Sei sulla pagina 1di 42

FILOSOFIA MORALE

-S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Opere III (1899), C.L. Musatti (cur.), Boringhieri, Torino
1966, capitoli 6 e 7 (pp. 257-555);
-J. Laplanche-J. B. Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza, Roma-Bari 2010. Voci:
“condensazione”, “spostamento”, “raffigurabilità, considerazione della”, “elaborazione secondaria”
“appagamento di desiderio”, “regressione”. Il materiale verrà fornito a lezione e caricato sulla
piattaforma e-learning.
-G. Didi-Huberman, La solitudine a due, in La conoscenza accidentale, Bollati Boringhieri, Torino
2011 (pp. 27-31). Il materiale verrà fornito a lezione e caricato sulla piattaforma e-learning.
-M. Bottone, La lingua (perduta) del sogno nell’epoca delle neuroscienze, «aut aut» n. 379 (2018) (pp.
188-204). Il materiale verrà fornito a lezione e caricato sulla piattaforma e-learning.

ESAME ORALE

LEZIONE 1 (13 febbraio 2023)


Introduzione del testo
In che modo l’interpretazione dei sogni, che è un testo di psicoanalisi, ha a che vedere con la filosofia
morale?
Sotto forma di due aspetti differenti:
-Comunità –Asocialità
In che modo il sogno che è qualcosa di personale, asociale, privato, ha a che vedere con il nostro modo di
porci in relazione con gli altri.
Altra polarità:
-Veglia –Sonno
In che modo qualcosa che accade nel mondo dell’inconscio, ha a che vedere con quando siamo desti?
Cesare Musatti, curatore dell’opera Freudiana, nell’introduzione sottolinea questo contrasto. Sarebbe l’opera
di Freud che ha mantenuto maggiormente il suo impianto iniziale. Sono state fatte molte pubblicazione, ma
mantiene una fedeltà dell’intuizione iniziale.
È qualcosa che Freud esplicita già nei primi passaggi: METODO-TEORIA DETERMINABILE-PRETESA
DI OGGETTIVITA’.
Musatti individua una serie di stranezze, che suddivide in 4 macro blocchi:
- Un’opera scientifica sia insieme ad una parte della sua autobiografia. Nasce infatti da un episodio
della sua vita, riconducibile alla morte del padre. Legato ai sintomi, emozioni, suscitato da un lutto.
- Il materiale su cui quest’opera scientifica si fonda, è l’insieme in realtà dei suoi sogni, verso i quali
uno sguardo oggettivo è interdetto. Inoltre Freud falsifica questi sogni, per rendere i soggetti del
sogno, non riconoscibili. (AUTOANALISI)
La psicanalisi stessa è scettica verso questo.
1
- Opera rivolta al sogno, ha assunto il carattere di un’opera di psicologia generale. I meccanismi del
sogno diventano la cartina per leggere la vita psichica nella sua estensione.
- La disciplina, la scienza sia una scienza personale, legata al suo autore, come nessun’altra dottrina
scientifica lo è. (scienza personale)

Ci apre ad una domanda più radicale. Cosa stiamo leggendo quando leggiamo Freud?
Ha un modo di scrivere scientifico, per la sua formazione, oppure stiamo leggendo un’opera artistica?
Alla luce delle nostre categoria, la cosa che Freud ci ha lasciato, è in realtà qualcosa che non è facilmente
catalogabile. Ci presenta dei contrasti, di cui anche Freud è vittima, ma non possiamo non tenerne conto.
Si tratta effettivamente di stranezze oppure c’è qualcosa di costitutivo nelle sue stranezze?
L’opera Freudiana soffre della difficoltà, del rischio di collocarla in una cornice. Riceve l’accusa di
anacronismo.
La psicanalisi è non vera, non fondata, dall’altro lato c’è una tendenza opposta, ovvero di leggere Freud
come leggessi una dottrina.
Che si scelga una via, o un’altra, si perde il concetto di scienza personale.
Potremmo dire che in entrambi casi ci sia la ricerca di una verità, mentre l’oggetto del testo Freudiano ha
qualcosa di differente.
Cosa significa spostare l’attenzione dal termine verità, al termine lavoro della verità?
Il lavoro della verità è un movimento di avvicinamento, non si coglie qualcosa, ma ci si muove verso
qualcosa. Non c’è un rapporto definitorio, c’è un rapporto di prossimità all’oggetto.
Si possono cogliere i contrasti, si vedono delle verità, delle tangenti anche opposte.
Si vedono i sintomi, che abitano l’uomo, che lo circondano.
Si tratterebbe di intravedere il chiaro-scuro Freudiano.
Lavoro: Freud fa impiego di questa parola in almeno due occasioni. LAVORO DEL LUTTO E LAVORO
DEL SOGNO. In entrambi questi casi, mette in crisi il rapporto tra verità e falsità. È inutile decretare la
falsità o la verità. Il termine lavoro mette in luce il contrasto.
Quindi anziché, l’opposizione dialettica, abbiamo un altro dispositivo, il termine lavoro e contrasto.
Lavoro del lutto: è l’espressione che assegna al processo che avviene alla perdita di un oggetto amato. Un
lavoro che ha di mira la risoluzione della perdita. Lavoro si situa tra qualcosa che si è perduto e la
risoluzione.
Non parte affatto dalla risoluzione, ciò che lo colpisce è che ci sia un lavoro.
Se fossimo macchine perfette il lavoro non servirebbe, l’amore verrebbe spostato verso un altro oggetto.
Invece ci vuole del tempo per elaborare, e fa riferimento alla MALINCONIA. Distingue il lutto, dalla
malinconia. Il lutto è un’operazione normale, la malinconia non porta a nessuna risoluzione (il melanconico
non sa cosa ha perduto).
Il lavoro della malinconia: non porta nemmeno ad una risoluzione. È proprio da qui che determina il termine
lavoro, perché il lavoro c’è comunque, anche se non c’è una causa.

2
Lavoro del lutto: esistenza dell’oggetto perduto viene prolungata, sofferenza inspiegabile prolungata anche
nel lutto. Il sintomo non è solo quello del melanconico, ma è anche quello del soggetto normale.
Non c’è normale e patologico, c’è il lavoro e c’è il sintomo.
Lavoro del sogno: si situa tra altri due poli (contenuto latente e manifesto)
L’essenza del sogno non è il contenuto latente, ma il lavoro del sogno.
Ciò che conta non è ciò che si è perduto, ma il lavoro che mette in atto. (Lutto)
Il sintomo è il fatto di sognare, è qualcosa che scandisce la nostra vita quotidiana. Utilizza una formula: i
sogni sono allucinazioni, ma per il fatto che le abbiamo tutti, non sono patologiche. C’è qualcosa di
patologico anche nel sogno. Il sintomo è costitutivo, e ci costringe ad un lavoro.

VERITA’ E LAVORO DELLA VERITA’. Verità ricerca dell’istanza stabile (che cosa hai perduto? Qual era
il pensiero latente del sogno?) Il lavoro della verità risponde alla domanda come? Come stiamo in prossimità
di una perdita?
Ci avviciniamo alla complessità dell’inconscio Freudiano, che non è una scatola piena di cose che abbiamo
gettato la. Non è qualcosa di unitario. L’inconscio è nella perdita, nelle dimenticanze, laddove qualcosa si
mostra nella forma del sintomo e dove c’è un lavoro. Un lavoro che non serve a nulla. Ma cosa ci dice del
modo in cui funzioniamo?
Iniziare a pensare alla verità in questi termini rende meno strane le stranezze precedenti.
Ma Freud quindi è uno scienziato o uno scrittore? Viene definito un archeologo del banale.
Freud cercava le tracce del banale, non gli interessa il patologico nella sua evidenza, i sogni, gli sbagli,
inezie, sonnolenze, tendenze minime. Viviamo in una tale pretesa di consapevolezza di noi, che questi
piccoli intoppi li consideriamo scorie. Ha avuto fede assoluta, in ciò che l’orgoglio intellettuale ignorava.
Fa riferimento all’infanzia, aggiunge un altro tassello. Infanzia come scoria, ciò che rischiamo
continuamente di perdere, presi da un orgoglio. Non c’è qualcosa che possa cancellare quella scoria.
Archeologo: perché comincia a prestare fede ai residui preistorici della nostra infanzia, che torna nei sogni e
nelle fantasie.
Il tentativo di Freud è quello di sganciare un elemento sintomatico dalla patologia. I sintomi sono del
soggetto.
Il sogno non è una condizione patologica, non è indice di infelicità, ma Freud sceglie di dargli questo nome.
Un prototipo normale, di qualcosa di patologico.

La psicanalisi è una clinica, in cui viene portata una richiesta di aiuto, e ci si aspetta una risposta.
Allora ritorna, la clinica ha di mira un lavoro della verità, ma non una verità. Perché ciò che c’è di importante
non è la verità insita nel soggetto, ma il lavoro verso la verità.

RIFERIMENTO FILOSOFICO

3
Se come nell’ipotesi Freudiana notte e veglia non sono realtà dicotomiche, c’è un lavoro del sogno che le
accomuna. È un rapporto, anche se non sono uguali.
Asocialità e comunità sono legate da un’implicazione soggettiva, c’è un lavoro che le attraversa. Il sogno ha
qualcosa di singolare e non è la dimensione sociale con cui ci confrontiamo, sono diverse.
Ci collochiamo nel mezzo di una continuità, che è anche una frattura.

CITAZIONE DEL TESTO: GIORGIO AGAMBEN


Che cos’è il contemporaneo?
È una questione che ci è utile da due punti di vista, per pensare la contemporaneità al di là della cronologia
nomotetica, temporalistica.
Ci sollecita a pensare la contemporaneità al di là della cronologia temporale.
In che modo si è contemporanei dei testi che si vanno ad analizzare, nonostante i testi non siano
contemporanei. Non è una qualità dell’autore, ma implica uno sforzo da parte di chi si approccia a
quell’autore. Dobbiamo provare ad essere contemporanei di qualcuno che non lo è.
Se la luce delle acquisizioni scientifiche, non è disponibile, mi rivolgo al sottosuolo, all’oscurità.
Di chi e di cosa siamo contemporanei? Cosa significa?
Il contemporaneo è l’intempestivo. È qualcosa di inattuale, arriva fuori tempo rispetto a qualcosa che si è
calcificato.
Essere contemporanei, significa non pensarci padroni a casa nostra. Freud fa riferimento all’Io.
È contemporaneo colui che sa guardare alla propria epoca, alla luce di questa frattura, che se non ci fosse,
non potremmo guardarla.
Non significa essere nostalgici di un altro tempo. La contemporaneità è una singolare relazione con il proprio
tempo, che aderisce, ma allo stesso tempo ne prende le distanze.
Fa due esempi: una prima risposta ci viene data dalla neurofisiologia della visione, cos’è il buio che vediamo
nel sonno? Non significa assenza di luce, è un’altra forma della visione. Neurofisiologicamente è data da
cellule che entrano in attività. Non è un vuoto è un risultato di un’attività. Per vedere il buio noi esercitiamo
una capacità. Queste cellule neutralizzano un eccesso di luce, un buio che non è separabile da quelle luci,
perché l’attività delle cellule era già lì.
Perché riuscire a percepire le tenebre dovrebbe interessarci?
Il contemporaneo è colui che percepisce il buio del suo tempo, e non smette di interpretarlo.
Freud dice ‘’non è vero, è proprio quando c’è il buio, che capiamo qualcosa di noi’’

Una seconda risposta: nel momento che nell’universo ci sono moltissime galassie, perché quando osserviamo
il cielo, sono poche le luci che vediamo? Perché vediamo il buio?
Nell’universo le galassie più remote si allontanano da noi, perché la velocità con cui si allontanano ci
impedisce di vederle.

4
Percepire nel buio del presente, questa luce del presente che cerca di raggiungerci e non può farlo, significa
essere contemporanei. I contemporanei sono rari, devono essere coraggiosi, significa percepire nel buio una
luce e saper stare nel buio. Essere puntuali ad un appuntamento che si può solo mancare.
15 FEBBRAIO

RELAZIONE TRA BUIO E LUCE- NOTTE E VEGLIA.


Fare uno sforzo per provare a vederli entrambi. Nel buio latente c’è qualcosa che ci interpella e in questo
buio c’è la luce, e noi ci collochiamo nel punto di frattura.
Con lo studioso Agamben, si è cercato di dare uno sguardo simbolico al contemporaneo. Si è discusso della
figura-sfondo e del buio, comprendendone la dinamicità e l’idea che riguarda il singolo all’interno della
modalità con cui si volge lo sguardo.

È fondamentale pensare questa visione considerando la relazione di cura: in questa relazione vi è una
posizione asimmetrica in cui una persona volge lo sguardo e pone la domanda a qualcuno che deve
rispondere. Il sintomo spezza l’ordine delle cose. = Come volgiamo lo sguardo al sintomo, che si orienta in
modo differente rispetto al solito? Qual è la postura di colui che prende in carico la domanda?

1. Fare una diagnosi, attraverso la strategia risolutiva collegata all’ambito di studio (es. strategia
educativa, risposta farmacologica…)

Qual è la direzione della cura? Dove la conduce? Qual è lo stato della non sofferenza?

Anche in questo caso si ha a che fare con una logica disfunzionale, che spezza l’ordine delle cose. Nel
momento in cui si intente il sintomo come una disfunzione, si può percepire il funzionamento\ la
funzionalità che conduce conseguentemente alla strada per perseguire il buon funzionamento, ovvero
qualcosa che si adegua al contesto in cui è inscritto.

In questo processo insorge una crisi, in quanto il principio di piacere si scontra con il principio della
realtà attraverso cui insorge un processo di adattamento, con compromessi che cercano di permettere un
adeguarsi. Tuttavia, l’adeguamento al principio della realtà non è sempre una cosa buona e corretta.

2. Affinché la sofferenza venga alleviata, la cura è rispecchiabile nella felicità. Quest’ultima può essere
collegata al buon funzionamento; tuttavia come si misura e considera la felicità in un soggetto?
a. La misurazione si basa sul sintomo, percepito come disfunzionale. Primo passo per poterlo
considerare;
b. La felicità, tuttavia, è discontinua ed è soggettiva;
c. Tuttavia, la domanda arriva in analisi quanto sorge la domanda senza sapere il perché. Il sintomo
è un evento che intralcia la realtà.
d. Forse la felicità è molto più simile al sintomo, che è buon funzionamento. In quanto la felicità è
qualcosa che accade in un percorso di vita, è riprogrammabile, ed è un qualcosa che non
sappiamo il perché accade. È maggiormente simile al sintomo, in quanto non vi p una visone
5
della felicità e non possiamo dire di provarla fino al momento stesso in cui si prova (e forse
neanche tutt’ora si comprende a pieno).
e. Letto in chiave psicoanalitica cognitivo-comportamentale, la risposta si trova in direzione
opposta all’eliminazione del sintomo (attraverso delle strategie) per tornare a “come si era
prima”. Per la psicoanalisi la fonte della sofferenza, quell’accadimento, pone un interrogativo su
quanto sia implicata la sofferenza e la felicità al contempo a cui solo il paziente stesso può dare
risposta. Sostituite il soggetto ignorando il sintomo, consiste nel portare l’individuo senza
considerare la domanda che egli stesso si pone.
f. In tal caso si interroga il processo di resilienza: se una persona è resiliente, significa che quanto
gli accade potrebbe non essere vissuto, ignorando così la domanda che l’evento gli impone. (Nel
caso la resilienza venisse letta come una resistenza nonostante tutto, un codice comportamentale
per resistere all’evento, non deve essere letta come visione virtuosa, in quanto resistenza
nonostante la domanda. Si mantiene un equilibrio, che regge in base al principio di realtà. = la
questione morale conduce a ciò che è prescrittivo e che dà indicazione di regola; l’etica
corrisponde ad un’etica contrastata tra posizione soggettiva e l’elemento d’interrogazione
percepita)
g. Secondo la prospettiva psicanalitica è l’analizzante (il paziente ) che lavora secondo una
ricostruzione e un chiarimento di sé, in quanto al sintomo può rispondere solo il soggetto che lo
percepisce.
h. Massimo Recalcati, in L’ultima cena, afferma che la psicoanalisi aiuta a percepire la verità
rimossa dal soggetto, una verità nascosta e non immediata, una verità al lavoro ed abitata da
contraddittori rapporti – contrasti - (considerata in un movimento processuale, non statico). La
psicanalisi non vede il sintomo come una cosa disfunzionale ma come una percezione
soggettiva. In tal caso, riprendendo Musatti, si può associare una scienza personale e comune (in
quanto è troppo personale per essere solo scientifica ed è un costrutto comune).
i. Recalcati, afferma che l’effetto terapeutico dove vi è effetto soggetto: questo non corrisponde
all’adeguazione alle norme sociali, ma nemmeno il compromesso. Si tratta di una misura
particolare della felicità, in cui si considera in un modo specifico secondo un particolare del
principio di felicità. Per riprendere il concetto di Facchinelli delle mancanze, in cui si legge il
buio come un’attività particolare, un lavoro di scambi ed interconnessioni. Vi è quindi un
inconscio all’opera, giungendo a vedere la luce che è il lavoro, lo scambio, l’attività particolare.
j. La proposta freudiana considera non solo il sintomo, ma la persona. In una relazione di cura è di
fondamentale importanza che questo metta in atto una considerazione di asimmetria (intesa
come dissimmetria dei ruoli tra i soggetti e come il soggetto monitora e volge lo sguardo al
proprio sintomo) . Emerge quindi il soggetto dell’inconscio: quest’ultimo non è l’io, ma è un
soggetto che non emerge fin tanto che si rimane nella conversazione ordinario. Fondamentale è
la considerazione del setting in cui paziente e terapeuta (il primo seduto in un divano posizionato

6
in modo tale che il primo non volga direttamente lo sguardo al secondo) non si guardano in viso,
per evitare il rispecchiamento agevolando la libera associazione. In questo modo non parla l’io
persona, ma il soggetto dell’inconscio che associa eventi. Si parla anche di “specchio opaco”,
espressione con cui si percepisce la non rispecchiabilità. La prospettiva psicanalitica è costruita
per impedire una relazione tra pari, favorendo la dissimmetria, impedendo la soggettivizzazione
all’altro.
k. Freud non ha scoperto l’inconscio ma l’ha inventato: l’inconscio, infatti, riguarda tutto ció che la
coscienza esclude e non considera, si tratta di una ‘scoria dell’infanzia’ e dei sogni; può essere
letto come il principio di realtà che è in contrasto ed al contempo esclude il principio di piacere
proprio dell’inconscio, che spesso viene represso ed emerge nel sonno.

La questione etica vista da un punto di vista filosofico, consiste nel lasciar essere dubbi, in quanto chiave del
processo. Il “buio” è da considerare come attività, tutto ciò che può essere e che non può essere al contempo.
Il lavoro del pensare all’interpretazione del sogno, è la modalità con cui si pensa all’inconscio e alla sua
attività, al suo lavoro

20 febbraio
SINTOMO: abbiamo provato a sospendere il giudizio negativo. Termine istinto come evento fortuito, che
scombina l’assetto ordinato delle cose, mette in crisi anche l’assetto funzionale di un’abitudine.
SINTOMO ALL’INTERNO DI UNA RELAZIONE DI CURA? COSA SIGNIFICA GUARDARE UN
SINTOMO? Abbiamo cominciato a vagliare varie ipotesi.
Due principali:
1- Sintomo come elemento disfunzionale, l’obiettivo è quello di restaurare una condizione di benessere o
efficace. Esercitare un sapere, una diagnosi. Avrò un’immagine di cosa sia una buona funzionalità. Se
risponde con una risposta efficace agli stimoli.
Capacità di adeguarsi al principio di realtà (lo mette in tensione con il principio di piacere, dalla quale non si
stacca mai) Dove regna il principio di piacere assoluto (bambino), appena incontro una lacuna rispetto alla
ricerca del piacere, e interviene il principio di realtà.
Aumentando l’efficacia dell’io aumenta anche il principio di realtà.
Questo non significa che il principio di piacere venga disattivato, incontra dei compromessi, delle tortuosità.
Da questo momento in poi, la ricerca del piacere diventa un posizionamento soggettivo. Un compromesso.
Si tratta di un passaggio essenziale, perché il sogno è l’appagamento di un desiderio.
Come può un desiderio può appagarsi nel sogno, dove la realtà viene meno? Esclude il rapporto materiale
con la realtà.
Il modello che legge nel sintomo un modello disfunzionale, implica di conoscere quale sia la felicità del
soggetto, felicità come qualcosa di misurabile.

7
2- Quella avanzata dalla prospettiva analitica. Il sintomo non va preso come qualcosa da risolvere. Qualcosa
del soggetto è implicato nel sintomo, sebbene in una forma che fa resistenza all’Io.
Se si trascura il modo particolare in cui il soggetto è implicato eticamente nel suo sintomo, e che nel sintomo
si manifesta la sua verità più propria, la cura si riduce alla cura della macchina del corpo.
Se trattiamo il sintomo come un ingranaggio malfunzionante, stiamo venendo meno all’etica del soggetto.
Il sintomo è UNA VERITA’ NASCOSTA, SINGOLARE. Recalcati la chiama POSTURA SOGGETTIVA.
La psicanalisi, sintomo come indice fondamentale della verità rimossa del soggetto.
Il presupposto decisivo, è di assumerli come POSIZIONI SOGGETTIVE.
Partendo dalla dimensione della cura, comincia a emergere un certo modo di considerare il soggetto.
Il soggetto non è l’Io, ma il soggetto differisce anche dalla soggettivazione.
DAL SOGGETTO ALLA SOGGETIVAZIONE.
Soggettivazione è un processo, un lavoro, è qualcosa che continua a farsi, che si sta facendo, in procinto di
costruirsi. Non possono circoscriverlo in una visione d’insieme. Comincia a tenere insieme l’Io e il soggetto.
Recalcati parlava di un effetto, effetto di cura, principio soggettivo del piacere. Gli elementi paradigmatici
della cura non si lasciano isolare, da un nuovo modo di intendere il soggetto. Il soggetto è sempre
confrontato dall’inconscio. Aggiungiamo però, il soggetto dell’inconscio, è qualcosa che ci appartiene e la
cura analitica lavora a partire dal sintomo affinché ci sia uno scambio, tra il soggetto che parla e il soggetto
dell’inconscio, che è qualcun altro.
È necessario confrontarsi con una certa angoscia, tenere giudizio sospeso. L’orientamento della cura non è
mai realmente orientato.
Perché parlare di invenzione dell’inconscio? E non di scoperta?
Si lega allo spostamento dal soggetto alla soggettivazione. Non si tratta di svelare, non è un oggetto, è un
certo linguaggio, processo.
Freud inventa l’inconscio, sembra fare retorica. In realtà presuppone di ripensare la domanda stessa, su cos’è
la coscienza, un linguaggio, un discorso. Il modo in cui esercitiamo un sapere, non è mai neutrale, nel
momento in cui ne entriamo. Inventiamo, è qualcosa che non esisteva al di fuori del discorso che sto facendo.
In termini educativi, c’è un soggetto e un oggetto, non solo lo facciamo, ma lo inventiamo.
Non vuol dire solo che inventiamo il discorso psicoanalitico, ci dice che in fondo, nel momento in cui
entriamo nel discorso, c’è qualcosa che tagliamo fuori. Il fatto stesso di scegliere una parola invece che
un’altra.
Possiamo parlare di invenzione e non di scoperta, c’è una tensione all’opera. Smonta una serie di polarità,
legate al termine inconscio (immorale, morale). Sono tutti modi di vedere il buio, come ciò che accade
quando viene meno la luce.
È qualcosa che ha una logica, altra scena dell’inconscio. In questo modo l’esistenza dell’inconscio, non
opera solo contro la realtà come tale, se si oppone a qualcosa è perché si accanisce verso ciò che siamo sicuri
di sapere, esercitare abitudini più funzionali.

8
Per questo è una postura etica quella che implica l’invenzione dell’inconscio. Ci fa vedere qualcosa che si è
irrigidito troppo, non è più singolare, si è troppo orientato alla generalità.
Qualche cosa della postura soggettiva ci dice di far valere un sintomo.
Recalcati ci dice, l’esistenza dell’inconscio ci porta un problema etico, ossia del rapporto del soggetto con i
confini della sua identità.
Quanto questi confini siano solidi e disposti a cedere alla presunzione di solidità.
Interpretazione dei sogni: scienza personale. Due termini legati perché c’è un discorso scientifico, che non
può che declinarsi come qualcosa di personale.
IL DESIDERIO, come il sogno può essere un appagamento del desiderio?
Provando a togliere il desiderio, è un augurio che qualcosa accada. Rimanendo sull’etimologia, si costruisce
di due termini De e Sidus, mancanza di stelle. Ritorna nuovamente la condizione di buio.
Condizione di incapacità di leggere le stelle. Guardare alle stelle, ma nel momento in cui sono illeggibili.
Il desiderio è fissare attentamente una realtà che si dà nella sua assenza, mancanza.
Desiderare, osservare le stelle, ma senza riuscire a leggere questi auspici.
Osservare, guardare il buio.
Che cos’è quindi l’appagamento del desiderio?
Appagamento di un desiderio di natura sessuale, che verrebbe appagato per via allucinatoria, con una
fantasia.
Una prima domanda, perché dovremmo realizzare un desiderio in sogno? Anziché confrontandoci
efficacemente con la realtà. L’ipotesi generale di Freud, è che ciò che realizziamo nei sogni, sia un desiderio
rimosso.
Freud ci dice che siamo abitati dal desiderio, ma è rimosso, represso.
Quindi l’immagine stessa che abbiamo del desiderio cambia sensibilmente.
Desiderio, dal tedesco. Stiamo cercando di schematizzare qualcosa che appare molto complesso.
Innanzitutto si distingue dal bisogno, che funzionano secondo assetti diversi.
Il bisogno sarebbe uno stato di tensione interna, che quindi mira ad essere risolta. Mira alla soddisfazione e
come mira alla soddisfazione, appellandosi ad un’AZIONE SPECIFICA (azione che si procura un’oggetto
adeguato, funzionale).
Azione specifica: azioni preformate che consentono di eseguire l’atto. Il bisogno si attaglia bene alla logica
funzionale/disfunzionale.
C’è bisogno almeno della presenza dell’oggetto, ho bisogno di un aiuto, un supporto. Al contrario il
desiderio, non è orientato da un oggetto specifico. È orientato da un’altra istanza, che possiamo identificare
come dei segni, e non oggetti.
Segni di soddisfacimento, segni come TRACCE NEMSTICHE (indica come gli eventi vengano trascritti
nella memoria).
Come una percezione diventa qualcosa che è iscritto nella mia memoria? Tracce mnestiche.
La modalità stessa del ricordo, come la possibilità di non ricordare qualcosa.

9
L’assunto Freudiano, tutti gli eventi, vengono trascritti. Abbiamo potenzialmente tracce mnestiche di
qualsiasi cosa. Dove si sono scritti? In che modo sono stati investiti?
Ciò che trascriviamo, non è solo la trascrizione di evento passato, ma anche l’affetto che gli era associato.
Parlando di segni e non solo di oggetti specifici. Cosa vuol dire che il desiderio è orientato dà segni di un
soddisfacimento? È comunque legato al soddisfacimento, non nel fatto che c’era un oggetto, ma nel fatto che
c’è un segno che si è inscritto.
Desiderio legato a qualcosa che non può mai esaurirsi, un’iscrizione affettiva.
C’è stato un ammontare affettivo, a cui sono legato.
Il desiderio si lega all’esperienza del soddisfacimento, ma non coincide con il soddisfacimento, legato alla
rappresentazione, alle tracce mnestiche.
Quando desideriamo qualcosa, ciò che ci sopraggiunge è l’IMMAGINE.
Immaginando che ci sia un’esperienza del soddisfacimento, già dalla seconda volta, grazie al collegamento
stabilito, si sviluppa un moto psichico che tende a reinvestire l’immagine mnestica corrispondente a quella
percezione e a provocare quella percezione stessa.
Quando desideriamo qualcosa, ricreiamo quelle condizioni, però lo facciamo, non a livello della percezione.
‘’C’è incompatibilità tra la lastra fotografica e un microscopio’’. Mentre il bisogno corrisponde
all’immediatezza, il desiderio invece è dal lato della memoria, dell’assenza dell’oggetto. (una realtà che non
c’è materialmente, ma c’è a livello del segno).
Quando un bisogno viene soddisfatto la prima volta, non incontra solo un oggetto, ciò che si iscrive è
un’associazione. La seconda volta è anche questa associazione a risvegliarsi.
È un moto di questo tipo che chiamiamo desiderio: la ricomparsa della percezione, è l’appagamento del
desiderio.
Quindi ALLUCINATORIO, perché in quest’operazione, non c’è una percezione, non sono più attuali. Ci
sono segni del soddisfacimento.

Se la pensiamo in termini di coscienza, il desiderio si forma coscientemente, e quindi è un oggetto e


possiamo raggiungere quella meta. Ma diverso se il desiderio è inconscio, non sono in grado di definire la
meta, c’è un’evocazione dell’oggetto, come si può dire che c’è un soddisfacimento? Possiamo dire che il
desiderio non si soddisfa in tanti sensi, non sorge da un dato di natura, ma nasce da un legame e
specificamente da un legame con l’altro.
Nel momento in cui il desiderio, si slega dal bisogno, e chiama in causa la dimensione dell’altro e anche
destinato allo scacco perché è una sorta di perversione dell’istinto.
Se la vediamo in questi termini e l’unica cosa che può soddisfare un desiderio è un oggetto, non si soddisfa.
Freud tenta di dargli una struttura, il desiderio rimosso, è qualcosa che tenta sempre di riprodurre il
soddisfacimento del primo incontro, è come il tentativo di ritrovare qualcosa che non ho mai avuto.
Ci rendiamo anche conto dei limiti linguistici, siamo partiti dal sogno come appagamento del desiderio. Il
soggetto dell’inconscio si appaga del desiderio, siamo noi che non ci appaghiamo.

10
Il desiderio mira all’emanazione, ad una restituzione allucinatoria e questa è qualcosa che possiamo trovare
nell’infanzia, in cui il soggetto non era ancora in grado di discriminare il principio di realtà.
Ci sono però alcune condizioni particolari in cui ci troviamo reinseriti in una dimensione comune. Non
abbiamo nel sogno la percezione di stare sognando. Ci manca la capacità di discriminare percezioni e
allucinazioni.
La cosa che immaginiamo è immediatamente lì. Nel presente assoluto del sogno. Il fatto che il sogno utilizzi
un linguaggio di immagini.
Cos’è la realtà psichica? Ha un grado di realtà paragonabile a quello della realtà materiale, ma non ha
riscontro in essa (esempio desiderio e fantasie).
Freud inizia ad affermare i diritti della realtà psichica, attraverso l’osservazione di casi clinici. Si rende conto
che il trauma non è necessariamente un fatto realmente accaduto. È necessario che l’evento abbia una realtà
psichica e non materiale, perché possa fare trauma. Non possiamo sganciare completamente le due, ma è
necessario delineare questa forma di realtà.
Anche il sogno, non è un teatro completamente altro, sogniamo tendenzialmente estratti del sogno
precedente.
Ci interessa che ci sia una realtà materiale, ma ci interessa anche che ci sia una realtà altra, che ha pari grado
di resistenza, che è la realtà psichica.
Se vale la definizione di desiderio che ci ha dato Freud, allora proprio il sogno, è il luogo in cui si manifesta.
IL DESIDERIO NON PUO’ QUINDI ESSERE SODDISFATTO, MA PUO’ ESSERE APPAGATO.
Una formazione psicologica in cui il desiderio è rappresentato nella sua immaginazione.
Desiderio si costruisce intorno ad una meta, come se quell’immagine fosse una percezione. Quello che ci
arriva prima di tutto, è che il desiderio si costruisce come una deviazione, rispetto al principio di realtà.
Inoltre del desiderio possiamo avere appagamento anche in sogno, ma è una deviazione anche in sogno. Per
appagarsi ha bisogno di una strategia allucinatoria.
DESIDERIO COME PROCESSO E NON COME META.
Siamo soggettivazioni desideranti.
In questo processo qualcosa si appaga.
L’interpretazione dei sogni è il tentativo è di dimostrare l’universalità del sogno, anche quando sembra
suggerire l’opposto del desiderio appagato. Sostiene che ci sia un appagamento anche nell’incubo.
(Esempio morte del figlio, vedi libro)
Definisce tre tipi di sogni:
1- qualcosa che non ha soddisfatto durante il giorno
Condizioni esterne che non hanno permesso (qui il desiderio è riconosciuto e conscio)
2- Emerso di giorno, ma rimosso. Desiderio represso
3- Che può non avere alcun riferimento alla vita diurna, e fa parte di pensieri che si destano in noi dalla zona
del represso. Ho accesso a quei desideri solo di notte. È qualcosa che ho sempre rimosso nella vita vigile.

11
Freud parte da questa tassonomia, ma andando avanti nella sua analisi, ciò che lo interessa è soprattutto
quello inconscio.
Freud si troverà ad ammettere che anche nei casi in cui sembra il desiderio sia conscio, anche in questo caso
deriva da un desiderio inconscio.
L’inconscio è il desiderio.

22 febbraio
Differenza tra istinto e bisogno:
In Freud il bisogno potrebbe essere paragonato a quello che si chiama istinto. Implica anche nell’istinto la
specificità dell’essere umano, che è questa impotenza, da cui dipenda il fatto che c’è una domanda simbolica
all’altro e c’è una interrogazione che non è ascrivibile solo nei termini dell’istinto. Introduce un elemento
simbolico, che non sta al paradigma dell’istinto.
APPAGAMENTO DEL DESIDERIO
Ipotesi che il sogno sia appagamento del desiderio.
Siamo partiti da uno sgombero, DESIDUS, entrare in rapporto con una mancanza, con qualcosa che non c’è
in modo particolare, che attrae comunque il nostro sguardo.
Desiderio si presenta come qualcosa che mantiene in sé una verità nascosta. Ciascuno di noi è abitato da un
desiderio rimosso. Qualcosa che ci muove, ma non sappiamo verso cosa,
Il modo in cui Freud pensa al desiderio, è qualcosa che mantiene in sé, una parte celata. Questo lo distingue
dal bisogno, che è orientato da un’azione specifica e ha di mira un oggetto determinato.
BISOGNO: si soddisfa, è orientato da un’azione specifica e ha di mira un oggetto determinato. Dipende da
un intervento immediato rispetto a questi due elementi.
Il desiderio devia rispetto al bisogno, perché è dal bisogno che nasce, ma imbuca una via traversa, non segue
l’azione specifica.
Il desiderio si crea insieme al bisogno, nella misura in cui il bisogno sta a due condizioni:
1- C’è un’impotenza originaria dell’essere umano e ci costringe a dipendere da qualcuno.
È in questa dipendenza, che è del bisogno, che si delinea un tratto del desiderio, non si è abbastanza.
Siamo almeno due. Rivolgo una domanda, un appello all’altro.
Si delineano due facce:
Nella prospettiva del bisogno è che arrivi una risposta.
Il desiderio isola qualcosa dell’ordine della domanda. Che la risposta arrivi o no, c’è sempre la domanda.
Qualcosa mi apre verso la dimensione dell’altro.
Prima caratteristica: Il desiderio è ciò che dipende da una domanda costitutiva.
Il desiderio sorge dalla mancanza, in quanto non è un dato di natura, ma scaturisce dal legame con
l’altro.
C’è un secondo elemento che lega bisogno e desiderio. Riguarda il soddisfacimento.
Ma il bisogno si delinea tra una tensione e l’oggetto, mentre il desiderio si lega a qualcos’altro, ai segni.

12
Non all’oggetto, ma ai segni, che l’esperienza del soddisfacimento ha inscritto a livello della memoria.
(Memoria evoca memoria ricognitiva, mentre Freud implica anche l’esistenza di una memoria inconscia)
L’immagine di quella percezione, ciò che di quella percezione si conserva, anche quando smette di essere
presente ai miei sensi, segue una logica diversa. Il modo della preserva è diversa da quella della trascrizione.
Dal momento che qualcosa si scrive, ciò che maggiormente mi interessa è come lo conservo. In che modo
diviene parte della mia esperienza soggettiva?
Il segno si differenzia dall’oggetto per l’ammontare affettivo, l’affetto di cui quel segno è carico. Nel
desiderio quell’oggetto è il segno, non c’è differenza.
In maniera analogica: Funzione di appoggio, in riferimento alle pulsioni sessuali.
Distingue le pulsioni sessuali, da quelle di autoconservazione. Quelle di autoconservazione sono legate al
bisogno, ma questa sussistenza dipende da un oggetto esterno. L’essere vivente mira all’autoconservazione,
ma dipende da un oggetto esterno, ovvero il seno per esempio. (uno non basta da solo).
Tensione che non è più risolvibile nei termini del rapporto soggetto, oggetto. Da un lato abbiamo un legame
primario con un oggetto, che non è sempre presente e il succhiare a vuoto.
Il bisogno funziona quindi come uno stimolo, che dà luogo al legame con l’altro e all’automatizzazione del
gesto. Trasforma l’esperienza del soddisfacimento in un’esperienza di altro genere. Fa coesistere due correnti
separate. Il desiderio e il bisogno.
Il desiderio è orientato da questi segni. Il desiderio è abitato da una mancanza, perché nel mondo umano non
c’è desiderio, ma solo perversione. Il desiderio è una versione della perversione, non è naturale.
Non c’è soddisfacimento del desiderio, ma c’è appagamento.
Il desiderio non dipendendo da oggetti, come si appaga? Per via allucinatorio, rivocando le condizioni del
soddisfacimento, senza che il soddisfacimento sia presente.
A questa particolare condizione, Freud da il nome di APPAGAMENTO.
Se nell’esperienza del soddisfacimento, non c’è un’eliminazione del soggetto, quindi il soggetto diventa
segno.
La realtà non è mai una, è uno dei segni di quella realtà. Non ho altro modo di mettermi in contatto con essa,
se non attraverso il segno.
La ricomparsa della percezione è appagamento del desiderio.
L’elettività di qualcosa che ci attrae è qualcosa che sta fuori dall’ordinario.
Sessualità per Freud, è chiaro che c’è una soddisfazione del desiderio, ma è anche evidente, che non si limita
a questo. Pensa a una duplice corrente. Corrente sessuale e di tenerezza.
Desiderio inconscio, perché ci fa fare i conti con i limiti dell’identità. RIMOZIONE è un modo della
repressione. REPRESSIONE determinata socialmente, oppure qualcosa che reprimiamo; ha luogo per
sollecitazioni morali, super io, oppure per elementi contingenti. Quando si parla di rimozione si parla di
qualcosa di più complesso, perché la rimozione è originaria, ci dice di un’inconciliabilità di una realtà.
Il represso è socialmente connotato, mentre il rimosso coincide come con l’esistenza dell’inconscio.

13
Qualcosa del desiderio che ha a che fare con una perdita, con un lutto, con una mancanza. Il desiderio è
originariamente rimosso. Se pensiamo che per esprimerci, usiamo rappresentazioni di parola. Usiamo una
scansione, una coerenza, delle leggi di coerenza.
Scegliamo delle parole, escludendone altre. Significa che abbiamo un modo comune di raccontarci, di dire
qualcosa di noi.
Dal momento in cui facciamo l’uso dei segni, finiamo per escludere qualcosa d’altro. Qualcosa va in perdita.
Si tratta di fare i conti con i limiti della parola. L’analisi richiede un altro modo del dire, che dia spazio alle
dimenticanze, ai lapsus, all’associazione libera. Qualcosa che è stato represso riemerge, in maniera
enigmatica.
Il fatto che ci dotiamo di un sistema espressivo, non è naturale, è un’astrazione.
L’esercizio della parola ha alla base dei meccanismi che abbiamo disimparato a vedere. Non è un modo
neutrale, c’è una scelta.
Il desiderio si dice nella parola, ma non nel suo impiego ordinario, anzi si dice dove la parola inciampa.
Qualcosa che appare inconsistente, ma che invece manifesta qualcosa.
Si tratta di pensare al dire, come a qualcosa di sempre originale, anche nei suoi inciampi.
Il desiderio si manifesta come qualcosa di opposto al bisogno. Il sintomo diventa un indice del desiderio
rimosso. Un esempio di sintomo, è una dimenticanza.
Da spaesamento, sbandamento, o solitudine, non c’è un blocco reale. Dice qualcosa che in quel momento per
la coscienza non era possibile processare. Il soggetto dell’inconscio ha fatto valere una dimenticanza.
Qualcosa del suo inconscio, gli ha posto una domanda, Lasciare agire una certa solitudine, è qualcosa di
necessario, L’angoscia non era il segno di qualcosa di negativo, qualcosa della crisi era necessario. La
perdita e il lutto dovevano essere tollerati.

Esempio sogno, inizio capitolo sette.


Lacan parla di omaggio alla realtà mancata. L’unico modo in cui quella realtà mancata può assumere il
desiderio inconscio, è nel sogno.
Perché serve intrattenersi con la perdita? Il soggetto ha bisogno di intrattenersi in quella perdita, di stare lì,
confrontarsi con un’immagine spettrale. Perché c’è un desiderio, che è inconscio, che non è quello a cui
diamo voce, quando pensiamo all’autoconservazione.
Incontro con il reale: Lacan distingue la realtà dal reale. La realtà è il principio di realtà, costruita perché io
possa muovermi efficacemente. Il reale del proprio desiderio, è ciò che fa buco nella realtà, ciò che nel
soggetto si manifesta di refrattario. Pone il soggetto di fronte a sé stesso.
Solitudine: solitudine radicale. Solitudine a due.

27 febbraio

Sintomo: tendenzialmente si associa alla parola cura. Generalmente è qualcosa che crea sofferenza.

14
Ci appaiono immediatamente associate.
Abbiamo isolato due paradigmi:
1- DIALETTICA FUNZIONALE/DISFUNZIONALE
Sintomo si associa ad una domanda di cura, e può essere letto come alterazione di una funzione. Fenomeno
disfunzionale, dal punto di vista della pratica, ci sarà l’idea di una riparazione della disfunzione. Trattare il
sintomo e il corpo come una macchina che funziona male. C’è un elemento restaurativo.
C’è una condizione di riportare la macchina all’origine, prima che arrivasse l’accidente.
A questo si associa anche una risposta adattiva. Ho anche idea di cosa vuol dire funzionare.
Un buon funzionamento, significa che si adatta al contesto.
Sa comunicare bene con una dimensione istituita. Adattamento al PRINCIPIO DI REALTA’.
Termine che ha una sua specificità, Freud ne parla in opposizione ad un secondo principio, che il principio di
piacere.
Cos’è questa ripartizione?
Quello che ci interessa, è che se la realtà non è un dato, ma qualcosa di costruito. C’è quindi un
compromesso nel rapporto con la realtà.
Ci sarà un posizionamento che crea una mediazione tra ciò che la realtà mi presenta e un altro principio che è
quello del piacere, che mira ad una soddisfazione.
La soddisfazione del piacere non scompare, percorre delle vie singolari, che non sono quelle
dell’immediatezza, ci sono delle posizioni soggettive.
Una risposta adattiva, sarebbe l’idea di cura come orientata al buon adattamento, al principio di realtà.
Critiche: non sempre la realtà è buona, va incontro al desiderio del soggetto, buon funzionamento dal punto
di vista della vocazione. Prevaricazione del principio di realtà sul desiderio del soggetto.

Sempre associato a questo paradigma, c’è la questione del sapere, legato alla questione della felicità. La
domanda di cura è una domanda di felicità. Un atteggiamento che tratta il sintomo come qualcosa di
funzionale, ha anche la pretesa di sapere qual è il bene per quel soggetto.
Citazione Recalcati: la felicità è un oggetto molto strano da generalizzare, come si fa a dirlo? Non si può
trattarla solo in questo modo, con un’idea riparativa o adattiva.
Ci costringe a pensare al soggetto in maniera più complessa. Ci costringe a cedere sul nostro sapere.

2- PARADIGMA SINTOMO COME POSIZIONE SOGGETTIVA


Risulta chiaro un primo grande cambiamento. La prima implica un giudizio, basato su una certa idea di
funzionalità, applico determinate strutture morali.
Nell’idea di posizione soggettiva, c’è un’etica, mi dice di una condotta, di un modo di posizionarsi davanti
alle cose. Presuppone questo elemento più complicato di posizionamento.
Abbiamo associato questo paradigma alla clinica freudiana. È una delle discipline che applicano questa
prospettiva, ma non è esclusivo.

15
Abbiamo associato altri termini, il sintomo, come posizione di arretramento.
Etimologia: INCONTRO FORTUITO che perturba l’ordine delle cose, in cui ne va di una verità nascosta.
Verità nascosta o rimossa del soggetto. Quini nel sintomo secondo questa postura, è implicito un messaggio,
è un appello che viene da qualche parte che è del soggetto. Arriva enigmaticamente, arriva da una verità
nascosta, si può esprimere solo in maniera mascherata.
C’è qualcosa che agisce, che non è però il soggetto della riflessione, non è il soggetto conscio.
Che tipo di risposta clinica c’è?
Clinica che ha a che vedere con qualcosa che possiamo chiamare EFFETTO-SOGGETTO, la messa in forma
di un principio soggettivo di piacere. Valorizzazione di un PRINCIPIO SOGGETTIVO DI PIACERE.
C’è sempre il compromesso, ci si sposta verso un principio SINGOLARE (e non UNIVERSALE come nel
primo).
Misura particolare della felicità.
C’è un’idea di quale sia il bene del soggetto nel primo, nel secondo solo quel soggetto può rispondere alla
domanda di felicità che viene posta nella cura. RISPOSTA SOGGETTIVA E PARTICOLARE.
Seguendo le linee guida di questa pratica, ne esce un altro modo di pensare il soggetto. A partire dal sintomo
associato alla domanda di cura. Soggetto che non si limita ad essere quell’unità coesa, compatta, unitaria,
coscienziale.
Se il soggetto porta con sé una verità rimossa, nascosta, significa che c’è un soggetto dell’inconscio. C’è
qualcosa che agisce per quel soggetto, anche quando quel soggetto non è padrone di sé. Questo può accadere
nel sogno, ma anche nel sintomo. Sintomo: indice di una verità nascosta, e fa parte di una verità
nascosta, è parte di qualcos’altro che si fa sentire, ed è il soggetto dell’inconscio. Soggetto interagisce
con l’Io cosciente. C’è un posizionamento soggettivo che lega questi due, ed è chiamato posizionamento
soggettivo.
Quella verità nascosta si dà in quel modo, ed è fondamentale per la soggettività. Spostamento da soggetto ad
effetto soggetto. SOGGETTIVAZIONE: processo che indica un lavoro, che ingaggia l’Io e il soggetto
dell’inconscio.
(Tutti noi abbiamo un’idea soggettiva di cosa è giusto, o ingiusto, e questo implica un’operazione di
giudizio, che è molto al di sopra della nostra soggettività.
La postura etica sta nel provare a sospendere il giudizio morale.
Etica legata al posizionamento, legato ad un posizionamento soggettivo. Non necessariamente ha una
risposta, o una soluzione, ha un carico di angoscia.)
TICHE: Ciò che è fortuito e non era necessario che accadesse rispetto all’ordine delle cose e tuttavia proprio
perché è successo è necessario.
Il modo in cui le teniamo insieme si chiama soggettivazione.
Recalcati parla di effetto-soggetto, ovvero c’è qualcosa di clinico nel modo di pensare la soggettivazione, ma
c’è anche il soggetto. La postura clinica implica anche una postura etica, anche in senso antropologico.

16
Massa: Si parla di clinica della formazione, c’è quindi uno spostamento dell’uso del termine clinica, in
campo esperienziale, a cui non lo assoceremmo immediatamente.
Atteggiamento particolare verso l’esperienza educativa. Sospende ogni tendenza alla generalizzazione, per
poi tornare all’idea di una clinica, che ha necessariamente una postura generale.
Arretrare rispetto ai fini educativi: metter tra parentesi per un momento, per ritornarci in maniera diversa.
Non temere lo sgradevole e l’irrazionale che sono interni e necessari a qualsiasi desiderio.
Orsenigo: praticare la clinica della formazione corrisponde ad abitare altrimenti la nostra tradizione per
disporsi a separarsi da essa. (C’è qualcosa nel contemporaneo che ha che fare con una distanza, un
arretramento, non vuol dire voler vivere in un’altra epoca, ma starci mettendo tra parentesi qualcosa).
In clinica della formazione, c’è una difficoltà molto forte, nel tollerare lo spaesamento di non avere degli
obiettivi. Ma è necessario per fare clinica. Una cura verso la domanda, più che verso la risposta.
Per il fatto di abitare il sapere, la clinica della formazione, diventa un’occasione etica, e rende note cose
latenti. (invisibili in quanto ci abbagliano, ci precedono, o talmente abituali da essere scontate).
C’è sia la questione del vedere nel buio dell’epoca, e nel buio si attiva qualche cosa. La questione della
banalità.
Se non smettessimo mai di vedere nella logica dei fini, cosa ne è del latente, di quel sapere?
Intende renderci consapevoli di quelle pratiche.
Quindi c’è una messa in crisi in questa idea di clinica, c’è un’idea di crisi del soggetto della situazione di
cura. Esporsi a questo paradosso, di essere oggetto e soggetto della relazione. Oggetti agenti e agiti, da un
sapere, tradizione. Legittimare una certa ambiguità. L’esito felice della clinica può essere una razionalità
trasformatrice.
Si percepisce uno sgombero, un arretrare.
Provare a pratica la domanda. Non ci sono degli obiettivi.
Parla della latenza, ogni latenza chieda di essere interpretata. Una lettura sintomale: leggere il caso clinico,
come un caso singolare, con una logica specifica, ha il suo effetto soggetto. Costruire un discorso di verità
legato all’osservazione del corpo sofferente, così come dell’inconscio delle menti disturbate.
Lettura sintomale è qualcosa che si confronta con la specificità del modo in cui quel corpo soffre, o il modo
in cui la mente è abitata dall’inconscio.

Sintomo è anche lì per godere, ma fa anche male. COME SI FA A TENERE INSIEME QUESTE DUE
AFFERMAZIONI? Chi soffre è l’Io, chi gode è il soggetto dell’inconscio.

DOCUMENTARIO DI MARIANA OTERO- Istituto medico-pedagogico (confine franco-belga)


Istituto: Il cortile
Bambini psicotici.

17
“Il sintomo è presente in realtà per godere” – il sintomo (causa di malessere e disfunzionale per l’io) si
rispecchia come godimento nel soggetto.

*“Godimento” = si connata quando da una parte la sensazione di piacere diventa eccessiva

* Il problema del porsi dei limiti. L’aspetto dell’essere “senza limiti” è un segno di psicosi.

Evanne, bambino affetto da crisi epilettiche:

- Scena del teatro (inizio): interpreta un ruolo durante l’attività di teatro. Nel mezzo dell’attività il
bambino coinvolge l’atto del defecare, sporcandosi e dovendo andare a cambiarsi. Secondo
l’insegnante, il bambino durante l’attività esprime un senso di godimento che, non riuscendo a
trattenerlo viene espresso e reso esplicito attraverso lo stimolo del bisogno (defecare). *
- Attività teatrale in cui interpreta la nonna in piscina con il nipote. Lui interpreta la nonna,
dimostrando uno scambio d’identità dal maschile al femminile. Mentre mima una nuotata con la
maestra (interpretante il nipote), fa finta di cadere in acqua riportando un atteggiamento proprio della
sua condizione di epilessia per sentirsi nuovamente proprio (in quanto scambio corporeo di ruoli);
- Si esprime in modo “confuso” e “scivoloso”, utilizzando il “tu” al posto dell’”io” ed emerge la sua
predisposizione al non aver dei limiti attraverso l’interpretazione del “non fa nulla” ad ogni cosa che
fa (nonostante la maestra l’avesse inteso solamente quando per errore fa la pipì nel letto durante il
sonno). * - tale episodio è in riferimento ad uno spettacolo teatrale in cui il bambino mette in atto il
gioco sociale rappresentando la storia rivisitata di “cappuccetto rosso” a seguito del quale descrive in
modo confuso una situazione rispecchiante la sua vita.
- Tornato da scuola, nella pausa merenda, mettere 10 cucchiai man mano di cacao nel latte, non
essendo soddisfatta dei 5 già riversati (questione dell’assenza del limite).
- Un esercizio teatrale per ridurre l’assenza del limite nel comportamento e nell’espressività: per ogni
visione di una immagine il bambino suona uno strumento e per la visione di un’altra l’educatrice
suona uno strumento differente.
- Un’educatrice riporta un esercizio ben eseguito dal bambino mentre suona il flauto: non fischia
troppo forte e al cambio buco si ferma (limite)

Ragazzina Alysson : un insegnante riporta al supervisore alcuni dei comportamenti di lei, uno dei quali
riguarda il chiedere all’insegnante se bacia la sua fidanzata in bocca e il confessargli che le sue parti intime
hanno dei peli (in questi due episodi si dimostra un principio di godimento la cui risposta dell’adulto –
maschile in tal caso – funge come appagante).

18
- Con le educatrici ed un altro compagno si reca al supermercato per fare la spesa: con gli ingredienti
presi prepara poi del cibo in autonomia con la supervisione (=> si preoccupa eccessivamente se vi
sono pezzi di guscio d’uovo e di plastica nell’impasto)
- Un’educatrice riporta che la ragazzina è ossessionata dal sottopelle (ossa e vene), come dal ripieno e
l’interno di ogni pietanza/oggetto. Il fatto che qualcuno la osservi mentre compie un’azione (come il
preparare un composto) la erotizza in quanto ridacchia e si agita, nonostante non vi sia il medesimo
effetto quando viene filmata; ciò la conduce ad immaginare cose e a sentire voci di ragazze (sintomo
psicosi). I puzzle sono l’unica attività che fin da bambina riescono a calmarla.
- Durante la preparazione di un composto culinario alla ragazza viene mal di testa, confessa
all’educatrice di avere in mente delle parole riguardo al sesso: per calmare questa sensazione
l’educatrice le propone un bagno da fare da sola (soddisfazione del desiderio = godimento ed
appagamento simbolico)
- DOC presenti a casa e in istituto = l’attività immersa nella natura la tranquillizza e si interessa
soprattutto alle cose che non sono intere ma vanno composte.
- “Corpo in pezzi” *

Logan (4 anni): dai due anni manifesta delle crisi importanti e per questo viene ricoverato alternando la sua
permanenza a casa. Durante un episodio accaduto nell’ora di pranzo, in cui regnava una generale presenza di
stress tra i bambini (urla generali), lui non manifestava nessuna forma di opposizione, di fastidio. Rimaneva
seduto senza reagire.

1 MARZO

Proseguimento documentario

L’educatore riporta, come esempio di spiegazione di nevrosi, il concetto di “Terra” (riferito al corpo umano)
che viene colpito da un “meteorite” (ovvero il linguaggio) = alla loro fusione si genera un urto che può essere
attutito ed unito nella normalità ma, nei casi di soggetti psicotici nel processo di fusione delle due parti si
perde un pezzettino a causa dell’urto (in merito a questo, Lacan lo collega alla continua ricerca dell’altro. Un
altro piccolo che al contempo è indispensabile per il soggetto stesso = SINTOMO).

Jean: ragazzo con autismo nella fase di transizione dell’adolescenza

- Dopo aver camminato tanto riporta “il sole mi ha sudato” ed elenca le parti del corpo coinvolte. Dice
che sta bollendo e si toglie la maglietta (soddisfacimento) *
- Il parlare troppo gli fa venire mal di testa (ha bisogno di sentirsi, il suo io lo richiede), riferisce di
sentire delle voci nella sua testa
- Utilizza il passato prossimo per raccontare degli avvenimenti = come se vivesse un eterno presente
in cui tuto dura, tutto è simultaneo.

19
- “la testa è come un’idea” afferma, specificando che il cervello gli fa male quando pensa tanto
- C’è un legame al “sono grande” ed il luogo (come se il suo sviluppo ripartisse da zero al cambiare
del luogo – in tal caso ci si riferisce ad un cambiamento di permanenza del ragazzo da un istituto
all’altro).

Amina:

- un’educatrice riporta che appena arrivata non era curata del corpo e aspetto e questa gestione
metteva in difficoltà anche la madre. Gli educatori hanno poi proposto un atelier sui rifiuti. Mentre
gli altri disegnavano, lei creava appoggiando sopra il telo predisposto dei rifiuti: quest’attività in
qualche modo la motivò a prendersi cura di sé.
- In una scenetta di teatro la bambina interpreta delle figure femminili molto severe, incarnando così
un senso di oppressione.

Gli educatori, riferendosi al momento del bagno per ogni ragazzo, trovano rispecchiamento nelle
affermazioni di Lacan in cui le parti del corpo si amalgamo generando un rispecchiamento del sé e
dell’immaginario stesso del corpo.

Matéo: un ragazzo inserito da poco che nelle attività deve ancora comprendere come funziona la routine.

- Non riesce a tranquillizzarsi, lamenta dei dolori al corpo che prende in lui il sopravvento (si chiude
le orecchie, desidera una fasciatura nelle parti del corso…)
- Prima di andare a dormire ricerca il contatto e chiede di costruire una capanna con le lenzuola prima
di addormentarsi (senso di protezione).

Impressioni sul documentario

Scansionare per ridurre l’assenza del limite, per schematizzare, scandire il limite.

*Lo stadio dello specchio: la percezione del proprio corpo, dell’immagine di sé, è estremamente differente.
In quanto manca l’immagine di sé coesa, del proprio io = per lavarsi non c’è un’idealità connessa ma una
sequenzialità. = in questo caso anche la definizione dell’ALTRO non è ben concepito.

6 marzo 2023

INCONTRO- TEMA CURA

Riporta laboratorio a stampo filosofico sul tema della cura.


20
-Prima parte: teorica
-Seconda parte: laboratorio nello specifico

Prima parte dedicata alla teoria:

La filosofia legata in un modo molto forte alla cura. Aristotele: si chiede quando si inizia a filosofare? La
filosofia nasce a partire dal zauma (parola greca, con assonanza molto forte con la parola trauma). Zauma
tradotto come paura, angoscia.
La filosofia è quindi estremamente legata alla cura. L’esperienza filosofica dovrebbe quindi aiutare a
comprendere l’esperienza del trauma.
TRAUMA: per trauma definiamo un evento che si configura come inatteso, imprevedibile, inimmaginabile.
Proprio questi caratteri, implicano che il soggetto non abbia sviluppato delle difese per far fronte a questo
trauma. È qualcosa che sconvolge il quadro naturale della realtà del soggetto, facciamo esperienza di
qualcosa che è nell’ordine dell’ingovernabile.
Viene definito anche come urto, e produce una caduta.
Tre caratteri che hanno definito il concetto di trauma:
 È ineluttabile: il trauma è un’esperienza che per la psicanalisi è intrinseca nell’umano. (tutti
facciamo esperienze traumatiche nella nostra vita)
 È incancellabile: lascia sempre una traccia (Freud dice che è una traccia melanconica). Produce
delle ferite, che lasciano delle tracce incancellabile.
Esempio: come si può eliminare in maniera definitiva un trauma?
Freud parlano della possibilità di rimozione del trauma, ma non intende cancellazione totale.
Significa che cambia forma, ritorna sotto una forma diversa.
(Il sintomo è la messa in atto del trauma, è un ritorno in forma diversa)
 Ha il carattere del ritorno, sotto forma di una coazione a ripetere.
Implica il ritorno dei sentimenti, e il soggetto rischia di rimanere bloccato all’interno di questo
trauma.
È qualcosa di preoccupante, complicato, perché rischia di travolgerci, farci ricadere.

Come trattare qualcosa che ha questi caratteri?

Prima descrizione del trauma, e degli effetti che esso produce (descrizione di una delle pazienti che ha
frequentato il laboratorio, che descrive la sua esperienza traumatica):
Lucia
Disposofobica, accumulatrice, barricata in casa per anni, vive senza luce, senza un letto su cui dormire.
Chiusa totalmente nei confronti dell’esterno.
Non vive una situazione statica, ma dinamica, perché tutti gli oggetti che crede inanimati si animano.

21
Caratteri del trauma: periodicamente il trauma ritorna, rende il soggetto bloccato.

Due posture per trattare il trauma:


 EVITAMENTO: se il luogo del trauma è il luogo dell’angoscia, della paura, dello smarrimento. Ci
viene da rimanere alla larga dal trauma. Evitare la ferita e l’incontro con il trauma. Mettere in atto
delle pratiche che permettono di spostare il soggetto dal ricordo della ferita.
Non risolve la questione, probabilmente non è la soluzione. (Freud diceva: evitare il trauma è
un’illusione). Ma se il soggetto è estremamente fragile e non ha la capacità di affrontarlo, la prima
cosa è portarlo fuori da lì. Dunque l’evitamento del trauma non è la soluzione, ma può dare un primo
sollievo al paziente.
 INDAGINE: indagare la ferita, guardarci dentro.
Ma se il trauma è il luogo dell’angoscia perché indagare il trauma?
‘’La ferita è la condizione della resurrezione’’. Credenza molto forte che accomuna psicanalisi e
filosofia: la nascita non è mai slegata dalla morte.
Significa fare i conti con la ferita. All’interno della ferita potrebbero esserci degli elementi che
aiutano il soggetto a rimettersi in moto.
Indagare la ferita perché all’interno si può scorgere qualcosa che può aiutare il soggetto.
Questo implica dei problemi: si può anche cadere all’interno del trauma e non riuscire più ad uscirne.

Seconda parte dedicata al laboratorio:

Hanno adottato la postura dell’indagine, che è però estremamente rischiosa.

DESCRIZIONE DEL LABORATORIO:


Laboratorio di stampo filosofico, con 8 pazienti, che avevamo alle spalle anni di psicanalisi. Erano soggetti
semi-strutturati, quindi con più possibilità di rimanere all’interno del trauma.
Stanza con al centro un tavolo, e i pazienti si sedevano intorno. Tra i pazienti anche uno psicologo,
psicanalista, un filosofo e all’esterno della stanza educatori.
Tema del trauma- della caduta.

Primo incontro: presentazione di tutti. Libera. Si potevano presentare come preferivano.


Hanno cercato di introdurre il tema con una domanda: quali sentimenti ha suscitato in loro il trauma?
Hanno utilizzato passi filosofici di autori che analizzavano la loro caduta.
1 ora di incontro.
Alla fine hanno fatto una riunione d’equipe e hanno sottolineato tre elementi decisivi che hanno
scombussolato:
1. Identificazione dei pazienti con il trauma (io sono diventata la mia malattia)

22
2. Aspetto del blocco. Non riuscivano a dire nulla.
Esempio: Virginia si presenta: ‘’io sono depressa.’’ ‘’cosa intendi quando dici che sei depressa?’’
‘’non lo so.’’
3. Rischio di indagare la ferita, implica il rischio di sprofondare in essa.
Esempio: quando Virginia esce, piange e considera il laboratorio un’eccessiva esposizione.

Serviva qualcosa che fosse in grado di aprire alla parola, che andasse oltre il blocco, che mettesse in moto i
soggetti, ma anche qualcosa che proteggesse i soggetti.
Introducono un medium, per tentare di rimettere in moto il discorso- L’USO DELLE IMMAGINI.
Hanno sospeso la parola, e introdotto le immagini. Immagine perché potrebbe mostrare qualcosa di più
rispetto alle parole. Passare dall’aspetto descrittivo a quello visivo, poteva fare vedere qualcosa d’altro ai
soggetti.
Cosa ha in più l’immagine, rispetto alla parola?
Immagine ha capacità di rivelare.
Doppio movimento: da un lato l’immagine rivela (mostrare qualcosa che prima era nascosto).
L’immagine avrebbe in sé la capacità di svelare qualcosa che prima non si vedeva.
Ma rivelare può essere anche letto come RI-VELARE, significa che ha la possibilità di rimettere il velo.
Movimento opposto.
Questa funzione è particolarmente importante, perché i soggetti erano bloccati e ho bisogno di togliere il
velo, ma anche di metter il velo per mettermi a distanza dal luogo del mio trauma. Una sorta di barriera nei
confronti del mio trauma.

Secondo incontro: mettono all’interno della stanza molte immagini.


Dovevano sospendere la parola, guardare le immagini, e scegliere un’immagine che rappresentasse
l’esperienza del proprio trauma.
Dopo venti minuti viene descritta da un punto di vista visivo l’immagine.
‘’Per descrivere questa esperienza
Roland Bart: sotto il mio sguardo molte foto sono inerti, poi d’un tratto un dettaglio viene a sconvolgere la
mia lettura. La foto non è più una foto qualunque. Alcune ci rapiscono per un dettaglio, che chiama puntum.
È il momento in cui l’immagine agisce sulla mia memoria.’’
Alla fine ogni paziente aveva la propria immagine.

Ci concentriamo sull’immagine di Ginevra: sceglie l’immagine di una bottiglia di vino.


Dietro c’è una sedia vuota e dice che magari un giorno dirà chi vi è seduto dietro quella sedia.
Quel blocco sembra essere stato sciolto.

I pazienti iniziano ad indagare il trauma attraverso l’immagine.

23
Vedono il trauma filtrato dalla propria immagine, che funge da protezione.

Dopo questo esperimento tornano alla parola, per vedere se c’è stato un sblocco.
Iniziano ad indagare il luogo del trauma.
Partono i vari racconti. Basandosi sempre sull’immagine ed evitando le domande dirette.

IMMAGINE STORIA DI GINEVRA (BOTTIGLIA DI VINO) - RACCONTO


‘’ Ho 36 anni e hanno dato un nome alla mia patologia da 9 anni, ho avuto tante ricadute. Questa non
rappresenta la mia caduta, ma riguarda una cosa della mia infanzia. Ho iniziato a non accettare me stessa. Era
un alcolista. Mio papà beveva, seduto sulla sedia. Stava tutta la notte a bere e fumare e io lo vedevo dalla mia
camera.
Mi vergognavo a scuola, e sono cresciuta con la paura che mi giudicassero. Quando andavo a scuola avevo
paura che lo sapessero. Mio papà è morto a causa di quella dipendenza. ‘’
Ginevra ha una situazione molto complicata a casa, papà alcolista, ma alza anche le mani nei confronti di
Ginevra e della moglie. La madre decide di separarsi dal padre. Viene cacciato di casa e per lei è una
liberazione. La madre trova un altro compagno e mette un tabù sulla questione del padre.
Piano piano si riprende, me sente poi l’esigenza di parlare con il padre.
Una mattina scende a fare colazione al bar, apre il giornale e vede che è morto. Evento inatteso, improvviso.
Questo è il momento del mio trauma.
Ginevra viene invasa dal senso di colpa e inizia ad avere dei sintomi, depressione, anoressia, incubi e
alcolismo. Comincia ad avere la stessa patologia del padre.
Cosa ha portato l’indagine del trauma?
Finora ha portato solo un ritorno di un luogo abitato dall’angoscia, dalla paura.

Ultimi incontri:
Continuano ad indagare tutti gli elementi dell’immagine.
Due avvenimenti decisivi:
- Virginia ritorna su un dettaglio. La sedia un po' in ombra rispetto alla luce della sala. (luce sulla
destra)
Di notte spiava il padre, dalla stanza, sul lato sinistro.
Perché il padre è in ombra e lei si colloca su un punto di luce?
‘’A differenza di mio padre la mia dipendenza dall’alcool è durata solo due anni. Ma in comunità
molti erano dipendenti da molti anni e in quella situazione nonostante tutto mi sono sentita forte’’.
Se prima c’era solo depressione, si mette in atto una smobilitazione. Virginia ritrova all’interno del
suo trauma un punto di forza. Consapevolezza di essere una persona forte.

24
Vedendo il trauma come luogo, Ginevra è riuscita a ritrovare una zona all’interno, che porta con sé una
piccola consapevolezza (mi sento forte).
Dal punto di vista pratico, Ginevra smette di fare incubi. Il trauma non è cancellato, ma ogni volta che la
ferita fa il suo ritorno, lei troverà all’interno una piccola zona di abitabilità.

DOMANDE CONCLUSIVE
Vedere il trauma come un paesaggio, di per sé, non è un punto, un nocciolo, è qualcosa che si ramifica.
Trauma non come evento unico, ma come una serie di eventi.
C’è sicuramente in Freud un tentativo di ricercare il trauma originario, ma è qui che incontra le maggiori
contraddizioni teoriche.
Freud poi, il trauma è sufficiente che abbia una carica traumatica, che sia intervenuta una realtà psichica che
ha fatto di quella, una realtà.
È poco importante capire quale sia l’evento.
Traumi come elementi di un paesaggio.
(Ginevra si descrive sempre come doppio binario, come se ci fossero due Ginevre. Scopre delle carte del
padre con diagnosi di schizofrenia, quindi l’alcolismo era dovuto magari anche a problema neurologico.
Anche da qui la necessità di avere con lui un confronto.
Sto male perché alla fine gli volevo bene e lo volevo rivedere. Nel luogo del senso di colpa trova anche un
valore affettivo.)

8 marzo ’23

TRAUMA: abitare il trauma. Nel sintomo e nel trauma c’è un desiderio in realtà. Necessita di convivere con
quel punto.
Un modo di stare lì, senza che ogni volta ci sia la sofferenza.
Spostare l’evento del trauma, in un luogo dove il trauma c’è, ma non c’è solo quello. Si aprono delle
deviazioni, dei simboli.
Desiderio nella misura in cui, qualcosa mi tiene lì, anche se l’esperienza è stata razionalizzata. C’è qualcosa
che sta agendo nell’inconscio del soggetto. Manifestazione del desiderio inconscio.

DOCUMENTARIO
BIOSOGNO-DESIDERIO-GODIMENTO
Intervista alla regista: era interessata aa comprendere qualcosa della follia. Follia come nome più generico
che possiamo attribuire a qualcosa di non ordinario.
Impressione che da parte degli operatori ci fosse un movimento proiettivo. Di rintracciamento nell’altro, di
qualcosa che riconosco in me.

25
Non aveva intenzione di lavorare con la prospettiva psicanalitica, né a girare questo film con bambini, ma nel
cortile di questo centro, qualcosa si avvicinava alla sua interrogazione. Nessuno utilizza la parola disabilità.
Non è una prospettiva disfunzionale, del senza qualche cosa. Loro rispondono che non si tratta di una logica
mancante, ma di ‘’esseri con una struttura singolare’’.
Questo modo di trattare la follia, ci sono esseri con struttura singolare, ciascuno è un enigma e una forma di
funzionamento.
La soluzione deve andare verso un alleviamento dello stato di sofferenza, ma si deve confrontare con quel
funzionamento.
Misura particolare della felicità, soggettiva. Effetto-soggetto.
La soluzione non è qualcosa di differente dal funzionamento di quella singola soggettivazione.
Parla molto della questione dello sguardo, staccarsi dalla propria logica, per pensare un altro rapporto con il
mondo e con il corpo.
È stata colpita, dal capire a cosa serve il sintomo. Dentro il sintomo c’è già qualcosa di una soluzione. Di una
via creativa che sta funzionando. Si tratta di abitare creativamente questo sintomo.
Alleviare la sofferenza se smettere di abitare il sintomo, che è specificità di quel funzionamento.
Lo spettatore è messo nella posizione di scoprire qualcosa, principalmente attraverso la convivenza di due
piani/scene. C’è la scena della vita quotidiana e la scena delle riunioni d’equipe.
Avan-scena e retroscena. Dedicato alla clinica della formazione.
Orsenigo scrive: è nel modo in cui si va di queste due scene, che c’è qualcosa della clinica,
Andare in scena, come testo manifesto. (ciò che vediamo accadere) La progettazione consegue questa
necessità. Il setting non deve essere un luogo di stilizzazione dell’esistenza, deve emergere un certo rapporto
con il corpo e con l’altro. Scarto tra la routine e qualcosa che lei codifica come evento.
Recalcati dice quando c’è lezione, c’è sempre il collegamento con qualcosa che accade, luogo di un inedito,
diverso da qualcosa che accade in un altro posto.
Perché si produca qualcosa di inedito, è necessario che ci sia desiderio. L’oggetto causa il desiderio, che si
trova nel luogo dell’altro.
Desiderio, come causato da un oggetto, ma non trova il suo oggetto.
Il desiderio si alimenta, se si soddisfasse si placherebbe.
È qualcosa che deve generare un’erotica, si tratta di uno squarcio che si genera ogni volta che si produce
effetto di insegnamento. Effetto per distinguerlo dall’oggetto. L’elemento di effetto è qualcosa che devia, si
sposta.
Deviare dall’ordinario: manifestazione singolare del desiderio, anche se non so dove andrà a finire.
Avanscena come luogo del maneggiamento del desiderio.
Non potremmo mai slegarla dal retroscena. Legato al testo latente.
Orsenigo parla di doppio stesso, dove il secondo nasce dal primo. Questa cura è un doppio lavoro. Un conto
è stare sulla scena, un conto nel retroscena. È piuttosto qualcosa che non si vede, che devia, che non sta al
perfetto svolgimento di quella strategia.

26
La parte più pratica consiste nell’annodare queste due scene.
Si tratta di un arretramento necessario, rispetto alla messa in pratica. Parla di latenza del discorso in senso
ampio.
Parla di lettura asintomale, quando è doppia, quando ci sono due testi che si scrivono.
Sintomo teorico, che richiede necessariamente una pratica, Necessario disfare qualcosa, disfare una servitù
immaginaria, qualcosa di un sapere saputo, che dobbiamo applicare, ma non necessariamente mettere in
discussione. Abitiamo la tradizione, diventa per noi un’occasione etica, renderà note, cose latenti. Luogo
dove è necessario sospendere le luci, vedere la latenza, il discorso.
Fare un passo indietro, arretrare. Le cose ci appaiono trasparenti, cose che non ci rendiamo conto di fare.
Renderci consapevoli di quelle pratica, dalle quali in realtà siamo agiti.
Mettere in discussione ciò di cui stiamo parlando. Siamo agiti dalle pratiche, e altre in cui agiamo.
DOCUMENTARIO:
Due scene, la postura clinica, dipende dal modo in cui si annodano. Prendendo la questione della misura, si
tratta di restituire una misura ad un eccesso. Assomigliano a delle strategie cognitivo-comportamentali.
Però se ascoltiamo il retroscena, leggiamo le strategie in maniera completamente diversa. Non è la questione
di essere senza misura.
Orsenigo: nella pratica ci sono delle strategie, ma c’è qualcosa che fa la differenza, il fatto che siano azioni
pedagogicamente fondate.
Questo viene chiamato godimento, non è che i soggetti siano senza misura- sono soggetti affetti da un
godimento (non è solo la mancanza di qualcosa).
Il godimento è qualcosa che abita la soggettivazione. Si tratta di passare da una pratica del
malfunzionamento a una della soggettività, che si gioca in latenza, La soluzione sarà di trovare una formula
del godimento.
In che modo lo mascheriamo il godimento?
Stadio dello specchio: modo in cui ci si forma un’immagine allo specchio. Godimento-immagine-linguaggio.
Diamo per scontato che ci sia un’immagine del corpo, che corrisponde al nostro corpo. Cerca di smontare
questo dispositivo.
C’è una differenza tra l’Io e il soggetto dell’inconscio e un principio d’identità che sia stabile, consistente.
L’Io non esaurisce il soggetto. Sono dei limiti, che non esauriscono la complessità. C’è un’alterità, che
decentra l’Io, che lo spezza, lo fa vacillare. Questo per Freud, che rimanda alla questione del narcisismo.
La domanda è: come si costruiscono questi limiti? Cos’è un Io? Cosa sono io?
Ci sono soggetti che si costruiscono altrimenti rispetto a questa forma io. Il narcisismo si costruisce sulla
base dell’immagine ideale che un soggetto costruisce di sé stesso.
Il narcisismo è la struttura sulla quale ci costruiamo come soggetti. Freud isola in questo processo di
identificazione, due oggetti: il corpo della madre e poi c’è l’immagine del corpo proprio.
Tra il corpo e il proprio, c’è un’immagine.

27
In relazione a questi due oggetti, ci sono due oggetti d’amore. L’erotismo si appoggia al bisogno. E poi la
forma d’amore legata all’immagine del corpo proprio. Lo considera un oggetto, che quindi non coincide
proprio con il soggetto.
Io, legato al processo di identificazione. Processo legato a due oggetti: immagine del corpo della madre e del
corpo proprio. Pensa anche a due tipi di amore che si legano a questi due oggetti: funzione d’appoggio e una
è la forma narcisistica.
Funzione d’appoggio legata al bisogno che poi diventa autonomo.
La forma narcisistica è la forma d’amore auto riferita, il modo in cui amo l’oggetto io.
Parla dell’io come un oggetto, che il soggetto ama. Che sia un oggetto, significa che non coincide
perfettamente con me. L’immagine costruita sulla base, della necessità di essere amabile e riproduco le attese
dei genitori. Il modo in cui i genitori attribuiscono al bambino è legato alla perfezione.
L’immagine del mio io, non può essere disgiunta dal modo in cui l’latro mi vede.
L’investimento oggettuale è l’altro, non più Io. È comunque un’immagine idealizzata, che dipende dall’altro.
L’altro contribuisce a plasmare l’immagine che ho di me.
Il soggetto si identifica in un’immagine monumentale e idealizzata. Immagine con cui mi identifico, creo la
mia identità. Nella vita ci sono però tante identificazioni con cui mi identifico, è qualcosa che mi specifica
sempre di più.
Lacan parte da qui: dice che c’è un’azione morfogena dell’immagine. L’immagine imprime una forma al mio
Io.
L’immagine è ciò che crea la forma Io. C’è una vera e propria plasmazione del soggetto.
Immagine: qualcosa che soggetto produce.
Immagine morfogena: produzione del soggetto in quanto tale.
Quindi una forma statica, in cui il soggetto, si aliena. Si aliena in qualcosa che non è il perfetto
rispecchiamento del suo corpo.
Lacan ci aiuta prendendo degli esempi dall’etologia. Alcuni animali, alla sola vista del simile, innescano il
processo di ovulazione. L’immagine è qualcosa che ci costituisce. Noi facciamo coincidere l’oggetto corpo
con l’immagine che ne abbiamo. Deriva dallo specchio. È il luogo in cui il soggetto coincide con un altro.
Il modo in cui mi immagino me stessa, è una forma specchio.
C’è uno sdoppiamento.
Lacan definisce lo stadio dello specchio e lo situa tra i 6 e i 18 mesi. Afferma che con questo incontro si
realizza il passaggio da un’immagine frammentata ad una che assume la forma di un’armatura.
E lo stadio dello specchio segna il passaggio ad un’immagine unitaria.
Mentre precedentemente era un caos di bisogni, rispetto a cui non ho un dominio immaginario.
La vista ha uno sviluppo anticipato rispetto agli altri sensi. Tende alla sintesi più di altri esempi.
Il presupposto dello stadio dello specchio, si costruisce nella mediazione con l’altro. Mi riconosco solo
quando l’immagine è a distanza da me, è in un’altra posizione rispetto a quella in cui io sto.

28
Il rapporto è inverso, è nel momento in cu riconosco me stesso che mi riconosco come Io. Azione
morfogena.
È così che il soggetto si costruisce un’identità, che implica sempre una certa distanza, che non è mai esatta, è
un’approssimazione.
Io sono sempre Io, ma allo stesso tempo sono anche altro.
Primo modo di intendere il fatto che il soggetto è abitato dall’inconscio, che gli fa ricercare
un’identificazione nel campo dell’altro.
C’è una domanda di riconoscimento, ho bisogno che altri mi riconoscano. Primo modo di intendere che il
soggetto è nel campo dell’altro.
Non si soddisfa il desiderio, l’identificazione è solo un processo. Alimenta un desiderio nel momento in cui
mi fa vivere una scissione soggettiva.
Psicosi: perdita di contatto con la realtà, c’è un conflitto, una compromissione nei rapporti con il principio di
realtà. Perché c’è una sorta di non completa costituzione dell’immagine del corpo proprio.
C’è un ritorno del corpo in frammenti. Percezione del corpo prende altre vie.
Costruzione del proprio Io e del campo dell’altro sono due operazione correlate. Se non si produce la
possibilità di isolare il mio proprio corpo, non si genera la posizione dell’altro. L’altro non è un altrove, è un
altro evasivo, che non riesco ad arginare.
Si tratta di costruire quello spazio.

13 marzo
Cercare di comprendere qualcosa di quegli enigmi, rapporto tra andare in scena e il retroscena.
Orsenigo rivede in questa spartizione la relazione tra un testo manifesto, ciò che accade a livello delle
pratiche e un testo latente che chiede di essere interpretato, secondo una lettura sintomale.
RETROSCENA: serve per interrogare ciò che accade di inaspettato, sia a livello dei pazienti, che a livello
del discorso.
Recalcati: quando c’è lezione c’è all’opera un processo, effetto tuche, questo può avvenire con qualsiasi
oggetto del sapere, che diviene un corpo erotico. Questo significa che il transfert disloca l’oggetto che causa
il desiderio nel campo dell’altro.
L’oggetto che causa il desiderio viene posto nella parte dell’alterità, in qualcosa che ci fa muovere, è parte
dell’altro. È una funzione che mobilita il desiderio, è nell’altro che lo andiamo a cercare.
CHE COSA SIGNIFICA L’IMPIEGO DELL’ESPRESSIONE STADIO DELLO SPECCHIO?
In che modo questa configurazione ha a che vedere con il desiderio?
Nello stadio dello specchio, vi è la costituzione dell’immagine del corpo proprio, ciò di cui noi ci appelliamo
quando pensiamo al nostro corpo, la nostra immagine. C’è un’estrema vicinanza, e il modo in cui l’immagine
ci restituisce l’immagine del nostro corpo.
Freud rimanda alla questione del narcisismo. Cosa struttura l’Io come Io?

29
Noi per struttura, abbiamo un eccessivo investimento sulla nostra immagine, per costruirci un’identità. Il
narcisismo scaturisce dal rapporto che il soggetto intrattiene con l’immagine ideale di sé stesso. Questa
immagine si costruisce in relazione al corpo della madre, delle cure e l’immagine del corpo proprio (qualcosa
di auto riferito).
Corpo della madre, come appoggio, perché sono alle dipendenze dell’altro. L’erotismo si sviluppa
innanzitutto per appoggio su questo bisogno, per poi assumere una sorta di autonomia.
La seconda forma sarebbe quella narcisistica, rapporto erotico in relazione all’immagine del proprio corpo.
Nel narcisismo non è solo questione di amare eccessivamente se stessi. Amare l’oggetto Io, quell’immagine
idealizzata che ci siamo prefabbricati. C’è poi un momento utopico, in cui mi percepisco come uno (stadio
dello specchio).
Quest’immagine che ci fabbrichiamo deve essere amabile, passibile di attenzione, suscita il desiderio e il
riconoscimento dell’altro. Uno degli oggetti privilegiati è il corpo della madre, che sarà anche satura delle
proiezioni che i genitori riversano sul bambino (la sua perfezione, assenza di difetti).
È l’altro che contribuisce a plasmare l’immagine che io ho di me.
Lacan: C’è un’azione MORFOGENA dell’immagine, non sono solo io che mi costruisco un’immagine. Il
mio Io è il prodotto di un’immagine, che avviene attraverso lo specchio.
Per fare questo ho bisogno di sdoppiarmi. Se si vuole capire il senso di alcuni sintomi bisogna però indagare
questa evidenza.
Il soggetto come uno, si incontra come unità, ma in maniera separata da sé. Mi dice, quelli sono i limiti, è la
cosa in cui ti identificherai. C’è sempre una scissione che attraversa questo processo, perché costruita su un
senso, che è la vista.
C’è qualcosa idealizzato, approssimativo. Il presupposto di Lacan, è evidenziare come l’io si costruisca
attraverso la mediazione dell’altro e questo è fondamentale, perché è questa separatezza da sé da sé, che
permette di riconoscere anche l’altro come separato.
Prima della fase dello specchio, il corpo è in frammenti. Questo significa che c’è un soggetto dell’inconscio,
c’è sempre qualcosa di imperfetto nell’identità del soggetto. C’è sempre una mancanza strutturale.
L’immagine dice che sono Io, ma anche qualcosa d’altro, non sempre riconoscibile.
L’altro è il custode della mia immagine, e per quanto io ricerchi una costruzione unitaria, immagine ideale e
il modo in cui si costruisce mi condanna alle dipendenze dell’altro.
Nella psicosi questo è compromesso. Quello che viene meno è il contatto con la realtà, il principio di realtà e
di identità, fondato sull’immagine del corpo.
Anche linguisticamente appellarsi all’altro, come possedesse un’immagine come la intendo io, ha qualcosa di
incongruo (braccio che cade, lavati: devo elencare pezzo per pezzo cosa lavare).
Nel momento in cui mi scontorno io, si scontornano anche gli altri. È bidirezionale, perché nel momento in
cui io scopro di poter rivolgere uno sguardo all’altro, scopro di poter essere guardato.
In quel momento divento oggetto della visione.

30
Quando Lacan dice: l’immagine ha una forza morfogena, significa che io sono fatto da altro. Nella
costruzione della mia immagine è implicato lo sguardo dell’altro. È reciproco il processo.
Siamo prodotti da qualcosa, che è altro, rispetto a ciò che siamo. È fatta di come io mi vedo e delle
proiezioni degli altri.
Se l’immagine narcisistica ha dei limiti labili, allora nemmeno l’altro sta al suo posto. Acquisisce un aspetto
invasivo. Gli operatori evidenziavano una necessità di assumere un'altra posizione, farsi vedere come un
simile.
‘’Si tratta di costruire il posto giusto dell’altro.’’ Il soggetto non si esaurisce nella costituzione dello
specchio.
Contemporaneamente a quello che accade a livello dell’immagine, accade a livello del linguaggio.
Anche in questo caso, ci si trova in un rapporto di dipendenza dall’altro. Perché quando parliamo ci
rivolgiamo a qualcos’altro. Rinvio una domanda di riconoscimento.
Fa un esempio molto efficace, Lacan: Che cos’è il grido?
Il grido è un’urgenza che scaturisce dal corpo, non c’è la consapevolezza del gesto, dal grido.
Quand’è che un grido diventa una domanda per l’altro? Quando la risposta dell’altro lo accoglie. Allora il
grido smette di essere un’urgenza cieca.
Quello che prima era un bisogno, diventa qualcosa d’altro, diventa una domanda. DOMANDA: la messa in
forma nel linguaggio, del bisogno.
Ma non è esattamente così.
La domanda è qualcosa di strutturato, che passando per gli antecedenti del linguaggio, il bisogno devia da sé
stesso, e diventa una domanda di riconoscimento, perché mi aspetto qualcosa dall’altro.
Quando parliamo del dispositivo linguaggio, parliamo di una struttura, delle posizioni. Si delinea qualcosa
che prima non c’era. Nella risposta cominciano a costruirsi delle posizioni.
Il bisogno si struttura altrimenti, come una domanda di riconoscimento, una domanda del segno dell’altro.
Si crea una frattura, deviazione tra il bisogno e la domanda. Il bisogno non scompare, ma la domanda lo
formula altrimenti.
Non si aderiscono l’uno rispetto all’altro. Da una parte il linguaggio, umanizza il bisogno, ci fa entrare in un
dominio culturale rispetto alla soddisfazione del bisogno. Ci include nella logica dello scambio, ma è anche
un luogo di espropriazione, perché formulando la domanda noi rinunciamo a qualcosa. Rinunciamo alla
struttura diretta del bisogno, ma quindi viene messo in ordine, ma perdiamo qualcosa.
È necessario che ci sia una perdita, si costruisce una mancanza, perché nel momento in cui io formulo la
domanda, non ho più solo la soddisfazione del bisogno, ci sarà la necessità di un altro tipo di soddisfazione.
Si creano due sorte di macro aree: soddisfazione del bisogno e domanda d’amore.
Questa questione della deviazione del bisogno rispetto a qualcos’altro, è presente anche nella questione del
bisogno e del desiderio (appagamento del desiderio). Il bisogno si soddisfa, è orientato da un’azione
specifica e ha di mira un oggetto determinato, e dipende dalla capacità di un intervento adeguato.
Il desiderio invece devia, anche se in qualche modo è legato al bisogno, non si sostituisce ad esso.

31
C’erano due condizioni, la prima era una sorta di impotenza dell’essere umano, che ci costringe sin dalla
nostra nascita a dipendere da qualcuno. L’uno non è abbastanza, perché la risposta può attendere, e ricevo
una risposta.
Nella prospettiva del desiderio è che si formuli una domanda, ed è una domanda di cura, di riconoscimento,
amore. È qualcosa che devia dal bisogno, richiede un’altra soddisfazione. Si apre il campo dell’altro.
Desiderio dipende da una domanda costitutiva, non è solo questa domanda, ma è innanzitutto una domanda.
Soddisfazione è altrove, e mi lega ad una mancanza, che vado a cercare nell’altro.
Desiderio e bisogno sono entrambe legate all’esperienza del soddisfacimento. Il bisogno si delinea nella
tensione tra un’urgenza e l’oggetto, mentre il desiderio si lega ai segni.
La domanda è la domanda del segno dell’altro, si struttura in un sistema. Segni legati ad un soddisfacimento.

Avvento del linguaggio produce una separazione tra bisogno e domanda. Passando per il linguaggio il
bisogno si costruisce come domanda.
Bisogno: Qualcosa di immediato, è qualcosa che riguarda un’azione specifica, e mira ad un oggetto
determinato.
Domanda: si struttura come mancanza, perché rivolta all’altro, attraverso la richiesta di riconoscimento e
dipende dall’altro. Mira al riconoscimento.
Il nostro rapporto con gli oggetti, passando dal linguaggio cambia, e si formula come una domanda.
Il desiderio è ciò che sorge dalla differenza tra il bisogno e la domanda.
Bisogno, come dominio istintuale, prelinguistico, mitologico e la domanda è ciò che lo riformula. Nessuno
dei due elimina l’latro. C’è sempre qualcosa del bisogno che non sta alla domanda e viceversa.
Non c’è mai piena soddisfazione, perché siamo abitati sia da una domanda, sia da un bisogno, si genera una
differenza, una impossibilità di piena soddisfazione. Lacan da il nome di DESIDERIO.
Desiderio: ciò che si genera al di là della domanda. Al di là delle possibilità di questa domanda di formulare
la piena soddisfazione.
Si genera anche un residuo, un grumo, inassimilabile. Una mancanza irriducibile, che è l’oggetto causa del
desidero. Perché il desiderio è quell’elemento che non può mai essere esaurito e si genera da questi due modi
della soddisfazione.
Tutto quello che è inconscio, di cui ci sbarazziamo con l’uso del linguaggio, crea un residuo. Quella parte
della domanda che non si soddisfa.
Significa che il desiderio è qualcosa che si alimenta sempre, che funziona, va avanti. Il desiderio è
fondamentalmente inconscio, proprio perché è quello che di me è rimasto da un’altra parte. Quello che nel
modo in cui mi sono costruito è andato da un’altra parte, insiste e muove qualcosa.
Desiderio come ente intermedio, rimane legato al bisogno per appoggio, ma anche alla dimensione della
domanda.

32
Non è la cultura, il principio di realtà che può soddisfare il desiderio, perché è sempre qualcosa di singolare,
che è rimasto agganciato al bisogno.
Desiderio è forse un altro modo per dire inconscio. È qualcosa che non possediamo e ci costringe al campo
dell’altro.
Il desiderio si colloca in un punto drammatico, in cui due correnti non convergono perfettamente.
Non si adegua perfettamente nemmeno alla dimensione della domanda, perché non tutto può essere
significato. C’è un aldilà della domanda.
Lacan: il desiderio non è né l’appetito della soddisfazione, né la domanda d’amore.
Il desiderio è il fenomeno stesso della loro scissione. Recalcati parlava di qualcosa che mette in subbuglio,
una scissione, qualcosa che viene ricercato nell’altro.
Il desiderio realizza il nodo tra singolare e comune.
C’è un altro modo di intendere che l’oggetto è nel campo dell’altro, perché si dà sotto forma di una
mancanza, inscritta nel linguaggio e produce questo resto.
Recalcati dice, c’è qualcosa di etico, pensare il desiderio non come un’abolizione, qualcosa di insoddisfatto
che ci lega all’latro.
(Cita il caso dell’anoressia, come una protesta contro questa separazione che c’è tra l’oggetto e il segno.
L’oggetto dell’appetito, viene utilizzato come uno strumento della domanda, una domanda d’amore che
rivolgiamo all’latro. Uso del cibo relazionale, che si è sganciato completamente dal bisogno)

Bisogno, risponde ad un principio economico, esaustione della logica dell’utile.


Dominio dell’altro definisce non solo l’altro fisico, IL GRANDE ALTRO, che indica il principio di realtà, la
dimensione culturale.
L’altro ci serve da modello, ma l’altro è un modello perché impone una legge. L’altro, il linguaggio, la
cultura, è ciò che devia il principio di piacere verso quello di realtà. Costringe il principio di piacere a vie
sempre più complesse, meno immediate.
L’altro impone una legge che è una legge di deviazione. (legge del complesso di Edipo).
Primo corpo di cui si fa esperienza è il corpo della madre, che è il primo luogo di espressione pulsionale, c’è
un aspetto simbiotico, c’è un elemento incestuoso, riguarda questa simbiosi tra i due corpi.
La legge della castrazione, è ciò che interrompe questa simbiosi, introduce il linguaggio e la mancanza, per
stabilire dei legami sociali, delle norme. Se non avvenisse non ci sarebbe produzione sociale, in questo
vicolo cieco a due. Non si esce da questa dimensione, dimensione del bisogno o principio del piacere.

Nella psicosi non si interrompe quel circuito simbiotico. Non viene assunta la castrazione, separazione.
Non significa solo non parlare, è una parola che non è segnata dalla mancanza, non si è inscritta quella
castrazione che consente la costruzione del campo dell’altro.

33
Si tratta di un AL DI LA DEL PRINCIPIO DI PIACERE, in cui si trova una seconda grande sovversione.
‘’Badate che il soggetto non mira all’utile, è limitante, rispetto alle pulsioni del soggetto. C’è un limite e c’è
un aldilà’’
Perché ipotizzare un aldilà? C’è qualcosa per cui i pazienti non vogliono guarire, un attaccamento al
sintomo.
Esistono ripetizioni delle cose sgradevoli. E perché lo facciamo? C’è qualcosa di un misterioso attaccamento
a qualcosa che causa dolore. C’è qualcosa che sovrasta il principio di piacere e la sua economia.
C’è una coazione a ripetere, le posso solo ripetere, se le elaboro non le ripeto.
È difficile vedervi l’appagamento di un desiderio rimosso.

15 marzo
Desiderio come ente intermedio. Desiderio non può essere soddisfatto dal soddisfacimento del bisogno.
Sintomo come qualcosa di incomprensibile, ingovernabile. Il sintomo ci può dire di un’adesione eccessiva
alla volontà e al sapere dell’altro o eccessiva adesione alla non codificazione della domanda.

Freud: Perché il soggetto persegue il proprio male?


In particolare nella clinica delle psicosi, si tratta di creare un posto per l’latro e un posto per il desiderio.
Coazione a ripetere: tratto dell’inconscio. Ciò che è stato rimosso, ritorna.
Nella ripetizione della sofferenza, può esservi un desiderio inconscio, oppure ci sono una serie di sintomi.
Il ritorno del trauma può essere letto in due sensi. Il trauma viene ripetuto perché è un tentativo dell’io di
metabolizzare qualcosa che non si risolve (dispositivo destinato allo scarto).
C’è però una seconda chiave, nell’incontro traumatico, trovo qualcosa che mi appartiene. Esistono delle
pulsioni di morte, al di là del principio del piacere. C’è una tendenza a tornare all’inanimato. Qualcosa che è
però un eccesso di vita, una vita che si auto consuma. C’è un conflitto alla base del soggetto.
In certi casi questa tendenza assume preponderanza, non è più incanalata e controllata.
C’è un ETICA DEL DESIDERIO, che riguarda il desiderio inconscio, ma ha anche a che vedere con un
elemento che può generare sofferenza.
Perché c’è una condotta autodistruttiva?
C’è un elemento che accomuna tutti i soggetti, qualcosa impedisce al soggetto di essere soggetto desiderante.
Lacan parla di godimento, c’è qualcosa che soffre e qualcosa che gode.
Anche nel sintomo qualcosa gode, quindi non è solo la protesta del desiderio, ma qualcosa che gode.
In che modo il corpo gode della sofferenza? (Non come corpo che conosciamo) Non è un corpo organizzato,
non è un possesso del soggetto, non è proprio. Il corpo funziona senza soggetto. Il corpo che funziona come
sostanza godente, al di là della perdita necessaria alla costruzione del desiderio.
Senza costruzione del desiderio, non c’è soggetto. Senza il desiderio che lo abita è solo una sostanza che
gode.

34
È necessario che si produca una perdita, sacrificare qualcosa del godimento, perché si crei il desiderio.
Freud: pulsioni sono parziali, investono zone circoscritte ed è costruendosi come soggetto che la pulsione si
indirizza e converge verso il desiderio. La pulsione all’inizio è anarchica.
Nel caso della tossicomania, si consuma la sostanza, ma alla fine ciò che si consuma è il corpo. Il corpo non
è più un mezzo. Non ho più bisogno del soggetto per il desiderio. Qualcosa gode, anche se la sofferenza è
presente.
INCONSCIO A CIELO APERTO:
Uomo senza inconscio, uomo il cui inconscio è a cielo aperto. Patologie legate ad un’esasperazione del
godimento. Il linguaggio e il buon senso non fanno presa.
La psicosi è una struttura diversa rispetto alla nevrosi, ma gli elementi che la abitano sono comuni.
Non è solo una questione disfunzionale, è eventualmente un troppo di qualcosa, che è il godimento.
NELLA NEVROSI:
Linguaggio, è come una sorta di meteorite che impatta sulla terra. A volte si produce come una simbiosi con
il linguaggio, ma si produce una perdita. La perdita porta al rivolgersi all’altro, ma non trovo una
pacificazione, mai, nella risposta dell’altro. Ma ciò che è questa mancanza, crea anche il desiderio.
NELLA PSICOSI:
Non si produce simbiosi, non si entra nel linguaggio come struttura, che organizza delle posizioni. Qualcosa
è compromesso a livello del linguaggio. Non c’è una perdita e tanto l’oggetto, che diventa un godimento
presente, sono delle dimensioni invasive, non c’è mancanza, non c’è distanza.
Nel momento in cui l’oggetto è parte del soggetto, l’altro diventa persecutorio. C’ è un eccesso, che fa
percepire l’altro come orientato verso quel corpo.
L’oggetto non si disloca nel campo dell’altro. Non è solo questione di bisogno, l’impatto con il linguaggio
c’è stato.
Godimento: qualcosa che inizia come un piacere, ma diventa troppo.
Gesto del succhiare è un gesto autoerotico, ma smette di essere piacere, e diventa troppo.
C’è quindi la necessità di perdere qualcosa e non ci riusciva.
(Esempio della scrittura: Evan non scriveva nulla in realtà, non c’era sequenza, organizzazione. Lui è parlato
da qualcosa, da questo flusso)
(La ragazzina che sente le voci, sono le voci dell’altro, che sta ovunque, anche nella mia testa).
Si tratta di costruire dei modi di tenuta, si tratta di costruire un posto giusto per l’altro.
Si tratta di creare una sequenza, e creare abitabile, qualcosa che altrimenti non è abitabile.

INTERVENTO:
Autismo basso funzionamento. Storicamente autismo associato alla psicosi infantile, e fino ad un certo punto
veniamo chiamato come una forma di psicosi che colpiva bambini.

35
Psicosi, come disturbi della forma di pensiero o disturbi dei contenuti del pensiero. Poi ci sono disturbi
senso-percettivi. Si possono rilevare due macro-interpretazioni. Ci sono dei macro sintomi che fanno
riferimento alla sensazione e invece quelli specifichi, come scarsa attività, legati all’introspezione.
Ci sono due modi principali di intendere i processi degli autistici a basso funzionamento.
L’autismo può essere da una parte capsula e guscio, e tutto ciò che viene fuori, è una perturbazione a questo
equilibrio.
Il corpo dell’autistico è tutto il mondo. Dall’altra parte non c’è più guscio.
Mette in atto delle strategie specifiche per affrontare le situazioni dell’autismo.
Il mondo esterno può diventare parte del corpo.
C’è una terapia consolidata, di portare l’autistico nel nostro sistema, sul nostro terreno, integrarlo dalla nostra
parte.
Invece Deligny partirà dall’assunto che non avendo gli autistici il linguaggio, qualsiasi interazione non può
essere fatta tramite il linguaggio. Le forme di pensiero del soggetto autistico, non sono legate al linguaggio,
ma ragionamento per immagini. Creare un contesto di vita, che parta da questa affermazione. Creare un
flusso che sia regolarizzato sull’immagine.
Costruiva delle strategie iconiche per comprendere i comportamenti. Uno dei modi in cui ha fatto questo, è
far regnare il silenzio, era una dimensione gestuale.
Cominciano a disegnare delle mappe, a cui sovrapponevano delle veline semitrasparenti. Si rende conto che
ci sono delle regolarità, dei luoghi dove tutti non passano, ci sono dei percorsi.
Comincia a comprendere la natura di certi comportamenti. (AUTISMO E UMANITA’ NASCOSTA,
LIBRO)
Deligny non ha mai negato l’umanità agli autistici, solo perché non utilizzano il linguaggio. C’è una mappa
di stimoli sensoriale, che orientava l’autistico ad orientarsi.
L’immagine, il sogno, l’autismo è un modo di pensare, di decostruzione.
Le mappe di Deligny, che definiscono i percorsi che faceva il bambino. Ci sono percorsi comuni, dei punti
dove passano più bambini. Un modo empirico, astratto di capire la relazione degli autistici con il loro
ambiente.
Immagini come forma di linguaggio, con le sue regole. Non c’è nulla di astratto nella persona autistica.
Metodo Deligny: autismo come scatola nera, e nella strategia più tradizionale si cerca di varcare i confini
dell’autistico.
Strategia completamente opposta, che si trova nella matematica. Immerge questa scatola nera nell’ambiente
circostante, regolato nel funzionamento, dove i transiti dell’ambiente sono naturali.

20 marzo 23
Inconscio, come pulsione di morte. Ciò che spinge il soggetto non verso l’utile, ma verso condotte
autodistruttuve. La pulsione di morte è qualcosa del soggetto, è abitata dal godimento. Il godimento è
incanalato dentro la logica del desiderio.

36
Crea la dimensione dell’alterità, e istituisce quella dimensione che è il desiderio.
Possiamo leggere nel desiderio, anche il funzionamento della clinica, che non è solo alleviare la sofferenza.
Nella psicosi il corpo non è una forma soggettivata, è senza capo e si muove in questo eterno ritorno del
godimento (anoressie, depressioni, dipendenza affettiva). Sembrano comportamenti inspiegabile, e sono uno
sganciamento del sintomo dal desiderio.
Perché le psicosi? Ci fa vedere a cielo aperto qualcosa che riguarda il funzionamento dell’inconscio. Non c’è
la dimensione dell’altro come luogo del desiderio. Ci fa vedere qualcosa che ci riguarda, ed esibisce un
troppo che appartiene a ciascuno di noi.
Anche il nevrotico è vittima del godimento.
‘’L’uomo senza inconscio’’, Lacan, i sintomi che stanno sempre più emergendo sono simili a quelli della
clinica della psicosi. Questo perché siamo soggettivati anche dall’epoca in cui viviamo, perché siamo parlati
da un certo discorso sociale. C’è sempre più bisogno di pensare la clinica della psicosi, anche se non ci sono
fenomeni conclamati (deliri, allucinazioni).
CLINICA DELLA NEVROSI (DEL DESIDERIO E DEL LINGUAGGIO)
CLINICA DELLA PSICOSI (DEL GODIMENTO)
Come si può raggiungere un soggetto che sembra affondare nella dimensione del godimento?
Da un lato, clinica della nevrosi, dove il sintomo è passato dal linguaggio, da una codificazione e il
linguaggio ha realizzato un accordo con il corpo, che produce una mancanza e anche dei sintomi.
Il sintomo dice qualcosa, e il trattamento preliminare: la domanda è una mediazione tra il sintomo e il
transfert, vive malgrado me, mi porta a formulare una domanda di cura. TRANSFERT: ISTITUZIONE DI
UNA DIMENSIONE DI CURA, DUE SOGGETTI.
Il lavoro che deve fare la clinica in senso ampio, nel momento in cui accoglie questa domanda, è accogliere
una relazione. Trasformazione etica della domanda di cura (passando per un processo che Lacan definisce
rettifica soggettiva). È meccanico che quando avviene il ritorno di qualcosa, che avviene mio malgrado, la
colpa sembra essere dell’altro. Indicazione di responsabilità verso qualcosa che non sono io, quando in realtà
il sintomo è suo. Serve a fare un lavoro di decostruzione, il soggetto è responsabile del proprio sintomo. Se
parliamo di qualcosa che ci ingaggia, ci interroga riguarda noi.
È un sintomo che riguarda me, sono io che mi esprimo così attraverso il mio sintomo.
Seconda trasformazione che riguarda la dimensione della verità nascosta. Sintomo come indice di una
verità nascosta, legata alla prima.
Il soggetto si deve interrogare sul proprio sintomo, come una verità nascosta. Cosa sto cercando? C’è uno
spostamento che deve verificarsi, per cui la volontà di sapere, deve sovvertire la volontà di guarire.
Quel processo di guarigione deve passare dalla verità.
La domanda di guarigione è una domanda da trasformare.
Sintomo come metafora, indice di una verità nascosta. Verità che cerco nel campo dell’altro. Posso
considerare l’altro colpevole, il sintomo esprime una verità irriducibile del soggetto. Sintomo come verità
sempre specifica, singolare.

37
Sintomo come formazione dell’inconscio, così come lo è il desiderio.
Nella clinica della nevrosi l’argomento viene trattato nella domanda. Non c’è incompatibilità tra desiderio e
godimento. La struttura del desiderio ci dice l’impossibilità di coincidere con quel godimento.
C’è una domanda, perché faccio questo.

Nella clinica della psicosi, le cose funzionano diversamente, e anche il sintomo ha un senso diverso.
Ogni bambino è un enigma. Il sintomo non è percepito come un disturbo all’equilibrio del soggetto, è
qualcosa che assicura il soggetto, è qualcosa che lo fa funzionare. Il sintomo è percepito come realtà.
Si fonda sul fatto che il trattamento della costituzione della domanda non c’è. Si rimane in un rapporto
simbiotico con l’altro.
Trattamento: rendere possibile una regolazione del godimento, però la questione più significativa è che il
sintomo da un lato non fa problema e dall’altro non c’è una domanda. Altrimenti non c’è transfert, non c’è la
dimensione dell’altro. Come fare a soggettivarla, se il sintomo è lì per non produrre nessuna mancanza?
Tutto è fatto per non incontrare mai la mancanza e quindi l’altro. Il trattamento è il sintomo che sta agendo in
maniera autonoma, per non far sentire la mancanza.
C’è un godimento totale. La sostanza, il cibo (anoressia, bulimia) serve per non far sentire la mancanza.
Sintomo egosintonici, sintomo che serve di più di quanto voglia sbarazzarmene.
Dal punto di vista del funzionamento, è raro che si arrivi alla domanda di cura, perché il sintomo è una
soluzione, non un problema.
Recalcati, l’altro deve venire incluso nella domanda. Come includere l’altro nel sintomo, se l’altro ti fa
sentire la mancanza?
Il soggetto diventa sintomo, che è il luogo della sua tenuta. Abbiamo un’etica dell’aldilà del principio del
piacere. Il sintomo è una tecnica di godimento.
Non può funzionare il paradigma della psicosi, perché cosa interpreto? È necessaria un’estrema
valorizzazione della relazione di cura, dove si tratta di mettere le condizioni che rendano efficaci
l’interpretazione dell’enigma.
Non è il soggetto che deve rettificare, ma il curante. È l’altro che deve rettificare qualcosa.
Rettificare l’altro come incarnazione di un altro diverso, da quello che ha operato nella sua storia. Si tratta
quindi di dire sì al soggetto. Un altro che sappia non escludere, zittire. Deve mettere nelle condizioni di
essere accolto.
Questa nuova configurazione dell’altro deve mettere nella posizione di costruire la relazione da zero.
È necessario un altro al posto giusto, che possa implicare il soggetto nella relazione.
Non cancellare, non zittire, non soffocare. Deriva probabilmente da eccessiva presenza o assenza.
Quale altro siamo in grado di essere per il soggetto? Che è alle prese con un eccesso di godimento.

Autismo:

38
Passare da una questione ontologica (cos’è quella cosa in sé) a una ontologia modale (osservo il modo in cui
qualcosa accade).
Non mi interessa capire cosa produce. Non è il soggetto, ma la soggettivazione. Che processi si avviano?
Che processo è il desiderio?
L’inconscio non è qualcosa dove dentro stanno dei processi, qualcosa che mi attraversa, non lo domino, non
lo conosco.
Interrogarsi sul funzionamento del soggetto, perché da lì dipende tutto quello che facciamo dopo.
Deligny comprende qualcosa del funzionamento autistico, da una sospensione di alcune pratiche e allora
qualcosa accadeva.
Ci sono dei processi inediti, che io vedo all’opera nel momento in cui io vedo il silenzio.
Dice sì al soggetto, si mette nella posizione di un altro, che possa tollerare.
Tratto autistico della soggettività in generale, è tutta la comunità a vivere su un modello pseudo autistico, noi
abbiamo degli automatismi.
‘’Umanità nascosta’’, è qualcosa di umano, si tratta di forme della soggettivazione, che in qualche modo
anche noi condividiamo, che rimangono incanalate in altri funzionamenti.
Nell’autismo rimane a cielo aperto di qualcosa che ci riguarda, l’immagine.
L’ambiente regolarizzato dalla logica dell’immagine. Ed è stata citata a più riprese la questione del sogno,
che mostra diverse analogie.
Analogia con CONSIDERAZIONE DELLA RAFFIGURABILITA’, modo in cui il sogno converte un tipo
di pensiero astratto in qualcosa di equivalente che permette di essere analizzato. Ciò che detta le regole del
sogno è il pensiero iconico.
La rappresentazione è ciò che noi vediamo come pensiero coerente.
Nella dimensione del sogno di Freud mette in evidenza una dimensione che è difficilmente descrivibile. Nel
sogno è tutto normale e coerente che io sia io, ma anche qualcun altro.
Coordinate identitarie sbagliate, così come è difficile definire delle coordinate.
Il sogno confonde tutti questi punti cardine, il sogno pensa prevalentemente per immagini, secondo una
logica non astratta e la cosa interessante è che non abbiamo bisogno di immaginare cosa sia la scatola nera,
perché tutti noi facciamo esperienza del pensiero iconico. Lo assumiamo come una banalità, facciamo
esperienza di un altro tipo di pensiero e funzionamento.
Io mi penso un protagonista nel sogno, ma dove sto esattamente io? Io sono dappertutto. Non c’è una parte
del sogno in cui la mia soggettività non sia implicata. Il nostro corpo è ovunque.
Corpo in frammenti, da una lezione etica, Freud chiama il sogno come VERSIONE INNOCUA DI UNA
VERSIONE PATOLOGICA. Freud interroga il sogno, anche per interrogare la psicosi. C’è un tratto
psicotico del soggetto. Tutti nel sogno soffriamo di psicosi. Vediamo qualcosa che non c’è nella realtà.
Nel sogno le immagini sono la mia realtà. Ciò che vedo esiste solo nel mio sogno.
Si tratta di un prototipo normale, perché serve il sonno; mentre nella psicosi serve la veglia.
Ogni soggetto è però sintomatico. Le psicosi sono quindi accentuazioni di qualcosa che qualcuno ha.

39
Nel sogno il tempo funziona diversamente e io vedo e creo nello stesso istante.

Noi dimentichiamo i sogni perché quando ci svegliamo ricominciamo a funzionare secondo le nostre
abitudini. Perdiamo qualcosa. La realtà del sogno non è altra, sono solo due funzionamenti diversi.
Nel sogno il desiderio si appaga per un’altra via. Ci sono due codificazioni degli stessi processi.
Nel sogno si appaga anche un desiderio, che non poteva essere appagato nella realtà, perché codificato dal
linguaggio.
Arriva ad isolare, la scatola nera, l’ombelico del sogno, qualcosa che non sarà mai interpretabile. C’è anche
un punto oscuro, non si risolverà mai. Non c’è interpretazione. Posso provare a comprendere, ma qualcosa
resterà sempre inconscio.
Freud guarda al sogno, come Deligny guarda alle sue scatole nere. Cerca di capire quali siano i processi che
avvengono al suo interno. È necessario appellarsi ad un altro tipo di pensiero. Individua quattro processi che
regolano il sogno:
La condensazione, più elementi che non potevano convivere a livello del desiderio inconscio, vengono
condensati. L’immagine può condensare qualcosa che nella realtà sarebbero un sintomo (due desideri
opposti).
Il pensiero astratto è sempre convertito in qualcosa che si può visualizzare
Spostamento,
Elaborazione secondaria, in modo che la trama sia coerente, comprensibile.
Deformazione, un sogno è sempre fatto di due movimenti, un desiderio che emerge e qualcosa che lo
deforma. Il luogo in cui si da tutto questo è regolato nell’immagine.

22 marzo 23
Figura curante deve cambiare il suo posizionamento, arrivi ad abitare questo funzionamento. Nella psicosi il
sintomo ha una funzione differente, non è una funzione dell’inconscio, riguarda il godimento del corpo.
Autismo basso funzionamento, non accesso al linguaggio. Introdurre una dinamica eccentrica, che lavora a
partire dal funzionamento autistico.
La funzione dello sguardo non è orientata verso l’altro, è indifferente e quindi non è quello il suo canale,
però c’è qualcosa dell’immagine. Deligny non pensa l’autismo alla luce del funzionamento dell’immagine,
ma quello che l’autismo ci restituisce è una teoria dell’immagine. Pensa all’autismo per pensare l’immagine.
L’immagine in sé è autistica, è resiliente al linguaggio e resta esteriore, rimane qualcosa di tagliato fuori.
Il tracciato che delinea l’immagine richiede uno sforzo di mediazione e solo attraverso il decentramento
l’incontro diviene possibile.
Disimparare a vedere qualcosa di già imparato. Doppio carattere dell’immagine del linguaggio, non è più
un’immagine che fa specchio.

40
Di fronte all’autismo è difficile che i meccanismi di speculazione funzionano e quindi dobbiamo slegarci a
questo funzionamento.
L’immagine è di per sé una voragine e la parola ci aiuta a colmarla. C’è una forza incidenza dell’immagine
che noi metabolizziamo attraverso la parola e il problema è quando non siamo più in grado di codificarla
attraverso la parola.
Quindi due funzionamenti molto diversi mostrano qualcosa di comune.
C’è un principio di legame, ma anche di autonomia e isolamento. Azione ripetuta e azione con un fine.
Ciascuno di noi ha una zona di non conoscenza, stiamo l’uno con l’altro nella forma del nostro essere soli.
Così come c’è un’etica della relazione, c’è anche un’etica della non relazione. Qualcosa che non conosciamo
dell’altro. Questa assunzione di un’impotenza di codificare l’altro è fondamentale nella relazione di cura.
Che tipo di sguardo è lo sguardo che guarda al sintomo?
Postura del filosofo di fronte al trauma, alla caduta. Si cerca di andare a toccare qualcosa che non riguarda
solo la presa di coscienza. Se è vero che il trauma è qualcosa che mi ha messo in crisi, come mi ha toccato?
Perché quella cosa mi ha toccato in modo da essere traumatica?
Certo che c’è un processo, ma la questione è attraverso quali mezzi. Cosa è accaduto lì, che tipo di
esperienza è. Voglio sapere qualcosa e il fatto che il sapere è non del tutto disponibile.
È colui che sa percepire che il trauma non è un vuoto, assenza, c’è un processo specifico di questo buio.
Percepire questo buio non è una forma d’inerzia o passività, ma indica un’attività particolare.
C’è un tentativo di stare in questa zona di non conoscenza, si tratta di non ignorarla. Ignorarla significa
ignorare qualcosa che si rivolge direttamente a me.
La scelta di lavorare con le immagini è legata al fatto che c’è qualcosa che non parla. L’immagine aiuta a
restituire l’esperienza che non sono in grado di dire. Il trauma non dice il trauma in maniera descrittiva,
produce delle deviazioni inedite. Qualcosa delle immagini non è solo espressivo di quell’avvenimento, ma
disegna anche altri tracciati.
Ci sono vari modi di vedere l’immagine, qualcosa rimane segreto questo è il non senso dell’immagine.
Lato inconscio, tentativo di far si che l’elemento dell’inconscio divenisse un elemento di movimento, rimane
lì quindi.
Ciò che c’era in comune era il non conoscibile, la sofferenza. Il punto di contatto passa per la dimensione
della ferita e questo senso inconscio dell’immagine, non rivelabile.
Crepa come qualcosa che rimane sempre, ma c’è una possibilità di convivere con questo. Ci sono due parti e
una parte rimane sempre legata alla sofferenza.
L’immagine è da un lato ciò che crea connessioni, attraverso l’immagine è stato possibile creare dei luoghi,
una formula comunitaria in cui si può creare un lavoro. CONSIDERAZIONE DELLA
RAFFIGURABILITA’, legge che orienta il sogno. Quando dormiamo vediamo più di quanto non parliamo.
La visibilità del sogno è diversa appunto, c’è un eccesso, uno sconfinamento dell’immagine, ci costringe ad
una serie di paradossi.
Nel sogno noi pensiamo che l’esperienza sia reale, malgrado sia paradossale.

41
C’è una sorta di convenzione del pensiero astratto, da un certo tipo di logica, si passa ad un’altra. Ciò che
regola il campo è la logica dell’immagine.
ELABORAZIONE SECONDARIA, rielaborazione che faccio per presentarlo sotto una forma coerente,
comprensibile.
Produrre nuove connessione, nell’immagine non c’è la logica della contraddizione. Non si può dire il
contrario di un’immagine. È possibile lo spostamento.
Perché io mentre sogno vedo, perché in questo modo io appago qualcosa del mio desiderio.
Qualcosa del desiderio si esprime in maniera più diretta immediata. L’immagine si può permettere di dare
considerazioni inedite, introduce qualcosa di eccentrico.
Freud ci dice che quel qualcosa che rimane riesco a capire qualcosa che la sola veglia non era riuscita a
mettere in movimento.
A livello dell’immagine riesce a trapelare di più. Tuttavia va sottolineato che anche il sogno è un
compromesso e Freud pensa a qualcosa del sogno che non può essere interpretato.
Il sogno è qualcosa di produttivo, perché è un doppio testo e c’è una raffigurazione del desiderio che è un
contenuto latente. Freud utilizza il paradigma della traduzione. Produce nuove connessioni, che permettono
un accesso inedito al desiderio. Si appaga per via allucinatoria. Si appaga in maniera diversa da come si
soddisfa un bisogno, si appaga in un luogo completamente privato.
Non solo non è un appagamento nell’ordine del bisogno. Pago il prezzo di una certa asocialità, non sono in
una dimensione relazionale, eppure un desiderio si appaga.
C’è quindi una solitudine nell’ordine del sogno, perché nel sogno perdiamo sempre qualcosa. Se il sogno è in
grado di dirci qualcosa, lasciamo comunque qualcosa indietro.
Se l’immagine ci dice qualcosa è perché non arriverà mai a dirci tutto, rimane qualcosa di incompreso.
Si parlava di una solitudine reciproca, siamo uniti l’uno all’altro dalla nostra solitudine.
Queste briciole di immagine, partecipano ad una comunità, seppur caotica, e lungi dall’essere relazionale
danno forma a qualcosa di cui la vita ci priva.
Quelle immagini formano una comunità, ma è una comunità asociale. È proprio questa asocialità a costituire
un organo comunitaria. Ogni solitudine di immagine che ci fa stare in comunità. C’è qualcosa di comunitario
nel fatto che siamo legati dalle nostre solitudini reciproche.

42

Potrebbero piacerti anche