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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

Dipartimento di Scienze della Mediazione Linguistica e di Studi


Interculturali
Corso di Laurea in Mediazione linguistica e culturale

L’EUROPA SECONDO IL MANIFESTO DI VENTOTENE

Relatore: Chiar.mo Prof. Alessandro Terreni

Tesi di Laurea di:


Aldana Sofia D’Aviri
Matr. 788962

Anno Accademico 2011 / 2012


Indice

Introduzione 2

Capitolo 1. Contesto storico 5

1.1 Dall’Italia fascista alla Seconda guerra mondiale 5

1.2 Vita di Altiero Spinelli prima del Manifesto di Ventotene 14

Capitolo 2. L’impegno federalista: gli Stati Uniti d’Europa secondo

il Manifesto di Ventotene 18

2.1 La battaglia federalista 18

2.1.1 L’ideologia federalista 21

2.2 La Federazione europea ed altre tendenze politiche 24

2.2.1 Il razzismo 25

2.2.2 La restaurazione democratica 26

2.2.3 Il comunismo 32

2.2.4 La Federazione europea 39

2.3 Proposte concrete sulla struttura della Federazione europea 40

Capitolo 3. Considerazioni finali 47

Bibliografia 58

1
Introduzione

L’oggetto di studio di questa tesi di laurea è il Manifesto di Ventotene, scritto da Altiero


Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941, nel periodo più buio della Seconda guerra mondiale,
quando quasi tutta l’Europa era sotto il dominio di Hitler.
Ho scoperto il Manifesto di Ventotene, il cui titolo completo è Per un’Europa libera
e unita. Progetto d’un Manifesto, indagando la storia dell’Unione Europea.
La motivazione della mia ricerca è stata quella di trovare le cause della maggiore
presenza dell’idea d’Europa nella cultura italiana, che, secondo la mia impressione,
costituisce un fattore distintivo tra l’Italia e la Spagna. Infatti, da quando sono arrivata
in Italia, ho sempre percepito la presenza di un forte senso di appartenenza europeo
nell’opinione pubblica italiana, diversamente da quella spagnola, dove questo senso
europeo, a mio avviso, non è così presente. Confrontando la situazione dell’Italia con la
situazione culturale della Spagna, noto dunque che l’Italia, a differenza della Spagna, si
considera un membro consolidato dell’Unione Europea, e che i cittadini italiani si
sentono anche cittadini europei.
Questo elaborato è diviso in tre capitoli. Il primo capitolo tratta del contesto storico
in cui fu ideato il Manifesto di Ventotene. Questo capitolo è suddiviso in due parti: la
prima descrive la storia dell’Italia, fin dall’ascesa al potere di Mussolini, nel 1922, fino
alla fine della Seconda guerra mondiale in Europa, nel giugno 1945. La seconda parte
del capitolo illustra la vita di Altiero Spinelli prima del Manifesto di Ventotene.
Il secondo capitolo presenta l’impegno federalista degli autori del Manifesto, per un
nuovo ordinamento internazionale di tutti gli stati europei, per una federazione europea.
Questo capitolo è diviso in tre parti: la prima è dedicata alla battaglia federalista per gli
Stati Uniti d’Europa. Infatti, nel Manifesto di Ventotene, Spinelli e Rossi delineano un
nuovo movimento politico, di carattere federalista, che aspira a superare le
caratteristiche da loro considerate illiberali dello stato nazionale, soprattutto il principio
della sovranità statale illimitata. La prospettiva federalista si propone di superare le
strutture del singolo stato nazionale all’interno di un organismo sovranazionale, che ne
limiti la sovranità e provveda all’interesse collettivo di tutte le nazioni.
La seconda parte del capitolo è dedicata al saggio Gli Stati Uniti d’Europa e le varie
tendenze politiche. In questa parte si ricostruisce l’analisi svolta da Spinelli delle tre

2
ideologie politiche allora dominanti, quella razzista, quella democratica e quella
comunista, studiate e criticate dal punto di vista della problematica federalista. Spinelli
mette in evidenza come le tre tendenze ideologiche da lui osservate avessero come base
di riferimento l’idea astratta e la esistenza reale di uno stato nazionale. Come soluzione
del problema dell’organizzazione politica internazionale, Spinelli ipotizza per l’Europa
una struttura federale, l’unica in grado di eliminare l’anarchia internazionale e quindi il
pericolo di guerre. Per questo motivo la creazione della Federazione europea diventava
fondamentale, allo scopo di limitare le sovranità degli stati nazionali e di assicurare la
pace in Europa.
La terza parte di questo capitolo tratta delle proposte concrete sulla struttura della
Federazione europea, presentate nel Manifesto. È da sottolineare, tra i principi basilari
della Federazione, la necessità dell’unità monetaria, dell’abolizione delle barriere
doganali, di un esercito unico federale e della politica estera unica: come si sa, gli ultimi
due punti restano ancora da realizzare.
Il terzo capitolo presenta le considerazioni finali. In questo capitolo ho ricostruito il
ruolo dell’Italia, e dell’azione federalista di Altiero Spinelli, nel processo di unificazione
europea, fin dal secondo dopo guerra: ho potuto in questo modo individuare il concreto
fattore culturale e storico sul quale si basa la mia percezione di un maggiore senso di
appartenenza europeo nell’opinione pubblica italiana, rispetto alla più scarsa presenza
dell’Europa nell’opinione pubblica dei cittadini spagnoli. L’Italia, infatti, è stata uno dei
paesi fondatori della prima istituzione comunitaria, cioè la Comunità europea del
carbone e dell’acciaio (1951), e fin da quel momento è sempre stata uno dei paesi
protagonisti nel processo, graduale, di unificazione europea: sia dal punto di vista
dell’azione politica sul piano internazionale – come dimostra l’azione di personalità
politiche come quella di Alcide De Gasperi – sia dal punto di vista dell’elaborazione
ideologica dell’idea d’Europa in senso federale e unitario – come il pensiero di Spinelli,
da me studiato, attesta. Ciò dimostra, dal mio punto di vista, che i cittadini italiani sono
stati, fin dall’inizio, coinvolti nel processo di unificazione europea, e consapevoli del
concetto di unità europea. È opportuno segnalare, a questo riguardo, che già nel
Risorgimento, con Mazzini, si era fatta strada l'idea di un legame tra Italia ed Europa,
con la fondazione della Giovane Europa. In questo lavoro però, la mia ricerca si è
concentrata sul Novecento.

3
Grazie all’azione e allo sforzo dei cittadini europei e di uomini politici come Altiero
Spinelli, consapevoli della necessità di cooperazione tra gli stati europei, e della
necessità di cedere parte della propria sovranità statale, l’Unione Europea ha ricevuto
recentemente il premio Nobel per la pace: esso rappresenta il riconoscimento che il più
importante risultato dell’unificazione europea è la pace. L’obiettivo principale degli
autori del Manifesto di Ventotene era proprio questo, garantire all’Europa una pace
duratura.

4
Capitolo I. Contesto storico

Il Manifesto di Ventotene, il cui titolo completo è Per un’Europa libera e unita. Progetto
d’un Manifesto, fu redatto da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi nel 1941, mentre si
trovavano entrambi al confino sull’isola di Ventotene. Il Manifesto fu terminato nel
maggio 1941 e poi rivisto tra giugno e agosto, dopo l’invasione tedesca dell’Unione
Sovietica. Il Manifesto è il risultato del lavoro intellettuale di entrambi gli autori, ma
anche di Ernesto Colorni e del piccolo gruppo che si riunì intorno a loro in quell’isola1.
Il Manifesto fu pubblicato clandestinamente a Roma nel gennaio 1944 insieme a
due saggi di Altiero Spinelli, in cui egli mette a fuoco il suo pensiero: Gli Stati Uniti
d’Europa e le varie tendenze politiche (scritto nella seconda metà del 1942), che sarà
oggetto di analisi nel secondo capitolo di questa tesi, e Politica marxista e politica
federalista (scritto tra il 1942 e il 1943). L’edizione del Manifesto del 1944, curata da
Eugenio Colorni, è poi quella che Spinelli riconobbe come definitiva e sulla quale si è
elaborata la presente tesi di laurea2.

1.1 Dall’Italia fascista alla Seconda guerra mondiale

Il fascismo diviene una forza politica di primo piano in Italia alla fine del 1920. Benito
Mussolini aveva fondato a Milano, nel marzo 1919, i Fasci di combattimento, ma il
fascismo non era allora un partito, bensì un semplice movimento politico3. Nello stesso
anno, viene fondato il Partito popolare italiano, ovvero il nuovo partito cattolico, ad
opera del sacerdote Luigi Sturzo, e viene creato a Torino, dal gruppo di Ordine Nuovo,
un movimento politico guidato da Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto
Terracini e Angelo Tasca, che nel gennaio 1921 avrebbe dato vita, insieme al gruppo
socialista guidato da Amedeo Bordiga, al Partito comunista d’Italia4.
Gli anni 1919-1920 videro una serie di agitazioni operaie e contadine che
sconvolsero il paese durante il cosiddetto “biennio rosso”. Le agitazioni e gli scioperi
del biennio diedero risultati economici positivi, dato che i lavoratori ottenero

1
P. Graglia, Altiero Spinelli, il Mulino, Bologna, 2008, p. 146.
2
Ivi, p. 146, nota 127.
3
F. Chabod, L’Italia contemporanea (1918-1948), Einaudi, Torino, 2002 (1961), p. 57.
4
R. Villari, Storia dell’Europa contemporanea, Universale Laterza, Bari, 1975, p. 497.
5
miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro, ma diedero anche risultati politici
negativi. Infatti grandi proprietari fondiari, contrari all’occupazione delle terre da parte
dei contadini, e gli industriali, che non accettavano l’idea del controllo operaio sulle
fabbriche, appoggiarono il nascente squadrismo fascista, che si basava sull’uso della
violenza organizzata. Si appoggiarono al fascismo anche la piccola borghesia, timorosa
di una possibile rivoluzione, e vecchia classe politica liberale che, pur non condividendo
le azioni dei fascisti, cercò di servirsene contro il crescente successo politico dei
socialisti i quali, grazie all'introduzione del suffragio universale maschile voluto da
Giolitti, avevano ottenuto ampia rappresentanza in parlamento. Fu lo stesso Giolitti a
favorire l'ascesa del fascismo quando, nelle elezioni del maggio 1921, inserì i fascisti
nel Blocco nazionale, da opporre ai partiti di massa (popolare, socialista e comunista).
In questo modo, i fascisti entrarono in parlamento, nella maggioranza con i cattolici e i
liberali5.
Il fascismo conquista il potere nel 1922, con la «marcia su Roma». Il re Vittorio
Emanuele III, dopo essersi rifiutato di proclamare lo stato d’assedio che avrebbe
consentito all’esercito di intervenire militarmente contro le squadre fasciste che avevano
invaso la capitale, incarica Benito Mussolini della formazione di un nuovo esecutivo. Il
primo governo Mussolini, formato da fascisti, liberali e popolari, ottiene una larga
maggioranza alla Camera. I sostenitori non fascisti del governo mostravano di
considerare la formazione del nuovo governo, appoggiato dal Vaticano e dai grandi
industriali, come l’inizio di un ritorno alla normalità dopo le agitazioni rosse e come
l’eliminazione del pericolo di una rivoluzione comunista, che in realtà in quel momento
era inesistente6.
Nel 1922 viene creato il Gran consiglio del fascismo, organo supremo del Partito
nazionale fascista, e un anno dopo lo squadrismo fascista viene istituzionalizzato con la
creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che aveva la funzione di
essere la forza armata del regime. Nel 1923 vengono espulsi dal governo i ministri del
Partito popolare7 e comincia una forte pressione sulle attività sindacali e politiche
dell’opposizione e contro la libertà di stampa. Viene inoltre approvata la nuova legge

5
A. De Bernardi, S. Guarracino, La discussione storica. Vol. III. Il Novecento, Mondadori, Milano,
2009, p. 282.
6
R. Villari, op. cit., p. 505.
7
Il fondatore del Partito popolare, Luigi Sturzo, si era fin dall'inizio schierato contro la
partecipazione dei popolari al governo Mussolini.
6
elettorale, la legge Acerbo, dal nome del suo relatore, il deputato fascista Giacomo
Acerbo: la legge elimina il sistema proporzionale e attribuisce la maggioranza assoluta
dei seggi in parlamento al partito o alla coalizione che ottiene almeno il 25% dei voti.
Nelle elezioni dell’aprile 1924, la lista fascista ottiene così la maggioranza.
All’indomani delle elezioni, il deputato socialista Giacomo Matteotti denuncia alla
Camera dei deputati la violenza, l’illegalità e gli abusi compiuti dai fascisti nel corso
della campagna elettorale, invocando lo scioglimento del parlamento del quale proclama
la completa illegalità. Qualche giorno più tardi egli viene rapito e ucciso dai fascisti: i
deputati dell’opposizione, ad eccezione del piccolo gruppo comunista, abbandonano per
protesta il parlamento, attuando la secessione dell’Aventino8.
Da parte sua, Mussolini coglie l’occasione per realizzare la definitiva svolta
autoritaria del regime: il 3 gennaio 1925 egli pronuncia alla Camera il discorso che
inaugura la dittatura vera e propria, affermando, a proposito della scomparsa di
Matteotti: «Assumo solo io la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è
avvenuto». Tra il 1925 e il 1926 vengono così varate le cosiddette “leggi fascistissime”.
Queste leggi sopprimono la libertà di stampa e di attività politica, eliminano
l’opposizione parlamentare, promuovono una vasta epurazione degli antifascisti
dall’amministrazione pubblica, danno allo stato un nuovo ordinamento fortemente
accentrato e trasferiscono la maggior parte dei poteri all’esecutivo e soprattutto a
Mussolini, che era capo del governo, nominato e revocato ora esclusivamente dal re,
senza l'approvazione del parlamento. Un tribunale speciale per la difesa dello stato
viene creato per legalizzare la repressione degli oppositori. Giovanni Amendola e Piero
Gobetti, liberali che avevano presso le più intransigenti posizioni antifasciste, riuscirono
ad espatriare in Francia, dove però morirono a causa delle violente percosse ricevute
dagli squadristi. Molti uomini politici, come Luigi Sturzo, Filippo Turati, Palmiro
Togliatti, ed alcuni intellettuali, come Gaetano Salvemini, furono costretti ad andare in
esilio. Nel 1926 il tribunale speciale condanna Antonio Gramsci, segretario del Partito
comunista, che sarebbe rimasto in carcere fin quasi alla morte nel 1937. Molti
antifascisti furono assegnati al confino di polizia e spediti nei vari paesi sperduti del
Meridione o su piccole isole, come nel caso di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Nel 1927 viene formulata la Carta del lavoro, che prevede la creazione di

8
R. Villari, op. cit., p. 507.
7
corporazioni per ogni settore dell’attività produttiva, che avrebbero dovuto integrare e
armonizzare gli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, in vista del superiore
interesse della nazione. Infatti Alfredo Rocco, suo creatore, e futuro autore del Codice
penale, riteneva che tutte le componenti della società dovessero essere subordinate al
superiore controllo dello stato, dal momento che la “mano visibile” del potere statale
appariva l’unica forza capace di dominare i conflitti tra le classi, i conflitti d’interesse
tra i ceti e i gruppi sociali9. Questa teoria contrastava con il vecchio modello liberale,
secondo il quale non si riteneva che la politica dovesse occuparsi delle questioni
economiche o del lavoro, considerati come affare privato dei cittadini. Ma la
soppressione delle libertà sindacali e delle organizzazioni operaie (messa a punto nel
1926 con la soppressione del diritto di sciopero, con l’istituzione di una magistratura del
lavoro che era praticamente al servizio del regime e del padronato e con lo scioglimento
delle Confederazioni del lavoro) avevano lasciato piena libertà di azione ai grandi
gruppi del capitalismo industriale, finanziario ed agrario. Il risultato fu che questi
gruppi, anziché farsi spingere sulla strada di una nuova politica che rimodellasse i
rapporti tra classi e stato, si strinsero al regime. L’industria divenne ultraprotteta,
sempre più monopolistica e ubicata nelle regioni del Nord10.
A partire dalla seconda metà degli anni Venti, Mussolini accentua il carattere
totalitario del suo regime costruendo una capillare rete organizzativa preposta al
controllo e alla fascistizzazione della società italiana. La scuola diventa uno degli
strumenti fondamentali di fascistizzazione e militarizzazione della gioventù; nel 1928,
ad esempio, i libri di testo delle scuole elementari vengono sostituiti con il testo unico di
stato. Un altro campo d’intervento del regime, indirizzato all’intera società, è
l’organizzazione del tempo libero. L’Opera nazionale dopolavoro, istituita nel
1925,viene potenziata, diffondendosi in ogni luogo di lavoro, allo scopo di far aderire
gli italiani all’ideologia del regime attraverso la partecipazione alle attività di massa
organizzate dal partito. Un ruolo decisivo viene giocato anche dai mezzi di
comunicazione di massa. Tutta la carta stampata, il cinema, la radio, sono controllati dal
regime di Mussolini e adoperati per diffondere la propaganda fascista11.
Nel 1929 avviene la pacificazione tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica,

9
A. De Bernardi, S. Guarracino, op. cit., pp. 286-287.
10
R.Villari, op. cit., p. 509.
11
A. De Bernardi, S. Guarracino, op. cit., p. 324.
8
pacificazione sancita dai Patti lateranensi. Con la stipulazione di questi accordi, l'annosa
questione romana si poteva dire definitivamente conclusa. Infatti, in virtù di essi, viene
riconosciuta la Città del Vaticano come stato indipendente e lo Stato italiano paga alla
Santa sede un’indennità per gli espropri fatti dopo l’Unificazione. I rapporti tra lo Stato
italiano e la Chiesa sono regolati da un Concordato, che è la parte più importante della
conciliazione e che prevede, tra i suoi punti principali, il riconoscimento della validità
civile del matrimonio religioso e l’impegno dello Stato ad impartire l’insegnamento
della religione cattolica nelle scuole pubbliche. La religione cattolica diventa la sola
religione di Stato, fino alla revisione del Concordato nel 1984. L'ottenuta pacificazione
rafforza il consenso verso il regime fascista da parte dell’opinione pubblica cattolica,
che costituiva la grande maggioranza nell'Italia di quell'epoca12.
Nel 1932, il motivo politico, cioè la potenza e il prestigio della nazione, e il motivo
economico, cioè la necessità di allargare i confini del mercato nazionale nel quadro
della scelta autarchica, portano Mussolini a pianificare la campagna d’Etiopia13. Nel
1935 scoppia la guerra e un anno dopo viene proclamato l’Impero. La guerra d’Etiopia
rappresenta un cambiamento nella politica estera del regime e contemporaneamente la
scelta di una via di aperta rottura dell’equilibrio internazionale, garantito dagli accordi
di Versailles che avevano chiuso la Prima guerra mondiale. La Società delle Nazioni,
per l'aggressione all'Etiopia, inflisse all’Italia sanzioni economiche, che ebbero l’effetto
di peggiorare le relazioni diplomatiche ma, contemporaneamente, determinarono un
avvicinamento alla Germania nazista. Nel 1936, l’intervento comune di Mussolini e
Hitler nella guerra civile spagnola, a favore del generale Franco, salda definitivamente
l’alleanza tra la Germania e l’Italia14. L’asse Berlino-Roma, stabilito nello stesso anno,
prevede un comune indirizzo di politica estera, e sancisce l’inizio di un nuovo periodo
fondato sulla creazione di un blocco di stati fascisti.
Nel 1938 sorge la questione razziale. La subordinazione dell’Italia fascista al
nazismo hitleriano si rende evidente con l’introduzione anche in Italia di leggi razziali e
con l'inizio della persecuzione contro gli ebrei. Ma l’opinione pubblica insorge e la
Chiesa cattolica si oppone alla distinzione fra razze superiori e razze inferiori.
Nell'aprile 1939 l’Italia occupa l’Albania, contribuendo alla corsa verso la guerra

12
R.Villari, op. cit., p. 511.
13
A. De Bernardi, S. Guarracino, op. cit., p. 327.
14
R.Villari, op. cit., p. 546.
9
iniziata da Hitler. In quell’anno si giunge al Patto d’acciaio con la Germania nazista.
Così, l’Italia viene trascinata nella Seconda guerra mondiale, ma nel 1939, come
afferma15 Federico Chabod, il consenso ormai non esisteva più, e anche il prestigio del
capo e del regime crolla.
Nel 1940, i successi delle operazioni tedesche in Francia portano Mussolini a
decidere d’intervenire nella guerra, nella speranza di poter spartire con la Germania i
vantaggi di una vittoria che sembrava imminente16. Infatti, l’Italia entra in guerra senza
essere adeguatamente preparata, né dal punto di vista dell'esercito, né economicamente.
Il 21 giugno 1940 l’Italia aggredisce la Francia, accelerandone la sconfitta. L’ingresso
dell’Italia in guerra apre un nuovo fronte nel Mediterraneo e in Africa settentrionale.
In settembre il Giappone si unisce alla Germania e all’Italia nel cosiddetto Patto
tripartito, cui aderiscono in seguito anche la Slovacchia, l’Ungheria e la Romania. In
ottobre, l’Italia aggredisce la Grecia, ma le operazioni italiane non hanno successo e le
truppe si vedono costrette a ripiegare. Il prestigio di Mussolini e dei comandi militari ne
risulta seriamente colpito, e la situazione si aggrava quando ci si rende conto che il
paese non è in grado di condurre la guerra in modo autonomo rispetto all’alleata
Germania, ma ha sempre più bisogno della tutela dell’esercito tedesco17. Infatti, le
truppe tedesche intervengono nei Balcani, in aiuto dell’alleata Italia.
L’ingresso dell’Italia nel conflitto comporta in effetti l’apertura di un nuovo fronte
africano, oltre a quello balcanico, dove dalla Libia all’Etiopia le truppe italiane si
scontrarono con l’esercito britannico. Dopo qualche successo sia in Somalia e in Eritrea,
sia nell’Africa settentrionale, l’esercito di Mussolini subisce continue sconfitte e l’Italia
perde il controllo dell’intero Corno d’Africa. La Germania è costretta a intervenire
anche nell’Africa settentrionale, per evitare che la Gran Bretagna estenda il suo
controllo all’intero continente africano.
Nel 1942, accanto ai partiti antifascisti che avevano continuato ad esistere
clandestinamente, appare il Partito d’azione, fondato da Carlo Rosselli. In esso
confluiscono i movimenti antifascisti clandestini d’ispirazione democratica, tra cui
Giustizia e Libertà. Ernesto Rossi, insieme a Salvemini e ai fratelli Rosselli, fu tra i
fondatori di questo movimento rivoluzionario sorto a Parigi nel 1929. L’obiettivo di

15
F. Chabod, L’Italia contemporanea, cit., p. 100.
16
R. Villari, op. cit., p. 552.
17
Ivi, p. 555.
10
Giustizia e Libertà era quello di preparare le condizioni per una rivoluzione antifascista
in Italia che non si limitasse a restaurare il vecchio ordine liberale, ma che andasse verso
un nuovo modello di società e di stato: ci si batteva proprio per la libertà e la giustizia
sociale. Il Partito d’azione assumerà un considerevole ruolo politico, svolgendo una
parte di primo piano nel biennio 1943-45, gli anni della Resistenza contro l’occupazione
nazifascista.
A partire dalla fine del 1942, la lotta contro il fascismo riunisce i rappresentanti dei
liberali, della Democrazia cristiana18 e del Partito comunista nei comitati dei partiti
antifascisti. Il Partito comunista organizza uno sciopero delle masse operaie che scoppia
il 5 marzo 1943 a Torino e si diffonde in tutta l’Italia settentrionale19. La stampa
clandestina, che si va moltiplicando rapidamente, scuote l’opinione pubblica. La
pressione dell’opinione pubblica esercita il suo influsso sul re. In quell’anno gli Alleati
sbarcano in Sicilia e i bombardamenti aerei sconvolgono il paese. La nazione, ormai
completamente staccata dal regime che l’ha coinvolta nella guerra, vuole finirla. Così, il
25 luglio 1943, approfittando dell’ordine votato quel giorno dal Gran consiglio che fa
appello alla Corona, il re destituisce Mussolini, lo fa arrestare e chiede al maresciallo
Badoglio di formare un nuovo governo. Mussolini cade senza tentare la minima
resistenza. Il regime fascista finisce, senza alcuna resistenza da parte dei fascisti. Infatti,
il regime era da tempo scosso da profondi contrasti interni: i rapporti tra la Corona e il
fascismo si erano indeboliti e anche al suo interno era cresciuto il numero dei dirigenti
contrari alla conduzione della guerra, che aveva veramente distrutto l’economia del
paese. La caduta del fascismo fu determinata non solo dalla diffusione di una resistenza
politica tra la cittadinanza, ma soprattutto dalla prostrazione dei cittadini per le
privazioni economiche derivate dalla guerra e dalla paura del re di perdere la sua
corona.
Dopo lo sbarco degli Alleati, il nuovo governo, affidato al maresciallo Badoglio,
comincia a negoziare segretamente con gli anglo-americani per giungere ad un
armistizio, firmato il 3 settembre 1943 e reso noto l’8 settembre. Il re e il governo
abbandonano Roma e l’Italia è nel caos; l’esercito si sbanda e l’apparato della pubblica

18
La Democrazia cristiana viene fondata a Milano nel settembre 1942. Il precedente partito popolare
di massa, il Partito popolare, si era sfaldato nel 1926, e ora con la crisi del fascismo i politici di
ispirazione cattolica si riorganizzano in un nuovo partito.
19
F. Chabod, L’Italia contemporanea, cit., p. 112.
11
amministrazione si paralizza. Pochi giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, Mussolini
viene liberato dai paracadutisti nazisti dalla sua prigione a Campo Imperatore,
sull'Appennini abruzzese, e viene messo dai tedeschi a capo di un governo fascista
repubblicano con sede a Salò, mentre nella parte meridionale dell’Italia, occupata dagli
Alleati, opera il governo Badoglio20, sotto il controllo delle forze politiche alleate.
A Napoli, intanto, avviene uno dei primi episodi della Resistenza italiana: la
popolazione, esasperata dalla violenza delle truppe tedesche, si batte valorosamente e
vittoriosamente nelle strade per quattro giorni (27-30 settembre). Questo episodio,
afferma Rosario Villari, coincide con una diffusa presa di coscienza antifascista in tutto
il paese e con la trasformazione dell’antifascismo da azione di gruppi ristretti a
movimento di massa:

Era uno dei primi episodi della Resistenza italiana, che coincideva con una diffusa presa di coscienza
antifascista in tutto il paese e con la trasformazione dell’antifascismo da atteggiamento di gruppi
relativamente ristretti in un vasto movimento di massa21.

Contemporaneamente migliaia di giovani dell’Italia settentrionale si rifiutano di


combattere sotto gli ordini del nuovo regime di Salò e scappano nelle montagne, dando
vita a bande armate, con l’intenzione di combattere il fascismo e l'occupazione tedesca e
di porre fine alla guerra.
Secondo Rosario Villari, uno degli aspetti più significativi della seconda guerra
mondiale è:

il sorgere, nel momento stesso in cui le armate tedesche avevano esteso il loro dominio su tutta
l’Europa, di movimenti di liberazione nazionale formati da gruppi di volontari che si organizzarono
nelle montagne o nelle campagne e formarono corpi di terroristi e sabotatori che agirono nelle città
occupate, riuscendo talvolta a conseguire notevoli risultati e ad intralciare le operazioni belliche
dell’Asse22.

La loro azione fu diretta dai partiti antifascisti i quali, pur mantenendo le loro
differenze politiche e ideologiche, unirono le loro forze contro il nemico comune.

20
A. Bernardi, S. Guarracino, op. cit., pp. 382-383.
21
R. Villari, op. cit., p. 561.
22
Ivi, p. 562.
12
Il problema del coordinamento tra i partiti antifascisti e le varie formazioni di
partigiani viene affrontato con la creazione di Comitati di liberazione nazionale,
composti da sei partiti politici (democratico-cristiano, comunista, socialista, d’azione,
liberale e democratico del lavoro), che nell’Italia centro-settentrionale promuovono
dappertutto la guerra contro i fascisti e i tedeschi. Un contributo importante alla
collaborazione tra le forze antifasciste è dato da Palmiro Togliatti, segretario del partito
comunista, che al suo rientro dall’Urss nell’Italia meridionale nel marzo 1944, dichiara
che il suo partito era favorevole a collaborare con tutte le forze politiche, anche
monarchiche, disposte a combattere contro i tedeschi e i fascisti, e all’ingresso in un
governo di coalizione con Badoglio. Il 22 aprile 1944, i rappresentanti dei partiti del
Comitato di liberazione nazionale, eccetto il Partito d’Azione, entrano nel governo
Badoglio e giurano fedeltà al re, seguendo così il suggerimento di Togliatti. Il nuovo
governo di coalizione è riconosciuto dall’Unione Sovietica, dall’Inghilterra e dagli Stati
Uniti.
Dopo la lunga resistenza tedesca a Monte Cassino, gli eserciti alleati entrano a Roma
il 4 giugno 1944. Con la liberazione di Roma cambia il governo, che viene affidato a
l’antifascista liberale Ivanoe Bonomi, il quale riesce a far funzionare nuovamente
l’amministrazione centrale, senza cambiarne il carattere e senza epurare il personale.
Nell’Italia settentrionale intanto, il Clnai, Comitato di liberazione nazionale dell'Alta
Italia, aveva assunto la direzione della guerriglia partigiana, mentre le truppe anglo-
americane avanzavano lentamente dal sud fino ad attestarsi, nel settembre 1944, sulla
cosiddetta «linea gotica», in Toscana. I nazisti risposero ai partigiani con azioni spietate
di rappresaglia contro la popolazione civile: infatti la repressione nazista in Toscana e in
Emilia fu incredibilmente selvaggia, al punto di sterminare interi villaggi23.
Nella primavera del 1945 gli Alleati riprendono l’avanzata nell’Italia settentrionale.
Contemporaneamente i partigiani insorgono liberando le principali città italiane, prima
dell’arrivo degli Alleati. Mussolini, che tentava di fuggire in Svizzera, fu catturato e
fucilato a Dongo per ordine del Comitato di liberazione nazionale. Il 12 aprile muore
improvvisamente il presidente americano Roosevelt e, pochi giorni dopo, Hitler si
suicida insieme ad altri esponenti del regime. Il 7 maggio, l’ammiraglio Doenitz,

23
P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 1989, p. 44.
13
successore di Hitler, accetta la resa senza condizioni24. La Seconda guerra mondiale in
Europa era finita.

1.2 Vita di Altiero Spinelli prima del Manifesto di Ventotene

Altiero Spinelli nasce a Roma il 31 agosto 1907, nel seno di una famiglia borghese. Egli
passa i primi anni della sua vita con la famiglia in Brasile, dove il padre, laico e
socialista, era viceconsole. Nel 1912 il padre abbandona la carriera di funzionario dello
Stato, per tornare a Roma e collaborare all’attività industriale dei fratelli, che avevano
una piccola fabbrica di cioccolata25.
Mentre Mussolini conquistava il potere nel 1922, Spinelli riceveva dal padre una
collezione di testi di Marx, Lenin e Lassalle, «che costituirà la sua prima fonte
d’informazione sulle teorie del socialismo scientifico e gli darà forse l’impulso per
discostarsi dal socialismo paterno»26. Quindi, già negli anni del Liceo, Spinelli comincia
a interessarsi alla politica. Nel 1924 si scrive, infatti, alla facoltà di Giurisprudenza,
frequentando il gruppo comunista dell’Università la Sapienza. Nell’aprile di quell’anno
avviene il delitto Matteotti; la violenza dello squadrismo fascista era ormai ricorrente.
Nello stesso anno egli aderisce al Partito comunista, e qualche settimana dopo diviene
segretario della Federazione giovanile comunista del suo quartiere, il Trionfale. Alla
metà degli anni Venti la sua attività all’interno del partito si svolgeva tra l’attività
clandestina e l’attività pubblica, dato che il regime fascista aveva già cominciato una
forte pressione sulle attività politiche dell’opposizione. Nel 1926 Spinelli accetta di
diventare Segretario interregionale della gioventù comunista per l’Italia centrale27. Le
“leggi fascistissime” del regime di Mussolini, tra cui quelle che sopprimevano l’attività
politica, vengono varate tra il 1925 e quell’anno, costringendo Spinelli ad entrare nella
clandestinità nell’agosto 1926. Il 3 dicembre Spinelli viene schedato come uno dei capi
della gioventù comunista e proposto al Tribunale speciale per la misura del confino di
polizia per cinque anni. Ma Spinelli è ormai latitante e, con lo pseudonimo di «Ulisse»,
continuerà per pochi mesi la sua militanza clandestina. Mandato dal partito a Milano,

24
R. Villari, op. cit., pp. 566-567.
25
P. Graglia, Altiero Spinelli, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 18.
26
Ivi, p. 20.
27
Ivi, p. 25.
14
nel giugno 1927 egli è arrestato, dopo aver tentato di darsi alla fuga. Spinelli viene
condannato a sedici anni e otto mesi di reclusione. Per i condannati a lunghe detenzioni
era prevista la segregazione in cella per un sesto della pena, senza la compagnia di altri
detenuti. Nel carcere di Lucca, il primo che lo ospita nei suoi anni di detenuto, lo studio
diventa così per Spinelli il suo primo dovere28. Nel carcere di Lucca, egli scopre la
filosofia di Benedetto Croce con la sua religione della libertà, fatto che porta Spinelli a
mettere in discussione tutto l’impianto marxista nel quale aveva creduto fino a quel
momento. Infatti, sin dalla fine del 1930, egli raggiunge una nuova consapevolezza sui
limiti teorici del marxismo:

Il pensiero di Marx non fornisce un concetto adeguato alla storia. Da una parte ha contribuito alla
formazione di questo concetto scoprendo l’autonomia dell’attività economica, ma dall’altra parte ha
posto e non risolto il problema: quale sia la relazione sussistente fra l’attività economia e le altre
29
attività umane .

Spinelli resta a Lucca per quasi tre anni. Egli lascia la sua piccola cella nel gennaio
1931 e viene trasferito a Viterbo. Lì Spinelli trova molti compagni comunisti che
mantengono contatti clandestini con il partito, e così viene a conoscenza della cosiddetta
«svolta»: mentre Spinelli si trovava nel carcere di Lucca, si tenne, nel 1928, il VI
congresso dell’Internazionale comunista, in cui si affermò la coincidenza tra la
socialdemocrazia e il fascismo, visti entrambi come frutto della volontà conservatrice
della borghesia. Un anno dopo, nel 1929, i dirigenti comunisti interpretarono la crisi di
Wall Street, allora in corso, come l’inizio del collasso del capitalismo mondiale30. La
svolta generò un forte scontro all’interno del Pci. Con la «svolta», non si trattava solo di
condannare i socialisti e sostenere il fronte unico dell’opposizione comunista ai regimi
dittatoriali dell’Italia e della Germania, ma anche di eliminare ogni diffidenza rispetto
alla «svolta» all’interno del partito. Sennonché Spinelli è «poco incline ad accettare
supinamente le direttive del partito»31 e redige un documento intitolato Alcune
osservazioni intorno al compito del Pci. Tra i punti più critici, Spinelli individua la

28
Ivi, p. 53.
29
Ivi, p. 67.
30
Ivi, p. 70.
31
Ivi, p. 72.
15
necessità di un governo non dittatoriale del Pci, impegnato a propagandare l’ideale della
libertà proletaria32.
Nel 1932 Spinelli è trasferito definitivamente al carcere di Civitavecchia, insieme ad
altri fra i massimi esponenti del comunismo. Nel 1935 il VII congresso
dell’Internazionale comunista lancia la politica del fronte popolare, inaugurando per il
movimento comunista la fase di collaborazione con le forze antifasciste nella lotta
contro il nazismo e il fascismo, abbandonando così il concetto di socialfascismo che era
emerso qualche anno prima. Infatti, la Germania nazista è considerata una minaccia alla
pace e all’affermazione del socialismo. Nello stesso momento, l’URSS di Stalin avvia la
stagione del terrore e dei grandi processi. Di fronte al nuovo atteggiamento imposto da
Mosca al comunismo internazionale, Spinelli sostiene che «la lotta contro il fascismo
non si deve fermare alla collaborazione con le forze democratiche ma deve avere come
fine la realizzazione di una società più giusta, di una società socialista»33. Spinelli dubita
che un partito dominato dalla tirannia staliniana sia in grado di intravedere questo
obiettivo. Egli rifiuta la dittatura di Stalin, tanto sul proprio paese quanto sul
comunismo internazionale, non essendo essa necessaria nella più generale lotta per una
società socialista. Quindi Spinelli entra in crisi con il Partito comunista.
L’amnistia per il decennale della marcia su Roma sconta a Spinelli cinque anni di
carcere; qualche anno più tardi gli sono scontati altri due anni. Così, egli avrebbe
dovuto essere scarcerato nel 1937, ma venne invece assegnato al confino di polizia,
prima per due anni a Ponza, e poi, nel 1939, sull’isola di Ventotene34 per altri tre anni. A
Ponza avviene l’ormai inevitabile espulsione di Altiero dal Pci. Ma sull’isola di
Ventotene Spinelli trova un nuovo impegno politico: la lotta federalista per un’Europa
libera e unita. E anche sull’isola di Ventotene Spinelli fa gli incontri fondamentali della
sua vita: Ernesto Rossi, Eugenio Colorni35 e Ursula Hirschmann, che ulteriormente
diventerà sua moglie. Negli anni del confino sull’isola, l’Europa vive la maggior
catastrofe della sua storia: infatti nel settembre 1939 scoppia la Seconda guerra
mondiale. Nel 1941, quando il conflitto sembra ancora destinato ad essere vinto dalle

32
Ivi, p. 74.
33
Ivi, p. 98.
34
Ventotene è una piccola isola italiana nell’arcipelago delle Ponziane, posta a 14 miglia dal
continente.
35
Ernesto Rossi fu tra i fondatori del movimento Giustizia e Libertà; fu arrestato nel 1930. Eugenio
Colorni, esponente del Partito socialista nell’attività clandestina, fu arrestato nel 1938. Entrambi
furono assegnati al confino di Ventotene nel 1939.
16
forze dell’Asse, Rossi, Colorni e Spinelli scrivono il Manifesto di Ventotene, che
raccoglie la lotta politica per la libertà insieme a quella per il socialismo, nell’ottica del
ripristino della democrazia in Europa. Con il Manifesto, l’ideale dell’unificazione
federale degli stati europei cessava di essere una mera teoria, come vedremo più avanti,
e diventava una prospettiva di azione politica concreta.

17
Capitolo II. L’impegno federalista: gli Stati Uniti d’Europa
secondo il Manifesto di Ventotene

Al confino sull’isola di Ventotene, nel corso della Resistenza, Altiero Spinelli ed


Ernesto Rossi s’impegnano, come abbiamo visto, in una nuova battaglia politica: la lotta
federalista per gli Stati Uniti d’Europa. La conversione alla democrazia di Spinelli, dopo
l’esperienza comunista, l’aveva portato alla comprensione che «l’azione politica, per
non peccare di hybris e per essere degna dell’uomo, deve avere come obiettivo
l’impiego del potere al servizio della libertà»36. Infatti, nella sua autobiografia Spinelli
commenta:

Lavorare per la creazione della federazione europea sarebbe stata un’azione diretta alla creazione di
un potere reale e forte, ma questa volta la costruzione del potere avrebbe coinciso con la lotta contro
le caratteristiche illiberali dello stato nazionale, avrebbe servito a consolidare le libertà umane e a dar
loro un nuovo slancio37.

La battaglia federalista per un nuovo ordinamento internazionale, per una


federazione europea, aspirava a superare le caratteristiche illiberali dello stato nazionale,
soprattutto il principio della sovranità nazionale, che come vedremo, costituisce per
Spinelli il maggiore ostacolo alla realizzazione delle libertà dei cittadini.

2.1 La battaglia federalista

Nel corso della Seconda guerra mondiale, quindi, gli autori del Manifesto cominciano la
lotta antifascista di carattere federalista per un’Europa libera e unita. Al federalismo
Spinelli ed Ernesto Rossi erano arrivati per caso, dopo aver letto alcuni articoli di Luigi
Einaudi scritti nel 1918 e pubblicati sul Corriere della Sera, in cui l’autore sosteneva
che l’idea della Società delle nazioni era sbagliata e proponeva una reale federazione
europea che unisse sotto una costituzione comune, come quella degli Stati Uniti, tutte le

36
A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. 1: Io, Ulisse, il Mulino, Bologna, 1984, p. 309.
37
Ivi, p. 310.
18
nazioni che uscivano dalla tragedia della Prima guerra mondiale38. Anche la lettura di
The Economic causes of War, del federalista inglese Robbins, diventa una rivelazione
per entrambi.
Dalla lettura di questi testi gli autori traggono due elementi. Il primo è la critica ai
limiti dello stato nazionale e la relazione tra la crisi del sistema europeo degli stati, da
una parte, e l’imperialismo, le guerre mondiali, la degenerazione autoritaria e
corporativa degli stati e dei popoli, dall’altra. Il secondo elemento è la Federazione
europea fondata costituzionalmente, concepita come mezzo per superare l’anarchia
internazionale e assicurare la pace39.
Spinelli è il fondatore di un nuovo pensiero politico e di un nuovo movimento
politico. Infatti con lui prendono corpo per la prima volta i caratteri nuovi del
federalismo, inteso come comportamento politico autonomo rispetto a quello delle altre
forze politiche40. Il movimento federalista è dunque una forza politica nuova, un’azione
che prescinde non solo dai diversi partiti politici, ma anche dalle diverse appartenenze
nazionali. Questo nuovo movimento non vuole competere con i partiti politici, perché
essi sono strumenti del potere dello stato nazionale e rimangono chiusi in un paradigma
stato-centrico: infatti esso vuole adoperare tutte le forze politiche favorevoli al
superamento dei limiti dello stato nazionale e alla creazione di nuovi poteri sul piano
internazionale attraverso, come abbiamo detto, della lotta federalista per l’unità europea.
In questo senso, gli autori riconfigurano la linea di divisione tra le forze progressiste e
quelle reazionarie, utilizzando come nuovo parametro l’unità politica dell’Europa:

La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea
formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo ma lungo la
sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta
quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale - […] - e quelli che vedranno come
compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo
le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come
strumento per realizzare l’unità internazionale41.

38
E. Paolini, Altiero Spinelli: Dalla lotta antifascista alla battaglia per la Federazione europea,
1920-1948 : documenti e testimonianze, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 204.
39
L. Levi, Altiero Spinelli, fondatore del movimento per l’unità europea, in Altiero Spinelli, Il
Manifesto di Ventotene, Mondadori, Milano, 2006, p. 143.
40
Ivi, p. 155.
41
Cfr. il saggio di Spinelli, Gli Stati Uniti dʹEuropa e le varie tendenze politiche, che venne
19
Con il Manifesto Spinelli, per primo nella storia, trasforma le proposte di filosofi,
scrittori, uomini politici in una azione politica concreta42. Infatti l’idea di una
federazione europea circolava in Europa da più di un secolo; Rousseau nel secolo XVIII
parlava di un’organizzazione internazionale, su basi federali, che trasformassi l’Europa
in un vero corpo politico, che pure rispettasse le caratteristiche nazionali43; parimenti, il
filosofo Kant, nella sua opera Per la pace perpetua, parlava dell’unione delle nazioni
del mondo per evitare la guerra. Ma quest’idea era sempre rimasta un’utopia, un
obiettivo ideale da raggiungere per coloro che desideravano un’Europa democratica e
unita. Il Manifesto rappresenta in questo senso una svolta, dato che l’idea astratta di una
federazione europea si trasforma in un programma d’azione politica. Gli autori del
Manifesto capiscono che si presenta l’occasione storica di realizzare il loro progetto, in
un momento in cui l’Europa era devastata dalla Seconda guerra mondiale e il
nazifascismo minacciava di stabilire un nuovo ordine europeo. L’occasione storica della
Seconda guerra mondiale, con la sua devastazione e distruzione, avrebbe lasciato, alla
sua fine, la necessità di ricostruire l’Europa, e i federalisti colgono l’occasione: il loro
obiettivo politico diventa possibile. Infatti, nel Manifesto si legge:

L’ideale di una federazione europea, preludio di una federazione mondiale, mentre poteva apparire
lontana utopia ancora qualche anno fa, si presenta oggi, alla fine di questa guerra, come una meta
raggiungibile e quasi a portata di mano44.

Quindi il carattere stesso della Seconda guerra mondiale, di quasi completa


distruzione dell’esistente ordinamento europeo, rendeva attuale, come mai prima, il
problema dell’ordinamento federale dell’Europa nel dopoguerra. Secondo gli autori la
prima meta da raggiungere, per assicurare una pace stabile e salvare la civiltà europea,
era quella di delineare un ordinamento federale nel campo internazionale. Essi
consideravano che la soluzione al problema dell’ordine internazionale fosse la premessa
necessaria per la soluzione di tutti gli altri problemi istituzionali, politici, sociali, che
inevitabilmente sorgono all'interno delle società.

accluso allʹedizione del Manifesto del ʹ44, in A. Spinelli, Il Manifesto di Ventotene, il Mulino,
Bologna, 1991, p. 50.
42
E. Paolini, op. cit., p. 235.
43
F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Laterza, Bari, 1974, p. 125.
44
A. Spinelli, Il Manifesto, cit., p. 33.
20
Gli autori del Manifesto avevano previsto che la situazione che si sarebbe creata in
Europa dopo la sconfitta della Germania e l’indebolimento degli stati nazionali avrebbe
consentito di dar vita alla Federazione europea. Infatti essi erano convinti che gli
Alleati, una volta finita la guerra, si sarebbero ritirati dal continente, lasciando quindi i
popoli europei liberi di tentare la rivoluzione federalistica che il movimento doveva
propagandare45. Ma l’intervento degli Alleati nella ricostruzione postbellica sarebbe
stato molto più radicale e profondo da quanto si potesse allora immaginare. La tesi dei
federalisti quindi, una volta veramente finita la guerra, si sarebbe dimostrata troppo
ottimista e precipitosa: la Storia dimostra infatti che l'unificazione politica dell'Europa,
per quanto molti passi siano stati compiuti in questa direzione, sembra ancora oggi un
progetto non da tutti condiviso. Ciò non toglie che l’ideologia federalista assuma,
proprio nel contesto contemporaneo, una nuova attualità, viste le dure sfide, soprattutto
economiche, che il processo di integrazione europea sta affrontando negli ultimi anni.

2.1.1 L'Ideologia federalista

La storia insegna che, mentre lo stato moderno nasce da un processo di accentramento


verso l’unità del potere statale e di decentramento dal potere universale rappresentato
dall’Impero e dalla Chiesa, il federalismo muove, a sua volta, verso la disarticolazione
dell’unità dello stato, da una parte, e verso la ricerca di una nuova unità superiore, al di
sopra dello stato, dall’altra. Infatti, a questo proposito, Norberto Bobbio riferisce che il
federalismo:

Combatte insomma la battaglia contemporaneamente su due fronti, quello della sovranità interna,
attraverso il principio della divisione orizzontale dei poteri, e quello della sovranità esterna, attraverso
il principio della limitazione della potestà di guerra e di pace che è la prerogativa dello stato
46
sovrano .

Il federalismo dunque intende limitare la sovranità dello stato moderno, e ciò


avviene sia internamente, per quanto riguarda l'esercizio del potere sul proprio territorio

45
P. Graglia, op. cit., pp. 151-152.
46
N. Bobbio, Il federalismo nel dibattito politico e culturale della resistenza, in Altiero Spinelli, Il
Manifesto di Ventotene, Il Mulino, Bologna, 1991, p.13.
21
nazionale, sia esternamente, in relazione ai rapporti con gli altri stati, cioè ai rapporti
internazionali.
Nel Manifesto gli autori si concentrano principalmente, se non esclusivamente,
sull’aspetto esterno del federalismo, vale a dire sulle implicazioni del federalismo dal
punto di vista dei rapporti internazionali tra gli stati sovrani. Il maggiore interesse degli
autori per l'aspetto esterno del federalismo si deve al fatto che ad essi preme
principalmente affermare l’importanza e la necessità di superare la forma del vecchio
stato nazionale, ricomprendendone l'esistenza all'interno di una nuova e più ampia realtà
che non deve più essere solamente nazionale. Il federalismo esterno, cioè
sovranazionale, combatte il principio della sovranità nazionale e il principio dello stato-
nazione: il principio della sovranità nazionale, infatti, afferma il diritto dello stato di
essere indipendente e di non riconoscere limitazioni al proprio potere da parte degli altri
stati. Il principio dello stato-nazione, a sua volta, afferma l’idea di nazione come
fondamento principale dello stato. Infatti Bobbio spiega:

Lo stato unitario, che nasce dalle ceneri della società medioevale, si serve dall’idea di nazione, cioè
dell’idea di una comunità spirituale, o etnica, o culturale, che in realtà non esiste, per rafforzare la
propria compagine e quindi il proprio potere47.

Federico Chabod spiega che col Romanticismo si diffuse, in alcuni paesi, l’idea di
fare della nazione, intesa come senso della singolarità di ogni popolo, il criterio base, la
misura di valore della politica, soprattutto in Italia e in Germania:

Ci fu cioè la tendenza a convertire il riconoscimento, teorico, dell’esistenza di una nazione italiana e


di una nazione tedesca, con proprie caratteristiche inconfondibili, nella organizzazione pratica di uno
«Stato nazionale» italiano e tedesco. Si ebbe l’enunciazione del «principio di nazionalità» come
principio supremo della vita dei popoli; si volle lo «Stato nazionale»48.

Dunque si capisce bene come il federalismo, che aspira al superamento del singolo
stato nazionale all'interno di un organismo sovranazionale, veda nella sovranità
nazionale e nello stato-nazione due ostacoli da affrontare ed eliminare.

47
Ivi., p. 15.
48
F. Chabod, L’idea di nazione, Laterza, Bari, 1961, pp. 22-23.
22
I due principi della sovranità nazionale e dello stato-nazione sono strettamente
connessi tra loro, ma bisogna tenerli distinti, in un’analisi concettuale, per individuare
meglio la duplice battaglia del federalismo:

La necessità analitica di tenerli distinti nasce dalla considerazione che il superamento della sovranità
assoluta conduce allo stato federale, il superamento del principio nazionale conduce all’idea
d’Europa49.

Nella prospettiva federalista, allora, vediamo che, da un lato, per giungere allo stato
federale si persegue il superamento del principio di sovranità assoluta e, dall’altro, per
realizzare l’idea d’Europa, serve il superamento del principio di nazionalità.
Tanto il principio di sovranità assoluta quanto il principio di nazionalità si trovano
continuamente incrociati nel Manifesto: il problema del principio della sovranità
assoluta viene associato all’idea di nazione e come conseguenza si parla di sovranità
assoluta degli stati nazionali. La compenetrazione più stretta tra questi due principi,
secondo gli autori del Manifesto, si verifica con la formazione degli stati fascisti:

L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso[…]. Essa portava però
in sé i germi dell’imperialismo capitalista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, fino alla
formazione degli stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali. La nazione non è ora più
considerata come lo storico prodotto di convivenza di uomini […] è invece divenuta un’entità divina,
un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo […] La sovranità
50
assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi .

Si può dunque capire come il federalismo, nella sua radice storica, sia strettamente
connesso al periodo della Resistenza e osteggi il nazionalismo, che del fascismo è stato
una componente ideologica fondamentale. Infatti, nel passo prima citato, Spinelli
riferisce che la nazione è “uno storico prodotto di convivenza di uomini”, mentre per il
nazionalismo, e il fascismo, la nazione è una specie di realtà metafisica, qualcosa che
non ha una natura storica, ma che esiste da sempre e per sempre. Parlare della nazione
come fa Spinelli, in termini storici, presuppone l'idea che la nazione stessa sia qualcosa

49
Cfr. N. Bobbio, op. cit., p. 16-17.
50
Altiero Spinelli, Il Manifesto, cit., pp. 37-38.
23
che può trasformarsi e mutare, mentre per il nazionalismo la nazione è qualcosa di
immutabile nel tempo.

2.2. La Federazione europea ed altre tendenze politiche

Il continuo lavoro di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante gli anni del confino
sull’isola di Ventotene aveva un fine preciso: la ricerca di una risposta alla crisi della
civiltà europea. Infatti il Manifesto per un’Europa libera ed unita fiorisce nel periodo
più buio della storia dell’Europa, quando quasi tutto il continente europeo era sotto il
dominio di Hitler. Come abbiamo visto, nel Manifesto si pensa a un nuovo ordinamento
internazionale per tutti gli stati europei, a uno stato federale, che avrebbe impedito gli
stati nazionali «di diventare mezzi di oppressione e sarebbe stato da essi impedito di
diventarlo lui»51. Nella seconda metà del 1942, quando l’ingresso degli Stati Uniti in
guerra comincia ad avere effetti sull’andamento delle operazioni belliche e ha inizio la
controffensiva delle forze alleate, Spinelli scrive due saggi, tra cui Gli Stati Uniti
d’Europa e le varie tendenze politiche, di cui ci occuperemo in questo punto.
«Gli uomini di oggi» dice Spinelli «si rendono conto che il pericolo permanente di
conflitti armati fra popoli civili deve essere estirpato radicalmente, se non si vuole che
distrugga tutto ciò a cui si tiene di più»52. Infatti la tragica esperienza della Prima guerra
mondiale aveva già dimostrato le enormi capacità distruttive della tecnologia moderna
del primo Novecento, e per la seconda volta, gli uomini a cui riferisce Spinelli,
assistevano a un nuovo conflitto mondiale. Proprio dalla necessità di eliminare
completamente il pericolo delle guerre tra stati sorge l’idea federalista, che aspira al
superamento dell’anarchia internazionale mediante l’instaurazione di legami federali tra
stati.
Nel saggio prima citato Spinelli analizza i tre modelli ideologici egemoni in quel
momento, ai quali Spinelli riconduce i sistemi politici dell’Europa a lui contemporanea:
il modello razzista, quello democratico e quello comunista, riletti dal punto di vista della
problematica federalista53. Nella sua analisi Spinelli mette in evidenza come queste tre

51
A. Spinelli, Come ho tentato, cit., p. 309.
52
A. Spinelli, Il Manifesto, cit., p. 59.
53
A. Spinelli, Come ho tentato, cit., p. 319.
24
tendenze avessero come base di riferimento l’idea e la esistenza di uno stato nazionale.
Vediamo in dettaglio l'opinione di Spinelli in merito a queste tre ideologie:

2.2.1 Il razzismo

Spinelli afferma che l’orientamento nazista, secondo il quale la razza superiore deve
dominare su tutte le altre, viene valutato da chi lo professa come una possibile soluzione
al problema della guerra tra stati. Se il sistema razzista fosse instaurato definitivamente,
il continente europeo sarebbe colonizzato militarmente e organizzato come terreno di
sfruttamento da parte della razza superiore che riuscisse a imporre il proprio
predominio. Il paese dominatore sarebbe organizzato militarmente, allo scopo di
sfruttare i servi di razza inferiore, cioè altri popoli, a vantaggio dei servi di razza
superiore e dei signori, cioè del popolo dominatore. La società sarebbe
conseguentemente organizzata secondo il rapporto fra padrone e servo, e tutte le
istituzioni politiche, sociali, la scienza, la cultura, l’economia, sarebbero trasformate e
adoperate come strumenti di dominio dei signori. La società così strutturata, dunque,
sarebbe un tipo di società basata sulla legge del più forte:

La assurda anarchia dell’organizzazione internazionale – dice Spinelli – è il terreno più propizio che
sia possibile immaginare per l’esplicazione piena del razzismo. Esso è portato senz’altro a tentare di
organizzare il continente [...] come campo di sfruttamento da parte della razza dominante. Le
contraddizioni sorgenti all’esistenza degli stati nazionali non esisterebbero in tal caso più, ma loro
soluzione sarebbe per tutta un’epoca quella dello sfruttamento e della colonizzazione militare di tutta
l’Europa a vantaggio di una sola comunità nazionale54.

Quindi, in un’Europa colonizzata e sottomessa alla volontà del popolo dominante,


secondo la soluzione razzista, i problemi derivati dall’esistenza di stati nazionali non
esisterebbero più, ma la civiltà europea sarebbe condannata a una antidemocratica
strutturazione in caste, come commenta l’autore:

54
Altiero Spinelli, Il Manifesto, cit., p. 62.
25
Quali possano essere gli ulteriori sviluppi di questo regime, certo è che la sua vittoria significherebbe
l’istaurazione di un tipo di civiltà di caste, totalmente diverso da quello lungo il quale l’Europa era
andata sinora sviluppandosi55.

La soluzione razzista, dunque, spazzerebbe via i frutti della civiltà europea a scapito
di forme di civiltà barbariche e arretrate, che possono senz’altro coesistere in un mondo
tecnologicamente sviluppato, come si vede con il nazismo e il fascismo.

2.1.2 La restaurazione democratica

In questo punto, Spinelli esamina la coerenza tra i fini che la soluzione della
restaurazione democratica persegue e i mezzi che essa adopera per i propri obiettivi: la
restaurazione democratica nazionale, sostiene Spinelli, cerca di risolvere il nuovo
problema del conflitto armato con la restaurazione del già noto, vale a dire il vecchio
ordinamento liberale e borghese, senza tener conto dei nuovi aspetti della nuova
situazione storica:

La più comune esperienza mostra che l’uomo, quando si trova implicato in una situazione che
sconcerti le sue tradizionali abitudini e presenti aspetti nuovi, tende [...] a negare il nuovo problema, a
ricondurlo al vecchio, a ricostruire gli antichi schemi di condotta [...]. La volontà che sembra tesa
verso la creazione, è invece quasi sempre rivolta verso la restaurazione del già noto. [...] Ma è un
orientamento che diventa del tutto assurdo, ed è alimentato non più dalla ragionevolezza, ma dalla
nostalgia, quando tende a perseguir fini e ad applicar mezzi i quali, per loro natura e per le
circostanze in cui possono ormai essere realizzati, conducono inevitabilmente alla rovina di quel che
si vorrebbe veder consolidato. [...] Il modo più caratteristico in cui questo atteggiamento oggi si
presenta nella vita politica, è quello della restaurazione democratica nazionale56.

La restaurazione democratica, secondo Spinelli, punta a che siano ristabiliti i due


principi fondamentali su cui poggiava la civiltà europea del secolo XIX: il principio
dell’indipendenza nazionale e il principio secondo cui i cittadini hanno imparato più o
meno a rispettare gli altri nell’ambito delle leggi vigenti e a esigere lo stesso rispetto nei
loro confronti da parte degli altri:

55
Ibidem.
56
Altiero Spinelli, Il Manifesto, cit., p. 63.
26
La restaurazione democratica, [...] vorrebbe veder ristabiliti i due principi fondamentali su cui
poggiava e si era sviluppata la civiltà europea del secolo diciannovesimo, e che il corso degli
avvenimenti ha fatto crollare: cioè il principio secondo cui ogni nazione ha il diritto di organizzarsi in
uno stato sovrano assolutamente indipendente; e quello secondo cui l’uomo ha imparato ad essere più
o meno rispettoso della personalità altrui nell’ambito delle leggi esistenti, ed esigere dagli altri lo
stesso rispetto verso di sé57.

Nell’ipotetico caso in cui i restauratori riuscissero a stabilire istituzioni libere nei


vari stati, senza i gravi difetti del passato, e l’attività dello stato fosse rivolta al
perseguimento degli interessi comuni dei suoi cittadini e non alla volontà di dominio
sugli altri paesi, sarebbe certamente possibile una ripresa della civiltà democratica
nazionale, dice Spinelli, ma in tutta questa sistemazione il punto più debole sarebbe
costituito dall’organizzazione internazionale. All’interno di un sistema politico liberal-
borghese, i rapporti fra stati si basano infatti sul presupposto che ogni stato abbia delle
buone intenzioni pacifiche, spiega Spinelli, e pertanto che l’interesse dei singoli stati
coincida con l’interesse della collettività degli stati stessi. Ma questo presupposto,
secondo Spinelli, non ha un reale fondamento, perché in assenza di limitazioni alla
propria sovranità, lo stato tende a cercare posizioni favorevoli per sé, anche se possono
risultare dannose per gli altri. Basta pensare alla predisposizione dello stato a
provvedere agli interessi dei suoi cittadini anziché agli interessi di tutti gli uomini.
Dunque, all'interno di un sistema internazionale come quello descritto, ci sarebbero
tante situazioni in cui l’interesse di un’intera comunità territoriale sarebbe favorito a
scapito dell’interesse di tutti gli altri paesi. Una volta presa questa strada, sarebbe quasi
impossibile evitare il meccanismo che impone ad ogni stato di difendere i propri
interessi danneggiati dagli eventuali abusi altrui: lo stato sarebbe allora disposto a
ricorrere alla forza per far valere i propri interessi, e ricomincerebbe così la
militarizzazione progressiva dei singoli paesi, già accaduta in Europa fra il 1870 e il
1914, in preparazione alla Prima guerra mondiale, e successivamente, fra il 1918 e il
1938, in preparazione alla Seconda guerra mondiale. Pertanto, afferma Spinelli, la
restaurazione democratica nazionale poggerebbe, anche nella migliore delle ipotesi, su
basi molto precarie, perché non eviterebbe il ritorno della violenza e della guerra. La
restaurazione democratica, dunque, non è una via percorribile, perché le circostanze

57
Ibidem.
27
reali in cui i restauratori dovrebbero operare sono tali che la strada verso il militarismo
diventerebbe, ancora una volta, inevitabile.
Le ragioni di ciò sono così spiegate da Spinelli: in primo luogo, i restauratori non
sono adatti a prendere le misure necessarie per creare delle perfette democrazie. Per
farlo, essi dovrebbero essere capaci di utilizzare le pressioni particolari che giungono
dal basso, invece di subirle, ma essi sono portati a far proprie e rappresentare le
aspirazioni spontanee delle masse, invocate come sovrane, e dalle quali dipende il loro
potere. Secondo Spinelli, le masse esigono la difesa o la realizzazione di interessi
patriottici, di classe o sezionali58. Gli interessi sezionali, in quanto tali, sono sempre
parziali e non mirano a provvedere ai veri interessi generali dell'intera comunità civile,
anche se spesso sono camuffati come tali. Norberto Bobbio segnala, a questo proposito,
che in epoca moderna i motivi patriottici, cioè gli interessi che riguardano la potenza o il
prestigio delle singole nazioni, sono quelli più fortemente sentiti e condivisi dalle
masse: «I motivi patriottici, cioè proprio quelli che più facilmente si convertono in boria
nazionale e in propensione ad opprimere altri popoli, sono nell’epoca moderna i più
fortemente sentiti»59.
I democratici, spiega dunque Spinelli, desiderosi di rappresentare la volontà del
popolo, finirebbero per diventare, nelle loro diverse tendenze, strumenti dei singoli
gruppi particolari, che mirano a guidare la direzione dello stato e a utilizzare la forza per
far valere i propri interessi. Ma qualsiasi esclusivismo, di tipo economico, patriottico o
ideologico, che disponga della forza dello stato sovrano, susciterebbe contromisure
simili da parte degli altri stati, avvelenando la vita internazionale del continente e
creando di nuovo pericoli di guerra.
La mitologia democratica, dice Spinelli, tende a credere che le guerre siano causate
dagli interessi particolari di piccole minoranze, e che le masse siano fondamentalmente
pacifiche. Ma Spinelli pensa che questo non sia vero, e spiega:

Si è affermato un tempo che le guerre erano causate dai particolari interessi dei re assoluti e che
sarebbero scomparse dalla faccia della terra il giorno in cui in tutti i paesi i popoli avessero potuto far
valere le loro pacifiche intenzioni. Si è invece visto che le democrazie, anche le più rispettose

58
Spinelli intende designare, con questo termine, gli interessi specifici di un singolo gruppo di
cittadini, sia sul piano dell’articolazione in classi sociali, sia sul piano internazionale degli interessi
delle singole nazioni.
59
Cfr. N. Bobbio, op. cit., p. 65, nota 2.
28
all’interno dei diritti dei loro cittadini, non trasportavano affatto queste loro virtù nei rapporti con
l’estero, nei quali rimanevano egoiste, disposte all’esclusione e alla sopraffazione dei rivali. Anche in
esse infatti, potevano benissimo farsi valere interessi particolaristici – talvolta dell’intero gruppo
geografico, tal’altra di più ristretti gruppi, i quali finivano per proseguire la politica dei re assoluti. La
rapidità con cui i nuovi stati sorti dalla rivoluzione francese e russa hanno ripreso in pieno la politica
estera difensiva e offensiva dei rispettivi anciens régimes, appena mascherandole con le nuove
60
parole, può essere istruttiva .

Quindi, le democrazie tendono, secondo l’autore, a farsi portavoci di interessi


particolaristici, sia di piccoli gruppi, sia di tutto un popolo. A ciò Spinelli aggiunge che,
se non c’è una legge superiore che imponga una disciplina, coloro che dispongono della
forza sono sempre propensi a utilizzarla per difendersi o per offendere. Perciò anche un
popolo, una classe o un gruppo sociale, nel momento in cui disponga della forza, farà
uso di essa per difendere i propri interessi o per acquistare nuovi privilegi, e in questo
atteggiamento si trova il fondamento delle future guerre.
In secondo luogo, Spinelli avverte che il fatto che la restaurazione democratica
poggi sullo stato nazionale sovrano implica già di per sé un esito fatale. Da una parte,
l'idea di stato conta su una forte tradizione storica, che attribuisce allo stato un mistico
valore assoluto. Ciò vuol dire che l’uomo moderno è abituato, per tradizione culturale,
all'idea dello stato come una entità superiore e assoluta alla quale riconosce, come se
fosse qualcosa di naturale, il diritto di esigere l’incondizionato servizio dei cittadini per
i proprio interessi. Risulta impossibile però che i restauratori riescano a estirpare questa
secolare tradizione di deificazione dello stato per riscostruirne l'idea su basi razionali,
dato che il mistico valore assoluto si è via via rafforzato con tutte le passioni nazionali
che vi si sono con il tempo aggiunte.
Dall’altra parte, i restauratori hanno intenzione di ristabilire le libertà politiche,
anche se sanno che non tutti saranno d’accordo. Essi contano sulle aspirazioni pacifiche
delle masse e sono convinti che esse saranno capaci di formare le maggioranze
opportune per far funzionare la democrazia. Ma che nelle masse alberghi una missione
universale, afferma Spinelli, è un mito romantico; l’idea dell'uomo come
fondamentalmente buono, a sua volta, è un mito illuministico61. L’uomo civile che sa

60
A. Spinelli, Il Manifesto, cit., pp. 66-67.
61
Cfr. mito del buon selvaggio.

29
rispettare gli altri e collaborare liberamente con essi è un'invenzione umana, forse la più
elevata creazione ideologica che l’anima umana sia riuscita ad elaborare, ma la sua
esistenza reale è possibile solo se, come premessa, ci sono apposite istituzioni che
disciplinino e governino gli impulsi dei cittadini.
Inoltre, il restauratore che voglia vedere ristabilite le libertà deve fare affidamento su
alcune istituzioni accettate e riconosciute dagli uomini, all'interno delle quali possa
creare un corpo di leggi avviate a questo scopo. Il principale organismo che ha a sua
disposizione è lo stato nazionale: il restauratore deve pertanto salvare le istituzioni
essenziali dello stato, in modo da avere a disposizione una base condivisa sulla quale
stabilire la democrazia.
Una tale situazione, però, non sembra la più idonea per riuscire a risolvere il
problema delle tradizioni assolutistiche che caratterizzano nel profondo la vita dello
stato nazionale europeo. Queste tradizioni potranno essere soppresse per un periodo di
tempo limitato, ma rimarranno stabilmente presenti nel modo di pensare della
burocrazia statale, delle forze armate, della magistratura, delle scuole, e tenteranno di
riaffermarsi ad ogni occasione. Andranno riconquistando il potere man mano che il
processo di cambiamento si attenuerà e gli uomini ricominceranno la loro vita normale,
come è già successo nella storia della repubblica di Weimar62, spiega Spinelli. Per
stabilire una democrazia in Germania, infatti, i restauratori avevano dovuto mantenere
la burocrazia, la magistratura e i quadri militari del precedente regime, i quali hanno poi
fatto sparire la democrazia. A questo riguardo, Norberto Bobbio spiega che la difficoltà
della restaurazione democratica come mezzo per risolvere il problema delle tradizioni
dello stato moderno dipende dalla specifica necessità di salvare istituzioni che non sono
ispirate dallo spirito repubblicano, cioè quello in cui lo stato deve soddisfare i bisogni
dei cittadini, ma sono compenetrate dallo spirito imperiale, cioè quello in cui i sudditi
devono servire e rispondere alle necessità dello stato:

La difficoltà che ha una restaurazione democratica di venire a capo delle tradizioni dello stato
moderno, dipende dalla specifica necessità in cui si trova di salvare istituzioni animate da uno spirito
niente affatto repubblicano [...], ma compenetrato invece di spirito misticamente imperiale [...]. La
difficoltà ha però un aspetto molto più generale. La radice più profonda del diritto dello stato

62
La repubblica di Weimar (1919-1933) fu il regime repubblicano e democratico istaurato in
Germania dopo la Prima guerra mondiale.
30
adesigere l’incondizionato servizio dei cittadini per soddisfare i suoi fini, si trova nella coscienza
stessa dell’uomo moderno, abituato a quelle prestazioni, e che riconosce allo stato [...] il diritto di
chiamarlo al servizio militare, al combattimento, alla morte. Ci sono state intere epoche in cui questo
potere di obbedienza non esisteva; ma è certo che lo stato moderno europeo, qualunque sia la sua
struttura sociale e politica, finché deve contare su una possibilità di guerra, non può avviare
un’educazione che lasci cadere in desuetudine quell’atteggiamento, ma deve alimentarlo
permanentemente nel cuore di tutti i cittadini. Perciò, anche dopo una radicale rivoluzione [...], se
manca una nuova organizzazione internazionale che renda impossibile per lo stato una linea di
condotta imperialistica, riemergerà, con varianti non sostanziali, nell’animo dei cittadini,
63
l’abitudinaria coscienza di sottomissione alle esigenze imperiali dello stato .

Spinelli segnala inoltre che una restaurazione democratica su base nazionale


significherebbe ritornare all’accentramento dei poteri nelle mani dello stato, il che
comporterebbe la necessità di numerose limitazioni, imposte da parte dell'attività
centrale dello stato all’attività delle singole persone e dei diversi gruppi. In questo modo
si svilupperebbe nuovamente nella società l'attitudine d’obbedienza nei confronti dello
stato, facilitando così una rapidissima militarizzazione dei vari stati nazionali:

Una restaurazione democratica nazionale significherebbe, data l’importanza ormai assunta da larghe
masse popolari, una serie di estese misure nel senso di una maggiore eguaglianza economica. Ma
questa implica un maggior numero di vincoli imposti dall’attività centrale all’attività dei singoli e dei
gruppi, cioè una maggiore abitudine di disciplina nei popoli64.

Infine, Spinelli sottolinea l’assurdità della restaurazione democratica nazionale, che


si fa evidente se si applicano tutte le precedenti considerazioni al caso della Germania,
che Spinelli ritiene problema centrale del continente europeo. In Germania, dice
Spinelli, le caratteristiche del paese e del popolo tedesco, cioè la posizione geografica,
le tradizioni storiche, gli interessi dei diversi ceti e dell’intero popolo, la divinizzazione
dello stato, la superbia nazionale, le abitudini di obbedienza dei tedeschi, l’esistenza di
un’aristocrazia fondiaria e di un ampio ceto militare, spingerebbero inevitabilmente
qualsiasi regime a riportare la guerra all'interno di un sistema internazionale di stati
sovrani. Anche se in Germania si stabilisse la democrazia, come avvene nel 1918 con la
repubblica di Weimar, le tendenze alla guerra rimarrebbero fortissime. La stessa cosa

63
Cfr. N. Bobbio, op. cit., p. 70, nota 6.
64
A. Spinelli, Il Manifesto, cit., pp. 70-71.
31
succederebbe, sostiene ancora Spinelli, se si riuscisse a dividere la Germania per un
certo tempo. Inoltre, tutte le restrizioni e i sospetti che probabilmente ci sarebbero nei
suoi confronti, contribuirebbero a farla diventare più rigida nella sua aspirazione di
dominio. Con una Germania fatta così, inevitabilmente anche gli altri paesi sarebbero
costretti ad assumere un atteggiamento militarista. Alludendo alla Germania Spinelli
afferma che:

Le più larghe concessioni non riuscirebbero a placarla se pure gli uomini politici degli altri stati
fossero così imbecilli da mostrarsi generosi, col rischio di vederla dopo poco minacciosa in armi, più
formidabile di prima. Le diffidenze e restrizioni che prevedibilmente la circonderebbero,
contribuirebbero solo ad irrigidirla nella sua aspirazione al dominio. Ma con una Germania così fatta,
nessun altro paese potrebbe fare a meno di essere militarista65.

Secondo l'autore, allora, non esiste la pur minima possibilità che, restaurata la
democrazia negli stati nazionali, essi camminino su una strada di pacifica convivenza
lungo la quale arrivino naturalmente alla convinzione che sarebbe vantaggioso avviare
una istituzione super-statale, che dia l’espressione alla loro volontà di vivere senza
guerre. L’orientamento restaurazionista non risulta dunque essere una soluzione
praticabile al fine di ispirare ai cittadini l’operosità per liberarli, alla fine della Seconda
guerra mondiale, dagli antichi errori, di cui resterebbero ancora prigionieri.

2.1.3 Il comunismo

Per quanto riguarda all’orientamento comunista, Spinelli mette in evidenza come questa
tendenza politica, che aspira all’internazionalismo, si trovi in realtà costretta nella
dimensione nazionale della politica. In questo punto dunque l’autore si occupa di
esaminare la posizione del comunismo di fronte al problema dell’anarchico sistema
internazionale degli stati sovrani.
In primo luogo, dice Spinelli, i comunisti auspicano l’unione dei popoli e hanno
individuato nell’imperialismo la causa delle guerre. Questo potrebbe sembrare un
elemento favorevole per il federalismo. I comunisti però, come i democratici, non hanno

65
Ivi, p. 71.
32
mai veramente affrontato il problema dell’anarchia internazionale, e pensano che esso si
risolverà automaticamente da solo:

I comunisti denunziano infatti da tempo in modo vigoroso l’imperialismo generatore di guerre, non
sono legati a tabù nazionali, ed auspicano l’unione dei popoli. Se però si esamina più da vicino questa
loro propaganda, si scorge senza possibilità di equivoco che in realtà i comunisti, come i democratici,
non hanno mai seriamente affrontato il problema dell’ordine internazionale, e sperano che si risolverà
da solo66.

Ora, il problema dell’ordine internazionale è diventato centrale con la Seconda


guerra mondiale, ed è il modo di risolverlo, dice Spinelli, a dare un senso agli altri
problemi della civiltà europea, connessi al problema centrale dell’ordine internazionale.
I comunisti, spiega Spinelli, non riescono a rendersi conto dell’importanza di questo
punto, e continuano invece a credere che la questione centrale dell'Europa
contemporanea sia l’abolizione del capitalismo. Una volta raggiunto il loro obbiettivo
principale, l'abolizione del capitalismo, i comunisti sperano che tutto il resto si risolverà
da solo. Ma l’internazionalismo socialista e comunista, dice Spinelli, è uguale a quello
democratico, dato che entrambi lasciano la questione internazionale irrisolta:

L’internazionalismo socialista e comunista è dello stesso tipo di quello democratico. Come questo
crede che i popoli andranno d’accordo spontaneamente purché si elimino i regimi despotici, cosi i
comunisti credono che i proletari aboliranno imperialismo e guerre, per il solo fatto di abolire nei loro
67
paesi il capitalismo .

Spinelli riferisce che, nel 1848, Marx scriveva68 che le differenze e gli antagonismi
dei popoli sarebbero spariti come conseguenza dello sviluppo della borghesia, della
libertà di commercio, dell’azione del mercato globale, dell’omogeneità della produzione
industriale, e con il conseguente sviluppo delle condizioni di vita delle masse. Inoltre,
Marx affermava che antagonismi e differenze sarebbero spariti ancora di più come
conseguenza dell’azione e della supremazia del proletariato. Affinché la liberazione del
proletariato diventi realtà, diceva Marx, bisogna che almeno i proletari dei paesi
civilizzati collaborino insieme. Così, secondo Marx, nella misura in cui sarebbe abolito

66
Ivi, pp. 74-75.
67
Ivi, p. 74.
68
Ibidem.
33
lo sfruttamento di un uomo sull’altro, sarebbe stato rimosso lo sfruttamento di una
nazione sull’altra. Seguendo questa linea, il filosofo pensava che, una volta caduto
l’antagonismo di classe all’interno delle singole nazioni, anche la reciproca ostilità tra le
diverse nazioni sarebbe finita.
Questa prospettiva però, dice Spinelli, è risultata fallimentare, come dimostrato dalla
Prima guerra mondiale. Infatti, lo sviluppo reale dell’intensificazione dei traffici
internazionali aveva portato a un rafforzamento degli antagonismi nazionali, e questo
fatto aveva contribuito, alla fine, a rallentare i traffici commerciali, fino al punto di farli
praticamente sparire. In questo modo si dimostra, secondo Spinelli, che non c'è un
collegamento diretto tra capitalismo e imperialismo, perché la causa dell’imperialismo
non risale necessariamente al capitalismo.
Questa contraddizione di fondo fra teoria e fatti reali, cioè fra la teoria cobdenista69,
accettata in pieno da Marx, e lo sviluppo storico reale, dice Spinelli, ha portato i
socialisti e i comunisti a rivedere il loro presupposto cobdenista, ma questa revisione
non ha provocato nessun cambiamento sostanziale nel modo di agire dei movimenti
proletari.
La teoria dell’imperialismo capitalista, secondo Spinelli, ha dunque la funzione di
un mezzo propagandistico per reclutare forze antimilitariste nella lotta anticapitalistica.
Da una parte, si mira a ridurre le spese militari a vantaggio delle spese sociali; dall’altra,
si viene incontro all’inconsistente pacifismo degli individui che si rendevano conto di
essere destinati ad essere strumenti passivi della politica di guerra.
In secondo luogo, commenta l’autore, anche dopo la correzione teorica, la politica di
ispirazione proletaria è rimasta all'interno di una dimensione politica nazionale, sebbene
gli stati nazionali andassero diventando sempre più imperialisti. Ciò è dovuto al fatto
che qualsiasi partito mirante all’instaurazione del collettivismo è portato ad affidare la
gestione di qualche settore economico a un potere politico gerarchicamente superiore,
cioè al potere a cui gli uomini riconoscono il diritto di promulgare delle leggi sulla loro
condotta. Nell’Europa moderna, spiega Spinelli70, il massimo potere politico equivale
allo stato nazionale.

69
Teoria economica che sostiene il mercato e commercio liberi. Il suo fautore è lo statista ed
economista britannico Richard Cobden.
70
A. Spinelli, Il Manifesto, cit., p. 76.
34
I comunisti affermano che una volta eliminata la borghesia responsabile delle guerre,
gli stati ispirati al socialismo e al comunismo si unificherebbero tra loro e non
troverebbero problemi ad organizzare l’economia mondiale. Norberto Bobbio ricorda
che infatti la questione pare a loro così ovvia, che nel manifesto del secondo congresso
dell’Internazionale comunista del 1920 non si trovano traccia di esplicite allusioni alla
necessità di creare istituzioni politiche internazionali:

La cosa sembra loro così ovvia, che nel manifesto sopra citato, mentre la dittatura del proletariato è
chiaramente concepita come la presa di possesso da parte del proletariato degli stati esistenti, manca
ogni esplicito accenno alla necessità di procedere alla formazione di istituzioni politiche
internazionali71.

Spinelli però pensa che questa risoluta convinzione dei comunisti non sia affatto
dimostrata. Secondo l’autore, infatti, in un sistema collettivista, lo stato ha a
disposizione le principali risorse del paese e procede secondo la pianificazione. Per
questo motivo risulta necessario stabilire accordi fra gli stati collettivisti in modo da
rendere possibili i necessari scambi internazionali e i necessari spostamenti di
lavoratori, che non potrebbero accadere in maniera spontanea. In regime capitalistico,
spiega Spinelli, i rapporti di scambio fra le merci e i salari sono determinati dal mercato,
mentre le dinamiche dei rapporti di scambio fra gli stati socialisti, che dovrebbero
prescindere dal libero mercato, non si possono prevedere. Per questo motivo, spiega
Spinelli, in regime capitalistico i contrasti sorgono di solito quando si pongono limiti ai
traffici commerciali; invece, in regimi socialisti nazionali, i contrasti sorgerebbero ogni
volta che si dovesse avere uno scambio fra comunità.
Inoltre, aggiunge Spinelli, non sarebbero solo i motivi economici a generare attriti
fra le comunità. Anche immaginando che gli stati comunisti riescano a liberarsi dallo
spirito imperialista che fa parte di tutte le istituzioni dello stato moderno, il loro ambito
d’azione rimarrebbe sempre entro i confini dello stato nazionale. Perciò, il compito
fondamentale dello stato comunista resterebbe quello di provvedere all’interesse dei
propri cittadini, e per questo tutte le differenze nazionali che da secoli sono esistite in
Europa, come i disaccordi per delimitare i confini delle zone di popolazione mista72,

71
Cfr. N. Bobbio, op. cit., p. 77, nota 8-9.
72
Un esempio di zona di popolazione mista è la regione Trentino-Alto Adige, che fu annessa al
35
continuerebbero ad esistere, ed il fatto che gli stati nazionali siano eventualmente
diventati socialisti non costituirebbe un cambiamento importante dal punto di vista del
federalismo. Inoltre, nell'ipotetica situazione descritta, potrebbero comparire nuovi
dissensi ideologici da parte dei governanti comunisti dei vari stati, che fomenterebbero
motivi di attrito tra le nazioni; Spinelli afferma che, infatti, non è facile immaginare, per
esempio, che uno stato comunista staliniano e uno stato comunista trotzkista possano
convivere in pace:

A questi tradizionali motivi di attrito si aggiungerebbero i dissensi ideologici nuovi che potrebbero
sorgere fra i governanti comunisti dei vari stati [...]. Non è facile immaginare una pacifica
convivenza, poniamo, fra uno stato diretto da socialisti ed uno diretto da comunisti, o fra uno stato
comunista staliniano e uno trotzkista73.

Proseguendo con la sua ipotesi di un'Europa di stati socialisti, Spinelli aggiunge74


che i fattori che potrebbero far sorgere contrasti irreparabili sono numerosissimi e i
mezzi per risolverli sono inesistenti. La conclusione da trarre, secondo l’autore, è che la
causa dell'imperialismo non risale necessariamente al capitalismo. Perciò l’abolizione
del capitalismo non porterebbe alla scomparsa dell’imperialismo, ma soltanto
eliminerebbe alcuni interessi capitalistici che alimentano l’imperialismo, aggiungendo
al loro posto alcuni interessi socialisti, che secondo Spinelli sono ancora particolaristici.
In terzo luogo, Spinelli dice che qualcuno potrebbe obiettare che la prospettiva di
azione rivoluzionaria di Lenin è un modo di giungere al socialismo, ma non costituisce
l’unica via possibile; e che i comunisti potrebbero condurre la loro lotta in termini di
socialismo internazionale e di potere politico internazionale. Tuttavia, nel particolare
momento storico in cui Spinelli scrive il Manifesto, all’autore sembra che i comunisti
non abbiano nessuna intenzione di modificare la loro impostazione. Essi, nelle
circostanze della Seconda guerra mondiale, sono disorientati quanto i democratici e
auspicano la ricostruzione degli stati sovrani democratici, dato che per i comunisti lo
stato nazionale è comunque importante come premessa necessaria per raggiungere i loro
fini più avanzati:

Regno d’Italia dopo la sconfitta dell’Austria, nella Prima guerra mondiale.


73
A. Spinelli, Il Manifesto, cit., p. 79.
74
Ivi, p. 79.
36
Disorientati, al pari dei democratici, dagli avvenimenti che hanno rovesciato tutti i loro tradizionali
schemi e che li costringono a combattere a fianco niente meno che dei due stati più capitalistici del
modo, anche loro si rifugiano ora sulla linea di resistenza della democrazia nazionale, auspicando la
ricostruzione degli stati sovrani democratici75.

Potrebbe succedere, dice Spinelli, che i comunisti riconoscano la necessità di


prepararsi a combattere per una federazione europea. Ma questa ipotesi sembra
all’autore poco probabile, dal momento che per avviare la lotta federalista, i comunisti
dovrebbero sottoporre ad una profonda autocritica tutto il loro orientamento:

In realtà, per spostarsi sul terreno della lotta federalista in modo effettivo, i comunisti dovrebbero
sottoporre a una critica abbastanza profonda tutto il loro orientamento. Questo consiste in un
Fixierung76, come direbbe Freud, di idee, di tattica, di disciplina, di organizzazione, intorno al
problema della lotta contro il capitalismo77.

Secondo Spinelli, individuare nel capitalismo il principale nemico da abbattere


suppone che tutti i mezzi di produzione passino allo stato non appena siano stati
espropriati agli imprenditori privati, e siccome l’unico stato esistente è quello nazionale,
l'orientamento di una soluzione comunista alla crisi europea rimane chiuso in un circolo
vizioso:

Vedere nel capitalismo il nemico fondamentale da eliminare, implica proporsi di trasferire, non
appena l’occasione se ne offra, la maggior parte dei mezzi di produzione dagli imprenditori privati
allo stato. E l’unico stato esistente è quello nazionale. Ciò li chiude in un cerchio magico78.

D’altronde, Spinelli spiega che il problema dell’ordine internazionale è molto più


connesso ai problemi dell’ordinamento economico-sociale di quanto i comunisti
riescano a comprendere. A tale scopo sarebbe necessario che i comunisti spezzassero il
loro programma di collettivizzazione: così, il problema centrale diverrebbe il
funzionamento del nuovo ordine internazionale, anziché l'eliminazione del capitalismo.
Il problema delle collettivizzazioni non sarebbe più assolutamente prioritario, ma

75
Ivi, p. 80.
76
In italiano questo termine significa fissazione.
77
Ibidem.
78
Ivi, p. 81.
37
sarebbe inquadrato fra gli altri problemi da risolvere per far funzionare l’ordinamento
della società europea. Non si potrebbe, dice Spinelli79, sovrapporre una pianificazione
economica federale ai vari collettivismi nazionali, dal momento che ciò affiderebbe un
strapotere al governo federale: bisognerebbe, invece, lasciare via libera alle forze del
mercato, per cui occorrerebbe eliminare gran parte dei collettivismi nazionali esistenti.
Spinelli si chiede se i comunisti sarebbero capaci di riesaminare tutte le loro direttive e
modificare il loro programma di collettivizzazione, inadeguato al fine dell’unità
europea. Egli anche indica che, nella Russia comunista, una tale revisione
significherebbe la necessità di disfare gran parte del sistema economico creato e gran
parte degli interessi politici ed economici esistenti.
Infine, Spinelli conclude affermando che il collettivismo nazionale non è dunque
una soluzione all’imperialismo. Egli però aggiunge che la tendenza al collettivismo non
è propria del proletariato, come credono i comunisti. I proletari infatti, dice Spinelli,
sono d’accordo con le misure di collettivizzazione, al solo scopo di eliminare i privilegi,
i monopoli e le forme di sfruttamento che avvantaggiano i capitalisti a scapito della
collettività; ma poi, in realtà, anche i proletari vogliono essere liberi di lavorare e
produrre liberamente, secondo la loro libera iniziativa.
Spinelli pertanto afferma80 che la tendenza al collettivismo è, contrariamente a
quanto pensano i comunisti, inerente allo stato militarista. Questa tendenza risponde
infatti ad esigenze di controllo dell’economia sentite soprattutto dagli stati autoritari e
totalitari: uno stato militarista infatti utilizza tutte le risorse umane e materiali
disponibili, allo scopo di raggiungere il proprio fine, cioè prepararsi alla guerra e
condurla con successo. Spinelli prende come esempio lo stato militarista di Napoleone,
che attuò molte statalizzazioni per avere a disposizione maggiori risorse per condurre la
guerra. Secondo Spinelli, la differenza tra l'epoca di Napoleone e la prima metà del
secolo XX risiede nella necessità contemporanea di impiegare praticamente la totalità
delle risorse del paese per la militarizzazione, contrariamente a quanto accadeva
nell'Ottocento. Ciò porta al compimento di un radicale collettivismo, come dimostrano
gli esempi della Prima e Seconda guerra mondiale, durante le quali le intere risorse
economiche del paese furono poste sotto il controllo statale: infatti le necessità imposte

79
Ibidem.
80
Ivi, p. 82.
38
dalla guerra moderna, così come la protezione di interessi costituiti, spingevano verso
un controllo pressoché totale dell’apparato statale sulle strutture produttive81.
Spinelli commenta che la storia successiva al 1918 ci mostra infatti che la
nazionalizzazione dell'economia attuata in Russia, e in quei paesi dove non è riuscita o è
stata repressa, non ha portato a una effettiva emancipazione delle classi lavoratrici,
bensì ha facilitato e rafforzato le politiche militariste. Spinelli anche segnala che, nel
caso della Russia, la nazionalizzazione è sì servita per far progredire un popolo molto
arretrato, ma principalmente nel senso di un aumento della sua potenza militare
nazionale. Inoltre, i motivi propagandistici che hanno utilizzato i comunisti per atrarre
simpatizzanti, dice Spinelli82, sono stati utilizzati con efficacia anche dai nazisti per
sviluppare il loro collettivismo militarista. I nazisti però hanno raddoppiato l’efficacia
della loro propaganda, aggiungendo ai motivi anticapitalistici quelli nazionalisti.
Come ultima osservazione, Spinelli aggiunge che anche se i comunisti riuscissero a
stabilire collettivismi proletari in una serie di paesi, questi regimi non si occuperebbero
dell’anarchia del sistema internazionale degli stati nazionali, con l’inevitabile
conseguenza di riportare nuovamente sul terreno del collettivismo militarista la politica
europea.

2.1.4 La Federazione europea

Se non si attribuisce alcun valore alla libertà, cioè ad un tipo di società in cui gli individui non sieno
strumenti di forze che li trascendono, ma autonomi centri di vita, se non si attribuisce valore alla
giustizia, cioè a un tipo di società in cui la libertà non sia riservata a piccole minoranze privilegiate,
ma sia un bene effettivo, e non solo formale, si cui dispongono strati sempre più vasti, non vale la
pena di occuparsi della salvezza della nostra civiltà83.

Questo pensiero costituisce un punto fondamentale della prospettiva federalista di


Spinelli e Rossi: infatti essi tengono soprattutto ai valori della libertà e della giustizia
sociale, che si erano ridotti a zero come conseguenza dell’azione nazifascista, in
un’Europa sottomessa al potere di Hitler, dove l’ingiustizia sociale e la schiavitù delle
razze ritenute inferiori regnavano ovunque i nazisti fossero arrivati.

81
P. Graglia, Altiero Spinelli, cit., p. 160.
82
A. Spinelli, Il Manifesto, p. 83.
83
Ivi, p. 84.
39
Abbiamo già accennato che la prospettiva federalista aspira al superamento del
concetto di sovranità statale illimitata e quindi al superamento dell’anarchia
internazionale, responsabile degli attriti fra gli stati:

Abbandonata a sé, l’anarchia internazionale si risolve nella distruzione della stessa civiltà moderna, e
nella costituzione di un impero militarista basato sul principio della signoria dei vincitori e della
servitù dei vinti. Non rendersi conto di ciò significa comportarsi irrazionalmente, o, per adoperare
una parola più semplice, stupidamente84.

La soluzione dunque, per Spinelli, va ricercata nella struttura federale per l’Europa,
l’unica in grado di eliminare l’anarchia internazionale e provvedere all’interesse
comune di tutti i cittadini europei:

I mali dell’anarchia internazionale non provengono da altre cause estranee all’assenza di una legge
internazionale, ma proprio da questa assenza. Per provvedere all’interesse comune, deve esistere un
organismo apposito, capace di imporre la realizzazione di quell’interesse. Se questo organismo
manca, se gli unici ordinamenti esistenti sono adeguati solo al raggiungimento di interessi particolari,
allora, [...] evidentemente non è possibile evitare un corso delle cose in qui ciascuno provveda ai suoi
particolari interessi, incurante del danno che infligge ad altri, in modo da dar luogo al sorgere di attriti
e tensioni, che non possono essere infine risolte altro che mediante il ricorso alla forza85.

Pertanto la Federazione europea costituisce, secondo Spinelli, la premessa


indispensabile per l’eliminazione del militarismo imperialista in Europa, responsabile
delle guerre fra stati.

2.3. Proposte concrete sulla struttura della Federazione europea

Abbiamo visto che, nella prospettiva federalista degli autori del Manifesto, il compito
fondamentale da svolgere subito dopo la guerra è, pertanto, l’abolizione del sistema
internazionale anarchico degli stati nazionali. Abbiamo analizzato, seguendo il
Manifesto di Ventotene, i problemi derivati dalla divisione dell'Europa in singoli stati
nazionali indipendenti, indipendentemente dalle scelte politiche dei regimi, che siano

84
Ivi, p. 85.
85
Ivi, p. 86.
40
essi comunisti, nazisti o democratici. Abbiamo anche concluso, seguendo l’analisi di
Spinelli, che la soluzione di unire l’Europa su basi federali eliminerebbe il pericolo di
guerra fra gli stati.
Ora, affinché la Federazione europea provveda all’interesse di tutte le nazioni,
bisogna formare, secondo Spinelli, istituzioni europee che elaborino ed impongano una
legge internazionale, la quale infatti impedisca «il proseguimento di fini giovevoli solo
ad una nazione, ma dannosi alle altre»86. Bisogna creare pertanto un ordinamento
federale le cui istituzioni facciano eseguire nel territorio degli stati federati le sue
deliberazioni avviate a mantenere un ordine comune, e allo stesso tempo, permetta agli
stati federati godere dell’autonomia che consenta loro di organizzare e sviluppare una
vita politica adatta alle particolari caratteristiche dei vari popoli:

Quest’ordine può essere creato in modo più conforme alle nostre esigenze fondamentali, mediante un
ordinamento federale, il quale, pur lasciando a ogni singolo stato la possibilità di sviluppare la sua
vita nazionale nel modo che meglio si adatta al grado e alle peculiarità della sua civiltà, sottraga alla
sovranità di tutti gli stati associati i mezzi con cui possono far valere i loro particolarismi egoistici,
crei ed amministri un corpo di leggi internazionali al quale tutti egualmente debbano essere
sottomessi87.

Allo scopo di garantire la fine definitiva delle politiche nazionali esclusivistiche, la


Federazione europea deve disporre, secondo Spinelli, di una serie di poteri. In primo
luogo, essa deve essere l’unico organismo ad avere il diritto di reclutare e di adoperare
l’esercito unico federale, che dovrà sostituire gli eserciti nazionali. In secondo luogo, la
Federazione deve avere il compito di dirigere la politica estera. In terzo luogo, essa deve
disporre del potere di determinare i limiti amministrativi dei diversi stati membri, in
modo da rispondere alle esigenze fondamentali di ogni nazione e controllare che non ci
siano sopraffazioni sulle minoranze etniche. Secondo Spinelli, la Federazione deve
anche provvedere all'abolizione delle autarchie economiche, cioè delle barriere
protezionistiche, e assicurare che non si ricostituiscano. Un altro compito fondamentale
della Federazione deve essere quello di emettere una moneta unica federale. Inoltre, la
Federazione deve avere il compito di abolire le barriere doganali e di assicurare la piena
libertà di movimento di tutti i cittadini entro i confini della Federazione. Essa deve

86
Ivi, p. 86.
87
Ivi, p. 87.
41
anche amministrare tutte le colonie, cioè tutti i territori ancora incapaci di autonoma vita
politica.
Con il proposito di svolgere correttamente questi compiti, la Federazione deve
contare su una magistratura federale indipendente, su organi di legislazione e di
controllo creati dalla partecipazione diretta dei cittadini e non su rappresentanze degli
stati federati, su un apparato amministrativo che sia indipendente da quello dei singoli
stati, e deve disporre del diritto di ottenere direttamente dai cittadini i tributi necessari
per il suo funzionamento.
D’altronde, la Federazione europea, secondo Spinelli, non può che poggiare sulla
costituzione repubblicana di tutti i paesi federati, per cui tutte le dinastie regnanti, che
rappresentano un ostacolo alla organizzazione federale repubblicana dell’Europa,
devono scomparire. La Federazione deve inoltre essere socialista, nel senso che le forze
economiche devono essere dominate, guidate e controllate, dagli uomini, e non il
contrario, affinché le classi lavoratrici non siano vittime delle forze economiche. Per
questo motivo la proprietà privata deve essere:

abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa
direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata
dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale88.

Gli autori del Manifesto mettono in rilievo i seguenti punti da perseguire, avvertendo
che il contenuto di essi deve sempre essere valutato in relazione al presupposto
imprescindibile dell’unità europea:

a) Le imprese che eseguono un’attività necessariamente monopolistica, come le


industrie siderurgiche, e che pertanto sono in grado d’imporre la loro volontà alle
masse dei consumatori, e le imprese che per l’importanza del settore che hanno sotto
controllo o per la gran quantità di capitali investiti, sono in grado di costringere gli
organi dello stato a promulgare delle leggi vantaggiose per loro, devono essere
nazionalizzate senza considerare alcun diritto acquisito.
b) Bisogna realizzare una riforma agraria, che passi la terra a chi la coltiva, e una
riforma industriale, che ampli la proprietà dei lavoratori nei settori non statalizzati,

88
Ivi, p. 52.
42
con le gestioni cooperative o le società operarie di azione. L’obiettivo è la
distribuzione a tutti delle ricchezze, accumulate nelle mani di pochi, per eliminare i
ceti parassitari e dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui hanno bisogno.
c) I giovani devono essere assistiti con i provvedimenti economici necessari, allo scopo
di parificare al più possibile le condizioni di partenza nella lotta per la vita. In questo
senso, la scuola pubblica dovrebbe offrire la possibilità ai più idonei, anziché ai più
ricchi, di proseguire con gli studi fino ai livelli superiori. Compito della scuola è di
preparare in ogni ambito un numero di studenti corrispondente alla domanda del
mercato, in modo da mantenere, tra le diverse professioni, remunerazioni
equilibrate.
d) Si devono creare una serie di provvedimenti che garantiscano a tutti un tenore di vita
dignitoso, dal momento che la produzione di massa di generi di prima necessità
permette di assicurare a tutti le condizioni minime di sussistenza. In questo modo
nessuno sarà costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro indegni.
e) I lavoratori devono essere liberi di scegliere con chi trattare collettivamente le
condizioni di lavoro e lo stato deve avere il compito di garantire con mezzi giuridici
la sorveglianza degli accordi stabiliti.

Il contenuto di questi punti si oppone, con precisione puntuale, alla struttura e alla
organizzazione degli stati totalitari, come quello dell’Italia fascista di Mussolini e della
Germani nazista di Hitler. L’idea federalista per un’Europa libera e unita di Spinelli,
infatti, è nata anche in contrapposizione al modello di stato totalitario e imperialista, che
sopprimeva le libertà individuali e faceva valere interessi particolaristici a scapito del
resto della società.
La società socialista, dice Spinelli, deve essere concepita come l’inizio di
un’operosità che durerà e si svilupperà fino a quando ci saranno uomini che lavoreranno
con grande volontà in quella direzione:

La società socialista non deve essere concepita come la conclusione definitiva della storia attuale,
come il raggiungimento di un ordine senza più pericoli, senza più insidie, in cui tutti possano riposare

43
come su un letti di piume. Deve invece essere concepita come l’inizio di un’operosità che potrà
durare e svilupparsi solo finché gli uomini conservino una seria volontà di lavorare in quel senso89.

Si tratta dunque di un modello di società che richiede notevole impegno e sforzo per
essere portato a termine, che deve perciò creare, sempre meglio, uomini indipendenti
che portino innanzi quest’operosità. Fondamentale risulta quindi la creazione di
istituzioni che allevino uomini interessati a continuare l’opera cominciata, come
garanzia della loro libertà e come strumento per raggiungere forme più alte di vita
individuale e collettiva.
Il compito specifico del socialismo, secondo l’autore, è la soluzione del problema
della miseria, di cui quello della miseria operaia, che denunciano i comunisti, è solo un
aspetto, ed esso viene risolto attraverso l’eliminazione dei sezionalismi che
impoveriscono e sovvertono tutta la società. Per sezionalismo egli intende il fenomeno
che fa valere degli interessi particolaristici a scapito del resto della società:

Ben lunghi dallo scomparire, il sezionalismo è invece divenuto la caratteristica predominante della
nostra epoca. Il sezionalismo sorge dal fatto che non esiste un’armonia automatica e spontanea fra gli
interessi particolari e le esigenze generali di un certo tipo di civiltà. Perché queste esigenze possano
possano farsi valere, occorre sempre stabilire delle regole generali che fissino i limiti entro cui gli
interessi particolari possano esplicarsi, e che sieno accompagnate da una forza sufficiente per essere
rispettate. Se le forze particolaristiche di individui o gruppi riescono a spezzare queste regole generali
e ad imporre di fatto altre, in cui si tenga esclusivamente conto dei particolari interessi di quegli
individui o gruppi, sopraffacendo il resto della società, danneggiandolo o svuotando così la forma di
civiltà, si ha il fenomeno del «sezionalismo»90.

Quindi, affinché le esigenze comuni di una società vengano rispettate, bisogna


stabilire delle regole generali che fissino i limiti entro cui gli interessi particolaristici
possono avere vita. Proprio per il fatto che, secondo Spinelli, si può immaginare un
equilibrio tra interessi generali e interessi individuali, non siamo di fronte a un modello
comunista. Abbiamo però visto che Spinelli aveva cominciato la sua riflessione politica
partendo dal comunismo, che però poi ha respinto: infatti il Manifesto raccoglie le
conclusioni di un percorso di revisione politica dell’ideologia di Spinelli, percorso che

89
Ivi, pp. 122-123.
90
Ivi, p. 109.
44
lo porta a pensare che la lotta per la libertà e quella per il socialismo dovessero essere
ugualmente perseguite, nella prospettiva del ripristino della democrazia in Europa.
Il sezionalismo più pericoloso, che avvelena la vita internazionale, è il
mantenimento, all’interno dell’organizzazione politica internazionale, delle sovranità
dei singoli stati, il che si traduce sempre, secondo Spinelli, nella salvaguardia degli
interessi particolari a discapito degli interessi collettivi. Per questo motivo diventa
fondamentale che l’organizzazione federale degli stati, prima in Europa, e poi in tutto il
globo, limiti le sovranità nazionali. Questa idea di Spinelli tocca uno dei principi della
vita politica in età moderna, vale a dire il principio della sovranità nazionale come
assoluta e irriducibile. Ancora oggi questo punto è uno dei più dibattuti: infatti una delle
resistenze maggiore al processo d’integrazione europea è proprio dato dalla resistenza
del concetto di sovranità nazionale come principio irriducibile, nemico di ogni cessione
di potere da parte della singola nazione.
L’altro sezionalismo, secondo Spinelli, si trova nel campo economico e corrisponde
all’esistenza dei monopoli: quando particolari gruppi di potere economico riescono ad
esercitare una notevole influenza sullo stato affinché esso intervenga per favorire
l’attuazione dei loro interessi, si creano posizioni privilegiate di sfruttamento
monopolistico e si abolisce la concorrenza:

Oltre il sezionalismo geografico, intrecciandosi variamente con esso [...] c’è quello dei grossi
complessi industriali e finanziari, i quali dispongono di una tale forza nel mondo moderno, da poter
fare una politica di sfruttamento monopolistico, e da riuscire ad esercitare una così grande influenza
sugli organismi politici, da piegarli a sviluppare una legislazione ed una politica conforme ai loro
interessi particolari. Questi complessi non possono essere lasciati nelle mani dei privati. Debbono
venire socializzati. È questa la corretta sfera di applicazione della soluzione collettivistica. Essa è il
mezzo necessario per eliminare tutti i fortissimi interessi del capitalismo monopolistico91.

Seguendo questa linea, Spinelli spiega che le tendenze monopolistiche potranno


essere efficacemente combattute, a beneficio dell’emancipazione delle classi lavoratrici,
una volta realizzate le trasformazioni sociali segnalate nel suo programma, di cui si è
parlato prima92. Queste drastiche misure, secondo Spinelli, creerebbero una situazione
di molto maggiore eguaglianza economica e «renderebbero per conseguenza il libero

91
Ivi, p. 120.
92
Cfr. punti A-E.
45
mercato un meccanismo molto più atto alla distribuzione delle risorse in rapporto alla
diversa urgenza dei bisogni dei consumatori»93.
I cambiamenti che Spinelli auspica dunque sono necessari per creare, intorno alla
federazione, un largo consenso che si mantenga nel tempo e per dare alla federazione
una impronta di libertà e di solidarietà sociale.

93
Ivi, p. 121.
46
Capitolo III. Considerazioni finali

Da quando sono arrivata in Italia, in Lombardia, ho sempre notato, ho percepito, che i


cittadini italiani si sentono anche cittadini europei e che l’Italia è un membro
consolidato dell’Unione Europea. Avevo, e certamente ho tuttora, l’impressione che
nell’opinione pubblica italiana ci sia un forte senso di appartenenza europea:
confrontando la situazione italiana con la situazione culturale della Spagna, in cui
questo senso europeo, a mio avviso, non è così presente, noto dunque una maggiore
presenza dell’idea di Europa nei comportamenti, nei pensieri, nelle istituzioni degli
italiani. La mia impressione mi ha spinta a cercare le cause della maggiore presenza
dell’idea d’Europa nella cultura italiana, che costituisce un fattore distintivo tra l’Italia e
la Spagna. Iniziata la mia ricerca, ho ritenuto opportuno indagare la storia dell’Unione
Europea, e così ho scoperto Il Manifesto di Ventotene, un progetto federalista per
un’Europa libera e unita, primo passo verso una federazione mondiale.
Nel primo capitolo abbiamo visto che il Manifesto è nato nel contesto storico della
lotta di liberazione italiana, nel periodo della Resistenza, per mano di un gruppo di
intellettuali italiani che si trovava al confino politico sulla piccola isola di Ventotene.
Fin dalla seconda metà degli anni Venti, infatti, l’Italia era sotto il regime fascista di
Mussolini, cioè sotto un regime totalitario, in cui le libertà di stampa e di attività politica
erano state soppresse e i dissidenti politici erano stati incarcerati o mandati al confino di
polizia, come nel caso di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Il Manifesto di Ventotene,
come sappiamo, fu scritto nel 1941, nel periodo più buio della Seconda guerra
mondiale, quando quasi tutta l’Europa era sottoposta all’occupazione nazifascista.
Dunque, è chiaro che il progetto federalista delineato nel Manifesto è nato in circostanze
particolari, nel momento storico della lotta di liberazione, contro i regimi totalitari
fascista e nazista, ma non solo; esso è anche nato in reazione al totalitarismo comunista
sovietico. Infatti, la battaglia federalista per un’Europa libera e unita aveva un obiettivo
concreto: superare le caratteristiche illiberali dello stato nazionale sovrano, individuate
da Spinelli nel fenomeno del sezionalismo. Abbiamo visto che, secondo l’autore, nel
campo economico gli interessi sezionali, cioè i monopoli, creano posizioni privilegiate
di sfruttamento monopolistico e aboliscono la concorrenza; nel campo internazionale, la
sovranità assoluta dei singoli stati, i quali sostengono gli interessi sezionali, sia di alcuni
47
gruppi particolari sia dell’intero gruppo geografico, senza alcun riguardo per gli
interessi degli altri paesi, avvelena la vita internazionale. Lo stato moderno, cioè lo stato
liberale-borghese, secondo Spinelli, era divenuto sempre più il rappresentante e
l’esecutore di determinati interessi sezionali, che erano abbastanza forti da costringerlo
a piegarsi alla loro volontà e mettere al loro servizio il suo potere. E questi interessi
sezionali potevano essere di particolari gruppi borghesi, di particolari gruppi operai o di
gruppi borghesi alleati a gruppi operai: sia gli uni che gli altri facevano comunque
valere i propri interessi particolaristici a scapito del resto della società. Perciò, il
movimento federalista era sorto proprio in reazione agli stati totalitari i quali,
sottoponendo tutta la vita economica al potere statale, facevano valere, da una parte,
alcuni interessi particolari a scapito degli interessi collettivi, e dall’altra, alcuni interessi
particolari nazionali a scapito degli interessi di altri paesi, ottenendo con la forza,
rispetto a questi ultimi, posizioni di privilegio:

Il sezionalismo nella vita economica dei singoli paesi, ostacolando i traffici, rende molto più gravi gli
attriti fra paese e paese, e spinge con energia verso una politica di militarismo e di imperialismo gli
stati sovrani, i quali già per loro natura sono portati a non occuparsi di altro che dei propri interessi
particolari nazionali. La soluzione totalitaria, porta a culmine questa tendenza, poiché, sottoponendo
tutta la vita economica al potere statale, da una parte affida ad esso tutto intero il compito di ottenere
con la forza, rispetto ad altri paesi, posizioni di privilegio, e dall’altra lo rende tanto più capace di
prepararsi ad una guerra totale. E se dal marasma della vita internazionale si può intravvedere una
soluzione, questa sembra consistere sono nello stabilimento dell’impero dello stato più forte sugli
altri resi suoi vassalli94.

Spinelli infatti riteneva che la statalizzazione generale dell’economia, una volta


realizzata in pieno, «porta alla costituzione di un regime in cui la popolazione è
asservita alla ristretta classe dei burocratici gestori dell’economia»95. E ciò era accaduto
sia nel regime fascista, sia in quello nazista e in quello comunista. Riguardo a
quest’ultimo, l’esperienza di Spinelli come membro del Partito comunista l’aveva
portato a rivedere tutti i presupposti dell’orientamento comunista, ai quali egli stesso
aveva creduto, allo scopo di trovare la risposta alla crisi della civiltà europea moderna.
Infatti, Spinelli si rese conto che:

94
A. Spinelli, Il Manifesto, cit., p. 112.
95
Ivi, p. 117.
48
La collettivizzazione non serve a sfruttare e controllare le forze economiche a vantaggio di tutti gli
appartenenti alla società; le concentra invece in un’unica immensa forza in mano a pochi uomini che
possono con essa schiacciare tutti gli altri in modo infinitamente più grave di quanto sia mai avvenuto
in passato. Il collettivismo non porta al benessere delle classi lavoratrici, anche se molti operai si
lasciano illudere dal suo mito. Se teniamo conto che il collettivismo consiste nel massimo
potenziamento della forza dello stato, dobbiamo dire che l’unica cosa a cui veramente esso serve è la
preparazione e la conduzione della guerra totale96.

Dunque, si capisce bene come il progetto federalista per un’Europa libera e unita sia
stato ideato allo scopo di combattere i sezionalismi, il più pericoloso dei quali
corrisponde all’organizzazione politica internazionale in stati nazionali: questa
situazione si manifesta nell’imperialismo. Per questo motivo la creazione della
Federazione europea diventava fondamentale, allo scopo di limitare le sovranità
nazionali e quindi il pericolo di guerre. Secondo Spinelli, infatti, il problema della
convivenza pacifica e civile sul continente sarebbe stato risolto solo con la realizzazione
degli istituti politici, giudiziari, finanziari, militari del nuovo stato federale.
Quindi, la lotta federalista per l’unità europea puntava a costruire un livello di
governo sovranazionale indipendente, ma coordinato con i livelli inferiori di governo,
allo scopo di estendere la democrazia sul piano internazionale. A questo scopo dunque
risultava fondamentale spostare il centro della lotta politica dal piano nazionale a quello
internazionale: infatti, nel Manifesto, gli autori riconfigurano la linea di divisione tra le
forze reazionarie e le forze progressiste, distinguendo da un lato chi rifiuta, dall’altro chi
appoggia la lotta per la Federazione europea. Perciò, la lotta federalista si proponeva di
adoperare tutte le forze politiche favorevoli alla creazione di un ordinamento
internazionale per tutti gli stati europei. Nella conclusione del Manifesto inoltre c’è un
appello a costituire un partito rivoluzionario:

Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma
deve sin da ora cominciare a formarsi almeno sul atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri
generali e nelle prime direttive d’azione97.

96
Ivi, pp. 118-119.
97
Ivi, p. 55.
49
Si trattava di una scelta che risentiva, in particolare, del condizionamento dell’idea
di partito, professata dal Partito rivoluzionario leninista, idea che Spinelli non aveva
ancora pienamente superato. Inoltre, si trattava anche di una scelta influenzata dal
contesto politico nazionale, che in quel momento era considerato come l’unico possibile
contesto dell’azione politica. Ma questo errore di prospettiva fu subito corretto: infatti,
quando il 27 agosto 1943, dopo la caduta del fascismo, fu fondato il Movimento
federalista europeo, Spinelli disse:

Non vogliamo un partito federalista [...]. A noi interessa far notare che l’ideologia federalista non
trova ostacoli negli altri partiti. Siamo un movimento che non entra in concorrenza con gli altri
partiti, ma che chiede a tutti di far risalire l’importanza dell’idea federalista5.

Proprio questo errore di prospettiva fu uno dei fattori che portò Spinelli, ai primi di
agosto del 1943, dopo la caduta del fascismo, a scrivere le Tesi federaliste, che furono
adottate all’atto di fondazione del Movimento federalista europeo98. Infatti nelle Tesi
Spinelli descrisse l’attività federalista come un movimento: cioè veniva privilegiata
l’impostazione movimentista piuttosto che l’impostazione del Partito rivoluzionario
leninista. Da allora, il Movimento federalista europeo «ha sempre mantenuto il carattere
di movimento trasversale che raccoglie adesioni in tutti i partiti, con l’esclusione cioè
dei partiti nazionalisti»99.
Si può dunque ammettere che il progetto federalista per un’Europa libera e unita,
delineato nel Manifesto, sia nato come una espressione dell’antifascismo nel periodo
della Resistenza e che, dopo la caduta del fascismo, il Movimento federalista europeo
sia stato fondato proprio sulle basi di questo progetto. Infatti il Manifesto di Ventotene,
una volta che i federalisti di Ventotene furono liberati dal confino, valse principalmente
come sorgente ideologica del federalismo europeo, mantenendo fermi gli elementi di
critica dello stato sovrano nazionale e la definizione della nuova linea di divisione tra
conservatori e progressisti100.
Ormai liberati dal confino, nell’autunno 1943 Spinelli e Rossi espatriano in
Svizzera, subito dopo aver fondato il Movimento federalista europeo in Italia. In
Svizzera, Rossi e Spinelli avviano l’attività federalista insieme ad altri federalisti
98
A. Spinelli, Come ho tentato, cit., p. 335.
99
Cfr. L. Levi, op. cit., p. 173.
100
P. Graglia, Altiero Spinelli, cit., p. 153.
50
europei101 e riescono ad entrare in contatto con gli altri movimenti di resistenza di tutta
Europa, allo scopo di promuovere l’unità europea su base federale e di coinvolgere i
partiti politici nell’azione federalista. Infatti, nella riunione federalista del 20 maggio
1944, rappresentanti dei movimenti di resistenza europei, assieme a Spinelli e Rossi,
giungono alla redazione dei documenti di Ginevra, inviati ai movimenti di resistenza di
Francia, Olanda, Norvegia, Danimarca e Italia102. In questo periodo gli autori del
Manifesto entrano in contatto anche con la Resistenza in Italia e aderiscono al Partito
d’azione: è soprattutto verso il gruppo del Partito d’azione del Nord Italia, guidato da
Ferruccio Pari, che Spinelli e Rossi indirizzano la loro azione dalla Svizzera103. In Italia,
tutto il lavoro federalista resta in mano a Eugenio Colorni e a Mario Alberto Rollier.
Infatti Colorni, a Roma, aderisce al Partito socialista, che si era ricostituito come Psiup.
Per lui, il federalismo europeo costituiva il presupposto di ogni battaglia per il
socialismo, ma il suo sforzo di innestarlo sulla pianta del movimento operaio non è
assecondato dalla dirigenza del partito: infatti il socialismo italiano in questi anni resta
sordo alla tematica federalista104.
Nel settembre 1944 Spinelli decide di rientrare in Italia per incidere profondamente
in senso federalista sulle posizioni del Partito d’Azione al nord105. In quel momento il
Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia aveva assunto la direzione della
guerriglia partigiana contro l’occupazione nazifascista. Nel novembre 1944, Spinelli,
autore di una lettera aperta indirizzata a tutti i partiti del Clnai nella quale chiedeva il
riconoscimento dei Cln come effettivi organi di governo, attribuisce ad essi un ruolo di
primaria importanza nell’avvento di quella rivoluzione democratica, già annunciata nel
Manifesto di Ventotene, che avrebbe dovuto portare al definitivo superamento degli stati
nazionali e alla creazione di una federazione europea. Il mancato riconoscimento
dell’autorità dei Cln fece, però, svanire ben presto le illusioni di Spinelli106. Infatti gli
Alleati non intendevano tollerare alcuna iniziativa che mirasse a fare dei Cln gli
strumenti di un potere alternativo.
101
Ivi, p. 202.
102
P. Graglia, Unità europea e federalismo: Da «Giustizia e Libertà» ad Altiero Spinelli, Il Mulino,
Bologna, 1996, pp. 187-188.
103
P. Graglia, Altiero Spinelli, cit., p. 209.
104
Ivi, p. 204.
105
Ivi, p. 235.
106
R. Corsetti, Altiero Spinelli, il federalismo europeo e la Resistenza, «Eurostudium», gennaio-
marzo 2008, p. 97, consultabile in
http://www.eurostudium.uniroma1.it/rivista/recensioni/numero6/Corsetti.pdf.
51
Nel dicembre 1944, il governo italiano e il Clnai stipulano i Protocolli di Roma. In
essi, gli Alleati non riconobbero ufficialmente il Clnai. Questi protocolli infatti
segnarono una sostanziale sconfitta della Resistenza107.
Nel 1945, anche il federalismo della Resistenza registra la sua sconfitta politica:
infatti, nei mesi successivi alla capitolazione della Germania (maggio 1945), l’Europa
rimane divisa tra una zona orientale, controllata dagli Usa, e una zona occidentale, sotto
l’influenza dell’Unione Sovietica. Con la guerra si era affermato un nuovo sistema di
relazioni internazionali, cioè un sistema bipolare fondato sul confronto tra le due grandi
potenze vincitrici, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, portatrici di due sistemi politici e
di due modelli economici contrapposti, che costituirono il punto di riferimento dei
partiti politici europei usciti dalla Resistenza.
Dunque, una volta finita la Seconda guerra mondiale, poiché la divisione
dell’Europa in blocchi sembrava avere chiuso le prospettive di azione per l’unità
europea, Spinelli decise di allontanarsi dal Movimento federalista europeo, e così fece
anche Rossi:

Io e i miei amici, dal 1945, ci siamo disinteressati al MFE non perché avessimo cambiato il nostro
pensiero rispetto alle tesi approvate nel 1943 ma perché […] la situazione internazionale non dava
alcuna speranza di presentare agli uomini politici il nostro programma come attuabile, e l’urgenza dei
problemi di politica interna (monarchia e repubblica) consigliava per il momento di stare zitti sui
problemi di politica estera108.

Torniamo adesso alla situazione dell’Italia alla fine della guerra, dopo la liberazione.
Nel giugno 1945, si istaura un governo di unità antifascista preseduto da Ferruccio
Parri, al cui interno sono rappresentati tutti i partiti che si sono opposti alla dittatura. Il
governo Parri però dura poco più di cinque mesi; in seguito De Gasperi diviene
presidente del Consiglio. Il 2 giugno 1946 si tengono le prime elezioni libere. I cittadini
italiani devono scegliere con un referendum tra la monarchia e la repubblica, e devono
eleggere i loro rappresentanti all’Assemblea Costituente. Come risultato del
referendum, l’Italia diviene una Repubblica. L’Assemblea Costituente, formata da 555

107
P. Ginsborg, op. cit., p. 46.
108
P. Graglia, Altiero Spinelli, p. 298.
52
deputati, di cui 7 provenienti dal Partito d’Azione109, ha il compito di redigere la
Costituzione della Repubblica italiana. In essa si proclamano i diritti inviolabili
dell’uomo. Tra i principi fondamentali della Costituzione, è da notare l’articolo 11:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;
promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

In effetti, l’articolo 11 ha costituito e costituisce la base giuridico-costituzionale per


l’adesione italiana alle organizzazioni internazionali, e per le reciproche limitazioni di
sovranità che hanno condotto e conducono ancora, sin dalla nascita dell’Unione
Europea, all’unificazione politica ed economica degli stati europei. Questo articolo
costituzionale, a mio parere, rispecchia l’eredità del federalismo della Resistenza, dal
momento che riconosce la necessità di un ordinamento sovranazionale che assicuri la
pace e la giustizia fra le nazioni.
L’anno precedente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, ha inizio la
cosiddetta Guerra fredda e la divisione del mondo in due sfere di influenza. Infatti, nel
1947, il presidente statunitense Truman abbozza il suo programma di contenimento
della minaccia sovietica, che diviene presto noto come «dottrina Truman». Gli Stati
Uniti devono intervenire globalmente contro l’espansionismo sovietico, innanzitutto con
mezzi economici: in quell’anno viene annunciato il Piano Marshall per la ricostruzione
economica dell’Europa110.
In Italia, nel maggio 1947, sotto influenza americana, il presidente del Consiglio De
Gasperi forma un governo di centro, allontanando le sinistre dal governo e ponendo fine
alla coalizione antifascista istauratasi dopo la liberazione: da questo momento l’Italia
sarà destinata ad essere integralmente inserita nella sfera d’influenza americana111, fatto
che contribuirà, come vedremo in seguito, all’unificazione dell’Europa di fronte alla
minaccia dell’espansione sovietica. Nei primi mesi del 1948, l’Italia riceve massicci
aiuti dagli Stati Uniti, e subito dopo viene approvato il Piano Marshall. Le elezioni del
mese di aprile vedono la Democrazia cristiana e il Fronte popolare (socialisti e

109
P. Ginsborg, op. cit., pp. 77-78. Il Partito d’azione si sciolse nell’ottobre 1947.
110
Ivi, p. 64.
111
Ivi, p. 123.
53
comunisti) battersi in un’aggressiva campagna elettorale. La Democrazia cristiana,
appoggiata dagli Stati Uniti e dalla Chiesa cattolica, vince le elezioni con il 48,5% di
voti.
Spinelli riprende la guida del Movimento federalista europeo proprio quando viene
approvato il Piano Marshall in Italia, perché aveva capito che gli Stati Uniti intendevano
promuovere l’unificazione europea di fronte al pericolo sovietico, e che ciò avrebbe
aperto nuove prospettive per l’azione federalista112. Infatti, gli Stati Uniti esercitarono
pressioni su tutti i governi europei occidentali per spingerli a una maggiore
cooperazione economica e militare. Sul problema della cooperazione economica
europea però, De Gasperi aveva un’idea che divergeva dal semplice progetto di unità
economica europea che gli americani auspicavano: infatti egli era in favore dell’unità
politica europea, oltre che economica, e caldeggiò una federazione politica di stati
europei. I motivi erano due: in primo luogo, la Federazione europea, come abbiamo
visto nel Manifesto, avrebbe aiutato a promuovere la pace sul continente; in secondo
luogo, solo una cooperazione economica con gli stati europei del nord avrebbe
permesso di risolvere i problemi strutturali dell’economia italiana.
Quando vede la luce la creazione di un mercato comune europeo carbosiderurgico,
De Gasperi e Ugo la Malfa, il ministro del Commercio estero, premono per
un’immediata partecipazione italiana, malgrado l’opposizione degli industriali
dell’acciaio, preoccupati dalla fine del protezionismo. Nell’aprile 1951, l’Italia, la
Germania, la Francia, il Lussemburgo, il Belgio e i Paesi Bassi fondano la Comunità
europea del carbone e dell’acciaio (Ceca). In tal modo nessuno stato avrebbe potuto
fabbricare armi proprie da rivolgere contro gli altri, come avvenuto in passato. Si tratta
dunque della fondazione della prima istituzione comunitaria, di cui l’Italia fu partecipe.
Nel dicembre 1951 si ha un ulteriore progresso verso l’unità europea con la
creazione della Comunità europea di difesa (Ced). De Gasperi, influenzato
notevolmente da Altiero Spinelli, che era alla guida del Movimento federalista europeo,
approfitta dell’occasione per inserire nel progetto di trattato della Ced una clausola che
auspica la costruzione di un’unione politica europea accanto a quella militare (art.
38)113.

112
Cfr. L. Levi, op. cit., p. 174.
113
P. Ginsborg, op. cit., p. 125.
54
Ma la corsa verso la federazione politica europea si arresta bruscamente a questo
punto. In Francia, l’Assemblea nazionale rifiuta di ratificare il trattato di difesa, che di
conseguenza non viene reso operativo. In Italia De Gasperi perde consenso dopo le
elezioni del’53, e il suo successore, Pella, è tutt’altro che europeista114. In tutto il
continente, l’europeismo sorto nel periodo della Resistenza, quello degli autori del
Manifesto, federalista e idealista, sta cedendo passo alla nuova visione funzionalista115
del processo di integrazione sovranazionale. La cooperazione europea riprende a
marciare, ma sempre più esclusivamente sul terreno economico. Infatti, nel marzo 1957,
a Roma, i rappresentanti dei sei paesi fondatori della Comunità, tra cui l’Italia, firmano i
due trattati che istituiscono la Comunità economica europea (Cee), o “Mercato
comune”, e la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom).
Per quanto riguarda Spinelli e il suo atteggiamento verso il mercato comune, è da
dire che, in un primo momento, egli promuove una politica di opposizione alla Cee,
rivendicando il diritto del popolo europeo di decidere, attraverso i suoi rappresentanti, la
forma della Costituzione dell’Europa unita116. A partire del 1962 però, Spinelli cambia
atteggiamento: infatti egli prende atto del successo del mercato comune e considera la
Comunità europea come il primo embrione di una federazione europea. Spinelli
indirizza allora il suo impegno politico verso la trasformazione democratica delle
istituzioni europee, abbandonando, per la seconda volta, il Movimento federalista
europeo. Quando, alla fine del 1968, Nenni diventa ministro degli Esteri del governo di
centrosinistra, Spinelli diventa il suo consulente per l’Europa, entrando in contatto con
importanti uomini politici di tutta Europa. Il suo obiettivo è quello di diventare membro
della Commissione esecutiva della Comunità europea, risultato che ottiene nel 1970117.
Spinelli si dimette dall'incarico nel 1976 per presentarsi alle elezioni politiche in Italia
come candidato indipendente nelle liste del Pci. Eletto alla Camera in Italia, è designato
dal Pci a rappresentarlo al Parlamento europeo. Infatti, Spinelli è membro del
Parlamento europeo dal 1976 al 1986, divenendo nel 1984 presidente della
Commissione per gli Affari Costituzionali.

114
Ivi, p. 125.
115
Il progetto funzionalista si basa sulla delega graduale di parti di sovranità dal livello nazionale al
livello comunitario.
116
Cfr. L. Levi, op. cit., p. 195.
117
Ivi, p. 196.
55
Sotto l'impulso di Spinelli il Parlamento europeo, eletto dal 1979 a suffragio
universale, approva il 14 febbraio 1984 un progetto di Trattato di Unione Europea: si
tratta di un vero e proprio trattato costituzionale che propone una riforma fondamentale
della Comunità europea. Infatti, il progetto Spinelli avrebbe potuto fare compiere alla
Comunità europea un passo risolutivo verso la sua evoluzione in senso federale118. Tale
iniziativa, che fu frenata in quel momento dai governi nazionali, ha condotto alla
revisione dei Trattati istitutivi della Comunità europea, cioè all’Atto unico, al Trattato di
Maastricht, al Trattato di Amsterdam e al Trattato di Nizza, ed, in seguito, al Trattato
Costituzionale del 29 ottobre 2004119. Non è possibile in questa sede inoltrarsi nello
studio di questi trattati, perché non è l’oggetto di questa tesi di laurea, e ci porterebbe
troppo lontani. Basterà indicare che la maggior parte delle disposizioni innovative del
progetto di Trattato di Unione Europea, elaborato su impulso di Spinelli, sono state
riprese nei trattati successivi o nel testo del Trattato Costituzionale, prima citati120.
Spinelli morì il 23 maggio 1986.
Possiamo dunque affermare che l’azione federalista di Altiero Spinelli, iniziata nel
crogiolo della lotta di liberazione con la stesura del Manifesto di Ventotene, è stata
fortemente collegata al processo storico di unificazione europea, come si è potuto
osservare, sin dal tentativo di creazione di una Comunità europea di difesa, fino al
progetto di Trattato di Unione Europea, elaborato su impulso di Spinelli dalla
Commissione istituzionale del Parlamento europeo. Non sorprende quindi che Spinelli
sia considerato uno dei padri fondatori dell’Unione Europea: lo dimostra il fatto che uno
degli edifici del Parlamento europeo, a Bruxelles, è a lui intitolato.
D’altronde, anche De Gasperi è considerato padre fondatore dell’Unione Europea.
Infatti, in qualità di presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri, egli preparò
la strada per il futuro dell’Italia negli anni del dopoguerra; egli promosse iniziative
indirizzate all’unità politica dell’Europa occidentale, come la creazione della Ced, sotto
influenza di Spinelli.

118
Ivi, p. 197.
119
L. Levi, R. Corbett, O. Zecchino, R. Bieber, J. Pinder, P. Ponzano, J. L. Quermonne, P. De
Schoutheete, Altiero Spinelli: federalista europeo, Parlamento europeo, Bruxelles, 2009, p. 41,
consultabile in
http://www.europarl.europa.eu/committees/en/afco/studiesdownload.html?languageDocument=IT&fi
le=29715
120
Ivi, p. 47.
56
Vorrei precisare meglio l’idea sulla base della quale ho ricostruito il ruolo dell’Italia
e dell’azione federalista di Spinelli nel processo di unificazione europea. In primo
luogo, ho dichiarato la mia impressione della forte presenza di un senso europeo
nell’opinione pubblica italiana, rispetto a quella spagnola. La mia impressione è in un
certo senso sostenuta dal fatto che l’Italia è stata uno dei paesi fondatori della prima
istituzione comunitaria, cioè la Ceca, e fin da quel momento è sempre stata uno dei
paesi protagonisti nel processo, graduale, di unificazione europea. Questo fatto
dimostra, dal mio punto di vista, che i cittadini italiani sono stati da sempre coinvolti
nell’unità europea, nel processo di unificazione delle nazione europee, che erano state
partecipi, alcune anche protagoniste, del più devastante conflitto mondiale, di una
guerra totale che aveva finito col distruggere tutta l’Europa.
Furono proprio uomini politici come Spinelli, fin dal periodo della Resistenza, a
promuovere l’unità europea sul piano internazionale, consapevoli del fatto che per
assicurare una pace duratura in Europa era fondamentale procedere alla creazione di un
potere sovranazionale, che limitasse le sovranità delle singole nazioni.
Grazie all’azione e allo sforzo dei cittadini europei e di uomini politici come Altiero
Spinelli, consapevoli della necessità di cooperazione tra gli stati europei, della necessità
di cedere parte della propria sovranità statale, l’Unione Europea ha ricevuto
recentemente il premio Nobel per la pace: esso rappresenta il riconoscimento che il più
importante risultato dell’unificazione europea è la pace. L’obiettivo degli autori del
Manifesto era proprio questo, garantire all’Europa una pace duratura.
Vorrei, concludendo, lasciare la parola a Lucio Levi, federalista e studioso dell’opera
di Spinelli:

L’unificazione europea è un processo storico ancora in corso, che potrà essere conosciuto
compiutamente solo quando sarà concluso. Solo quando avrà raggiunto, con la creazione di un
governo europeo, il traguardo dell’irreversibilità, la cultura nuova che ha alimentato potrà trovare una
verifica definitiva della propria validità121.

121
Cfr. L. Levi, op. cit., p. 191.
57
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