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I seguaci di Hegel

I seguaci di Hegel si dividono in destra e sinistra hegeliana. Questi due gruppi si dividevano su tre tematiche
fondamentali:

• Ciò che è reale è razionale e ha una sua ragion d’essere


• Identificazione dello stato ideale nella monarchia prussiana, la sinistra pensa che questa scelta da parte di
Hegel sia stata condizionata dal periodo storico e che in realtà ne esistono di migliori. La destra invece
identifica questa stessa monarchia come la più adeguata forma di oggettività. Secondo la sinistra, a cui dava
particolare importanza al concetto di dialettica, pensava che tutto fosse un divenire e che non si può giungere
mai alla staticità e quindi alla massima espressione di qualcosa
• Religione, ovvero la grande prova dell’esistenza di Dio che si è manifestato in modo razionale come spirito
reale. Secondo la sinistra Hegeliana la teologia è inferiore alla filosofia, mentre per la destra queste due hanno
la stessa importanza.

Nella sinistra hegeliana abbiamo filosofi di spessore come Stirner, scrittore di “Vita di Gesù”, Feuerbach, scrittore di
“essenza del cristianesimo” e poi Marx.

Feuerbach scrisse nella sua opera una critica al cristianesimo dalla religione in generale perché avviene
l’oggettificazione dell’uomo in ambito della divinità, infatti proiettiamo qualità che vorremmo avere in Dio, ma
queste qualità sono in realtà già dentro di noi. Di trascendente quindi non c’è proprio nulla, ma questo inserire
qualità fuori di non è nient’altro che alienazione, ovvero il momento di negazione oggettivo dove abbiamo
l’estraniamento di qualcosa di interno [nella dialettica servo-signore è quando il servo lavora e proietta sull’oggetto
le sue qualità]. Secondo il filosofo è quindi necessario riappropriarsi di queste qualità e di questa essenza, creando
un rapporto antropologico con Dio. Con questo concetto non solo ci separiamo dall’ateismo, ma è qualcosa in più, lui
lo chiama antropoteismo.

Il processo di alienazione nella religione non è solamente teoretico ma soprattutto pratico e sociale.

Marx
Marx fu un filosofo della sinistra Hegeliana. Nato in Germania e studioso del pensiero di Hegel, sviluppò la sua idea di
filosofia, che per alcuni come Lukàcs è in continuità con il pensiero di hegeliano, per Althusser invece vede tra i due
pensieri una rottura.

I critici che credono nell’aspetto continuativo tra le due filosofie, credono che Hegel sia stato fondamentale per la
sua formazione. Tra i due pensieri ci sono sicuramente dei punti di continuità e di contatto, ma allo stesso tempo
Marx ne prende le distanze:

• Concezione dialettica della storia e della realtà come scontro di forze opposte e l’integrazione dell’elemento
negativo
o Hegel vede la storia come un qualcosa di teoretico e concettuale,
o Marx mette in pratica la teoria creando una sintesi di tipo pratico, in particolare ne sottolinea lo
scontro tra le classi sociali, Marx fa una lettura della storia di tipo economico [RENDE REALE UN
MODELLO SOLO TEORETICO]. Il soggetto di tale dialettica non è lo spirito ma la struttura economica
e le classi sociali, la “dialetticità” di tale fenomeno è osservabile ed empirica, gli opposti che
muovono la storia sono concreti e determinati
• Per Hegel la filosofia è di tipo descrittivo, mentre Marx la usa come critica del reale

Marx lavorò in un giornale liberale, ma per idee contrarie al regime prussiano verrà imprigionato e poi scapperà a
Londra dove diventerà redattore di un secondo giornale.

Qui a Londra ci sarà l’incontro con Engels. Quest’ultimo possedeva una fabbrica e aveva scritto “Sulle condizioni degli
operai in Inghilterra”, un’analisi sociale ed economica. Aveva una visione soprattutto pratica e applicativa, al
contrario di Marx che fino ad allora aveva una visione solo teorica. I due si completavano a vicenda, e il loro
approccio combinato permetterà il passaggio tra l’idealismo e il materialismo. Marx arrivava al livello teoretico dove
Engels, a causa della sua formazione, non poteva arrivare, ma allo stesso tempo possedeva nozioni pratiche che solo
che sta in fabbrica può conoscere.

Tra le opere di Marx è presente “Il Capitale”, testo di cui scriverà effettivamente solo il primo libro e poi gli altri
saranno scritti da Engels, ma comunque idealizzati da Marx stesso.

Testo che è stato scritto a quattro mani è il “Manifesto del partito comunista” pubblicato dopo i moti del ’48, ovvero
la rivoluzione in Francia, e dopo che la lega comunista divenne partito operaio. L’opera contiene un modello di
comportamento dei comunisti durante le rivoluzioni, ed è una sorta di riassunto delle idee già precedentemente
descritte da altri filosofi, tra cui lui nel capitale.

Struttura e sovrastruttura
La scienza storica marxiana, ovvero il lato economico della storia, è sempre basato da due elementi di fondo:

• Forze produttive: elementi necessari per il processo di produzione, divisi in:


o Forza lavoro: gli uomini che lavorano
o Mezzi di produzione: macchine, terra, etc… utilizzati dalla forza lavoro
o Conoscenze tecniche e scientifiche, che permetto l’organizzazione del lavoro
• Rapporti di produzione: i rapporti che ci sono tra gli uomini nel corso della produzione e che quindi regolano
il possesso dei mezzi di produzione (relazione tra forza lavoro e mezzi). I rapporti di produzione hanno la loro
espressione giuridica nei rapporti di proprietà

Questi due elementi insieme costituiscono il “modo di produzione” di un certo periodo storico. I rapporti di
produzione (base economica) espressa nel modo di produzione e la dialettica tra forza lavoro e questi rapporti
costituisce la struttura o scheletro economico su cui si basa la società di quel periodo storico.

La struttura è quindi l’ossatura della società, che si basa quindi su un modello economico. La sovrastruttura è
l’insieme degli elementi giuridico-politici-culturali che sono espressioni della struttura stessa e non sono considerate
separate dal modello economico del periodo. Il rapporto giuridico difatti non ha senso se non messo in relazione con
i rapporti materiali. LA STRUTTURA ECONOMICA E’ QUINDI ADEGUATAMENTE VOLTA A GIUSTIFICARE LA
SOVRASTRUTTURA CORRISPONDENTE, NONOSTANTE QUEST’ULTIMA SIA POSTA IN UN LIVELLO SUPERIORE NE
RIMANGONO COMUNQUE DIPENDETI. Per riassumere, la struttura determina la sovrastruttura, che è quindi
determinata dai rapporti economici (=materialismo storico) e non il contrario (=idealismo storico).

Idealismo e materialismo sono quindi opposti. Marx dicendo di essere materialista non intende nel senso metafisico
del termine, ma semplicemente è convinto che le forze motrici della storia non sono di natura spirituale bensì di
natura socio-economica, e quindi di qualcosa di reale e tangibile.

Detto questo Marx fa una panoramica sulle varie tappe storiche:

• Comunità primitiva: una comunità di stampo comunista


• Società asiatica: fondata su forme comunitarie di proprietà
• Società antica: di tipo schiavistico
• Società feudale
• Società capitalistica: società borghese
• Società socialista: comunismo futuro, sbocco inevitabile della dialettica storica e lo identifica come
movimento reale

in particolare la rivoluzione francese, se per Hegel era stata vista come tappa fondamentale per la scoperta della
libertà, per Marx assume un ruolo importante a causa della formazione della classe sociale borghese e della
rispettiva società.
Il capitale
L’opera del capitale cerca di mettere luce a quelli che sono i meccanismi della società borghese con lo scopo di
trovare una legge economica base, criticando l’economia classica. Il capitale però non è da intendere come un libro
di economia, ma come opera che spiega la complessa struttura del capitalismo.

Al contrario di altri economisti come Smith:

• non credeva nell’esistenza di leggi universali ma che ogni momento storico presenti leggi differenti
(esempio: le leggi del feudalesimo non possono essere le stesse del capitalismo).
• Credeva che la struttura della società borghese non fosse abbastanza stabile
• Studio del capitalismo come un fenomeno dialettico , mettendo in luce gli elementi di fondo ed astraendo i
secondari così che ne potesse visualizzare una struttura e le tendenze di sviluppo per creare future previsioni

La prima parte del libro cerca di descrive quella che è la merce e il suo fenomeno.

Le merci presentano due valori:

• Valore d’uso: un valore qualitativo che ci da una misura dell’utilizzo dell’oggetto


• Valore di scambio: un valore quantitativo, una misura che permette o scambio da altre merci. Questo è
dipende dal tempo di produzione e quindi dalla forza lavoro. Questo concetto riprende un po’ l’economica
classica dove valore=lavoro. Nonostante ciò Marx fa una netta distinzione tra prezzo e valore di scambio. Il
primo difatti dipende anche dal rapporto domanda-offerta o altri fattori. In assenza di questi, che si
presentano per lui solamente in peculiari situazioni, valore di scambio e prezzo vanno difatti a coincidere, ma
il prezzo non è il valore, che si trova in realtà alla base del primo. Il valore infatti è dato dalla somma
complessiva del valore di tutte le merci prodotte, che poi andando a dividere si trasforma in prezzo

Viene cosi contestato il feticismo delle merci, il cui valore era intrinseco (di per sé) e non dipendeva da fattori esterni
come l’attività dell’uomo, che crea in realtà il valore della merce stessa.

La forza lavoro è anche essa una merce [perché presenta valore d’uso, ovvero la produzione di beni, e il valore di
scambio, ovvero il lavoro astratto in quanto tale messo sul mercato], ma speciale, in quanto dà valore ad altre merci.

Secondo Marx il capitalismo non si basa sulla produzione di merce finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di
più denaro. La società capitalista non è infatti governata dalla formula M.D.M. (merce denaro merce), ma dalla
formula D.M.D’ (denaro-merce-più denaro).

Ma come può una merce creare del più monetario se questo è uguale al suo valore? Questo “di più” viene chiamato
plus-valore non proviene né dal denaro (che è solo un mezzo di scambio), né dall’azione dello scambio. La creazione
di questo è infatti da ricercare all’interno della produzione capitalistica.

Tra le merci che il capitalista acquista abbiamo difatti la forza lavoro, il cui valore d’acquisto non è nient’altro che il
salario con cui può mantenersi. L’operaio ha quindi la grande capacità di produrre valore per le altre merci che è
maggiore del suo valore stesso (ovvero il valore che immette alla merce è maggiore del valore dell’operaio). Le ore di
plus-lavoro che non vengono retribuite al lavoratore, perché ha già raggiunto il suo salario, sono tutte ore finalizzate
alla produzione di plus-valore e quindi del denaro del capitalista. [SFRUTTAMENTO CAPITALISTA a discapito dei
lavoratori che non avendo mezzi di produzione possono solo che essere merce].

Il capitalista, che ha i mezzi di produzione investe il plus-valore fatto dai lavoratori sulle merci su due fronti:

• Capitale costante: macchinari, impianti industriali e nuove tecnologie


• Capitale variabile: soggetto a temporalità ed è costituito dalla forza lavoro [Saggio del plus-valore=plus-
valore/capitale variabile]

Ciò che non viene speso in investimento costituisce il profitto del capitalista stesso [Saggio del profitto= plus-
valore/(capitale costante + capitale variabile)]. Il profitto è quindi sempre minore rispetto al plus valore formatosi.

Il capitalismo è una società caratterizzata dalla logica del profitto privato a discapito dell’interesse collettivo. L’unico
obiettivo è quello di avere il maggiore plus-valore e quindi profitto possibile. Il capitalismo ha quindi in modo
intrinseco delle caratteristiche che ne minano la sopravvivenza. Marx cerca di farne un’analisi e di comprendere le
possibili tappe che questo potrebbe avere nel tempo:

• Il capitale cerca di accrescere il plus-valore aumentando le ore lavorative, ma questo non conviene in quanto
l’uomo dopo un tot di ore comincia ad essere inefficiente. Il plus valore che sarebbe da qui ricavabile, nel
caso in cui non ci fossero problemi, è detto assoluto
• Viene quindi introdotto il plus-valore relativo, e quindi si diminuisce il carico ore in cui il lavoratore riesce a
integrare il proprio salario, aumentando quindi le ore di plus-valore. Questo è ottenibile solo aumentando la
produttività del lavoro, tramite l’uso di strutture e nuovi metodi di lavoro. Si passa quindi dalla cooperazione
semplice, alla manifattura, fino alla grande industria.
• Introduzione dell’industria meccanizzata, la macchina aumenta l’efficienza della fabbrica aumentando
ancora di più il plus-valore relativo. Queste non hanno poi un monte ore massimo di lavoro, sono
instancabili, e quindi permette l’aumento anche del plus-valore assoluto. La macchina, che quindi rende
meno faticoso il lavoro dell’uomo, permette al capitalista di poter assumere donne e bambini, che è meno
costosa. [RAPPORTO DI OSTILITA’ TRA MACCHINA E UOMO, il secondo è alle dipendenze del primo]
• Questa produzione cosi efficiente porta alla crisi cicliche di sovrapproduzione (cfr. crisi del 29’) e non più
dalla scarsità dei beni come avveniva nei secoli precedenti. Questa crisi è dovuta all’anarchia di produzione,
ovvero il capitalista punta solo sul guadagno senza logica commerciale. La crisi porta quindi alla distruzione
capitalista dei beni e alla disoccupazione
• Il continuo rinnovamento tecnologico (facente parte del capitale costante) porta anche alla caduta
tendenziale del saggio del profitto (perché inversamente proporzionali). Bisogna però tener presente che per
Marx il valore ad un oggetto non poteva essere dato dalla macchina ma solo da un lavoratore, adesso non è
più così. In questo modo il profitto seppur crescendo risulta essere progressivamente più scarso rispetto al
capitale costante su cui si è investito. Questa legge è una legge di rendimenti decrescenti ed è secondo il
filosofo il vero punto debole del capitalismo.
• Abbiamo poi la scissione della società mondiale in sole due classi sociali antagoniste, capitalisti vs massa. La
situazione finale ha una prospettiva dualistica-dialettica

“La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano
incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata
capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati.”

Brano sull’alienazione del lavoro


L’operai acquista valore in base alla quantità di merci che crea. Con la messa in valore della merce da parte del
lavoratore, per una questione dialettica, anche il lavoro stesso è intesa come esperienza del lavoratore, rendendolo
anche egli una merce.

Il lavoro resta esterno all’operaio, e quindi non appartiene al suo essere. Di conseguenza il lavoratore non si afferma
nel suo lavoro, bensì si nega. Dando valore alla merce questa non gli viene poi ridata e va a perdere al livello
dell’essere interiore (cfr. concetto di religione per Feuerbach). L’espropriazione dell’operaio nel suo prodotto fa si
che il lavoro diventi un oggetto con esistenza esterna e che quindi esita fuori di lui e ne è indipendente.

Da ciò si può dedurre che il lavoratore diventa schiavo del suo oggetto, perché dapprima riceve un oggetto di lavoro
(ovvero il lavoro stesso) e poi perché riceve i mezzi di sussistenza (la paga) per fare quel lavoro. Soggetto fisico e
operaio sono quindi connessi e dipendenti tra di loro.

L’alienazione dell’operaio nel suo oggetto aumenta all’aumentare del valore che egli da all’oggetto e che poi non
viene restituito.

Il lavoratore non si sente appagato dal suo lavoro ma infelice, mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito. L’operaio
si sente quindi con sé stesso soltanto fuori dal lavoro. Il suo lavoro non è volontario ma forzato ed è definito lavoro
costrittivo.

Il lavoro non soddisfa i nostri bisogni, ma è un mezzo per soddisfare bisogni esterni ad esso.

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