalmente idonei.
Le organizzazioni internazionali hanno una varietà di compiti e di scopi da perseguire per i
quali gli Stati le hanno dotate di poteri e strumenti idonei.
Le loro competenze sono quindi competenze di attribuzione e limitate dalla volontà degli
Stati, espressa attraverso l'atto istitutivo; le azioni che l'ente può svolgere
nell'ordinamento internazionale sono così condizionate dalle sue competenze, così come
de nite nell’atto istitutivo.
La rilevante di erenza che esiste tra l'illimitata capacità di operare di uno Stato e il limite
funzionale delle organizzazioni internazionali non incide però minimamente sulla loro
soggettività per l'ordinamento internazionale, ma soltanto sulla concreta capacità di
operare.
L’ultima questione veramente rilevante in relazione alla personalità giuridica internazionale
è il rapporto tra la medesima e la personalità giuridica di diritto interno.
Gli enti internazionali, oltre che operare nell'ambito della comunità internazionale,
svolgono attività negli ordinamenti interni degli Stati membri.
La loro posizione in quest'ambito è però ben diversa da quella che assumono
nell'ordinamento internazionale.
Le capacità in questione dipendono certamente dall'atto istitutivo, perché in questo caso
il soggetto sovrano di ciascuno ordinamento, ossia lo Stato, ha la capacità di attribuire
all'ente stesso, attraverso una norma dell’atto istitutivo, funzioni e poteri nell'ambito del
proprio ordinamento nazionale.
Le norme generalmente utilizzate per assegnare ad un ente internazionale la personalità
giuridica di diritto interno possono seguire due linee generali.
Può essere inserita una norma che si limiti ad attribuire all'ente la personalità giuridica o
un'altra quali ca necessaria per esercitare le funzioni nell'ambito dell'ordinamento.
Può essere inserita, invece, una norma più speci ca in cui non si fa menzione di
personalità giuridica ma si indicano i principali atti di diritto privato che l'ente può
compiere.
Gli enti internazionali dotate di personalità giuridica di diritto interno non possono però
compiere tutti gli atti che vogliono, ma soltanto quelli funzionali ai loro scopi e obiettivi.

Il regionalismo internazionale
Il fenomeno del regionalismo si è storicamente realizzato molto prima della spinta
internazionalista degli Stati.
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Le prime forme di concertazione regionale ebbero luogo infatti all’inizio del XIX secolo in
Europa e in America, attraverso il ricorso al meccanismo tradizionale delle conferenze
diplomatiche istituzionalizzate.
La dottrina ancora non è unanime nel de nire le di erenze tra le organizzazioni universali
e quelle regionali.
Le organizzazioni a carattere universale sarebbero quelle che “hanno la tendenza ad
assumere carattere universale” o che sono “potenzialmente” universali.
Le organizzazioni a carattere regionale sarebbero, invece, quelle organizzazioni costituite
da Stati appartenenti ad una data area geogra ca, risultante non soltanto dalla mera
contiguità geogra ca, ma anche da una serie di fattori politici, economici e culturali, che
creano una comunanza di interessi tra gli Stati che ne fanno parte, in modo da avere una
certa omogeneità tra i membri dell'organizzazione.
Il fenomeno del regionalismo può dar vita anche a diverse dimensioni, che soprattutto nei
tempi recenti hanno avuto uno sviluppo importante.
La dimensione subregionale, ad esempio, si veri ca quando si instaurano rapporti
particolari tra i membri di una data organizzazione regionale, dando vita a forme di
cooperazione istituzionale più approfondite sia nel campo economico sia in quello
politico-militare.
La dimensione interregionale, invece, si rende quasi necessaria dato il crescente numero
e l’elevata in uenza delle organizzazioni regionali.
Il fenomeno “regionale”, in ogni caso, risulta essere estremamente collegato con la spinta
internazionalistica e universale degli Stati.
La dottrina, in particolare, ha creato due diversi modelli interpretativi in cui si esplica il
rapporto, variegato e delicato, tra l’elemento regionale e quello universale.
In primo luogo, il modello universale-regionale nasce dopo la seconda guerra mondiale
come reazione al modello della Società delle Nazioni, fallito clamorosamente nel
1939-1940.
Il modello imperniato sulla Società delle Nazioni si fondava sul concetto di mantenere la
pace e la sicurezza mondiale tramite una situazione di assenza di con itti.
Il modello successivo, invece, si basa sull'idea che la pace possa essere mantenuta solo
attraverso la promozione dello sviluppo economico e sociale nel mondo, creando le
condizioni per una convivenza paci ca tra i popoli.
Questa nuova nalità ha fatto sì che si creasse non solo l'Organizzazione delle Nazioni
Unite, ma anche una serie di numerosi enti che operano in contesti speci ci.
L’ONU, in questo contesto, assume il ruolo di guida degli istituti specializzati per arrivare
allo scopo generale di mantenere la pace.
Tale ente, in realtà, non si è limitato a coordinare i vari istituti, ma talvolta intervenuto
direttamente in alcune questioni speci che.
Il modello in questione si caratterizza per il fatto che vi è un rapporto di subordinazione
tra le Nazioni Unite e tutta una serie di organismi specializzati, sebbene questi ultimi non
perdano la propria soggettività.
In secondo luogo, il modello regionale-universale si basa sull'istituto internazionale
regionale, che sta ottenendo sempre maggior successo a livello globale.
Il successo di questa organizzazione si spiega con il fatto che, nel mondo globalizzato, i
piccoli Stati hanno la sola possibilità di far sentire proprio peso attraverso organismi
collettivi che li uniscano ad altre piccole-medie potenze.
Il modello regionale-universale ha la propria spinta propulsiva non dall'alto, come avviene
nel modello precedente in cui l'ONU dirige e coordina, bensì dal basso, ossia dalle
organizzazioni regionali.
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Le classi cazioni delle organizzazioni internazionali
Le organizzazioni internazionali possono essere classi cate, a titolo esempli cativo,
seguendo alcuni criteri.
In primo luogo, le organizzazioni internazionali si possono distinguere in organizzazioni
chiuse ed in organizzazioni aperte.
Le prime sono limitate al gruppo di Stati originario che le ha costituite senza prevedere
alcuna ipotesi di allargamento.
Le seconde invece sono aperte alla partecipazione di Stati che si aggiungono
progressivamente al nucleo degli Stati originari e fondatori.
In secondo luogo, gli enti internazionali sono suddivisi in organizzazione a vocazione o
tendenza universale e in organizzazioni a vocazione o tendenza regionale.
Le organizzazioni universali, o più correttamente a tendenza universale, sono quegli enti
che non pongono alcun limite alla provenienza degli Stati membri e che vorrebbero poter
accogliere nel loro ambito tutti gli Stati del mondo.
Questa caratteristica si tratta però solo di una tendenza, che non potrà mai dar luogo ad
una sovrapposizione fra l'organizzazione internazionale considerata e la comunità
internazionale.
Le organizzazioni a carattere regionale invece sono caratterizzate dall'essere costituite nel
contesto di un ambito geogra co determinato e quindi limitate agli Stati appartenenti alla
medesima regione geopolitica.
Questo tipo di relazioni ha conosciuto uno sviluppo importante nella seconda metà del
Novecento, tale da individuare anche una cooperazione di carattere sub-regionale e
talvolta inter-regionale.
In terzo luogo, le organizzazioni internazionali si distinguono in enti di cooperazione o enti
di integrazione.
Gli enti di cooperazione sono caratterizzati dal fatto che in essi gli Stati mantengono una
spiccata individualità ed autonomia.
Gli enti di integrazione, invece, prevedono che gli Stati rinuncino parzialmente ad una
certa autonomia e sovranità per integrare fra loro l'economia o altri settori di interesse
comune, no a poter giungere a forme così integrate da poterli considerare enti
sovranazionali, che possono costituire l'elemento di raccordo per giungere a forme
ancora più integrate (confederazione di Stati, federazione sovranazionale).
In quarto luogo, gli enti internazionali si distinguono in organizzazioni con compiti generali
e in organizzazioni con compiti speci ci e settoriali.
In quinto luogo, le organizzazioni internazionali si ripartiscono in organizzazioni
economiche, organizzazioni nanziarie, organizzazioni militari, organizzazioni tecnico-
amministrative e organizzazioni scienti che.

Capitolo II - Competenze e funzioni delle organizzazioni internazionali


Competenze di attribuzione
Lo Stato, quale ente politico territoriale dotato di sovranità, può svolgere qualunque
funzione e compiere qualunque atto all'interno della comunità e dell'ordinamento
internazionale.
Le organizzazioni internazionali, invece, istituite da un gruppo di Stati per il
perseguimento di obiettivi comuni, hanno competenze e poteri strumentali rispetto a
questi ultimi.
Le competenze attribuite all'ente dal gruppo di Stati che lo hanno istituito incontrano limiti
di carattere funzionale, in ragione degli scopi e degli obiettivi dell'ente, limiti di carattere
territoriale, in funzione dell'ambito geogra co nel quale l'organizzazione può svolgere la
propria attività, e limiti in ordine ai soggetti destinatari dell’attività dell'ente.
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Le competenze di qualsiasi organizzazione internazionale sono dunque de nite
competenze di attribuzione, ossia che vengono attribuite all'ente dagli Stati membri
mediante l'atto istitutivo.
La materia delle competenze delle organizzazioni internazionali genera numerosi
interrogativi, soprattutto in relazione ai rapporti tra competenze dell’ente e competenze
degli Stati.
Il primo problema che si riscontra è la volontà degli Stati di salvaguardare ad ogni costo il
cosiddetto “dominio riservato” a loro attribuito in alcune questioni di rilevanza
internazionale.
Le Nazioni Unite, ad esempio, hanno visto attribuirsi competenze e poteri per il
perseguimento di un obiettivo ampio e necessariamente inde nito quale è il
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
L’articolo 2 della Carta dell’ONU stabilisce, quindi, che “nessuna disposizione del
presente statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengono
essenzialmente alla competenza interna di uno Stato”.
Il secondo problema che si pone è relativo alle varie interpretazioni che si possono
attribuire alle competenze dell’organizzazione internazionale così come contenute
nell’atto istitutivo.
Le competenze dell'ente, infatti, in alcuni casi, sono indicate negli statuti con espressioni
generiche, suscettibili di divergenti interpretazioni, oppure, in altri casi, sono destinate ad
evolversi col tempo ed a modi carsi sensibilmente.

I poteri impliciti
La teoria dei “poteri impliciti” è stato lo strumento attraverso il quale la dottrina e la
giurisprudenza hanno cercato di risolvere il problema della genericità delle competenze di
alcune organizzazioni internazionali o della loro necessità di adeguarsi alla diversità dei
tempi.
Tale teoria trova il suo principio ispiratore nella giurisprudenza costituzionale degli Stati
Uniti d'America, secondo la quale lo Stato federale possiede non solo i poteri enunciati
espressamente nella costituzione, ma anche tutte le prerogative necessarie e funzionali
ad esercitare i propri compiti.
La Corte permanente di giustizia internazionale nel parere del giugno 1925 relativo alle
competenze dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro accennò già a tale principio,
adattandolo per la prima volta all’ordinamento internazionale.
La Corte internazionale di giustizia nel celebre parere del 1949 a ermò che
l'Organizzazione delle Nazioni Unite dispone dei poteri necessari per svolgere le proprie
funzioni e quindi anche di quei poteri che, seppure non enunciati espressamente nella
carta, sono comunque conferiti all'organizzazione in quanto essenziali per l'esercizio delle
sue funzioni.
La Corte ha utilizzato questo principio anche per giusti care successivamente la
creazione del Tribunale amministrativo delle Nazioni Unite, organo sussidiario destinato a
dirimere le controversie di lavoro, ma non originariamente previsto nella Carta di San
Francisco.
La Corte in questo caso ha a ermato che il potere di creare un tribunale per assicurare il
buon funzionamento del segretariato era necessariamente implicito nella costituzione
delle Nazioni Unite.

La funzione normativa
Le organizzazioni internazionali svolgono numerose attività, funzionali al raggiungimento
dello scopo previsto nel proprio atto istitutivo.
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Esse esercitano generalmente tre tipologie principali di funzioni, ossia la funzione
normativa, la funzione giurisdizionale e la funzione di controllo.
La funzione normativa degli enti internazionali si di erenzia in due tipologie fondamentali,
ossia la funzione normativa interna e la funzione normativa esterna.
La funzione normativa interna si esplica generalmente in risoluzioni e raccomandazioni,
attraverso le quali l’ente organizza concretamente la sua struttura amministrativa,
seguendo le linee guida contenute nello Statuto.
La funzione normativa esterna, invece, si esplica con l’adozione di atti che vanno ad
incidere sull’ordinamento giuridico internazionale.
Tale funzione può essere perseguita attraverso due tipologie principali di atti di diritto
internazionale, ossia l’adozione di atti contenenti gli standards minimi che regolano
l’azione degli Stati in determinate attività o la conclusione di accordi internazionali o
convenzioni o atti analoghi.
L’ente internazionale può adottare, infatti, un atto interno con carattere obbligatorio, volto
a disciplinare una speci ca questione rientrante nella facoltà dell’ente stesso.
L’ICAO, ad esempio, ha adottato varie raccomandazioni e procedure indispensabili alla
sicurezza della navigazione aerea.
L’OMS, ancora, emana disposizioni analoghe a proposito dei regolamenti sanitari o
farmaceutici.
Gli Stati membri, in questi casi, hanno però una certa libertà di azione, poiché in
determinate situazioni e con adeguate maggioranze, gli organi interni dell’ente possono
annullare gli e etti erga omnes della obbligatorietà della raccomandazione.
L’ente internazionale può anche decidere di promuovere o di presiedere il procedimento
che porta alla stipulazione di un accordo internazionale.
Esso, in questo caso, può semplicemente agevolare l’incontro tra le parti contraenti
oppure può costituire il luogo nel quale si svolgono i negoziati e la conclusione
dell’accordo.
L’organizzazione, una volta che l’atto è stato redatto, stipulato ed è entrato in vigore, non
interferisce però nell’accordo, dato che questo si con gura come un accordo fra Stati ed
obbedisce alle norme generali del diritto internazionale e, in particolare, alla Convezione
di Vienna del 1969.
Le organizzazioni aventi un rilevante potere decisionale, come ad esempio l’Unione
Europea, di cilmente fanno ricorso all’adozione diretta di accordi internazionali, dato che
queste possono porre obblighi direttamente nei confronti dei cittadini degli Stati membri,
utilizzando strumenti giuridici più veloci e meno impegnativi.
Le organizzazioni internazionali pongono in essere accordi internazionali per di erenti
motivi.
La conclusione dell’accordo può rappresentare lo strumento essenziale attraverso il quale
l’organizzazione stessa opera per il perseguimento dei suoi scopi.
L’OIL, ad esempio, ha lo scopo di migliorare le condizioni di lavoro degli individui e tale
scopo viene perseguito proprio attraverso la formulazione, contenuta poi in accordi
internazionali, di un complesso di norme minime che dovranno poi essere adottate dai
singoli Stati membri.
La conclusione di un accordo internazionale può anche rappresentare solo uno degli
strumenti attraverso i quali una organizzazione internazionale persegue i suoi obbiettivi,
ma non il principale.
L’UNESCO o la FAO, ad esempio, concludono numerosi accordi internazionali, anche se
la loro attività principale consiste nello sviluppo dei programmi culturali ed educativi o
alimentari.
La conclusione di trattato può in ne rappresentare lo strumento grazie al quale si procede
all’attuazione dell’articolo 13 della Carta delle Nazioni Unite, ossia allo sviluppo
progressivo del diritto internazionale e della sua codi cazione.
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La Convezione di Vienna sul diritto dei trattati o la Convezione di Montego Bay rientrano,
ad esempio, in questo modello.
Le prime due tipologie di rapporto tra l’accordo e l’ente impongono che il procedimento
di elaborazione, conclusione ed adozione del testo si svolga all’interno
dell’organizzazione stessa.
Le organizzazioni internazionali nelle quali l’elaborazione delle convezioni è lo strumento
normale dell’attività dell’ente godono del cosiddetto “soft law”, ossia della possibilità di
inviare note o pareri non giuridicamente vincolanti, ma comunque aventi una certa
in uenza, che hanno lo scopo di far adeguare gli Stati ad una certa condotta.

La funzione di controllo
La funzione di controllo delle organizzazioni internazionali si è sviluppata allo scopo di
veri care che il comportamento degli Stati sia conforme agli obblighi convenzionalmente
assunti.
Gli obblighi sottoposti all'accertamento vanno distinti in ragione dell'accordo
internazionale dal quale derivano.
Da una parte, vi sono gli obblighi che derivano dall'atto istitutivo dell'ente e dagli atti
adottati in applicazione del medesimo.
Dall'altra parte, vi sono invece gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali
negoziate e concluse nell'ambito dell'ente considerato e dalle raccomandazioni che sono
state rivolte agli Stati, anche nella forma di atti di soft law.
Gli obblighi derivanti dall'accordo istitutivo, dagli atti ad esso conseguenti e dalle
raccomandazioni adottate dagli enti sono intimamente collegati all'ordinamento dell'ente
stesso e perciò appare coerente che questo preveda obblighi in virtù del rispetto dei quali
siano istituiti organi e procedure di controllo.
Gli obblighi derivanti invece dalle convenzioni internazionali negoziate e concluse
nell'ambito dell'organizzazione non sembrano collegati all'ordinamento della stessa.
Il controllo di convenzioni internazionali stipulate nell’ambito di organizzazioni in cui ciò
costituisce il normale strumento operativo dell'ente per il raggiungimento dei suoi scopi
risulta in realtà estremamente importante e sicuramente connesso con l'ordinamento
dell'ente stesso.
Il controllo di convenzioni internazionale stipulate nell’ambito di enti in cui ciò rappresenta
soltanto uno degli strumenti operativi dell’ente stesso è esplicitamente a dato
all’organizzazione dagli stessi Stati contraenti e non costituisce una esigenza funzionale
per la attività della stessa.
La funzione di controllo delle organizzazioni internazionali si esplica attraverso due
distinte procedure.
La suddetta funzione può essere esercitata da organi istituzionalmente appartenenti alla
struttura dell'ente o anche da organi sussidiari, ma sempre riconducibili alla medesima
struttura.
La funzione di controllo può essere esercitata da una serie di organi di controllo ad hoc,
istituiti nella convenzione la cui attuazione sarà poi oggetto del controllo o in protocolli o
altri atti a quest'ultima legati.
Gli organi ad hoc, in quanto istituiti dalla convenzione internazionale di riferimento, non
appartengono certo alla struttura di alcun ente internazionale ma vengono di fatto a
quest'ultimo ricondotti in funzione del rapporto di origine che ha visto la convenzione
elaborata e negoziata nell'ambito dell'organizzazione stessa.
La funzione di controllo va ad indagare essenzialmente il comportamento degli Stati in
relazione agli impegni assunti dagli stessi.
Tale controllo, sebbene l'attività degli Stati si concretizzi essenzialmente in atti, non potrà
essere un controllo formale su atti, poiché si tratta generalmente di atti interni dello Stato,
non rilevanti come atti giuridici per l'ordinamento dell'ente.
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Il sindacato riguarderà quindi il comportamento e ettivo e complessivo dello Stato, e non
i singoli atti interni che lo determinano.
La funzione di controllo, per essere esplicata, necessita che gli organi di controllo degli
enti siano dotati di mezzi idonei, primi fra tutti una serie di strumenti predisposti al ne di
consentire all'organo di controllo la conoscenza degli atti e dei comportamenti sui quali
esercitare la propria attività.
Il potere di informazione si esplica attraverso due distinte procedure: da una parte si
impone l'obbligo della presentazione di un rapporto periodico sull'attività svolta, dall'altra
si attribuiscono all'organo incaricato del controllo determinati diritti di informazione, intesi
a completare le notizie ricevute ed a conoscere i fatti e gli atti che non gurano nei
rapporti u ciali.
La redazione dei rapporti periodici è uno strumento che presenta però alcuni limiti, dal
momento che presuppone la buona fede e la volontà di collaborazione da parte dello
Stato obbligato a presentare il rapporto.
L'ordinamento internazionale ha superato i difetti del sistema dei rapporti prevedendo
l'attribuzione all'organo di controllo di un ente internazionale di determinati poteri di
informazione; l'organo che giudica insu cienti le notizie ricevute attraverso il rapporto
periodico dispone infatti di poteri più o meno ampi per richiedere direttamente agli Stati le
notizie che reputa opportuno conoscere.
Il menzionato potere di informazione potrebbe però anche rivelarsi insu ciente ai ni di
un'e cace sindacato.
Esso permette infatti di procedere soltanto attraverso l'esame di documenti, quando
potrebbe essere invece necessario conoscere e valutare alcuni fatti, oltre che gli atti.
L'ordinamento internazionale ha cercato di superare anche questo difetto tramite la
creazione di un sistema di controlli avente ad oggetto il comportamento di uno Stato che
si esplica attraverso la diretta ispezione dell'organo di controllo sul territorio dello Stato
stesso.
Questa procedura è riscontrabile soltanto in pochi casi e normalmente viene utilizzata per
valutare comportamenti come l'applicazione di una convenzione internazionale o
comportamenti che trovano la loro origine direttamente nell'atto istitutivo.
La peculiarità di tale procedura consiste nel prevedere non soltanto l'esame dei mezzi e
degli atti forniti dallo Stato, ma nel consentire anche la valutazione diretta dei fatti
concreti.
La funzione di controllo in alcuni casi assume speci che forme di monitoraggio, come ad
esempio nel caso dei diritti umani.
Il sistema delle Nazioni Unite, nell'ambito della promozione e della protezione dei diritti
umani, prevede apposite procedure per il monitoraggio del rispetto dei diritti da parte
degli Stati membri.
In primo luogo, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, in seguito alla
segnalazione di situazioni nelle quali si è veri cata una grave violazione dei diritti umani,
può inviare una comunicazione urgente all'attenzione delle autorità di governo a nché
forniscano soddisfacenti elementi di risposta in merito.
In secondo luogo, il Consiglio dei diritti umani, sempre in seguito alla segnalazione di
situazioni di violazione dei diritti umani, può e ettuare negli Stati membri visite tecniche al
ne di veri care lo stato dei diritti umani e di darne conto in un rapporto di missione.
In terzo luogo, due diversi gruppi di lavoro delle Nazioni Unite svolgono una particolare
funzione di tutela.
Il primo gruppo, composto da cinque membri in carica per tre anni, ha il mandato di
esaminare le comunicazioni, di veri carne l'ammissibilità e di pronunciarsi sul merito,
procedendo poi con la richiesta di informazione allo Stato interessato e alla trasmissione
del dossier al secondo gruppo.
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Il secondo gruppo, che ha una composizione speculare al primo, elabora un rapporto e
formula le proprie raccomandazioni al Consiglio dei diritti umani per l'adozione di una
decisione.
Numerose convenzioni internazionali sui diritti umani, come ad esempio la Convenzione
europea in materia o la Convenzione americana dei diritti dell’uomo, prevedono una
funzione di controllo ad iniziativa di parte, nel senso cioè che queste possono essere
iniziate sulla base di una richiesta, denuncia, comunicazione o altra formula presentata
dal soggetto che venuto a conoscenza del comportamento di violazione degli obblighi
assunti o che ne ha un diretto interesse per essere coinvolto nella lesione di un diritto che
tale violazione consegue.
Tali convenzioni prevedono generalmente due tipologie di procedure, conferendo tale
prerogativa o agli Stati o agli individui che lamentano la lesione del diritto.
Quest'ultima procedura in realtà ha incontrato di coltà di accettazione da parte degli
Stati membri, che di cilmente accettano di essere chiamato in giudizio di fronte ad un
organo internazionale per indicativa di un individuo di un gruppo di individui.
La funzione di controllo può prevedere anche un tipo di controllo nanziario e contabile,
talvolta disciplinato nello stesso atto istitutivo o in regolamenti interni.
Le disposizioni contenute negli atti istitutivi si limitano generalmente a prevedere, nelle
sue grandi linee, l'iter necessario e le competenze per l'approvazione del bilancio; il
regolamento nanziario dei singoli enti disciplina invece in modo dettagliato la procedura
di controllo.
La funzione di controllo nanziario e contabile è caratterizzata da tre fasi successive, che
corrispondono a tre diversi momenti nei quali si esercita il controllo stesso.
La prima fase ha un carattere preventivo e il controllo in questa sede ha per oggetto il
bilancio, che deve essere approvato ed eseguito dagli organi competenti.
La seconda fase ha un carattere contemporaneo e concomitante e si e ettua nello stesso
tempo dell'esecuzione del bilancio ed all'interno dello stesso organo a ciò predisposto.
La terza fase ha un carattere posteriore e si interessa di veri care che l'esecuzione di
bilancio sia stata conforme alle disposizioni.
La funzione di controllo, in anni più recenti, ha registrato una evoluzione particolare, in
quanto molte organizzazioni internazionali hanno sviluppato la tendenza a monitorare e
valutare, in termini di e cacia, funzionalità e risultati, l'operato dei singoli organi interni.
La funzione di valutazione può con gurarsi come interna o esterna all'apparato
dell'organizzazione, in relazione all'attribuzione della competenza valutativa ad organi
facenti parte o meno del suddetto apparato.
Il sistema delle Nazioni Unite prevede un apposito gruppo intergovernativo (UNEG), con
43 membri rappresentanti gli u ci competenti per il controllo dell’amministrazione dei
singoli organismi e diretto da un rappresentante del Fondo delle Nazioni Unite per lo
Sviluppo, al ne di veri care la conformità tra le decisioni prese dagli organi esecutivi e
l’attuazione delle stessa da parte dell’apparato amministrativo.

La funzione giurisdizionale
La funzione giurisdizionale delle organizzazioni internazionali ha avuto uno sviluppo
di erenziato in funzione dell'oggetto del controllo.
In primo luogo, la funzione giurisdizionale si esercita in relazione al rapporto di lavoro fra
l'ente medesimo ed i suoi funzionari ed agenti.
Questa forma giurisdizionale si esercita solo nei confronti di una particolare categoria di
individui, ossia i funzionari e gli agenti dell'organizzazione.
L'autonomia riconosciuta alle organizzazioni internazionali ha fatto sì che storicamente gli
organi giudiziari degli Stati membri non avessero la legittimità ad intervenire in relazione ai
rapporti di lavoro fra l'ente e i funzionari.
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La prassi ha quindi visto nascere organi ad hoc istituiti nell'ambito di ciascuna
organizzazione internazionale, primi fra tutti il Tribunale amministrativo delle Nazioni Unite
e il Tribunale amministrativo dell’OIL, idonei a dirimere le controversie sul rapporto di
lavoro.
In secondo luogo, la funzione giurisdizionale si esercita anche sugli atti dell'ordinamento
interno dell'ente allo scopo di valutarne la legittimità.
Questa forma giurisdizionale è tuttavia molto poco sviluppata.
La soluzione più avanzata al riguardo è certamente quella iniziata con la CECA, sviluppata
poi nell'ordinamento della Unione Europea, nel cui contesto la Corte di giustizia esercita
un completo controllo giurisdizionale sugli atti delle istituzioni ed anche sui
comportamenti delle stesse.
In terzo luogo, la funzione giurisdizionale si esercita nei confronti degli Stati,
distinguendosi in una funzione che ha ad oggetto le controversie che sorgono all'interno
dell'ordinamento dell'ente tra Stati membri o tra questi e l'organizzazione e le
controversie sorte sempre fra Stati, ma nell'ambito di una convenzione internazionale
elaborata e redatta all'interno dell'organizzazione per libera scelta degli Stati.
Le controversie fra Stati membri o fra essi e l'organizzazione sono state ricondotte sotto
la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, che ha reso super ua l'istituzione di
una speci ca giurisdizione all'interno di molte organizzazioni internazionali, anche se
alcuni sistemi a carattere regionale hanno ritenuto opportuno prevedere una funzione
giurisdizionale per la soluzione delle controversie indipendente dal sistema della CIG, che
rientra nell’ambito delle Nazioni Unite.
Le controversie fra Stati nell'ambito di una convenzione internazionale redatta con
l'appoggio dell'organizzazione in molti casi seguono la regola valida per gli accordi
multilaterali internazionali e solo in rarissime eccezioni sono state ricondotte sotto la
giurisdizione di una corte ad hoc (come nel caso della Convezione europea dei diritti
dell’uomo su cui la speci ca Corte europea dei diritti dell'uomo esercita la propria
giurisdizione).

Capitolo IV - Lo status di membro delle organizzazioni internazionali


L’acquisto dello status di membro e le sue caratteristiche
Il soggetto internazionale che rati ca, aderisce o viene ammesso ad un accordo
internazionale che determina un rapporto associativo tendente alla creazione di una
nuova entità giuridica si de nisce comunemente membro dell'ente istituito.
Il termine “parte contraente” è comunemente usato nella maggioranza dei trattati e
designa i soggetti che, partecipando alla formazione dell'atto internazionale, diventano
destinatari delle norme poste in essere.
Il termine “Stato membro” si ritiene tipico degli atti istitutivi di enti internazionali, nei quali
contribuisce a quali care il particolare vincolo che unisce un gruppo di Stati.
L’entità che partecipa ad un ente internazionale viene a trovarsi in una particolare
situazione giuridica che lo distingue da tutti gli altri soggetti di diritto internazionale.
Essa assume un particolare status giuridico e diviene quindi titolare di un complesso
caratteristico di situazioni giuridiche comune soltanto agli altri soggetti nelle medesime
condizioni.
I soggetti che possono interagire, seguendo varie modalità e con varie forme, con le
organizzazioni internazionali sono molteplici.
In primo luogo, gli Stati sono coloro i quali generalmente partecipano completamente e
senza limiti alla vita delle organizzazioni internazionali.
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La dimensione territoriale di uno Stato non dovrebbe determinare conseguenze in ordine
alla sua capacità di partecipazione; i suoi membri dovrebbero soltanto essere in grado di
contribuire allo scopo che l’ente ha inserito nello Statuto.
In secondo luogo, un “paese”, anziché uno Stato, può aderire in qualità di membro
associato al Consiglio d’Europa.
Un esempio è rappresentato dall’ingresso della regione franco-tedesca della Sarre nel
Consiglio d’Europa, prima della sua annessione alla Repubblica Federale tedesca.
In terzo luogo, altre organizzazioni internazionali possono far parte di alcuni enti
internazionali, attraverso alcune norme speci che contenute nello Statuto, oppure
semplicemente cooperare con esse, attraverso appositi accordi di cooperazione.
Alcuni esempi relativi all’acquisto dello status di membro di una organizzazione
internazionale da parte di un altro ente sono rappresentati dall’ingresso della Comunità
Europea nella Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), nella FAO e nella
OMC.
Il caso più interessante e certamente più problematico è quello che si è concluso con la
partecipazione della Comunità Europea alla FAO.
La FAO è un'istituzione specializzata dell’ONU e il suo Statuto prevede la possibilità di
attribuire lo status di membro associato a territori o gruppi di territori non responsabili
delle proprie relazioni internazionali.
La conferenza della FAO a rontò la questione dell’ammissione completa della CEE
all'interno dell'organizzazione e adottò, a larga maggioranza, una risoluzione contenente
gli emendamenti allo Statuto ed ai regolamenti interni per consentire la partecipazione
delle organizzazioni internazionali regionali che fossero in possesso di alcuni requisiti.
La conferenza, in particolare, stabilì che un ente internazionale poteva essere ammesso
se l'organizzazione è composta da Stati sovrani, se la maggioranza dei membri
dell'organizzazione è già membro della FAO, se l'organizzazione possiede competenze ad
essa trasferite dagli Stati membri e se tali competenze comprendono anche la capacità di
assumere decisioni su questioni che impegnano gli Stati membri.
Un esempio relativo all’instaurazione di un rapporto collaborativo tra due o più enti
internazionali è costituito dagli accordi di collegamento tra le Nazioni Unite e tutti i suoi
Istituti specializzati.
L'organizzazione non acquista, però, in questo caso, lo status giuridico di membro in
quanto non assume le stesse situazioni giuridiche degli altri membri, quali sono dettate
dall'atto istitutivo, ma diviene normalmente titolare di limitati poteri, doveri e facoltà che
gli derivano unicamente dall'accordo di cooperazione.
In quarto luogo, i rappresentanti dei governi in esilio o dei comitati di liberazione nazionale
possono, in alcuni casi, aderire alle organizzazioni internazionali.
La partecipazione alle organizzazioni internazionali di questi soggetti, in realtà,
determinerebbe alcuni problemi relativamente alla loro personalità giuridica internazionale
ed alla loro autonomia.
La loro partecipazione all'ente infatti li renderebbe destinatari di situazioni giuridiche di
diritto internazionale, conferendogli di fatto la personalità giuridica.
Un esempio è costituito dall'ingresso di Israele nelle Nazioni Unite nel 1947 quando
ancora non era riconosciuto da molti paesi arabi o dall’ingresso della Cina sempre nelle
Nazioni Unite nel 1971.
In quinto luogo, le organizzazioni non governative possono cooperare con altre istituzioni
internazionali.
Le ONG, infatti, avendo competenze speci che molto elevate, rappresentano un ottimo
strumento tecnico-informativo per gli enti internazionali.
Esse hanno spesso instaurato un rapporto di collaborazione con alcune organizzazioni
internazionali attraverso l’accordo di cooperazione, non assumendo quindi lo status di
membro a pieno titolo.
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I soggetti che aderiscono ad una organizzazione internazionale lo fanno esclusivamente
su base volontaria, in quanto nessuno Stato può diventare membro di un ente
internazionale in forza di una disposizione normativa ed indipendentemente dalla sua
volontà.
Gli enti che sono interessati a far parte di una istituzione internazionale non possono
acquisire lo status di membro neanche attraverso altri particolari fenomeni giuridici, quali,
ad esempio, la successione.
Un esempio di presunto acquisto di status per successione fra Stati si manifestò per la
prima volta all'Onu nel 1947, quando, in seguito all’Indian Indipendent Act, si formarono i
due Stati dell'India e del Pakistan; in tale occasione, il Pakistan sostenne la tesi
dell'acquisto automatico dello status di membro, ma l'Assemblea Generale negò tale tesi
e ribadì la necessità di una formale ammissione.
Un esempio particolare è costituito dalla fusione avvenuta nel 1958 tra l'Egitto e la Siria,
originante la Repubblica Araba Unita; in tale occasione, gli organi delle Nazioni Unite,
muovendo dal presupposto che ambedue i soggetti tra i quali si realizzava la fusione
erano già membri dell'organizzazione, non ritennero necessaria una formale procedura di
ammissione.
La regola generale sembra suggerire che qualora una modi cazione tra Stati intervenga in
soggetti non ancora membri dell'ente, essi devono fare speci ca richiesta di ammissione.
I soggetti che intendano acquisire lo status di membro di un'organizzazione internazionale
devono attenersi alle speci che regole presenti nello statuto, variabili da istituzione a
istituzione.
Tali entità possono acquisire diverse tipologie di status, con carattere permanente o
temporaneo e con speci ci diritti ed obblighi.
In primo luogo, lo status di membro fondatore o originario viene attribuito quando il
soggetto diventa membro di un ente internazionale attraverso la partecipazione alla
stipulazione dell'accordo istitutivo e alla sua successiva rati ca.
Tale possibilità di acquisto dello status di membro costituisce l'unica via possibile
soltanto per quelle organizzazioni internazionali chiuse.
Un esempio di organizzazione internazionale che prevede questa tipologia di membro è
costituito dalle Nazioni Unite, le quali nel suo Statuto prevedono esplicitamente una
categoria di membri fondatori costituita dagli Stati che, avendo rmato la Dichiarazione
delle Nazioni Unite del 1942 e avendo partecipato alla Conferenza di San Francisco, ne
abbiano rmato e rati cato l'atto istitutivo.
Lo status di membro fondatore o originario si concreta in una situazione di privilegio nei
confronti degli altri membri che successivamente entrano a far parte dell'organizzazione.
I membri fondatori, infatti, di erentemente dagli altri, diventano membri dell'ente per il
solo fatto di aver partecipato alla formazione dell'atto istitutivo.
Essi acquistano lo status al momento dell'entrata in vigore dell'accordo, nel caso
l'abbiano già rati cato, o successivamente, al momento del deposito dello strumento
della rati ca.
I membri fondatori o originari, quindi, per essere ammessi, non necessitano della veri ca
dei requisiti indicati dall'atto istitutivo.
Un esempio è costituito dalle Nazioni Unite, nel cui Statuto si prevede l'esenzione dai
cinque requisiti indispensabili per entrare a far parte dell'organizzazione per gli Stati
fondatori.
La situazione di privilegio dei membri fondatori o originari si manifesta unicamente al
momento dell'acquisto dello status; successivamente, i diritti e i doveri loro conferiti non
di eriscono in nulla da quelli attribuiti agli Stati che non hanno tale quali ca.
In secondo luogo, lo status di membro aderente viene attribuito quando il soggetto
diventa membro di un ente internazionale attraverso l'adesione successiva all'accordo
istitutivo.
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La clausola di adesione, contenuta nell'atto istitutivo di un ente, permette agli Stati, che
non ne fanno parte, di acquisire lo status di membro, aderendo all'accordo.
Un esempio è costituito dall’UNESCO, ma anche da molte altre organizzazioni
internazionali, che nel suo Statuto prevede per gli Stati già membri delle Nazioni Unite la
possibilità di entrare a far parte dell’organizzazione mediante semplice adesione.
Un caso particolare è costituito dalle organizzazioni regionali che richiedono
l’appartenenza ad una speci ca regione geogra ca per l’adesione all’ente.
Lo status di membro aderente si concretizza in una situazione di privilegio rispetto alla
categoria ordinaria di membro.
Tale condizione di privilegio consiste nella possibilità che gli Stati titolari della facoltà di
aderire all'ente acquistino lo status di membri senza che sia necessario alcun intervento
degli organi dell'ente, né per accertare il possesso dei requisiti fondamentali né per
manifestare il consenso dell’ente alla sua partecipazione.
La volontà consenziente dell'ente infatti si trova già manifestata implicitamente nella
stessa clausola di adesione.
In terzo luogo, lo status di membro ammesso viene attribuito quando il soggetto, che non
è né un membro fondatore né un membro aderente, diviene partecipe di una
organizzazione internazionale in seguito al processo di ammissione.
L’ammissione è un procedimento che si può riassumere in due fasi essenziali.
La prima fase prevede che il soggetto che si ritiene in possesso delle condizioni minime
richieste ponga la propria candidatura per essere ammesso.
La seconda fase prevede che l'organo o gli organi competenti dell’organizzazione, dopo
aver valutato la domanda dello Stato, si pronunciano sulla sua ammissione.
La di erenza sostanziale tra adesione e ammissione è dunque evidente.
Lo Stato aderente necessita, infatti, della sola dichiarazione di volontà di aderire,
contenuta nell'atto di adesione, per acquisire lo Stato si membro dell'organizzazione.
Lo Stato ammesso necessita, invece, di manifestare la propria volontà di partecipare
all'ente e contemporaneamente il benestare degli organi dell'ente.
Lo Statuto di un ente non prescrive generalmente particolari formalità da osservare nella
domanda di emissione e si limita a prevedere un atto formale nel quale sia contenuta la
domanda e la dichiarazione con la quale lo Stato accetta gli obblighi derivantigli dall'atto
istitutivo.
L'atto istitutivo può, tuttavia, condizionare l'ammissione di uno Stato al possesso di
determinati requisiti.
I requisiti per l'ammissione possono essere predeterminati e uniformi, nel senso di essere
elencati esplicitamente nello stesso atto (come nel caso dello Statuto dell’ONU).
Essi, altresì, possono essere occasionali e mutevoli, nel senso di essere ssati di volta in
volta dall'organo competente (come nel caso dello Statuto del FMI).
Il possesso di tali requisiti non determina per lo Stato un diritto soggettivo ad assumere
automaticamente la qualità di membro o a pretendere una favorevole pronuncia di
ammissione.
La decisione sull’ammissione di un nuovo stato membro può essere devoluta al solo
organo assembleare dell'ente oppure a più organi congiuntamente.
Tale decisione, quando è devoluta al solo organo assembleare, richiede generalmente la
maggioranza dei 2/3 dei membri (come nello Statuto del Consiglio d’Europa).
Essa, quando è invece devoluta a più organi dell'ente, richiede generalmente le
maggioranze previste per le decisioni più importanti.
L’ammissione, in alcuni casi, non è prevista né nell'atto istitutivo né nei regolamenti
interni.
L'eventuale partecipazione di uno Stato deve quindi seguire un iter procedurale
completamente di erente.
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La procedura costituirebbe infatti un'e ettiva modi ca dell'atto e come tale richiederebbe,
salve espresse disposizioni in contrario, una nuova manifestazione di assenso di tutte le
parti contraenti, che si concretizza con la stipulazione di un accordo ad hoc da allegare
poi all'atto istitutivo (come nel caso della NATO).
In quarto luogo, lo status di membro privilegiato viene attribuito quando il soggetto si
trova in una particolare situazione giuridica da cui derivano poteri maggiori rispetto ai
membri ordinari.
La comunità internazionale è fondata sul principio dell'eguaglianza giuridica dei membri
che la compongono.
Tale principio generale trova conferma nella maggioranza degli accordi istitutivi di
organizzazioni internazionali, in cui la struttura organica adottata prevede sempre la
costituzione di un organo assembleare, proprio per rispondere all'esigenza che tutti gli
Stati membri possano essere rappresentati in un organo e partecipare, a parità di diritti,
alla formazione della volontà dell'ente medesimo.
Il principio dell'eguaglianza giuridica dei membri viene però in parte modi cato, in alcuni
enti, attraverso sia la composizione degli organi esecutivi sia l'attribuzione di particolari e
privilegiate situazioni giuridiche a determinati membri.
Lo status di membro privilegiato fa derivare la destinatarietà di situazioni giuridiche
speciali e comuni soltanto agli altri membri privilegiati.
La specialità di tale condizione giuridica non si può però cogliere al momento
dell'acquisto dello status ma soltanto nell'esercizio dei diritti che da esso derivano.
La posizione particolare di cui gode il membro privilegiato non si manifesta infatti al
momento della sua partecipazione all'ente, ma soltanto nell'applicazione dell'accordo
istitutivo.
Lo status di membro privilegiato può essere caratterizzato da privilegi di diritto, previsti
negli atti istitutivi e nominativamente attribuiti a determinati Stati membri con carattere di
permanenza, oppure da privilegi di fatto, previsti sempre negli atti istitutivi e attribuiti a
quei soggetti che si vengono a trovare concretamente (e talvolta anche
temporaneamente) in situazioni particolari previste nella lettera dello Statuto.
Un esempio di status di membro privilegiato di diritto è previsto nel sistema delle Nazioni
Unite in cui Stati Uniti d'America, Russia, Francia, Cina e Gran Bretagna risiedono
permanentemente nel Consiglio di sicurezza, con diritto di veto.
Lo status giuridico privilegiato attribuito nominativamente ai cinque Stati indicati nello
Statuto dell'ONU è stato ritenuto come una inderogabile necessità alla quale va incontro
ogni società formata da Stati la cui diversa potenza politica non può essere ignorata.
Un altro esempio di status di membro privilegiato di diritto è previsto in numerose altre
organizzazioni, soprattutto a carattere economico, in cui il sistema di voto attribuisce un
valore diverso all'espressione di ciascun membro (voto ponderato).
Un esempio di status di membro privilegiato di fatto è previsto nel sistema dell’ICAO in
cui gli Stati di primaria importanza nei trasporti aerei hanno il privilegio di poter essere
eletti nel consiglio dell'organizzazione.
In quinto luogo, lo status di membro associato viene attribuito generalmente a quei
soggetti che vogliono far parte di una organizzazione, ma che non possono acquisire lo
status di membro ordinario data la mancanza di alcuni requisiti.
Lo status di membro associato è estremamente particolare e può trovare le sue più
remote origini nell'esigenza, già avvertita nel secolo scorso, di far partecipare le colonie e
i territori dipendenti all'attività di alcune organizzazioni internazionali amministrative.
Tale status permette ad un soggetto di partecipare, sia pure con ridotti poteri,
all'ordinamento di un ente, divenendo titolare delle situazioni giuridiche previste senza
determinarne alcuna innovazione.
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Lo status di membro associato è previsto espressamente negli atti istitutivi di molte
Istituzioni specializzate dell’ONU, nello Statuto del Consiglio d’Europa ed è attuabile nella
Comunità Europea (anche se attraverso appositi accordi ad hoc).
L’associazione nelle Istituzioni specializzate delle Nazioni Unite è prevista nella lettera
statutaria e, pur nella diversità di ogni istituzione, è possibile rintracciare una serie di
caratteristiche comuni.
I territori non autonomi, ma talvolta anche gli Stati, sono legittimati a chiedere
l'associazione a queste Istituzioni.
La domanda di ammissione, mancando la personalità giuridica e rilevandosi
l'impossibilità che tali entità territoriali manifestino direttamente la loro volontà nei
confronti dell'ente, deve essere presentata, per essi, dallo Stato che ne assicura le
relazioni internazionali o, in caso di territori sottoposti ad amministrazione duciaria,
direttamente dalle Nazioni Unite.
Il perfezionamento dell'acquisto dello status di membro associato è estremamente
di erenziato in base alla speci ca istituzione.
Alcuni prevedono la semplice noti ca della domanda al Segretario Generale delle Nazioni
Unite, altri richiedono l'accordo unanime dei membri e altri ancora l’assenso della
maggioranza dei membri.
Lo status di membro associato si concretizza, da un lato, nella mancanza del diritto di
voto e, dall'altro, nell'impossibilità di essere eletti a far parte degli organi esecutivi
dell'ente, anche se si permette la partecipazione agli organi sussidiari.
L’associazione nel Consiglio d’Europa è disciplinata dall’articolo 5 dello Statuto che
stabilisce “che in circostanze particolari, un paese europeo considerato capace di
adeguarsi alle disposizioni dell'articolo 3, può essere invitato dal Comitato dei ministri a
diventare membro associato”.
I requisiti richiesti per l'associazione sono dunque la presenza di circostanze particolari, il
fatto che i soggetti che possono acquistare tale status siano paesi europei e che questi
ultimi siano riconosciuti capaci di conformarsi alle disposizioni dell'articolo 3 dello
Statuto.
Un caso concreto di questo fenomeno è rappresentata dall'ingresso della Sarre e della
Germania occidentale nel Consiglio d’Europa in qualità di membri associati.
Il Comitato dei Ministri, infatti, poco dopo la sua fondazione, a rontò il problema dei
territori della Sarre e della Germania occidentale sottoposta ad occupazione militare, i
quali manifestarono la volontà di partecipare all'organizzazione.
Tale Comitato, sentito il parere favorevole della Commissione permanente per
l'ammissione dei nuovi membri, nel marzo 1950, invitò la Sarre e la Germania occidentale
a divenire membri associati all'Organizzazione.
L'associazione nella Comunità Europea presenta caratteri estremamente particolari che la
di erenziano nettamente dall'analogo rapporto esaminato nelle altre istituzioni.
L'associazione in questo istituto necessita infatti della stipulazione di un accordo ad hoc,
che disciplini caso per caso i rapporti fra lo Stato associato e la Comunità.
Gli accordi di associazione conservano ognuno la propria singolarità e ciò implica che
non sia possibile tracciare una descrizione tipica della situazione giuridica di
associazione.
Il soggetto che si associa alla Comunità Europea stipulando un apposito accordo si
impegna soltanto a rispettare i doveri ed a godere dei diritti espressamente contenute
nell'accordo di associazione, ma non si inserisce nell'ordinamento comunitario.
Esso, in sostanza, non diviene titolare delle situazioni giuridiche previste nel trattato
istitutivo e non può quindi assumere alcuno status.
L'associazione nella CE è stata in genere concepita come strumento per avvicinare la
Comunità e i paesi che ne sarebbero diventati membri.
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In sesto luogo, lo status di membro a liato viene attribuito alle organizzazioni turistiche
(ONG) degli Stati membri dell’Organizzazione mondiale del turismo con il consenso di
questi ultimi.
Tale singolare situazione deriva dalla circostanza che l'attuale OMT, prima di essere
costituita nella forma di organizzazione intergovernativa, esisteva con analoga tipologia e
titolo quale organizzazione non governativa istituita fra gli enti e le istituzioni nazionali del
turismo.
In settimo luogo, lo status di osservatore o osservatore permanente e lo status consultivo
vengono previsti in molteplici casi e vengono attribuiti a quei soggetti ed enti esterni
all'organizzazione che però intrattengono rapporti di una certa importanza con essa.
Altre organizzazioni, Stati terzi, enti non territoriali ed anche organizzazioni non
governative possono infatti intrattenere speci che relazioni con gli enti internazionali.
Lo status di osservatore può essere previsto nello statuto dell'organizzazione oppure può
essere attribuito attraverso un particolare accordo di cooperazione o coordinamento.
Il primo caso implica che siano soltanto le norme dell'ordinamento dell'ente a determinare
quali soggetti possono bene ciare del particolare status e non vi è quindi alcun limite in
ordine alla natura dei soggetti, potendo applicarsi anche ad organizzazioni non
governative.
Il secondo caso implica invece che tale status derivi da un accordo internazionale
debitamente concluso ed è implicito quindi che questo possa essere attribuito soltanto
ad un altro soggetto che abbia analoga capacità a concludere accordi sul piano
internazionale.
Il maggiore sviluppo di tali situazioni si è avuto certamente nell'ambito delle Nazioni Unite.
Tale organizzazione infatti, che n dalle sue origini intendeva estendersi all'intera
comunità internazionale, non poteva non prendere in considerazione, per lo svolgimento
delle proprie funzioni, quei soggetti che fossero rimasti terzi.
Alcune disposizioni dello Statuto prevedono, ad esempio, la partecipazione occasionale
di Stati terzi interessati ai lavori dell'Assemblea Generale e del Consiglio di sicurezza.
Lo status di osservatore e lo status consultivo derivano ambedue da singoli atti delle
organizzazioni internazionali presso le quali vengono istituite.
Lo status consultivo presenta una certa omogeneità nei vari casi speci ci, mentre lo
status di osservatore è estremamente variabile.
I soggetti che godono dello status consultivo vengono consultati sui programmi e su
speci che attività dell’ente in funzione della loro competenza, ricevono la
documentazione e sono invitati a produrre osservazioni e commenti e vengono invitate a
partecipare ai lavori di comitati, gruppi di esperti ed altri organismi sussidiari, ma non ai
lavori degli organi principali.
I soggetti che godono invece dello status di osservatore hanno poteri variabile in
relazione al contenuto dell'atto mediante il quale è stato concesso lo status, attribuendo
così la discrezionalità all'ente di attribuire maggiori o minori capacità all’osservatore in
funzione della natura di quest'ultimo (Stato, ONG, Organizzazioni internazionale).
Essi generalmente hanno il diritto di partecipare alle sedute dell'organo assembleare o di
altri organi dell'ente e talvolta possiedono anche il diritto di intervento, escludendo però
qualunque forma di partecipazione alla formazione della volontà dell'ente.
Un caso particolare è costituito dalla posizione della Palestina all'interno dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite.
Una risoluzione riconosce infatti a tale ente non soltanto la partecipazione al dibattito
generale, ma anche il diritto di intervento, di replica, di proposta per l'ordine del giorno e
di sottoposizione dei progetti, rimanendo però escluso il diritto di voto ed il potere di
proporre candidature.

La sospensione dello status di membro


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Le situazioni giuridiche analizzate possono essere considerate come circostanze normali
e siologiche, previste e disciplinate nell'atto istitutivo dell'ente.
Altre situazioni, invece, nelle quali possono trovarsi i membri e dalle quali deriva la
titolarità di situazioni giuridiche eccezionali, sono da ritenersi del tutto anormali e
patologiche.
La violazione degli obblighi assunti dagli Stati membri con la loro partecipazione all'ente è
da considerarsi la fattispecie più rilevante delle situazioni patologiche che si possono
veri care.
Il comportamento dello Stato, contrario agli obblighi derivanti dalla sua qualità di
membro, determina l'applicazione nei suoi confronti del sistema di sanzioni previste
nell'atto istitutivo.
La violazione degli obblighi da parte dello Stato membro può dare origine a diversi
provvedimenti sospensivi o disciplinari.
In primo luogo, la sospensione dall'esercizio dei diritti e del godimento dei privilegi
derivanti dalla qualità di membro dell'organizzazione, come sanzione conseguente alla
violazione degli obblighi assunti con l'atto istitutivo, è prevista nell'ordinamento di molti
enti internazionali.
L’ente, date le conseguenze che dal provvedimento sospensivo derivano allo Stato che
ne è oggetto, deve necessariamente adottare un atto formale nel quale l'organo
competente pronunci espressamente la sospensione dello Stato membro.
Lo Stato così sospeso rimane pur sempre titolare dei diritti che gli derivano dalla sua
appartenenza all'ente, ma viene temporaneamente privato della possibilità di esercitarli.
La sospensione dai diritti e dai privilegi è un atto limitato nel tempo e che implica quindi
soltanto una incapacità temporanea.
La sospensione, inoltre, non può riguardare quei diritti, quali l'eguaglianza giuridica degli
Stati e il rispetto della sovranità e del dominio riservato, poiché questi, anche se
ria ermati nel sistema giuridico di un ente internazionale, sono attribuiti agli Stati
dall'ordinamento generale della comunità internazionale e non dal diritto speciale delle
organizzazioni.
La sospensione, in aggiunta, non può privare lo Stato membro del diritto di recesso
(come testimonia ad esempio l’atto istitutivo della BIRS nel quale si stabilisce che “il
membro così sospeso non avrà diritto ad esercitare alcuno dei diritti tranne il diritto di
recesso”).
Lo Stato colpito da atto sospensivo risulta a itto da una incapacità assoluta e
onnicomprensiva, implicante anche l’ineleggibilità agli organi dell'ente.
Lo Stato sospeso, non avendo ancora perduto interamente il suo status di membro,
rimane però pur sempre vincolato a tutti gli obblighi ad esso inerenti.
Un esempio di questa situazione è riscontrabile nel Statuto della BIRS nel quale è detto
espressamente che “il membro così sospeso non avrà diritto ad esercitare alcuno dei
diritti spettanti ai sensi del presente accordo, ma resterà soggetto a tutti i suoi impegni”.
Un caso particolare di sospensione si ritrova nel sistema delle Nazioni Unite, in cui la
sospensione dall'ONU può determinare di per sé un analogo provvedimento di
sospensione nei confronti dell’UNESCO, dell’UNIDO e dell’ICAO.
Un altro caso particolare di sospensione si riscontrava sempre nel sistema delle Nazioni
Unite in tema di amministrazione duciaria, dato che la sospensione dall’ONU di uno
Stato esercitante un mandato di amministrazione duciaria non implicava la cessazione
del mandato stesso.
La sospensione nel Consiglio d’Europa merita un'indagine particolare data la sua natura
fortemente atipica.
Il Consiglio d’Europa, nel suo Statuto, stabilisce che “tutti i membri del Consiglio che
infrangono gravemente le disposizioni dell'articolo 3 possono essere sospesi dal diritto di
rappresentanza e invitati dal Comitato dei Ministri a ritirarsi”.
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Il sistema giuridico del Consiglio d’Europa prevede quindi, in caso di violazioni gravi
all'articolo 3, o la sospensione (come misura temporanea) o l' “invito a ritirarsi” (come
sanzione tendenzialmente de nitiva).
La sospensione in questa organizzazione può quindi concludersi con la volontà di
recedere dalla stessa, manifestata dallo Stato spontaneamente o su sollecitazione del
Comitato dei Ministri, o con un provvedimento di espulsione, adottato dal Comitato
stesso, o con la revoca del provvedimento di sospensione, a cui consegue la
reintegrazione dello Stato nella pienezza dello status di membro.
La revoca del provvedimento sospensivo deve fondarsi sulla rimozione della “grave
violazione” che ha originato il provvedimento stesso.
In secondo luogo, la sospensione dal diritto di voto si con gura come una sospensione
più limitata rispetto alla sospensione dai diritti e dai privilegi.
L’ente internazionale può infatti decidere che lo Stato membro che viola i suoi impegni
nanziari o che è in ritardo con il pagamento delle quote di contributi possa essere
sospeso dal diritto di voto.
La sospensione dal diritto di voto non si con gura come una sospensione di carattere
generale, bensì come una interruzione temporanea del diritto di voto ed in taluni casi del
diritto di partecipare a determinati organi.
Tale provvedimento si concretizza generalmente nella impossibilità per lo Stato che ne è
oggetto di prendere parte alle votazioni degli organi principali oppure, in taluni casi, alle
votazione del solo organo assembleare.
In terzo luogo, la sospensione degli Stati rappresentati da governi illegittimi è
estremamente particolare e delicata.
Alcune norme statuarie prevedono la sospensione del diritto di partecipare alla vita
dell'ente per gli Stati membri i cui governi sono costituiti in violazione dell'ordine
democratico-costituzionale.
Tale dinamica, che tra l'altro ha soltanto s orato l'ONU e poche altre organizzazioni
internazionali, non va interpretata nel senso dell'avvenuta formazione di una norma
generale che con gurerebbe la legittimità democratica dei governi come requisito
imposto dal diritto internazionale.
Un esempio di tale sospensione è rappresentato dallo Statuto dell’OSA che prevede
espressamente la sospensione della partecipazione alle sessioni dei propri organi di un
paese membro il cui governo democraticamente eletto sia stato destituito con la forza.
Un altro esempio particolare è costituito dal Trattato dell’Unione Europea in cui vi è una
disposizione che consente di sospendere alcuni diritti degli Stati membri dell'Unione nel
caso di violazione grave e persistente dei principi inerenti ai diritti umani, alla libertà, alla
democrazia e allo Stato di diritto.
Il provvedimento sospensivo prevede in questo caso due fasi principali.
Il Consiglio, su proposta di 1/3 degli Stati membri o della Commissione e dopo il parere
conforme del Parlamento europeo, sentite le osservazioni dello Stato medesimo, può
constatare all'unanimità l'esistenza di una violazione grave dei principi fondamentali da
parte dello Stato in questione.
Lo stesso Consiglio può quindi decidere a maggioranza quali cata alle sanzioni da
applicare nei confronti dello Stato interessato, inclusa la sospensione del diritto di voto
nel Consiglio.

I membri inattivi
I soggetti membri di una organizzazione internazionale, la quale non prevede il diritto di
recesso, possono abbandonare la vita dell’ente ricorrendo alla cosiddetta inazione.
La posizione di questi soggetti non è mai stata giuridicamente chiarita dalle
organizzazioni internazionali interessate.
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L'inazione, tuttavia, non può considerarsi uno speci co status giuridico, poiché essa, in
quanto esclusivamente dipendente dalla volontà dello Stato, costituirebbe
essenzialmente un potere di sottrarsi all'esecuzione degli obblighi che derivano dallo
status di membro di un'organizzazione.
L'inazione, in particolare, deriverebbe esclusivamente dal comportamento esplicito di
alcuni Stati e rientrerebbe in una situazione giuridica di fatto.
Un esempio è costituito dalla vicenda dell’URSS in seno all’OMS.
Il ministero della salute sovietico inviò infatti nel 1949 una comunicazione al Direttore
generale dell’OMS dichiarando che “l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche non
si considerava più come membro dell'organizzazione”.
L'assemblea dell'organizzazione, interpretando la costituzione dell'ente come escludente
la facoltà di recesso, pur prendendo atto della dichiarazioni, continuò a considerarla
come un membro, senza pronunciare nei suoi confronti neanche la sospensione prevista
dallo statuto.

La perdita dello status di membro


Gli enti un tempo partecipanti ad una organizzazione internazionale possono essere
soggetti anche alla perdita dello status di membro.
Tale situazione giuridica si manifesta sia attraverso un atto volontario del soggetto sia
come e etto automatico di determinati fatti giuridici.
La perdita della quali ca di membro come e etto automatico di determinati fatti giuridici
può avvenire in cinque casi.
In primo luogo, tale perdita può derivare dall'estinzione della soggettività internazionale
da parte dello Stato.
In secondo luogo, la perdita dello status di membro può derivare dalla perdita dei requisiti
da parte dello Stato il cui possesso è ritenuto indispensabile per l'acquisto dello status di
membro dell'ente.
In terzo luogo, la perdita dello status di membro dell’UNESCO o dell’ICAO può derivare
anche dall’espulsione dalle Nazioni Unite.
In quarto luogo, la perdita dello status di membro dell’IMO può derivare in alcuni casi da
una semplice risoluzione in merito adottata dalle Nazioni Unite.
In quinto luogo, la perdita dello status di membro può derivare dalla non accettazione da
parte di uno Stato degli emendamenti all’atto istitutivo dell’ente.
La perdita della quali ca di membro come atto volontario dell’ente o del membro stesso
può avvenire attraverso l’espulsione oppure attraverso il recesso.
In primo luogo, l’espulsione è un atto unilaterale dell'organizzazione che determina la
perdita dello status di membro indipendentemente dalla volontà del soggetto nei cui
confronti l'atto stesso è emanato.
Essa è inoltre discrezionale dal momento che le norme che la prevedono si limitano a
disciplinare le circostanze occorrendo le quali il provvedimento può essere emanato, non
determinano alcun obbligo a carico degli organi competenti.
L'espulsione può essere generalmente comminata quando sussista una persistente
violazione degli obblighi imposti allo Stato.
L'emanazione dell'atto può essere attribuita ad un solo organo dell'ente oppure a più
organi contemporaneamente.
Lo Stato in difetto può però sempre rivedere la propria posizione, dato che
l'organizzazione si adopera sempre con tutti i mezzi nel tentativo di ricondurre il soggetto
all'osservanza dei suoi obblighi e pronuncia l'espulsione soltanto come extrema ratio a
cui fare ricorso.
L'espulsione è un provvedimento eccezionale che necessita, per essere attuato, della
previsione esplicita nell'atto costitutivo dell'ente.
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Essa infatti, in mancanza di disposizioni precise, non può essere desunta implicitamente
dall'atto istitutivo.
Lo Stato espulso perde lo status di membro dell'ente e con esso i diritti, gli obblighi ed in
genere tutte le situazioni giuridiche soggettive ad esso collegate.
Lo Stato viene quindi considerato terzo rispetto all'ente e la sua posizione non di erisce
da quella degli altri Stati che non hanno mai partecipato all'ente, se non per taluni ri essi
relativi ad una eventuale riammissione.
In secondo luogo, il recesso può essere de nito come la manifestazione unilaterale di
volontà alla quale l'ordinamento dell'ente attribuisce il potere di estinguere ogni rapporto
fra lo Stato e l'ente, indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo.
Il recesso si distingue quindi nettamente dalla sospensione e dalla espulsione sia in
relazione agli e etti sia in relazione al soggetto che emana l’atto.
Esso si con gura, infatti, come un atto unilaterale dello Stato, mentre l'espulsione e la
sospensione sono atti dell'organizzazione.
Il diritto di recesso può essere riconosciuto ai membri in qualsiasi momento dopo
l'entrata in vigore dell'atto istitutivo dell'ente oppure decorso un tempo minimo in cui non
è possibile esercitare tale prerogativa.
Gli e etti del recesso, generalmente, sono rinviati ad un anno dalla sua noti ca, ed in
pochi casi a 6 mesi.
Lo Stato membro che abbia espresso la volontà di recesso può quindi revocarla
attraverso una dichiarazione unilaterale, se ancora non sono decorsi questi tempi.
Gli e etti del recesso, solo in alcuni limitati casi (FMI, BIRS, Lega Araba), decorrono
immediatamente dalla data di ricevimento della dichiarazione di volontà.
Tali e etti possono essere anche subordinati all'adempimento degli obblighi nanziari del
membro recedente o ad altre particolari condizioni.
Il recesso dal Consiglio d'Europa assume una doppia funzione, in quanto può derivare
dalla volontà espressa dello Stato membro oppure può essere interpretato come un
adeguamento alla volontà espressa dal Comitato dei Ministri, che può invitare lo Stato
sospeso a ritirarsi dall’organizzazione.
Le due forme di recesso possibili, come atto e come e etti, non presentano sostanziali
di erenze, anche se il recesso avviato in seguito alla richiesta del Comitato dei Ministri ha
una motivazione contingente estremamente di erente.
La situazione giuridica del membro recedente non di erisce sostanzialmente da quella del
soggetto che non ha mai partecipato all'ente.
Tale situazione, in alcuni casi, si sostanzia in modo particolare, dato che alcuni enti
prevedono norme speci che rivolte direttamente ai soggetti riceventi.
Un esempio è costituito dalla Convenzione dell’ESA, in cui una norma attribuisce al
consiglio dell'ente il compito di determinare con lo Stato recedente se ed in quale misura
talune disposizioni di carattere generale contenute nella convenzione continueranno ad
applicarsi e prevede altresì la conclusione di accordi tra lo Stato recedente e l’ente per
disciplinare le condizioni in base alle quali l’organizzazione potrà continuare ad utilizzare
le installazioni poste nel territorio dello Stato recedente.
Un caso particolare di recesso si è veri cato nella storia del Consiglio d’Europa, quando il
rappresentante della Grecia, in concomitanza con la discussione di una risoluzione
tendente a sospendere la Grecia, constatato che il progetto avrebbe facilmente ottenuto
la maggioranza, noti cò al Segretario Generale che “la Grecia si ritira da questa
Organizzazione … con e etto immediato”.
La nota greca è da ritenersi giuridicamente illegittima perché l'a ermazione in base alla
quale il recesso dall'organizzazione produce e etti immediati alla data stessa della
noti ca è assolutamente contraria alla norma statuaria.
Il recesso greco, noti cato nel dicembre 1969, poteva infatti produrre legittimamente i
suoi e etti solo dalla ne del 1970.
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La facoltà di recedere, secondo la prassi internazionale, può anche ricavarsi
implicitamente ed è quindi attivabile anche in caso di assenza di un'esplicita norma in tal
senso contenuta nello statuto.
Un cenno merita la situazione venutasi a creare agli inizi dell'attività dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità.
Il Segretario Generale dell'ONU, nel giugno 1948, informò la Commissione esecutiva
dell’OMS di aver ricevuto lo strumento di rati ca degli Stati Uniti, accompagnato però da
una riserva relativa al potere di recesso.
Il Congresso degli Stati Uniti infatti, accettando la costituzione dell’OMS e constatata la
mancanza di potere di recesso, aveva sostenuto la riserva di un diritto di ritiro con il
preavviso di un anno.
La prima Assemblea mondiale della sanità, dopo avere esaminati i pareri di alcune
delegazioni, decise di accogliere l’adesione americana, senza però pronunciarsi in
relazione ad una possibile estensione di tale interpretazione a tutti i membri
dell'organizzazione.
Un altro caso molto complesso e particolare si è veri cato alla NATO nel 1966 quando la
Francia si ritirò spontaneamente dall'organizzazione integrata militare.
Il Patto Atlantico prevede la denuncia dell'accordo ma solo dopo 20 anni, mentre
l'organizzazione internazionale successivamente istituita non prevede nulla al riguardo.
La Francia sostenne che il suo ritiro era legittimo perché non determinava la denuncia del
Patto Atlantico ma solo il recesso dalla organizzazione militare.
Il diritto di recesso implicito nelle Nazioni Unite è stato ampiamente dibattuto dalla
dottrina internazionale.
Kelsen riconobbe l'applicabilità della clausola rebus sic stantibus allo Statuto dell’ONU e
ne ammise il recesso purché fosse determinato da gravi motivi.
Egli sostenne anche che, non essendovi un organo competente a valutare la gravità dei
motivi, lo Stato avrebbe dovuto indirizzare la sua richiesta a tutti gli altri membri, i quali
però, se di avviso contrario, avrebbero avuto il diritto di sollevare il problema davanti alla
Corte Internazionale di Giustizia, che si sarebbe pronunciata come fosse stata una
controversia tra Stati.
Monaco ha sostenuto l'applicabilità della clausola rebus sic stantibus rilevando però che
in considerazione del particolare carattere dello Statuto dell’ONU gli elementi probanti agli
e etti di valutare il mutamento essenziale delle condotte di fatto e di diritto, richiesto dalla
clausola in questione, sono principalmente quelli attinenti alla variazione nella struttura e
nelle nalità dell’ente.
Singh, per contro, ha ritenuto che i trattati istitutivi di enti internazionali costituiscono una
categoria tipica alla quale non sono applicabili i principi generali sulla denuncia, validi
invece per le altre categorie di trattati, e che può essere interpretata solo alla luce del
principio della competenza residua.
Egli, applicando tale criterio, ha a ermato che tutto quanto non è devoluto all'ente rientra
nella competenza degli Stati membri e ha riconosciuto quindi a questi un limitato potere
di recesso.
Le considerazioni dottrinarie hanno avuto valore meramente scienti co no al gennaio
1965 dato che non si era mai veri cato l'ipotesi di un recesso dall’ONU.
L’Indonesia, però, nel gennaio 1965, decise di ritirarsi dalle Nazioni Unite a causa della
pretesa illiceità della elezione della Malesia al Consiglio di sicurezza.
Il Segretario generale dell’ONU, pochi giorni dopo, ricevette la comunicazione u ciale del
recesso dell'Indonesia e ne informò tutti i membri.
Egli, rilevandosi anzitutto come la decisione indonesiana avesse dato origine ad una
situazione contemplata dallo statuto, espresse il profondo rincrescimento per la decisione
assunta.
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L'Indonesia, in seguito alla comunicazione u ciale, interruppe qualsiasi partecipazione
alle attività degli organi delle Nazioni Unite, no al marzo 1965 quando il governo
indonesiano inviò una nota telegra ca al Segretario Generale dell’ONU comunicando di
aver deciso di riprendere la piena cooperazione con le Nazioni Unite.
Il Presidente dell’Assemblea Generale invitò gli Stati membri ad esprimere eventuali
opinioni contrarie alla nota indonesiana e, non essendosi manifestata alcuna obiezione,
invitò i rappresentanti dell'Indonesia a prendere posto in Assemblea, considerando il
periodo di assenza del membro come un periodo di “cessazione della cooperazione” e
non come un esercizio del diritto di recesso.
La conclusione della vicenda ha avuto un preciso signi cato giuridico sottolineando
l’impossibilità di recedere dall’ONU in seguito ad un atto o ad un comportamento con
carattere e motivazioni tipicamente politiche.

La riammissione dello stato


I soggetti che abbiano perso volontariamente o a seguito di una sanzione lo status di
membro di una organizzazione internazionale possono, talvolta e al veri carsi di
determinate circostanze, essere riammessi in seno all’ente.
La riammissione del soggetto non è prevista o disciplinata dalla quasi totalità degli atti
istitutivi delle organizzazioni internazionali.
Un caso unico è costituito dalle Convenzione dell’OIL e dell’ICAO, che prevedono
speci che disposizioni in caso di riammissione.
L’istituto della riammissione risulta essere molto particolare e può essere attivato solo in
determinate circostanze.
In primo luogo, la riammissione è in linea teorica possibile quando la perdita dello status
di membro deriva da ipotesi indipendenti dalla volontà del membro medesimo e non
derivanti da un provvedimento di espulsione emanato dall'ente.
Un esempio è rappresentato dalla situazione della Repubblica Araba Unita, sorta in
seguito alla fusione della Siria e dell'Egitto.
La Siria perdette, in seguito alla nascita della RAU, il proprio status di membro delle
Nazioni Unite, che venne acquistato dal nuovo soggetto internazionale.
La Repubblica Araba Unita si disgregò però nel 1961 e la Siria riacquistò il proprio status
di membro dell’ONU.
La procedura seguita in questo caso non può essere sicuramente assimilabile a quella
dell’ammissione di un nuovo membro.
Il governo siriano manifestò infatti la propria volontà di ritornare nelle Nazioni Unite nel
telegramma inviato al Presidente dell’Assemblea.
Il Presidente, dopo aver consultato numerose delegazioni, ma senza aver chiesto il voto
dell'Assemblea, comunicò il reingresso della Siria.
La procedura adottata serve a dimostrare come in determinate ipotesi si abbia la
tendenza a sempli care al massimo le formalità al ne di consentire allo Stato di
riprendere la sua posizione in seno all'ente.
In secondo luogo, la riammissione risulta invece più problematica nel caso la perdita dello
status di membro fosse determinata dalla espulsione del membro dall'ente.
La procedura dell’ammissione ordinaria e ettuata dallo Stato espulso sarebbe in questo
caso inattuabile dato che queste avrebbero per e etto di svuotare di ogni contenuto la
pronuncia di espulsione emanata dall’ente.
La riammissione di un membro espulso può avvenire soltanto attraverso una nuova
procedura di ammissione, in cui vi sia però una speci ca esternazione dell'organo
dell'ente che ha pronunciato il provvedimento espulsivo.
In terzo luogo, la riammissione di uno Stato che ha perso la sua quali ca di membro di
un'organizzazione internazionale in seguito ad una dichiarazione di volontà e ettuata
dallo Stato stesso è estremamente particolare e problematica.
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La prassi dimostra che lo Stato volontariamente recesso può essere riammesso in seguito
a dichiarazione unilaterale di volontà in tal senso solo se è intervenuto un cambio di
regime politico, che considera nullo l'atto di recesso, e sentito il parere vincolante
dell'organizzazione stessa.
Un esempio è costituito dalla riammissione della Cina nella FAO nel 1971.
La Cina emanò infatti una nuova dichiarazione di volontà di acquisire lo status di membro
della FAO, considerando nullo l’atto di recesso manifestato dalla Cina medesima (Taiwan)
nel 1951.
Gli organi dell'ente, in uenzati anche dalla decisione delle Nazioni Unite di sostituire la
Cina nazionalista con la Cina comunista, ritennero nullo l'atto precedentemente emanato
e riammisero lo Stato in seno all'organizzazione.
In quarto luogo, la riammissione dei membri originari dell'organizzazione delle Nazioni
Unite non viene esplicitamente regolata, ma appare verosimile che i redattori della Carta
abbiano implicitamente ritenuto possibile la riammissione di un membro originario.

Capitolo V - La struttura delle organizzazioni internazionali


Organi di stati ed organi dell’ente internazionale
L'ordinamento internazionale è caratterizzato da un'ampia libertà dei soggetti che lo
compongono nello stabilire e regolare i rapporti reciproci.
Le numerose convenzioni di codi cazione hanno certamente limitato la libertà negoziale e
di comportamento dei soggetti, ma non hanno sovvertito il principio di libertà
generalmente previsto.
Le principali codi cazioni, inoltre, non hanno coinvolto l'attività degli Stati volta a creare
forme di cooperazione o ad istituire enti internazionali.
Gli Stati mantengono, quindi, la più ampia libertà di scelta nel decidere come strutturare
la cooperazione internazionale che hanno determinato di realizzare, istituendo uno
speci co ente ed attribuendo a quest'ultimo poteri e mezzi idonei al perseguimento degli
obiettivi.
L'analisi sulla struttura delle organizzazioni internazionali impone una preliminare
precisazione sulla di erenza tra organi di Stati ed organi di un ente internazionale.
Gli organi di un ente internazionale sono quelli esplicitamente appartenenti ad un ente,
generalmente previsti nell’atto istitutivo.
Gli organi di Stati sono invece generalmente gli organi di riunioni o conferenze che
esistono al di fuori del contesto delle organizzazioni internazionali o in alcune forme di
unioni semplici.

Struttura organica e criteri di funzionalità


La struttura organica di una organizzazione internazionale è generalmente predisposta
seguendo un criterio funzionale.
Gli Stati danno vita, infatti, ad una organizzazione internazionale in funzione di certi
obiettivi che intendono perseguire e raggiungere.
La struttura organica dell’ente sarà, quindi, organizzata in base al criterio di funzionalità
richiamato, ossia in base ai ni e agli obbiettivi dell’ente.
La prassi consente di individuare un'ampia gamma di soluzioni che vanno dalla
organizzazione più semplice, che si sostanzia ad esempio in un solo organo, ad altre
molto più complesse, che si articolano in alcune decine di organi fra sussidiari e
principali.
La prassi ha inoltre evidenziato una varietà di istituzioni in relazione anche alle
competenze, ai poteri attribuitigli e alle rispettive norme di funzionamento.
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La prima caratteristica comune a molte organizzazione internazionali è quella della
creazione di un sistema in cui vi sono una pluralità di organi.
Questa scelta consente una migliore distribuzione dei poteri e delle funzionalità all’interno
dell’organizzazione e permette anche una capacità evolutiva della struttura dell’ente
internazionale che può adeguarsi alle mutate esigenze.
La seconda peculiarità comune a molti enti è quella della creazione dell’organo principale
con caratteristiche di collegialità.
Questa scelta consente una rappresentazione di tutti gli Stati membri ed aumenta il grado
di democraticità dell'organizzazione stessa.
La terza caratteristica comune è quella che attiene alla composizione degli organi ed in
particolare alla scelta tra gli organi composti da Stati membri o quelli composti da
individui scelti, nominati o eletti secondo procedure ad hoc.
La soluzione più ricorrente è certamente quella degli organi composti da Stati membri,
dato che gli Stati che hanno deciso di realizzare una forma di cooperazione in un ente
internazionale, pur avendo delegato al perseguimento di tali obiettivi all'ente istituito, ne
vorranno certamente indirizzare le scelte.
La scelta di istituire un organo composto da individui piuttosto che da Stati si pone invece
come unica soluzione possibile in presenza di enti od organi con competenza
giurisdizionale, dato che una corte o un tribunale deve essere per sua natura composto
da individui, è peraltro da individui liberi, imparziali ed indipendenti.
La soluzione di individuare organi composti da individui scelti si riscontra maggiormente
in quelle istituzioni con un elevato grado di integrazione.
Un esempio è costituito dalla Commissione europea, organo con rilevanti funzioni
decisionali dell'apparato comunitario, composto da individui nominati dagli Stati membri.

La classi cazione degli organi


Gli organi di una organizzazione internazionale possono essere classi cati in relazione alle
caratteristiche ad essi attribuite dall’atto istitutivo o dalle risoluzione istitutive.
In primo luogo, gli organi di un ente internazionale possono essere originari o
costituzionali oppure derivati.
Gli organi originari o costituzionali sono indicati nell'atto istitutivo, mentre gli organi
derivati vengono creati successivamente.
In secondo luogo, gli organi originari o costituzionali possono essere principali oppure
sussidiari o accessori.
Gli organi originari principali sono sempre indicati nell'atto istitutivo ed hanno poteri e
competenze previste nella costituzione.
Gli organi originari sussidiari o accessori non sempre sono indicati nell'atto istitutivo, ma
possono essere creati successivamente per adeguare la struttura dell'ente alle mutate
esigenze storiche.
In terzo luogo, gli organi di un ente internazionale possono essere centrali oppure
periferici.
Gli organi periferici sono generalmente presenti nelle organizzazioni a competenza
universale per realizzare una maggiore e diretta presenza nelle diverse aree del mondo.
In quarto luogo, gli organi possono distinguersi in organi di rilevanza esterna oppure in
organi di rilevanza interna.
Gli organi di rilevanza esterna possono esplicare attività ed adottare atti che hanno una
rilevanza all'esterno dell'organizzazione, mentre gli altri sono destinati ad operare soltanto
all'interno della medesima.
In quinto luogo, gli organi di un ente internazionale possono essere consultivi o di natura
tecnica.
Tali organi hanno come funzione essenziale quella di contribuire alla formazione delle
scelte dell'ente, fornendo pareri e dati di diversa natura.
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In sesto luogo, gli organi di una istituzione internazionale si distinguono in organi
individuali oppure in organi collegiali.
Gli organi individuali sono composti da un solo individuo, mentre gli organi collegiali sono
composti da più Stati oppure da più individui.
In settimo luogo, gli organi di un ente internazionale possono essere semplici oppure
complessi.
Gli organi semplici sono sottordinati rispetto ad altri organi ed eseguono direttive imposte
da altre strutture.
Gli organi complessi hanno invece alle proprie dipendenze altri organi che esplicano
attività subordinatamente inferiori.
In ottavo luogo, gli organi possono avere funzioni giurisdizionali oppure possono essere
organi di controllo nanziario e contabile.
In ne, gli organi di una istituzione internazionale possono essere strutture permanenti
oppure temporanee.
Gli organi permanenti sono connaturati ai ni stessi dell'ente; gli organi temporanei sono
invece nominati per svolgere una funzione ad hoc e vengono sciolti una volta esauriti i
loro compiti.
Gli organi permanenti potrebbero essere ulteriormente distinti in organi che siedono in
permanenza, ossia che hanno riunioni frequenti in funzione delle attività da svolgere, o in
organi intermittenti, ossia che sono organizzati sulla base di sessioni periodicamente
convocate.
I sistemi di nomina previsti per gli organi degli enti internazionali possono seguire due
opposte tendenze.
La nomina dei membri degli organi di una istituzione internazionale può essere diretta da
parte degli Stati membri oppure può essere una libera scelta ad opera di un organo dello
stesso ente.
La nomina può richiedere un certo numero di voti oppure la maggioranza semplice, può
prevedere un'unica votazione oppure più votazioni successive e può essere in ne
richiesta la formazione di una lista assunta come base dell'elezione e sulla quale sono
talvolta richiesti pareri preventivi.
La prassi ha evidenziato il sorgere di organi comuni a più organizzazioni oppure di organi
creati nel contesto di una organizzazione che svolgono funzioni anche per altri enti.
Un esempio è rappresentato dalla Convenzione allegata al Trattato di Roma del 1957, che
ha istituito due speci ci organi comuni alle tre Comunità europee esistenti, ossia la Corte
di giustizia ed il Parlamento europeo.

La struttura ternaria degli enti internazionali


La struttura organizzativa di un ente internazionale istituzionalizzato prevede, nella
maggior parte dei casi, la presenza di almeno tre organi principali.
Tale struttura viene, per questo motivo, de nita ternaria o tripartita, ossia articolata su tre
diversi organi separati.
La soluzione adottata è determinata da tre diverse esigenze fondamentali, che si
riscontrano nella quasi totalità delle organizzazioni internazionali e soprattutto in quelle a
tendenza universale.
In primo luogo, gli Stati membri hanno l’esigenza di partecipare ad un organo, nel cui
contesto far conoscere la propria volontà e contribuire alla formazione delle scelte
dell'ente.
Tale esigenza si concretizza nella creazione di un organo assembleare generale,
caratterizzato da speci che disposizioni in tema di rappresentanza, ma comunque aperto
a tutti gli Stati membri dell’organizzazione stessa.
In secondo luogo, gli Stati membri hanno però anche l'esigenza di gestire concretamente
l'ente internazionale ed adottare i singoli provvedimenti necessari.
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Tale esigenza, impossibile da realizzare nell’organo assembleare data la sua grande
dimensione, si concretizza nella creazione di un organo a composizione ristretta,
generalmente denominato “consiglio” o “comitato”, al quale a dare funzioni
essenzialmente esecutive.
Il problema che si è posto è quello di individuare i criteri per la composizione dell'organo
stesso, nell'obiettivo di salvaguardare da un lato le esigenze di funzionalità dell'ente e
dall'altro anche il principio generale della uguaglianza sovrana degli Stati.
In terzo luogo, gli Stati membri hanno l'esigenza di creare materialmente l’ente e di
dotarlo di un apparato burocratico indispensabile per il funzionamento concreto di
qualunque organismo.
Tale esigenza si concretizza nella creazione di un organo, generalmente a carattere
individuale, comunemente chiamato “segretario generale” o “direttore generale”, che è al
tempo stesso il capo del personale dell'intera struttura burocratica dell'ente e l'organo al
quale vengono attribuite altre funzioni rilevanti, che vanno dalla rappresentanza legale
dell'ente a taluni poteri di iniziativa o ad altre speci che funzioni.
La struttura organizzativa di un ente internazionale non necessita invece di un organo con
funzioni giurisdizionali avente ad oggetto le controversie fra Stati membri all'interno
dell'organizzazione considerata o fra gli Stati e l'organizzazione stessa.
Gli Stati membri delle organizzazioni internazionali, infatti, nella consapevolezza
dell'esistenza della Corte Internazionale di Giustizia, hanno preferito attribuire a
quest’ultima la speci ca competenza in questione piuttosto che dar vita ad un organo
giurisdizionale ad hoc.
I componenti di alcune organizzazioni regionali a composizione limitata hanno talvolta
preferito istituire tale organo, composto da cittadini provenienti dalla loro area geogra ca,
piuttosto che a darsi ad un organo inevitabilmente estraneo come potrebbe essere la
CIG.
Gli Stati membri di altre organizzazioni internazionali hanno invece istituito speci che corti
giurisdizionali quando queste si rendevano necessarie in base alla peculiarità
dell’ordinamento dell’ente o alle funzioni da esso svolte.

L’organo assembleare
L'organo assembleare è previsto in tutte le organizzazioni internazionali, sebbene con
denominazioni diverse, in particolare nella maggior parte dei casi con le formule
“assemblea generale” o “conferenza generale”.
L’assemblea plenaria è costituita da tutti gli Stati membri, proprio per rispettare l'esigenza
di creare un'istituzione nella quale i soggetti aderenti all'organizzazione possono essere
rappresentati.
Tale istituzione, talvolta, può riunire in sé le funzioni dell'organo assembleare vero e
proprio e anche dell'organo esecutivo, acquisendo in questo caso la denominazione di
“consiglio”.
La sua composizione non è generalmente regolata dagli atti istitutivi e quindi gli Stati
rimangono liberi di designare i loro rappresentanti, anche se questi debbono essere
muniti dei poteri necessari per agire all'interno dell'organizzazione.
La composizione dell'organo assembleare, in casi limitati e soprattutto in alcuni enti a
prevalente competenza tecnica, può essere costituita dai delegati delle amministrazioni
nazionali competenti per i singoli Stati membri (come nel caso dell’OMM).
L'organo assembleare, talvolta, può riunirsi a diversi livelli e anche con diversi poteri, a
seconda delle tematiche in discussione (come nel caso della Conferenza interamericana
dell’OSA, che può essere riunita a livello dei ministri degli a ari esteri o anche a livello di
ambasciatori).
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La delegazione dello Stato membro nell'organo assembleare può essere composta
generalmente da un numero variabile di individui, in base alle esigenze di rappresentanza
dello Stato stesso.
La delegazione, per essere riconosciuta come tale, deve essere noti cata
preventivamente all'organo amministrativo, in modo da far conoscere in anticipo gli
individui rappresentanti.
L’organo assembleare, per veri care che le persone materialmente presente alla riunione
siano realmente quelle nominate per rappresentare lo Stato, presenta generalmente una
“commissione per la veri ca dei poteri”, la quale veri ca l'identità delle persone presenti.
L’organo assembleare si riunisce generalmente in sessioni ordinarie, la cui periodicità è
stabilita nell'atto costitutivo (generalmente una volta all’anno), e talvolta in sessioni
straordinarie, secondo le procedure stabilite nell’atto istitutivo, ossia su convocazione di
un numero ssato di Stati membri e sentito il parere del Segretario generale.
Il regolamento interno dell’assemblea plenaria è un documento molto importante in
quanto integra le norme contenute nello statuto relative al funzionamento dell'organo
stesso.
Tale regolamento contiene, in dettaglio, la procedura per la nomina di un presidente e
quindi dei vicepresidenti, le norme sulla predisposizione e l'adozione dell'ordine del
giorno, la regolamentazione del diritto di parola, la durata della sessione, il sistema di voto
e delle maggioranze per l'adozione dei singoli provvedimenti.
L'assemblea plenaria si articola generalmente, in diverse commissioni, ciascuna con
competenze speci che per determinate materie.
Le commissioni, ad eccezione della commissione per la veri ca dei poteri, non sono
dotate di una propria autonomia e non costituiscono organi sussidiari dell'assemblea, ma
sono soltanto espressioni parziali dell'organo cui si riferiscono.
Le commissioni, inoltre, devono rispettare il principio fondamentale dell'organo
assembleare, ossia la sua universalità, e per questa ragione sono anch'esse aperte a tutti
gli Stati membri.
I loro lavori si concludono generalmente con una proposta di provvedimenti, che sono poi
sottoposti all'assemblea plenaria, competente per statuto ad adottare gli atti.
Le competenze dell'organo assembleare dipendono generalmente dalle disposizioni
contenute nell’atto costitutivo.
Tale organo ha soprattutto competenze di carattere generale, ed in particolare funzioni di
indirizzo dell'attività dell'ente e degli altri organi.
L'organo in questione, essendo composto dalla totalità degli Stati membri, esercita il
proprio potere anche in relazione alle procedure di adesione o ammissione e agli eventuali
provvedimenti di sospensione e di espulsione.
Esso ha la competenza generale sull'approvazione del bilancio, sulla decisione di un
eventuale scioglimento del medesimo e sulla nomina di altri organi dell'ente.
Il meccanismo di voto delle assemblea plenarie muove dal presupposto dell'uguaglianza
di tutti gli Stati membri e quindi la regola generalmente seguita è quella di attribuire un
voto ad ogni singolo Stato membro, indipendentemente dal numero dei membri della
delegazione.
Il regolamento interno dell’organo stabilisce il quorum necessario per le diverse tipologie
di votazione, nonché le varie ipotesi per la formazione della volontà.
La Conferenza Generale del Lavoro è l'organo assembleare dell'Organizzazione
Internazionale del Lavoro (OIL).
L'atto istitutivo di tale ente prevede una particolare composizione dell'organo
assembleare, che si avvale della rappresentanza degli Stati, ma anche delle categorie
interessate, ossia i lavoratori ed i datori di lavoro.
Ogni Stato è rappresentata da quattro delegati di cui due sono espressione del governo
dello Stato, uno dei lavoratori ed uno dei datori di lavoro.
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La singolarità di questa composizione tende a far sì che già nell'organo assembleare
possono essere fatti valere gli interessi delle singole categorie coinvolte nell'attività di
lavoro.
La Conferenza Generale del Lavoro dell’OIL si di erenzia anche dagli altri organi
assembleari per l'attribuzione del voto ai suoi membri.
Ogni delegato possiede infatti un voto, secondo il principio del voto individuale,
considerato che i quattro delegati potrebbero avere anche opinioni apertamente
divergenti.
La possibile formazione di maggioranze rispecchia quindi la diversità degli interessi delle
categorie rappresentate.
Le assemblee parlamentari sono particolari forme di organi assembleari in speci che
organizzazioni internazionali, soprattutto a carattere regionale.
Esse non si identi cano a atto con le esigenze connesse all'organo assembleare
classico, ossia la rappresentanza di tutti gli Stati membri, sfuggono alla struttura ternaria
e sono presenti in poche organizzazioni regionali, soprattutto nel contesto europeo.
L'origine di tali forme assembleari risale al primo dopoguerra ed alla riunione del
Movimento federalista europeo, in cui venne preconizzata la creazione di una Assemblea
costituente europea.
L'idea diede vita all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa e fu poi ripresa nel
sistema delle Comunità Europee, dapprima con l’Assemblea comune della CECA, poi con
l’Assemblea unica per le tre comunità e in ne con il Parlamento europeo.
Le più recenti assemblee parlamentari sono state costituite nell'ambito del MERCOSUR
(Mercato comune del Sud America) e dell’Unione Africana.
La composizione di tali organi è realizzata, o sarà presto realizzata, tramite elezioni a
su ragio universale diretto da parte dei cittadini dei paesi membri.
L'anomalia di tali assemblee parlamentari risiede soprattutto nella loro composizione, per
cui l'organo si presenta non come rappresentativo degli Stati, bensì di una delle
componenti dei medesimi, quella parlamentare.
L'assemblea parlamentare ha generalmente soltanto poteri di tipo consultivo, in qualche
caso possiede la facoltà di partecipare ad atti complessi.
La composizione essenzialmente parlamentare di questi organi determina tutto un
problema di attribuzione del numero dei seggi a ciascuno Stato membro.
I seggi da attribuire, in linea di principio, dovrebbero essere commisurati alla popolazione
presente in ciascuno Stato membro.
La determinazione del numero dei seggi è però in realtà frutto di una scelta politica e
risultato di un compromesso tra gli Stati.

L’organo esecutivo
L'organo esecutivo a composizione ristretta si ritrova in tutte le organizzazioni
internazionali a tendenza universale e in molte organizzazioni a tendenza regionale,
acquisendo il titolo di “consiglio” o “comitato”.
L'organo esecutivo risulta assente in tutti quei casi nei quali questo coincide e si
sovrappone con gli organi assembleari rappresentativi degli Stati.
Tale istituzione è generalmente unica, anche se la prassi non ha escluso del tutto che, in
ragione della molteplicità di funzioni attribuite all'ente internazionale, la loro gestione
venga ripartita su più organi esecutivi (il sistema delle Nazioni Unite prevede un Consiglio
di amministrazione duciaria, un Consiglio economico e sociale e un Consiglio di
sicurezza).
Il consiglio esecutivo può essere riunito a diversi livelli, assumendo diverse funzioni in
ragione della speci ca partecipazione.
L’organo esecutivo presenta come problema principale quello del meccanismo scelto per
la sua composizione.
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La sua composizione è regolata generalmente nell’atto istitutivo, con l'obiettivo di
realizzare un'istituzione la cui composizione sia funzionale rispetto ai compiti dell'ente ma
che, nello stesso tempo, non violi del tutto il fondamentale principio della uguaglianza fra
Stati.
La composizione del consiglio esecutivo è attuata generalmente seguendo un criterio
misto, in cui una o più componenti dell'organo sono individuate in ragione delle funzioni e
degli obiettivi dell'ente e l'altra serve ad assicurare la possibilità che tutti gli altri Stati
membri possono far parte, sia pure attraverso meccanismi di elezione, rotazione,
rappresentanza geogra ca e simili.
La composizione di questo organo, solo in alcuni casi limitati, è aperta alla partecipazione
di tutti gli Stati membri; tale soluzione potrebbe essere giusti cata nelle organizzazioni
regionali a composizione limitata, ma sarebbe del tutto contraddittoria nelle
organizzazioni a tendenza universale.
L'organo esecutivo di ciascuna organizzazione svolge le funzioni speci catamente
attribuite dall'atto istitutivo ed agisce nell'ambito dell'indirizzo generale determinato
dall'assemblea o, a volte, anche delle precise istruzioni di quest'ultima.
I suoi compiti sono essenzialmente quelle di adottare decisioni operative per l'attuazione
dei programmi dell'ente.
L'importanza che assume l'organo esecutivo nel contesto dell'ente dipende dal ruolo allo
stesso attribuito dallo statuto : talvolta, esso ha competenze proprie ed autonomia di
decisione; altre volte, le sue decisioni sono convalidate dall'organo assembleare; altre
volte ancora, esso risulta investito di speci ci poteri dall’organo assembleare, che può
quindi ampliarne o restringerne la sfera di competenza.

Il segretariato
L'organo amministrativo completa la struttura ternaria degli enti internazionali e
generalmente assume il titolo di “segretario generale” o “direttore generale”.
Il segretario generale è normalmente nominato dall'organo assembleare, eventualmente
su designazione dell'organo esecutivo.
Il segretario generale è un organo individuale, posto a capo dell'amministrazione
burocratica dell'ente, che si distingue dal “segretariato”, che costituisce invece l'intero
apparato burocratico e che, per sua natura, è un organo complesso.
Le sue competenze principali riguardano la gestione del personale, adottando tutti i
provvedimenti necessari riguardanti il loro status giuridico, le loro funzioni e
l'organizzazione dei vari servizi ed u ci nei quali si articola l'amministrazione dell’ente.
Tale organo è spesso assistito e coadiuvato da uno o più “aggiunti” o “vice”, ai quali può
delegare speci che funzioni.
Il segretario generale assiste a tutte le riunioni degli organi principali, pur senza diritto di
voto, predispone l'ordine del giorno e può convocare le riunioni per ragioni di urgenza.
Esso svolge un ruolo di tramite fra l'organizzazione e gli Stati membri ed è depositario
degli atti internazionali conclusi sotto gli auspici o per iniziativa dell'ente.
Il segretario generale assume spesso rilevanti funzioni politiche e può incidere, in materia
determinante, sull'indirizzo dell'ente, soprattutto quando tale carica è ricoperta da
personalità di rilievo o da individui estremamente capaci.

I Tribunali amministrativi
Gli organi giurisdizionali all'interno delle organizzazioni internazionali sono estremamente
rari.
La funzione giurisdizionale segue, infatti, lo sviluppo degli enti ed è quindi presente solo in
quelli maggiormente istituzionalizzati.
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La natura della controversia, inoltre, molto spesso “internazionale”, induce le
organizzazioni ad attribuire competenza ad organi giurisdizionali preesistenti, come la
Corte Internazionale di Giustizia.
Gli organi giurisdizionali generalmente sorgono per risolvere le controversie inerenti ai
rapporti di lavoro fra l'organizzazione ed i propri funzionari.
Tali organi si sono resi necessari poiché queste controversie sono state sempre escluse
dalla competenza dei tribunali degli Stati membri.
Essi rappresentano un tipo particolare di giurisdizione internazionale in quanto sono creati
e funzionano al di fuori dell'ambito dello Stato e sono totalmente indipendente da ogni
sistema giuridico nazionale sia nella loro costituzione sia nel diritto che si applicano.
La creazione dell'organo giurisdizionale è stabilita generalmente da una risoluzione
dell'assemblea dell’organizzazione oppure raramente è prevista nell’atto istitutivo.
Gli organi giudiziari assumono la denominazione di “tribunale amministrativo” oppure di
“commissione di ricorso”.
La Società delle Nazioni, nel corso del 1925, iniziò uno studio preparatorio per la
creazione di un eventuale istanza alla quale il personale della stessa avrebbe potuto far
appello per la tutela dei propri diritti ed interessi.
L’Assemblea Generale, nel settembre 1927, adottò uno statuto che prevedeva l'istituzione
di un tribunale, seppure a titolo provvisorio, per tre anni.
La stessa Assemblea, tuttavia, successivamente confermò la validità dello statuto e
dell'istituzione dell'organo giurisdizionale, permettendo al tribunale di operare no al
1946.
Le Nazioni Unite, in seguito ad ampi dibattiti condotti in molte sue commissioni, arrivò
all'adozione della Risoluzione 24 del 1949, con la quale venne creato il Tribunale
amministrativo delle Nazioni Unite (TANU).

Gli organi del controllo nanziario


Gli organi “minori” più importanti presenti all’interno delle organizzazioni internazionali
sono probabilmente gli organi del controllo nanziario e contabile.
Ogni ente internazionale, infatti, per poter agire, deve disporre di un proprio bilancio,
generalmente alimentato dal contributo degli Stati membri, ed è quindi opportuno che sia
istituito un organo di controllo per veri care la regolarità delle spese.
Gli organi di controllo nanziario e contabile, pur nella varietà delle soluzioni adottate,
hanno alcune importanti caratteristiche comuni.
In primo luogo, le funzioni che l'ente internazionale esercita incidono direttamente sulla
struttura dell'ente medesimo, compresi gli organi di controllo nanziario e contabile.
In secondo luogo, la funzione attribuita agli organi di controllo nanziario contabile incide
direttamente sulla sua composizione.
Gli organi di controllo nanziario e contabile possono appartenere alla struttura dell'ente,
possono essere costituiti da un comitato o da una commissione, nominata all'interno di
un organo, incapace di esprimere la propria volontà all'esterno di quest'ultimo e la cui
attività si esaurisce nell'ambito dell'organo stesso, oppure possono eccezionalmente
essere un soggetto del tutto estraneo all'organizzazione internazionale considerata.
La prassi attuale dimostra una netta tendenza allo sviluppo degli organi indipendenti,
tendenza che determina come logica conseguenza una depoliticizzazione del controllo,
che è riscontrabile sia nel metodo di designazione dell'organo sia nella sua composizione
sia nel suo funzionamento.
La composizione di tali strutture può essere determinata da membri designati
direttamente dai governi degli Stati membri oppure da tecnici nominati dall'organo
dell'ente nel cui ambito sono chiamati ad operare, indipendentemente dalla loro
nazionalità ed in ragione della loro competenza.
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La loro composizione può essere a numero predeterminato o variabile, ma normalmente
sempre limitato, ai ni di assicurare rapidità di funzionamento.
La maggior parte di tali organi risulta composto non da Stati, ma da individui, i quali
debbono possedere determinati requisiti che attestino la loro speci ca competenza.
Gli organi incaricati del controllo nanziario e contabile rappresentano la categoria più
importante nell'ambito degli organi che esercitano esclusivamente funzioni di controllo.
L'istituzione di tali organi può essere prevista nell'atto istitutivo dell'ente, ma di cilmente
è da questa disciplinata nei dettagli, poiché in genere tale compito è devoluto alla
successiva attività di un organo principale dell'ente.
La denominazione di queste strutture varia a seconda delle diverse organizzazioni,
assumendo il titolo di “commissione di controllo nanziario”, di “commissione delle
nanze” o di “commissione del bilancio”.
Il sistema di formazione della volontà degli organi non sempre viene precisato dalle norme
che li istituiscono e spesso sono loro applicabili i criteri della maggioranza semplice che
presiedono alla formazione della volontà degli organi principali.
Gli organi di controllo nanziario contabile hanno la funzione di controllare le entrate e le
spese dell'ente, inclusa la veri ca contabile del bilancio.
Le loro funzioni sono generalmente espletate sulla base delle disposizioni contenute nel
regolamento nanziario dell'ente e, dove esista, di un apposito regolamento interno che
stabilisce le particolari modalità di formazione e di presentazione del bilancio.
Gli organi di controllo, nell'assolvere i loro compiti, godono spesso di ampi poteri, dato
che essi generalmente e ettuano controlli “a posteriori” e su documenti, ma non
mancano le ipotesi di informazioni richieste direttamente agli organi che hanno contribuito
alla formazione del bilancio e, più limitatamente, ipotesi di ispezioni sul posto.

Gli organi sussidiari


Gli organi sussidiari, variamente denominati, rappresentano uno strumento fondamentale
per lo svolgimento delle attività istituzionali delle organizzazioni internazionali.
Essi svolgono generalmente un lavoro di studio e preparatorio delle decisioni di maggior
rilievo, che dovranno poi essere sottoposte all'organo assembleare o a quello esecutivo.
Tali organi, in funzione del ruolo agli stessi attribuito, possono avere un carattere
permanente oppure temporaneo.
Gli organi sussidiari possano essere composti da Stati, ma anche da individui, aperti alla
partecipazione di tutti gli Stati membri oppure limitati ad alcuni, composti da un individuo
oppure collegiali.
Essi sono nominati dall'organo principale che ne ha la competenza ed ogni qualvolta ne
ravvisa la necessità, con un atto interno all'ente, quale manifestazione tipica della
autonoma capacità organizzativa dell'ente medesimo.
Le attività che svolgono operano all'interno dell'ente nei limiti del mandato loro seguito
dall'organo che li ha istituiti.
Le loro funzioni vanno dallo studio approfondito di una tematica speci ca alla
elaborazione del testo che dovrà poi essere adottato dagli organi principali.
La composizione, in ragione dei compiti così a dati, si avvale spesso di esperti della
materia e di giuristi internazionali.

Capitolo VI - L’ordinamento delle organizzazioni internazionali


L’ordinamento delle organizzazioni internazionali
Ogni gruppo organizzato di individui o di persone giuridiche non può esistere se non
possiede un certo numero di norme destinate a disciplinare le sue relazioni interne, la vita
dei suoi membri, lo svolgimento delle proprie funzioni.
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Ogni comunità è quindi indotta a possedere un cosiddetto ordinamento giuridico, che
può de nirsi come l'insieme delle norme organizzate allo scopo di regolare e disciplinare i
diversi aspetti della comunità.
Le organizzazioni internazionali stesse, in quanto comunità di Stati o di altri soggetti,
hanno bisogno di un complesso di norme interne che disciplini il funzionamento dei
diversi organi, le loro competenze, le procedure da seguire, le attribuzioni reciproche.
L'ordinamento interno di una organizzazione internazionale è composto innanzitutto dal
trattato istitutivo, che costituisce la norma fondamentale sulla quale si fonda tutta la
struttura ed il funzionamento dell'ente stesso, quindi dagli atti emanati in applicazione
delle suddette norme, volti essenzialmente a regolare il funzionamento interno dei singoli
organi, ed in ne dagli atti adottati sottoforma di decisioni, risoluzioni o altre tipologie da
parte dei singoli organi a ciò abilitati dallo statuto stesso.
Il problema fondamentale che si pone è quello tendente a riconoscere da dove tragga
origine la giuridicità dell'ordinamento considerato.
Gli Stati sono considerati i soggetti principali dell'ordinamento della comunità
internazionale e sono certamente portatori di un proprio ordinamento giuridico.
Gli ordinamenti degli Stati che operano nella comunità internazionale non derivano la
propria giuridicità dalle norme dell'ordinamento stesso, peraltro a tal ne inesistenti, ma la
desumono dal fatto stesso dell'esistenza dell'ente Stato.
La dottrina, no alla prima metà del secolo scorso, considerata anche la limitatissima
presenza di organizzazioni internazionali, riteneva che esistessero fondamentalmente due
tipologie di ordinamenti, quello della comunità internazionale e quello dei singoli Stati
membri.
L'ordinamento delle organizzazioni internazionali non era quindi minimamente
considerato e annoverato tra le tipologie possibili.
La Corte d'appello di Roma e la Cassazione italiana, prima, e le reiterate a ermazioni del
Tribunale amministrativo delle Nazioni Unite e della Corte Internazionale di Giustizia, poi,
hanno concordemente ammesso e riconosciuto l'esistenza di un ordinamento giuridico
delle organizzazioni internazionali.
La rilevanza di queste pronunce risiede nel fatto che la giuridicità nazionale non ha
ritenuto poter intervenire per la soluzione delle controversie lavorative a ermando un
difetto di competenza, proprio perché in presenza di rapporti giuridici appartenenti ad un
altro ordinamento.
La giurisprudenza citata consente quindi agevolmente di a ermare che l'ordinamento
interno delle organizzazioni internazionali è distinto da quello degli Stati membri.
L'individuazione dei rapporti che intercorrono fra l'ordinamento interno delle
organizzazioni internazionali e quello della comunità internazionale è però estremamente
di coltosa.
La dottrina si è divisa a riguardo con diverse e contrapposte tesi che seguono
l'evoluzione del fenomeno delle organizzazioni internazionali nel mondo moderno.
Una prima tesi, muovendo dalla considerazione che ogni organizzazione internazionale
trae origine da un accordo tra Stati, ossia da un atto tipico dell'ordinamento
internazionale, ha ritenuto che tutte le norme successivamente emanate sulla base
dell'accordo stesso, e quindi le norme interne dell'organizzazione, avessero comunque
natura di norme convenzionali.
Una seconda tesi, rilevando che gli atti interni delle organizzazioni sono adottati
unilateralmente dagli organi della medesima e non obbediscono ad alcuna norma o
principio sul diritto dei trattati, sostiene che non si tratti di diritto internazionale
tradizionale.
Questa seconda ipotesi propone ulteriori distinzioni, ma comunque continua a sostenere
che tale diritto, trovando origine da un accordo, genera sicuramente altre norme di diritto
internazionale, sia pure di un tipo particolare.
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Una terza tesi, diametralmente opposta, tende ad a ermare la piena autonomia
dell'ordinamento delle organizzazioni internazionali.
Le tesi sostiene che la giuridicità ed i caratteri peculiari del medesimo vedono desunti,
analogamente a quanto accade per gli Stati, dall’esistenza dell'ente sociale in cui
l'organizzazione si concretizza.
Questa ipotesi ritiene quindi che l'ordinamento degli enti avrebbe carattere originario ed
autonomo rispetto all'ordinamento degli Stati che lo costituiscono, ma anche rispetto
all'ordinamento internazionale, nei cui confronti assume carattere di originarietà poiché le
norme dell'atto di unione presuppongono sì la creazione dell'ente e quindi
dell'ordinamento giuridico del medesimo, ma l'e cacia obbligatoria delle norme di
quest'ultimo si riconduce all'esistenza materiale dell'ente e non alle norme internazionali
che ne hanno predisposto la formazione.
Tale tesi trova conferma nella natura sostanzialmente atipica dell’accordo istitutivo degli
enti internazionali, che non può essere assimilato agli accordi internazionali classici.
L'accordo istitutivo di un ente internazionale, pur adottato nella forma tradizionale di un
trattato internazionale, riveste per la sua destinazione ed il suo scopo la natura di
costituzione per l'ente creato.
Tale accordo riveste la natura di costituzione non soltanto in relazione agli scopi e agli
obiettivi desumibili dal contenuto dell'accordo stesso, ma anche da alcuni elementi
successivi alla vita del medesimo, ossia in relazione ai criteri di interpretazione ed alle
procedure per le eventuali modi che dell'accordo.
L'interpretazione dell'atto istitutivo, se fosse un accordo internazionale di tipo classico,
dovrebbe seguire i criteri generali dell'interpretazione dei trattati.
Molti statuti di enti internazionali attribuiscono invece l'interpretazione del medesimo ad
organi interni dell'ente.
Le modi che dell'atto istitutivo, inoltre, se questo fosse un accordo internazionale di tipo
classico, dovrebbero essere adottate secondo le norme consuete del diritto dei trattati e
quindi con l'accettazione unanime degli Stati membri.
Molti statuti di organizzazioni internazionali prevedono però meccanismi di emendamenti
che possono essere realizzati anche senza la prescritta unanimità dei membri.
I poteri spettanti all'organizzazione internazionale dovrebbero essere esplicitamente
prescritti nello statuto, se questo fosse assimilabile ad un accordo internazionale di tipo
classico.
Molti enti hanno invece sviluppato, avallati dalla giurisprudenza, l'esistenza di poteri
impliciti, qualora questi siano ritenuti necessari per l'assolvimento dei compiti e delle
nalità dell'ente.
Gli enti internazionali possiedono quindi poteri e capacità non esplicitamente previsti
dall'atto; tali poteri non possono derivare dall'ordinamento internazionale e quindi
dall'accordo internazionale considerato, ma devono necessariamente trarre origine dalla
costituzione dell'ente intesa in senso materiale.
La dottrina richiamata, le diverse pronunce delle corti internazionali, lo sviluppo che le
organizzazioni internazionali hanno realizzato consentono di a ermare l'esistenza certa di
un ordinamento giuridico in ciascuna organizzazione istituzionalizzata, il suo carattere
autonomo, dato che l'ordinamento è certamente distinto e separato sia da quello degli
Stati membri dell'organizzazione sia da quello della comunità internazionale, e il carattere
originario del medesimo.
L'ordinamento delle organizzazioni internazionali risulta però di erente, per sua natura,
rispetto all'ordinamento giuridico internazionale degli altri soggetti della comunità, ossia
gli Stati e gli enti non territoriali.
Gli Stati e gli altri soggetti non territoriali (Santa Sede, Ordine di Malta) sono costituiti da
una comunità di persone siche o giuridiche di diritto interno.
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L'organizzazione internazionale si caratterizza invece per essere una comunità composta
da soggetti pubblici, ossia gli Stati, ed eventualmente da altri enti internazionali.
Gli ordinamenti degli Stati e degli enti non territoriali, oltre a comprendere norme di
organizzazione e di funzionamento che ciascun ente deve comunque possedere, si
caratterizzano per le norme volte a disciplinare i rapporti fra soggetti dell'ordinamento
stesso, in questo caso persone siche.
L'ordinamento delle organizzazioni internazionali, invece, si caratterizza per regolare i
rapporti fra i soggetti dell'ordinamento medesimo, che però in questo caso sono costituiti
essenzialmente dagli Stati membri o dagli organi dell'ente.
La diversità dei soggetti destinatari delle norme incide sulla natura delle stesse e permette
quindi una ulteriore di erenziazione fra l'ordinamento delle organizzazioni internazionali e
quello di ogni altro soggetto della comunità.
L'ordinamento degli enti internazionali, in funzione dei soggetti che lo compongono,
costituisce una terza dimensione del diritto, che si pone a metà strada fra i due predetti.

Gli atti delle organizzazioni internazionali


Le organizzazioni internazionali concretizzano il loro potere in attività materiali realizzate
direttamente dall'ente o dagli Stati membri in esecuzione di atti da quest'ultimo adottati.
Gli “atti delle organizzazioni internazionali” possono essere estremamente di erenti tra di
loro.
Gli atti possono essere attività materiali delle organizzazioni oppure possono essere
anche atti giuridici della stessa.
L'atto giuridico in senso stretto deve essere inteso come una manifestazione di volontà
contenuta in un testo scritto, previsto dall'ordinamento dell'ente o dall'ordinamento
internazionale, nel quale vengono poste delle regole di condotta che possono essere
rivolte alla generalità dei membri della organizzazione oppure a taluni soggetti.
Gli atti giuridici delle organizzazioni, a di erenza di quelli del diritto internazionale,
derivano la loro giuridicità da una norma attributiva della competenza, ricavabile dallo
statuto dell'ente stesso.
Gli atti delle organizzazioni internazionali vanno anzitutto distinti dagli atti che non sono
elaborati ed adottati nel contesto dell'ordinamento interno dell'ente ma alla cui
formazione l’ente concorre unitamente ad altri soggetti.
La prima categoria individuabile è quella degli accordi, delle convenzioni, dei trattati e
degli altri atti nei quali l'organizzazione internazionale si pone come soggetto contraente
dell'accordo, sia questo bilaterale o multilaterale.
Gli atti in questione non possono essere classi cati come “atti dell'organizzazione” in
quanto sono atti tipici dell'ordinamento internazionale, nei cui confronti l'ente assume la
qualità di parte.
Tali atti rilevano nell'ambito delle relazioni esterne e rilevano, semmai, per il
riconoscimento della personalità giuridica dell'ente considerato.
La seconda categoria di atti è costituita dalle convenzioni concluse fra gli Stati membri
dell'organizzazione ed elaborate in seno alla stessa mediante l'attività dei propri organi.
Tali atti, di erentemente dalla precedente categoria di accordi nei quali l'ente considerato
interviene quale parte dell'accordo, sono conclusi fra gli Stati membri; l'organizzazione,
pur partecipando a tutte le fasi dell’elaborazione e del negoziato no all'adozione del
testo, non è parte dell'accordo.
Gli atti veri e propri delle organizzazioni internazionali sono imputabili alla organizzazione
come soggetto internazionale e non ai suoi Stati membri e sono costituiti dalle risoluzioni,
dalle raccomandazioni, dalle decisioni, dalle direttive, dai pareri e dalle dichiarazioni.
La classi cazione degli atti delle organizzazioni internazionali è estremamente complessa
poiché non risponde a schemi comuni.
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In primo luogo, si individuano i cosiddetti atti normativi, che hanno per e etto di
introdurre, modi care, integrare o estinguere norme che si indirizzano ad una pluralità di
destinatari, quali gli atti relativi allo statuto che ne integrano o modi cano le norme e gli
atti che disciplinano il funzionamento dei singoli organi (distinguendo in questo caso tra
regolamenti interni e regolamenti che riguardano il funzionamento dell’intera
organizzazione).
In secondo luogo, si individuano i cosiddetti atti amministrativi, mediante i quali vengono
presi provvedimenti nei confronti di alcuni destinatari (nei confronti dei funzionari, come i
provvedimenti disciplinari, o nei confronti dei membri dell’organizzazione stessa, come gli
atti relativi all'ammissione, alla sospensione, all'espulsione, alla riammissione).
In terzo luogo, si individuano gli atti semplici, posti in essere da un solo organo, e gli atti
composti, nei quali l'adozione deriva dal concorso di una pluralità di organi.
La varietà delle organizzazioni e la libertà degli Stati nella loro istituzione e
regolamentazione non consente di descrivere in una trattazione generale tutti gli atti delle
organizzazioni.
Gli atti delle organizzazioni internazionali si distinguono, in linea generale, in atti tipici,
frequentemente presenti, come le decisioni, le raccomandazioni, le risoluzioni, e in una
molteplicità di atti atipici, relativi a ciascuna organizzazione per i quali è necessario
rinviare ad una trattazione speci ca dei singoli enti, come i piani o i programmi d'azione.
I regolamenti interni, che disciplinano l'attività delle organizzazioni internazionali, traggono
origine da un accordo che si pone per le stesse come l'atto istitutivo, ossia la costituzione
dell'ente.
L'atto istitutivo non può contenere ovviamente tutte le norme occorrenti al funzionamento
dell'ente e prevede quindi la possibilità che questo venga integrato dai regolamenti di
organizzazione che disciplinano numerosi aspetti.
I regolamenti interni gestiscono i rapporti nanziari, i rapporti con i funzionari e gli agenti,
nonché le modalità di funzionamento dei singoli organi.
Essi sono rivolti agli organi dell'ente ed ai suoi soggetti, ossia gli Stati membri ed
eventualmente le persone siche nella la qualità di funzionari o agenti.
La natura obbligatoria di tali regolamenti si evince dall'atto istitutivo e dall'ordinamento
stesso dell'ente.
Essa si evince soprattutto dalla prassi, come dimostra anche il parere consultivo della
Corte Internazionale di Giustizia in relazione agli e etti delle sentenze del Tribunale
amministrativo delle Nazioni Unite, dichiarando che l’Assemblea è libera di istituire o non
istituire un tribunale ma, una volta che tale organo è stato creato, essa è tenuta a
rispettarne le regole e le eventuali sentenze da questo pronunciate.
I regolamenti organizzativi sono quindi atti obbligatori per gli Stati membri e per i soggetti
dell'ente considerato.
La prassi induce così a pensare che si sia formata nel diritto internazionale una regola
consuetudinaria che riconosce alle organizzazioni internazionali un potere generale per
stabilire le regole relative al proprio funzionamento
Le risoluzioni sono atti con i quali una organizzazione internazionale tende ad indurre gli
Stati a mantenere una determinata condotta.
L'espressione “risoluzione” non ha, però, alcun signi cato giuridico speci co.
Essa indica, generalmente, una presa di posizione, ma occorre riferirsi caso per caso al
contenuto dell'atto, all'intenzione dell'organo che l'ha adottato e alle regole di
competenza contenute nell'atto istitutivo, al ne di determinare l'esatta natura e portata
dell'atto.
L'espressione “risoluzione”, quindi, non indica esplicitamente una categoria di atti poiché
sotto tale titolo vengono adottati atti dai contenuti più diversi.
La risoluzione può creare un organo sussidiario, può adottare un atto di organizzazione
interna, un atto di rilevanza esterna o anche un atto interorganico, può raccomandare ad
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un altro organo un certo comportamento e può sistemare i principi generali del diritto o
consolidare consuetudini internazionali.
Le risoluzioni che un organo rivolge ad un altro organo chiedendogli di assumere iniziative
o svolgere un'azione possono anche avere valore obbligatorio, se l’atto viene adottato da
un organo gerarchicamente superiore, con le speci che competenze per farlo.
La maggior parte delle risoluzioni, a parte quelle relative ai regolamenti, non producono
però e etti giuridici obbligatori, ma contengono soltanto una condotta determinata da
seguire oppure un mero invito o esortazione.
Tali risoluzioni, tuttavia, possono assumere un ruolo determinante o costituire un
elemento importante per altri processi di produzione normativa internazionale, in
particolare per i trattati multilaterali e per la formazione di consuetudini.
Molte soluzioni hanno, in e etti, codi cato o interpretato norme di diritto internazionale
generale preesistenti.
Tali atti possono quindi avere valore di codi cazione o di cristallizzazione di una
consuetudine o ancora essere all'origine di una consuetudine nuova.
La risoluzione può contenere disposizioni che rappresentano una codi cazione o una
ria ermazione di norme consuetudinarie preesistenti.
Essa, in questo caso, è un atto rilevante perché apporta precisazioni al contenuto della
norma non scritta e vale altresì come elemento di prova della consuetudine stessa.
L'atto adottato può invece costituire il primo punto di partenza per una nuova norma di
diritto consuetudinario.
L'esortazione, in questo caso, è espressa in una raccomandazione e non ha di per sé
alcun valore giuridico; se gli Stati però si conformano al contenuto, si può allora ritenere
che sia sorta la base per una nuova norma ordinaria.
La dichiarazione è un particolare tipo di atto e viene inquadrato nel cosiddetto soft law.
Una dichiarazione permette ad un organo di a ermare il valore di alcuni principi, di
riconoscere l'esistenza di una situazione particolare e di indicare all'organizzazione ed agli
Stati membri, o anche ai terzi, un determinato programma di condotta nel rispetto dei
principi enunciati.
Le dichiarazioni possono essere ripetitive di consuetudini internazionali preesistenti o
possono costituire la base per il nascere di nuove consuetudini.
Tali strumenti però, in linea generale, non sono atti obbligatori; l'eventuale obbligatorietà
può però derivare da un'altra fonte.
Una prima fonte da cui può scaturire l'obbligatorietà delle dichiarazioni sono le norme di
diritto internazionale generale.
Le dichiarazioni possono contenere, infatti, norme consuetudinarie codi cate.
L'approvazione da parte di un gran numero di Stati di una dichiarazione che codi ca una
consuetudine ha come diretta conseguenza l'accettazione della consuetudine nella sua
versione codi cata.
La seconda fonte dalla quale derivare l'e cacia vincolante delle dichiarazioni sono i
principi generali di diritto.
Tali principi possono essere codi cati in una dichiarazione e una sua adozione costituisce
il riconoscimento del principio medesimo.
La terza fonte da cui eventualmente si può generare una certa obbligatorietà delle
dichiarazioni è rappresentata dal potere di un dato organo di un'organizzazione di
speci care ulteriormente gli obblighi derivanti dallo statuto.
Molti atti contengono, infatti, nozioni e concetti che, per essere messi in pratica,
necessitano di particolari chiarimenti, che possono essere forniti tramite dichiarazioni
interpretative.
Le dichiarazioni di questo tipo non producono diritto, ma ne chiariscono semplicemente
la portata, e sono solitamente considerati come interpretazioni vincolanti di norme
esistenti.
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Le decisioni, qualora adottate a maggioranza quali cata o assoluta e vincolanti per tutti
gli Stati (il vincolo o meno deriva dalle norme stabilite in questo senso dallo statuto),
rappresentano gli atti legislativi dell'organizzazione internazionale.
Le decisioni adottate secondo la procedura “opting out”, mediante la quale gli Stati
hanno il diritto di non accettare la decisione o formulare riserve, senza che ciò faccia
perdere la natura obbligatoria dell'atto per gli altri Stati, non costituiscono però atti
legislativi .
Gli atti giuridici obbligatori non hanno sempre le stesse funzioni.
Le decisioni possono essere individuali e rivolte ad un solo soggetto o ad un determinato
gruppo di destinatari ben de niti.
Le decisioni possono avere invece carattere generale, dalle quali scaturiscono obblighi di
risultato, lasciando agli Stati la forma ed i mezzi per realizzarli.
Un caso emblematico della relativa debolezza delle decisioni e dei loro e etti è costituito
dallo Statuto dell’OCSE.
L’Organizzazione adotta risoluzioni le quali, salvo disposizioni contrarie, vincolano tutti gli
Stati membri.
Le raccomandazioni sono atti che contengono un invito diretto ai destinatari perché
adottino un comportamento determinato.
Le raccomandazioni possono essere dirette ai membri ed anche ai non membri, agli
organi o ad altra organizzazione.
Il valore giuridico di tali atti suscita alcune perplessità in quanto l'espressione stessa non
ha alcun signi cato uniforme.
L'espressione “raccomandazione” serve ad indicare un atto che non ha e cacia
obbligatoria per i destinatari, ma si limita a rivolgere a questi invito ad adottare un
determinato comportamento.
Una raccomandazione si trasforma nei confronti degli Stati membri in obbligo giuridico
solo dopo un eventuale accettazione espressa o tacita da parte di ogni singolo Stato.
Le raccomandazioni, anche se prive di e etti giuridici vincolanti, hanno una notevole forza
morale in quanto richiamano l'attenzione degli Stati e dell'opinione pubblica su una
determinata situazione e pongono quindi in moto forze sociali e politiche notevoli.
La pressione esercitata da queste forze può indurre ad adottare il comportamento
auspicato nella raccomandazione, sebbene la decisione da parte di un soggetto non
costituisca adempimento di un obbligo giuridico ma un atto volontario.

La formazione della volontà


Le organizzazioni internazionali esistenti attualmente nel panorama globale presentano,
quasi sicuramente, organi di tipo collegiale.
Le strutture istituzionali collegiali hanno bisogno di regole precise per determinare la
formazione della volontà.
Gli enti internazionali istituzionalizzati nell'ambito della comunità internazionale sono
caratterizzati da una speci ca autonomia dal contesto degli Stati che li compongono.
Un ente internazionale, a nché abbia autonoma rilevanza nell’ordinamento
internazionale, necessita che i suoi atti siano direttamente imputabili all'organizzazione in
quanto tale e non ai singoli Stati che ne fanno parte.
I procedimenti che presiedono alla formazione della volontà dell'ente vanno
preliminarmente distinti dai procedimenti che presiedono invece alla formazione della
volontà di un organo dell’ente.
La volontà dell'ente, infatti, non sempre coincide con quella del suo organo principale ma
frequentemente è frutto di un procedimento complesso nel quale intervengono più organi.
Le regole relative alla formazione della volontà di un ente internazionale disciplinano molti
aspetti, tra cui il principio da adottare per prendere le decisioni.
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L'ordinamento giuridico internazionale presenta due principi estremamente fondamentali,
ossia il principio della eguaglianza degli Stati sovrani e quello della volontarietà del diritto
internazionale pattizio.
La procedura di base per la formazione della volontà di un gruppo di Stati dovrebbe
quindi essere l'unanimità.
Il principio dell'unanimità soddisfa l'esigenza dell'eguaglianza sovrana degli Stati, poiché
il voto manifestato da ogni Stato ha lo stesso peso, e contemporaneamente il principio
della volontarietà, poiché ogni decisione unanime esclude che uno Stato possa essere
assoggettato ad un atto alla cui adozione non ha positivamente contribuito.
La regola dell'unanimità, però, che da una parte soddisfa queste esigenze della comunità
internazionale, dall'altra rischia di paralizzare qualunque azione intrapresa da un gruppo
di Stati in qualche modo organizzati.
Il rischio in questione è ovviamente più frequente quanto più ampia è la partecipazione
degli Stati al gruppo considerato.
La comunità internazionale, quindi, n dalle prime forme di organizzazione, ha cercato
prima di individuare procedure idonee a ridurre i rischi di paralisi conseguenti alla regola
dell'unanimità e poi ha abbandonato tale regola a favore di altre soluzioni.
La regola dell'unanimità è ancora presente in alcune organizzazioni di minore ampiezza e
prevalentemente a carattere regionale, sia perché si tratta di organizzazioni istituite
nell’immediato dopoguerra, in un periodo storico ancora poco propenso all'abbandono
delle regole tradizionali della comunità internazionale, sia perché si tratta di organizzazioni
a forte componente politica, nelle quali non è accettabile che la volontà anche di un solo
Stato soccombere alla decisione della maggioranza.
Il principio dell'unanimità, nella maggior parte delle organizzazioni, è stato de nitivamente
abbandonato, in quanto avrebbe reso impossibile l'adozione di una qualsiasi delibera.
La regola in questione, nelle organizzazioni in cui ancora sussiste, è stato a ancata da
altre procedure applicabili alla formazione della volontà oppure è stata mitigata da alcuni
correttivi introdotti.
I correttivi introdotti operano prevalentemente sulla “astensione” e sulla “assenza”,
nonché sulla possibilità o erta agli Stati di dichiararsi “non interessati” alla delibera in
corso di adozione.
Gli atti adottati seguendo una di queste misure correttive pongono però alcune questioni
in relazione alla loro e cacia.
La decisione adottata con la dichiarazione di non interesse da parte di uno Stato non si
applica alla suddetta entità.
L'atto adottato con l'astensione di alcuni soggetti impone di guardare allo statuto
dell'ente o al suo regolamento interno: qualora questi permettano di adottare una delibera
con l'astensione di uno o più Stati, questi ultimi rinunciano sostanzialmente al loro diritto-
dovere di contribuire alla formazione della volontà dell'organo e rimette agli altri
componenti il potere di adottare l'atto; allo stesso Stato non può però essere riconosciuto
il diritto di opporsi all'attuazione dell'atto, poiché in questo modo si restituirebbe
indirettamente allo Stato in questione il diritto dovere che aveva precedentemente
abbandonato.
La decisione presa in caso di assenza di uno Stato dalla riunione dell'organo in oggetto
risulta invece più complessa.
L'astensione può avere una precisa valenza giuridica poiché implicitamente manifesta la
volontà dello Stato di non partecipare al voto.
L'assenza, invece, evitando di valutare o di interpretarne le cause e le motivazioni, è
certamente un mero fatto al quale è di cile attribuire un signi cato giuridico.
L'assenza potrebbe essere infatti dovuta ad una coincidenza che ha concretamente
impedito al delegato dello Stato di essere presente alla riunione oppure potrebbe
costituire un comportamento deliberatamente attuato dallo Stato.
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La prassi veri catasi dimostra certamente la legittimità della delibera adottata in assenza
dello Stato membro.
Le soluzioni per l'adozione delle delibere adottate negli statuti dei vari enti internazionali
o rono una gamma variegata di maggioranze necessarie.
Le soluzioni previste per alcuni organi o per speci che votazioni indicano la maggioranza
con riferimento “ai componenti dell'organo”, la maggioranza dei membri “presenti e
votanti” oppure anche la maggioranza dei “voti espressi”.
La maggioranza dei componenti l'organo o, in alternativa, degli aventi diritto al voto
signi ca che la maggioranza deve essere calcolata a prescindere dal numero degli Stati
presenti in quella riunione e a prescindere anche dal numero degli Stati che di fatto hanno
partecipato alla votazione.
Le due tipologie di maggioranza sono quindi calcolate sul numero massimo possibile,
poiché si riferisce a tutti i componenti dell'organo.
La maggioranza degli “aventi diritto al voto” si di erenzia però dalla maggioranza dei
membri dell'organo.
Le più frequenti forme di sospensione previste in alcuni enti si sostanziano generalmente
nella cosiddetta sospensione dal diritto di voto.
La maggioranza dei membri aventi diritto al voto deve quindi escludere gli Stati che di
fatto non possono votare, abbassando conseguentemente il numero sul quale calcolare la
votazione.
La regola maggioritaria, nella quasi totalità degli organi di natura assembleare, è quella
generalmente accettata.
La diversità della medesima maggioranza semplice o variamente quali cata (2/3 oppure
4/5) dipende anche dalla natura degli atti da adottare.
La maggioranza semplice costituisce la regola fondamentale, mentre la maggioranza
quali cata è riservata agli atti o alle delibere di maggiore rilievo (ivi compresi gli atti relativi
allo status di membro e all’atto istitutivo).
Le regole di formazione della volontà che applicano diverse forme di maggioranza
pongono certamente problemi in relazione ai principi generali dell'ordinamento
internazionale.
Il principio maggioritario è infatti in contrasto con i principi dell'eguaglianza degli Stati e
della volontarietà della accettazione delle norme di natura pattizia.
La dottrina si è occupata della problematica ed ha fatto ricorso al criterio funzionale.
Gli Stati istituiscono un ente internazionale per realizzare obiettivi di interesse comune.
Essi, per realizzare il proprio ne, devono dotare il medesimo organismo degli strumenti
idonei allo scopo e tra questi sono da comprendersi anche procedure di formazione della
volontà che non siano paralizzanti, come potrebbe essere invece il caso della regola
dell'unanimità.
La dottrina ha inoltre utilizzato un altro concetto di più immediata comprensione.
Le organizzazioni internazionali hanno origine pattizia, nel senso che nascono
dall'incontro di volontà tra più soggetti della comunità internazionale, manifestata
attraverso un tradizionale accordo.
L’ordinamento internazionale attuale conferisce agli Stati un'ampia libertà nel
regolamentare le procedure per il perseguimento di interessi comuni e le forme di
collaborazione da adottare.
Gli stessi Stati, nell'istituire un'organizzazione internazionale, possono quindi derogare ai
principi generali della comunità, sempre che non si tratti delle cosiddette norme di jus
cogens, senza che tali deroghe incidano sui principi generali dell'ordinamento, i quali
rimangono integralmente operanti al di fuori di quel contesto speci co regolamentato
dall'atto istitutivo dell'ente stesso.
Le regole relative alla formazione della volontà degli organismi internazionali
comprendono anche le misure sull'attribuzione del diritto di voto.
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Il principio dell'eguaglianza sovrana degli Stati imporrebbe il criterio tradizionale che si
sintetizza nella frase “uno Stato un voto”.
La regola di attribuire un singolo voto ad ogni Stato membro, quale che sia la sua
dimensione in termini di popolazione o potere politico, manifesta, in molte circostanze, i
suoi limiti operativi, poiché il principio dell'eguaglianza giuridica degli Stati è sì una
fondamentale costruzione del diritto internazionale, ma oggi è totalmente contraddetta
dalla realtà.
Le esigenze di funzionalità dei singoli enti internazionali devono trovare applicazione
anche nei confronti di questa contraddittoria situazione che applica, da una parte, la
costruzione giuridica dell'eguaglianza degli Stati ma, dall'altra parte, la realtà fattuale di
una loro palese di erenza.
Una serie di espedienti e di correttivi, operando sulla composizione dell'organo o sulle
regole per la formazione della volontà, ha cercato di ovviare alla accennata discrasia fra
diritto e fatto.
Il correttivo al sistema di voto basato sul principio “uno Stato un voto”, che si attua
modi cando la composizione dell'organo che prende le decisioni, prevede che tale
organo sia formato solo da determinati Stati.
Il correttivo in questione permette di rispettare il principio dell'uguaglianza degli Stati in
quanto una diseguaglianza o una discriminazione fra gli stessi è stata operata al livello di
formazione dell'organo.
Il correttivo al sistema di voto basato sul principio dell’eguaglianza degli Stati, che si attua
con regole diverse relative alla formazione della volontà, prevede l’introduzione del voto
ponderato.
La nozione di voto ponderato indica un voto al quale viene attribuito un diverso valore o
peso in ragione del soggetto al quale il voto stesso è assegnato.
Il meccanismo del voto ponderato disconosce apertamente l'uguaglianza degli Stati
nell'esercizio del diritto di voto ed è, per questo motivo, una soluzione sempre meno
utilizzata.
I criteri che vengono seguiti per valutare il peso del voto devono essere direttamente
attinenti alle esigenze funzionali dell'ente considerato.
Il sistema di voto adottato all'interno della Banca Mondiale può essere analizzato a titolo
esempli cativo.
La regola di voto adottata prevede che ogni Stato abbia 250 voti più 1 voto per ogni
azione di capitale della Banca sottoscritta.
Il voto si avvale così di due componenti, una componente ssa stabilita in 250 voti,
uniformemente attribuita ad ogni Stato membro della Banca, ed una componente
variabile, attribuita in funzione dell'apporto di capitale.
Il meccanismo in questione risulta in parte simile a quello in uso in tutte le società di
capitale, e soprattutto nelle società di capitale sotto forma di società per azioni, nelle
quali il voto è espresso con riferimento alle azioni possedute, a prescindere dal soggetto
che le detiene.
Tale meccanismo non risulta però una trasposizione fedele del sistema previsto in ambito
nazionale dato che l’ordinamento internazionale non accetterebbe un sistema di voto in
aperta contraddizione con il principio dell'uguaglianza degli Stati.
Il sistema delineato adotta così una soluzione mista che, avvalendosi di una componente
di voti ssi ed una di voti variabili, cerca di conciliare le due opposte esigenze.
Altre soluzioni che tendono a realizzare una mitigazione tra l'esigenza dell'uguaglianza
degli Stati e l'operatività degli enti internazionali possono essere individuate nel sistema di
voto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed in altri sistemi di voto peculiari.
La regola di voto adottata in seno al Consiglio di Sicurezza prevede una maggioranza di 9
membri su 15 per le questioni ordinarie e una maggioranza di 9 membri su 15, inclusi i
cinque voti favorevoli dei membri permanenti, per le questioni di maggior rilievo.
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Questa regola non incide sulla attribuzione del voto, che rimane paritario, poiché tutti i
membri del Consiglio dispongono ciascuno di un voto, né il voto dei cinque membri
permanenti risulta ponderato, ma è certo che tale valore è sostanzialmente diverso dal
momento che la presenza del voto dei predetti membri è obbligatoriamente richiesta per
realizzare la formazione della volontà.
Il termine “diritto di veto”, in questo speci co caso, non appare però appropriato, in
quanto il concetto evoca un impedimento ad attuare una manifestazione di volontà già
espressa, mentre il sistema stabilito impedisce in via preliminare la formazione della
volontà dell'organo.
La regola di voto adottata in seno all'ente esecutivo dell’ESA prevede una doppia
maggioranza, che si identi ca nella maggioranza dei 2/3 degli Stati partecipanti ad uno
speci co programma, che rappresenti altresì la maggioranza dei 2/3 del gancio del
programma stesso.
Altre soluzioni sono emerse in molte conferenze internazionali, in cui si è palesata la
di coltà di procedere continuamente a votazioni per adottare di volta in volta articoli,
testi, risoluzioni e da altro.
Gli Stati, infatti, esprimendo un voto, assumono uno speci co atteggiamento sull'oggetto
della votazione e lo fanno pubblicamente, con tutte le implicazioni politiche che ciò può
determinare.
Essi, inoltre, seguendo le regole della maggioranza, sono eventualmente vincolati
giuridicamente anche da delibere a cui avessero espresso un parere negativo.
Il compromesso utilizzato per evitare o ridurre il rischio di tali situazioni è stato individuato
nel cosiddetto meccanismo del “consensus”, ossia dell’assenso comune di tutti gli Stati
membri dell'organizzazione.
La necessità di trovare un compromesso ha quindi spesso prevalso sull'esigenza di
rispettare le regole formali previste per la formazione alla volontà.
Il meccanismo del consenso, in particolare, si può esplicare o attraverso l'unanimità dei
consensi (come avviene in seno all’Assemblea Generale dell’ONU) o attraverso l'assenza
espressa di opinioni contrarie (come avviene in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU
su una eventuale dichiarazione presidenziale).
La procedura del consenso e quella dell'unanimità, pur giungendo allo stesso scopo,
hanno però implicazioni profondamente diverse.
L'unanimità espressa non pone infatti assolutamente in discussione l'obbligatorietà di un
atto adottato con questa procedura.
Il consenso, invece, pone diversi problemi in relazione alla sua e cacia, soprattutto
quando esso è circondato da un elevato numero di riserve formali avanzate dagli stessi
Stati.
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