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1.1 INTRODUZIONE
Il trasformatore è una macchina elettrica statica costituita in linea di principio da due circuiti elettrici
nella forma di avvolgimenti mutuamente accoppiati. Per ottenere valori elevati di induzione e di
accoppiamento (magnetico) fra i due avvolgimenti, questi vengono realizzati su un nucleo di materiale
ferromagnetico. Analizzeremo quasi esclusivamente trasformatori impiegati per applicazioni con alti
livelli di potenza; in questo contesto i trasformatori vengono utilizzati per cambiare i fattori della
potenza V (tensione) e I (corrente) mantenendo sostanzialmente inalterata la potenza in transito da un
circuito all’altro.
Un’altra funzione del trasformatore è quella di adattare le caratteristiche di un dato dispositivo a quelle
della linea anche al fine di realizzare il massimo trasferimento di potenza. Infine trasformatori che non
cambiano i fattori della potenza vengono utilizzati per realizzare sistemi di isolamento in particolari
contesti applicativi (strumentazione elettromedicale).
Nel caso di circuito in condizioni di regime periodico sinusoidale, in termini di potenze complesse si
ha: 𝑉1̇ ⋅ 𝐼1∗̇ + 𝑉̇2 ⋅ 𝐼2∗̇ = 0, e quindi:
𝑉1̇ 𝐼2∗̇
=− ∗
𝑉̇2 𝐼1̇
Ipotizzando che il rapporto fra i fasori rappresentativi delle tensioni ai morsetti del dispositivo sia un
numero reale k, (detto rapporto di trasformazione delle tensioni) si può scrivere:
𝑉1̇ 𝐼1̇ 1 1
=𝑘 e =− ∗=−
𝑉̇2 𝐼2̇ 𝑘 𝑘
Il dispositivo così definito prende il nome di trasformatore monofase ideale rappresentato in fig. 2 ed è
compiutamente descritto dal rapporto di trasformazione k.
La tensione del generatore è nel range 15 ÷ 20 𝑘𝑉. Un primo trasformatore innalza la tensione al valore
di 380 kV che è la tensione di esercizio delle linee per la trasmissione dell’energia per distanze
dell’ordine delle decine, fino a qualche centinaio di chilometri. Segue un trasformatore che riporta a
tensione a 15 kV valore spesso usato per la distribuzione, quindi un ulteriore trasformatore che porta la
tensione ai valori tipici delle utenze domestiche, officine, etc.
Per quanto visto, a parità di potenza trasmessa, ad un aumento della tensione corrisponde un
diminuzione della corrente e viceversa. Poiché le perdite per effetto Joule sui conduttori delle linee
dipendono dal quadrato della corrente, si osserva come ad un aumento della tensione di circa 25 volte
(da 15 kV a 380 kV), corrisponde una diminuzione delle perdite sulla linea (a parità di resistenza di
linea) di 640 volte. Un aumento della sezione del conduttore di linea per ridurne la resistenza non è
sempre praticabile, sia per l’aumento del peso dei conduttori, sia per la presenza dell’effetto pelle che,
per raggi superiori a 10 mm, (lo spessore di penetrazione nel rame a 50 Hz è 9.5 mm) rende sempre
meno efficace l’aumento di sezione. Infatti per questi raggi la resistenza invece che diminuire con
quadrato del raggio diminuisce proporzionalmente ad esso, poiché la parte più interna del conduttore
non è attraversata da corrente che invece si dispone nella parte più esterna di esso, penetrando al suo
interno per circa 2 volte lo spessore di penetrazione.
Un’altra tipologia costruttiva è quella con il nucleo a mantello come rappresentato in figura 5. In questa
configurazione l’avvolgimento più interno è solitamente quello caratterizzato dalla tensione più bassa.
La definizione di trasformatore monofase ideale si basa sulle seguenti ipotesi, fatte sui materiali che lo
compongono.
Per quanto riguarda il nucleo ferromagnetico si ipotizza che abbia permeabilità magnetica infinita
(𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → ∞), e conducibilità elettrica nulla 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → 0. Normalmente i circuiti magnetici dei
trasformatori sono privi di traferri.
La prima ipotesi permette di affermare che le tutte le linee del campo di induzione magnetica B si
richiudono nel circuito magnetico. Inoltre se una bobina è avvolta su un’unica colonna del circuito
magnetico (come negli esempi delle figure precedenti), ciascuna spira concatena lo stesso flusso, ed il
flusso che si concatena con l’intera bobina, dato dalla somma dei flussi che si concatenano con le spire
che la costituiscono, è dato dal prodotto fra in numero di spire e il flusso nella colonna. Sempre con
riferimento alle figure precedenti si osserva che il flusso che concatena le spire di entrambi gli
avvolgimenti è lo stesso. In casi come questo si dice che non c’è dispersione di flusso fra gli
avvolgimenti. La seconda ipotesi permette di trascurare le perdite nel ferro dovute alle correnti parassite.
Essendo presente nel nucleo del trasformatore un flusso magnetico variabile nel tempo (N.B. i
trasformatori non possono funzionare in continua), eventuali materiali conduttori (𝜎 ≠ 0) investiti da
tale flusso saranno sede di correnti (dette correnti vorticose o correnti di Focault), con le conseguenti
perdite per effetto Joule.
L’ultima ipotesi che definisce il trasformatore ideale è che sia trascurabile la resistività del materiale
con cui sono realizzati gli avvolgimenti 𝜌𝑎𝑣𝑣 → 0. La componente Ohmica della caduta di tensione
sugli avvolgimenti è quindi nulla.
Dove, per le ipotesi di idealità, in assenza di flussi dispersi si è assunto 𝜙1 = 𝜙2 = 𝜙, inoltre avendo
ipotizzato 𝜌𝑎𝑣𝑣 = 0 non sono presenti termini resistivi nell’espressione della tensione ai morseti degli
avvolgimenti (nella figura le correnti sono entrambe entranti dai terminali superiori).
Calcolando il rapporto tra le due tensioni, negli istanti in cui 𝑒2 (𝑡) ≠ 0 ottengo:
𝑒1 (𝑡) 𝑁1
= =𝑛
𝑒2 (𝑡) 𝑁2
Quindi il rapporto delle tensioni, in un trasformatore ideale, è uguale al rapporto fra i numeri di spire
𝑁
delle bobine: 𝑛 = 𝑁1 .
2
E’ opportuno osservare che l’ipotesi 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → 0 permette di ottenere una equazione algebrica che lega
la forza magnetomotrice applicata al flusso nel nucleo. In assenza di detta ipotesi l’equazione
conterrebbe termini differenziali e non sarebbe di così immediata soluzione [1].
𝑙
Avendo ipotizzato che 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → ∞, ℛ = 𝜇 = 0, e quindi:
0 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 𝑆
𝑁1 𝑖1 (𝑡) + 𝑁2 𝑖2 (𝑡) = 0
Calcolando il rapporto tra le due tensioni, negli istanti in cui 𝑖2 (𝑡) ≠ 0 si ha:
𝑖1 (𝑡) 𝑁2 1
=− =−
𝑖2 (𝑡) 𝑁1 𝑛
In un trasformatore monofase ideale, il rapporto delle correnti è uguale al rapporto inverso, cambiato di
segno, del numero di spire.
Se valutiamo la potenza istantanea entrante nel trasformatore ideale come somma delle potenze su
ciascuna bobina si ha: 𝑝(𝑡) = 𝑣1 (𝑡) ⋅ 𝑖1 (𝑡) + 𝑣2 (𝑡) ⋅ 𝑖2 (𝑡) = 0, avendo considerato 𝑣1 (𝑡) =
−𝑒1 (𝑡) e 𝑣2 (𝑡) = −𝑒2 (𝑡).
𝐸̇1 𝑁1
𝐸̇1 = −𝑗𝜔𝑁1 𝜙̇ 𝐸̇2 = −𝑗𝜔𝑁2 𝜙̇ ⟹ = =𝑛
𝐸̇2 𝑁2
𝐼1̇ 𝑁2 1
𝑁1 𝐼1̇ + 𝑁2 𝐼2̇ = ℛ𝜙̇ = 0 ⟹ =− =−
𝐼2̇ 𝑁1 𝑛
Quest’ultima equazione afferma che il trasformatore ideale non assorbe né potenza attiva né reattiva.
Essendo 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → ∞ una conseguenza della legge di Hopkinson è che si può creare un flusso finito
nel nucleo con una forza magnetomotrice infinitesima.
1 1 𝐵2 (𝑥, 𝑦, 𝑧)
𝑊𝑚 = ∫ 𝐵(𝑥, 𝑦, 𝑧) ⋅ 𝐻(𝑥, 𝑦, 𝑧) ⅆ𝑣 = ∫ ⅆ𝑣 = 0
2 𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 2 𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 5
Dove B e H sono i valori efficaci della densità di flusso e del campo magnetico rispettivamente.
Dalle considerazioni fatte si deduce l’equivalenza fra il doppio bipolo definito nell’introduzione e il
dispositivo appena discusso.
Cominciamo con osservare che 𝑉𝑎̇ e 𝑉̇𝑏 sono cadute di tensione e non forze elettromotrici indotte. Le
equazioni di equilibrio ottenute con il metodo delle correnti di maglia sono:
𝑉𝑎̇ 𝑉𝑎̇
=𝑛 ⇒ 𝑉̇𝑏 =
𝑉̇𝑏 𝑛
𝐼𝑎̇ 1 𝐼1̇
=− = ⇒ 𝐼2̇ = −𝑛𝐼1̇
𝐼𝑏̇ 𝑛 𝐼2̇
𝑉𝑎̇
𝑉̇2 = −𝑛𝐼1̇ (𝑍2̅ + 𝑍3̅ ) − 𝐽2̇ 𝑍3̅ +
𝑛
Ricavando 𝑉𝑎̇ e sostituendo nella prima equazione si ottiene:
𝐽2̇
𝑉1̇ = 𝑍1̅ 𝐼1̇ + (𝑛2 𝑍2̅ + 𝑛2 𝑍3̅ )𝐼1̇ + (𝑛2 𝑍3̅ ) + 𝑛𝑉̇2
𝑛
Questa equazione può essere interpretata come l’equazione di equilibrio del circuito in figura 8:
Questo circuito “rassomiglia” al circuito di partenza. Entrambi condividono la parte a monte del
trasformatore (quella a sinistra della sezione H-K). Nel circuito in fig. 8 la parte a valle della sezione
H-K ha la stessa topologia della parte a valle del trasformatore in fig. 7: Si osserva però che i valori
delle impedenze nel circuito in fig. 8 sono moltiplicati per n2, le forze elettromotrici dei generatori
moltiplicate per n, le correnti dei generatori divise per n. Scalare come si è fatto i valori dei componenti
circuitali a valle del secondario e collegarli direttamente ai morsetti primari rimuovendo il trasformatore
prende il nome “riporto del circuito secondario ai morsetti primari” (in questo caso la distinzione fra
primario e secondario è arbitraria, essendo alimentati entrambi i lati del trasformatore).
Risolvendo la seconda rete si ottiene per essa lo stesso valore della corrente 𝐼1̇ del primo circuito. La
corrente 𝐼𝑏̇ nell’impedenza 𝑍2̅ del circuito originale può essere determinata a partire dalla corrente
sull’impedenza omologa (𝑛2 𝑍2̅ ) del circuito “riportato”: 𝐼𝑏̇ = −𝑛𝐼1̇ . Analogamente, la corrente
sull’impedenza 𝑍3̅ del circuito originale (che vale 𝐽2̇ − 𝐼2̇ ) può essere ottenuta moltiplicando per n la
𝐽2̇ 𝐽̇ 𝐼 ̇
corrente + 𝐼1̇ = 2 − 2 sull’impedenza “trasportata” 𝑛2 𝑍3̅ .
𝑛 𝑛 𝑛
Da queste considerazioni si deduce che le correnti nel circuito a valle del trasformatore possono esse
determinate a partire da quelle del circuito a valle della sezione H-K del secondo circuito moltiplicando
queste ultime per ±𝑛 a seconda dei versi relativi delle correnti.
Più in generale data una rete con un trasformatore (ideale) si può adottare il seguente schema per la
soluzione del circuito:
Per esempio, la tensione ai morsetti del generatore di corrente nel circuito riportato è:
𝐽2̇
𝑛𝑉̇2 + (𝐼1̇ + ) 𝑛2 𝑍3̅ = 𝑛𝑉̇2 + 𝑛(𝑛𝐼1̇ + 𝐽2̇ )𝑍3̅
𝑛
Riassumendo:
Data la rete con il trasformatore ideale (rapporto spire n) posto fra le due sottoreti A e B come in fig. 9:
Fig. 10. Rete di fig. 9 con il secondario riportato sui morsetti primari.
𝐼𝐾̇ = ±𝑛𝐼𝐾′̇
1 ′
𝑉̇𝐾𝐻 = ± 𝑉̇𝐾𝐻
𝑛
Il segni si determinano in base ai riferimenti nelle sottoreti B e B’. Nel caso specifico i segni sono
entrambi positivi.
Si può anche fare riferimento alla rete equivalente ottenuta riportando la sottorete A dall’altro lato del
trasformatore. In questo caso la regola per il riporto richiede di: dividere per n2 le impedenze, dividere
per n le forze elettromotrici dei generatori e moltiplicare per n le correnti dei generatori.
Fig. 11. Rete di fig. 9 con il primario riportato sui morsetti secondati.
Ottenute le tensioni e le correnti su A’’, si ottengono i valori corrispondenti alla posizione originale:
1
𝐼𝐿̇ = ± 𝐼 ′̇ ′𝐿
𝑛
𝑉̇𝑁𝑀 = ±𝑛𝑉̇𝑁𝑀
′′
bassi i valori delle perdite e quindi di limitare gli effetti della conducibilità (non nulla) del materiale
con cui viene realizzato il nucleo. In questo paragrafo cercheremo di comprendere gli effetti della
deviazione dal comportamento ideale dei materiali, introducendo alcuni elementi circuitali che tengano
conto di tali effetti, con l’obiettivo di individuare un modello circuitale del trasformatore reale. Come
vedremo questo modello sarà costituito da un trasformatore ideale, completato dagli elementi circuitali
precedentemente individuati.
Per via della loro espressione (𝐸̇1 = 𝑗𝜔𝑁1 𝜙̇, 𝐸̇2 = 𝑗𝜔𝑁2 𝜙̇), le tensioni 𝐸̇1 e 𝐸̇2 possono essere viste
come le tensioni su primario e secondario di un trasformatore ideale caratterizzato dal flusso 𝜙̇ nel
nucleo e con due avvolgimenti di 𝑁1 e 𝑁2 spire rispettivamente. Gli altri termini in 𝑉1̇ e 𝑉̇2 essendo
proporzionali alle correnti si rappresentano con cadute di tensione su resistenze. Il dispositivo con
𝜌𝑎𝑣𝑣 ≠ 0 può essere visto come un trasformatore ideale completato con le due resistenze 𝑅1 e 𝑅2 in
serie agli avvolgimenti:
Vediamo gli le conseguenze di 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 che assume un valore finito. Iniziamo con osservare che non è
più vero che 𝐵⊥ = 0 (𝐵⊥ è la componente di B normale alla
superficie di interfaccia con l’aria), quindi il flusso
magnetico non è più completamente incanalato nel nucleo
con la conseguente presenza di flussi dispersi.
Immaginando di alimentare entrambi gli avvolgimenti, possiamo riconoscere linee di forza che
concatenano entrambi gli avvolgimenti, e che quindi sono prodotte dall’azione “combinata” di entrambe
le forze magnetomotrici degli avvolgimenti, e linee di forza che si concatenano con un solo
avvolgimento senza concatenare l’altro. Supporremo per semplicità che se una linea di forza (di flusso
comune o disperso) concatena una spira di una bobina allora concatena tutte le altre spire di quella
bobina.
Possiamo valutare i flussi associati alle tre tipologie di linee di forza e definire il flusso comune 𝛷𝐶 e i
flussi dispersi 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝,1 e 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝,2 . Le cadute di tensione ai morsetti degli avvolgimenti saranno:
ⅆ ⅆ ⅆ
𝑣1 (𝑡) = (𝑁1 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝,1 + 𝑁1 𝛷𝐶 ) = 𝜆𝑑𝑖𝑠𝑝,1 + 𝑁1 𝛷𝐶
ⅆ𝑡 ⅆ𝑡 ⅆ𝑡
ⅆ ⅆ ⅆ
𝑣2 (𝑡) = (𝑁2 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝,2 + 𝑁2 𝛷𝐶 ) = 𝜆𝑑𝑖𝑠𝑝,2 + 𝑁2 𝛷𝐶
ⅆ𝑡 ⅆ𝑡 ⅆ𝑡
In termini fasoriali:
I flussi attribuibili alle linee di forza che concatenano con un solo avvolgimento dipendono solo dalla
corrente che scorre in esso, e nell’ipotesi di sistema lineare tali flussi sono proporzionali alla corrente:
𝜆𝑑𝑖𝑠𝑝,𝑘 = 𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,𝑘 𝑖𝑘 , quindi:
I primi termini di ciascuna equazione (𝑗𝜔𝐿ⅆ𝑖𝑠𝑝,𝑘 𝐼̇ 𝑘) rappresentano delle cadute di tensione su induttanze
𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,𝑘 , mentre i secondi termini (𝑗𝜔𝑁𝑘 𝜙̇𝐶 ) rappresentano le tensioni ai capi di un trasformatore ideale
caratterizzato dal flusso 𝜙̇𝑐 nel nucleo e con due avvolgimenti di 𝑁1 e 𝑁2 spire rispettivamente. Come
prima, il dispositivo con 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞ può essere visto come un trasformatore ideale completato con le
due induttanze 𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,1 e 𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,2 in serie agli avvolgimenti primario e secondario rispettivamente:
Fig. 15. Circuito equivalente del trasformatore con 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞: induttanze di dispersione.
Osserviamo che è possibile parlare di induttanza solo quando c’è una proporzionalità tra flusso
concatenato e corrente. Nel caso di materiali ferromagnetici questa condizione non è soddisfatta;
tuttavia, se analizziamo il percorso delle linee di forza dei flussi dispersi, notiamo che si svolge per
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 10
buona parte in aria, quindi la riluttanza associata ai flussi dispersi può essere scritta come: ℛ𝑡𝑜𝑡 =
ℛ𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 + ℛ𝑎𝑟𝑖𝑎 , ed essendo tipicamente ℛ𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≪ ℛ𝑎𝑟𝑖𝑎 , l’effetto della nonlinearità del tratto in
ferro viene fortemente attenuato e possiamo affermare che con buona approssimazione i flussi dispersi
sono proporzionali alle correnti negli avvolgimenti.
L’effetto combinato di 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞ e 𝜌𝑎𝑣𝑣 ≠ 0 da luogo ai bipoli RL posti in serie agli avvolgimenti
primario e secondario.
Considerare 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 di valore finito ed ipotizzando un comportamento lineare del materiale porta ad
un’altra conseguenza. Infatti la riluttanza del circuito magnetico interessato dal flusso comune 𝜙̇𝑐 non
è più nulla, quindi la legge di Hopkinson si scrive come:
𝐸̇1
̇ =
𝐼𝑚
𝑗𝜔𝐿𝑚,1
che rappresenta la corrente che percorrendo l’avvolgimento primario produce il flusso comune.
Sostituendo otteniamo:
𝑁2 𝐸̇1 ′
𝐼1̇ = − 𝐼2̇ + = 𝐼2̇ + 𝐼𝑚
̇
𝑁1 𝑗𝜔𝐿𝑚,1
′
La corrente 𝐼2̇ rappresenta la corrente che scorrerebbe sul primario di un trasformatore ideale
(𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 = ∞) quando sul secondario è presente la corrente 𝐼2̇ (corrente secondaria riportata al
primario). L’equazione precedente può essere interpretata alla luce del primo principio di Kirchoff, e
′
considerando anche il legame fra 𝐼2̇ e 𝐼2̇ , si può introdurre il circuito equivalente mostrato in figura 16.
Avere assunto che 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞, oltre alla presenza delle induttanze di dispersione (rif. fig. 15) porta
quindi alla definizione della induttanza di magnetizzazione. Come visto in precedenza la deviazione dal
comportamento ideale è tenuta in conto dall’introduzione di un elemento circuitale esterno che va ad
“aggiungersi” al trasformatore che “ritorna” ad essere ideale (𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 = ∞).
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 11
Fig. 16. Circuito equivalente del trasformatore con 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞: induttanza di magnetizzazione.
Consideriamo l’analisi semplificata delle correnti vorticose già vista nel capitolo I. Trascuriamo in
prima approssimazione ciò che accade in prossimità degli angoli del nucleo. La f.e.m. indotta che agisce
nella k-esima lamina di spessore ⅆ𝑘 e larghezza l è:
𝐸̇𝑘 = −𝑗ωФ̇ 𝑘
Ф̇ 𝑐
Ф̇ 𝑘 = 𝑙ⅆ𝑘
𝑆
Il flusso Ф̇ 𝑐 è inoltre legato alla f.e.m. ai morsetti dell’avvolgimento primario: 𝐸̇1 = −𝑗ω𝑁1 Ф̇ 𝑐 .
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 12
Sostituendo si ottiene:
Ф̇ 𝑐 𝑙ⅆ𝑘 𝑙ⅆ𝑘
𝐸̇𝑘 = −𝑗ωФ̇ 𝑘 = −𝑗ω𝑙ⅆ𝑘 = −𝑗ω𝑁1 Ф̇ 𝑐 = 𝐸̇1
𝑆 𝑆𝑁1 𝑆𝑁1
Detta 𝑅𝑘,1 = 4𝑙 ⁄(1ⅆ𝑘 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ) la resistenza di un tratto di lunghezza unitaria di una lamina, la potenza
ivi dissipata per effetto Joule è:
Sotto le ipotesi fatte, le perdite complessive per correnti vorticose nel nucleo possono essere scritte
come:
Dove si è posto:
4𝑆 2 𝑁12
𝑅𝑚 =
𝑙ⅆ𝑘3 𝑁𝑙𝑎𝑚 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 𝑙𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜
L’espressione ottenuta delle perdite per correnti vorticose nel nucleo del trasformatore è proporzionale
al quadrato della tensione ai morsetti dell’avvolgimento primario del trasformatore riportato in fig. 16
Le stesse perdite si otterrebbero in un trasformatore con nucleo di materiale non conduttore (e in questo
caso la laminazione non è necessaria) ma nel quale viene inserita una resistenza 𝑅𝑚 tra i morsetti fra i
quali è presente la tensione 𝐸̇1 . La resistenza 𝑅𝑚 si troverà quindi in parallelo all’induttanza di
magnetizzazione prima introdotta.
Considerando gli elementi circuitali fin qui introdotti per tenere conto della deviazione dal
comportamento ideale, il circuito equivalente del trasformatore reale è quello rappresentato in fig. 18.
𝑅1,𝑑 , 𝑅2,𝑑 , 𝐿1,𝑑 , 𝐿2,𝑑 assumono valori piccoli, e 𝑅𝑚 , 𝐿𝑚 assumono valori elevati.
Da un punto di vista ingegneristico queste affermazioni hanno poco senso se non si danno valori di
riferimento. Consideriamo il circuito equivalente del trasformatore reale e colleghiamo ad esso un
generatore con impedenza interna 𝑍𝑔̅ al primario e un carico 𝑍̅𝐿 al secondario, come indicato in fig. 19.
in cui 𝑍̅𝑚 = 𝑗𝜔𝐿𝑚 𝑅𝑚 ⁄(𝑗𝜔𝐿𝑚 + 𝑅𝑚 ), e confrontiamola con quella vista dallo stesso generatore se il
trasformatore fosse ideale:
̅ 𝑖𝑑𝑒𝑎𝑙𝑒 = 𝑛2 𝑍𝐿̅
𝑍𝑣,1
Quanto più queste due grandezze sono simili, tanto più il trasformatore si avvicina al comportamento
ideale. Questo accade se:
𝑍̅𝑚 ≫ 𝑛2 𝑍2𝑑
̅ + 𝑛2 𝑍𝐿̅
̅ + 𝑛2 𝑍2𝑑
𝑍1𝑑 ̅ ≪ 𝑛2 𝑍𝐿̅
̅ ≃ 𝑛2 𝑍2𝑑
Per ragioni costruttive nei trasformatori si può assumere con buona approssimazione che 𝑍1𝑑 ̅ ,
̅
inoltre si definisce l’impedenza di corto circuito riferita al primario come: 𝑍1,𝑐𝑐 ̅ + 𝑛2 ⋅ 𝑍̅2𝑑 . Se
= 𝑍1𝑑
la seconda disequazione è soddisfatta, combinandola con la prima si può scrivere:
̅ + 𝑛2 𝑍2𝑑
𝑍1𝑑 ̅ ≪ 𝑛2 𝑍𝐿̅ ≪ 𝑍̅𝑚
N.B. I numeri complessi non sono un insieme ordinato, i confronti vanno fatti fra i moduli o fra parti
reali e parti immaginarie.
Se, come accade usualmente 𝑍1𝑑 ̅ ≪ 𝑍𝑚 ̅ , non si commette un errore rilevante se la tensione ai morsetti
di 𝑍̅𝑚 viene valutata utilizzando il circuito di fig. 20.
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 14
L’impedenza 𝑍̅2𝑑 può essere riportata sul lato primario ed in alcuni casi, a causa del suo elevato valore
l’impedenza di magnetizzazione viene omessa dando luogo al circuito equivalente in fig. 21.
̅ + 𝑛2 𝑍2𝑑
L’impedenza equivalente serie 𝑍1𝑑 ̅ prende il nome di impedenza di corto circuito riportata al
̅ .
primario ed è indicata con 𝑍1𝑐𝑐
La 𝑉1,𝑛 è la tensione di progetto, cioè la tensione per la quale il dispositivo è dimensionato; può
funzionare per valori minori, ma valori maggiori sono da evitare per non danneggiare il dispositivo. A
partire dalla potenza nominale si calcola la corrente nominale 𝐼1,𝑛 = 𝑆𝑛 ⁄𝑉1,𝑛 , che individua la massima
corrente sull’avvolgimento primario; anche in questo caso il trasformatore funziona correttamente per
valori inferiori, ma valori più grandi possono danneggiarlo.
Il rapporto spire si ottiene dal rapporto fra 𝑉1,𝑛 e 𝑉2,𝑛 ; non viene fornita la potenza attiva perché dipende
dal carico collegato al trasformatore.
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 15
Prova a Vuoto
La prova a vuoto viene effettuata alimentando il primario a tensione nominale e lasciando il secondario
aperto (collegato ad un voltmetro ideale), in accordo allo schema di fig. 22.
Dalle letture degli strumenti presenti nella fig. 22 ricaviamo i valori delle seguenti grandezze: 𝑉10, 𝑉20,
𝐼10 e 𝑃10 .
Facendo riferimento al circuito equivalente semplificato di fig. 23 notiamo che sul secondario non
scorre corrente (il voltmetro ideale ha impedenza infinita ed è assimilabile a un circuito aperto 𝐼2 = 0),
quindi la corrispondente corrente sull’avvolgimento primario del trasformatore ideale (𝐼′2 = − 𝐼2 ⁄𝑛) è
nulla . Il generatore che alimenta il sistema “vede” solo l’impedenza di magnetizzazione 𝑍𝑚 ̅ . La potenza
indicata dal wattmetro è quella associata alla 𝑅𝑚 , e cioè quella rappresentativa delle perdite nel nucleo:
2
𝑉10
𝑃10 = 𝑃𝑓𝑒 =
𝑅𝑚
Da cui:
𝑃10 1
𝑅𝑚 = 2 =𝐺
𝑉10 𝑚
Inoltre:
𝐼1,0
𝑌𝑚 =
𝑉1,0
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 16
𝐵𝑚 = √𝑌𝑚 2 − 𝐺𝑚 2
Da cui:
1 1
̅ =
𝑍𝑚 = = 𝑅0 + 𝑗𝑋0
̅
𝑌𝑚 𝐺𝑚 − 𝑗𝐵𝑚
La prova in corto circuito, rappresentata dallo schema di fig. 24, viene effettuata alimentando il primario
ad una tensione di valore ridotto rispetto a quella nominale, tale da produrre una corrente
nell’avvolgimento primario pari a quella nominale. Quindi le grandezze misurate sono 𝐼1𝑐𝑐 = 𝐼𝑛 , 𝑉1𝑐𝑐
e 𝑃1𝑐𝑐 .
Riportando sul primario il circuito secondario, che è composto dalla sola impedenza di dispersione
secondaria, si ottiene utilizzando il circuito semplificato del trasformatore:
Considerando che, per quanto discusso al paragrafo precedente la 𝑍̅𝑚 è grande rispetto alla 𝑍1,𝑐𝑐
̅ =
̅ 2 ̅ ̅
𝑍1𝑑 + 𝑛 ⋅ 𝑍2𝑑 , il generatore che alimenta il sistema “vede” solo l’impedenza di corto circuito 𝑍1,𝑐𝑐 .
Quindi si ha:
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 17
𝑉1𝑐𝑐
𝑍1𝑐𝑐 =
𝐼1𝑐𝑐
𝑃1𝑐𝑐
𝑐𝑜𝑠𝜑1𝑐𝑐 =
𝑉1𝑐𝑐 𝐼1𝑐𝑐
̅ ≃ 𝑍1𝑐𝑐
Infine per le già citate ragioni costruttive: 𝑍1𝑑 ̅ ⁄2 e 𝑍̅2𝑑 ≃ 𝑍1𝑐𝑐
̅ ⁄(2𝑛2 ).
Un trasformatore trifase può essere ottenuto utilizzando tre trasformatori monofase identici, uno per
fase, secondo lo schema di fig. 26. Possiamo pensare di accostare i tre trasformatori monofase come
nella figura a destra:
Se il sistema è tale che le terne di correnti sugli avvolgimenti primari e secondari sono equilibrate, anche
i flussi Φ𝑎 , Φ𝑏 e Φ𝑐 nei tre nuclei formano una terna simmetrica; allora il flusso nella colonna centrale
è nullo e la colonne centrale stessa può essere eliminata, portando alla configurazione fig. 27.
Inoltre indichiamo con 𝐸𝐴̇ , 𝐸̇𝐵 , 𝐸̇𝐶 : le tensioni primarie rispetto al centro stella e con 𝑉𝐴𝐵
̇ , 𝑉̇𝐵𝐶 , 𝑉̇𝐶𝐴 le
corrispondenti tensioni primarie concatenate. 𝐸̇𝑎 , 𝐸̇𝑏 , 𝐸̇𝑐 e 𝑉̇𝑎𝑏 , 𝑉̇𝑏𝑐 , 𝑉𝑐𝑎
̇ sono le omologhe secondarie.
I collegamenti interfasici lato primario o secondario sono del tipo: stella, triangolo, zig-zag.
Collegamento a stella
𝑉̇𝐵𝐶 = 𝑈̇𝐵
𝑉̇𝐶𝐴 = 𝑈̇𝐶
Poniamo: 𝑈̇𝐴1 = 𝑈̇𝐴2 = 0.5𝑈̇𝐴 , 𝑈̇𝐵1 = 𝑈̇𝐵2 = 0.5𝑈̇𝐵 , 𝑈̇𝐶1 = 𝑈̇𝐶2 = 0.5𝑈̇𝐶 ,
√3 𝜋
𝐸𝐴̇ = 𝑈̇𝐴1 − 𝑈̇𝐵2 = 𝑈̇𝐴 𝑒 𝑗 6
2
√3 𝜋
𝐸̇𝐵 = 𝑈̇𝐵1 − 𝑈̇𝐶2 = 𝑈̇𝐵 𝑒 𝑗 6
2
√3 𝜋
𝐸̇𝐶 = 𝑈̇𝐶1 − 𝑈̇𝐴2 = 𝑈̇𝐶 𝑒 𝑗 6
2
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 20
𝜋 3 𝜋
̇ = √3𝐸𝐴̇ 𝑒 𝑗 6 = 𝑈̇𝐴 𝑒 𝑗 3
𝑉𝐴𝐵
2
𝜋 3 𝜋
𝑉̇𝐵𝐶 = √3𝐸̇𝐵 𝑒 𝑗 6 = 𝑈̇𝐵 𝑒 𝑗 3
2
𝜋 3 𝜋
𝑉̇𝐶𝐴 = √3𝐸̇𝐶 𝑒 𝑗 6 = 𝑈̇𝐶 𝑒 𝑗 3
2
Il valore di K può differire dal rapporto spire e dipende dal tipo di collegamento interfasico adottato sui
due lati del trasformatore; inoltre le tensioni che formano il rapporto di trasformazione possono essere
sfasate una rispetto all’altra. Si definisce quindi anche lo spostamento angolare che è l’angolo (in gradi)
tra una tensione concatenata (o stellata) primaria e la tensione secondaria omologa. Per gli usuali
collegamenti il suo valore è sempre un multiplo di 30°.
𝑣𝐴𝐵 𝑜 𝐸𝐴 𝑜
𝛼 = 𝑎𝑟𝑔 ( ) = 𝑎𝑟𝑔 ( )
𝑣𝑎𝑏 𝐸𝑎
Consideriamo ora alcuni dei collegamenti più usati per i quali determineremo i valori del rapporto di
trasformazione, dello spostamento angolare e dell’indice orario (rapporto fra spostamento angolare e
30°).
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 21
̇
𝑉𝐴𝐵 𝐸𝐴̇ 𝑈̇𝐴 𝑁
= = =
𝑉̇𝑎𝑏 𝐸̇𝑎 𝑈̇𝑎 𝑛
𝑁
𝐾 = , 𝛼 = 0°
𝑛
gruppo 0
̇
𝑉𝐴𝐵 𝐸𝐴̇ 𝑈̇𝐴 𝑁
= = =
𝑉̇𝑎𝑏 𝐸̇𝑎 𝑈̇𝑎 𝑛
𝑁
𝐾 = , 𝛼 = 0°
𝑛
gruppo 0
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 22
𝑁
𝐾 = √3 , 𝛼 = 330°
𝑛
gruppo 11
Si usa il collegamento
triangolo tipo 1.
̇
𝑉𝐴𝐵 𝑈̇𝐴
= 𝜋
𝑉̇𝑎𝑏 √3𝑈̇ 𝑒 𝑗 6
𝑎
1 𝑁 𝑗 5𝜋
= 𝑒 6
√3 𝑛
1 𝑁
𝐾= , 𝛼 = 330°
√3 𝑛
gruppo 11
𝜋
̇ 𝑗
𝑉𝐴𝐵 √3𝑈̇𝐴 𝑒 6
=
𝑉̇𝑎𝑏 3 ̇ 𝑗𝜋3
2 𝑈𝑎 𝑒
2 𝑁 𝑗 5𝜋
= 𝑒 6
√3 𝑛
2 𝑁
𝐾= ,𝛼
√3 𝑛
= 330°
gruppo 11
Si utilizza il collegamento
triangolo tipo 2.
𝜋
̇
𝑉𝐴𝐵 𝑈̇𝐴 𝑒 𝑗 3 2𝑁
= =
̇𝑉𝑎𝑏 3 ̇ 𝑗𝜋3 3 𝑛
2 𝑈𝑎 𝑒
2𝑁
𝐾= , 𝛼 = 0°
3𝑛
gruppo 0
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 24
a) valori efficaci di tensioni primaria e secondaria pari a quelli delle tensioni stellate del
trasformatore trifase;
b) valori efficaci delle correnti primaria a secondaria uguali a quelle correnti di linea del
trasformatore trifase;
c) potenza nominale, potenza erogata, perdite nel rame e nel ferro uguali a un terzo delle potenze
corrispondenti del trasformatore trifase.
In base a queste considerazioni vengono effettuate le prove per la determinazione dei parametri del
circuito equivalente monofase (collegamento a stella). Si tratta sempre di una prova a vuoto a tensione
(concatenata) nominale, e di una in corto a corrente (di linea) nominale.
Il sistema viene alimentato da una terna trifase simmetrica di tensioni concatenate di valore efficace
𝑉10 = 𝑉𝑛 , e vengono misurate la tensione concatenata sul secondario 𝑉20, la corrente di linea sul
primario 𝐼10 e la potenza attiva complessivamente assorbita 𝑃10 (data dalla somma delle indicazioni dei
due wattmetri). Per quanto osservato in precedenza il singolo trasformatore assorbe 𝑃10 ⁄3, ha il
primario percorso dalla corrente 𝐼10 ed è sottoposto alla tensione 𝑉10⁄√3 , che è la tensione stellata
corrispondente alla 𝑉10 .
Quindi:
𝑃10 ⁄3 𝑃10 1
𝑅𝑚 = 2 = 2 =𝐺
(𝑉10⁄√3) 𝑉10 𝑚
Inoltre:
𝐼1,0 𝐼1,0
𝑌𝑚 = = √3
𝑉10⁄√3 𝑉10
𝐵𝑚 = √𝑌𝑚 2 − 𝐺𝑚 2
Da cui:
1 1
̅ =
𝑍𝑚 = = 𝑅0 + 𝑗𝑋0
̅̅̅̅
𝑌̅𝑚 𝐺𝑚 − 𝑗𝐵𝑚
Come nel caso del trasformatore monofase, la tensione di prova è ridotta rispetto a quella nominale, ed
è quella corrispondente alla corrente nominale assorbita dalla macchina. Le grandezze misurate sono:
𝐼1𝑐𝑐 = 𝐼𝑛 , 𝑉1𝑐𝑐 e 𝑃1𝑐𝑐 (somme delle indicazioni dei due wattmetri). Da queste si può scrivere:
𝑃1𝑐𝑐 ⁄3 𝑃1𝑐𝑐
𝑐𝑜𝑠𝜑1𝑐𝑐 = =
(𝑉1𝑐𝑐 ⁄√3)𝐼1𝑐𝑐 √3𝑉1𝑐𝑐 𝐼1𝑐𝑐
Infine anche per il trasformatore trifase valgono le già citate ragioni costruttive che permettono di
̅ ≃ 𝑍1𝑐𝑐
scrivere: 𝑍1𝑑 ̅ ⁄2 e 𝑍2𝑑 ̅ ≃ 𝑍1𝑐𝑐̅ ⁄(2𝑛2 ).
La determinazione del gruppo (e quindi dello sfasamento tra 𝑉10 e 𝑉20) completa la caratterizzazione
del trasformatore trifase. Quest’ultima informazione è di fondamentale importanza quando è necessario
collegare in parallelo più trasformatori trifase.
OSSERVAZIONE: inserzione Aron per la misure della potenza nei sistemi trifase a tre fili.
Per la misura della potenza nei sistemi trifase a tre fili è possibile operare in diversi modi. Uno di questi
è utilizzare 3 wattmetri identici in cui le bobine amperometriche sono attraversate dalla correnti di linea
mentre il terminale di inizio di ciascuna bobina voltmetrica è collegato al corrispondente filo di linea,
mentre i terminali di fine sono collegati fra loro a derivare un centro stella. La potenza che attraversa la
linea trifase in corrispondenza del punto di inserzione dei wattmetri è data dalla somma delle letture dei
tre strumenti. Si può dimostrare che tale potenza è indipendente dalla posizione del centro stella (ovvero
dalla tensione ai morsetti delle bobine voltmetriche, purché queste formino una terna stellata
corrispondente al triangolo delle tensioni di linea). Se si posiziona il centro stella su uno dei tre fili, la
lettura di uno dei tre 3 wattmetri sarà sempre nulla e questo diventerà inutile. Possiamo quindi eliminarlo
e utilizzare solo 2 wattmetri, inseriti come negli schemi delle figure 32 e 33.
Esistono alcune condizioni da verificare affinché il sistema formato da due (o più) trasformatori
collegati in parallelo funzioni correttamente:
a) Nel funzionamento a vuoto (tasto aperto nello schema circuitale di fig. 34) le correnti sui
secondari dei due trasformatori devono essere nulle (o comunque devono assumere valori
trascurabili).
b) In nessuna condizione di carico i due trasformatori devono superare le rispettive correnti (e
potenze) nominali.
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 27
Osservando il circuito in fig. 34 si osserva che anche se il carico è scollegato (tasto aperto) esiste un
percorso chiuso costituito dai due secondari nel quale può scorrere una corrente, detta corrente di
circolazione. Questa corrente è data da:
Considerando che si cerca di realizzare trasformatori con basse impedenze di corto circuito (per
migliorare le prestazioni della macchina), si vede che la corrente di circolazione può assumere valori
molto elevati. La prima condizione per il corretto funzionamento del parallelo dei trasformatori è quindi
che i rapporti spire delle due macchine siano uguali. Questa condizione implica l’annullamento della
corrente di circolazione.
Se consideriamo il funzionamento quando il carico è connesso, la corrente sul carico è data dalla
risultante delle correnti sui due trasformatori: 𝐼2̇ = 𝐼2𝐴
̇ + 𝐼2𝐵
̇ . Ipotizzando, come normalmente avviene
che le tensioni ai morsetti primari (e a quelli secondari) dei trasformatori siano uguali, possiamo usare
la rappresentazione semplificata di figura 35.
𝑉̇20,𝐴 − 𝑉̇2
̇ =
𝐼2𝐴
̅
𝑍2𝑒𝑞𝐴
𝑉̇20,𝐵 − 𝑉̇2
̇ =
𝐼2𝐵
̅
𝑍2𝑒𝑞𝐵
La potenza massima erogabile dal sistema dei due trasformatori è la somma delle potenze nominali,
inoltre deve sempre valere il vincolo che le correnti nei due trasformatori non devono superare le
rispettive correnti nominali. Se si impone che in ogni condizione di carico le correnti nei due
trasformatori siano proporzionali ai rispettivi valori nominali, si ottiene che anche le potenze dei due
trasformatori saranno proporzionali alle rispettive potenze nominali. I due trasformatori si troveranno
quindi ad erogare contemporaneamente le loro massime potenze.
𝐼2𝐴̇ ̇
𝐼2𝑛𝐴 ̅
𝑍2𝑒𝑞𝐵
= =
̇
𝐼2𝐵 ̇
𝐼2𝑛𝐵 ̅
𝑍2𝑒𝑞𝐴
La seconda uguaglianza rappresenta la seconda condizione per il corretto funzionamento del parallelo
di due trasformatori, e cioè che le impedenze di corto circuito devono stare in rapporto inverso con le
correnti (e quindi le potenze) nominali dei trasformatori.
Il funzionamento in parallelo è previsto anche per i trasformatori trifase in accordo con lo schema di
principio di figura 36.