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federazione sovranazionale -
Fabio Zucca
Storia Contemporanea
Università degli Studi dell'Insubria
37 pag.
INTRODUZIONE
Questo libro stimola un approfondimento generale sulla storia del processo di integrazione europea, nonché sulla
riorganizzazione degli Stati nazionali accentrati sovrani europei in forme decentrate e federali. La storia
dell’integrazione europea è il tentativo di costruire, senza ricorrere alla guerra, una struttura politica sovranazionale
con caratteristiche statali federali. La 2° GM segna una crisi dello stato nazionale sovrano europeo. È sempre più
evidente che va riformata l’architettura istituzionale dell’UE. In questo senso il ruolo degli enti territoriali e in
particolare del Comitato delle Regioni (CdR) va definito per costruire i nuovi assetti istituzionali in grado di
rispondere ai bisogni dei cittadini europei.
Degli studi evidenziano che alcuni precursori del moderno europeismo e federalismo si possono individuare già alla
fine del 1700. Questi studi hanno messo in luce come, nelle vicende italiane vi fossero aspetti importanti per la storia
dell’europeismo e del federalismo e dell’integrazione europea collocabile in un quadro di riferimento regionale (in
particolare in Lombardia l’azione federalista ha trovato un impatto più rilevante rispetto ad ogni altra regione). La
conferenza europea delle autonomie locali, il congresso dei poteri locali e regionali, il CdR, il Gruppo Europeo di
cooperazione territoriale e la United Cities and Local Governments sono istituzioni che non sono nate casualmente,
ma grazie al lavoro di enti territoriali, uomini politici e movimenti che hanno tratto il loro agire da riflessioni antiche
interpretando però esigenze del loro tempo (un primo confronto scientifico sul tema tra collettività locali e
costruzione dell’UE ebbe luogo durante il Convegno per il centenario dell’Unità d’Italia svolto a Torino e Stresa nel
1961). Nel libro verranno valutate e analizzate alcune correnti di pensiero che, a partire dagli anni Trenta, hanno
provocato la crisi dello stato nazionale sovrano e proposto soluzioni teoriche e politiche. L’adozione di questo punto
di vista permette di considerare in una nuova luce le tracce della storia. L’evoluzione degli stati nazionali europei
verso un’unità fa parte del processo di aggregazione, ancora incompiuto, necessario per rispondere alla dimensione
sovranazionale dei problemi della crisi economica della fine degli anni Venti. Nello stesso momento gli stessi Paesi
hanno dovuto rispondere a domande di autonomia e affermazione della diversità. Il CCRE fu costituito all’inizio degli
anni Cinquanta grazie all’incontro di diverse forze federaliste, europeiste, comunaliste che avvertivano l’esigenza di
portare in Europa il dibattito sulla necessità di ancor più decentramento all’interno degli stati nazionali. Il CCRE fu
In quel momento l’Europa era agonizzante, per il movimento era necessaria una battaglia che doveva prendere le
mosse in Francia la cui struttura doveva modificarsi radicalmente. La rottura dell’organizzazione statale non sarebbe
stata imposta dall’alto ma sarebbe partita dal basso. La nuova società doveva essere costituita intorno all’uomo,
ristabilendo la gerarchia dei veri valori per cui l’aspetto spirituale avrebbe dovuto prevalere su quello economico,
anche se questo non andava tralasciato. Lo stato federale sarebbe nato grazie all’impulso e all’iniziativa degli
organismi locali che dovevano riappropriarsi del potere a loro sottratto. Questa concezione di comune si ispirava al
pensiero di Proudhon e Tocqueville. Per Ordre Nouveau il comune era la cellula base dell’organizzazione
federalista, comune inteso come l’organizzazione territoriale più vicina alla persona in cui trovare le soluzioni alle
esigenze sociali ed economiche.
Se l’organizzazione dello Stato fu ampiamente dibattuta, così non fu per un possibile assetto dell’Europa. Infatti i
federalisti personalisti contestavano la natura dello stato nazione destinato a scomparire in una riorganizzazione
complessiva dell’Europa. Alcuni membri del movimento però credevano che la realizzazione di una federazione
europea fosse un rimedio contro la guerra.
La disfatta della Francia, l’esperienza bellica e le possibilità offerte dalla ricostruzione dell’Europa stimolarono il
gruppo ad approfondire il tema.
Alcuni punti toccare dal movimento Ordre Nouveau sono analoghi al pensiero di Gasser, ma ci sono delle differenze
tra i due: diverso era il modello statale a cui si ispiravano. Per Gasser doveva essere la Confederazione elvetica
l’esempio di statualità basata sulle autonomie locali, i federalisti personalisti non si ponevano nella prospettiva di
una soluzione precostituita, il loro obiettivo era liberare l’uomo dalle sovrastrutture.
L’amicizia e la stima reciproca portavano Olivetti a collaborare con Spinelli. Olivetti coinvolse perciò nell’iniziativa
Spinelli e fu la comune decisione dei due federalisti di aderire alla richiesta di De Jager e Milhaud che permise la
costituzione di una DELEGAZIONE ITALIANA per l’assemblea costitutiva del CCE.
Il nome della persona che si doveva occupare della composizione della delegazione italiana fu quello di Umberto
Serafini. Serafini fu affiancato da Magda da passano e da Alberto Cabella, da poco vice di Spinelli. La delegazione
inviata a Ginevra fu integrata dal sindaco socialcomunista di Ivrea Umberto Rossi, da studiosi vicini al movimento
olivettiano e da pochi altri amministratori. In Italia l’iniziativa rimase per il momento circoscritta. Un’importante
segnale di apertura del mondo cattolico fu dato da una lettera che Luigi Sturzo scrisse a Bastianetto in occasione
dell’assemblea costitutiva e che fu divulgata a livello internazionale. Sturzo sosteneva che solo l’affermazione
dell’autonomia locale era in grado di contribuire alla creazione di una vita nazionale armoniosa e di un’Unione
internazionale efficace e democratica.
Le altre DELEGAZIONI NAZIONALI furono formate principalmente da politici locali o da persone legate ai movimenti
federalisti. In Svizzera De Jager e Milhaud acquisirono l’adesione di Cottier. Grazie a lui i promotori ottennero dalla
città e dal Cantone di Ginevra il necessario appoggio organizzativo e finanziario che permise lo svolgimento della
manifestazione. La sua presenza poteva garantire l’adesione massiccia delle città svizzere. L’UIV aveva inviato a tutte 16
le sue sezioni europee una lettera in cui deplorava l’iniziativa dell’annunciata assemblea costitutiva del CCE che
considerava come un pericoloso attentato all’unicità della rappresentazione municipale. Il comitato per il CCE replicò
inviando una serie di lettere promuovendo iniziative personali. I problemi però erano altri: all’UIV aderivano anche
alcuni comuni dell’est europeo e la linea dei fondatori del CCE era assolutamente contraria ad accettare adesioni di
municipalità a guida comunista.
La composizione della DELEGAZIONE TEDESCA fu condizionata dalla posizione della SPD (socialisti democratici) nei
confronti dell’unità europea. I socialisti tedeschi non erano contrari all’idea di un’Europa unita, la loro adesione ai
progetti era subordinata al conferimento della piena sovranità e pari dignità politica alla Germania di Bonn, nonché
alla riunificazione delle due Germanie. Il problema di una ridefinizione delle autonomie locali era dunque
sicuramente avvertito dalla classe politica tedesca, ma questo sentimento urtava, nel caso della proposta costitutiva
del CCE, contro la posizione ufficiale della SPD. Bisogna considerare però come in Germania Gasser avesse
cominciato a svolgere una capillare opera di propaganda. Il suo pensiero era conosciuto ma riuscì solo parzialmente
a controbilanciare quelli negativi.
La totale assenza di una DELEGAZIONE BRITANNICA può essere attribuita alla posizione ufficiale antieuropea del
partito laburista e del governo di Londra, occupati a boicottare ogni iniziativa che potesse portare all’unità europea.
Inoltre i comuni inglesi aderivano all’UIV. La coincidenza di questi fattori portò al fallimento il tentativo di
coinvolgere gli enti locali inglesi.
Condizioni profondamente diverse si verificarono in Lussemburgo dove Clément mise a disposizione di promotori la
propria influenza nei confronti dei movimenti federalisti ed europeisti lussemburghesi. Clement aveva compreso che
per evitare nuove disastrose avventure nel continente europeo bisognava ricostruire l’Europa su basi diverse.
Clement organizzò una sorta di gemellaggio tra la sua città e quella olandese di Amersfoort al fine di promuovere
l’idea del Benelux non solo come associazione economica, ma anche dal punto di vista politico, culturale e sociale.
Secondo Clément gli Stati europei dovevano percorrere le nuove strade al cui crocevia stava la convocazione di una
Assemblea costituente Europea. Clément, dopo aver appreso dell’iniziativa di De Jager e Milhaud, diramò una
In Italia la situazione presentava analogie con quella francese. Le elezioni amministrative avevano messo in luce una
tendenza negativa per la democrazia cristiana. Il movimento sociale italiano (MSI) e il partito nazionale monarchico
(PNM) crescevano vistosamente a spese della democrazia cristiana. L’analisi della situazione spinse De Gasperi a
ripensare alla linea politica. La strategia adottata si basò su due proposte chiave: CED e legge elettorale
maggioritaria, due scelte tese a ridare credibilità e forza ai governi centristi. La proposta del premio di maggioranza
suscitò forti opposizioni. La battaglia che l’opposizione impegno contro la “legge truffa” fu aspra tanto in
Parlamento, con l’ostruzionismo, quanto nel Paese, con numerosi scioperi. Nonostante queste iniziative la legge fu
approvata e non consentì la vittoria della coalizione di governo alle elezioni politiche del ‘53. Si aprì infatti una crisi
della linea centrista degasperiana che non aveva più sufficienti basi politiche. L’altra importante conseguenza della
sconfitta subita dalla DC fu il declino politico di De Gasperi, che venne sostituito alla guida dell’esecutivo. I governi
che si succedettero non ebbero forza e volontà politica sufficienti ad affrontare la ratifica del trattato sulla CED
perché l’attenzione fu indirizzata verso il problema di Trieste e delle ex colonie. La situazione politica contingente
impedire approvazione della CED da parte del Parlamento italiano.
2. L’organizzazione del Conseil des Communes d’Europe. La costituzione delle sezioni nazionali
Intanto il progetto di associazioni fra le associazioni comunali continuava il suo cammino. Fra il ‘51 e il ‘53 vennero
costituite 8 sezioni nazionali nell’ambito delle quali persistevano però profonde diversità . La scelta di creare una
Federazione di organismi nazionali era stata presa durante l’assemblea costitutiva. I membri francesi del CCE
preferivano inoltre avere completa libertà d’azione. All’indomani della fondazione, gli aderenti francesi del CCE, fra
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cui spiccavano i nomi di Chaban-Delmas, Lasalarié, Voisin, decisero nel corso della riunione di iniziare una vasta
campagna per sensibilizzare gli amministratori locali agli scopi del CCE. In questo modo si intendeva proseguire
sulla linea politica adottata dalla Fédération prima della fondazione del CCE. In quei mesi erano infatti in discussione
progetti di riforma elettorale e istituzionale della Repubblica.
Dai verbali della prima riunione precostituente della sezione francese risulta chiaramente come i suoi membri si
sarebbero fatti carico anche dello sviluppo internazionale del movimento. Bareth e Voisin avrebbero avviato rapporti
con le organizzazioni comunali dei paesi non rappresentati alla riunione costitutiva di Ginevra.
Gli stretti rapporti esistenti tra la Fédération e l’area politica moderata che sosteneva il governo fecero sì che la
preoccupazione principale per i promotori della sezione francese fosse quella di ottenere l’appoggio delle
istituzioni. L’autorità centrale poteva infatti creare non poche difficoltà. L’opzione adottata non era certo la più
coerente per un movimento che faceva della lotta per la conquista dell’autonomia locale in ambito nazionale ed
europeo la ragione stessa della sua esistenza. L’organizzazione sarebbe stata facilmente influenzabile dagli stessi
partiti a cui chiedeva aiuto per il proprio sviluppo. Fu quindi chiesto al ministro agli interni di appoggiare la
costituzione della sezione francese il cui statuto fu ufficializzato nel marzo ‘51. Venne diramata a tutti i prefetti della
Francia e agli Inspecteurs Généraux De L’Administration En Mission Extraordinaire la circolare ministeriale numero
153. In questo documento si informavano i rappresentanti dello Stato dell’avvenuta creazione del AFCCE
(Association française pour le Conseil des communes d’Europe). Alla circolare venne allegata una nota informativa
che ricostruiva la breve storia del CCE ma soprattutto metteva in rilievo il ruolo della Fédération.
In questo modo la Fédération finiva per assumere “un’importanza particolare non solamente sul piano nazionale ma
sul piano europeo” .
Ebbe inizio la campagna di propaganda del AFCCE, coordinata da un centro nazionale, e si avvalse di veri e propri
missi Dominici: i Delegati Del Consiglio Dei Comuni D’Europa. Essi avevano l’incarico di render visita ai sindaci definiti
democratici nei dipartimenti a loro assegnati, di sensibilizzarli ai temi del decentramento amministrativo e dell’unità
europea e di creare i comitati dipartimentali della CCE.
In Italia la situazione era più complessa. Il MFE non aveva ancora individuato la linea politica da tenere nei confronti
della nuova organizzazione. Per i federalisti italiani, in particolare Spinelli, gli amministratori comunali potevano
essere utili strumenti di pressione nei confronti dei partiti nazionali di appartenenza e dei governi, non che
testimoni nei confronti dell’opinione pubblica per propagandare l’idea dell’unità europea. In quest’ottica i candidati
alle elezioni amministrative italiani del ‘51 erano stati sensibilizzati sui temi europeisti.
Nel luglio ‘51 Bolis, segretario del MFE ligure, scriveva a Serafini come “anche per il Consiglio dei comuni d’Europa si
stesse perdendo del tempo prezioso”. Bolis aveva tentato di avere da Spinelli delle indicazioni politiche rispetto
all’atteggiamento da tenere nei confronti del nuovo movimento. Egli si dichiarava comunque d’accordo con le
finalità del CCE. La stessa posizione era stata assunta da Usellini, segretario della stessa UEF. Secondo le indicazioni
di Usellini il MFE avrebbe dovuto inviare una lettera circolare a tutte le amministrazioni locali affinché aderissero alla
futura sezione italiana del movimento.
L’importanza di portare i federalisti a condividere o almeno ad appoggiare il progetto del CCE è evidente se si pensa
che tra il ‘49 e il ‘54 il MFE conobbe una crescita esponenziale di sezioni ed aderenti. Si erano inoltre costituiti due
gruppi parlamentari per l’unione europea a cui aderivano di Gasperi, La Malfa, Rumor e Bastianetto. Il MFE era un
movimento in fase di grande espansione e con importanti legami politici con i partiti di governo. Bolis, consapevole
che il MFE avrebbe cominciato ad operare a favore del CCE solo quando la sua segreteria nazionale si fosse convinta
ad appoggiare l’operazione, chiedeva a Spinelli Serafini di definire i rapporti tra le organizzazioni interessate al
problema. Egli si dichiarava pronto ad aiutare Serafini a “porre la prima pietra per il nuovo edificio”. Il chiarimento
auspicato si realizzò e fu positivo per le sorti del movimento delle autonomie locali in Italia. I federalisti italiani
coglievano gli elementi innovativi dell’associazione comunale e inserivano la sua creazione nelle iniziative
promosse dal MFE. Il coinvolgimento degli amministratori locali avrebbe fornito un importante supporto politico-
organizzativo alla battaglia. Dall’azione di propaganda furono esclusi anche in Italia gli amministratori comunisti, che
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aderiranno al CCE solamente nel dicembre ‘71, e i socialisti.
Serafini si era già messo all’opera per costituire una sezione del CCE in Italia in stretta collaborazione con Cabella,
segretario generale del MFE, stava lavorando per formare il “comitato promotore del CCE – sezione dei comuni
d’Italia”. Serafini avvertiva l’urgenza di conseguire gli stessi risultati dei federalisti d’oltralpe che stavano “lavorando
assai più celermente”. La debolezza italiana era però la mancanza di interlocutori qualificati ed era emersa alla
costituzione del CCE, quando Bareth, si era rivolto a Bastianetto per concertare la scelta dell’uomo a cui affidare
l’organizzazione del movimento in Italia. Bastianetto diede il proprio “intero sostegno” a Serafini ritenuto,
successivamente anche dai francesi, adatto al ruolo. Fu così che l’iniziativa rimase nelle mani dei federalisti italiani e i
promotori si avvalsero del prestigio personale di Bolis che fu invitato a contattare il sindaco di Genova, Pertusio, che
nell’agosto ‘51 dava la propria adesione personale al CCE. Bolis suggeriva di usare il nome di Pertusio e della città di
Genova per ottenere l’adesione degli altri sindaci italiani.
Per promuovere le adesioni all’assemblea costitutiva della sezione italiana fu sviluppata una campagna che si
avvalse dell’appoggio del MFE e del Movimento Comunità. Accogliendo i suggerimenti di Bolis venne inviata una
lettera circolare ad alcuni sindaci d’area centrista noti per la loro militanza europeista, venne anche svolta un’azione
mirata utilizzando esponenti politici vicino al MFE.
Fra il 26 e il 27 gennaio ‘51 si tenne a Roma la riunione costitutiva dell’Associazione Italiana Per Il Consiglio Dei
Comuni D’Europa (AICCE). L’assemblea nominò presidente il senatore socialdemocratico Schiavi e segretario
generale Serafini. Nello statuto veniva indicato che lo scopo dell’AICCE era quello di “organizzare in Italia un’azione
europea, in collaborazione con le associazioni interessate dei diversi paesi, nonché promuovere una Federazione
degli stati europei basata sulle autonomie locali”.
Dopo la riunione costitutiva i membri del comitato direttivo dell’AICCE si posero il problema dell’allargamento della
base associativa e in una riunione si decise di chiedere ai segretari nazionali della DC, PSDI, PRI e PLI di sollecitare gli
amministratori locali dei rispettivi partiti ad aderire all’AICCE. Per impedire inoltre alle sinistre di discutere nei
consigli comunali temi di politica internazionale, i partiti di governo avevano impostato la loro propaganda
Quella di Dehousse era una precisa opzione a favore di una Federazione europea che indicava anche un possibile
ruolo per il Consiglio d’Europa. L’Assemblea Consultiva era passata da un’atmosfera di fiducia e speranza a
un’insoddisfazione per il proprio ruolo e ad accuse nei confronti del Comitato Dei Ministri che avevano trovato eco
le parole con cui Philip (presidente del MSEUE e membro della Commissione Affari Generali Dell’Assemblea) aveva
confutato il rapporto presentato dallo stesso Comitato durante la seconda sessione dell’Assemblea di Strasburgo. 27
Philip aveva affermato che il testo proposto era una sorta di verbale delle riunioni interministeriali senza idee,
principi o indicazioni di possibili linee d’azione.
La tesi espressa da Philip non trovava però consensi. Lo testimonia un rapporto della Commissione Affari Generali,
in cui si affermava che non si poteva dar vita ad una Federazione politica europea senza la Gran Bretagna. I politici
inglesi sembravano avvertire il bisogno di rispondere e il governo inglese, durante la X sessione del Comitato dei
ministri del Consiglio d’Europa, presentò il Piano Eden, fra i cui obiettivi vi era quello di creare un’opinione pubblica
europea attraverso l’azione dell’Assemblea Consultiva. Rimaneva però aperto il dibattito sulle forme e i poteri di
questa rappresentanza.
Gli enti locali europei si inserirono in questo dibattito solo dopo la costituzione del CCE.
2. La Commissione speciale per gli Affari comunali e regionali del Consiglio d’Europa e la rappresentanza dei poteri
locali presso le istituzioni europee
Nel ‘57 veniva convocata a Strasburgo la prima Conferenza Europea dei Poteri Locali (CEPL). La riunione doveva
permettere ai rappresentanti degli enti locali di partecipare all’attività dell’assemblea consultiva quando
quest’ultima avesse affrontato temi relativi alle competenze comunali o regionali. Veniva accettato il principio per
cui le istituzioni internazionali non erano legittimate a prendere provvedimenti che riguardavano le amministrazioni
decentrate senza che i comuni o i loro rappresentanti venissero consultati. La CEPL costituiva un’affermazione del
CCE che nell’assemblea costitutiva aveva posto fra gli scopi dell’associazione quello di assicurare la partecipazione e
la rappresentanza degli enti locali nelle istituzioni europee.
Però la CEPL era un organismo consultivo creato per esprimere pareri a un’assemblea consultiva priva di qualsiasi
potere reali. Essa era solo una pallida immagine dell’Assemblea Rappresentativa Dei Comuni Delle Collettività Locali
che i promotori del CCE avrebbero voluto affiancare a un Parlamento europeo liberamente eletto.
L’idea della CEPL era stata avanzata da Chaban-Delmas, probabilmente per guadagnarsi un ruolo politico a livello
europeo. Tra il ‘50 e il ‘53 l’Europa sembrava infatti avviata verso l’unificazione e a Delmas restava solo la scelta dei
Chaban-Delmas fu invitato ad agire anche nei confronti dell’Assemblea ad hoc ma egli scelse di operare ancora
una volta nell’ambito del Consiglio d’Europa, allungando così i tempi dell’intervento. Fu infatti solamente dopo
avere ottenuto un mandato formale che Delmas scrisse una lettera al presidente della Commissione Costituzionale
dell’Assemblea ad hoc invitandolo a considerare la possibilità di studiare le forme per assicurare la rappresentanza
“delle collettività locali nelle future istituzioni europee e in particolare in quelle della Comunità europea”. Le modalità
dell’intervento di Delmas erano ineccepibili proprio perché l’azione era stata condotta in grave ritardo rispetto a
quanto gli era stato richiesto nel mandato di Palermo.
3. L’istituzione della Conferenza europea dei poteri locali. Un possibile modello di rappresentanza politica
Fra il ‘52 e il ‘54 Chaban-Delmas portò, sia in sede di dibattito presso l’Assemblea Consultiva, sia nell’ambito della
Commissione da lui presieduta, i temi peculiari del CCE. Continuando la sua opera, volta legare il CCE al Consiglio
d’Europa, Delmas organizzò anche la partecipazione di un gruppo di lavoro della Commissione speciale agli Stati
Generali di Versailles e successivamente convocò una seduta della Commissione durante lo svolgimento dei secondi
Stati Generali Dei Comuni D’Europa. Grazie a queste iniziative furono inviate ufficialmente al Consiglio d’Europa le
relazioni e le risoluzioni degli Stati Generali. Fra queste, particolare rilievo politico aveva la risoluzione con cui gli
Stati Generali di Venezia chiedevano al Consiglio d’Europa la trasformazione della Commissione speciale in
“Commissione di pieno esercizio” e la costituzione di “un gruppo di lavoro permanente dove i delegati delle
organizzazioni comunali e internazionali potrebbero collaborare reciprocamente”. La proposta della Commissione
speciale era quindi circoscritta anche se il suo accoglimento avrebbe sancito il principio della rappresentanza nei
poteri locali presso l’Assemblea di Strasburgo. Il comitato dei ministri respinse la raccomandazione almeno per ora
ufficialmente per non favorire la proliferazione di organismi internazionali.
Fra il ‘54 e il ‘55 si poteva assistere a un intenso scambio di memorandum fra la Commissione speciale, la quale
sosteneva la necessità di un organismo di collaborazione permanenti con gli enti locali, e il comitato dei ministri che
rifiutava questa ipotesi. Ancora una volta su proposta di Delmas, l’assemblea consultiva prese l’iniziativa per uscire
dalla situazione di stallo. Usando il proprio diritto di consultare esperti, deliberò di procedere alla convocazione di