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AZIONAMENTI BRUSHLESS

1 Introduzione

Con l'espressione Azionamenti Brushless (letteralmente "senza spazzole") si usa indicare


quegli azionamenti che utilizzano un motore sincrono a magneti permanenti: in tali macchine
il campo di eccitazione è fornito da magneti permanenti.
Il campo di applicazione di questi azionamenti risulta circoscritto alle piccole potenze
(tipicamente inferiori a 50 kW) per le limitazioni imposte dal motore in quanto con i materiali
magnetici attualmente a disposizione la realizzazione di macchine di grossa taglia
richiederebbe l'uso di magneti di dimensioni, e quindi costo, improponibili. Si tratta tuttavia di
un campo importante ed in notevole crescita comprendente macchine utensili a controllo
numerico, automatismi industriali, robotica. In questi campi applicativi gli azionamenti
brushless risultano competitivi rispetto a quelli, più tradizionali, a corrente continua potendo
vantare numerosi aspetti positivi. Le velocità raggiungibili, infatti, non sono limitate dalla
presenza di commutatori meccanici ed inoltre peso, volume e sviluppo assiale sono ridotti
rispetto ad un motore c.c. di pari potenza consentendo di avere minori inerzie rotoriche e
quindi, a pari coppia, maggiori accelerazioni. A causa inoltre della virtuale assenza di perdite
rotoriche questi motori non necessitano di ventilazione forzata e sono quindi indicati per
applicazioni di tipo aerospaziale o in ambienti contaminati.
I motori sincroni a magneti permanenti presentano infine una maggiore semplicità
costruttiva e robustezza e non necessitano dunque di alcuna assistenza; a questa semplicità
costruttiva non fa per altro riscontro una maggiore economicità della macchina dato il
notevole costo dei magneti stessi (generalmente a terre rare).
Lo schema di base di un azionamento brushless (vedi fig. 10.3) consiste di un motore
sincrono a magneti permanenti, un convertitore statico (in questo caso un convertitore
bistadio costituito da un ponte raddrizzatore a diodi e da un inverter) un sensore di posizione
ed un dispositivo di controllo che opera basandosi sulle informazioni fornite dal sensore.

Alimentazione

V1,w1

Vo,wo
Convertitore
statico Motore w
bistadio

Riferimenti Sensore di
Regolatore
posizione

fig. 10.3

Le successive considerazioni si applicano ad azionamenti per assi di macchine utensili


di piccola e media potenza (2-10kW).

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2 Caratteristiche generali dell'azionamento

Nel campo degli azionamenti per macchine utensili una distinzione che viene solitamente
introdotta è quella tra assi e mandrini indicando con i primi quegli azionamenti destinati
esclusivamente ai moti di avanzamento, con i secondi quelli responsabili dei moti di lavoro
dell'utensile o del pezzo a seconda del tipo di macchina.
Si veda di analizzare brevemente i requisiti di un azionamento asse: il suo compito è
essenzialmente quello di portare in rotazione un albero ad una determinata velocità, imposta
da un opportuno riferimento, indipendentemente, entro determinati limiti, dalla coppia
resistente e quindi dalla coppia motrice erogata dal motore; questo compito deve poter essere
svolto con alcuni importanti requisiti:

• totale bidirezionalità dell'azionamento con zona morta praticamente nulla intorno


allo zero di velocità, sia in condizioni statiche che dinamiche;
• il rapporto tra velocità massima e minima regolabile deve essere indicativamente
maggiore di 10 con coppia nominale e, passando da vuoto a carico nominale, la
velocità non deve diminuire più di 1/10 della velocità massima.

Tali caratteristiche possono essere riassunte dicendo che l'azionamento deve possedere
una elevata rigidità statica, intendendo per rigidità statica appunto il rapporto tra coppia
esterna applicata e variazione di velocità da essa prodotta.
Altro elemento fondamentale di giudizio tecnico è la banda passante del ciclo di
velocità: per un asse di elevate prestazioni è richiesto che la banda passante in fase non sia
inferiore ai 40 Hz (cioè la frequenza alla quale lo sfasamento supera i 45°, sia superiore ai 40
Hz) mentre in ampiezza (frequenza in corrispondenza della quale si ha un'attenuazione di 3
dB) non sia inferiore ai 70 Hz. Tali caratteristiche, valide nel funzionamento attorno allo zero
di velocità, devono mantenersi entro un margine del 20% rispetto a quanto definito sopra
anche in condizioni di lavoro con "carico inerziale" (inteso convenzionalmente come un
carico pari alla metà dell'inerzia del motore) o con un "carico di coppia nominale"
(convenzionalmente definito come una coppia pari alla metà di quella nominale). L'ampiezza
della banda passante del ciclo di velocità può dunque essere assunta come indice della rigidità
dinamica dell'azionamento.
Infine l'accelerazione fornita dal motore in presenza di un carico inerziale o di coppia
definiti come sopra deve essere elevata, indicativamente dell'ordine dei 100 rad/s2; per contro
le velocità massime richieste non sono in genere molto elevate, aggirandosi attorno ai 200
rad/s.
Lo scopo di questi requisiti, peraltro strettamente correlati fra loro, è quello di poter
ottenere, con l'ausilio di catene cinematiche rigide, un controllo di posizione particolarmente
accurato al fine di raggiungere elevati gradi di finitura del pezzo in lavorazione.

3 Modello della macchina sincrona: richiami

Nel seguito, parlando di macchina sincrona, si farà sempre riferimento al modello


matematico che viene qui brevemente richiamato. Tale modello ha implicite alcune
semplificazioni riguardo alla natura costruttiva della macchina, ma risulta essere
sufficientemente adeguato ai fini del suo controllo.
Si consideri la macchina rappresentata schematicamente in fig. 10.4

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d s1
θ

e v

i
s2 s3

fig. 10.4

costituita da uno statore cilindrico nel quale è disposto un avvolgimento trifase


simmetrico tale da generare una distribuzione di forza magnetomotrice al traferro sinusoidale,
ed un rotore dotato di un avvolgimento di eccitazione (per gli avvolgimenti valgono le
convenzioni di fig. 10.4) e privo di gabbie smorzatrici. Si ammette ancora che lo statore ed il
rotore siano costituiti da materiale completamente laminato e di permeabilità infinita. Si
trascurano la saturazione, l'isteresi del ferro e le anisotropie della macchina dovute alle cave.
Partendo dalle equazioni relative agli avvolgimenti di statore e di rotore e dai legami
flussi ⇔ correnti (per i quali, date le ipotesi fatte, vale la sovrapposizione degli effetti),
applicando la trasformazione di variabili di Park alle equazioni di statore, si ottengono le
seguenti relazioni (tralasciando la componente omopolare):

v dq = Ri dq + p ψdq + jωr ψdq

ψd = L d i d + ψmd
ψq = L q i q

dove vd e vq sono le proiezioni sugli assi d e q (solidali col rotore) del vettore tensione
(vedi fig. 10.5) ovvero:
vd = 3V sin(ωt − θ)

vq = 3V cos(ωt − θ)

d s1
θ

ωt

δ
q V

fig. 10.5

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Usando invece come variabile di stato l'angolo δ anziché θ si hanno le seguenti
espressioni:

vd = 3V sin δ

vq = 3V cos δ
e l'ulteriore equazione elettrica:
pδ = ωr − ω

Resta infine l'equazione che traduce la conservazione dell'energia meccanica e che


risulta essere:
n
pωr = (C m − C r )
J
dove:
C m = n( ψd i q − ψq i d )

4 Il controllo vettoriale

Il controllo vettoriale della macchina sincrona si basa su una opportuna scelta degli assi
d,q di riferimento utilizzati dal regolatore dell'inverter in modo tale che una componente della
corrente statorica agisca esclusivamente sul flusso, mentre l'altra sulla coppia al traferro. In
questo modo il motore sincrono viene regolato come una macchina c.c. in cui si agisce
separatamente sulla corrente di eccitazione e su quella di indotto.
Per illustrare la modalità di controllo vettoriale del motore sincrono, si riprenda il
modello della macchina precedentemente richiamato:

v dq = Ri dq + p ψdq + jωr ψdq

ψd = L d i d + ψmd
ψq = L q i q
pδ = ωr − ω
n
pωr = ( C m − C r )
J
C m = n( ψd i q − ψq i d )

Si esprima ora il flusso diretto di statore in funzione della componente diretta della
corrente di statore che sono le variabili di stato di nostro interesse. Si ottiene:
Sostituendo tali espressioni (con l'ipotesi che i parametri di macchina siano tempo
invarianti) si ha:
v d = R ⋅ i d + L d pi d − ωr L q i q

v q = R ⋅ i q + L q pi q + ωr ψmd + ωr L d i d
ed infine:
[ ] [ ]
C m = n ⋅ L d i d i q + ψmd i q − L q i q i d = n ⋅ ( L d − L q ) ⋅ i d + ψmd ⋅ i q

Analizzando l'espressione della coppia si osserva come l'anisotropia del rotore


rappresentata dalla differenza (Ld-Lq) produce una coppia di anisotropia; nel seguito, salvo

4
indicazione contraria, si prenderà in considerazione il solo caso di macchina isotropa, cioè tale
che risulti Ld=Lq=L.

In questo caso risulta:


C m = n ⋅ ψmd i q

Dall'ultima espressione si evidenzia dunque come, ai fini della formazione di coppia,


solo la componente in quadratura della corrente statorica risulti efficace, mentre quella diretta
non fornisca alcun contributo. Al fine dunque di limitare al minimo il vettore corrente è
opportuno operare sul regolatore dell'inverter in modo tale che risulti, in ogni istante:

id = 0

In tal modo l'unica equazione elettrica significativa è quella statorica su asse in


quadratura:

v q = R ⋅ i q + L ⋅ pi q + ωr ψmd

mentre quella su asse diretto si riduce semplicemente a:

v d = −ωr Li q

Dal punto di vista della regolazione della coppia, dunque, il comportamento del motore
sincrono con controllo vettoriale risulta analogo a quello di un motore a corrente continua: in
tale analogia la componente in quadratura della corrente statorica assume il ruolo della
corrente di armatura. Diversamente da un motore in c.c. invece, non è possibile agire
sull'eccitazione (deflussaggio) in quanto quest'ultima viene fornita dai magneti permanenti.
Naturalmente nel caso in oggetto id e iq non sono correnti circolanti in avvolgimenti
fisicamente distinti, ma sono le componenti, secondo gli assi "d" e "q" solidali con il rotore, di
un unico sistema di correnti trifasi: il passaggio dall'uno all'altro sistema si ottiene mediante la
trasformazione di Park.
Si comprende dunque ora l'importanza della funzione svolta dal sensore di posizione
che compare in fig. 10.3, in quanto è proprio tale dispositivo che fornisce al regolatore la
posizione angolare istantanea del rotore, necessaria per poter operare la trasformazione
indicata.
Nel caso di funzionamento a regime le grandezze elettriche riferite ad assi al
sincronismo risultano costanti e risulta essere:
ωr = ω
v q = Ri q + ωψmd = Ri q + E

v d = −ωLi q
Si può così tracciare il seguente diagramma vettoriale:

5
q
−ω Li q
v Ri q

E
vq
δ
i=i q
ψ md d

fig. 10.6
Si supponga ora di alimentare il motore in modo tale da produrre una componente di
corrente sull'asse diretto negativa; in tal caso id<0 (non più id=0); dunque, a regime, valgono
le seguenti relazioni:
v d = Ri d − ωLi q

v q = Ri q + ωLi d + E

Da cui si deduce il seguente diagramma:

q
Ri d −ω Li q
Ri q
ω Li d E
v
i vq
δ iq

ψ md d
id
fig. 10.7

Dalla costruzione si evidenzia come, a pari componente iq (e quindi coppia), l'aggiunta


di una componente id negativa ha portato ad una riduzione del vettore tensione di
alimentazione, ma ad un aumento del vettore corrente. Il dover mantenere la corrente di
statore entro un valore massimo prestabilito, imposto dal dimensionamento dei componenti
dell'inverter, comporta dunque la necessità di ridurre la iq (dunque la coppia) all'aumentare di
id.
Queste osservazioni suggeriscono allora di operare come segue:

• per velocità inferiori alla nominale mantenere id=0 e la componente iq pari al valore
massimo consentito (imax) in modo da lavorare in un tratto a coppia costante e pari alla
massima possibile (fig. 10.8(a)); all'aumentare della frequenza di alimentazione, dunque
della velocità, aumenta la E e dunque la tensione di alimentazione necessaria che l'inverter
con modulazione PWM è tenuto a fornire. Giunti alla velocità nominale la tensione di
alimentazione è pari alla massima tensione fornibile dall'inverter che in tal caso non è più
in grado di effettuare alcuna parzializzazione, ma solo di fornire una tensione ad onda
quadra (fig. 10.8(b));

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• per velocità superiori alla nominale non si può più mantenere iq=imax perchè l'ulteriore
aumento della E richiederebbe una tensione di alimentazione superiore a quella fornita
dall'inverter che è già la massima disponibile: in tale regione dunque occorre ridurre la iq.
Si può allora sfruttare tale situazione per introdurre una componente id negativa e tale che
risulti sempre:
i= i d 2 + i q 2 ≤ i max

Così facendo si può mantenere v = vmax e i ≤ imax, ma con una iq (e quindi una coppia)
maggiore che nel caso in cui sia id = 0.
−ω Li q
−ω Li q zi Ri q
z i Ri q v=v
v<v max max E= ωnom ψmd
v max E= ω ψmd v max

iq = i v max iq = i
max max
v
ψ md ψ md

(a) (b)

E'= ω 'ψ md = v max

v max

ψ md

(c)

Ri d −ω Li q Ri d
Ri q Emax= ωmax ψmd
ω Li d
ω Li d v max v max
z i max
E'= ω 'ψ md v=v max
v=v max

i max
iq
ψ md ψ md

id id = - i (e)
(d) max
fig. 10.8

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Si vede infatti (fig. 10.8(c)) come nel caso limite di E=vmax, se fosse id=0, dovrebbe
essere anche iq=0, cioè si arriverebbe alla velocità

E' v max
ω' = =
ψmd ψmd
con correnti e coppia nulle.
Imponendo invece una id<0, si può ottenere la situazione di fig. 10.8(d) in cui il motore
è ancora in grado di sviluppare coppia.
Procedendo in questa direzione è poi possibile aumentare ulteriormente la velocità fino
al valore massimo ottenuto per iq=0 e id = -imax (fig. 10.8(e)).
Nella pratica, in effetti, le possibilità di regolazione prima indicate sono ben poco
rilevanti in quanto la presenza sul rotore dei magneti permanenti (la cui permeabilità è molto
prossima a quella dell'aria) fa sì che il traferro effettivo sia molto ampio e dunque l'induttanza
L risulti molto modesta; essendo, inoltre, le resistenze degli avvolgimenti alquanto ridotte, ne
risulta che comunque il termine "z i" ha un valore relativamente basso.
Di conseguenza la velocità ωmax risulta essere ben poco superiore alla ωnom, tanto che la
possibilità di estendere il campo di funzionamento oltre la velocità nominale in un tratto a
potenza costante non ripaga il notevole aumento di complessità richiesto al dispositivo di
regolazione.
Per questo motivo nella pratica si impone sempre che risulti id=0 ed è questa l'ipotesi
che verrà utilizzata nel seguito.
Riassumendo si può dire che il regolatore dell'azionamento deve pilotare l'inverter in
modo tale che risulti sempre id=0 mentre la componente iq deve essere tale che la coppia
prodotta mantenga il motore in rotazione alla velocità richiesta. Lo schema complessivo
dell'azionamento con anello di regolazione di velocità è dunque il seguente:

θ
i arif ia Sensore
ω rif i
posizione
Regolat. qrif i brif ib
veloc. Park Motore
- i crif ic
ω i =0 ω
drif
inverter

θ
d/dt

fig.10.9

Nella figura il blocco indicato con Park esegue la trasformazione inversa di Park in cui
idrif = 0 cioè:
i arif = − i qrif sin( θ)

 2 
i brif = − i qrif sinθ − π 
 3 
 4 
i crif = − i qrif sinθ − π 
 3 

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Un eventuale controllo di posizione può essere ottenuto sovrapponendo un opportuno
anello di regolazione a quello di velocità.
Nella figura 10.9 si è rappresentato l'inverter come un dispositivo dotato di un veloce
controllo di corrente tale da permettere alle correnti del motore di inseguire fedelmente i
valori di riferimento; in effetti utilizzando inverter a transistori (o IBGT) con modulazione
PWM ad elevata frequenza di commutazione (tipicamente >3 kHz) si può ottenere che le
correnti assorbite ricopino (a parte l'inevitabile ripple prodotto dalla modulazione) i rispettivi
riferimenti se questi risultano di ridotta entità. Viceversa con riferimenti di corrente di elevato
valore non si può più ignorare l'effettiva dinamica della macchina.

4.1 Progetto dei regolatori

Al fine del progetto del regolatore di velocità Rω occorre conoscere la funzione di


trasferimento del sistema complessivo prima tracciato. Poiché l'uscita del regolatore di
velocità rappresenta il valore desiderato della componente in quadratura della corrente
statorica, conviene rappresentare l'intero sistema in termini di grandezze riferite agli assi d-q
rotanti con il rotore.
Una prima schematizzazione può essere ottenuta supponendo che l'inverter con il suo
regolatore di corrente sia un sistema tanto rapido (ossia abbia una banda passante tanto
elevata) da poter essere considerato un generatore di corrente pilotato; in tal caso risulta
essere:
i a = i arif
i b = i brif
i c = i crif
e dunque, su assi d-q:
i d = i drif
i q = i qrif

In questo modo scompare dal sistema la dinamica elettrica dello statore della macchina
in quanto la corrente risulta impressa dall'esterno.
Lo schema complessivo risulta allora il seguente:

i q = i qrif Cr
ω rif + - ω
Regolat. n ψ 1/Js
veloc. md
- Cm +
ω

fig. 10.10

Come già accennato questa schematizzazione può essere accettabile solo finché
l'inverter conserva un elevato margine di regolazione ossia il motore lavora a basso carico e
bassa velocità.
In condizioni di lavoro più gravose, e più frequenti, la differenza tra tensione che
l'inverter deve erogare a regime e massima tensione disponibile (quella dell'onda quadra), cioè
il margine di regolazione dell'inverter, risulta notevolmente ridotto e dunque è necessario
tenere conto anche della dinamica elettrica dello statore della macchina.

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Ricordando le modalità di funzionamento di un inverter a tensione impressa con
regolazione di corrente, si può considerare l'inverter come un amplificatore di tensione di
guadagno K pilotato da un segnale di tensione rappresentato dall'uscita del regolatore di
corrente.
Lo schema complessivo risulta allora quello di fig. 10.11.
Trasduttori e Attuatori
Trasd. Corrente
Regolazione iq [A] Azionamento
iq [u.i.] Ki

Reg.Velocità Reg. Corrente Cr


ω rif iqrif - vq [u.i.] vq [V] - ω
PI PI Kv 1/(R+sL) Kc 1/Js
- - iq [A] Cm [Nm]
ω Inverter E

Ke
Trasd.Velocità
velocità [u.i.] ω [rad/s]
Kom

Legenda:
Ke = costante di tensione
Kc = costante di coppia = Ke
Kom = fattore di scala della velocità
Ki = fattore di scala della corrente
Kv = fattore di scala della tensione
u.i. = unità interne

fig. 10.11

Dal confronto con la fig.10.10 si nota come il primo schema sia una semplificazione di
quello di fig.10.11 nell'ipotesi che il ciclo di corrente abbia dinamica rapidissima (rispetto alle
altre costanti di tempo in gioco) e totale insensibilità ai disturbi (rappresentati dalla E) tanto
da poter ritenere l'uscita (iq) stabilmente uguale al riferimento in ingresso (iqrif)

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