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ASCESA E DECLINO DELL'EUROCOMUNISMO

CAUSE ENDOGENE ED ESOGENE DEL


FENOMENO
Mauro Bruscagin

Introduzione
La ricerca ha come oggetto l Eurocomunismo, ovvero quel particolare
dislocamento ideologico e politico che ha interessato i partiti comunisti
italiano, spagnolo e francese nella seconda met degli anni 70.
La tesi relativa allo studio della evoluzione dei tre partiti sotto diversi aspetti,
a cominciare da quello storico-ideologico, per proseguire con quello politico
nazionale e per concludersi con il profilo politico internazionale. Vengono messe
in evidenza le differenze storiche e culturali dei tre partiti comunisti
mediterranei, il loro diverso approccio nei rapporti con lU.R.S.S. e con il
movimento comunista internazionale e il loro grado di inserimento nelle
rispettive societ politiche.
Durante la fase politica dellEurocomunismo questi partiti, pur in modi differenti
tra di loro, si sono posti lobiettivo di edificare nei rispettivi Paesi un tipo di
societ socialista molto distante da quelle costruite fino ad allora, ed in
particolare fortemente dissimile dal modello sovietico. Con questo nuovo tipo di
societ gli eurocomunisti avrebbero voluto coniugare il socialismo con le grandi
conquiste democratiche del mondo occidentale.
Obiettivo di questo lavoro dimostrare che la ragione principale per la quale
lEurocomunismo ha fallito nel suo progetto stata leccessiva differenza di
impostazione ideologica fra i tre partiti, fatto che ha reso molto precaria la loro
unit di intenti nei momenti decisivi. In particolare, ritengo che la causa
principale della debolezza del progetto eurocomunista sia stata la troppo
approssimativa svolta liberale portata avanti dal P.C.F., troppo improvvisa e,
quindi, non ben valutata in tutte le sue possibili conseguenze. Considerata la
forza e la rilevanza che ancora conservava il partito francese negli anni 70,
questa sua approssimazione politica e ideologica ha determinato, fin da subito,
un forte limite alla compattezza del fronte eurocomunista.
Gli strumenti bibliografici utilizzati in questa ricerca sono stati essenzialmente
testi di politologi e di giornalisti politici italiani e stranieri, riviste di scienza
politica, pubblicazioni dei partiti e interventi di leader politici.

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Capitolo Primo
Cos lEurocomunismo
I protagonisti dellEurocomunismo.
I partiti che hanno dato vita a questa nuova stagione del comunismo sono
principalmente il Partito Comunista Italiano (P.C.I.), il Partito Comunista
Spagnolo (P.C.E.) e il Partito Comunista Francese (P.C.F.), ma il fenomeno ha
interessato anche altri partiti comunisti come quello britannico, quello belga e
quello greco dellinterno, tutti partiti di piccole dimensioni, il cui contributo
originale allEurocomunismo stato molto circoscritto. Da notare infine che
anche il partito giapponese si trovato nella seconda met degli anni 70 su
posizioni politiche e dottrinali molto vicine a quelle dei tre partiti europei
contribuendo cos a rendere ancora meno idonea la definizione stessa di
Eurocomunismo come fenomeno riguardante esclusivamente i partiti comunisti
europei.
Quando nato lEurocomunismo.
Il termine Eurocomunismo, stato coniato per la prima volta non da un leader
comunista ma da un giornalista jugoslavo, Frane Barbieri, su un quotidiano le
cui posizioni ideologiche e politiche erano opposte a quelle di un partito
comunista, Il Giornale Nuovo di Indro Montanelli.
Larticolo del 26 -6- 1975 ed intitolato Le scadenze di Brezhnev e il nuovo
termine viene ad indicare il piano di Carrillo di voler conformarsi sempre meno
alla visione strategica di Mosca, aprendo contemporaneamente alla Comunit
Europea. Nellintendimento di Barbieri il termine Eurocomunismo stato
preferito a neo-comunismo perch ritenuto definito dal punto di vista
geografico e indefinito da quello ideologico, mentre il secondo apparso
concetto ideologicamente troppo impegnativo.
Secondo Barbieri il carattere fondamentale di questo nuovo tipo di comunismo
proprio la sua fluidit, mentre la componente ideologica, pur presente, non va
esagerata [Bettiza, 1978, 83].
Sulla paternit di questo neologismo sorta una piccola disputa, essendovi
alcuni, anche se non molti, pi propensi ad attribuire lorigine del termine ad
Arrigo Levi, anchegli giornalista di matrice liberale, che lo avrebbe preferito a
neo-comunismo, termine che presupporrebbe un salto di qualit ancora da
verificare, a parere di Levi [Levi, 1979]. Eda notare che questo nuovo modo di
intendere il comunismo descrive per il momento levoluzione politica solo del
P.C.E. e del P.C.I., mentre per il partito francese si dovr attendere fino al
novembre 1975, quando, improvvisamente, il suo leader Georges Marchais
orienter il partito da posizioni ortodosse e filosovietiche come lepisodio della

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solidariet espressa al Partito Comunista Portoghese e al suo tentativo, in puro


stile vetero leninista, di prendere il potere, verso gli smarcamenti politici e
ideologici del P.C.I. e del P.C.E..
LEurocomunismo nelle definizioni dei leader dei tre partiti.
Lorigine non comunista del termine ha creato non pochi imbarazzi ai leader dei
tre partiti, con leccezione del segretario del P.C.E., Santiago Carrillo, lautentica
avanguardia di questo movimento.
In effetti trascorso quasi un anno dallarticolo di Barbieri quando Berlinguer,
per primo tra i segretari dei partiti eurocomunisti, pronuncia, virgolettandolo, il
neologismo, in occasione della manifestazione comune tra il P.C.F. e il P.C.I. a La
Villette, nei pressi di Parigi, il 3 giugno 1976.
Il segretario del P.C.I. accenna soltanto al grande interesse di molti circoli della
stampa internazionale borghese attorno a questo Eurocomunismo,
definendolo genericamente come termine che si riferisce a certe posizioni
convergenti di alcuni partiti comunisti [Berlinguer E., 1976c].
Qualche ragguaglio maggiore Berlinguer lo fornisce in occasione della
Conferenza paneuropea dei partiti comunisti, tenutasi a Berlino Est il 29 - 30
giugno 1976:
....E assai significativo che alcuni altri partiti comunisti e operai
dellEuropa Occidentale siano pervenuti, attraverso una loro autonoma
ricerca, a elaborazioni analoghe circa la via da seguire per giungere al
socialismo e circa i caratteri della societ socialista da costruire nei loro
Paesi. Queste convergenze e questi tratti comuni si sono espressi
recentemente nelle dichiarazioni che abbiamo concordato con i
compagni del P.C.E., del P.C.F., del P.C. di Gran Bretagna. E a queste
elaborazioni e ricerche di tipo nuovo che taluni danno il nome di
Eurocomunismo.[Berlinguer E., 1976e].

In una precedente occasione, altrettanto importante, il XXV Congresso P.C.U.S.


a Mosca, il 27 febbraio 1976, Berlinguer, senza utilizzare la parola, ne definisce
comunque quelli che il P.C.I. considera i principi fondamentali, ovvero che i
rapporti tra partiti comunisti devono essere improntati allo spirito di amicizia e
di solidariet, con un aperto e franco confronto delle diverse esperienze e
posizioni, ovvero riconoscimento e rispetto della piena indipendenza di ogni
partito comunista, e che la costruzione di una societ socialista deve essere:
il momento pi alto dello sviluppo di tutte le conquiste democratiche
e deve garantire il rispetto di tutte le libert individuali e collettive,
delle libert religiose e della libert della cultura, delle arti e delle
scienze. [Berlinguer E., 1976a].

Il leader del P.C.E., Carrillo, pronuncia per la prima volta il termine


Eurocomunismo, lui pure virgolettandolo, in occasione della Conferenza di

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Berlino. Anchegli proclama


profondamente modificato:

che

il

principio

dellinternazionalismo

va

Per lunghi anni Mosca fu la nostra Roma e la grande rivoluzione


socialista di Ottobre il nostro Natale. Era il periodo della nostra
infanzia.
Oggi
siamo
diventati
adulti....
...la nostra vocazione di essere una forza che esce dalle catacombe,
e che aspira ad arrivare al governo l dove non c ancora riuscita...
...Ma indiscutibile che oggi i comunisti non fanno capo ad alcun
centro dirigente, non ubbidiscono ad una disciplina internazionale. Noi
non accetteremo un ritorno alle strutture e alle concezioni
dellinternazionalismo secondo le formule del passato. [Carrillo,
1976].

Anche per Carrillo lEurocomunismo sottintende a una nuova concezione della


democrazia:
Recentemente, in ambienti lontani dai nostri, si parlato di
Eurocomunismo. Il termine non esatto. Non esiste un
Eurocomunismo. Ci nonostante evidente che i partiti comunisti dei
Paesi capitalistici sviluppati, devono affrontare una problematica
particolare, devono affrontare esigenze specifiche allo sviluppo della
lotta di classe nel nostro ambiente.
Questo ci conduce verso vie e forme di socialismo che non saranno
uguali a quelli di altri Paesi...
Legemonia delle forze del lavoro e della cultura non sar utilizzata
attraverso forme dittatoriali, ma nel rispetto del pluralismo politico e
ideologico, senza partito unico, e con un riferimento costante al
risultato del suffragio universale. [Carrillo, 1976].

Carrillo, infine, sar anche autore di un libro intitolato Eurocomunismo y


estado, pubblicato nellaprile del 77, opera che sar al centro di forti critiche,
specie da parte sovietica.
Infine il P.C.F., che si mostra il pi prudente nelladozione del nuovo termine. Il
partito francese infatti lultimo ad entrare nel nuovo movimento, anche se
quello che lo fa nel modo pi clamoroso ed enfatico, abbandonando
improvvisamente e in modo spettacolare il principio della dittatura del
proletariato, e accogliendo quindi una nuova concezione di democrazia, in
occasione del suo XXII Congresso nel febbraio 1976.
Alla Conferenza di Berlino il segretario Marchais, senza mai pronunciare il nome
Eurocomunismo, ne afferma i principi:
...noi seguiamo una via originale, indipendente, di lotta per il
socialismo. Pi in generale, il nostro partito definisce la sua politica, i
suoi obiettivi e i suoi metodi dazione nella pi completa
indipendenza... Al tempo stesso il nostro partito tenta di avere rapporti

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di amicizia, fraternit e cooperazione con tutte le forze democratiche e


popolari che lottano contro limperialismo. [Marchais, 1976b].

La Dichiarazione delle Libert, pubblicata il 15 maggio 1975, il documento che


indica che anche una nuova concezione della libert stata fatta propria dal
P.C.F. [Baudouin, 1978].
Tre sono le ragioni della maggiore reticenza del P.C.F. ad accettare il
neologismo.
Innanzitutto ragioni geografiche: il caso del Partito Comunista Giapponese,
anchesso orientato, in quegli stessi anni, verso unevoluzione democratica e
liberale.
In secondo luogo ragioni politiche: un partito che ha basato la sua strategia
politica sulla volont di costruire una via nazionale originale al socialismo, non
pu ora contribuire a fondare un nuovo centro sovranazionale del comunismo.
Infine ragioni di convenienza: il timore molto forte che lEurocomunismo sia
linizio di una nuova eresia [Baudouin, 1978, 167]. Paradossalmente il P.C.F.,
cos riluttante a utilizzare il gergo eurocomunista quando il fenomeno su tutte
le prime pagine dei giornali del mondo, si trover ad essere l'unico partito a
proclamarsi tale quando lEurocomunismo sar praticamente morto.
I punti fondamentali dellEurocomunismo.
Le novit che lEurocomunismo propone nellambito del panorama comunista
internazionale concernono tre diversi piani di analisi: internazionale, nazionale e
interno al partito.
Sul
piano
internazionale,
si
propone
una
nuova
concezione
dellinternazionalismo, definitivamente depurato dai retaggi cominternisti e
stalinisti. Non si riconosce pi un centro internazionale del comunismo, n un
partito o uno stato sono pi considerati un modello da seguire. I partiti
eurocomunisti perseguono un obiettivo di pi marcata autonomia da Mosca e
dal comunismo di marca sovietica. Non vale pi lidentit antisovietismo =
anticomunismo. Anzi, sempre pi spesso i partiti eurocomunisti prendono una
posizione critica nei confronti dellU.R.S.S. per i suoi gravi limiti nella
democrazia, per il trattamento dei dissidenti, per le inquietanti mancanze
nellambito dei diritti umani, o per il suo apparato burocratico sclerotizzato che
paralizza ogni autentico processo di trasformazione sociale nel mondo, in
particolare nei Paesi capitalisti occidentali [Timmermann, 1981, 112].
Inoltre il P.C.I. in modo particolare concepisce lEurocomunismo anche come
tentativo di superamento dellantica divisione delle forze operaie risalente alla
creazione della III Internazionale, auspicando un internazionalismo non solo
proletario, ma che concerne una pluralit di forze democratiche, anche non
comuniste [Segre, 1977, 19]. In questo senso molti politologi e giornalisti hanno
visto lEurocomunismo come una transizione, uno smarcamento reale dal

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comunismo sovietico, ma non ancora divenuto socialdemocrazia [Levi, 1979,


65].
Sul piano nazionale i tre partiti eurocomunisti elaborano analisi convergenti
sulla crisi che ha colpito le societ capitaliste avanzate dellEuropa Occidentale
a partire dallo shock petrolifero. La crisi definita globale, perch non riguarda
solo leconomia ma tutti gli aspetti della societ, comprese la politica e la
morale. Secondo i tre partiti la crisi quindi strutturale e per uscirne occorre
imboccare la via del socialismo. Ma la costruzione di questo nuovo tipo di
societ sar del tutto originale, non si seguiranno modelli di Paesi che hanno
gi realizzato il socialismo, men che meno il modello sovietico.
Libert e democrazia non sono pi considerate vuote formule borghesi ma
valori universali indissolubili dal socialismo.
Il dogma della dittatura del proletariato viene abbandonato anche dal P.C.F.
durante il suo XXII Congresso, mentre il P.C.I. e il P.C.E. hanno compito questa
svolta gi da tempo. La democrazia diviene democrazia tout court, priva di
connotazioni di classe; ladesione ad essa non pi concessione tattica, come
in Lenin, ma un valore fondamentale. Accettando il principio che ogni
minoranza pu divenire maggioranza e viceversa, secondo il voto sovrano dei
cittadini, si ha la sostanziale rinuncia alla rivoluzione come mezzo per acquisire
il potere [Flores dArcais, 1979].
Sul piano interno al partito, infine, pur restando strutturati secondo il principio
del centralismo democratico di tradizione leninista i tre partiti eurocomunisti,
sollecitati sia dai propri militanti che dallambiente esterno si aprono a riforme
in senso pi democratico, anche se in maniera molto differente tra loro. In
particolare i cambiamenti del P.C.F. saranno molto timidi.
E questo il prezzo da pagare per fornire una prova convincente della veridicit
della loro evoluzione democratica.
Ci che ha reso possibile lemergere dellEurocomunismo stata tutta una serie
di fattori che hanno agito in modo spesso concomitante e che verranno in
seguito
singolarmente
analizzati.
Essi sono:

la cultura europea e il suo sviluppo economico.

la distensione nei rapporti U.S.A. - U.R.S.S..

lo sviluppo negli ultimi anni della C.E.E..

la crisi generale del leninismo e lappannamento


dellU.R.S.S. e del suo modello di socialismo.

le difficolt e la crisi, in politica estera dellaltra superpotenza, ancora


molto scossa dalla sconfitta nel Vietnam.

dellimmagine

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infine la gi citata crisi economica che attanaglia lEuropa Occidentale dal


1973.

Gli incontri bilaterali e il vertice di Madrid: le dichiarazioni congiunte


Se il termine Eurocomunismo nasce con larticolo di Barbieri del giugno 75, la
sua vera stagione inizia quando ne vengono fissati i principi comuni nei vertici
bilaterali tra i partiti. Il primo di questi incontri del luglio 75, a Livorno, tra il
P.C.I. e il P.C.E., allepoca ancora fuorilegge. Nella dichiarazione congiunta si
afferma che:
...i comunisti italiani e spagnoli dichiarano solennemente che, nella
loro concezione di unavanzata democratica al socialismo, nella pace e
nella libert, si esprime non un atteggiamento tattico, ma un
convincimento strategico, il quale nasce dalla riflessione sullinsieme
delle esperienze del movimento operaio e sulle condizioni storiche
specifiche dei rispettivi Paesi, nella situazione europeo-occidentale...
...La prospettiva di una societ socialista nasce oggi dalla realt delle
cose e ha come premessa la convinzione che il socialismo si pu
affermare, nei nostri Paesi, solo attraverso lo sviluppo e lattuazione
piena della democrazia. Ci ha come base laffemazione del valore
delle libert personali e collettive e della loro garanzia, dei principi
della laicit dello stato, della sua articolazione democratica, della
pluralit dei partiti in una libera dialettica, dellautonomia del
sindacato, delle libert religiose, della libert di espressione, della
cultura, dellarte e delle scienze. [Valli, 1977, 217].

Il secondo vertice quello tra il P.C.I e il P.C.F., del novembre 1975. Eindicativo
che entrambe le dichiarazioni siano state fatte in Italia, come a suggellare il
ruolo primario del P.C.I. in questa intesa tra i principali partiti comunisti
occidentali. Nella dichiarazione comune si afferma:
...I due partiti conducono la propria azione in condizioni concrete
differenti, e per questo fatto ciascuno di essi realizza una politica che
risponde ai bisogni e alle caratteristiche del proprio Paese. Al tempo
stesso, lottando in paesi capitalistici sviluppati, essi constatano che i
problemi essenziali che stanno loro di fronte presentano caratteristiche
comuni e richiedono soluzioni analoghe...
...il socialismo constituir una fase superiore della democrazia e della
libert; la democrazia realizzata nel modo pi completo. In questo
spirito, tutte le libert, frutto sia delle grandi rivoluzioni democraticoborghesi, sia delle grandi lotte popolari di questo secolo, che hanno
avuto alla loro testa la classe operaia, dovranno essere garantite e
sviluppate...
...I comunisti francesi ed italiani si pronunciano per la pluralit dei
partiti politici, per il diritto allesistenza e allattivit dei partiti di
opposizione, per la libera formazione e la possibilit dellalternarsi
democratico delle maggioranze e delle minoranze, per la laicit e il
funzionamento democratico dello stato, per la libera attivit e

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lautonomia dei sindacati. Essi attribuiscono unimportanza essenziale


allo sviluppo della democrazia nelle aziende, in modo che i lavoratori
possano partecipare alla loro gestione con diritti effettivi e disporre di
ampi poteri di decisione...
...Una trasformazione socialista presuppone il controllo pubblico sui
principali mezzi di produzione e di scambio, la loro progressiva
socializzazione, lattuarsi di una programmazione economica
democratica a livello nazionale... [Valli, 1977, 218 - 219].

La differenza principale tra le due dichiarazioni senza dubbio il doppio


accenno allessenzialit dello sviluppo della democrazia nelle aziende e alla
socializzazione progressiva dei mezzi di produzione, temi entrambi molto cari al
partito francese. Suggello definitivo alle convergenze tra i tre partiti stato il
vertice di Madrid del 2 - 3 marzo 77, considerato il primo, ma anche lunico,
vertice dellEurocomunismo. In realt questo summit pi che lapogeo
dellEurocomunismo ne rappresenta linizio della parabola discendente. I
segretari dei tre partiti (in particolare Marchais e Berlinguer) sono infatti pi
preoccupati di affermare che il vero scopo del vertice portare solidariet al
P.C.E., ancora formalmente non legalizzato, piuttosto che dare consistenza a
questa ipotesi di nuovo centro del mondo comunista. Anzi, uneccessiva
prudenza, soprattutto nei giudizi sul comunismo sovietico, segna indubbi e
sensibili arretramenti rispetto alle precedenti acquisizioni di autonomia:
...I tre Paesi conoscono attualmente una crisi che insieme
economica, politica, sociale e morale...
...La crisi del sistema capitalistico richiede con ancor maggiore forza
che si sviluppi la democrazia e si avanzi verso il socialismo.I comunisti
spagnoli, francesi e italiani intendono operare per la costruzione di una
nuova societ nel pluralismo delle forze politiche e sociali e nel
rispetto, la garanzia e lo sviluppo di tutte le libert individuali e
collettive...
...Questa volont di costruire il socialismo nella democrazia e nella
libert ispira le concezioni elaborate in piena autonomia da ognuno dei
tre partiti. I tre partiti intendono sviluppare anche in avvenire la
solidariet internazionalistica e lamicizia sulla base della indipendenza
di ogni partito, delluguaglianza dei diritti, della non ingerenza, del
rispetto della libera scelta di vie e soluzioni originali per la costruzione
di societ socialiste corrispondenti alle condizioni di ogni Paese...
[Segre, 1978, 213 - 214].

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Capitolo Secondo
Differenze storiche e sociologiche nei partiti eurocomunisti: i riflessi
nellintegrazione politica e culturale nei rispettivi paesi.
Linfluenza del Comintern e dello stalinismo sulla fisionomia di P.C.I., P.C.F. e
P.C.E..
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Linfluenza del Comintern, ovvero la III Internazionale, e dello stalinismo si
fatta sentire, anche se in misura differente, su tutti e tre i partiti, tanto da
averne determinato a lungo la linea politica. La stessa nascita dei partiti
comunisti, del resto, stata frutto della III Internazionale, che, con le celebri 21
condizioni, ha provocato tra il 1920-21 le scissioni dai partiti socialisti, rimasti
invece legati alla II Internazionale. Il collegamento con Mosca stato anche
accentuato dalle particolari vicende politiche nazionali, come il fascismo in Italia
o la dittatura di Franco in Spagna a conclusione della guerra civile, situazioni
che hanno obbligato alla clandestinit i partiti comunisti e condotto a Mosca
molti dei loro leader. In questo modo i quadri dirigenti del P.C.I. e del P.C.E. si
sono formati quasi interamente allombra del Cremlino.
Per quanto concerne il P.C.F., esso si sempre distinto come il pi fedele
interprete della politica estera sovietica in Occidente, tanto da venirne
considerato, con un paragone con la Chiesa francese, il figlio prediletto.
Paradossalmente, infatti, limpronta stalinista rimasta pi impressa nel partito
francese, che ha conservato a lungo lo stile e la rigida impostazione di partito
tipica del periodo cominternista, accumulando cos un notevole ritardo rispetto
alla evoluzione di partiti come lo spagnolo e, soprattutto, litaliano. Lo
stalinismo stata una componente cos fondamentale per il P.C.F., che esso
rimasto come shockato dalle denuncie del XX Congresso del P.C.U.S., al punto
da inventare la favola del rapporto attribuito al compagno Krusciov, andata
avanti fino al 1978, e di bollare il progetto togliattiano della via nazionale al
socialismo come una svolta riformista [Buci-Glucksmann, 1979, 130].
Sicuramente una grossa parte di responsabilit per questa forte matrice
stalinista da attribuirsi a Thorez, leader del partito per oltre trentanni, fino al
64, molto amato dai militanti ma incapace di elaborare un progetto originale
per la costruzione del socialismo in una societ occidentale come la Francia, e
soprattutto colpevole di aver accolto di buon grado ogni ordine di Stalin,
compreso laccordo con Hitler del 39, restando a lungo impassibile mentre la
Francia veniva attaccata e sconfitta dalla Germania nazista. Solo con il suo
successore Waldek-Rochet il P.C.F. ha intrapreso la via per uscire da quel ghetto
in cui esso stesso si era cacciato, prendendo due decisioni storiche come il
sostegno alla candidatura di Mitterand alle presidenziali del 65 e la
riprovazione manifestata in seguito allintervento sovietico a Praga nel 68, la

prima volta nella storia del P.C.F. in cui il partito ha condannato un atto politico
dellU.R.S.S. [Baudouin, 1978]. Ma anche in questa fase lo stalinismo non
scomparso dal partito, al punto che nel 66 Marchais afferma a proposito della
dittatura del proletariato che: ...abbandonarla sarebbe scivolare sul terreno
della democrazia borghese, poich il contenuto di classe dello Stato che deve
costruire il socialismo sparirebbe. [Daix, 1978, 54]. Infine, in piena epoca
eurocomunista, il P.C.F. si proclama ancora partito rivoluzionario della classe
operaia e davanguardia, nella pi pura tradizione leninista [Laot, 1977].
Il P.C.E., pur costretto alla clandestinit dopo la sconfitta nella guerra civile del
36, ha saputo sviluppare nel corso degli anni una forte autonomia nei confronti
del P.C.U.S., grazie soprattutto alle forti personalit di Carrillo e di Dolores
Ibarruri, la leggendaria Pasionaria, anche se ha dovuto subire una piccola
scissione di una frazione prosovietica guidata da un altro eroe della guerra
civile, Enrique Lister, in occasione della condanna della repressione sovietica
della primavera di Praga.
La posizione del P.C.I. complessa, con un Togliatti dapprima fedele e
potentissimo emissario di Stalin in Occidente e poi, con la svolta di Salerno e la
creazione del partito nuovo e con lelaborazione della teoria della via
nazionale al socialismo, uno dei leader comunisti pi innovatori. Anche se
lappoggio alla politica estera sovietica resta praticamente incondizionato,
come testimonia la condanna dellinsurrezione ungherese del 56, lautonomia
da Mosca si sviluppa soprattutto nella nuova concezione di principi come libert
e democrazia, che vengono considerati contenuti imprescindibili del socialismo
[Berlinguer L., 1985], nella riscoperta dellindividuo e nellabbandono della
convinzione che luguaglianza possa essere imposta dalla volont di un principe
illuminato, ovvero il partito di massa operaio della teoria gramsciana
[Berlinguer L., 1985].
Infine, ci che ha contribuito in maniera importante allemergere di una
elaborazione originale del P.C.I. allinterno del mondo comunista, stato
sicuramente la presenza di una personalit come quella di Gramsci, di certo
colui che meglio ha cercato di applicare il modello leninista allOccidente,
correggendolo e rendendolo pi adatto a un tipo di societ profondamente
diversa da quella russa del 1917. Il suo pensiero considerato da alcuni, come
si vedr in seguito, lispiratore dellEurocomunismo.
Le conseguenze nella storia dei tre partiti dei diversi contesti sociali,
politici e istituzionali.
Francia, Italia e Spagna, oltre a molte affinit, come la comune cultura latina e
cattolica e una storia spesso interconnessa, presentano anche alcune differenze
significative, risalenti soprattutto alle vicende storico-politiche dellultimo
secolo, che hanno inciso nellesperienza storica dei tre partiti e che li hanno resi
tra loro differenti, anche in modo rilevante.
Cos la difficolt incontrata dal P.C.F. di creare una rete organizzativa capillare si
spiega col fatto che in Francia vi sempre stato un basso grado di

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istituzionalizzazione delle divisioni sociali, cosa che ha determinato un basso


grado di politicizzazione e particizzazione delle subculture [Bartolini, 1983,
168]. Inoltre, mentre il P.C.I. ha ricevuto uneredit ricca e articolata dalla
tradizione socialista italiana, il partito francese ha avuto in dote la struttura
ectoplasmatica della S.F.I.O. (Section Franaise de lInternationale Ouvrire)
[Bartolini, 1983, 171]. Ulteriore differenza si avuta nella formazione dei quadri
dirigenti. Quelli del P.C.F. sono stati selezionati esclusivamente dalla classe
operaia, quelli del P.C.I., invece, dalla lotta interclassista contro il fascismo,
quelli del partito spagnolo, infine, si sono formati in condizioni di clandestinit,
fatto che ha prodotto una certa burocratizzazione dei quadri stessi, in quanto
ha limitato il rinnovamento dei dirigenti e ha portato i funzionari a instaurarsi in
modo permanente nellamministrazione del partito, essendo per loro
impossibile accedere a delle responsabilit pubbliche [Alami, 1978, 75].
Diversa stata anche limpostazione della concezione stessa del partito. Il P.C.I.
immediatamente dopo la guerra si trasformato da partito di rivoluzionari
professionisti in partito di massa, non ostacolando lafflusso dei nuovi iscritti,
malgrado potessero essere impreparati. I comunisti francesi, invece, hanno
assunto queste connotazioni solo verso la fine degli anni 60, restando a lungo
legati, come si visto, al dogma leninista del partito-avanguardia [Tarrow,
1976, 370]. Carattere peculiare del P.C.F. , poi, lo spiccato spirito nazionalista,
che deborda a volte in un mal celato razzismo, il cosiddetto Gallocomunismo, di
ascendenza giacobina [Duhamel, 1979, 265]. Questo nazionalismo, cos forte
da prevalere a volte sullo stesso carattere comunista del partito, ha portato
spesso il partito sulle stesse posizioni dei gollisti, come nel caso delle relazioni
con lAlleanza Atlantica, della concezione della Comunit Europea o
dellatteggiamento verso la cosiddetta force de frappe, larsenale atomico
francese.
Differente stato anche limpatto dei partiti italiano e francese nei confronti
della contestazione giovanile del 68 e dei movimenti da essa nati. Qui
possibile confrontare solo P.C.I. e P.C.F., poich in Spagna non si sviluppato un
vero movimento di protesta a causa della severa dittatura franchista. Se vero
che entrambi i partiti sono stati sorpresi dalla protesta e soprattutto dalla sua
entit, il P.C.I. comunque stato in grado di controllarla meglio e di trarre un
grande beneficio elettorale da questa contestazione nei confronti del potere,
riuscendo a farsi percepire come la sola forza politica capace del cambiamento.
Viceversa per il P.C.F. il 68 ha significato soprattutto la riattualizzazione brutale
della rivoluzione, il timore di essere scavalcati a sinistra e di non essere pi il
solo partito rivoluzionario francese. Questa paura ha rallentato il processo di
inserimento nella politica nazionale del partito, e ne ha bloccato lespansione
elettorale, facendo intravedere anzi un piccolo ma significativo arretramento;
inoltre, considerando i contestatori come nemici di classe, il P.C.F., di fronte alla
protesta sociale pi ampia che la Francia abbia conosciuto nel secondo
dopoguerra, non ha fatto nulla per svilupparne le forti potenzialit
anticapitalistiche.

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E poi doveroso considerare i differenti sistemi di governo operanti in Francia e


Italia a partire dal dopoguerra. Infatti, mentre il partito italiano si trova in un
contesto istituzionale che esso stesso ha contribuito a creare, il P.C.F. vive dal
1958 in un assetto costituzionale da esso non voluto e con un sistema
elettorale particolarmente punitivo nei suoi confronti [Bartolini, 1983].
Diversa , infine, lanalisi della societ capitalista occidentale degli anni 70. Per
i comunisti francesi si entrati nello stadio del capitalismo monopolistico di
Stato, caratterizzato da una sempre pi forte concentrazione centralizzata del
capitale, con le imprese pi grandi che controllano una parte decisiva del
mercato e si accaparrano progressivamente tutti i mezzi economici e politici
necessari a perseguire e accelerare laccumulazione di nuovi capitali [Laot,
1977, 87]. Vi inoltre una sempre pi ampia connessione tra il capitale
industriale e finanziario e lo Stato, che diviene cos strumento di dominio da
parte dei monopoli [Timmermann, 1981, 340] e, come tale, orientato verso
una forma sempre pi autoritaria e repressiva.
Per il P.C.I. e per il P.C.E., invece, si ormai superata la fase del dominio di
classe garantito dalle istituzioni, anzi in questa fase queste possono venire
utilizzate dalle masse per demolire le antiche strutture di classe [Timmermann,
1981, 342].
La composizione sociale dei tre partiti.
Tutti e tre si definiscono partiti della classe operaia, anche se la loro
composizione sociale venuta a modificarsi nel corso degli anni.
Caratteristiche distintive dei comunisti transalpini restano comunque
loperaismo estremo, la difesa ad oltranza e quasi esclusiva degli interessi della
classe operaia (ma solo francese), rivendicazioni che fanno del P.C.F. pi una
corporazione della societ civile che un partito [Roucaute, 1981, 163].
Questo determina due conseguenze importanti: innanzitutto il fatto che certe
fasce sociali, come i lavoratori immigrati, non vengono per nulla rappresentate
dal P.C.F., e in secondo luogo il fatto che le rivendicazioni sociali di questo
partito sono legate a certe analisi dei bisogni dei lavoratori ormai superate,
come la richiesta quasi ossessiva di un incremento quantitativo del settore
pubblico o lattaccamento incondizionato al modello staliniano produttivista,
che gli aliena lappoggio degli ecologisti [Baudouin, 1978, 642]. I comunisti
francesi si mostrano molto scettici nei confronti delle rivendicazioni qualitative,
bollate quasi sempre come misure riformiste e non in grado di abbattere il
sistema capitalista.
Particolare anche il modo in cui viene inteso il comunismo da gran parte degli
stessi militanti francesi, una sorta di comunismo popolare, in cui il partito
visto come lo strumento che denuncia i problemi delluomo comune, e viene
cos ad assumere una dimensione pi sociale che politica, quasi una religione
del popolo [Lavau, 1976, 86].

14

A partire dalla fine degli anni 60 il P.C.F., perseguendo il fine di farsi accettare
dallopinione pubblica come possibile alternativa, ha tenuto una posizione di
estrema prudenza riguardo a problematiche come il femminismo, lecologia, le
condizioni nelle carceri, la droga, temendo che lassunzione di una posizione
eccessivamente aperta potesse respingere dal partito le classi popolari, e
finendo cos per accogliere lideologia dominante. Esemplare la concezione
della donna, definita lavoratrice, cittadina e madre [Lavau, 1979, 207].
Difficile anche il rapporto tra il P.C.F. e la Chiesa, sempre a causa del suo
dogmatismo esasperato. Sono pochi i militanti credenti, e nessuno ha posizioni
rilevanti allinterno dellapparato, n sono noti intellettuali cattolici comunisti.
Lunico, infatti, Roger Garaudy, gi membro dellUfficio Politico, stato espulso
dal partito nel 1970, prima della sua conversione religiosa.
Nella composizione sociale del partito negli anni 70, si pu notare una
distorsione tra linfluenza elettorale stagnante e il numero degli iscritti, in
costante aumento fino al 1978 [Pudal, 1989, 294]. In secondo luogo
significativo laumento degli iscritti non operai, soprattutto studenti e tecnici,
anche se, salendo nella gerarchia del partito, la componente operaia resta di
gran lunga maggioritaria. Indicativo anche lo scarso peso, nei centri direttivi
del partito, delle donne, malgrado la loro percentuale tra gli iscritti sia prossima
al 50 % [Buci-Gluksmann, 1979].
Un ulteriore aspetto importante costituito dalla volatilit degli iscritti, due
terzi dei quali hanno aderito al partito dopo il 1968, cosa che facilita il controllo
della base da parte del vertice, i cui membri si sono formati politicamente in
piena epoca staliniana, negli anni 40 e 50 [Pfister, 1979, 165].
Infine da notare il basso grado di omologazione politica del P.C.F. nella societ
francese, il suo costante proclamarsi partito anti-sistema, anche durante
lepoca eurocomunista, il rifiuto di ogni strategia gradualista di integrazione e il
proposito costante, anche nel momento dellalleanza con il partito socialista, di
determinare una rottura drastica del sistema capitalista [Timmermann, 1981,
14].
Il Partito Comunista Spagnolo vive una forte concorrenza interna con il P.S.O.E.,
il partito socialista guidato da Felipe Gonzales e da altri giovani uomini politici,
nati dopo la guerra civile e cresciuti insieme a tutta la societ spagnola degli
anni 60 e 70. Il P.C.E., invece, corre il rischio di una lacerazione tra il vertice,
formato da persone non pi giovanissime, testimoni della guerra e vissute per
anni in esilio, e la base, molto giovane e, per certi versi, estremista [Pierini,
1977].
Difficolt ulteriore il rapporto con i cattolici, in quanto pi della met degli
Spagnoli nel 1977 ritiene impossibile essere contemporaneamente buoni
cattolici e comunisti [Linz, 1978], mentre Carrillo descrive la Chiesa come un
apparato ideologico dello Stato, anchessa coinvolta nella crisi globale della
societ capitalista [Carrillo, 1977, 30], anche se aggiunge che voci nuove, di
autentico rinnovamento, si sono levate negli ultimi anni dalla Chiesa stessa.

14

La composizione sociale del partito negli anni 70 mostra che, sebbene si


mantenga una forte matrice operaia (il 55 % degli iscritti nel 1977), il numero
degli intellettuali e dei tecnici in grande progresso [Tiersky, 1981].
Per quanto riguarda lomologazione sociale del partito, pur con tutte le difficolt
connesse al lungo periodo di illegalit, il P.C.E., a differenza dei fratelli
francesi, ha assunto una strategia gradualista di integrazione nazionale, non
domandando, nel suo programma elettorale, n molte nazionalizzazioni, n
rotture drastiche con la societ capitalista e nemmeno la chiusura immediata
delle basi americane in Spagna.
La politica estera, poi, con il mutato atteggiamento verso la C.E.E., il
momento trainante del processo di inserimento nella vita politica nazionale,
mentre per il P.C.F. essa soltanto una variabile dipendente della strategia
politica generale [Timmermann, 1981, 21].
Per marcare maggiormente il suo rinnovamento, il P.C.E. dichiara durante il suo
IX Congresso, nel 78, di non considerarsi pi lunico rappresentante della
classe operaia, n la sua avanguardia [IX Congreso del Partido Comunista
dEspaa, 1978]. Questo, per, pone a rischio lidentit stessa del partito, tanto
che Carrillo deve affermare:
Noi non cerchiamo di tendere la mano al capitalismo imperialista
decadente, bens di accelerarne la liquidazione; non passiamo dalla
parte della socialdemocrazia, che continuiamo invece a combattere
ideologicamente; vogliamo agire come marxisti, come comunisti, nei
paesi sviluppati nei quali ci troviamo ad operare, negli anni settanta.
[Carrillo, 1977, 19].

Il P.C.I., infine, a differenza del P.C.F., ha da sempre sviluppato una strategia di


omologazione sociale, privilegiando il carattere nazional-popolare del partito. In
questo modo riuscito a costruire una forte organizzazione, con oltre 1 800 000
iscritti, vale a dire tre volte il numero di iscritti del P.C.F., una rete capillare
presente in tutto il tessuto sociale del paese, attenta a ogni novit della societ
civile (femminismo, ecologia, movimenti pacifisti), un partito che resta in
prevalenza operaio, ma aperto senza discriminazioni anche ai ceti medi,
costantemente alla ricerca del dialogo costruttivo con i cattolici e con una forte
presenza cattolica tra i suoi intellettuali, come Rodano, per citarne uno.
La capacit del partito di porsi contemporaneamente come partito di
opposizione e di governo, ha fatto s che i temi politici avessero sempre
unimportanza
superiore
rispetto
alle
rivendicazioni
esclusivamente
economiche, cavallo di battaglia del P.C.F. [Tarrow, 1976, 369].
In particolare i comunisti italiani hanno saputo elaborare scelte originali sia in
politica interna (la Via nazionale al socialismo, il Compromesso storico) che in
politica estera (il mutato atteggiamento, nel corso degli anni, nei confronti della
Comunit Europea, la svolta sulla N.A.T.O.), che hanno attratto i voti non solo
della classe operaia, ma anche dei ceti medi, forse anche perch i moduli

14

dazione del P.C.I. si sono mostrati spesso molto pi simili a quelli di un grande
partito socialdemocratico che non a quelli di un partito comunista
[Timmermann, 1981, 14].
Dei tre partiti eurocomunisti quello italiano certamente quello meglio
integrato nella propria realt nazionale. Il successo del P.C.I. al di fuori della
classe operaia spiegabile anche grazie alla reputazione di buon
amministratore goduta dal partito per via dei buoni risultati ottenuti nelle citt
e nelle regioni da esso governate.
Il ruolo degli intellettuali nei tre partiti.
Significativa lattitudine dei tre partiti nei confronti degli intellettuali.
Nel P.C.E. circa un terzo degli iscritti sono intellettuali e il loro ruolo
importante al punto che i comunisti iberici definiscono il loro come un partito
operaio e delle forze della cultura.
Nel P.C.I. il ruolo degli intellettuali tanto rilevante da creare problemi di vario
genere, come sensi di estraneit, a volte, tra i militanti operai o anche problemi
di disciplina interna [Tarrow, 1976, 374].
Il P.C.F. ha invece problemi opposti, in quanto lo scarso numero di intellettuali
crea maggiori difficolt di adattamento alla vita politica in una democrazia
borghese. Ma soprattutto il modo in cui vengono considerati gli intellettuali
allinterno del partito a fare la differenza con i comunisti italiani e spagnoli. Per
il P.C.F., infatti, la figura dellintellettuale vista con un alone di scetticismo e di
dubbio, come un potenziale eretico, ed pensato nellimmaginario collettivo dei
militanti come una persona che se ne sta beatamente a lavorare su una
scrivania, mentre gli operai faticano in fabbrica.
Il P.C.I., invece, ha avuto un attenzione costante verso gli intellettuali fin dai
tempi di Gramsci. Ci ha procurato indubbi vantaggi ai comunisti italiani,
offrendo loro la possibilit di un maggiore dibattito interno e facendo in modo
che le svolte politiche e dottrinali non fossero solo imposizioni dei vertici
[Timmermann, 1981, 375].
Linfluenza di Gramsci sullEurocomunismo.
Secondo i leader dei partiti eurocomunisti, Gramsci stato il padre spirituale di
questa nuova strategia comune. In realt egli ha certamente avuto una
funzione decisiva ponendo la questione della nazionalizzazione del bolscevismo,
ma poi si creata una tensione tra leredit gramsciana e la nuova strategia dei
tre partiti, che quella di superare lesperienza sovietica [Salvadori, 1978, 41].
In effetti Gramsci non si spinto fino al punto di abbandonare il principio della
dittatura del proletariato, ma lha solo elaborato nel concetto di egemonia. Gli
eurocomunisti si troverebbero allora pi vicini agli avversari di Lenin, come
Kausky, il quale affermava una linea politica volta ad allargare il sistema
parlamentare fino a dargli un contenuto palese di partecipazione democratica

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[Salvadori, 1978]. In questo modo allora lEurocomunismo separerebbe ci che


nel leninismo e nel gramscismo era unito. Qualcuno, del resto, anche allinterno
del P.C.I., ha ammesso che il pluralismo organico, fondato sul concetto di
egemonia, creerebbe a volte problemi di inconciliabilit con la vera democrazia,
e c chi, come Ingrao ha suggerito di inserire momenti di democrazia di base
nel sistema rappresentativo [Rizzo, 1977, 92].
E innegabile comunque che un insegnamento ai tre partiti eurocomunisti
Gramsci lo ha dato, quello per cui lo Stato lo si conquista occupando la societ
civile. Questa sarebbe la rivoluzione adatta allOccidente, non quella violenta
del modello bolscevico [Bettiza, 1978, 96].

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Capitolo Terzo
La struttura organizzativa dei tre partiti eurocomunisti: tradizione
leninista ed evoluzione democratica.
La questione della democrazia interna: la trasformazione del principio del
centralismo democratico.
Il tratto distintivo della struttura organizzativa di ogni partito comunista
certamente il centralismo democratico. Ideato e forgiato da Lenin per
assicurare la disciplina nel partito dei rivoluzionari professionisti, affinch:
delle migliaia di uomini avanzino come un solo uomo quando il Comitato
Centrale d un ordine, questo tipo di struttura ha due funzioni principali. La
prima quella di assicurare, teoricamente, il pi ampio grado di discussione
democratica dalla pi piccola cellula o sezione fino al Comitato Centrale. La
seconda, invece, una volta che questorgano abbia deciso la linea politica
generale, dopo aver vagliato le varie proposte, fa in modo che questa venga
seguita fedelmente da ogni militante, senza reticenze, cosicch la minoranza
sconfitta assecondi in tutto e per tutto la decisione ufficiale del partito.
Tutti i partiti comunisti nati sullonda del successo della Rivoluzione Russa
hanno adottato il centralismo democratico, probabilmente uno strumento
indispensabile per garantire la loro stessa esistenza, in unepoca in cui essi
erano costituiti esclusivamente da quadri ed erano inseriti in contesti sociali
molto ostili, tanto da essere spesso costretti alla clandestinit. Lepoca
stalinista ha visto, non solo nel P.C.U.S., un accentuarsi cos forte del carattere
centralista e burocratico del centralismo democratico al punto che, per lungo
tempo, dopo la morte di Stalin, il centralismo democratico stato considerato
dagli avversari politici dei partiti comunisti occidentali e dai partiti socialisti e
socialdemocratici come uningombrante eredit stalinista e, pertanto,
antidemocratica.
Negli anni 70, con la strategia eurocomunista, le incongruenze tra il grado di
democrazia interno al partito e la nuova concezione della democrazia e del
pluralismo politico emergono palesemente.
Levoluzione democratica dei partiti comunisti occidentali sembra sempre pi
allontanarli dalloriginale matrice leninista, al punto che a volte i loro leader
sono costretti a rivendicare limmutata adesione a certi principi di Lenin, pur
con gli opportuni distinguo.
Per quanto concerne il centralismo democratico, il P.C.I. rifiuta decisamente la
tesi secondo cui esso incompatibile con un partito democratico, e afferma:
Questo principio non vuole assicurare unanimismo preventivo, ma il
metodo per garantire alla fine, dopo un confronto democratico di tutte

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le possibili alternative, lindispensabile unit nellorientamento e nel


lavoro concreto del partito. [Berlinguer E., 1978].

Si riconoscono, tuttavia, i rischi burocratici e le tendenze autoritarie che un uso


sbagliato di questo metodo possono generare. Lobiettivo di ampliare il grado di
democrazia allinterno del partito del resto molto vivo, in quegli anni, nel
P.C.I., tanto che nella 15 Tesi per il XV Congresso si afferma:
...Il partito deve innanzitutto sviluppare una profonda democrazia di
massa, metodi di libera discussione e di libera espressione delle
posizioni di critica e liniziativa di ogni membro. Contemporaneamente
deve rafforzare lo spirito di unit nelle relazioni tra i membri e il rifiuto
del metodo delle correnti che provoca divisioni e corrompe la vita del
partito, rendendo impossibile una vera dialettica democratica.
[Pribicevic, 1981, 176].

In realt, tuttavia, allinterno dei partiti eurocomunisti, con la parziale eccezione


del P.C.F., il principio dellunit monolitica ormai decaduto, e la legittimit
delle differenti posizioni accettata e, in alcuni casi, anche ufficialmente
riconosciuta. Cos nel P.C.I. si ha la componente della destra interna, che ha in
Amendola il suo leader, e che, pur trovandosi sovente vicino alle posizioni dei
partiti socialdemocratici europei su questioni come la C.E.E. e le riforme
economiche, ritiene sempre essenziale per lidentit del partito il riferimento
alla Patria della Rivoluzione, e la componente della sinistra, guidata da Ingrao,
molto critica nei confronti dei Sovietici ma nello stesso tempo decisa avversaria
di ogni sbandamento socialdemocratico in materia economica. Nel mezzo il
centro di Berlinguer a far da mediatore.
Tra gli eurocomunisti il partito che conduce pi in profondit la riflessione sul
problema della democrazia nella vita del partito senza dubbio il P.C.E.. In
occasione del suo IX Congresso, nel 1978, il Partito Comunista di Spagna
persegue, anche se con pochi risultati soddisfacenti, una linea volta a
coinvolgere maggiormente linsieme dei militanti, promuovendo una
rielaborazione pi moderna del centralismo democratico, in modo da assicurare
la partecipazione democratica a tutti i livelli. Una testimonianza del nuovo
grado di democrazia allinterno del partito fornita dalle modalit stesse con
cui si svolgono le discussioni al Congresso: voto in seduta plenaria e presenza
di tutte le posizioni alternative che abbiano ottenuto pi del 30 % di adesioni
nei lavori di preparazione al congresso, cosa che pone implicitamente fine al
principio dellunit monolitica del partito [Calamai, 1978]. La riaffermata
adesione al principio del centralismo democratico, nel caso del P.C.E., anche
legata al fatto che si tratta di un partito reduce da quarantanni di clandestinit,
la quale, tra le molte cose negative, ha prodotto, nel corso degli anni, anche
una divisione dellautorit nel partito tra la direzione che viveva in esilio e i
quadri permanenti rimasti in Spagna [Alami, 1978].
Il P.C.F., dei tre partiti eurocomunisti, certamente quello che rimasto pi
statico nella concezione del centralismo democratico. Ancora nel 77 un
importante esponente del partito lo definisce: essenza rivoluzionaria del

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partito davanguardia [Tiersky, 1981]. Nel P.C.F. permane fortissima limpronta


stalinista. Il Comitato centrale, pi che organo legislativo del partito, appare
come lorgano ratificatore ed esecutivo dellUfficio Politico. Ogni evoluzione
politica o dottrinale parte dal vertice, e la stessa proposta di abbandonare il
principio della dittatura del proletariato stata comunicata dal segretario
Marchais durante unintervista televisiva a meno di due mesi dal XXII
Congresso, che ha poi proceduto solo ad una formale ratifica, senza una seria
discussione tra i militanti [Alami, 1978].
Il peso dellapparato, molto forte gi nel P.C.I. e nel P.C.E., addirittura
opprimente nel partito francese. Esso definito: ...macchina finalizzata a
produrre unanimit [Tiersky, 1981, 317], e tende a rendere praticamente nulla
la forza della base militante nellelaborazione della linea politica, oltre che ad
atomizzare le critiche di eventuali oppositori.
Straordinari strumenti di controllo detenuti dal vertice del partito sono poi le
commissioni delle candidature, organi che hanno la funzione di vagliare ogni
promozione allinterno del partito, selezionando i candidati in numero uguale ai
posti da ricoprire, cos da rendere virtualmente superfluo il voto delle varie
assemblee del partito [Duhamel, 1979, 93].
Molto dura, nel P.C.F., poi la condizione del militante, il quale, certo, ha piena
libert di criticare il partito a livello di cellula, pu dare pubblicit nazionale al
suo disaccordo attraverso la tribuna di discussione che si apre su LHumanit
prima di ogni Congresso e proporre emendamenti al progetto iniziale, ma non
pu n redigere un testo alternativo, n unire altri militanti intorno alla sua
mozione, n tentare di fare approvare la sua tesi dal Congresso [Baudouin,
1978, 400].
Il P.C.F. si mostra molto inflessibile anche riguardo alla questione
dellammissibilit delle correnti allinterno del partito. I suoi leader affermano:
...Il P.C.F. non la Torre di Babele... Esso un punto di riferimento per cittadini
che condividono gli stessi ideali e gli stessi fini. [Pribicevic, 1981, 177]. Inoltre
essi difendono lorganizzazione centralizzata asserendo che le tendenze
possono portare al congelamento delle discussioni fissando le divergenze e
possono presentare il rischio di compromessi permanenti e, in ultimo, quello
dellindecisione nella linea politica generale del partito [Baudouin, 1978, 400 401]. Molto indicativa la posizione di Elleinstein, punta di diamante dello
smarcamento eurocomunista del P.C.F.: La democrazia senza centralismo
lanarchia interna.
Secondo molti politologi lattaccamento cos indefesso dei comunisti francesi al
centralismo democratico anche spiegabile come un tentativo per rinforzare la
specificit della propria identit comunista, appannata dalla stagnazione
elettorale e dalla prodigiosa crescita dellalleato socialista [Tiersky, 1981, 329].
Trasformazione ideologica e nuova concezione del ruolo del partito
nellEurocomunismo.

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La stagione eurocomunista produce anche importanti novit nellambito


ideologico, dove si registra la scomparsa del vecchio carattere dogmatico in
riferimento alla dottrina marxista-leninista.
Nei nuovi documenti statutari del P.C.I. si afferma che il partito, da un lato, sa
porsi nella condizione di poter misurare e verificare la validit dei suoi
orientamenti teorici e politici, e quindi di aggiornare le formulazioni entro cui
vivono i principi trasmessi dai suoi maestri rivoluzionari. Dallaltro lato, un
partito che vuole aprirsi e costruire un sistema di rapporti, di alleanze politiche
e sociali e di confronti ideali molto vasto. Sul leninismo Berlinguer dichiara nel
corso di unintervista del 1978:
Se con il termine leninismo (o con la locuzione marxismo-leninismo)
si vuole intendere una specie di manuale di regole dottrinali
staticamente concepite, un blocco di tesi irrigidite in formule
scolastiche, che si dovrebbero applicare acriticamente in ogni
circostanza di tempo e di luogo, si farebbe il massimo torto a Lenin...
Noi non siamo leninisti a questo modo... [Berlinguer E., 1978].

Cambia anche in modo essenziale la concezione del ruolo del partito. Il P.C.I. ha
da tempo abbandonato la definizione di avanguardia, preferendo il termine
partito-guida e lo stesso ruolo di direzione ora condiviso con altre forze, che
sono considerate su un piano di eguaglianza [Pribicevic, 1981, 170]. Allo stesso
modo il P.C.I. non considera pi il suo modulo organizzativo come un prototipo
della nuova societ socialista, n per aderire al partito pi necessario
professarne lideologia. Questa nuova concezione laica del partito ha permesso
un forte afflusso di cattolici, in precedenza bloccati dal carattere palesemente
ateo del P.C.I.. Tuttavia, sul fatto che il P.C.I. sia divenuto un partito fino in fondo
laico alcuni nutrono dei dubbi. Innanzitutto singolare che il P.C.I. giunga, con
cinquantanni di ritardo, ad elaborare i medesimi principi del socialismo
democratico, rivendicandoli come nuovi, ma addirittura paradossale che, una
volta ricongiuntosi alla tradizione socialista, senta immediatamente il bisogno di
differenziarsene, riproponendo il mito della continuit con la tradizione
comunista e quello della diversit da ogni altro partito [Salvadori, 1979].
Molto importanti sono anche i cambiamenti dottrinali che avvengono durante
questa fase nel P.C.E.. Esso, in occasione del suo IX Congresso, si definisce
come:
...un partito marxista, rivoluzionario e democratico che si ispira alle
teorie dello sviluppo sociale elaborate dai fondatori del socialismo
scientifico, Marx e Engels. Lapporto di Lenin ritenuto, in tutto ci che
conserva di valido, fondamentale, anche se da ritenersi superato il
concetto secondo cui il leninismo il marxismo della nostra epoca.
[Tesi n 15 del IX Congreso del Partido Comunista dEspaa, aprile
1978].

La nuova concezione non pi ideologica della teoria di Marx porta il P.C.E. a


ripensare il proprio ruolo e ad essere: ...favorevole allunit dazione delle forze
di tendenza sia marxista sia socialdemocratica... e alla cooperazione fra questi

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su base duguaglianza [Tesi n15], nonch ad operare per la costruzione di uno


stato non ideologico ma laico, che non sia una copia del partito, il quale
costituisce solo una parte della struttura della societ.
Nel P.C.F., infine, i tiepidi segnali di rinnovamento si trovano proprio nei
mutamenti ideologici, come labbandono del principio della dittatura del
proletariato, giustificato dal partito con il fatto che il termine dittatura evoca
automaticamente i regimi fascisti ed esprime quindi la negazione stessa della
democrazia, mentre il termine proletariato non rappresenta pi, nella seconda
met degli anni 70, la totalit della classe operaia n, tantomeno, linsieme dei
lavoratori. Inoltre, nel corso del XXIII Congresso del 1979, la formula
marxismo-leninismo viene rimpiazzata, come principio-guida del partito, da:
Socialismo scientifico fondato da Marx e da Engels e sviluppato da Lenin
[Wright, 1981, 115], mentre Kanapa, membro dellUfficio Politico, ha affermato
in precedenza che una teoria scientifica non una verit assoluta.
Per quanto riguarda la concezione del ruolo del partito, si pu notare che anche
se lattaccamento alla vecchia idea di partito davanguardia molto forte, come
si gi detto, ed rivendicato con particolare veemenza nei confronti dei
socialisti, in alcune occasioni i comunisti francesi tendono a smorzare un po' i
toni, limitandosi a indicare come essenziale un ruolo dirigente del partito nella
lotta per la trasformazione della societ [Marchais, 1976a].
Lapparato organizzativo dei tre partiti eurocomunisti.
Anche nella fisionomia organizzativa si possono notare molte affinit tra il P.C.I.
e il P.C.E., mentre il P.C.F. conserva una struttura di tipo tradizionale.
Il partito comunista spagnolo e, soprattutto, quello italiano tendono a
privilegiare la sezione, a scapito della cellula, come primo momento di
aggregazione nel partito, fatto che indica una volont di non apparire come
partito esclusivamente della classe operaia e, come tale, fortemente
ideologizzato, come il caso del P.C.F., ma piuttosto come forza politica aperta
anche a chi non si professa marxista. In questo modo si spiega anche la grande
attenzione portata dal P.C.I a tutti i nuovi movimenti nati sullonda della
contestazione sessantottina, comportamento molto diverso dal partito
transalpino, che si mostra invece molto freddo con questi, ad eccezione del
Movimento per la Pace [Tarrow, 1976, 377].
Unulteriore differenza tra i due principali partiti costituita dal rapporto fra gli
amministratori locali comunisti e i rispettivi partiti. Per ci che riguarda il P.C.F.
tutte le alleanze locali vengono vagliate dai dirigenti dipartimentali e, a volte,
nazionali. Gli amministratori locali del P.C.I., invece sono pi politicizzati rispetto
ai colleghi degli altri partiti italiani, ma sono meno legati nei confronti del
partito rispetto ai comunisti francesi [Tarrow, 1976, 385]. Infine molto
differente la penetrazione territoriale dei due partiti nelle rispettive societ.
Mentre il P.C.F. organizzato quasi esclusivamente nella regione parigina e in
pochi altri dipartimenti a prevalenza industriale, il P.C.I. attua una strategia di
presenza in tutto il territorio italiano e in tutti i settori della societ, grazie a una

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rete organizzativa capillare che dispone, fra laltro, di una casa editrice (la
Editori Riuniti), di pubblicazioni quotidiane, settimanali e mensili a vasta
tiratura, di scuole di partito e di una solida base economica, grazie al
collegamento alla Lega delle Cooperative.
La contestazione allinterno dei partiti eurocomunisti.
La contestazione allinterno del P.C.I. stata storicamente pi limitata che nel
P.C.F. e, soprattutto, nel P.C.E.. Prima di tutto i comunisti italiani non hanno
praticamente mai conosciuto nella loro storia scissioni autentiche, n pro-cinesi,
n pro-sovietiche, fino a quella tra P.D.S. e P.R.C in anni piuttosto lontani da
quelli dei quali si sta parlando. La compattezza del partito non mai venuta
meno, forse anche grazie al carisma e allabilit dei suoi leader, da Togliatti a
Berlinguer. Lunica scissione di un certo spessore si avuta nel 1969 ad opera
dei dissidenti de Il Manifesto, che criticavano aspramente la linea politica del
partito, giudicato ormai riformista. Durante la stagione eurocomunista le
contestazioni riguardano principalmente due questioni, lappoggio del partito
alla politica di austerit dei governi di solidariet nazionale, critica mossa
soprattutto dalla componente sindacalista del partito (Trentin, Garavini), e la
condanna che il partito ha mosso nei confronti dellU.R.S.S. allindomani
dellinvasione dellAfghanistan e dei fatti polacchi del dicembre 81. In questa
occasione la componente filosovietica di Cossutta dissente fortemente dalla
linea della Direzione e soprattutto dalla posizione di Berlinguer secondo cui si
sarebbe ormai verificato: ...lesaurimento della spinta propulsiva nata dalla
Rivoluzione dOttobre. [Berlinguer E., 1981].
Il P.C.E., al contrario, ha conosciuto di frequente nella sua storia dolorose
scissioni, a cominciare dal 1963, con la creazione del Partido Comunista Espaol
di tendenza maoista, e, soprattutto, nel 1970, con la formazione di un partito di
stretta osservanza filosovietica, per qualche tempo concorrenziale al P.C.E.
stesso, guidato da un eroe della guerra civile, il generale Lister.
La riacquistata libert allindomani della fine della dittatura non produce la
sperata unit e i segni della divisione sono ben visibili durante il IX Congresso,
con la contrapposizione tra eurocomunisti e leninisti, segno di un malessere
assai diffuso nel partito, e con la vibrante richiesta di maggiore democrazia nel
partito, soprattutto sotto forma di un maggior diritto alliniziativa, alla
discussione e alla critica da parte di ogni militante. Molto forte anche il
confronto tra le vecchie e le nuove generazioni [Calamai, 1978].
I segnali negativi presenti al IX Congresso si mostrano in tutta la loro
drammaticit al X Congresso, nel 1981, ricordato come il congresso delle
divisioni. Se la componente vicina al P.C.U.S. risulta meno consistente del
previsto, ben pi significativa si dimostra la forza del gruppo degli
eurocomunisti rinnovatori, che non si riconosce nella relazione del segretario
sul partito.
In questo modo, anche se la linea eurocomunista del P.C.E. riconfermata a
larghissima maggioranza, limpressione che se ne ricava quella di un partito

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spaccato, con un segretario rieletto soltanto dal 70 % dei delegati e che risulta
appena il 15 tra gli eletti al Comitato Centrale. Le principali proposte degli
eurocomunisti rinnovatori si concentrano sulla forma del partito, che si vorrebbe
con una struttura federale che garantisse piena libert di espressione per le
correnti dopinione, pur permanendo la norma del centralismo democratico.
Tuttavia queste richieste non vengono accettate dal congresso.
Questa spaccatura allinterno del partito non pi ricomposta, al punto che nel
novembre 82 Carrillo si dimette da segretario generale e, allinizio del 1984,
esce dal partito [Waller, 1987].
Infine il P.C.F., esso pure immune da scissioni nel corso della sua storia, ma alle
prese, a partire dalla rottura con i socialisti nel settembre 77, con una forte
contestazione interna, agevolata anche dalla parziale liberalizzazione del
partito avvenuta dopo il XXII Congresso. La contestazione in realt era gi
nellaria immediatamente dopo la conclusione del congresso stesso, come
confermano le dimissioni verificatesi in molte cellule, e soprattutto le critiche di
Althusser, strenuo difensore della validit del principio della dittatura del
proletariato e grande accusatore dei metodi per nulla democratici utilizzati dal
partito per eliminare il principio stesso [DEramo, 1976]. Le prospettive, per, di
una partecipazione al governo ormai ritenuta prossima, fanno passare in
secondo piano la potenziale forza dirompente della contestazione, che cova
sotto la cenere e che esplode dopo la sconfitta elettorale del marzo 1978.
Caratteristica principale dei ribelli quella di essere quasi tutti degli
intellettuali che, pur partendo da posizioni ideologiche anche distanti,
convengono sulla richiesta primaria di una maggiore democrazia nel partito
[Baudouin, 1980, 82].
Le critiche mosse alla Direzione sono svariate. Si rimprovera, tra laltro, il
settarismo tenuto nei confronti del P.S., leccessivo operaismo spinto fino al
miserabilismo. Ma ancora Althusser a formulare la critica pi dura, quella per
cui il P.C.F. il vero responsabile della sconfitta, in quanto, vistosi scavalcato dal
P.S., ha preferito far perdere la sinistra intera piuttosto che tentare di rovesciare
il rapporto di forza ad esso sfavorevole [Baudouin, 1980, 85]. Molte critiche
concernono anche il problema della circolazione delle idee allinterno del partito
e leccessivo verticalismo che estranea il militante dalle decisioni del vertice. Si
richiedono profonde revisioni nellorganizzazione del partito, come la
valorizzazione delle assemblee di sezione rispetto a quelle di cellula, si critica il
sistema cooptativo della equipe dirigente, si domanda labrogazione della
commissione delle candidature e la rappresentanza proporzionale, nelle varie
assemblee del partito, della minoranza.
Il problema dei contestatori, divisi tra althusseriani ed eurocomunisti e a
loro volta distinti in sottogruppi, , per, la loro eccessiva frammentazione. In
questo modo lapparato pressoch monolitico del partito ha buon gioco a
spuntarla, riuscendo prima del XXIII Congresso del 1979 ad annichilire ogni
contestazione [Baudouin, 1980, 94].

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Interessante analizzare il modo con cui il partito riesce a controllare questo


fenomeno. Nessuna epurazione di staliniana memoria, ma una precisa strategia
composta di tre fasi, tesa a screditare i contestatori. Innanzitutto un momento
tradizionale di intimidazione burocratica, seguito poi da una fase di
banalizzazione ideologica capace, grazie a concezioni sulla dottrina e sulla
democrazia interna pi teoriche che reali, di smussare loriginalit rivendicativa
dei critici e di riportare sui dirigenti il monopolio dellinnovazione. Infine una
discreta ma efficace fase di normalizzazione amministrativa [Baudouin, 1980,
96].
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Capitolo Quarto
La strategia politica nazionale del Partito Comunista Italiano.
La proposta del Compromesso storico: novit e continuit con il passato.
Il Compromesso storico la proposta lanciata per la prima volta da Berlinguer,
a conclusione di tre articoli pubblicati su Rinascita tra il 28 settembre e il 9
ottobre 1973, allindomani della tragica fine del presidente cileno Allende e del
suo governo di Unidad Popular. Proprio prendendo a lezione i fatti cileni, il
segretario del P.C.I. afferma che lerrore politico pi grave che la sinistra
potrebbe compiere in un paese capitalista occidentale quello di puntare al 51
% dei suffragi, pensando che sia sufficiente per la sinistra ottenere la
maggioranza assoluta anche risicata per poter intraprendere quelle
trasformazioni essenziali per guidare le societ occidentali verso il socialismo.
Questa condotta porterebbe, al contrario, ad una saldatura stabile ed organica
tra il centro e la destra, con il deleterio risultato di spaccare in due il Paese e di
mettere in moto pericolose reazioni da parte della destra eversiva:
...Questo stato lo sbaglio fatale commesso da Allende, e questo non
deve ripetersi in Italia. E indispensabile un nuovo grande
compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la
grande maggioranza del popolo italiano. [Berlinguer E., 1973a].

Questa alleanza ci che il segretario comunista definisce una nuova tappa


della rivoluzione democratica e antifascista.
Un rapporto di tipo nuovo con il partito dei cattolici viene considerato come un
passaggio fondamentale per consentire lisolamento delle forze reazionarie e
dare cos il via alle riforme strutturali del sistema politico ed economico italiano.
Cos scrive Berlinguer su Rinascita:
Il compito nostro essenziale quello di estendere il tessuto unitario,
di raccogliere attorno ad un programma di lotta per il risanamento e
rinnovamento democratico dellintera societ e dello Stato la grande
maggioranza del popolo, e di far corrispondere a questo programma e
a questa maggioranza uno schieramento di forze politiche capaci di
realizzarlo. Solo questa linea e nessunaltra pu isolare e sconfiggere i
gruppi conservatori e reazionari, pu dare alla democrazia solidit e
forza invincibile, pu far avanzare la trasformazione della societ.
[Berlinguer E., 1973b].

La Democrazia Cristiana vista come un partito nel quale esistono profonde


contraddizioni, certamente legato agli interessi dei grandi gruppi economici e
alle posizioni di rendita parassitarie ma anche una forza politica che, per la
composizione del suo elettorato, deve tenere conto delle aspirazioni popolari,

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fatto questo che la rende diversa da tutti gli altri partiti borghesi occidentali, in
quanto non assimilabile ad un partito di tipo conservatore [Vacca, 1978].
Su molti temi importanti le posizioni tra comunisti e cattolici sembrano farsi pi
vicine, o, per lo meno, i toni si fanno meno accesi. Cos, in occasione del
referendum sul divorzio, voluto fortemente da Fanfani, come a suggello della
propria linea politica centrista, il comportamento tenuto dal P.C.I. durante la
campagna elettorale volto a sostenere in modo deciso ma non estremista le
ragioni del no.
Sullaborto vi sono alcune dichiarazioni di leader comunisti molto vicine alla
posizione dei cattolici. Cos si esprime infatti Bufalini: Per noi laborto non un
diritto n una libert n un mezzo di emancipazione della donna [Bufalini,
1975]. La linea ufficiale del partito sostiene che:
... prioritario, per vincere o almeno circoscrivere questa piaga, farla
emergere dalla clandestinit che laggrava e che ne accentua il
duplice carattere discriminatorio contro le donne e contro i poveri.
[Berlinguer G., 1977].

Della nuova legge i comunisti difendono soprattutto lintervento sociale, che


dovrebbe consentire ai medici funzioni di accertamento e di valutazione
congiunte con la donna, per rimuovere le cause che lhanno condotta a
prendere questa grave decisione [Berlinguer G., 1977]. E anche da notare che
la difesa della legge, da parte del P.C.I., non arroccata, ma si riconosce che
una norma sottoponibile a continua verifica.
Un momento fondamentale nel dialogo con i cattolici certamente costituito
dalla lettera indirizzata dal massimo leader comunista al Vescovo di Ivrea,
mons. Bettazzi, in risposta a una precedente missiva dellalto prelato. In essa
Berlinguer specifica che il P.C.I. : ...un partito laico e democratico e, come
tale, non teista, non ateista e non antiteista e che esso vuole uno Stato allo
stesso modo laico e democratico. [Berlinguer E., 1977c].
Nellidea berlingueriana la collaborazione con la D.C. non deve essere
circoscritta ad un accordo tra i vertici ma deve funzionare innanzitutto a livello
locale, in quanto offre una doppia opportunit, sia come momento di legittimit
politica, sia come occasione per dimostrare la superiorit dellefficienza
comunista nellammi-nistrazione pubblica [Allum, 1977].
Riguardo agli eventi che hanno portato allelaborazione della strategia del
compromesso storico, oltre ai fatti del Cile ve ne sono altri, in particolare
lesaurimento della formula del centro-sinistra e il grave momento di crisi
economica e sociale, fatti entrambi che danno luogo a una forte richiesta di
cambiamento del modo di funzionare del sistema, cos da emarginare i settori
pi improduttivi e parassitari [Ripa di Meana, 1974].
Secondo Allum sono possibili due letture opposte della nuova strategia del
P.C.I., una difensiva, secondo la quale il partito non vorrebbe provocare n una

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rottura nella pratica politica italiana, n una spaccatura nella D.C., per timore di
gravi conseguenze sulla fragile struttura costituzionale italiana, tenuto anche
conto della delicata situazione del Paese negli anni 70, lepoca del terrorismo.
Secondo una visione offensiva del Compromesso storico, invece, il vero punto di
partenza di questa strategia sarebbe fornito dalla contestazione degli anni 68 69, cui il partito vorrebbe dare una risposta, mentre gli avvenimenti cileni
costituirebbero solo loccasione propizia per la presentazione del disegno.
Premessa di questa seconda lettura che in Italia vi sarebbero le condizioni per
introdurre il socialismo senza incontrare particolari difficolt [Allum, 1977].
In realt di problemi il P.C.I. ben consapevole di trovarne, e a chi obietta che
di fronte a una maggioranza cos ampia, composta non solo da democristiani e
comunisti ma da tutte le forze democratiche, scomparirebbero quasi le forze di
opposizione, Berlinguer replica in questo modo:
...il giorno in cui le forze democratiche intraprendessero insieme
uneffettiva azione di rinnovamento della societ e della vita pubblica,
non mancherebbe davvero lopposizione dei gruppi privilegiati.
[Berlinguer E., 1974b].

Del resto nel P.C.I. si convinti che per consentire linstaurazione di profonde
riforme e per sostenerle non sia necessario avere unideologia socialista. Si pu
giungere ad approvare e sostenere misure di tipo socialista anche muovendo da
altre concezioni, in particolare:
...ricavando dallesperienza la constatazione che lattuale sistema,
cos com, si dimostra incapace di risolvere problemi quali quelli posti
dalla crisi odierna. [Berlinguer E., 1974b].

Una vivace discussione si sviluppa poi, fuori e dentro il partito, a proposito della
continuit del Compromesso storico con la tradizione comunista italiana.
Secondo la direzione del partito vi una specie di fil rouge che lega il
progetto dellattuale segretario con lelaborazione togliattiana della Via italiana
al socialismo e, soprattutto, con Gramsci, per il quale il socialismo deve fondarsi
sul consenso. Questultimo, in particolare, considerato, anche dagli avversari
politici, come colui che per primo ha indicato la via per la conquista del potere.
Egli infatti ha elaborato concetti che sono diventati patrimonio ideologico del
P.C.I., come societ civile, blocco storico ed egemonia. In Gramsci centrale
limportanza della societ civile, vista come complesso delle relazioni culturali,
non i economiche come era in Marx. Attraverso la sua conquista si arriva ad
occupare lo Stato, e, secondo lintellettuale cattolico Del Noce, proprio ci che
il P.C.I. sta perseguendo. Tuttavia nel partito vi sono alcuni che mettono in
evidenza come vi siano problemi nel conciliare il pluralismo organico
gramsciano con la vera democrazia, e per questo si formulano proposte,
soprattutto da parte della sinistra di Ingrao, volte a inserire strumenti di
democrazia di base nel sistema rappresentativo [Rizzo, 1977].
Anche fuori dal P.C.I. molti mettono in evidenza il fatto che, sebbene il partito
continui a proclamarsi fedele continuatore delleredit gramsciana, vi sono

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ormai sensibili differenze tra il partito degli anni 70 e le elaborazioni teoriche


dellintellettuale sardo. Cos il concetto di egemonia diverso, in quanto il P.C.I.
si concepisce non come un Partito - Principe che guida le altre forze politiche
verso il socialismo, ma come componente di un blocco di forze sociali e di
partiti anche di diversa ideologia, che convengono sul progetto di trasformare la
societ.
Diversa pure la concezione della forma di democrazia di base, intesa ora
come momento di partecipazione al sistema democratico dello Stato e non pi
come fondamento rivoluzionario di contropotere [Salvadori, 1977, 61].
Ormai chiaro al P.C.I. che lo stabilirsi di una larga coalizione politica la
condizione indispensabile per la buona riuscita del nuovo progetto.
Anche la pretesa continuit con la elaborazione togliattiana della Via italiana al
socialismo aspramente criticata dai non comunisti. Con essa infatti, si obietta,
il rapporto di principio tra comunismo e democrazia restava ancorato allo
schema leninista, mentre la dittatura del proletariato rimaneva la forma di
transizione per attuare il socialismo e, infine, non si escludeva la via
rivoluzionaria per la presa del potere. Inoltre, secondo Flores dArcais, vi era
una certa doppiezza in Togliatti circa la concezione della democrazia, in quanto
il metodo parlamentare era visto solo come strumento alternativo alla
rivoluzione per la conquista del potere, avvenuta la quale avrebbe esaurito il
suo compito. Negli anni 70, invece, il P.C.I. segue sostanzialmente una
strategia riformistica, vicina di fatto a quella della socialdemocrazia europea
[Flores dArcais, 1979].
Ma tutta lelaborazione del Compromesso storico non starebbe in piedi senza un
adeguato supporto internazionale. Non un caso se Berlinguer lancia il suo
progetto in un momento in cui la distensione internazionale allordine del
giorno. La conferenza di Helsinki per la sicurezza e la cooperazione in Europa
in avanzata preparazione, mentre Brezhnev e Nixon hanno da poco raggiunto
un secondo accordo per il controllo degli armamenti, il S.A.L.T. II.
Il P.C.I. sa che la questione della distensione la pi importante per la riuscita
del suo piano di avvicinamento al governo del Paese. Pi la situazione
internazionale tesa, pi il partito comunista avvertito dallopinione pubblica
moderata come partito antisistema e, quindi, antidemocratico. Per questo i
comunisti italiani sono, per tutto il corso degli anni 70, i pi accesi sostenitori
del dialogo tra Americani e Sovietici.
Le critiche al Compromesso storico.
Molto numerose sono le critiche mosse alla proposta di Berlinguer, sia da
politologi che da uomini politici.
I socialisti temono che un eventuale accordo politico tra comunisti e
democristiani finisca per rendere di fatto accessorio il loro contributo
quantitativo nella grande alleanza tra le forze democratiche italiane. Inoltre

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muovono due obiezioni ai comunisti. La prima afferma che quanto meno


ingenuo pensare che chi lascia la D.C. per aderire ai partiti operai possa trovarsi
a suo agio in una strategia che ha come scopo ultimo lalleanza con la stessa
D.C..
La seconda obiezione prende le mosse dalla considerazione di come
organizzato il sistema di potere democristiano, in particolare al Sud. E
unillusione, quella del P.C.I., di abbattere le clientele parassitarie stando al
governo con i democristiani, senza che questi vi si oppongano [Lombardi,
1974].
Tra gli intellettuali cattolici vi chi, come Del Noce, mette in guardia dal vero
fine che sta sotto la strategia comunista. Se davvero il P.C.I. persegue fino in
fondo gli insegnamenti di Gramsci, allora, secondo Del Noce, il Compromesso
storico non rappresenterebbe altro che lo strumento pi idoneo per annullare la
cultura cattolica, entrando in essa e permeandola della nuova mentalit, quella
della nuova chiesa, il comunismo [Del Noce, 1974].
Tra i politologi Pasquino coglie lerrore essenziale del Compromesso storico nella
distorsione tra il momento in cui nasce, quando vi una forte paura per la
tenuta democratica dello Stato, e la fase politica che segue, che vede, al
contrario, una forte espansione democratica. Il problema sarebbe allora
costituito da una strategia concepita come difensiva, ma che si deve applicare
ad un momento storico di altissimo potenziale di mobilitazione civile e
democratica [Pasquino, 1983, 46].
A una conclusione simile giunge anche Tarrow, secondo il quale pi il P.C.I.
mette in risalto i rischi di un aggravamento della crisi italiana, pi diventa per
esso arduo ottenere il via libera per operare profonde riforme, in quanto i suoi
alleati possono agevolmente rispondere che proprio la seriet della crisi non
consente di introdurre riforme sociali troppo dispendiose [Tarrow, 1981].
Ancora secondo Pasquino, lanalisi che Berlinguer fa della D.C. troppo
ottimistica, in quanto se vero che il partito democristiano non solo il
rappresentante del grande capitale ma soprattutto un partito popolare, ci
non significa necessariamente una predisposizione della Democrazia Cristiana
verso una politica di riforme [Pasquino, 1983].
Dallanalisi condotta da DAngelillo risulta che lerrore pi grave del P.C.I.
quello di vedere una piena coincidenza tra austerit e rinnovamento, quando vi
sarebbe invece una netta divaricazione. Altro sbaglio liniziale convinzione
della possibilit di fare della crisi unoccasione per la trasformazione del Paese,
illusione che crolla nel 1978, quando ci si rende conto che lurgenza dei
problemi economici e del terrorismo non permette di operare nel senso di
unevoluzione strutturale del sistema [DAngelillo, 1986, 20].
Secondo Bonanate la contraddizione di fondo sta invece nel non preoccuparsi,
da parte del P.C.I. degli effetti che avrebbe sul sistema geopolitico

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internazionale una riuscita del suo piano politico, in pratica si rimprovera una
visione troppo ottimistica della distensione [Bonanate, 1978, 136].
Le critiche pi aspre sono per quelle avanzate da Fisichella, per il quale il
Compromesso storico sarebbe soltanto uno strumento usato dal P.C.I. per
cautelarsi da due rischi. Quello per cui un crollo improvviso del regime dei
partiti potrebbe travolgere anche lo stesso partito comunista, in quanto ritenuto
o la vera causa dei guai del regime, o suo complice, e quello per cui le forze
politiche tradizionali riescano a superare la crisi e facciano ricadere il P.C.I.
nellisolamento [Fisichella, 1979, 8]. Secondo Fisichella, inoltre, il carattere non
ideologico attribuito dai comunisti al tipo di Stato che vorrebbero costruire, non
una prova di acquisita democrazia, tanto pi che nella societ immaginata dal
P.C.I. un partito pu competere non per il successo del proprio modello sociale,
ma solo per collaborare alla trasformazione completa verso il socialismo. Infatti
la condanna del Partito Comunista Italiano contro linvasione sovietica della
Cecoslovacchia stata dovuta esclusivamente al fatto che si giudicato un
tragico errore lintervento armato, in quanto il processo di revisione della
societ era saldamente nelle mani dei comunisti, e il ruolo primario del partito
non era minimamente messo in discussione [Fisichella, 1979, 54].
La situazione sociale e politica dellItalia degli anni 70.
La situazione sociale italiana in questo decennio segnata da due problemi
fondamentali, il terrorismo e lemergenza economica.
Sono gli anni di piombo, iniziati con la strage di Piazza Fontana a Milano nel
1969, lepoca degli opposti estremismi, prima rosso e poi nero, la strategia della
tensione. Forse proprio lidea del Compromesso storico, con il possibile incontro
tra i due grandi partiti di massa italiani, provoca un incremento delle azioni
terroristiche, determinate a colpire sempre pi in alto, fino a giungere alla
strage di via Fani, con il sequestro e lassassinio di Moro. In quella che viene
ricordata come la notte della Repubblica, il P.C.I. prende una netta posizione
contro il terrorismo e a sostegno delle istituzioni democratiche dello Stato. Il
partito molto critico verso quegli intellettuali, alcuni dei quali assai vicini allo
stesso P.C.I., che dichiarano: n con le Brigate Rosse, n con lo Stato. In un
articolo su Rinascita Vacca definisce questo atteggiamento come pericoloso e:
...segno di sfiducia qualunquistica contro questo Stato... Pertanto
deve essere confutato tenacemente anche sul piano culturale perch
altrimenti si corre il pericolo che la gente veda lo Stato
esclusivamente come macchina coercitiva, estranea ai cittadini, per di
pi gravata da pesanti disfunzioni. [Vacca, 1978].

Si afferma apertamente che nella lotta contro il terrorismo in gioco la difesa


dello Stato italiano, che ha una sua peculiarit rispetto a tutte le altre nazioni
occidentali, in quanto suo fondamento lantifascismo.

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La crescita del Partito Comunista, costante dal 1948, raggiunge alle


amministrative del 75 e alle politiche del 76 il suo apice. Un italiano su tre
vota per il P.C.I. e di ci devono tener conto tutte le altre forze politiche italiane.
Vi sicuramente unevoluzione nellimmagine che gli italiani hanno del P.C.I., in
quanto sempre di meno lo considerano un pericolo per la democrazia e sempre
di pi ritengono utile una sua partecipazione al governo del paese. Ci che ha
contribuito a questo cambiamento nel corso del tempo sono alcuni fattori,
primo dei quali la convinzione che il P.C.I. ha saputo trasmettere circa la
realizzabilit di una Via italiana al socialismo completamente diversa dalle
precedenti esperienze. Inoltre vi sono limmagine del buon amministratore, i
mutati rapporti con i cattolici e, infine, il successo tra i giovani [Lange, 1976].
Tutto ci porta, tra il 1976 e il 1979, alla fase dei governi di solidariet
nazionale, con il P.C.I. che, proprio nel giorno del rapimento di Moro, entra a far
parte della maggioranza di governo, pur non avendo alcun suo rappresentante
nellesecutivo presieduto da Andreotti.
Ma il terrorismo non la sola emergenza di quegli anni. La debolezza
delleconomia italiana, una delle pi fragili tra quelle capitaliste, messa a
nudo, allinizio degli anni 70, da due eventi molto vicini nel tempo. La fine degli
accordi di Bretton Woods, cio della parit tra dollaro e oro e, soprattutto, il
primo shock petrolifero. Gli anni del boom economico sono ormai lontani, e la
crisi e la disoccupazione sono allordine del giorno. I primi anni 70 sono segnati
dai grandi scioperi operai, come se la contestazione giovanile di fine anni 60 si
fosse trasferita nelle fabbriche.
Il crollo degli investimenti, la fuga dei capitali, la speculazione sulla moneta,
tutte queste cose hanno, secondo il leader comunista, unorigine:
...nella mancanza di indirizzi generali chiari, nellinstabilit politica,
nel dissesto della pubblica amministrazione e nel dilagare delle
pratiche corruttrici e clientelari. Ci costringe sovente gli operatori
economici in ogni campo, gi stretti dalla crisi, a sottoporsi al
pagamento di tangenti per ottenere licenze o servizi che dovrebbero
essere normalmente assicurati da un corretto funzionamento degli
uffici statali. [Berlinguer E., 1976b].

Dunque per il P.C.I. il riassestamento delleconomia del Paese passa


obbligatoriamente attraverso il risanamento del settore pubblico per mezzo di
una politica economica di programmazione e una generale opera di
moralizzazione della politica.

Le proposte di riforma politica del P.C.I. negli anni del Compromesso


storico.

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Nel precisare in che cosa consiste il suo progetto, Berlinguer dichiara


costantemente che esso darebbe il via a importanti riforme in tutti i settori, nei
rapporti di produzione, nella distribuzione del reddito, nei consumi e nelle
abitudini di vita, nella natura del potere, introducendo nel funzionamento
generale della societ alcuni elementi propri del socialismo, anche se: ...non si
tratta di porre come obiettivo ravvicinato la societ socialista. [Berlinguer E.,
1976b].
Tra le proposte di riforma avanzate dal P.C.I. si segnalano quelle concernenti le
istituzioni, in particolare il Parlamento, il quale, pur conservando il ruolo di
centralit nel sistema politico italiano, come la Costituzione prescrive, dovrebbe
razionalizzare il proprio lavoro, iniziando una progressiva ripartizione dei
compiti tra le due Camere, che, per un verso, tenda ad una differenziazione
delle loro funzioni, con prevalenza per luna dellattivit legislativa e per laltra
dellattivit di controllo, mentre, per altro verso, porti ad aumentare i casi in cui
le due Camere procedono in seduta comune, come la discussione della fiducia
al governo. Inoltre si auspica in campo legislativo un serio snellimento, in modo
che il Parlamento resti impegnato solo sulle leggi pi importanti, lasciando alle
Regioni le altre competenze.
Proprio le regioni costituiscono il secondo cavallo di battaglia del P.C.I..
Berlinguer, in pi di unoccasione, afferma:
Occorre battersi perch le Regioni esercitino pienamente tutti i loro
poteri legislativi e amministrativi... Le Regioni devono essere
considerate come unarticolazione democratica necessaria, come una
delle istituzioni alle quali compete lelaborazione e lattuazione di parti
fondamentali di una nuova programmazione dello sviluppo
economico. [Berlinguer E., 1974b].

Nel P.C.I. forte la convinzione che si ha il pieno sviluppo della democrazia


rappresentativa quando la si abbina alla democrazia decentrata. In questo
modo le Regioni diventano un nuovo modo di concepire e gestire la spesa
pubblica e la programmazione. Del resto questultimo strumento di politica
economica ritenuto dal P.C.I. essenziale per promuovere lo sviluppo sociale ed
economico del Mezzogiorno, al fine di utilizzare correttamente, senza
sovrapposizioni autoritarie, le stesse leggi di mercato [Berlinguer E., 1976b].
Altre richieste di cambiamento riguardano listituto del referendum, di cui si
chiede un aumento del quorum dei cittadini necessario per promuoverlo, e di
meglio definire le materie ad esso non sottoponibili.
Si propone una riforma del Consiglio supremo della difesa, che dovrebbe
consentire una pi ampia rappresentativit, integrando la sua composizione con
membri designati dal Parlamento.
Infine il P.C.I. ritiene necessaria una riforma dei servizi di sicurezza, i quali
dovrebbero essere distinti in due soli servizi fondamentali, uno che si occupi
della difesa della sovranit nazionale e laltro con compiti di difesa dellordine

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democratico. Entrambi dovrebbero essere posti sotto la direzione politica di un


organismo collegiale, formato dal Presidente del Consiglio e dai ministri
competenti, che periodicamente riferisca al Parlamento Berlinguer E, 1974b].
Unica cosa che non deve mutare il sistema elettorale, che deve restare
rigorosamente la fotografia reale delle opinioni diffuse nel Paese, e quindi
proporzionale puro.

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Capitolo Quinto
La politica nazionale del Partito Comunista Francese negli anni 70.
Il difficile rapporto tra comunisti e socialisti: lUnion de la Gauche e lUnion du
Peuple Franais.
I rapporti tra i due principali partiti della sinistra francese sono sempre stati
piuttosto tesi. Fin dalla nascita del P.C.F., nel 1920, con il congresso di Tours, i
socialisti della S.F.I.O. sono stati considerati come dei rinnegati, dei traditori del
socialismo, come coloro che erano scesi a patto con il capitalismo imperialista.
Solo nella seconda met degli anni 30 le relazioni tra i due partiti migliorano, e
laccordo raggiunto tra Thorez e il leader socialista Blum segna linizio
dellesperienza del Fronte Popolare, che, vinte le elezioni, d vita ad un governo
a guida socialista appoggiato dai comunisti.
Dopo la guerra, quando il P.C.F. diventato il primo partito francese, le due
anime della sinistra si ritrovano unite nel governo di coalizione che guida la
ricostruzione del paese. Ma i venti della Guerra Fredda giungono anche in
Francia, e i comunisti vengono estromessi dal governo, proprio con il contributo
determinante dei socialisti. Tra P.C.F. e S.F.I.O. cala nuovamente il gelo, che
permane fino alla morte del leader comunista Thorez, nel 1964.
La segreteria di Waldeck - Rochet d limpressione di voler aprire una nuova
stagione nei rapporti con i socialisti. A conferma di ci vi lappoggio alla
candidatura Mitterand alle presidenziali del 65. Ma il maggio 68 e la
conseguente riattualizzazione del tema della rivoluzione sconvolgono i piani dei
comunisti, e cos il dialogo si interrompe nuovamente.
Nel 1972, finalmente, comunisti, socialisti e radicali di sinistra raggiungono
unintesa, non limitata alla sola scadenza elettorale, ma imperniata su un
programma di governo di legislatura, il Programma Comune, che ha il compito
di porre le basi per la trasformazione della societ. Per il P.C.F. il coronamento
di una lunga rincorsa per uscire da quel ghetto politico in cui ha vissuto per
venticinque anni.
Del resto, la necessit di perseguire una politica di alleanze, innanzitutto con i
socialisti, ma aperte a quanti pi possibile, deriva al P.C.F. dallanalisi dei due
tentativi di edificazione di una societ socialista a partire da una societ
capitalista, pi vicini cronologicamente, quello cileno e quello portoghese. Il
P.C.F., pur riconoscendo la sostanziale diversit delle due situazioni, vede una
chiave di lettura comune. Secondo i comunisti, infatti, vi sarebbero due pericoli,
diversi tra loro ma entrambi molto concreti, quando si d vita a un governo che
si pone lobiettivo di portare una societ dal capitalismo al socialismo, il primo
quello di non operare in tempo le trasformazioni democratiche delle strutture

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economiche e politiche con lappoggio del movimento popolare, quando ve ne


siano le condizioni, mentre il secondo quello di gettarsi in operazioni
avventuristiche che non corrispondono alle possibilit reali del movimento
popolare, ma siano semplicemente manifestazioni della velleit di bruciare le
tappe e conducano le forze rivoluzionarie allisolamento. [Marchais, 1976a].
Tuttavia, la soluzione per scongiurare entrambi i pericoli la medesima, ed
quella formulata da Berlinguer con il Compromesso storico, dare cio vita ad un
movimento popolare sufficientemente ampio da comprendere larghi strati
sociali, uniti dallobiettivo delle riforme.
Questa la prova, secondo il P.C.F., della sincera volont dei comunisti di
perseguire una politica unitaria della sinistra, in quanto ...essa non per noi
una tattica momentanea, ma una componente stabile della nostra strategia.
[Marchais, 1976a].
Ci che, per, crea, da subito, frizione con i socialisti , come si gi visto,
lirrinunciabile pretesa del P.C.F. di esercitare un ruolo politico dirigente nella
lotta per la trasformazione della societ. Nasce da qui la querelle sulla
proposta socialista del fronte di classe, rifiutata nettamente dal P.C.F., in
quanto la classe dei lavoratori ha il diritto di essere se stessa, senza doversi
trovare in un magma indifferenziato [Marchais, 1976a].
Allepoca della stesura del Programma Comune i rapporti allinterno della
sinistra sono, in effetti, nettamente a favore dei comunisti, con il giovane
partito di Mitterand, nato da appena due anni dalle ceneri della vecchia S.F.I.O.,
impegnato a costruirsi una propria credibilit. Il leader socialista, in questo
frangente, perci costretto a fare buon viso a cattivo gioco, accettando,
almeno formalmente, questo ruolo dirigente del P.C.F.. Ma a quanti tra i suoi
militanti lo criticano per aver stretto laccordo con i comunisti, Mitterand replica
che il suo obiettivo principale quello di dirottare due dei cinque milioni di voti
del P.C.F. verso il P.S.. Quando, votazione dopo votazione, i fatti gli danno
ragione, inevitabilmente i rapporti con il P.C.F. si deteriorano sempre di pi.
Il partito comunista, del resto, non fa nulla per rendere meno incandescente la
polemica, sostenendo con particolare ardore nella primavera del 1975, poco
prima della svolta eurocomunista, il tentativo di golpe, in rigoroso stile leninista,
del Partito Comunista Portoghese, appoggiato da una parte dellesercito ma
fortemente osteggiato dal Partito Socialista Portoghese. Una posizione, tra
laltro, quella del P.C.F., che lo vede isolato anche tra i partiti comunisti
occidentali, essendo sia il P.C.I che il P.C.E. molto critici riguardo lazione del
P.C.P., che essi giudicano un colpo di mano sconsiderato.
Altro comportamento ambiguo tenuto dal P.C.F. quello sulla force de frappe,
larsenale atomico francese. Dopo un lungo tergiversare, il partito comunista si
allinea, infine, sulla posizione gollista, che prevede la creazione e il
mantenimento di un autonomo arsenale nucleare francese. Emerge, ancora una
volta, il gallo-comunismo del P.C.F, il suo atteggiamento dichiaratamente

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nazionalista e antieuropeo, lesatto opposto dellattitudine del P.S. di Mitterand


[Tiersky, 1979].
Altro motivo di diverbio, fin dallinizio, la questione dellautogestione delle
industrie nazionalizzate, idea fortemente caldeggiata dai socialisti ma molto
osteggiata, specie nei primi tempi, dai comunisti, favorevoli ad assicurare una
certa autonomia di gestione alle imprese pubbliche e nazionalizzate, ma a
condizione che siano governo, sindacati e direzione dellazienda a stabilire il
grado dellintervento dei lavoratori [Alfa Senior, 1972].
Tutti questi problemi fanno si che lalleanza tra socialisti e comunisti, dopo il
grande risultato delle municipali del 77, che segnano il sorpasso sulla
coalizione governativa, entri in una fase di stallo. Essa certamente influenzata
dal sopravanzamento del P.C.F da parte del P.S., evento che conduce,
nellautunno 1977, prima, ad una tormentata serie di trattative per aggiornare i
vecchi accordi e, poi, alla rottura definitiva.
Sulle cause reali che hanno prodotto lo sfascio dellintesa, si sviluppato un
feroce scambio di accuse tra i due partiti, ma molti, fuori e dentro il P.C.F., sono
concordi nellindicare nel partito di Marchais il principale responsabile. Gi dai
tempi del suo XXII Congresso, il partito comunista, rendendosi conto dellormai
incontestabile sorpasso dei socialisti ai suoi danni, tenta di seguire una
strategia alternativa, quella dellUnione del Popolo Francese, volta
principalmente a circondare il partito socialista a destra come a sinistra. Si
tratta di una sorta di Compromesso storico alla francese, un progetto destinato
soprattutto alle classi medie, in particolare ai gollisti delusi da Chirac e ai
cristiani, e che vorrebbe relegare i socialisti in una posizione subordinata
[Schwab, 1981].
Ma linaffidabilit politica del P.C.F. e il suo attaccamento a idee ormai superate
e antiecologiche, come il modello economico produttivista, gli aliena lappoggio
degli ambientalisti e di ampi settori delle stesse classi medie [Baudouin, 1978,
644].
La rottura dellalleanza dei socialisti, avvenuta, secondo i comunisti, a causa di
disaccordi circa il numero di aziende da nazionalizzare, segna in realt la fine
del tentato processo, da parte del P.C.F., di omologarsi alla realt politica
nazionale, nonch, molto probabilmente, la fine dello smarcamento
eurocomunista del partito, anche se, paradossalmente, da questo momento,
Marchais rivendica per il P.C.F. proprio questo attributo.
In realt, per, la vera causa del fallimento dellUnion de la Gauche da
ricercarsi nel carattere esclusivamente elettoralista di unalleanza in cui ognuno
dei due partner ha puntato pi a indebolire laltro che a vincere insieme.
Per quanto riguarda le colpe del P.C.F., si pu parlare di un concorso tra una
grande paura e un grave errore politico.

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Lerrore stato quello di aver giudicato inutile associare la base del partito
allelaborazione del progetto dellalleanza con il P.S., e di non aver consentito, in
conseguenza di ci, alla formazione di comitati di unit popolare, privandosi, in
tal modo, di un formidabile strumento per mobilitare la base socialista contro la
presunta svolta a destra del vertice del partito.
Inoltre, le stesse vibranti proteste del P.C.F. contro questo cambio di strategia
politica operato dal P.S., sono giunte con circa tre anni di ritardo. Risale, infatti,
alle presidenziali del 74 il momento in cui il programma politico ed economico
del candidato socialista Mitterand, per altro pienamente sostenuto dai
comunisti, ha cominciato a divergere dal Programma Comune.
La paura, di cui il P.C.F. accusato sia dai socialisti che da alcuni dei suoi stessi
intellettuali, come Althusser, sarebbe stata, invece, dovuta alla circostanza di
trovarsi di fronte ad una situazione economica piuttosto difficile, che non
consentiva un aumento della spesa pubblica, ma che, anzi, costringeva a dover
assumere misure molto impopolari. Ci avrebbe spaventato i comunisti e li
avrebbe indotti a porre fine allalleanza, prevaricandosi cos la sola opportunit
praticabile di diventare un credibile partito di governo [Duhamel, 1979].
I tentativi del P.C.F. di porsi come forza di governo.
Secondo Lavau tre sono le esigenze funzionali per un sistema politico. La prima
lesistenza di una grande forza politica di opposizione capace di convincere i
suoi militanti a rispettare certe regole basilari del sistema stesso. In secondo
luogo necessaria una forza politica che agisca come un tribuno del popolo,
in modo cio da incanalare verso vie legali e istituzionali la protesta dei
cittadini. Infine, indispensabile lesistenza di un partito capace di porsi come
alternativa credibile.
Negli ultimi anni, a parere del politologo francese, il P.C.F. avrebbe operato per
soddisfare queste tre esigenze, non riuscendo tuttavia a farsi completamente
accettare come alternativa di governo, proprio per il suo contemporaneo
comportarsi da tribuno, malgrado un deciso sforzo per legittimare certi
elementi del sistema politico.
Del resto, per il P.C.F., lunica soluzione per convincere veramente lopinione
pubblica moderata delle proprie buone intenzioni operare una seria svolta
politica. In effetti, nei primi tempi dellUnion de la Gauche, il partito comunista
sembra veramente deciso ad avviare la sua trasformazione.
Lenfasi per le grandi conquiste dellUnione Sovietica e delle democrazie
popolari diminuisce un po' di intensit, e le performance del socialismo sono
esaltate solo quando qualcuno le mette in dubbio. Anche latteggiamento verso
lAlleanza Atlantica muta sensibilmente, venendo sostanzialmente accettata la
permanenza della Francia in questa struttura anche nel caso di una vittoria
delle sinistre, a patto che ci non nuoccia alla politica di indipendenza condotta
da un governo democratico [Baudouin, 1978].

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La Comunit Europea, pur essendo ancora definita: ...la piccola Europa del
capitale e dei trust, viene riconosciuta ormai come una componente stabile e
di primo piano del contesto politico occidentale, la quale, pur tra innumerevoli
errori, ha ottenuto, nel corso degli anni, buoni risultati in certi settori, in
particolare nella difesa dellagricoltura francese dalla concorrenza statunitense.
Una svolta importante si ha anche nel mutato atteggiamento del P.C.F. riguardo
alle
Istituzioni
comunitarie.
Esse
sono
sempre
state
definite:
...antidemocratiche e asservite al grande capitale, ma, nellaprile 77, il
partito comunista si dichiara improvvisamente favorevole alle elezioni a
suffragio universale per il Parlamento Europeo, purch lassetto dei poteri di
questo organismo resti immutato e, quindi, molto limitato. E una parziale
legittimazione delle Istituzioni comunitarie.
Ma, certamente, la proposta su cui i comunisti puntano tutte le loro ambizioni
lobiettivo di edificare un socialismo dai colori della Francia, come recita lo
slogan del XXII Congresso, un tipo di socialismo distinto da tutti i precedenti
modelli e, in particolare, da quello sovietico, del quale, anzi, si criticano gli
aspetti pi burocratizzati e illiberali.
Prima del Congresso il documento pi importante che mette in luce la volont
del partito di evolversi in senso liberale, la Dichiarazione delle Libert del
maggio 1975, dove, per la prima volta nella storia del P.C.F., non si fa menzione
del termine socialismo. Il P.C.F. si dice deciso non solo a confermare tutte le
libert gi garantite dalla Costituzione in vigore, ma anche ad ampliarne il
numero, introducendone di nuove, in modo da condurre la democrazia
jusquau but, al suo grado massimo.
La democrazia ritenuta:
...il terreno principale della lotta di classe rivoluzionaria per la
trasformazione della societ, e solo delle riforme democratiche
profonde danno alla nazione la piena disposizione del suo sviluppo
economico e sociale, assicurando la partecipazione dei lavoratori alla
direzione degli affari del Paese. [Kanapa, 1977].

Per questo la crescita della democrazia, secondo il partito comunista, va


sviluppata su tre fronti, innanzitutto quello sociale, ponendo fine alle
ineguaglianze che gravano in particolare sulla classe lavoratrice, in seguito
quello economico, attraverso le nazionalizzazioni, la partecipazione dei
lavoratori alle decisioni economiche delle imprese e la pianificazione
democratica, infine il fronte politico.
Nel suo discorso al XXII Congresso Marchais molto esplicito nellaffermare che
non sono tollerabili restrizioni alle libert e ai diritti della democrazia e che:
...niente pi estraneo alla nostra concezione del socialismo di ci
che viene chiamato comunismo da caserma, che incasella in moduli
identici tutto e tutti... Se il carattere di certe libert oggi puramente
formale perch il regime borghese le ha svuotate del loro
contenuto. [Marchais, 1976a].

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In particolare sulle regole del gioco democratico il discorso del leader appare
del tutto nuovo rispetto alla prassi comunista. Dichiara infatti Marchais:
Nella battaglia per il socialismo, nulla pu sostituire la volont della
maggioranza democraticamente espressa come la lotta e il suffragio
universale. Qualunque sia la via al socialismo nel nostro Paese, quali
che siano le sue modalit di attuazione, bisogna essere convinti che
ad ogni tappa maggioranza politica e maggioranza aritmetica devono
coincidere. [Marchais, 1976a].

Si pu agevolmente notare che tra gli insegnamenti di Lenin e le parole di


Marchais il salto notevole.
Tuttavia permangono molti dubbi su quanto dichiarato dal massimo dirigente
comunista, soprattutto riguardo al tema del pluralismo politico. Infatti, secondo
Marchais, sbagliano quanti affermano che i regimi dei Paesi dellEst sono tutti a
partito unico, perch, in realt, in stati come la Bulgaria e la Germania Est, per
non parlare della Polonia, vi sarebbero dei veri e propri sistemi multipartitici. Ci
fa supporre che al concetto di pluralismo politico il P.C.F. associ il significato che
gli altri partiti politici, nella nuova societ socialista, non debbano avere altro
ruolo che quello di mera mobilitazione del sostegno popolare al regime guidato
dal solo, vero partito rivoluzionario [Schwab, 1981].
Le proposte di riforma politica avanzate dal P.C.F..
Nel periodo di transizione che dovrebbe condurre la societ francese dal
capitalismo al socialismo, la prima fase rappresentata dalla democrazia
avanzata, nella quale si dovrebbe porre fine al potere dei monopoli, attraverso
una profonda riforma democratica della politica e delleconomia [Laot, 1977,
32]. Questa riforma , per, vincolata al delicato sistema di rapporti in seno alla
sinistra. Cos, dal momento della firma del Programma Comune fino a tutto il
1974, il P.C.F., convinto della propria superiorit organica e culturale nei
confronti dei socialisti, persegue una politica di chiaro stampo giacobino e
centralista, imperniata su una strategia di occupazione delle istituzioni chiave
dello Stato, senza alcun accenno al decentramento. Ma, dal 1975, e ancor pi
dopo lavvenuto sorpasso elettorale, dal 1977, la strategia muta e lobiettivo dei
comunisti diventa la penetrazione dello Stato a partire dalla periferia [Baudouin,
1978, 440].
Questo lo si pu rilevare innanzitutto a proposito del diverso atteggiamento del
partito verso le municipalit. Non solo il P.C.F. si dichiara estremamente
favorevole ad un pi ampio decentramento, sia politico che economico, ma
mostra interesse anche verso problemi, fino a quel momento, ad esso del tutto
estranei, come, ad esempio, il tempo libero [Milch, 1976].
Loffensiva antiburocratica e anticentralista prende ufficialmente il via con il
XXII Congresso, dove Marchais proclama:
... proprio nel regime attuale che si va sviluppando una burocrazia
tecnocratica che pretende dominare ogni aspetto della vita nazionale;

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lo Stato del grande capitale che esercita unassillante tutela sulle


collettivit locali. Noi lottiamo contro questo autoritarismo, questa
soffocante centralizzazione di potere... [Marchais, 1976a].

Il P.C.F. combatte anche una battaglia per rendere la cultura ...non pi un


oggetto di mercato e nemmeno di lusso, ma un bene comune a tutti gli
uomini. Da qui la difesa ad oltranza della scuola pubblica, ritenuta una delle
poche possibilit che la societ capitalista offre alle famiglie lavoratrici [Lavau,
1976, 96].
Sul tema delle riforme istituzionali latteggiamento del P.C.F. molto chiaro.
Antipresidenzialista per eccellenza, il partito comunista vuole una grande
riforma costituzionale, che limiti in maniera considerevole i poteri presidenziali,
sia per la politica interna che per quella estera. Anche la funzione del governo si
vorrebbe ridefinita, in modo da fare di esso solamente un organo collettivo di
deliberazione, incaricato di applicare le leggi votate [Baudouin, 1978, 507].
Recuperare il ruolo centrale del Parlamento e ripristinare lo scrutinio
proporzionale, sono questi i veri cavalli di battaglia del P.C.F.. Per i comunisti
inammissibile il progressivo depauperamento che lAssemblea Nazionale ha
conosciuto a partire dallistituzione della V Repubblica. Cos si esprime
Marchais: Il funzionamento, le condizioni di lavoro dellAssemblea Nazionale ne
fanno oggi un simulacro, una parodia di Parlamento. [Marchais, 1976a]. Nei
progetti dei comunisti, invece, c una repubblica di tipo parlamentare, con
trasferimento di molte competenze statali alle regioni e ai dipartimenti.
Per quanto riguarda la riforma del sistema elettorale, scontata la richiesta
comunista di abbandonare il maggioritario, ritenuto da sempre eccessivamente
penalizzante per il partito comunista e, fondamentalmente, antidemocratico.

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Capitolo Sesto
La politica nazionale del P.C.E. negli anni del- lEurocomunismo.
La situazione politica spagnola allepoca dellEurocomunismo
La situazione del Partito Comunista di Spagna, fino al 1977, radicalmente
diversa da quella dei comunisti italiani e francesi, essendo esso costretto alla
clandestinit da un regime, che, sebbene in agonia, non attenua per nulla la
sua durezza.
Il legame a filo doppio tra il regime e il suo fondatore, indica la palese
limpossibilit per la dittatura di sopravvivere alla morte del Caudillo.
Dopo aver conosciuto un certo sviluppo economico, in particolare nellindustria
pesante, negli anni 50 e 60, la Spagna vive forse in misura pi grave di altri
Paesi, la grave crisi economica che ha colpito tutto il mondo occidentale nei
primi anni 70. La protesta sociale e il malcontento crescono, mentre il regime
risponde solo con la repressione. Centinaia di persona vengono arrestate,
torturate e, a volte, uccise.
Lopposizione, braccata dalla polizia, cerca di mobilitare le masse. Si hanno
disordini in un po' tutta la Spagna, in particolare a Madrid, a Barcellona, nelle
altre principali citt e nelle regioni a forte concentrazione industriale, come le
Asturie. La strategia pi seguita quella della penetrazione nelle organizzazioni
sindacali del regime per organizzare da l la protesta dei lavoratori.
Ma la dittatura si fa ancora pi oppressiva e la Spagna, negli ultimi mesi di vita
di Franco e fino alla sua morte, nel novembre 1975, diventa uno Stato-caserma.
Il P.C.E., molti leader del quale hanno provato in prima persona le durezze della
guerra civile, vive con un sentimento di paura mista a trepidazione questultima
fase della dittatura. Lopzione del colpo di stato alla maniera portoghese fuori
discussione, in quanto si ritiene che gli Spagnoli, dopo una guerra civile che ha
spaccato in due il Paese e dopo quarantanni di dittatura, non accetterebbero
una nuova lacerazione drammatica.
Il P.C.E. vuole abbattere il regime franchista in maniera incruenta, ma in modo
che nella lotta per la riconquista della libert il ruolo dei comunisti sia di primo
piano, cos da riuscire a convincere lopinione pubblica della propria affidabilit
sul terreno della democrazia.
La stagione dellEurocomunismo in piena fase ascendente durante la
transizione della Spagna verso la democrazia. Carrillo certamente
lavanguardia di questa nuova strategia, per temperamento, forse, ma
soprattutto perch lEurocomunismo rappresenta per il partito spagnolo la carta

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su cui puntare tutto per migliorare la propria immagine. Lobiettivo del P.C.E.
duplice. Innanzitutto rendere evidente che possibile costruire una societ
socialista democratica, molto differente dalle esperienze socialiste esistenti, e,
in secondo luogo, dimostrare che i partiti comunisti, quando operano in un
contesto politico democratico, come nel caso del P.C.I. e del P.C.F., non
costituiscono un pericolo per la libert, ma sono, anzi, un elemento valido ed
indispensabile per la crescita complessiva della democrazia.
Non un caso se Carrillo il leader che pi di tutti desidera dare
allEurocomunismo una struttura e unorganizzazione stabile, cos da farne
veramente un nuovo polo del comunismo, e da rendere pi palese la presa di
distanza da Mosca.
Questa scommessa del P.C.E, di considerare lo smarcamento eurocomunista
come lo strumento pi adatto per riuscire a diventare protagonista delle
profonde trasformazioni in atto nella nuova Spagna, si rivela, tuttavia, col
passare del tempo, piuttosto deludente. Carrillo, comunque, non ha di fronte
molte alternative. Per il leader spagnolo la via eurocomunista rappresenta
unestensione della democrazia sul piano economico e sociale:
Allo stesso modo in cui la societ partecipa alla direzione della
politica dello Stato, si tratta di fare in modo che essa partecipi alla
direzione, alla propriet e ai benefici delleconomia. [Carrillo, 1977a].

Anche per il P.C.E. i fatti cileni insegnano una lezione, quella per cui, anche se le
forze socialiste vanno al governo, non si risolve il problema dello Stato, anzi, si
pu creare un dualismo molto pericoloso tra il governo socialista e lapparato
dello Stato capitalista, che pu portare questultimo a boicottare e, perfino, ad
abbattere lesecutivo. Da ci deriva, quindi, la necessit di stringere quella che
Carrillo chiama lalleanza delle forze del lavoro e della cultura. Il governo che
essa esprimer dovr garantire, nella fase che conduce alla costruzione della
societ socialista, la permanenza della propriet privata media e piccola
accanto alla propriet pubblica, perch:
...lesperienza insegna che la socializzazione radicale a breve termine
di tutti i mezzi di produzione e di scambio determina una distruzione e
una disorganizzazione delle forze produttive e dei servizi. [Carrillo,
1975].

La moderazione sicuramente una costante della strategia del P.C.E., e la


testimonianza pi eclatante la si ha nella vicenda del riconoscimento della
monarchia.
A seguito della scomparsa di Franco, dopo un primo momento segnato dal netto
rifiuto dei comunisti di accettare listituto monarchico in generale, e la figura di
Juan Carlos in particolare come sovrano legittimo, in quanto designato dallo
stesso Franco, il P.C.E. riconosce, infine, al giovane re di aver condotto in modo
pi che dignitoso il Paese durante la difficile fase di transizione verso la
democrazia. In effetti, ad eccezione della breve parentesi dei mesi
immediatamente successivi alla morte di Franco, quando il governo formato

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dai vecchi collaboratori dello stesso dittatore, Juan Carlos ha sempre perseguito
una linea politica moderata, di riconciliazione nazionale, chiamando un
centrista, Suarez, alla guida dellesecutivo.
In questa fase, durata circa un anno e conclusasi, nel maggio 77, con le prime
elezioni libere dopo oltre quarantanni, si sono operati importanti cambiamenti
in senso democratico. Oltre alla legalizzazione di tutti i partiti politici, da ultimo
il P.C.E., nel marzo 77, si sono poste le basi per le successive trasformazioni
delle istituzioni, in particolare gli organismi regionali e, soprattutto, si
smantellato loppressivo regime di polizia.
Per i comunisti, se il 1976 stato ancora un anno molto difficile in quanto
permaneva lo stato di illegalit del partito e continuavano, quindi, gli arresti dei
militanti, il 1977 rappresenta la liberazione e la fine della clandestinit. Il primo
(e unico) vertice eurocomunista, che si svolge a Madrid allinizio del mese di
marzo del 77, segna il primo grande atto pubblico del P.C.E.. Nel maggio
successivo si svolgono le elezioni politiche. Per il partito comunista, tuttavia,
queste si rivelano una mezza delusione, in quanto esso raccoglie meno del 10
% dei consensi, con una punta massima del 20 % a Barcellona.
La sinistra controllata saldamente dai socialisti di Gonzales, capaci di
elaborare un programma probabilmente pi vicino alle aspettative di un Paese
che vuole s cambiare, ma non in modo traumatico.
Le difficolt del P.C.E. dopo la riacquistata libert.
Le prime elezioni libere vedono il successo di una maggioranza moderata, la
coalizione di centro-destra guidata dal confermato premier Suarez. Il dato pi
importante di questo appuntamento elettorale , tuttavia, la forte
penalizzazione delle due ali estreme dello schieramento politico. Del deludente
score del P.C.E. si gi detto, ma ancor peggio va al movimento che
maggiormente si richiama ai principi franchisti, lAlianza Popular di Fraga
Iribarne, che non raggiunge nemmeno il 9 %.
Vincitori e vinti concordano, comunque, nel riconoscere che ormai
indispensabile e urgente avviare la Spagna verso la democrazia. Per questo
motivo rappresentanti di tutti i partiti si incontrano per definire una tabella di
marcia per avviare le riforme pi importanti e stabilire i contorni della nuova
Costituzione. Questa intesa fra tutte le forze politiche chiamata Pacto de la
Moncloa, perch raggiunta nel palazzo dove ha sede il governo. Il P.C.E. ,
certamente, uno tra i partiti che maggiormente hanno caldeggiato questo
accordo, che segna, di fatto, la fine di ogni discriminazione anticomunista.
Tuttavia, il P.C.E. non riesce nemmeno in questa fase a legittimarsi
completamente agli occhi dellopinione pubblica moderata per una serie di
ragioni, tra le quali la difficile sintonia con i cattolici, di cui si parlato in
precedenza e, soprattutto, larroventato rapporto con i socialisti, verso i quali i
comunisti nutrono una profonda diffidenza, molto difficilmente superabile e che,
anzi, conosce unaccentuazione nei mesi successivi alle elezioni. Ci

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nonostante, nel documento politico finale del IX Congresso del P.C.E., nellaprile
78, si dichiara che:
Il partito comunista perseverer nellimpegno di realizzare la pi
ampia collaborazione con il P.S.O.E. e con le altre formazioni socialiste,
ai fini del consolidamento e dello sviluppo della democrazia insieme
con altre forze democratiche. [IX Congresso del P.C.E., Tesi n15,
aprile 1978].

Lobiettivo dei comunisti infatti quello di:


...realizzare una nuova formazione politica a cui partecipino i partiti che si ispirano al
socialismo che, pur rispettando la personalit e lindipendenza di ognuno dei suoi
componenti, riunisca le forze di tutti e costituisca una reale alternativa di governo ai
partiti borghesi, in grado di realizzare il socialismo nella democrazia. [Tesi n15].

Il progetto si dimostrer per, nei fatti, impraticabile.


Altri problemi sorgono nel P.C.E., come la delusione di molti militanti comunisti
di non essere riusciti ad abbattere la dittatura, pur avendone pagato il prezzo
pi alto, e di assistere quasi in modo passivo alla fase di transizione alla
democrazia, dove il controllo del potere nelle mani della borghesia [Alf, 1979].
Questo periodo storico si rivela, in effetti, del tutto diverso da quello
immaginato dal P.C.E., perch non si verifica alcun crollo improvviso delle
vecchie istituzioni franchiste, ma, al contrario, i settori pi aperti del regime si
dimostrano capaci di gestire molto bene la progressiva costruzione dello Stato
democratico [Calamai, 1978].
Alcuni militanti rimproverano inoltre al partito di essersi impegnato in modo
contraddittorio di fronte ai difficili compiti di questo momento politico, rilevando
un notevole ritardo di analisi e di comprensione del processo in atto. Non un
caso che proprio le tesi sulla natura del processo di transizione e sul ruolo del
partito in questo momento chiave, siano tra le pi discusse e le pi modificate
di tutto il Congresso. Un grande problema del P.C.E. proprio il fatto di non
essere riuscito a porsi compiutamente come partito con una prospettiva di
governo, oltre che di lotta, cosa che stata in grado di fare il P.C.I., anche se,
occorre riconoscerlo, agendo in piena libert da pi di trentanni, e non da soli
pochi mesi [Alf, 1978].
Infine, lultima difficolt per i comunisti spagnoli quella di trovarsi di fronte ad
un alto rischio di competizione a sinistra, proprio a causa della scelta
eurocomunista [Linz, 1978].

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Capitolo Settimo
LEurocomunismo di fronte alla crisi delleconomia occidentale.
Lanalisi degli eurocomunisti della crisi economica.
Secondo un ex esponente di primo piano del P.C.E., Fernando Claudin, la crisi
economica che ha colpito in modo drammatico il mondo occidentale, alla met
degli anni 70, sarebbe da considerare, insieme alla crisi politica dellEuropa
meridionale e alle difficolt della socialdemocrazia europea, una delle
condizioni che hanno favorito lemergere dellEurocomunismo.
Questa crisi leffetto di una serie di situazioni negative che hanno preso il via
con labbandono, nellagosto 1971, del regime di cambi fissi di Bretton-Woods,
evento che ha decretato la fine della parit tra oro e dollaro e che ha
determinato la svalutazione di questultimo, e che hanno raggiunto lapice con
il primo shock petrolifero, originato dallimprovviso triplicarsi del prezzo del
greggio a seguito della guerra del Kippur tra Egitto e Israele nellottobre 1973.
Entrambi questi avvenimenti hanno generato un fortissimo incremento dei
prezzi di tutti i prodotti e, dunque, un preoccupante aumento dellinflazione,
con conseguenze molto negative soprattutto per loccupazione.
Secondo le analisi condotte dai tre partiti eurocomunisti, tuttavia, questi due
eventi sarebbero soltanto delle cause secondarie, mentre la vera radice del
problema sarebbe costituita dalla grave crisi strutturale del capitalismo. Le
conseguenze di questa crisi si sono fatte sentire maggiormente nellEuropa del
Sud, in quanto essa rappresenterebbe lanello pi debole del sistema
capitalista.
Inoltre, secondo alcuni leader eurocomunisti, lOccidente starebbe anche
scontando gli effetti della fine del colonialismo e, perci, si troverebbe costretto
a pagare a prezzo di mercato ci che prima non costava praticamente nulla
[Berlinguer E., 1973d].
Secondo il P.C.F. il nocciolo del problema starebbe nella palese impossibilit, per
il sistema capitalista, di sostenere un ritmo di sviluppo accettabile. Preso atto di
ci, i grandi trust e i monopoli vorrebbero obbligare lo Stato a piegarsi alle loro
esigenze, per dar vita a quella fase dellimperialismo che chiamata
capitalismo monopolistico di Stato.
A parere del P.C.E., nella Spagna post-franchista vi sarebbero segnali di una
pericolosa alleanza tra il grande capitale finanziario e le forze reazionarie della
vecchia aristocrazia ai danni della classe operaia e della piccola borghesia, una
situazione che fa dello Stato, come afferma Carrillo, un semplice gestore del
grande capitale [Holland, 1979].

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Lanalisi del P.C.I. si concentra, in particolare, sui risvolti nazionali della crisi,
anche perch il partito ritiene che lItalia sia il paese del mondo capitalistico pi
seriamente colpito. Il segretario Berlinguer delinea i grandi errori economici e
anche politici che sarebbero allorigine di questa difficile situazione. Innanzitutto
labbandono della difesa del suolo e di migliaia di ettari di terra, cosa che ha
portato lItalia a dover importare prodotti agricoli per migliaia di miliardi. In
secondo luogo, laver fatto della produzione di autovetture private lelemento
trainante dello sviluppo industriale e della spesa pubblica per infrastrutture, a
discapito di altre strutture, come i trasporti pubblici.
Infine, una politica energetica:
... che ha visto da una parte il pullulare di raffinerie ben oltre il
fabbisogno del Paese, per di pi nelle mani di privati, e dallaltra parte
un insufficiente numero di centrali elettriche e di elettrodotti che
colpisce in modo particolare lo sviluppo economico del Mezzogiorno.
[Berlinguer E., 1973d].

Il segretario comunista indica qual la prima cosa da fare per avviare il


risanamento
del
Paese:
Unautentica politica di moralizzazione civile deve essere combattuta
per liquidare le pratiche della corruzione e delle clientele e per far
funzionare correttamente le pubbliche amministrazioni. [Berlinguer
E., 1976b].

Molte critiche sono mosse anche ai criteri con cui gli strumenti economici dello
Stato sono utilizzati. Dichiara Berlinguer:
Non leffettivo bisogno o il merito sono i requisiti per stabilire i
destinatari dellintervento dello Stato, ma larbitrariet, la casualit, lo
sperpero, il clientelismo e linfluenza esercitata dai gruppi economici
dominanti. [Berlinguer E., 1975a].

Il P.C.I. vede una possibile soluzione della crisi nella ristrutturazione dei consumi
delle famiglie, e ci una conferma dellimportanza che linflusso keinesiano ha
avuto sul modo di analizzare i problemi delleconomia da parte dei comunisti
italiani [Holland, 1979].
Questa caratteristica del P.C.I. riconoscibile, in particolare, nellelaborazione
degli obiettivi economici che esso vuole raggiungere a breve e media scadenza,
traguardi certo pi consoni a un partito socialdemocratico che non a una
formazione di matrice leninista. Infatti, secondo Berlinguer:
...le esigenze primarie sono: il contenimento dellinflazione, la
riduzione progressiva del deficit della bilancia dei pagamenti, la difesa
e lo sviluppo delloccupazione e delle attivit produttive. [Berlinguer
E., 1974b].

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La stampa non comunista parla di comunismo manchesteriano, mentre, in


questi anni, la parola dordine in campo economico austerit. Berlinguer
molto chiaro su questo punto. Essa non deve essere considerata come un
normale strumento di politica economica che si propone di superare le difficolt
congiunturali del sistema capitalistico e consente, cos, la ripresa e il
ristabilimento dei vecchi meccanismi economici e sociali. Per il P.C.I. lausterit:
... il mezzo per attaccare alla radice un sistema che entrato in
una crisi strutturale e per porre le basi per il suo superamento...
Austerit vuol dire regole, efficienza e giustizia... Dunque, lungi da
essere una concessione agli interessi dei gruppi dominanti, lausterit
pu divenire una scelta politica con un alto contenuto di classe.
[Berlinguer E., 1977a].

Negli intendimenti del P.C.I. si vuole aprire una nuova fase dello sviluppo
delleconomia italiana, che superi i vecchi modelli di comportamento segnati da
un individualismo sasperato e socialmente discriminante.
Tuttavia, secondo alcuni esponenti dei movimenti di estrema sinistra, il
presentare, da parte del partito comunista italiano, questa crisi economica
come catastrofica per lo Stato democratico e potenzialmente assai pericolosa
per le conquiste della classe operaia, determina la trasformazione dello stesso
partito in un fattore di ordine, che lo porta a guadagnarsi, certamente, la
riconoscenza della classe media, ma che lo allontana progressivamente dagli
interessi reali della classe lavoratrice [Mandel, 1977, 41].
Le proposte di riforma avanzate dal P.C.I. e dal P.C.E..
Le riforme economiche portate avanti dal P.C.I. si muovono lungo tre direzioni:
pianificazione democratica, autonomia decisionale delle singole imprese e
maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Secondo il
partito italiano:
...uneffettiva programmazione democratica dello sviluppo permette
di sottrarre alle concentrazioni monopolistiche, ai grandi gruppi
finanziari e alle societ multinazionali il potere di determinare gli
indirizzi dello sviluppo generale del Paese. [Berlinguer E., 1974b].

Lobiettivo principale, secondo il P.C.I., deve essere quello dello sviluppo


economico e sociale del Mezzogiorno. Esso perseguibile solo attraverso lo
strumento della programmazione, il quale:
...non deve sovrapporsi meccanicamente e autoritariamente alle
leggi di mercato... ma deve utilizzare nel modo giusto le stesse leggi
di mercato, per effettuare uno spostamento massiccio di mezzi
finanziari verso lagricoltura e la ricerca scientifica. [Berlinguer E.,
1974b].

Il partito comunista italiano, del resto, fermamente contrario alla soppressione


del mercato e dei suoi rapporti di produzione, come avvenuto in U.R.S.S., ma
vuole impedire che siano solo pochi monopoli a dettare legge, sia per ci che

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riguarda i prezzi, sia per quanto concerne la struttura dei consumi e della
produzione, sia, infine, per lutilizzazione e la distribuzione delle risorse. La
pianificazione, secondo il P.C.I., va intesa come capacit di innovazione e di
competizione, prevista su base regionalista e va collegata alla riforma dei
finanziamenti delle amministrazioni locali [Holland, 1979].
In termini concreti, i settori economici che il P.C.I. ritiene necessitino di
unaccurata pianificazione sono, prima di tutto, i trasporti pubblici, sia per lo
sviluppo della loro produzione che per la riorganizzazione del traffico nelle citt.
In secondo luogo, i comunisti reputano necessario un piano per assicurare la
copertura del fabbisogno energetico del Paese. Infine considerata
indispensabile una pianificazione dellagricoltura, che si proponga lobiettivo del
recupero delle terre abbandonate e la difesa del suolo [Berlinguer E., 1973d].
Un punto su cui la strategia dei comunisti italiani diverge di molto da quella dei
francesi lincremento delle industrie pubbliche. In effetti, i principali esponenti
del partito italiano hanno pi volte ripetuto che la questione non tanto di
aumentare il numero di settori industriali nazionalizzati, cavallo di battaglia del
P.C.F. e pomo della discordia con il P.S., uanto, piuttosto, di risanare e riordinare
leconomia pubblica attraverso:
...una conduzione della spesa pubblica fissata da criteri di severit e
di rigorosa selezione, tagliando dove c da tagliare e favorendo
invece laccrescimento della spesa nei settori produttivi e in quelli di
grande interesse sociale. [Berlinguer E., 1974b].

Per questo motivo il P.C.I. porta avanti con decisione una battaglia contro i
parassitismi e le rendite, in particolare quella finanziaria, la quale per
considerata, in modo erroneo, soltanto un sovrareddito lucrato dalle banche e
non anche un essenziale servizio di collegamento tra risparmiatori e produttori
[DAngelillo, 1986, 156].
Il P.C.I. propone, inoltre, un riordino del sistema fiscale, che passi innanzitutto
attraverso la tassa patrimoniale:
...per introdurre finalmente criteri di elementare giustizia nella
distribuzione del reddito e per impedire le scandalose evasioni che
oggi si verificano. [Berlinguer E., 1975a].

Infine interessante notare la posizione del P.C.I. a proposito delle


multinazionali. I comunisti, infatti, non desiderano che queste imprese se ne
vadano dallItalia, qualora essi dovessero partecipare ad un governo o guidarlo.
A queste imprese si riconoscono addirittura degli elementi positivi, come
linternazionalizzazione dei processi economici, lunificazione dei mercati
mondiali, la diffusione dei capitali. Il P.C.I. propone di regolamentare la loro
attivit sul modello canadese, vale a dire piena libert per le multinazionali a
condizione che esse mostrino di arrecare un beneficio rilevante alleconomia
nazionale [Luciani, 1977, 62].

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Di tutte queste proposte di riforma, tuttavia, il P.C.I. riesce a metterne in opera


ben poche, ed anzi costretto a fare parecchie concessioni sulle conquiste
sociali gi acquisite, come nel caso dellaccordo Lama-Agnelli del gennaio 75,
che fissa un nuovo meccanismo per il calcolo della contingenza. Allo stesso
modo, quando il partito comunista italiano entra nella maggioranza del Governo
detto di Solidariet nazionale, costretto ad accettare le severe misure
economiche proposte dallo stesso per combattere linflazione. Questa, allora,
viene immediatamente presentata dal Comitato Centrale dellottobre 76 come
il pericolo pi grave per le masse, in forza della quale legittimo chiedere dei
sacrifici [DAngelillo, 1986, 12]. Tutto ci provoca, per, un certo disagio tra i
militanti, e genera, soprattutto, le aspre critiche da parte dellestrema sinistra,
che ritiene che i dirigenti comunisti stiano scivolando verso analisi
pericolosamente prossime a quelle dei grandi industriali, in particolare verso
quella che reputa laumento dei salari come una delle cause principali
dellinflazione [Mandel, 1978].
Anche le proposte di riforma economica avanzate dal P.C.E. sono oggetto di forti
perplessit da parte di esponenti politici dellestrema sinistra e di molti stessi
comunisti.
In effetti il programma economico elaborato per le elezioni politiche del 77
certamente un esempio di moderazione. Si chiede la nazionalizzazione
immediata soltanto per le grandi banche e per le industrie che agiscono in
monopolio, mentre la piccola e la media propriet verrebbero garantite ancora
per lungo tempo [Holland, 1979]. Questa linea politica moderata giustificata
dal vertice del partito con la ragione che il fragile cammino della Spagna sul
terreno della democrazia non deve conoscere scarti improvvisi e
potenzialmente molto pericolosi, ma deve procedere in modo tranquillo e
lineare.
Il caso del P.C.F.: la difficolt
riforma adeguate ai problemi correnti.

di

formulare

proposte

di

Se moderazione e gradualit negli obiettivi da raggiungere sono le principali


caratteristiche della strategia politica del P.C.E. e del P.C.I., il Partito Comunista
Francese fa dellintransigenza la sua linea politica. Le rivendicazioni sociali, a
differenza del partito italiano, non sono pressoch mai di natura qualitativa e
sono volte, quasi esclusivamente, ad ottenere aumenti salariali e il
mantenimento dei posti di lavoro [Baudouin, 1978, 463].
Per il P.C.F. indispensabile un incremento quantitativo dellintervento dello
Stato sulleconomia e, difatti, le nazionalizzazioni rappresentano la disposizione
centrale del Programma comune. Marchais in pi di una occasione afferma:
I grandi mezzi di produzione e di scambio dovranno diventare
propriet della societ... Non esiste socialismo se questa condizione
non viene realizzata. [Marchais, 1976a].

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Ci allorigine dei contrasti con il P.S., il quale privilegia pi la


democratizzazione del settore pubblico che non la sua estensione. Del resto, le
nazionalizzazioni per il P.C.F. non rappresentano solo una battaglia ideologica,
ma sono soprattutto un atto di affermazione della sovranit nazionale.
Fabbrichiamo francese e compriamo francese , infatti, lo slogan ricorrente
dei comunisti nella lotta contro le multinazionali [Baudouin, 1978, 475].
Sulle nazionalizzazioni un accordo tra i due partiti della sinistra francese
comunque raggiunto, e prevede che esse siano immediate per le banche e gli
istituti di credito, pi graduali, invece, per le risorse minerarie e per le industrie
aerospaziali e farmaceutiche. Inoltre, si dovrebbe pervenire, entro breve
termine, ad una regolamentazione dei trust siderurgici, petroliferi e dei trasporti
aerei, mediante una partecipazione dello Stato con quota maggioritaria [Alfa
Senior, 1972]. E significativo il fatto che proprio sulla questione del numero
delle imprese da nazionalizzare, si consumi la rottura dellalleanza tra i due
partiti nel settembre 1977.
Un altro motivo di contesa con i socialisti rappresentato dalla questione
dellautogestione. Per il P.C.F. essa da affrontarsi solo dopo che si proceduto
alle nazionalizzazioni, quando si risolverebbe semplicemente con lelezione dei
consigli operai sulla base delle rappresentanze sindacali riconosciute [Holland,
1979]. Alcune intese programmatiche sono, in ogni caso, raggiunte con i
socialisti anche su questo punto. Cos, ad esempio, entrambi i partiti
concordano nellaffermare che lintervento dei lavoratori nella gestione delle
imprese debba venire stabilito da un consiglio composto da rappresentanti del
governo, dalla direzione dellazienda e dai rappresentanti degli operai, intesi
esclusivamente come i sindacati ufficialmente riconosciuti.
Riguardo alla propriet sociale, il P.C.F. dichiara che essa non sar costituita
esclusivamente dalle nazionalizzazioni, ma che
... essa rivestir forme diverse, come la propriet cooperativa,
municipale, dipartimentale, regionale. Nello stesso tempo, in tutta una
serie di campi, la piccola propriet privata (artigianale, commerciale e
industriale), la propriet agricola a carattere famigliare permettono
una migliore soddisfazione dei bisogni e saranno perci mantenute
anche in una Francia socialista. [Marchais, 1976a].

E, comunque, molto eloquente lomissione della garanzia del mantenimento


della media propriet, esplicitamente riconosciuta da P.C.I. e P.C.E..
Il rapporto tra i partiti eurocomunisti e le organizzazioni sindacali a
loro affini.
I profondi cambiamenti ideologici e politici in atto nei tre partiti che danno vita
allEurocomunismo, si riflettono anche sui movimenti sindacali che fanno
riferimento alle loro medesime posizioni politiche.
Il sindacato comunista francese, la C.G.T. (Confederation General du Travail),
oltre ad essere lorganizzazione pi grande e rappresentativa del Paese,

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anche lunica ad appoggiare in modo esplicito il Programma Comune. Si pu


perfino dire che la strada che ha condotto allintesa tra P.C.F. e P.S. sia stata
preparata da un analogo accordo firmato, nel 66, tra la C.G.T. e la
confederazione sindacale di matrice socialista, la C.F.D.T. (Confederation
Franaise Democratique du Travail), per una piattaforma rivendicativa comune.
Buoni rapporti tra le due organizzazioni dei lavoratori permangono fino alla
rottura tra comunisti e socialisti, anche se differenze di analisi e di strategia
sono evidenti. Cos, la C.G.T. definisce suo scopo ultimo il porre fine allo
sfruttamento capitalista per mezzo della socializzazione dei mezzi di produzione
e di scambio. Questultima poi ritenuta essere lo strumento pi importante
per linstaurazione del socialismo, considerazione in piena sintonia con lanalisi
condotta dal partito comunista. Il parallelismo tra partito e sindacato prosegue
anche sul terreno dellautogestione, tema molto caro alla C.F.D.T., e ritenuto,
invece, dalla C.G.T. questione da prendere in considerazione solo a
nazionalizzazioni avvenute, anche se si riconosce limportanza di assicurare la
promozione della responsabilit dei lavoratori [Laot, 1977, 76].
Lintesa del 66 rappresenta certamente un evento storico, in quanto la
caratteristica principale del sindacalismo francese sempre stata la sua
estrema divisione, fatto che, insieme ad altri, ha contribuito a renderlo
particolarmente debole. Per tutti gli anni 70, invece, le analisi condotte dalle
due confederazioni sulla crisi economica della societ capitalistica, e sugli
strumenti per superarla, sono simili. Ad esempio, sia la C.G.T. che la C.F.D.T.
analizzano la condizione dei lavoratori in termini di sfruttamento, dominio e
alienazione, anche se il sindacato comunista pone laccento sul ruolo della
propriet privata come origine dello sfruttamento, relegando in secondo piano
dominio e alienazione, mentre per il sindacato socialista le tre cause si trovano
tutte sullo stesso piano.
Nellanalisi della crisi la C.G.T. si avvicina, tuttavia, maggiormente alla tesi del
P.C.F. del capitalismo monopolista di stato, in quanto la causa ultima della
congiuntura economica negativa sarebbe laccumulazione di capitali da parte
dei grandi monopoli, che genererebbe una polarizzazione dei rapporti sociali tra
la piccolissima minoranza sfruttatrice e la stragrande maggioranza sfruttata
[Laot, 1977, 112].
Da entrambe le formazioni sindacali lo Stato visto contemporaneamente
come amministratore, istituzione e apparato di repressione. Inoltre, tutte e due
le confederazioni criticano le esperienze socialdemocratiche, considerate capaci
solo di gestire il sistema capitalista e non di instaurare una vera societ
socialista, che resta, invece, il loro obiettivo.
La nazionalizzazione resta, per il sindacato comunista come per il P.C.F., il
mezzo pi idoneo per procedere allappropriazione collettiva dei mezzi di
produzione e scambio, mentre la C.F.D.T. pi cauta.

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Per quanto riguarda la pianificazione, altro cavallo di battaglia della C.G.T., il


sindacato di orientamento socialista si dice disponibile ad essa, purch sia
garantito un alto grado di decentramento democratico [Laot, 1977, 183].
Sul rapporto sindacato-partito politico esiste, invece, una netta differenza tra le
due confederazioni. Per la C.G.T. il sindacato non deve impegnarsi sul terreno
politico oltre una certa misura, ma deve lasciare tale compito ai partiti, i quali
hanno un ruolo e una responsabilit pi grandi nelloperazione di
trasformazione della societ. I sindacati devono portare il loro contributo
limitatamente ai settori economici e sociali che influiscono sulle condizioni di
vita dei lavoratori. La C.F.D.T. assolutamente contraria a questa impostazione
del sindacato, ridotto a poco pi di un supporto del partito politico, perch
ritiene che ci pregiudichi lautonomia del sindacato. Entrambe le
organizzazioni rifiutano, comunque, il principio di un legame organico con un
partito [Laot, 1977, 192], anche se, nel caso della C.G.T. da rilevare la
completa fusione, a livello di impresa, tra la cellula del P.C.F. e la sezione
sindacale. [Tiersky, 1976].
Per ci che riguarda lItalia, lentrata del P.C.I. nellarea di governo, nel periodo
76 - 79, segna in modo molto netto la strategia della C.G.I.L.. Berlinguer
formula un auspicio sullunit delle tre confederazioni sindacali italiane,
ritenendola indispensabile nel particolare momento di grave tensione sociale
vissuto dal Paese:
Un movimento sindacale unitario che intervenga, oltre che sulle
questioni rivendicative salariali che riguardano i lavoratori dipendenti,
anche sui grandi obiettivi della democrazia e del progresso economico
e sociale di tutto il Paese, una forza della democrazia repubblicana.
[Berlinguer E., 1974b].

In effetti la seconda met degli anni 70 registra, oltre ad un elevato grado di


convergenza delle strategie di C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L., una marcata riduzione
della conflittualit sindacale, che resa ben evidente dalla dichiarazione di
Lama sul salario come variabile dipendente [DAngelillo, 1986, 13].
>Nella Spagna, infine, la linea strategica tenuta dalle Commissioni Operaie,
legalizzate come il P.C.E. solo nel 1977, improntata alla moderazione e alla
collaborazione con gli altri sindacati spagnoli.
>A livello europeo le tre organizzazioni dei lavoratori di matrice comunista
sembrano trovare, durante la stagione eurocomunista, vaste convergenze nelle
rispettive rivendicazioni. Del resto, tra i sindacati italiano e francese una buona
collaborazione gi in corso da anni, in quanto C.G.I.L e C.G.T. sono, infatti,
entrate insieme, nel 66, nel comitato economico e sociale della C.E.E.
[Lambert, 1979].
Durante lEurocomunismo una sostanziale identit di vedute viene espressa a
proposito di molti eventi, come lo sviluppo positivo della distensione, la
possibilit di attuazione di importanti cambiamenti sociali nellEuropa

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meridionale e, infine, il buon andamento delle relazioni tra le grandi federazioni


sindacali dellEst e dellOvest.
Una convergenza si rileva anche nelle critiche rivolte alle democrazie popolari
dellEuropa orientale per i gravi attentati portati alle principali libert e alla
democrazia e, in particolare, per lassoggettamento dei sindacati al partito stato. Si deplora, inoltre, la sostanziale sterilit della Federazione Sindacale
Mondiale, lorganizzazione che riunisce i sindacati si ispirazione comunista,
nellelaborazione di unesauriente analisi della crisi economica dellOccidente,
che vada oltre i desueti slogan propagandistici. [Moynot, 1981, 275-276].
Tuttavia, come per il P.C.F., cos anche per la C.G.T. il completo superamento
delle vecchie convinzioni si rivela un obiettivo molto arduo da raggiungere.
Cos, mentre la C.G.I.L. gi nel 74 viene ammessa nella Confederazione
Sindacale Europea, lorganizzazione che riunisce i sindacati di orientamento
socialdemocratico, la C.G.T. inizia, a partire dal 1978, un lento processo
involutivo.
Il sindacato italiano, al contrario, prosegue in modo convinto nella critica alla
Federazione Sindacale Mondiale, dimettendosi, nel 1978, da tutte le
responsabilit direttive e conservando solo il titolo di membro associato
[Moynot, 1981, 281].
Anche le Commissioni Operaie mantengono solo questo status allinterno
dellorganizzazione, e condividono gran parte delle critiche rivolte dai colleghi
italiani.
Le successive prese di posizione del sindacato francese su eventi come la
questione dellallargamento della C.E.E. e linvasione sovietica dellAfghanistan
non faranno che aumentare lisolamento della stessa C.G.T., la quale, nel
giugno 80, vedr perci respinta la sua richiesta di adesione alla
Confederazione Europea Sindacale [Moynot, 1981, 291].

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Capitolo Ottavo
U.S.A. e U.R.S.S. di fronte allEurocomunismo
Limportanza
della
nellemergere dellEurocomunismo.

distensione

internazionale

La condizione che pi di ogni altra consente al nuovo tipo di comunismo di


prendere forma , senza dubbio, il positivo clima di distensione che si creato
tra
le
due
superpotenze.
Il P.C.I., in particolare, grazie alla nuova situazione internazionale, pu
elaborare, come si visto, anche il progetto del Compromesso storico, cosicch
la coesistenza pacifica diventa per il partito italiano fondamentale sia per la sua
strategia
internazionale
che
per
la
sua
politica
nazionale.
Il disgelo tra Mosca e Washington offre ai partiti comunisti occidentali la
possibilit di un nuovo modo di interpretare la politica internazionale, per lungo
tempo ritenuta una cornice immutabile e tale da non permettere lelaborazione
di linee politiche troppo originali allinterno dei due contrapposti schieramenti.
LEurocomu-nismo tenta, invece, una nuova strada, ricercando la compatibilit
tra la nuova struttura del sistema politico internazionale e il perseguimento di
una via nazionale al socialismo [Bonanate, 1978, 136].
Secondo il P.C.I. possibile costruire, in prospettiva:
...unEuropa Occidentale democratica, che non sia n antiamericana n
antisovietica, e che costituisca un fattore di pace e di sicurezza per tutto il
mondo. [Berlinguer E., 1974a].
I comunisti italiani si rendono comunque conto che solo uniniziativa dei singoli
Paesi membri delle due alleanze improntata ad una politica di pace e di
collaborazione, pu portare allavanzata della distensione e, in un futuro pi o
meno
prossimo,
allo
scioglimento
dei
blocchi:
Considerare, invece, lobiettivo della dissoluzione dei blocchi come un prius,
significherebbe relegarlo tra le cose impossibili e complicare e rallentare la
distensione e la cooperazione. [Berlinguer E., 1974a].
Per gli eurocomunisti importante non creare disequilibri allinterno delle due
alleanze. Per questo il P.C.I. si dice contrario ad unuscita unilaterale dellItalia
dalla N.A.T.O. nel caso di una sua partecipazione al governo, in quanto ci
nuocerebbe al processo distensivo. In realt, come si vedr, sono altre le
ragioni che portano i comunisti italiani ad una svolta nel loro atteggiamento
riguardo al Patto Atlantico.
Le analisi condotte sulla distensione dai tre partiti eurocomunisti presentano
anche delle differenze tra di loro. Mentre, infatti, il P.C.I vede in questa fase
della politica internazionale un momento in cui Stati Uniti e Unione Sovietica

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svolgono in modo pienamente legittimo il loro ruolo di garanti dellordine


pacifico mondiale, il partito spagnolo scorge nella coesistenza pacifica le prove
evidenti dellassoluta inutilit di N.A.T.O. e Patto di Varsavia al fine della
conservazione di un equilibrio strategico:
Esso mantenuto solo dal possesso delle armi nucleari, mentre N.A.T.O. e
Patto di Varsavia sono piuttosto degli strumenti di influenza politica che
riducono larea dindipendenza dei vari Paesi membri. [Carrillo, 1977a].
Tuttavia, anche il P.C.E. cauto riguardo a una dissoluzione immediata dei
blocchi, poich, come afferma Carrillo, non si tratta di sconvolgere lattuale
equilibrio mondiale di forze, n di passare dallinfluenza americana a quella
sovietica. [Carrillo, 1977a].
Per il P.C.F., infine, la coesistenza pacifica deve essere messa in relazione alla
lotta di classe mondiale, ed inaccettabile pensare alla distensione come al
semplice mantenimento dello statu quo allinterno dei due blocchi [Lavau,
1981].
Secondo Bonanate, la chiave di volta su cui poggia il sistema eurocomunista
la presunzione dellimmutabilit del sistema internazionale al suo massimo
grado, cio a livello delle due superpotenze, unita alla possibile e legittima
mutabilit allinterno dei due sistemi [Bonanate, 1978, 574]. A parere di tutti e
tre i partiti, del resto, proprio la via aperta dalla Conferenza di Helsinki
mostrerebbe come i nuovi rapporti tra U.S.A. e U.R.S.S. siano ormai entrati in
una nuova fase, reputata ormai incontrovertibile.
Molti, per, giudicano questo un grave errore di valutazione da parte degli
eurocomunisti. In realt, ci che ha reso possibile la conferenza e il suo buon
esito sarebbe stata la tacita accettazione da parte sovietica della teoria
kissingeriana dei consolidamenti reciproci, proposito che, certo, non persegue
il superamento dei blocchi [Olivi, 1978]. Venendo meno questo primo tassello,
risulta perci erronea tutta lanalisi eurocomunista del sistema politico
internazionale. Inoltre, vi sarebbero anche evidenti errori di valutazione della
reale forza della potenza americana, ritenuta in grande difficolt e costretta
quasi a scendere a patti con il socialismo.
Secondo gli eurocomunisti, poi, U.S.A. e U.R.S.S. si sarebbero spinte a tal punto
nel processo di distensione, da essere ormai quasi costrette ad accettare la
prosecuzione del progetto di comunismo democratico elaborato da questi
partiti, pena un ritorno alla Guerra Fredda.
Ci che gli eurocomunisti non prendono minimamente in considerazione la
possibilit che la coesistenza pacifica segni, in realt, una fase di arresto di ogni
potenziale dinamismo del sistema politico internazionale. Sarebbero proprio le
esigenze di consolidamento del Socialismo Reale a produrre una situazione
molto difficile per i tre partiti comunisti occidentali, stretti tra un imperialismo
pacifico e, quindi, pi saldo e un socialismo ormai anti-internazionalistico
[Bonanate, 1978, 563]. Infine, sempre secondo Bonanate, la contraddizione di

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fondo dellEurocomunismo consiste nel fatto che i partiti che ne hanno dato vita
non si rendono per niente conto degli effetti sconvolgenti che la conquista del
potere da parte loro avrebbe sul sistema geopolitico internazionale [Bonanate,
1978].
I timori sovietici riguardo allEurocomunismo.
Le ragioni per cui Mosca mostra di non gradire affatto la nuova strategia dei tre
partiti comunisti dellEuropa Mediterranea sono molte, e tutte molto valide dal
suo
punto
di
vista.
Innanzitutto il Cremlino teme che possa venire fortemente compromesso il suo
ruolo di guida del movimento comunista internazionale. Per questo motivo
distingue tra via nazionale al socialismo, pienamente legittima e modello di
socialismo, che, invece, era e rimane uno solo, quello leninista di stampo
sovietico.
In secondo luogo i sovietici hanno paura che il proposito eurocomunista di
unEuropa non subordinata n agli U.S.A. n allU.R.S.S. si materializzi in
unEuropa sostanzialmente antisovietica [Fracassi, 1978].
Ma la pi grande preoccupazione di Mosca concerne il rischio che le teorie
eurocomuniste agiscano da catalizzatori sul dissenso allEst, minando la gi
precaria legittimit di questi regimi e innescando processi che possono col
tempo
portare
a
incontrollabili
conseguenze
[Brown,
1979].
Secondo alcuni osservatori, in effetti, i dirigenti sovietici non temono tanto di
veder scemare la loro influenza sui comunisti occidentali, quanto piuttosto di
perdere il controllo esercitato sui partiti e sui popoli dellEst, a causa dei forti
sentimenti antiburocratici che lEurocomunismo suscita [Mandel, 1977].
Secondo Marcou tre sono i tipi di critica rivolti dagli ideologi del P.C.U.S. ai
comunisti occidentali. In primo luogo la critica teorica, che vede i dottrinari del
partito sovietico impegnati a difendere a spada tratta la piena attualit delle
concezioni leniniste, come la rivoluzione, la democrazia proletaria, la dittatura
del proletariato e cos via. Il secondo tipo di critica quella organica, e prende
le forme di conferenze scientifiche su temi riguardanti i principi marxisti. Infine,
ed la pi importante, la critica pubblica, che consiste in pubbliche
manifestazioni di inimicizia nei confronti dei presunti eretici. E questo il caso
del duro attacco condotto dalla rivista sovietica Novoe Vremia (Tempi Nuovi)
contro il leader spagnolo Carrillo, in risposta ad alcune affermazioni di
questultimo contenute nel suo libro Eurocomunismo y estado. Lattacco ha
un duplice scopo, in primo luogo isolare il segretario dal resto del suo partito e,
soprattutto, mettere in guardia P.C.I. e P.C.F. che le stesse accuse ora rivolte al
partito spagnolo potrebbero, un domani, essere indirizzate a loro stessi. Mosca
gioca dazzardo, anche rischiando di accrescere in modo incolmabile la frattura
con gli eurocomunisti, ma convinta che n il P.C.I. n, tantomeno, il P.C.F. sono
pronti a tagliare definitivamente i ponti con la Patria dellOttobre. I fatti danno
ragione al Cremlino. Molto tenui sono, infatti, le reazioni dei due partiti. Il P.C.I.
tiene una posizione piuttosto ambigua, che implicitamente sembra scaricare
Carrillo. Si critica, infatti larticolo sovietico solo per leccessiva asprezza dei

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toni, ma si riafferma la natura socialista dellUnione Sovietica negata, invece,


dal segretario del P.C.E.. Un comportamento quasi analogo tenuto dai
comunisti francesi, che deplorano pi la sostanza che la forma della requisitoria
sovietica [Rizzo, 1977]. Il Cremlino ha ottenuto quanto cercava, e la solidariet
eurocomunista irrimediabilmente incrinata.
Stati Uniti ed Eurocomunismo.
Un requisito fondamentale affinch il progetto eurocomunista possa avere buon
esito, rappresentato dalla necessit di stabilire, da parte dei tre partiti in
questione, dei rapporti per lo meno distesi, se non proprio cordiali, con gli Stati
Uniti e la struttura politico-militare che ad essi fa capo, lAlleanza Atlantica.
Lobiettivo fortemente cercato sia dal P.C.E. che, soprattutto, dal P.C.I., mentre
il P.C.F., per ragioni pi nazionalistiche che ideologiche, nemmeno in questa fase
smorza la sua accesa polemica con gli U.S.A., limitandosi solo a promettere che
la permanenza della Francia nellambito dellAlleanza Atlantica proseguir,
anche se, a dire il vero, in modo molto diluito, anche durante unesperienza di
governo di sinistra.
Al contrario, il P.C.E. si sforza di convincere gli americani del proprio leale
attaccamento alle strutture democratiche e alle libert fondamentali, e Carrillo,
nel corso di un suo viaggio negli Stati Uniti, il primo compiuto da un segretario
di un partito comunista occidentale, pur non incontrando nessun
rappresentante ufficiale dellAmministrazione Carter, ha modo di presentare
nelle universit e nei convegni a cui partecipa, i programmi futuri del suo
partito e i principi cardine dellEurocomunismo. Inoltre i comunisti spagnoli, pur
essendo contrari ad un ingresso del loro Paese nel Patto Atlantico, si dicono
disposti a mantenere la presenza di basi americane in territorio spagnolo,
almeno fin tanto che le truppe sovietiche restano dislocate, quasi come un
esercito
di
occupazione,
in
Paesi
come
la
Cecoslovacchia.
Ma lapertura maggiore , senza dubbio, quella operata dal P.C.I.. Anchesso,
come il partito spagnolo, si pone lobiettivo di fare conoscere i propri
programmi, la propria storia e le proprie caratteristiche oltre oceano. Per questa
ragione, personalit di primo piano del partito, come Napolitano, si recano negli
U.S.A. a tenere conferenze nelle pi prestigiose universit.
Anche la stampa del partito, durante questa fase, cambia tono a proposito della
politica della Casa Bianca. Si segue con molto interesse la corsa alla presidenza
tra i due candidati Ford e Carter, e si nutrono prudenti ottimismi nei confronti di
questultimo, un democratico che pare molto attento agli sviluppi politici che
avvengono in quegli anni in Europa Meridionale.
Tuttavia, soprattutto il nuovo atteggiamento verso la N.A.T.O. a costituire una
svolta storica. Quanto afferma Berlinguer nella celebre intervista rilasciata a
Pansa, in occasione di una Tribuna Politica per le elezioni legislative del giugno
76, non semplice propaganda elettorale, ma la conclusione di un lungo
processo
che
ha
preso
avvio
gi
qualche
anno
prima.
Il leader comunista, interrogato riguardo alle alleanze politiche dellItalia

14

afferma:
Io penso che, non appartenendo lItalia al Patto di Varsavia, da questo punto di
vista c lassoluta certezza che possiamo procedere lungo la via italiana al
socialismo senza alcuna condizione. [Berlinguer E., 1976d].
La N.A.T.O., secondo Berlinguer, pu essere uno scudo utile per costruire il
socialismo
in
libert:
Io voglio che lItalia non esca dal Patto Atlantico anche per questo motivo... Mi
sento pi sicuro stando di qua, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi
per limitare la nostra autonomia. [Berlinguer E., 1976d].
Probabilmente, oltre a non voler provocare pericolosi scompensi nel processo di
distensione e oltre al fatto di provare un maggior senso di sicurezza stando
sotto lombrello atlantico, vi sono altre ragioni, di natura pi pratica, per le
quali il P.C.I. non vuole lasciare la N.A.T.O.. Tra queste, certamente, il timore che
la Jugoslavia del dopo-Tito, in un futuro non troppo lontano, possa venire
risucchiata nella sfera di influenza sovietica, fatto che condurrebbe unItalia non
pi allineata in una difficile situazione di terra di frontiera tra lOvest e lEst
[Griffith, 1976].
Per quanto riguarda invece latteggiamento dei governanti americani verso il
partito comunista, la prima manifestazione palese di uninterferenza americana
nella situazione politica italiana lintervista rilasciata al settimanale Epoca
dallambasciatore U.S.A. in Italia, dopo le elezioni amministrative del giugno. In
essa viene posta apertamente in discussione la compatibilit di una
partecipazione comunista al governo rispetto agli impegni atlantici [Olivi, 1978,
113].
Il Compromesso storico, fino allestate 75 un po' snobbato dagli americani,
viene da questo momento preso in seria considerazione, a causa della sua
potenziale pericolosit per gli interessi americani.
Per gli U.S.A. la met degli anni 70, e in particolare lestate 1975, essendosi
appena conclusa e in modo disastroso la guerra nel Vietnam, un momento di
grande difficolt, segnato da un generale momento di appannamento
limmagine stessa della leadership americana. Il governo statunitense non pu
permettersi nuove sconfitte in politica estera. Per questo Kissinger presenta la
teoria dei consolidamenti reciproci, prontamente accettata dai sovietici e
base, come si visto, della Conferenza di Helsinki [Olivi, 1978, 144].
Il candidato Carter sembra essere pi disponile ad un confronto con gli
eurocomunisti e alcuni del suo staff, come Brezinski, criticano apertamente la
logica del Segretario di Stato, perch porterebbe ad unimplicita ratifica di tutti
gli effetti della Guerra Fredda, a vantaggio esclusivamente dei sovietici. Carter,
inoltre, in una serie di interviste del 76, arriva ad affermare che, in caso di una
sua vittoria nella corsa per la Casa Bianca, gli Stati Uniti si impegnerebbero a
rispettare ogni scelta democratica dei Paesi europei e che non verrebbe
preclusa alcuna possibilit di dialogo con quei partiti comunisti eventualmente
ben disposti verso gli U.S.A.. Inoltre, il leader dei democratici invita il Segretario

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di Stato a dosare la sua intransigenza, per non pregiudicare ulteriormente la gi


difficile situazione italiana [Olivi, 1978, 116-117].
Intanto, nel giugno 76, a Puerto Rico, si incontrano i capi di stato e di governo
dei sette Paesi pi industrializzati dellOccidente. In un vertice ristretto, a cui
partecipano U.S.A., Gran Bretagna, Francia e Germania Federale, vengono prese
in considerazione le possibili misure da adottarsi nei confronti dellItalia nel
caso di una partecipazione del P.C.I. al governo. Il vespaio di polemiche
sollevato da questo episodio si placa soltanto con lelezione di Carter alla Casa
Bianca, evento che, secondo alcuni osservatori, potrebbe, paradossalmente,
creare pi difficolt che vantaggi agli eurocomunisti, in quanto, se essi, da un
lato, hanno maggior spazio di manovra, dallaltro corrono il rischio di veder
ampliate le divergenze con Mosca [Villetti, 1977].
In realt, anche con lelezione di Carter non muta granch nellatteggiamento di
Washington verso gli Eurocomunisti. Il principio resta: Non interferenza ma
nemmeno indifferenza. Un primo segnale di ci si ha nella dichiarazione del
Dipartimento
di
Stato
dellaprile
1977,
dove
si
dice:
La nostra capacit di lavorare insieme ai Paesi dellEuropa Occidentale
riguardo questioni di vitale importanza, potrebbe essere menomata se questi
governi giungessero ad essere dominati da partiti politici le cui particolari
tradizioni, valori e pratiche sono estranei ai fondamentali principi democratici.
[Olivi, 1978, 119].
Tuttavia, i tre partiti non si sentono chiamati in causa, in quanto non
considerano il loro caso il riferimento ad una situazione di dominio da parte di
partiti
non
democratici.
Intanto, nellottobre dello stesso anno, Brezinski dichiara che, se anche gli
eurocomunisti possono mutare la natura del comunismo, permangono al loro
interno differenze importanti, che li rendono inaffidabili nel loro complesso
[Hodgson, 1979]. Pochi giorni dopo, Kissinger, ormai ex Segretario di Stato, ma
sempre molto ascoltato esperto di politica estera, fa notare che ci che afferma
oggi Berlinguer , nella sostanza, simile a quello che dicevano i leader
comunisti dellEuropa Orientale tra il 1945 e il 48, mentre la proposta del
Compromesso storico non poi cos diversa da ci che aveva in mente Stalin
nel 1917, prima dellarrivo in Russia di Lenin [Rizzo, 1977].
E il preludio ad una nuova dichiarazione del Dipartimento di Stato, che, nel
gennaio 78, rende noto che la sola partecipazione dei comunisti ad un governo
occidentale ritenuta un problema fondamentale per lavvenire stesso
dellAlleanza Atlantica [Olivi, 1978, 125].
In realt, pi che essere riferita allEurocomunismo nel suo complesso, la
dichiarazione sembra soprattutto un monito allItalia, dove lentrata del P.C.I.
nellesecutivo

ritenuta
molto
probabile.
Le ragioni per cui la pressione americana diretta in particolare al nostro Paese
e non anche alla Francia, dove, prima della rottura tra P.C.F. e P.S., una vittoria
della sinistra tuttaltro che impossibile, sono molteplici. Innanzitutto la
situazione francese non consente margini di manovra per una pressione diretta.

14

Inoltre, vi fiducia da parte degli U.S.A. nelle capacit politiche di Mitterand,


oltre che nelle sue relazioni con la socialdemocrazia tedesca. Sono, poi, da
prendere in considerazione gli effetti che causerebbe uningerenza diretta
americana nella politica francese, su un partito dallesasperato nazionalismo
qual il P.C.F.. Infine, vi da dire che certamente molto maggiore la forza con
cui il partito italiano chiede di partecipare al governo, al punto da rendere
necessaria una presa di posizione da parte americana [Olivi, 1978, 134-135].
In generale, i motivi per cui gli Stati Uniti si oppongono allingresso dei partiti
comunisti nei governi occidentali, sono dovuti a fattori sia di ordine pratico che
di ordine ideologico. Vi sono ragioni di natura economica, come il problema del
contenimento dellinflazione o quello del proseguimento degli investimenti
finanziari. Esistono, ovviamente, anche delicate questioni di politica militare,
ma il problema pi grave rappresentato da considerazioni di ordine politico, in
quanto la presenza di un partito comunista al governo di un Paese occidentale
porrebbe gli U.S.A. di fronte al dilemma se sia pi legittimo difendere la
democrazia in Europa, anche a costo di consentire linstaurazione di un governo
comunista rispettoso delle libert, o difendere lEuropa dal comunismo,
limitando, per, in questo modo, la democrazia europea [Hodgson, 1979].
E interessante, infine, accennare brevemente alla posizione degli intellettuali e
della grande stampa americana su questa vicenda. I giornali pi liberal, come
il New York Times e il Washington Post, criticano le posizioni pi oltranziste
dellam-ministrazione Ford, le quali descrivono come uno scenario quasi
apocalittico lipotesi di una partecipazione di un partito comunista al governo di
una democrazia occidentale. In fin dei conti, si fa notare, gli U.S.A.
conserverebbero comunque un sufficiente margine di tempo e di azione per
prevenire
situazioni
per
loro
imbarazzanti.
Tra gli accademici, una delle posizioni pi aperte certamente quella di Peter
Lange, il quale fa notare che i buoni risultati elettorali del P.C.I. non sono dovuti
al caso, e che un atteggiamento troppo intransigente della Casa Bianca rischia
di essere intempestivo e di costringere la leadership del partito italiano ad
arrestare il suo processo di autonomia da Mosca, con conseguenze molto
negative per gli U.S.A.[Lange, 1976].
Secondo Reston, invece, editorialista del New York Times, se anche il nuovo
presidente Carter fosse convinto dellassoluta sincerit degli eurocomunisti nel
loro smarcamento politico e ideologico, non riuscirebbe comunque a convincere
n il Congresso, n, soprattutto, lopinione pubblica, troppo legata ai vecchi
stereotipi della Guerra Fredda.

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Capitolo Nono
La crisi di rapporti tra gli eurocomunisti e i partiti dellEst europeo.
La crisi dellinternazionalismo proletario.
I rapporti degli eurocomunisti con il mondo socialista conoscono, durante questi
anni, un brusco raffreddamento. I tre partiti si rendono conto, anche se in
misura differente tra loro, che un legame troppo stretto con i partiti dellEst, e in
particolare con il P.C.U.S., non giova alla loro immagine di comunisti
democratici.
Del resto, il vecchio principio dellinternazionalismo proletario, retaggio del
Comintern e del Cominform, gi da alcuni anni d chiari segni di logoramento.
Lultima conferenza mondiale a cui abbiano partecipato tutti i partiti comunisti
risale ormai al 1960, poco prima che avvenisse la rottura del partito comunista
cinese con il resto del mondo socialista e, in particolare, con la dirigenza
sovietica, giudicata traditrice degli ideali della rivoluzione socialista.
Le conferenze successive, a cominciare da quella di Karlovy-Vari, in
Cecoslovacchia, nel 1967, sono volute dal P.C.U.S. e dai partiti ad esso pi fedeli
esclusivamente al fine di ottenere, da parte di una qualificata assise del
movimento comunista internazionale, una condanna formale delleresia cinese.
Ma n alla Conferenza paneuropea del 67, n a quella mondiale di Mosca del
1969, il progetto sovietico ha buon fine. Anzi, in occasione di questo incontro,
che rester lultimo a questo livello, Berlinguer, allora vicesegretario del P.C.I.,
proclama la netta contrariet dei comunisti italiani a considerare valido un
unico modello di socialismo, con un suo centro dirigente in un partito o in uno
stato-guida. Cos Berlinguer nel suo intervento:
E necessario riconoscere e rispettare pienamente lindi-pendenza di ogni
partito, non solo nella determinazione della propria politica e nella ricerca di
una propria via di lotta per il socialismo, ma anche nelle proprie posizioni sulle
grandi questioni del nostro movimento. Si tratta, in sostanza, di superare ogni
tendenza a una concezione monolitica dellunit del nostro movimento,
tendenza non olo sbagliata ma utopistica. [Berlinguer E., 1969].
Durante gli anni 70, mentre il P.C.U.S. preme per organizzare una nuova
conferenza mondiale, che non avrebbe altro scopo che confermare il ruolo
dirigente del partito sovietico e la bont del suo modello di socialismo, prima il
P.C.I., il P.C.E. e la Lega dei Comunisti Jugoslavi, poi il partito rumeno e, infine,
anche il P.C.F. oppongono il loro netto rifiuto a un tale progetto. Preso atto di
questa forte ostilit e temendo ulteriori spaccature nel gi lacero tessuto del
comunismo internazionale, il Cremlino ripiega sulla pi ragionevole proposta di
unassise paneuropea. Ma, anche in questo caso, le difficolt non mancano.

14

Prova di ci il fatto che, presi avvio nel 1974 i lavori preparatori per la
conferenza, questa non vede la luce che nel giugno 76, dopo un gran numero
di riunioni plenarie, nelle quali tutti i partiti partecipanti sono intervenuti
direttamente per discutere i punti di disaccordo, senza delegare ad altri partiti
poteri di negoziazione. Si perfino resa necessaria la formazione di una
sottocommissione, formata da otto partiti, per stilare il testo del documento
finale in sostituzione della bozza presentata dai comunisti della Germania
dellEst, giudicata troppo filosovietica.
Secondo una studiosa francese [Marcou, !976] quattro sono i motivi dello
scontro. Innanzitutto c il problema del modo stesso di concepire
linternazionalismo, giudicato dagli eurocomunisti completamente da riformare
e, a parere di altri, invece, principale fondamento del movimento comunista
internazionale.
La seconda questione, direttamente collegata alla prima, quella che riguarda
il rapporto dei singoli partiti con il P.C.U.S.. Il diverbio nasce dalla pretesa del
partito sovietico di fare del sostegno alla propria politica la pietra angolare
dellinternazionalismo, idea giudicata inaccettabile dagli eurocomunisti e dai
loro alleati jugoslavi.
Il terzo motivo di scontro dovuto alle critiche mosse dai partiti pi ortodossi
nei confronti delle alleanze concluse dagli eurocomunisti allinterno dei loro
Paesi, in particolare in riferimento al comportamento di P.C.I. e P.C.F..
Infine, lultima questione concerne la concezione della coesistenza pacifica,
ritenuta da Mosca e dai suoi alleati una sorta di compromesso storico
imperiale, un patto di non belligeranza stretto tra le due superpotenze al fine
di consolidare i rispettivi schieramenti, e considerata invece dagli
eurocomunisti, come si visto, come una situazione capace di aprire nuovi
scenari politici allinterno dei due blocchi.
Il punto su cui, in misura maggiore, si sfiora la frattura certamente il rifiuto,
da parte degli eurocomunisti, di concepire il P.C.U.S. come centro e motore del
movimento comunista internazionale. Anche il P.C.F., solitamente molto cauto
quando si tratta di contestare la Patria della voluzione, in questo caso dichiara:
Nessun partito o gruppo di partiti pu fare leggi valide per tutti, proporre
ricette universali, definire una strategia modello... Il movimento internazionale
comunista non e non pu essere una chiesa n unorganizzazione monolitica,
che sottoponga ogni partito alla coercizione e al conformismo. [Marchais,
1976b].
Alla fine, comunque, un compromesso viene raggiunto, anche se non si
comprende bene quale sia, tra le due parti, la vera vincitrice. Secondo alcuni si
tratta indubbiamente degli eurocomunisti, in virt delle molte concessioni
ottenute, come labbandono del vecchio concetto di internazionalismo
proletario, sinonimo di partito-guida, per far posto a quello di solidariet
internazionale, come la fine dellidentit tra antisovietismo e anticomunismo, e

14

come, infine, la legittimazione delle proprie strategie per la realizzazione della


societ socialista, senza pi dover far riferimento al modello sovietico [Berti,
1976].
Secondo altri, invece, lunico vero vincitore sarebbe Brezh-nev, mentre i partiti
eurocomunisti avrebbero perso unoccasione unica per porre laccento sulle
differenze che, in modo sempre pi ampio, corrono tra loro e i comunisti
dellEst. I comunisti occidentali avrebbero preferito, infatti, salvare le apparenze
di un movimento comunista internazionale unito, anche a costo di pregiudicare
la credibilit della loro autonomia. Inoltre, questo comportamento crea problemi
a chi, allEst, volendo rendersi pi autonomo da Mosca, si aspetterebbe un aiuto
pi concreto da parte di quei partiti che si dicono paladini del comunismo
democratico, i quali, invece, per timore di ingerenze sovietiche nei loro affari
nazionali, fanno finta di nulla sullinasprito controllo del Cremlino nei propri
feudi. [Vasconi, 1976].
In ogni caso, durante la conferenza berlinese, lunico punto su cui vi accordo
tra le due anime del comunismo internazionale il tema della pace, mentre
manca una convergenza, oltre che sul come costruire il socialismo, anche
sullanalisi della crisi economica delleconomia capitalista [Berti, 1976].
Limpressione che si ricava al termine della Conferenza, comunque, che i
passi indietro compiuti dal Cremlino a proposito dei vecchi dogmi stalinisti,
siano stati solo strumentali al buon esito della Conferenza stessa. Mosca si
resa conto che sarebbe stato controproducente forzare la mano per mettere in
riga gli eurocomunisti, per questo ha assunto una tattica pi attendista. Ma il
comportamento tenuto dai sovietici nei mesi seguenti, mostra che, in realt,
nulla di veramente importante cambiato. Ponomarev, uno degli esponenti pi
importanti del P.C.U.S., poche settimane dopo lappuntamento di Berlino,
dichiara senza mezzi termini: ...non pu essere vera politica rivoluzionaria
quella che esclude la solidariet con il socialismo realizzato. [Segre, 1977].
La replica del P.C.E. non si fa attendere. Carrillo, mai tenero con Mosca, afferma
che, ormai, il ruolo di avanguardia nel processo di trasformazione sociale del
mondo spetta alle forze progressiste dei paesi capitalisti, mentre lU.R.S.S. e il
suo blocco ne rappresentano solo la retroguardia [Tiersky, 1981].
Secondo il leader spagnolo:
...criticare errori reali o presunti dei comunisti, criticare gli aspetti negativi dei
regimi socialisti stabiliti, non di per s, n controrivoluzionario n
antisovietico. [Carrillo, 1977b].
Il segretario del P.C.E. si mostra anche molto esplicito a proposito dei rapporti
tra i partiti comunisti dellEst e quelli dei Paesi capitalisti e
sullinternazionalismo. Circa la prima questione, Carrillo esclude che possa
esserci una linea strategica comune tra eurocomunisti e partiti dellEst,
reputando che al massimo possono rimanere dei rapporti di cooperazione.
Quanto allinternazionalismo, il leader spagnolo caustico:

14

E un residuo storico condannato a scomparire, in quanto lunico


internazionalismo legittimo, quello rivoluzionario, si misura in primo luogo dalle
capacit di ogni partito di fare la rivoluzione nel proprio Paese, con le proprie
forze e senza aspettarsi tutto dalle forze degli amici. [Carrillo, 1975].
Il difficile rapporto dellEurocomunismo con il socialismo sovietico.
Un punto di forte contrasto tra gli eurocomunisti e Mosca , senza dubbio,
latteggiamento verso il modello socialista sovietico.
Il P.C.U.S., per il fatto di essere stato protagonista della prima rivoluzione
socialista della storia, proclama che il suo modello il migliore e lunico in
grado di contrapporsi con successo allim-perialismo capitalista. Ogni altro
tentativo di portare il socialismo al governo di un paese rischia di fallire in modo
drammatico, come ha mostrato lesperienza cilena. A proposito della via scelta
dagli eurocomunisti, Mosca ritiene che essa sia troppo compromissoria verso i
partiti borghesi e, quindi, incapace di produrre quei cambiamenti strutturali
necessari per linstaurazione del socialismo. Gli ideologi sovietici affermano
anche che assurdo, da parte dei comunisti occidentali, accogliere i principi
della democrazia borghese, in quanto, come Lenin ha mostrato, non conta la
maggioranza aritmetica ma quella politica rivoluzionaria.
Gli eurocomunisti si rendono ovviamente conto che affermare ancora, a met
degli anni 70, questi principi nei Paesi a economia capitalista sviluppata,
equivarrebbe a condannarsi ad un eterno autoisolamento sul piano politico
nazionale. Secondo questi partiti, il socialismo pu conquistare lOccidente solo
se unito alla libert e alla democrazia. Pure il P.C.F. comprende ci, anche se
fino al 1975 esso ancora impegnato ad esaltare: ...le innumerevoli conquiste
e i grandi successi dellU.R.S.S., relegando la questione del rispetto dei diritti
umani in secondo piano [Baudouin, 1978, 119].
Fino a questa data, del resto, le rare critiche del P.C.F. rivolte allU.R.S.S. hanno
due caratteristiche peculiari, ovvero sono condannati solo quegli errori che
possono nuocere alla reputazione del socialismo e, in secondo luogo, il partito
francese non vuole che le proprie critiche si confondano con quelle dei non
comunisti [Lavau, 1981].
Secondo unanalisi a dire il vero un po' discutibile, questo atteggiamento
filosovietico del P.C.F., mantenuto fino allautunno 75, sarebbe il prezzo da
pagare dalla nuova dirigenza per far accettare alla vecchia guardia, ancora
legata al mito dellUnione Sovietica, la nuova strategia di integrazione
nazionale [Baudouin, 1978].
Il primo episodio, isolato, di frizione con la dirigenza del-lU.R.S.S., si ha nel 74,
a seguito dellappoggio implicitamente dato dai sovietici al candidato di centrodestra alla presidenza, Giscard, in contrapposizione a Mitterand, sostenuto
congiuntamente da P.S. e P.C.F.. In questoccasione, il Partito Comunista
Francese formula pesanti critiche allindirizzo della burocrazia sovietica, per il

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suo conservatorismo e per la sua connivenza con le classi dirigenti del mondo
capitalista [Baudouin, 1978, 144].
Ma per le reali prese di posizione sulla mancanza di libert in U.R.S.S., occorre
attendere fino allottobre 1975, a seguito di episodi come linternamento del
matematico Pliuch e la diffusione di un documento televisivo su un campo di
rieducazione in Lettonia. Ora la qualit delle riprovazioni fatte decisamente
differente, in quanto il P.C.F. pare non preoccuparsi pi n della non ingerenza in
questioni riguardanti altri partiti, n del rischio di portarsi nella stessa posizione
degli antisovietici [Baudouin, 1978, 192].
In effetti, pur non riguardando le critiche le strutture economiche, politiche e
sociali dello Stato sovietico, e pur impegnandosi il segretario Marchais, a nome
del partito, una volta di pi, a: ...combattere risolutamente lantisovietismo, le
menzogne e le calunnie di cui sono continuamente oggetto i Paesi socialisti
[Marchais, 1976a], lo stesso leader comunista non pu esimersi dal denunciare
le gravi mancanze di questi stessi Paesi, in fatto di libert fondamentali:
E naturale che noi esprimiamo il nostro dissenso di fronte alle misure
coercitive che attentano alla libert di opinione, di espressione, e di creazione,
dovunque
siano
in
vigore...
Non possiamo ammettere che lideale comunista, che si prefigge come
obiettivo principale il benessere delluomo, possa essere macchiato da atti
ingiusti e ingiustificati. [Marchais, 1976a].
Durante la stagione eurocomunista, il giudizio del P.C.F. sullU.R.S.S. si spinge
fino al punto di definire, in essa, la presenza di una sovrastruttura
insufficientemente democratica e, occasionalmente, oppressiva. Significativo
il giudizio di Elleinstein, lartefice della svolta eurocomunista del partito
francese: Bisogna riconoscere che in U.R.S.S. il socialismo esiste solo in modo
molto imperfetto. [Baudouin, 1978]. Con la pubblicazione dellopera Les
communistes et lEtat, realizzata da alcuni tra gli intellettuali pi importanti del
P.C.F., la Rivoluzione dOttobre abbassata al rango di esperienza singolare e,
pertanto, non trasferibile alla situazione francese [Baudouin, 1978, 360].
Il comportamento del Partito Comunista Italiano, durante tutti gli anni 70,
allinsegna di una critica prudente ma costante allindirizzo del modello
sovietico. La drammatica conclusione della Primavera di Praga, che ha portato
alla decisa condanna dellaggressione sovietica, ha certamente lasciato il segno
nel P.C.I., che si forse reso conto della sostanziale incapacit dei regimi
dellEst di soddisfare le legittime esigenze di libert dei loro popoli.
Molte, comunque, sono le ragioni che trattengono il P.C.I. da una clamorosa
rottura con Mosca. Secondo Allum, vi sarebbero innanzitutto seri problemi di
natura ideologica, in quanto il partito dovrebbe spiegare quali siano le
caratteristiche di un autentico regime socialista e per quale motivo lU.R.S.S.
non le presenti. Inoltre, dovrebbe giustificare i motivi di tanto ritardo nel
riconoscere che lUnione Sovietica non uno stato socialista. Ma la motivazione
che maggiormente frena il P.C.I. legata al rischio di una possibile crisi di
identit tra molti dei suoi militanti, fatto che potrebbe dar luogo anche a

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dolorose scissioni [Allum, 1977]. Blackmer d unaltra spiegazione. A suo


parere, tanto pi la politica nazionale e i programmi del P.C.I. diventano simili a
quelli degli altri partiti, tanto pi importante diventa, per esso, la capacit di
offrire una prospettiva internazionale chiaramente diversa [Blackmer, 1976].
In realt, il partito italiano arriva a sfiorare la rottura definitiva con Mosca.
Accade durante linverno 81, quando in Polonia viene proclamato lo stato
dassedio. Ne LUnit, il giorno successivo al colpo di stato militare, si legge un
commento molto eloquente: Per essere riconosciuto come tale il socialismo
deve lasciare ai lavoratori la possibilit di esprimersi ed organizzarsi. [LUnit,
14 dicembre 1981].
Ingrao, a proposito del nuovo regime polacco, dichiara:
Se un regime che dispone di tutte le leve fondamentali del potere, pu reggere
lurto di una grande protesta operaia solo con lo stato dassedio, significa
confessare la sconfitta pi grave del socialismo. [Ingrao, 1981].
Il solo Cossutta, nella Direzione del partito, resta su posizioni filosovietiche.
Anche Berlinguer condanna senza appello il golpe e, nella relazione al Comitato
Centrale
del
gennaio
82,
afferma:
E accaduto che per gli errori compiuti in particolare nel campo economico (le
forzature nello sviluppo, la centralizzazione autoritaria, ecc.), per i fenomeni di
burocratizzazione (lo stato-partito, il monolitismo, la perdita della specifica
funzione politica del partito, il marxismo stravolto in ideologia di stato), per il
prevalere di un dogmatismo chiuso... venuto a determinarsi un singolare
rovesciamento. In primo piano, invece della realt, si posta lideologia, anzi
una sorta di credo ideologico concepito come un corpo dottrinario ossificato.
[Berlinguer E., 1982].
Tuttavia, quando questa quasi rottura avviene, lEuroco-munismo da tempo
entrato in crisi profonda e lunit di intenti tra i tre partiti ormai solo un
lontano ricordo.
Per quanto riguarda il P.C.E., esso certamente il partito che, in misura
maggiore, vorrebbe dare risalto ed ampliare lauto-nomia degli eurocomunisti
dal Cremlino. Nellanalisi sul socialismo sovietico condotta nel suo libro
Eurocomunismo y estado, il segretario del P.C.E. parte dalla premessa che la
dittatura del proletariato stata, per la Russia del 1917, una necessit storica
ineluttabile, come del resto la violenza rivoluzionaria. Il problema, per, nasce
dal
fatto
che:
... la dittatura del proletariato stata instaurata con un sistema di partito
unico, e ha subito gravi deformazioni e addirittura processi degenerativi molto
seri. [Carrillo, 1977a, 190].
Lamara constatazione del leader del P.C.E. che lo Stato immaginato da Lenin,
dopo ormai sessantanni di potere del P.C.U.S., non si intravede neanche
lontanamente:

14

Al suo posto cresciuto un potente apparato di Stato al di sopra della


societ... Allinterno di questo Stato cresciuto e ha operato il fenomeno
stalinista, con una serie di tratti formali simili a quelli delle dittature fasciste.
[Carrillo,
1977a,
192].
E certamente laccusa pi grave rivolta da un partito comunista al grande
fratello sovietico, e difatti la replica del Cremlino non si fa attendere, come si
visto.
Ma le critiche avanzate da Carrillo non sono finite. Egli denuncia anche il fatto
che lo Stato sovietico non solo non si democratizzato, ma ha anche
mantenuto molti dei suoi elementi di coercizione nei rapporti con gli altri Stati
socialisti. Il leader spagnolo arriva a negare ogni carattere socialista allU.R.S.S.,
ed lunico tra i leader eurocomunisti a spingersi a tanto. Afferma infatti
Carrillo:
Se le democrazie borghesi hanno in s molto di formale, ne ha anche molto la
democrazia operaia, cui finora i comunisti sono giunti... Il regime sovietico non
solo ha mantenuto con-tenuti di diritto borghese, ma anche giunto a
deformazioni e degenerazioni che, in altri tempi, si potevano immaginare
possibili solo in Stati imperialisti. [Carrillo, 1977a, 195].
Si deplora, inoltre, lenorme potere del partito-stato, in cui si riassume ogni
potere decisionale, cosa che determina un estra-niamento dei lavoratori da ogni
importante decisione sociale. Il segretario comunista si pone anche il dubbio se,
per caso, le stesse strutture burocratiche dello Stato sovietico non siano
lostacolo principale alla trasformazione completa del regime verso il
socialismo. Conclude Carrillo:
Uno Stato in cui lesercito e i suoi organi hanno tanta importanza, pur essendo
uno Stato senza capitalisti e pur sostenendo la lotta dei popoli per la loro
liberazione, corre il rischio di considerare la potenza come obiettivo
fondamentale e tende a trasformare lideologia in strumento di potenza.
[Carrillo, 1977a, 205].
Purtroppo, il leader spagnolo si trova a fronteggiare praticamente da solo il
contrattacco sovietico portatogli dalla rivista Novoe Vremia, poich
Berlinguer e Marchais preferiscono defilarsi e mantenere una posizione pi
cauta,
dimostrando
cos,
in
mo-do
palese,
tutta
la
debolezza
dellEurocomunismo, proprio nel momento in cui la pi grande determinazione
sarebbe necessaria.
Eurocomunismo e politica estera sovietica.
I drammatici eventi di Praga dellagosto 68 hanno certamente chiuso unepoca
nel movimento comunista internazionale. Quasi tutti i principali partiti
comunisti occidentali, infatti, hanno condannato duramente lintervento del
Patto di Varsavia o hanno espresso la loro riprovazione. E questo il caso del
P.C.F., che, per la prima volta nella sua storia, non ha condiviso una decisione di

14

Mosca. Tuttavia, col passare dei mesi, la tensione tra il partito francese e quello
sovietico scende notevolmente, e i rapporti vengono presto normalizzati, tanto
che al termine di un incontro tra le due delegazioni, nel novembre 68, nel
comunicato finale, si legge, a proposito della questione cecoslovacca:
Le due delegazioni... hanno espresso il desiderio che, nel quadro degli accordi
conclusi e messi in opera dal P.C.U.S. e dal P.C. di Cecoslovacchia, la situazione
si normalizzi sulla base del marxismo-leninismo. [Valli, 1977, 200].
Il progressivo allontanamento dalla politica attiva, a seguito di una malattia, del
segretario Waldeck-Rochet e lascesa al vertice del partito da parte di Marchais
sono, forse, tra le cause principali del nuovo riavvicinamento tra Parigi e Mosca.
In effetti, dopo qualche tempo, a differenza del P.C.I. e del P.C.E., il P.C.F.
riallaccia i rapporti con il P.C. normalizzato di Cecoslovacchia e, pi in
generale, torna ad essere la fedele eco della politica estera sovietica. Anche
durante la stagione eurocomunista questo atteggiamento non cambia in modo
sostanziale.
Del resto, un analogo comportamento, durante questo stesso periodo, tenuto
anche da P.C.E. e P.C.I.. I due partiti, infatti tranne che in isolati episodi,
sostengono in modo puntuale le colonne portanti della visione politica
internazionale di Mosca. Gli eurocomunisti contestano, ad esempio, il modo in
cui si sta evolvendo il processo di pace in Medio Oriente. In particolare le
critiche si concentrano sul trattato di Camp David tra Israele ed Egitto, in
quanto i tre partiti ritengono che lU.R.S.S. sia stata tenuta un po' ai margini
delle trattative, condotte in modo troppo esclusivo dagli Stati Uniti. Anche il
comportamento tenuto dai sovietici nel continente africano e, in particolare, nel
Corno dAfrica, chiara conferma dei propositi espansionistici di Mosca, viene
lodato, poich ritenuto: ...un fattore di crescita del processo di pace e della
progressiva
autodeterminazione
dei
popoli
del
continente.
Solo con lintervento sovietico in Afghanistan, il P.C.I. e, in parte, il P.C.E.
sembrano rendersi finalmente conto che la politica estera sovietica non poi
cos diversa da quella, definita imperialista, degli U.S.A..
Nel rapporto di Ledda al Comitato Centrale del P.C.I., si denuncia con
preoccupazione il fatto che il processo della distensione venga messo in
pericolo dal comportamento espansionistico del-lU.R.S.S., che ormai solo con la
potenza del suo esercito riesce a far prevalere il proprio sistema politico e
sociale [Levesque, 1989]. Anche la rivista Rinascita condanna in modo
inequivocabile linter-vento dellArmata Rossa:
Le questioni di principio non sono astrazioni che possono essere piegate alle
ragioni dellopportunit politica o venire usate a seconda delle circostanze o dei
soggetti
in
causa...
Nessuna loro violazione, da nessuna parte pu essere tollerata o giustificata,
pena un ulteriore decadimento della civile convivenza. [Rinascita, n1, 1980].

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Lepisodio afgano anche importante perch segna il momento in cui si


consuma il distacco del P.C.F. dal movimento eurocomunista. Il partito francese
, infatti, lunico tra i partiti comunisti occidentali a giustificare lintervento
russo, e lo fa in base al fatto che: ...un Paese ha diritto a chiamare un alleato
se si trova dinanzi a una interferenza di agenti stranieri. [Morgan, 1983].
Il P.C.F., inoltre, nellaprile 80, organizza insieme al partito comunista polacco
una conferenza sulla pace e il disarmo. Allin-contro non partecipano n il P.C.E.
n il P.C.I., i quali non intendono avallare implicitamente la politica estera
sovietica, e non condividono nemmeno lidea, comune a tutti i partecipanti
allincontro, che non esista una terza via oltre capitalismo e socialismo reale
[Marcou, 1986]. Secondo il P.C.I., un tema come la pace non pu essere
sviluppato sulla base di appelli generici, che prescindono dai problemi reali e
dalle situazioni oggettive del mondo contemporaneo. Cos si esprime Rubbi in
un intervista su Rinascita:
Una tale iniziativa non solo non utile ma rischia di essere dannosa, perch
pu portare i comunisti in Europa ad un isolamento in un momento in cui la loro
iniziativa dovrebbe essere rivolta a conseguire il massimo di convergenza
unitaria con tutte le forze progressiste e democratiche, non solo comuniste
[Rubbi, 1980].
Dopo i fatti della Polonia, come si gi detto, la tensione tra P.C.I. e P.C.U.S.
raggiunge il suo massimo grado. Il partito italiano critica innanzitutto il fatto
che, nei mesi precedenti la proclamazione dello stato di assedio Mosca, invece
di incoraggiare lo sforzo, peraltro tardivo, dei comunisti polacchi di percorrere la
strada dellunit con le altre forze sociali nazionali, associandole al governo del
Paese, ha sempre invitato il governo polacco a rafforzare la difesa del vecchio e
ormai logoro sistema politico, criticando, anzi, ogni minima riforma. [Guerra,
1981].
Ingrao, interrogato se, a suo parere, il golpe militare ha evitato lintervento
dellArmata Rossa, risponde:
Sembra un argomento pieno di realismo, ma dobbiamo sapere ci che
comporta laccettazione di un tale argomento: esso significa subire
uninterpretazione dei blocchi esistenti, che cancella di fatto la sovranit dei
Paesi che appartengono al blocco stesso... e significa anche considerare lEst, in
ultima istanza, come una chiusa sfera di dominio e di controllo da parte
sovietica.
[Ingrao,
1981].
Anche il tono del segretario Berlinguer molto duro:
Ci che avvenuto in Polonia ci induce a considerare che, effettivamente, la
capacit propulsiva di rinnovamento delle societ, o almeno di alcune di esse,
che si sono create nellEst europeo, venuto esaurendosi. Parlo di una spinta
propulsiva che ha la sua data di inizio nella rivoluzione socialista di Ottobre.
[Berlinguer E., 1981].

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Capitolo Decimo
Eurocomunismo e processo di integrazione europea.
Il giudizio dei partiti comunisti occidentali sul processo di integrazione europea
durante la sua prima fase.
Quando, nel 1951, viene firmato il Trattato di Parigi, che istituisce la Comunit
Europea del Carbone e dellAcciaio (C.E.C.A), il giudizio dei partiti comunisti
dellEuropa capitalista unanime nel condannarlo. E lepoca della Guerra
Fredda e, secondo i comunisti occidentali, per i quali da poco incominciato il
lungo periodo di isolamento nella vita politica nazionale, questa nuova struttura
non pu avere altri scopi che: ...rafforzare il controllo dellimperialismo
americano sullEuropa [Valli, 1977, 157].
Il pi accanito avversario di questo primo progetto di integrazione europea si
mostra il P.C.F., il cui acceso spirito ultranazionalista non pu assolutamente
accettare un accordo che prevede la cooperazione con il nemico storico della
Francia, la Germania, proprio nelle industrie strategicamente pi importanti.
Il Piano Shuman definito: Un piano di guerra e di disastro nazionale, e la
C.E.C.A. ritenuta essere lo strumento per la messa in liquidazione
dellindustria siderurgica nazionale, nonch del-lesercito. Il P.C.F. punta le sue
critiche in particolare sul fatto che: I capitalisti francesi, in nome dellEuropa,
stanno svendendo lin-dustria del carbone e dellacciaio ai trust tedeschi.
[Pinto Lyra, 1973].
Inoltre, la C.E.C.A. viene definita come: Un nuovo super monopolio, la cui
costruzione porter conseguenze catastrofiche per la classe operaia europea.,
e se ne critica il carattere antidemocratico, in quanto la partecipazione delle
classi lavoratrici al processo decisionale praticamente nulla [Pinto Lyra, 1973,
21].
Il P.C.I., pur concordando nellanalisi dei comunisti francesi per quanto riguarda
le conseguenze economiche, sociali e militari del Trattato di Parigi, usa toni
molto meno drammatici a proposito del rischio di una sovranit nazionale
limitata.
Tuttavia, soprattutto sul progetto, mai realizzato, della Comunit Europea di
Difesa che la campagna antieuropea del P.C.F. raggiunge il suo azimut. I
comunisti doltralpe mettono in grande evidenza il pericolo che questo progetto
possa diventare il trampolino di lancio per i sogni espansionistici e revanscisti di
Bonn, oltre che un nuovo strumento degli U.S.A. per rendere pi aspra la Guerra
fredda [Pinto Lyra, 1973, 28].

14

Pure con listituzione del Mercato Comune Europeo, nel 1957, si registra una
sostanziale comunanza di giudizi tra P.C.I. e P.C.F.. Anche il P.C.E., sebbene la
Spagna non faccia parte della C.E.E., condivide il parere dei partiti italiano e
francese, i quali negano la possibilit che la neonata Comunit Economica
possa diventare una terza forza equidistante da U.S.A. e U.R.S.S., in ragione
dellappartenenza di tutti e sei i Paesi fondatori alla N.A.T.O.. Inoltre, secondo
questi partiti, a trarre vantaggio da questa alleanza tra Paesi capitalisti saranno
soltanto i grandi trust e le multinazionali, mentre per gran parte dei popoli
dEuropa le condizioni sociali peggioreranno, in quanto si verificher un deciso
allineamento verso il basso delle conquiste dei lavoratori [Pinto Lyra, 1973, 51].
Il P.C.F., anche in questo caso, pone laccento sulla questione dellattentato
allindipendenza del suo Paese.
Secondo il partito transalpino, la Francia, partecipando al Mercato Comune,
finir per degradarsi al ruolo di provincia della potente Germania Federale,
mentre le sue istituzioni nazionali, in particolare il Parlamento, saranno
lentamente ma inesorabilmente private di ogni potere per ci che riguarda la
scelta dellorien-tamento da seguire in politica economica.
Infine il P.C.F., sempre per consolidare la sua immagine di difensore della
nazione, afferma che, con lentrata della Francia nella piccola Europa, la sua
agricoltura conoscer una vera e propria ecatombe, e a farne le spese saranno
soprattutto i piccoli agricoltori, i quali non hanno i mezzi per sopportare la
concorrenza straniera.
Col passare degli anni, mentre le posizioni del P.C.E. e, in modo particolare, del
P.C.I. riguardo alla C.E.E. diventano pi mor-bide, il partito francese non
modifica in modo sostanziale il suo atteggiamento intransigente.
Anche se la Comunit Europea non pi denunciata come braccio politico
della N.A.T.O. [Pinto Lyra, 1973], essa resta, secondo il P.C.F., fortemente
antidemocratica. Tuttavia, anche il partito francese, pur dichiarandosi
assolutamente contrario allipotesi di unintegrazione politica, deve riconoscere
che, nel corso degli anni, la C.E.E. ha compiuto anche alcune cose positive,
specie a difesa dellagricoltura francese [Pinto Lyra, 1973, 85].
Dopo la morte di Thorez, durante la segreteria Waldeck-Rochet, i comunisti
francesi chiedono per la prima volta di entrare negli organismi comunitari non
per ...condurre una lotta efficace contro le nefaste conseguenze del M.E.C..
[Valli, 1977, 165], ma per collaborarvi.
Allinizio della segreteria Marchais si registra, invece, un nuovo inasprimento dei
rapporti con la C.E.E.. In occasione del referendum del 23 aprile 1973,
riguardante lallargamento della Comunit a Irlanda, Danimarca e, soprattutto,
Regno Unito, il P.C.F. prende posizione in modo deciso a favore del no,
adducendo sia ragioni economiche, come il rallentamento della produzione
industriale, i possibili disequilibri settoriali, il deperimento ulteriore di certe aree
meno sviluppate del Paese e laumento dei disoccupati, sia le solite ragioni di
tipo politico-militare, a proposito del progressivo abbandono della sovranit

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nazionale. Ma il no comunista si spiega anche con ragioni di politica interna,


per la duplice necessit del P.C.F. di apparire come lunica vera forza di
opposizione al governo e di affermarsi nei confronti dellemergente partito
socialista.
Il P.C.E., invece, gi dalla fine degli anni 60 favorevole allassociazione della
Spagna alla Comunit, ma il problema principale il permanere del regime
dittatoriale di Franco. Carrillo, nel suo discorso allVIII Congresso del partito, nel
1972, afferma:
E prioritario che il popolo spagnolo si liberi della dittatura franchista prima di
avviare ogni genere di negoziato con la C.E.E.. Questo regime non ha n
lautorit n la forza per poter iniziare dei colloqui con il Mercato Comune che
possano garantire linteresse nazionale. [Carrillo, 1972].
Naturalmente, il giudizio fortemente negativo espresso nel passato nei confronti
della Comunit Europea non viene ora completamente ribaltato. Pur
riconoscendo, infatti, la validit di certi risultati conseguiti dalla Comunit non
solo in campo economico, il P.C.E. resta dellavviso che il M.E.C. sia stata una
creazione della Guerra Fredda in funzione antisovietica. Ora, certamente, la
forza conseguita consente alla Comunit Europea di sfidare gli Stati Uniti quasi
ad armi pari, riuscendo perfino a penetrare con successo nei loro mercati.
Tuttavia, secondo lanalisi di Carrillo, le istituzioni comunitarie necessitano di
profonde revisioni, in particolare occorre diversificare il commercio estero,
espandendo le relazioni economiche con i Paesi socialisti e con i Paesi in via di
sviluppo.
Infine, il partito iberico, ancora allinizio degli anni 70, giudica inopportuna
unintegrazione immediata della Spagna alla C.E.E., perch ritiene che il Paese,
anche dopo la fine della dittatura franchista, non sar in grado di darsi in breve
tempo
una
struttura
economica
competitiva
[Carrillo,
1972].
Per quanto riguarda il P.C.I., esso il partito che prima degli altri e in misura
maggiore ha mutato il suo atteggiamento verso le strutture della Comunit
Europea. Hanno, probabilmente, contribuito a questo cambiamento gli ottimi
risultati conseguiti dalla Comunit nei suoi primi dieci anni di vita. Questi hanno
fatto sentire il loro influsso benefico in modo particolare sullItalia, che negli
anni 60 stava vivendo il suo boom economico, con la crescita delloccupazione
e delle esportazioni e con il generale miglioramento delle condizioni sociali della
classe operaia [Lambert, 1978].
Un ruolo di primo piano in questa svolta operata dal P.C.I. certamente da
attribuirsi a Giorgio Amendola. Egli stato il primo esponente comunista
occidentale, nel 1965, a riconoscere la Comunit come realt oggettiva del
panorama politico internazionale, di cui tenere conto. Anche in conseguenza di
ci, gi nel 1969, il P.C.I. inizia a partecipare in modo attivo al funzionamento
della Comunit, con lingresso di alcuni suoi rappresentanti al Parlamento
Europeo, cinque anni prima dellarrivo dei comunisti francesi.

14

Il P.C.I. persegue gi allora un obiettivo, quello di far diminuire lonnipotenza del


Consiglio dei Ministri a favore del Parlamento, organo che il partito italiano
ritiene debba essere eletto a suffragio universale diretto [Ronzitti, 1972].
La valutazione sulla C.E.E. da parte di P.C.I., P.C.F. e P.C.E. durante
lEurocomunismo.
Il rapporto con lEuropa costituisce uno dei punti focali dellEurocomunismo.
Il partito italiano il primo a rendersi consapevole del fatto che impossibile
costruire il socialismo in un Paese dellEuropa Occidentale senza tenere conto
del processo di integrazione in corso [Lambert, 1979]. Gi a partire dalla
Conferenza di Bruxelles dei partiti comunisti dellEuropa capitalista, nel 1974, il
P.C.I espone ai partiti fratelli il convincimento secondo il quale lEuropa
dovrebbe muoversi in modo equidistante dai due blocchi e consolidare il suo
ruolo di terza forza del futuro assetto politico internazionale. Berlinguer pone, in
questoccasione, le fondamenta della futura costruzione eurocomunista,
parlando della necessit:
...che lavanzata del socialismo nella parte dEuropa in cui operiamo proceda
nella ricerca di strade nuove pienamente corrispondenti sia alle particolarit e
alle tradizioni di ogni nazione, sia ai tratti comuni che si presentano in questa
zona del continente. [Berlinguer E., 1974a]
Inoltre, il leader comunista italiano lancia unidea:
UnEuropa Occidentale democratica, indipendente e pacifica, che non sia n
antisovietica n antiamericana ma si proponga di stabilire rapporti di amicizia e
collaborazione con questi e con tutti gli altri Paesi. [Berlinguer E., 1974a]
Il P.C.I. matura anche la convinzione che indispensabile un forte
potenziamento delle istituzioni comunitarie e, in primo luogo, del Parlamento.
Amendola, in particolare, afferma che solo attraverso la C.E.E., profondamente
riformata e democratizzata, possibile risolvere i gravi problemi economici che
affliggono lEuropa Occidentale:
Noi riteniamo utile la presenza di unorganizzazione democratica
multinazionale che affronti i problemi che i singoli stati nazionali dimostrano di
non essere in grado di risolvere (moneta, circolazione dei capitali, controllo
delle societ multinazionali, energia, inquinamento, ecc.). [Amendola, 1974].
Una prova concreta del nuovo atteggiamento del P.C.I. verso le istituzioni
europee verr, in seguito, fornita dallelezione nelle sue file di Altiero Spinelli,
certamente una tra le personalit che contribuiranno maggiormente al rilancio
del processo di integrazione economica e politica della Comunit Europea.
Infine, il nuovo pensiero dei comunisti italiani verso la C.E.E. determina un loro
sensibile avvicinamento verso le posizioni della socialdemocrazia europea, in
particolare quella tedesca. Del resto, il P.C.I. ritiene che il superamento

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dellantica divisione tra i partiti operai sia uno degli obiettivi che
lEurocomunismo deve cercare con maggiore intensit. Questo tema
presentato da Berlinguer gi durante la Conferenza di Bruxelles. Per il leader
comunista italiano, lunico modo per dare forza allimmagine di unEuropa
impegnata nel processo di distensione internazionale e per perseguire il
rinnovamento democratico delle istituzioni comunitarie : Stimolare il processo
di avvicinamento e di intesa tra tutte le forze di sinistra, democratiche e
antifasciste. [Berlinguer E., 1974a].
Il discorso a proposito della necessit di fare dellEuropa lelemento cardine
della coesistenza pacifica, operando nel senso del potenziamento del carattere
democratico degli organi della C.E.E., pienamente condiviso dal P.C.E.. Nella
risoluzione finale del suo IX Congresso si legge:
Noi aspiriamo a unEuropa dei lavoratori, a unEuropa dei popoli: unEuropa
unita sul piano politico ed economico, che abbia la sua politica indipendente,
non subordinata n agli Stati Uniti n allUnione Sovietica ma che mantenga
relazioni positive con entrambi; unEuropa che contribuisca al superamento dei
blocchi militari e del bipolarismo, alla democratizzazione della vita
internazionale, rendendo possibile a tutti i popoli decidere da s e in piena
libert dei propri destini. [IX Congreso del Partido Comunista dEspaa, aprile
1978].
Del resto, con la morte di Franco e il progressivo smantellamento del suo
regime, cade ogni pregiudiziale del P.C.E. contro un ingresso della Spagna nel
M.E.C.. Anzi, durante la stagione eurocomunista, in pi di unoccasione il
segretario Carrillo dichiara che tale ingresso deve avvenire come membro a
tutti gli effetti e non pi solo come semplice Stato associato. Nei documenti del
IX Congresso il partito definisce lintegrazione della Spagna alla C.E.E. come
una necessit economica e politica, in quanto essa pu contribuire allo sviluppo
delle forze produttive e porre le basi della struttura stessa delleconomia
spagnola.
Non si nega di certo che esistano anche aspetti antidemocratici nel presente
edificio comunitario, come la forte impronta che conservano i monopoli nel
determinare la scelta delle strategie politico-economiche da seguire. Ma questa
una ragione in pi che spinge il P.C.E. a ritenere indispensabile un ingresso
della Spagna nella C.E.E., proprio allo scopo di trasformarla, ridefinendone gli
obiettivi.
Ci non trova per nulla daccordo il P.C.F., assolutamente contrario ad un
allargamento della Comunit, definita anche durante la breve parentesi
eurocomunista la piccola Europa dei trust e dei monopoli. Nasce cos
unaccesa polemica tra i due partiti, che testimonia una volta di pi la debole
consistenza dellunit di intenti tra gli eurocomunisti.
La critica del P.C.F. concerne la struttura generale del M.E.C., giudicata un
tentativo
operato
dalle
nazioni
capitaliste
per
coordinare
linternazionalizzazione dei capitali. Si accusa, in particolare, il Mercato Comune
di aver aperto la strada alla penetrazione dei mercati europei da parte delle

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grandi multinazionali americane [Baudouin, 1978, 236]. Il partito francese


anche lunico tra gli eurocomunisti ad opporsi risolutamente ad un ampliamento
dei poteri del Parlamento Europeo. Anzi, fino allaprile 1977, il partito
transalpino si dice assolutamente contrario anche alla semplice elezione a
suffragio universale diretto di questa assemblea, in quanto, come afferma
Kanapa: ...questa elezione rinforzerebbe il peso della reazione in Europa a
svantaggio delle forze democratiche e degli interessi delle Nazioni. Poi,
nellaprile 1977, allimprovviso e senza alcuna discussione a livello di base del
partito, ma con una semplice decisione dellUfficio Politico, il P.C.F. si di chiara
favorevole ad unelezione popolare dei rappresentanti del Parlamento di
Strasburgo, a condizione, per, che i poteri di tale assemblea non siano
minimamente rinforzati.
Quando, nel giugno 79, hanno luogo le prime elezioni europee, il partito di
Marchais imposta la sua campagna elettorale attaccando in modo esasperato le
istituzioni europee. Questo fatto determina unaccentuazione delle divergenze
con gli altri eurocomunisti, soprattutto con il P.C.I., del quale il partito francese
contesta lanalisi della crisi economica e le soluzioni avanzate per superarla.
Infatti, mentre il partito italiano convinto che occorra una collaborazione
attiva da parte di tutte le forze della classe operaia europea, il P.C.F. ritiene che
la crisi sia prima di tutto un problema da risolvere sul piano nazionale [Bibes,
1979].
Le differenti proposte di riforma delle istituzioni comunitarie formulate
dagli eurocomunisti.
La differenza nelle proposte per rinnovare lassetto istituzionale della C.E.E.
notevole tra gli eurocomunisti, specie tra P.C.I. e P.C.F..
Il partito italiano vuole rendere pi democratico il funzionamento complessivo
dellapparato comunitario. In occasione dellin-contro di Bruxelles, Amendola
lancia la proposta dellelezione a suffragio universale diretto dellAssemblea di
Strasburgo. Egli auspica, soprattutto, che questo organo non abbia solo poteri
consultivi, ma acquisti una maggiore rappresentativit democratica. Tuttavia
questa proposta, come si visto, non soddisfa per niente il partito di Marchais,
sempre risolutamente contrario ad unistituzione sovranazionale. Ma Amendola
non demorde e, sempre a Bruxelles, presenta il quadro delle riforme che il P.C.I.
ritiene
necessarie
per
rendere
pi
democratica
la
C.E.E.:
La Commissione un grande segretariato senza poteri decisionali. Tutti i poteri
sono del Consiglio dei ministri che sede di estenuanti mercanteggiamenti e di
accordi precari. Bisogna rovesciare tali rapporti. Nella Commissione debbono
entrare con funzioni responsabili i rappresentanti del sindacato europeo, delle
associazioni agrarie, delle cooperative. [Amendola, 1974].
Inoltre i comunisti italiani chiedono una profonda revisione della politica agraria
comunitaria, ritenuta inflazionistica, improduttiva e, in molti casi, dannosa per
lItalia.

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La battaglia portata avanti dal P.C.F. sul tema delle riforme istituzionali della
C.E.E. , invece, di segno totalmente opposto.
Il vertice del partito favorevole, malgrado le indicazioni fornite dai suoi
rappresentanti al Parlamento di Strasburgo, ad un incremento dei poteri del
Consiglio e, soprattutto, a conservare la regola dellunanimit per tutte le
decisioni prese da questo organismo. Il P.C.F. vuole, inoltre, che il monopolio
decisionale resti al Consiglio dei ministri e non passi al neonato Consiglio
Europeo, ritenuto troppo simile, nei suoi principi, al presidenzialismo [Baudouin, 1978, 247-248]. Le ragioni di un atteggiamento cos ben disposto verso
listituzione forse meno democratica della C.E.E. e, viceversa, di netta
chiusura verso lipotesi di un Parlamento Europeo con pi poteri, ovvero lesatto
opposto della strategia tenuta nella politica nazionale, si spiegano, forse, con il
fatto che il vertice del partito, confidando nella vittoria elettorale dellUnion de
la Gauche, ritiene che il Consiglio dei ministri sia lorgano in cui il P.C.F. pu far
sentire maggiormente il suo peso politico.
Per quanto riguarda i progetti per una futura Unione economica e monetaria,
essi sono ferocemente attaccati dal P.C.F., perch ritenuti dannosi per
leconomia
nazionale
[Baudouin,
1978,
251].
Il partito di Marchais si pone, infine, lobiettivo di riorientare le relazioni
economiche esterne della C.E.E., bloccando le penetrazioni giapponesi e
americane e incrementando gli scambi con il C.O.M.E.C.O.N. e i Paesi in via di
sviluppo [Baudouin, 1978, 253].

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Conclusioni
Le ragioni del progressivo declino dellEurocomunismo.
Lipotesi iniziale da cui sono partito, secondo la quale il progetto eurocomunista
sarebbe fallito soprattutto per lestemporaneit dello dislocamento politico e
ideologico del P.C.F., si mostrata in buona parte esatta, anche se non pu
essere considerata come lunica causa che ha condotto allappannamento della
proposta eurocomunista. In effetti, pur essendo questa, probabilmente, la
ragione principale, ve ne sono altre, alcune imputabili a tutti e tre i partiti, altre
riferibili in modo esclusivo agli altri due componenti del movimento
eurocomunista.
LEurocomunismo ha preso avvio dalla comune consapevolezza dei tre partiti
che essi, da soli, non avrebbero potuto proporre un loro modello di societ
socialista alternativo a quello sovietico senza incorrere negli anatemi di Mosca e
nel rifiuto delle societ nelle quali si erano sviluppati. Tuttavia, troppo
raramente le tre anime dellEurocomunismo hanno mostrato una reale unit di
intenti. Sovente, infatti, ogni partito sembrato portare avanti una strategia di
tipo nazional-comunista, irrimediabilmente condannata al fallimento
[Salvadori, 1978].
Significativa testimonianza delle laceranti divergenze tra i partiti eurocomunisti
la circostanza per cui, nel 1979, in occasione delle prime elezioni per il
Parlamento Europeo, non solo non esisteva un programma comune tra i nove
partiti comunisti della C.E.E. ma, cosa ancor pi grave, la distanza tra lanalisi
politica ed economica avanzata dal P.C.I. e quella elaborata dal P.C.F. era
enorme, quasi fossero due programmi assolutamente inconciliabili.
Occorre poi ricordare anche gli errori di valutazione compiuti dai tre partiti
congiuntamente.
Innanzitutto vi stato un grave fraintendimento a proposito della reale natura
della coesistenza pacifica, un peccato di ingenuit messo molto bene in risalto
da Bonanate e di cui si gi parlato nel corso della tesi.
Erronea si mostrata, inoltre, anche la convinzione secondo cui la fase di
transizione antimonopolista si sarebbe potuta verificare allinsegna della
stabilit democratica e senza forti scossoni politici e sociali. Una visione senza
dubbio troppo ottimistica di un momento storico che, nelle intenzioni dei tre
partiti, avrebbe dovuto portare i loro rispettivi Paesi verso una societ socialista
avanzata e segnare, nei fatti, linizio del processo di smantellamento del
sistema capitalista.
Unultima osservazione riguarda i progetti di riforma strutturale delleconomia
presentati dai tre partiti eurocomunisti. Questi erano condizionati, in linea
generale, dalla prospettiva di un forte tasso di crescita delle economie dei

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rispettivi Paesi nel medio e nel lungo periodo, cosa che la realt ha dimostrato
del tutto irrealistica [Mandel, 1978].
Ma oltre a questi errori di valutazione commessi da tutte e tre le formazioni
politiche, ve ne sono altri riconducibili ai singoli partiti.
Come ho messo precedentemente in evidenza, il P.C.F. si mostrato ben presto
lelemento pi inaffidabile della coalizione eurocomunista. I limiti del partito
francese sono emersi sia sul piano politico nazionale che su quello
internazionale. Per quanto concerne il primo ambito, il partito di Marchais, dopo
aver contribuito, in maniera determinante, alla nascita dellUnion de la Gauche
insieme con il P.S., al fine di costituire unautentica alternativa di sinistra,
quando ormai tutto lasciava presagire un imminente trionfo elettorale, ha
compiuto unimprovvisa inversione di rotta, provocando cos non solo il
fallimento della prospettiva di conquistare il governo del Paese, ma anche la
fine stessa dellalleanza. Tra le ragioni addotte per tentare di spiegare questa
sorta di harakiri compiuta dal partito comunista francese, interessante
quella secondo la quale esso avrebbe agito in questo modo per paura di trovarsi
a gestire una difficile situazione di crisi economica, la quale lo avrebbe
obbligato ad assumere misure fortemente antipopolari. Inoltre il P.C.F. si
sarebbe anche reso conto che il vero motore della coalizione di sinistra era
ormai divenuto il partito di Mitterand.
Tuttavia, pur giudicando molto valide queste spiegazioni, ritengo che alla base
di questa scelta, per molti versi assurda, vi siano soprattutto ragioni di ordine
ideologico, in particolare lostinato rifiuto di andare fino in fondo nel processo di
omologazione con il resto della cultura politica francese, per timore di perdere
la propria identit.
Non si deve, infine, dimenticare che il P.C.F. ha pagato a caro prezzo il fatto di
non aver mai avuto tra le sue file un grande pensatore politico, come invece il
P.C.I. con Gramsci, il quale fosse in grado di elaborare un autonomo progetto
per la costruzione di una societ socialista nazionale. In effetti, linfluenza di
Mosca sul P.C.F. sempre stata molto rilevante, al punto che, al termine
dellesperienza eurocomunista, mentre il P.C.I. ha imboccato in modo risoluto la
strada del dialogo e del progressivo incontro con la socialdemocrazia europea, il
partito francese ha optato per un ritorno allantico, riportandosi sotto lala
ancora benevola del Cremlino e riproponendosi come il partito comunista
occidentale pi fedele di Mosca.
Lo smacco per il fallimento del progetto eurocomunista ha lasciato, tuttavia, un
segno indelebile nel partito transalpino. Molti tra i suoi pi illustri intellettuali,
fortemente pessimisti riguardo alla capacit del partito di sapersi trasformare e
evolvere secondo le nuove esigenze della societ francese di inizio anni 80,
hanno preferito abbandonarlo, accentuando, in questo modo, la gi profonda
crisi del partito e il suo progressivo autoisolamento dalla vita politica nazionale.
Anche il partito comunista italiano, comunque, non stato esente da errori.

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Se da un lato senza dubbio vero che la sua svolta democratica aveva radici
ben pi profonde e forti rispetto a quella operata dal P.C.F., dallaltro anche il
P.C.I. parso, a volte, prigioniero di vecchie idee che appartenevano ancora a
quel tipo di comunismo di impronta stalinista che, nei fatti, il partito italiano
aveva da tempo superato. Cos, per citare un caso, il tema della rivoluzione non
mai stato completamente accantonato nei discorsi dei leader comunisti,
anche se lintensit dei toni si era decisamente via via sempre pi attenuata.
Alcuni intellettuali di area socialista, a proposito della dislocazione ideologica
del P.C.I. e, in particolare, in riferimento al nuovo modo di intendere concetti
quali la democrazia e le libert individuali, hanno rivendicato il fatto che questi
principi facevano parte integrante del patrimonio socialista gi da molti
decenni. Effettivamente, il partito di Berlinguer ha dato sovente limpressione di
voler a tutti i costi rivendicare la continuit col passato pi che mettere in
evidenza le novit presenti nella sua nuova duplice strategia del Compromesso
storico e dellEurocomunismo.
Questo legame forzato col passato cos diventato, in certe occasioni, un
vincolo, diciamo, asfissiante. E accaduto soprattutto nel caso delle relazioni
con il mondo comunista e, in particolare, con il suo centro, lUnione Sovietica.
Lossessione di non rompere, almeno formalmente, i legami con la Patria della
Rivoluzione ha condotto il partito italiano ad assumere comportamenti quanto
meno ambigui, che hanno giustificato dubbi sulla sua reale volont di costruire
una societ socialista democratica e rispettosa della libert. Cos, in occasione
del durissimo attacco portato dai sovietici nei confronti del leader spagnolo
Carrillo, la difesa dufficio assunta dal partito di Berlinguer nei confronti del
segretario del P.C.E., oltre a suonare come una critica velata verso lo stesso
Carrillo, le cui dichiarazioni sono state giudicate intempestive, ha messo
drammaticamente in luce tutta la debolezza dellimpianto solidaristico
eurocomunista. Limmagine del P.C.I. uscita intaccata da questa vicenda, in
quanto ha dato a molti limpressione di un partito poco coerente nelle sue prese
di posizione, avendo affermato, da un lato, che il socialismo senza libert non
era vero socialismo, ma essendosi mostrato incapace, dallaltro, di rompere in
modo definitivo con un regime che di socialista aveva ormai solo il nome.
Per quanto riguarda il P.C.E., infine, pi che di errori di strategia o di evoluzioni
ideologiche troppo timide, il vero problema stato rappresentato dalla grande
difficolt incontrata dai comunisti spagnoli nellinserirsi nella nuova realt
politica del dopo-Franco, quando il partito ha riacquistato la piena libert
dazione. Altri grossi problemi sono stati, senza dubbio, il pesante clima di
ostilit ancora molto diffuso in diversi settori sociali del Paese e, soprattutto, il
difficile rapporto con i cattolici e con i socialisti, tutti fattori che condussero il
partito a un risultato elettorale pi che modesto.
Ma ci che ha reso veramente problematica la situazione del partito spagnolo
stata la grossa frattura creatasi tra il vertice del P.C.E., deciso a compiere una
radicale svolta nei rapporti con Mosca, e la base, al contrario ancora fortemente
filosovietica. Questo fatto ha provocato una serie infinita di lotte intestine che

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hanno prodotto dapprima, nel 1981, un disastroso risultato elettorale e, pochi


anni dopo, addirittura luscita dello stesso Carrillo dal partito.
Dunque non una sola causa, ma una serie di circostanze hanno, nel loro
complesso, contribuito a far fallire il pi importante tentativo operato in
Occidente di riformare il comunismo in senso democratico, senza che si
dovesse ammettere la preferibilit del sistema capitalistico riformato.

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Mauro Bruscagin
Universit Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Facolt di Scienze Politiche Tesi di laurea in Scienze Politiche

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