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Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare.

1.1 INTRODUZIONE

Il trasformatore è una macchina elettrica statica costituita in linea di principio da due circuiti elettrici
nella forma di avvolgimenti mutuamente accoppiati. Per ottenere valori elevati di induzione e di
accoppiamento (magnetico) fra i due avvolgimenti, questi vengono realizzati su un nucleo di materiale
ferromagnetico. Analizzeremo quasi esclusivamente trasformatori impiegati per applicazioni con alti
livelli di potenza; in questo contesto i trasformatori vengono utilizzati per cambiare i fattori della
potenza V (tensione) e I (corrente) mantenendo sostanzialmente inalterata la potenza in transito da un
circuito all’altro.

Chiameremo primario l’avvolgimento collegato ad una sorgente di energia (tipicamente un generatore


di tensione sinusoidale) mentre chiameremo secondario l’avvolgimento collegato al carico (utilizzatore
dell’energia). Essendo il trasformatore una macchina reversibile (l’alimentazione può essere spostata
da un avvolgimento all’altro), questa è una definizione funzionale (può essere fatta solo quando la
macchina è in esercizio).

Un’altra funzione del trasformatore è quella di adattare le caratteristiche di un dato dispositivo a quelle
della linea anche al fine di realizzare il massimo trasferimento di potenza. Infine trasformatori che non
cambiano i fattori della potenza vengono utilizzati per realizzare sistemi di isolamento in particolari
contesti applicativi (strumentazione elettromedicale).

Un trasformatore monofase (i trasformatori trifase verranno esaminati in seguito) è un doppio bipolo


(circuito a due porte) rappresentabile come in figura 1. Con i riferimenti riportati in figura, l’uguaglianza
delle potenze istantanee alle due porte è: 𝑣1 (𝑡) ⋅ 𝑖1 (𝑡) + 𝑣2 (𝑡) ⋅ 𝑖2 (𝑡) = 0.

Nel caso di circuito in condizioni di regime periodico sinusoidale, in termini di potenze complesse si
ha: 𝑉1̇ ⋅ 𝐼1∗̇ + 𝑉̇2 ⋅ 𝐼2∗̇ = 0, e quindi:

𝑉1̇ 𝐼2∗̇
=− ∗
𝑉̇2 𝐼1̇

Ipotizzando che il rapporto fra i fasori rappresentativi delle tensioni ai morsetti del dispositivo sia un
numero reale k, (detto rapporto di trasformazione delle tensioni) si può scrivere:

𝑉1̇ 𝐼1̇ 1 1
=𝑘 e =− ∗=−
𝑉̇2 𝐼2̇ 𝑘 𝑘

Il dispositivo così definito prende il nome di trasformatore monofase ideale rappresentato in fig. 2 ed è
compiutamente descritto dal rapporto di trasformazione k.

Fig.1. Doppio bipolo generico; Fig. 2. Rappresentazione circuitale del


trasformatore ideale
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Lo schema di principio dell’uso dei trasformatori in un sistema di distribuzione dell’energia elettrica è


rappresentato in figura 3:

Fig. 3 Schema di generazione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica

La tensione del generatore è nel range 15 ÷ 20 𝑘𝑉. Un primo trasformatore innalza la tensione al valore
di 380 kV che è la tensione di esercizio delle linee per la trasmissione dell’energia per distanze
dell’ordine delle decine, fino a qualche centinaio di chilometri. Segue un trasformatore che riporta a
tensione a 15 kV valore spesso usato per la distribuzione, quindi un ulteriore trasformatore che porta la
tensione ai valori tipici delle utenze domestiche, officine, etc.

Per quanto visto, a parità di potenza trasmessa, ad un aumento della tensione corrisponde un
diminuzione della corrente e viceversa. Poiché le perdite per effetto Joule sui conduttori delle linee
dipendono dal quadrato della corrente, si osserva come ad un aumento della tensione di circa 25 volte
(da 15 kV a 380 kV), corrisponde una diminuzione delle perdite sulla linea (a parità di resistenza di
linea) di 640 volte. Un aumento della sezione del conduttore di linea per ridurne la resistenza non è
sempre praticabile, sia per l’aumento del peso dei conduttori, sia per la presenza dell’effetto pelle che,
per raggi superiori a 10 mm, (lo spessore di penetrazione nel rame a 50 Hz è 9.5 mm) rende sempre
meno efficace l’aumento di sezione. Infatti per questi raggi la resistenza invece che diminuire con
quadrato del raggio diminuisce proporzionalmente ad esso, poiché la parte più interna del conduttore
non è attraversata da corrente che invece si dispone nella parte più esterna di esso, penetrando al suo
interno per circa 2 volte lo spessore di penetrazione.

1.2 TRASFORMATORE MONOFASE IDEALE


Il trasformatore monofase è composto da due avvolgimenti su un nucleo ferromagnetico e può essere
schematizzato come in figura, in cui è rappresentato un trasformatore con nucleo a colonne:

Fig. 4. Trasformatore monofase con nucleo a colonne.


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Un’altra tipologia costruttiva è quella con il nucleo a mantello come rappresentato in figura 5. In questa
configurazione l’avvolgimento più interno è solitamente quello caratterizzato dalla tensione più bassa.

Fig. 5. Trasformatore monofase con nucleo a mantello.

La definizione di trasformatore monofase ideale si basa sulle seguenti ipotesi, fatte sui materiali che lo
compongono.

Per quanto riguarda il nucleo ferromagnetico si ipotizza che abbia permeabilità magnetica infinita
(𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → ∞), e conducibilità elettrica nulla 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → 0. Normalmente i circuiti magnetici dei
trasformatori sono privi di traferri.

La prima ipotesi permette di affermare che le tutte le linee del campo di induzione magnetica B si
richiudono nel circuito magnetico. Inoltre se una bobina è avvolta su un’unica colonna del circuito
magnetico (come negli esempi delle figure precedenti), ciascuna spira concatena lo stesso flusso, ed il
flusso che si concatena con l’intera bobina, dato dalla somma dei flussi che si concatenano con le spire
che la costituiscono, è dato dal prodotto fra in numero di spire e il flusso nella colonna. Sempre con
riferimento alle figure precedenti si osserva che il flusso che concatena le spire di entrambi gli
avvolgimenti è lo stesso. In casi come questo si dice che non c’è dispersione di flusso fra gli
avvolgimenti. La seconda ipotesi permette di trascurare le perdite nel ferro dovute alle correnti parassite.
Essendo presente nel nucleo del trasformatore un flusso magnetico variabile nel tempo (N.B. i
trasformatori non possono funzionare in continua), eventuali materiali conduttori (𝜎 ≠ 0) investiti da
tale flusso saranno sede di correnti (dette correnti vorticose o correnti di Focault), con le conseguenti
perdite per effetto Joule.

L’ultima ipotesi che definisce il trasformatore ideale è che sia trascurabile la resistività del materiale
con cui sono realizzati gli avvolgimenti 𝜌𝑎𝑣𝑣 → 0. La componente Ohmica della caduta di tensione
sugli avvolgimenti è quindi nulla.

Analizziamo il funzionamento del trasformatore ideale


monofase. Supponiamo che per effetto delle correnti
negli avvolgimenti sia presente nel nucleo un flusso
magnetico variabile nel tempo (legge di Faraday):
ⅆ𝜙1 ⅆ𝜙
𝑒1 (𝑡) = −𝑁1 ⋅ = −𝑁1 ⋅
ⅆ𝑡 ⅆ𝑡
ⅆ𝜙2 ⅆ𝜙
𝑒2 (𝑡) = −𝑁2 ⋅ = −𝑁2 ⋅
ⅆ𝑡 ⅆ𝑡
Fig. 6 Flussi nel trasformatore ideale
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Dove, per le ipotesi di idealità, in assenza di flussi dispersi si è assunto 𝜙1 = 𝜙2 = 𝜙, inoltre avendo
ipotizzato 𝜌𝑎𝑣𝑣 = 0 non sono presenti termini resistivi nell’espressione della tensione ai morseti degli
avvolgimenti (nella figura le correnti sono entrambe entranti dai terminali superiori).

Calcolando il rapporto tra le due tensioni, negli istanti in cui 𝑒2 (𝑡) ≠ 0 ottengo:
𝑒1 (𝑡) 𝑁1
= =𝑛
𝑒2 (𝑡) 𝑁2

Quindi il rapporto delle tensioni, in un trasformatore ideale, è uguale al rapporto fra i numeri di spire
𝑁
delle bobine: 𝑛 = 𝑁1 .
2

Scrivendo la legge di Hopkinson si ha:

𝑁1 𝑖1 (𝑡) + 𝑁2 𝑖2 (𝑡) = 𝜙(𝑡) ⋅ ℛ

E’ opportuno osservare che l’ipotesi 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → 0 permette di ottenere una equazione algebrica che lega
la forza magnetomotrice applicata al flusso nel nucleo. In assenza di detta ipotesi l’equazione
conterrebbe termini differenziali e non sarebbe di così immediata soluzione [1].
𝑙
Avendo ipotizzato che 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → ∞, ℛ = 𝜇 = 0, e quindi:
0 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 𝑆

𝑁1 𝑖1 (𝑡) + 𝑁2 𝑖2 (𝑡) = 0

Calcolando il rapporto tra le due tensioni, negli istanti in cui 𝑖2 (𝑡) ≠ 0 si ha:

𝑖1 (𝑡) 𝑁2 1
=− =−
𝑖2 (𝑡) 𝑁1 𝑛

In un trasformatore monofase ideale, il rapporto delle correnti è uguale al rapporto inverso, cambiato di
segno, del numero di spire.

Se valutiamo la potenza istantanea entrante nel trasformatore ideale come somma delle potenze su
ciascuna bobina si ha: 𝑝(𝑡) = 𝑣1 (𝑡) ⋅ 𝑖1 (𝑡) + 𝑣2 (𝑡) ⋅ 𝑖2 (𝑡) = 0, avendo considerato 𝑣1 (𝑡) =
−𝑒1 (𝑡) e 𝑣2 (𝑡) = −𝑒2 (𝑡).

Le equazioni appena ottenute e possono essere espresse in termini fasoriali:

𝐸̇1 𝑁1
𝐸̇1 = −𝑗𝜔𝑁1 𝜙̇ 𝐸̇2 = −𝑗𝜔𝑁2 𝜙̇ ⟹ = =𝑛
𝐸̇2 𝑁2

𝐼1̇ 𝑁2 1
𝑁1 𝐼1̇ + 𝑁2 𝐼2̇ = ℛ𝜙̇ = 0 ⟹ =− =−
𝐼2̇ 𝑁1 𝑛

𝑆̅ = 𝑉1̇ 𝐼1∗̇ + 𝑉̇2 𝐼2∗̇ = 0

Quest’ultima equazione afferma che il trasformatore ideale non assorbe né potenza attiva né reattiva.
Essendo 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 → ∞ una conseguenza della legge di Hopkinson è che si può creare un flusso finito
nel nucleo con una forza magnetomotrice infinitesima.

Infine l’energia magnetica media immagazzinata nel nucleo vale:

1 1 𝐵2 (𝑥, 𝑦, 𝑧)
𝑊𝑚 = ∫ 𝐵(𝑥, 𝑦, 𝑧) ⋅ 𝐻(𝑥, 𝑦, 𝑧) ⅆ𝑣 = ∫ ⅆ𝑣 = 0
2 𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 2 𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜
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Dove B e H sono i valori efficaci della densità di flusso e del campo magnetico rispettivamente.

Dalle considerazioni fatte si deduce l’equivalenza fra il doppio bipolo definito nell’introduzione e il
dispositivo appena discusso.

Vediamo ora un esempio di analisi di un circuito con un trasformatore ideale.

Fig. 7. Esempio di rete elettrica con trasformatore ideale.

Cominciamo con osservare che 𝑉𝑎̇ e 𝑉̇𝑏 sono cadute di tensione e non forze elettromotrici indotte. Le
equazioni di equilibrio ottenute con il metodo delle correnti di maglia sono:

𝑉1̇ = 𝑍1̅ 𝐼1̇ + 𝑉𝑎̇

𝑉̇2 = (𝑍2̅ + 𝑍̅3 )𝐼2̇ − 𝑍̅3 𝐽2̇ + 𝑉̇𝑏

𝑉𝑎̇ 𝑉𝑎̇
=𝑛 ⇒ 𝑉̇𝑏 =
𝑉̇𝑏 𝑛

𝐼𝑎̇ 1 𝐼1̇
=− = ⇒ 𝐼2̇ = −𝑛𝐼1̇
𝐼𝑏̇ 𝑛 𝐼2̇

Sostituendo le ultime due equazioni nella seconda si ha:

𝑉𝑎̇
𝑉̇2 = −𝑛𝐼1̇ (𝑍2̅ + 𝑍3̅ ) − 𝐽2̇ 𝑍3̅ +
𝑛
Ricavando 𝑉𝑎̇ e sostituendo nella prima equazione si ottiene:

𝐽2̇
𝑉1̇ = 𝑍1̅ 𝐼1̇ + (𝑛2 𝑍2̅ + 𝑛2 𝑍3̅ )𝐼1̇ + (𝑛2 𝑍3̅ ) + 𝑛𝑉̇2
𝑛
Questa equazione può essere interpretata come l’equazione di equilibrio del circuito in figura 8:

Fig. 8. Circuito secondario riportato ai morsetti primari.


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Questo circuito “rassomiglia” al circuito di partenza. Entrambi condividono la parte a monte del
trasformatore (quella a sinistra della sezione H-K). Nel circuito in fig. 8 la parte a valle della sezione
H-K ha la stessa topologia della parte a valle del trasformatore in fig. 7: Si osserva però che i valori
delle impedenze nel circuito in fig. 8 sono moltiplicati per n2, le forze elettromotrici dei generatori
moltiplicate per n, le correnti dei generatori divise per n. Scalare come si è fatto i valori dei componenti
circuitali a valle del secondario e collegarli direttamente ai morsetti primari rimuovendo il trasformatore
prende il nome “riporto del circuito secondario ai morsetti primari” (in questo caso la distinzione fra
primario e secondario è arbitraria, essendo alimentati entrambi i lati del trasformatore).

Risolvendo la seconda rete si ottiene per essa lo stesso valore della corrente 𝐼1̇ del primo circuito. La
corrente 𝐼𝑏̇ nell’impedenza 𝑍2̅ del circuito originale può essere determinata a partire dalla corrente
sull’impedenza omologa (𝑛2 𝑍2̅ ) del circuito “riportato”: 𝐼𝑏̇ = −𝑛𝐼1̇ . Analogamente, la corrente
sull’impedenza 𝑍3̅ del circuito originale (che vale 𝐽2̇ − 𝐼2̇ ) può essere ottenuta moltiplicando per n la
𝐽2̇ 𝐽̇ 𝐼 ̇
corrente + 𝐼1̇ = 2 − 2 sull’impedenza “trasportata” 𝑛2 𝑍3̅ .
𝑛 𝑛 𝑛

Da queste considerazioni si deduce che le correnti nel circuito a valle del trasformatore possono esse
determinate a partire da quelle del circuito a valle della sezione H-K del secondo circuito moltiplicando
queste ultime per ±𝑛 a seconda dei versi relativi delle correnti.

Più in generale data una rete con un trasformatore (ideale) si può adottare il seguente schema per la
soluzione del circuito:

1) Disegnare il circuito equivalente con il secondario riportato sul primario;


2) risolvere quest’ultimo circuito determinando le tensioni e le correnti su ciascun elemento della
rete riportata;
3) ritornare al circuito originale moltiplicando per ±𝑛 le correnti determinate sul circuito riportato
e dividendo per ±𝑛 le tensioni valutate fra coppie di nodi del circuito riportato.
4) Le potenze (attive, reattive, apparenti) rimangono invariate.

Per esempio, la tensione ai morsetti del generatore di corrente nel circuito riportato è:

𝐽2̇
𝑛𝑉̇2 + (𝐼1̇ + ) 𝑛2 𝑍3̅ = 𝑛𝑉̇2 + 𝑛(𝑛𝐼1̇ + 𝐽2̇ )𝑍3̅
𝑛

mentre la stessa tensione nel circuito originale è:

𝑉̇2 + 𝑍3̅ ( 𝐽2̇ − 𝐼2̇ ) = 𝑉̇2 + ( 𝐽2̇ +𝑛𝐼1̇ )𝑍3̅

Va sempre tenuto presente che: 𝐼2̇ = −𝑛𝐼1̇ .

Riassumendo:

Data la rete con il trasformatore ideale (rapporto spire n) posto fra le due sottoreti A e B come in fig. 9:

Fig. 9. Sottoreti A e B connesse da un trasformatore ideale.


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si può passare alla rete equivalente:

Fig. 10. Rete di fig. 9 con il secondario riportato sui morsetti primari.

Siano 𝐼𝐾′̇ e 𝑉̇𝐾𝐻



le tensioni e le correnti valutate sulla sottorete B’ riportata sul primario del trasformatore.
Le corrispondenti tensioni valutate nella sottorete B (nella sua posizione originaria) si ottengono da
quelle in B’ come:

𝐼𝐾̇ = ±𝑛𝐼𝐾′̇
1 ′
𝑉̇𝐾𝐻 = ± 𝑉̇𝐾𝐻
𝑛
Il segni si determinano in base ai riferimenti nelle sottoreti B e B’. Nel caso specifico i segni sono
entrambi positivi.
Si può anche fare riferimento alla rete equivalente ottenuta riportando la sottorete A dall’altro lato del
trasformatore. In questo caso la regola per il riporto richiede di: dividere per n2 le impedenze, dividere
per n le forze elettromotrici dei generatori e moltiplicare per n le correnti dei generatori.

Fig. 11. Rete di fig. 9 con il primario riportato sui morsetti secondati.

Ottenute le tensioni e le correnti su A’’, si ottengono i valori corrispondenti alla posizione originale:
1
𝐼𝐿̇ = ± 𝐼 ′̇ ′𝐿
𝑛
𝑉̇𝑁𝑀 = ±𝑛𝑉̇𝑁𝑀
′′

1.3 TRASFORMATORE MONOFASE REALE


I materiali effettivamente utilizzati per la costruzione dei trasformatori non soddisfano le ipotesi fatte
nel paragrafo precedente; essi sono comunque caratterizzati da valori molti elevati della permeabilità
magnetica per quando riguarda il nucleo, da bassi valori della resistività per quando riguarda gli
avvolgimenti, mentre l’utilizzo della laminazione nella costruzione del nucleo permette di mantenere
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bassi i valori delle perdite e quindi di limitare gli effetti della conducibilità (non nulla) del materiale
con cui viene realizzato il nucleo. In questo paragrafo cercheremo di comprendere gli effetti della
deviazione dal comportamento ideale dei materiali, introducendo alcuni elementi circuitali che tengano
conto di tali effetti, con l’obiettivo di individuare un modello circuitale del trasformatore reale. Come
vedremo questo modello sarà costituito da un trasformatore ideale, completato dagli elementi circuitali
precedentemente individuati.

Iniziamo con l’assumere 𝜌𝑎𝑣𝑣 ≠ 0. Gli avvolgimenti


saranno caratterizzati da una resistenza non nulla, e le
cadute di tensione su primario e secondario avranno
anche una componente ohmica:

𝑉1̇ = 𝑗𝜔𝑁1 𝜙̇ + 𝑅1 𝐼1̇ = 𝐸̇1 + 𝑅1 𝐼1̇

𝑉̇2 = 𝑗𝜔𝑁2 𝜙̇ + 𝑅2 𝐼2̇ = 𝐸̇2 + 𝑅2 𝐼2̇


Fig. 12. Trasformatore con 𝜌𝑎𝑣𝑣 ≠ 0.

Per via della loro espressione (𝐸̇1 = 𝑗𝜔𝑁1 𝜙̇, 𝐸̇2 = 𝑗𝜔𝑁2 𝜙̇), le tensioni 𝐸̇1 e 𝐸̇2 possono essere viste
come le tensioni su primario e secondario di un trasformatore ideale caratterizzato dal flusso 𝜙̇ nel
nucleo e con due avvolgimenti di 𝑁1 e 𝑁2 spire rispettivamente. Gli altri termini in 𝑉1̇ e 𝑉̇2 essendo
proporzionali alle correnti si rappresentano con cadute di tensione su resistenze. Il dispositivo con
𝜌𝑎𝑣𝑣 ≠ 0 può essere visto come un trasformatore ideale completato con le due resistenze 𝑅1 e 𝑅2 in
serie agli avvolgimenti:

Fig. 13. Circuito equivalente del trasformatore con 𝜌𝑎𝑣𝑣 ≠ 0.

Vediamo gli le conseguenze di 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 che assume un valore finito. Iniziamo con osservare che non è
più vero che 𝐵⊥ = 0 (𝐵⊥ è la componente di B normale alla
superficie di interfaccia con l’aria), quindi il flusso
magnetico non è più completamente incanalato nel nucleo
con la conseguente presenza di flussi dispersi.

Facendo riferimento alla figura 14, in cui scorre corrente


solo in un avvolgimento, possiamo individuare linee di
forza che concatenano solo quell’avvolgimento (colore
verde), e linee di forza che concatenano anche le spire
dell’altro avvolgimento (colore giallo).

Fig. 14. Flusso comune e flussi dispersi.


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Immaginando di alimentare entrambi gli avvolgimenti, possiamo riconoscere linee di forza che
concatenano entrambi gli avvolgimenti, e che quindi sono prodotte dall’azione “combinata” di entrambe
le forze magnetomotrici degli avvolgimenti, e linee di forza che si concatenano con un solo
avvolgimento senza concatenare l’altro. Supporremo per semplicità che se una linea di forza (di flusso
comune o disperso) concatena una spira di una bobina allora concatena tutte le altre spire di quella
bobina.

Possiamo valutare i flussi associati alle tre tipologie di linee di forza e definire il flusso comune 𝛷𝐶 e i
flussi dispersi 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝,1 e 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝,2 . Le cadute di tensione ai morsetti degli avvolgimenti saranno:

ⅆ ⅆ ⅆ
𝑣1 (𝑡) = (𝑁1 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝,1 + 𝑁1 𝛷𝐶 ) = 𝜆𝑑𝑖𝑠𝑝,1 + 𝑁1 𝛷𝐶
ⅆ𝑡 ⅆ𝑡 ⅆ𝑡
ⅆ ⅆ ⅆ
𝑣2 (𝑡) = (𝑁2 𝜙𝑑𝑖𝑠𝑝,2 + 𝑁2 𝛷𝐶 ) = 𝜆𝑑𝑖𝑠𝑝,2 + 𝑁2 𝛷𝐶
ⅆ𝑡 ⅆ𝑡 ⅆ𝑡
In termini fasoriali:

𝑉1̇ = 𝑗𝜔𝜆̇ ⅆ𝑖𝑠𝑝,1 + 𝑗𝜔𝑁1 𝜙̇𝐶

𝑉̇2 = 𝑗𝜔𝜆̇ ⅆ𝑖𝑠𝑝,2 + 𝑗𝜔𝑁2 𝜙̇𝐶

I flussi attribuibili alle linee di forza che concatenano con un solo avvolgimento dipendono solo dalla
corrente che scorre in esso, e nell’ipotesi di sistema lineare tali flussi sono proporzionali alla corrente:
𝜆𝑑𝑖𝑠𝑝,𝑘 = 𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,𝑘 𝑖𝑘 , quindi:

𝑉1̇ = 𝑗𝜔𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,1 𝐼1̇ + 𝑗𝜔𝑁1 𝜙̇𝐶

𝑉̇2 = 𝑗𝜔𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,2 𝐼2̇ + 𝑗𝜔𝑁2 𝜙̇𝐶

I primi termini di ciascuna equazione (𝑗𝜔𝐿ⅆ𝑖𝑠𝑝,𝑘 𝐼̇ 𝑘) rappresentano delle cadute di tensione su induttanze
𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,𝑘 , mentre i secondi termini (𝑗𝜔𝑁𝑘 𝜙̇𝐶 ) rappresentano le tensioni ai capi di un trasformatore ideale
caratterizzato dal flusso 𝜙̇𝑐 nel nucleo e con due avvolgimenti di 𝑁1 e 𝑁2 spire rispettivamente. Come
prima, il dispositivo con 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞ può essere visto come un trasformatore ideale completato con le
due induttanze 𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,1 e 𝐿𝑑𝑖𝑠𝑝,2 in serie agli avvolgimenti primario e secondario rispettivamente:

Fig. 15. Circuito equivalente del trasformatore con 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞: induttanze di dispersione.

Osserviamo che è possibile parlare di induttanza solo quando c’è una proporzionalità tra flusso
concatenato e corrente. Nel caso di materiali ferromagnetici questa condizione non è soddisfatta;
tuttavia, se analizziamo il percorso delle linee di forza dei flussi dispersi, notiamo che si svolge per
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buona parte in aria, quindi la riluttanza associata ai flussi dispersi può essere scritta come: ℛ𝑡𝑜𝑡 =
ℛ𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 + ℛ𝑎𝑟𝑖𝑎 , ed essendo tipicamente ℛ𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≪ ℛ𝑎𝑟𝑖𝑎 , l’effetto della nonlinearità del tratto in
ferro viene fortemente attenuato e possiamo affermare che con buona approssimazione i flussi dispersi
sono proporzionali alle correnti negli avvolgimenti.

L’effetto combinato di 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞ e 𝜌𝑎𝑣𝑣 ≠ 0 da luogo ai bipoli RL posti in serie agli avvolgimenti
primario e secondario.

Considerare 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 di valore finito ed ipotizzando un comportamento lineare del materiale porta ad
un’altra conseguenza. Infatti la riluttanza del circuito magnetico interessato dal flusso comune 𝜙̇𝑐 non
è più nulla, quindi la legge di Hopkinson si scrive come:

𝑁1 𝐼1̇ + 𝑁2 𝐼2̇ = ℛ𝛷̇𝑐

Possiamo scrivere per 𝐼1̇ l’espressione:


𝑁2 1
𝐼1̇ = − 𝐼2̇ + ⋅ 𝜙̇𝑐
𝑁1 𝑁1

Quindi 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞ ha come conseguenza una “modifica” della legge di trasformazione delle correnti.
Cerchiamo di interpretare il termine che deriva dal comportamento non ideale del materiale. Il flusso
𝜙̇𝑐 può essere messo in relazione con la caduta di tensione 𝐸̇1 ai morsetti dell’avvolgimento primario
del trasformatore ideale presente in fig. 15 (𝐸̇1 = 𝑗𝜔𝑁1 𝜙̇𝐶 ), quindi:

𝜙̇𝐶 𝐸̇1 𝐸̇1 𝐸̇1


= = =
𝑁1 𝑁1 𝑁12 𝑗𝜔𝐿𝑚,1
ℛ 𝑗𝜔𝑁1 ⋅ ℛ 𝑗𝜔 ℛ
Il termine 𝐿𝑚,1 , che rappresenta il coefficiente di autoinduzione dell’avvolgimento primario, è detto
anche “induttanza di magnetizzazione”. La corrente che scorre su tale induttanza prende il nome di
corrente di magnetizzazione:

𝐸̇1
̇ =
𝐼𝑚
𝑗𝜔𝐿𝑚,1

che rappresenta la corrente che percorrendo l’avvolgimento primario produce il flusso comune.

Sostituendo otteniamo:

𝑁2 𝐸̇1 ′
𝐼1̇ = − 𝐼2̇ + = 𝐼2̇ + 𝐼𝑚
̇
𝑁1 𝑗𝜔𝐿𝑚,1

La corrente 𝐼2̇ rappresenta la corrente che scorrerebbe sul primario di un trasformatore ideale
(𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 = ∞) quando sul secondario è presente la corrente 𝐼2̇ (corrente secondaria riportata al
primario). L’equazione precedente può essere interpretata alla luce del primo principio di Kirchoff, e

considerando anche il legame fra 𝐼2̇ e 𝐼2̇ , si può introdurre il circuito equivalente mostrato in figura 16.

Avere assunto che 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞, oltre alla presenza delle induttanze di dispersione (rif. fig. 15) porta
quindi alla definizione della induttanza di magnetizzazione. Come visto in precedenza la deviazione dal
comportamento ideale è tenuta in conto dall’introduzione di un elemento circuitale esterno che va ad
“aggiungersi” al trasformatore che “ritorna” ad essere ideale (𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 = ∞).
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Fig. 16. Circuito equivalente del trasformatore con 𝜇𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ ∞: induttanza di magnetizzazione.

Restano da investigare le conseguenze di 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ≠ 0. In presenza di una distribuzione di densità di


flusso variabile nel tempo (come quella nel nucleo di un trasformatore), nei materiali conduttori si
formano le correnti vorticose. Supponiamo che il nucleo (di sezione costante S e di lunghezza media
𝑙𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ) sia realizzato con un pacco di 𝑁𝑙𝑎𝑚 lamine, che il flusso sia descritto dal fasore 𝜙̇𝑐 e che il
vettore densità di flusso sia uniformemente distribuito su ogni sezione.

La rappresentazione schematica del pacco di lamierini è mostrata in fig. 17.

Fig. 17. Laminazione del nucleo magnetico.

Consideriamo l’analisi semplificata delle correnti vorticose già vista nel capitolo I. Trascuriamo in
prima approssimazione ciò che accade in prossimità degli angoli del nucleo. La f.e.m. indotta che agisce
nella k-esima lamina di spessore ⅆ𝑘 e larghezza l è:

𝐸̇𝑘 = −𝑗ωФ̇ 𝑘

Il flusso che determina 𝐸̇𝑘 si determina dal flusso Ф̇ 𝑐 sull’intera sezione:

Ф̇ 𝑐
Ф̇ 𝑘 = 𝑙ⅆ𝑘
𝑆
Il flusso Ф̇ 𝑐 è inoltre legato alla f.e.m. ai morsetti dell’avvolgimento primario: 𝐸̇1 = −𝑗ω𝑁1 Ф̇ 𝑐 .
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Sostituendo si ottiene:

Ф̇ 𝑐 𝑙ⅆ𝑘 𝑙ⅆ𝑘
𝐸̇𝑘 = −𝑗ωФ̇ 𝑘 = −𝑗ω𝑙ⅆ𝑘 = −𝑗ω𝑁1 Ф̇ 𝑐 = 𝐸̇1
𝑆 𝑆𝑁1 𝑆𝑁1

Detta 𝑅𝑘,1 = 4𝑙 ⁄(1ⅆ𝑘 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ) la resistenza di un tratto di lunghezza unitaria di una lamina, la potenza
ivi dissipata per effetto Joule è:

𝑙ⅆ𝑘 2 1 𝑙ⅆ𝑘 2 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ⅆ𝑘


𝑃𝑘 = 𝐸12 ( ) 2
= 𝐸1 ( ) ⋅1
𝑆𝑁1 𝑅𝑘,1 𝑆𝑁1 4𝑙

Sotto le ipotesi fatte, le perdite complessive per correnti vorticose nel nucleo possono essere scritte
come:

𝑙ⅆ𝑘 2 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 ⅆ𝑘 𝐸12


𝑃𝑡𝑜𝑡 = 𝑁𝑙𝑎𝑚 𝑙𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 𝑃𝑘 = 𝐸12 ( ) ⋅ 𝑁𝑙𝑎𝑚 𝑙𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 =
𝑆𝑁1 4𝑙 𝑅𝑚

Dove si è posto:

4𝑆 2 𝑁12
𝑅𝑚 =
𝑙ⅆ𝑘3 𝑁𝑙𝑎𝑚 𝜎𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜 𝑙𝑛𝑢𝑐𝑙𝑒𝑜

L’espressione ottenuta delle perdite per correnti vorticose nel nucleo del trasformatore è proporzionale
al quadrato della tensione ai morsetti dell’avvolgimento primario del trasformatore riportato in fig. 16
Le stesse perdite si otterrebbero in un trasformatore con nucleo di materiale non conduttore (e in questo
caso la laminazione non è necessaria) ma nel quale viene inserita una resistenza 𝑅𝑚 tra i morsetti fra i
quali è presente la tensione 𝐸̇1 . La resistenza 𝑅𝑚 si troverà quindi in parallelo all’induttanza di
magnetizzazione prima introdotta.

Considerando gli elementi circuitali fin qui introdotti per tenere conto della deviazione dal
comportamento ideale, il circuito equivalente del trasformatore reale è quello rappresentato in fig. 18.

Fig. 18. Circuito equivalente “completo” del trasformatore reale.


Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 13

1.4 CONFRONTO TRA TRASFORMATORE REALE E IDEALE


Con riferimento alla fig. 18 un trasformatore tende all’idealità quando:

𝑅1,𝑑 , 𝑅2,𝑑 , 𝐿1,𝑑 , 𝐿2,𝑑 assumono valori piccoli, e 𝑅𝑚 , 𝐿𝑚 assumono valori elevati.

Da un punto di vista ingegneristico queste affermazioni hanno poco senso se non si danno valori di
riferimento. Consideriamo il circuito equivalente del trasformatore reale e colleghiamo ad esso un
generatore con impedenza interna 𝑍𝑔̅ al primario e un carico 𝑍̅𝐿 al secondario, come indicato in fig. 19.

Fig. 19. Trasformatore con alimentazione e carico.

Calcoliamo l’impedenza vista dai morsetti del generatore:

𝑍̅𝑚 ⋅ (𝑛2 𝑍2𝑑


̅ + 𝑛2 𝑍𝐿̅ )
𝑍̅𝑣,1 = 𝑍1𝑑
̅ +
𝑍̅𝑚 + 𝑛2 𝑍2𝑑̅ + 𝑛2 𝑍𝐿̅

in cui 𝑍̅𝑚 = 𝑗𝜔𝐿𝑚 𝑅𝑚 ⁄(𝑗𝜔𝐿𝑚 + 𝑅𝑚 ), e confrontiamola con quella vista dallo stesso generatore se il
trasformatore fosse ideale:
̅ 𝑖𝑑𝑒𝑎𝑙𝑒 = 𝑛2 𝑍𝐿̅
𝑍𝑣,1

Quanto più queste due grandezze sono simili, tanto più il trasformatore si avvicina al comportamento
ideale. Questo accade se:

𝑍̅𝑚 ≫ 𝑛2 𝑍2𝑑
̅ + 𝑛2 𝑍𝐿̅

̅ + 𝑛2 𝑍2𝑑
𝑍1𝑑 ̅ ≪ 𝑛2 𝑍𝐿̅

̅ ≃ 𝑛2 𝑍2𝑑
Per ragioni costruttive nei trasformatori si può assumere con buona approssimazione che 𝑍1𝑑 ̅ ,
̅
inoltre si definisce l’impedenza di corto circuito riferita al primario come: 𝑍1,𝑐𝑐 ̅ + 𝑛2 ⋅ 𝑍̅2𝑑 . Se
= 𝑍1𝑑
la seconda disequazione è soddisfatta, combinandola con la prima si può scrivere:
̅ + 𝑛2 𝑍2𝑑
𝑍1𝑑 ̅ ≪ 𝑛2 𝑍𝐿̅ ≪ 𝑍̅𝑚

N.B. I numeri complessi non sono un insieme ordinato, i confronti vanno fatti fra i moduli o fra parti
reali e parti immaginarie.

Se, come accade usualmente 𝑍1𝑑 ̅ ≪ 𝑍𝑚 ̅ , non si commette un errore rilevante se la tensione ai morsetti
di 𝑍̅𝑚 viene valutata utilizzando il circuito di fig. 20.
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 14

Fig. 20. Circuito equivalente semplificato del trasformatore reale.

L’impedenza 𝑍̅2𝑑 può essere riportata sul lato primario ed in alcuni casi, a causa del suo elevato valore
l’impedenza di magnetizzazione viene omessa dando luogo al circuito equivalente in fig. 21.
̅ + 𝑛2 𝑍2𝑑
L’impedenza equivalente serie 𝑍1𝑑 ̅ prende il nome di impedenza di corto circuito riportata al
̅ .
primario ed è indicata con 𝑍1𝑐𝑐

Fig. 21. Circuito equivalente “minimale” del trasformatore.

1.5 PROVE A VUOTO E IN CORTO CIRCUITO


Per determinare i parametri del circuito equivalente 𝑅1,𝑑 , 𝑅2,𝑑 , 𝐿1,𝑑 , 𝐿2,𝑑 , 𝑅𝑚 , 𝐿𝑚 e n si eseguono delle
misure indirette che prendono in nome di prova a vuoto e prova in corto circuito. Premettiamo che ogni
trasformatore è caratterizzato sommariamente da quelli che si chiamano i dati di targa. Fra questi
troviamo:
1) 𝑉1,𝑛 : tensione nominale primaria;
2) 𝑉2,𝑛 : tensione nominale secondaria;
3) 𝑆𝑛 : potenza apparente nominale;

La 𝑉1,𝑛 è la tensione di progetto, cioè la tensione per la quale il dispositivo è dimensionato; può
funzionare per valori minori, ma valori maggiori sono da evitare per non danneggiare il dispositivo. A
partire dalla potenza nominale si calcola la corrente nominale 𝐼1,𝑛 = 𝑆𝑛 ⁄𝑉1,𝑛 , che individua la massima
corrente sull’avvolgimento primario; anche in questo caso il trasformatore funziona correttamente per
valori inferiori, ma valori più grandi possono danneggiarlo.

Il rapporto spire si ottiene dal rapporto fra 𝑉1,𝑛 e 𝑉2,𝑛 ; non viene fornita la potenza attiva perché dipende
dal carico collegato al trasformatore.
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 15

Prova a Vuoto

La prova a vuoto viene effettuata alimentando il primario a tensione nominale e lasciando il secondario
aperto (collegato ad un voltmetro ideale), in accordo allo schema di fig. 22.

Fig. 22. Schema di misura per la prova a vuoto.

Dalle letture degli strumenti presenti nella fig. 22 ricaviamo i valori delle seguenti grandezze: 𝑉10, 𝑉20,
𝐼10 e 𝑃10 .

Fig. 23. Circuito equivalente semplificato per la prova a vuoto.

Facendo riferimento al circuito equivalente semplificato di fig. 23 notiamo che sul secondario non
scorre corrente (il voltmetro ideale ha impedenza infinita ed è assimilabile a un circuito aperto 𝐼2 = 0),
quindi la corrispondente corrente sull’avvolgimento primario del trasformatore ideale (𝐼′2 = − 𝐼2 ⁄𝑛) è
nulla . Il generatore che alimenta il sistema “vede” solo l’impedenza di magnetizzazione 𝑍𝑚 ̅ . La potenza
indicata dal wattmetro è quella associata alla 𝑅𝑚 , e cioè quella rappresentativa delle perdite nel nucleo:
2
𝑉10
𝑃10 = 𝑃𝑓𝑒 =
𝑅𝑚

Da cui:
𝑃10 1
𝑅𝑚 = 2 =𝐺
𝑉10 𝑚

Inoltre:
𝐼1,0
𝑌𝑚 =
𝑉1,0
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 16

𝐵𝑚 = √𝑌𝑚 2 − 𝐺𝑚 2

Da cui:
1 1
̅ =
𝑍𝑚 = = 𝑅0 + 𝑗𝑋0
̅
𝑌𝑚 𝐺𝑚 − 𝑗𝐵𝑚

Osserviamo che questa è la rappresentazione serie dell’impedenza di magnetizzazione, mentre quella


con 𝑅𝑚 e 𝐿𝑚 = 1⁄(𝜔𝐵𝑚 ), è la rappresentazione parallelo. Le due rappresentazioni sono equivalenti,
ovviamente 𝑅𝑚 ≠ 𝑅0 e 𝐿𝑚 ≠ 𝐿0 .

Il rapporto spire del trasformatore può essere valutato come:


𝑉10
𝑛=
𝑉20

Prova in Corto Circuito

La prova in corto circuito, rappresentata dallo schema di fig. 24, viene effettuata alimentando il primario
ad una tensione di valore ridotto rispetto a quella nominale, tale da produrre una corrente
nell’avvolgimento primario pari a quella nominale. Quindi le grandezze misurate sono 𝐼1𝑐𝑐 = 𝐼𝑛 , 𝑉1𝑐𝑐
e 𝑃1𝑐𝑐 .

Fig. 24. Schema di misura per la prova in corto circuito.

Riportando sul primario il circuito secondario, che è composto dalla sola impedenza di dispersione
secondaria, si ottiene utilizzando il circuito semplificato del trasformatore:

Fig. 25. Circuito equivalente semplificato per la prova in corto circuito.

Considerando che, per quanto discusso al paragrafo precedente la 𝑍̅𝑚 è grande rispetto alla 𝑍1,𝑐𝑐
̅ =
̅ 2 ̅ ̅
𝑍1𝑑 + 𝑛 ⋅ 𝑍2𝑑 , il generatore che alimenta il sistema “vede” solo l’impedenza di corto circuito 𝑍1,𝑐𝑐 .
Quindi si ha:
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 17

𝑉1𝑐𝑐
𝑍1𝑐𝑐 =
𝐼1𝑐𝑐
𝑃1𝑐𝑐
𝑐𝑜𝑠𝜑1𝑐𝑐 =
𝑉1𝑐𝑐 𝐼1𝑐𝑐

̅ = 𝑍1𝑐𝑐 (𝑐𝑜𝑠𝜑1𝑐𝑐 + 𝑗√1 − 𝑐𝑜𝑠 2 𝜑1𝑐𝑐 )


𝑍1𝑐𝑐

̅ ≃ 𝑍1𝑐𝑐
Infine per le già citate ragioni costruttive: 𝑍1𝑑 ̅ ⁄2 e 𝑍̅2𝑑 ≃ 𝑍1𝑐𝑐
̅ ⁄(2𝑛2 ).

1.6 TRASFORMATORI TRIFASE


In questo paragrafo verranno descritti in maniera sintetica i trasformatori trifase. Parte del materiale è
tratto dal materiale didattico del prof. Franco Mastri (Università di Bologna).

Un trasformatore trifase può essere ottenuto utilizzando tre trasformatori monofase identici, uno per
fase, secondo lo schema di fig. 26. Possiamo pensare di accostare i tre trasformatori monofase come
nella figura a destra:

Fig. 26. Tre trasformatori monofase per ottenere un trasformatore trifase.

Se il sistema è tale che le terne di correnti sugli avvolgimenti primari e secondari sono equilibrate, anche
i flussi Φ𝑎 , Φ𝑏 e Φ𝑐 nei tre nuclei formano una terna simmetrica; allora il flusso nella colonna centrale
è nullo e la colonne centrale stessa può essere eliminata, portando alla configurazione fig. 27.

Fig. 27. Trasformatore trifase.


Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 18

La configurazione tridimensionale di fig. 27 presenta alcune difficoltà costruttive. Si ricorre nella


pratica alla realizzazione planare di fig. 28 caratterizzata dalla perdita della simmetria del circuito
magnetico i cui effetti sono comunque poco rilevanti.

Fig. 28. Configurazione planare del trasformatore trifase.

Diamo alcune convenzioni e definizioni con riferimento alla figura 29.

Le lettere maiuscole si riferiscono a grandezze prese sul


primario, quelle minuscole a grandezze sul secondario, quindi:
N: numero di spire degli avvolgimenti primari;
n: numero di spire degli avvolgimenti secondari;
𝑈̇𝐴 , 𝑈̇𝐵 , 𝑈̇𝐶 : tensioni indotte negli avvolgimenti primari;
𝑈̇𝑎 , 𝑈̇𝑏 , 𝑈̇𝑐 : tensioni indotte negli avvolgimenti secondari;
𝜙̇𝐴 , 𝜙̇𝐵 , 𝜙̇𝐶 : flusso nelle colonne degli avvolgimenti primari;
𝜙̇𝑎 , 𝜙̇𝑏 , 𝜙̇𝑐 : flusso nelle colonne degli avvolgimenti secondari;
𝑈̇𝐴 N
𝑈̇𝐴 = 𝑗𝜔𝑁𝜙̇𝐴 , 𝑈̇𝑎 = 𝑗𝜔𝑛𝜙̇𝑎 , =
𝑈̇𝑎 n

Fig. 29. Definizioni e nomenclatura.

Inoltre indichiamo con 𝐸𝐴̇ , 𝐸̇𝐵 , 𝐸̇𝐶 : le tensioni primarie rispetto al centro stella e con 𝑉𝐴𝐵
̇ , 𝑉̇𝐵𝐶 , 𝑉̇𝐶𝐴 le
corrispondenti tensioni primarie concatenate. 𝐸̇𝑎 , 𝐸̇𝑏 , 𝐸̇𝑐 e 𝑉̇𝑎𝑏 , 𝑉̇𝑏𝑐 , 𝑉𝑐𝑎
̇ sono le omologhe secondarie.

I collegamenti interfasici lato primario o secondario sono del tipo: stella, triangolo, zig-zag.

Collegamento a stella

𝐸𝐴̇ = 𝑈̇𝐴 , 𝐸̇𝐵 = 𝑈̇𝐵 , 𝐸̇𝐶 = 𝑈̇𝐶


𝜋
̇ = 𝑈̇𝐴 − 𝑈̇𝐵 = √3𝑈̇𝐴 𝑒 𝑗 6
𝑉𝐴𝐵
𝜋
𝑉̇𝐵𝐶 = 𝑈̇𝐵 − 𝑈̇𝐶 = √3𝑈̇𝐵 𝑒 𝑗 6
𝜋
𝑉̇𝐶𝐴 = 𝑈̇𝐶 − 𝑈̇𝐴 = √3𝑈̇𝐶 𝑒 𝑗 6
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Collegamento a triangolo tipo 1


̇ = 𝑈̇𝐴
𝑉𝐴𝐵

𝑉̇𝐵𝐶 = 𝑈̇𝐵

𝑉̇𝐶𝐴 = 𝑈̇𝐶

Collegamento a triangolo tipo 2


𝜋
̇ = −𝑈̇𝐵 = 𝑈̇𝐴 𝑒 𝑗 3
𝑉𝐴𝐵
𝜋
𝑉̇𝐵𝐶 = −𝑈̇𝐶 = 𝑈̇𝐵 𝑒 𝑗 3
𝜋
𝑉̇𝐶𝐴 = −𝑈̇𝐴 = 𝑈̇𝐶 𝑒 𝑗 3

Collegamento zig-zag (cenni)

I tre avvolgimenti sono divisi in due parti (bobine)


uguali.

La prima bobina di ciascun avvolgimento è collegata


in serie discorde con la sua seconda bobina che è posto
sulla colonna successiva.
Gli avvolgimenti così ottenuti sono collegati a stella.

Poniamo: 𝑈̇𝐴1 = 𝑈̇𝐴2 = 0.5𝑈̇𝐴 , 𝑈̇𝐵1 = 𝑈̇𝐵2 = 0.5𝑈̇𝐵 , 𝑈̇𝐶1 = 𝑈̇𝐶2 = 0.5𝑈̇𝐶 ,

Le tensioni stellate si scrivono

√3 𝜋
𝐸𝐴̇ = 𝑈̇𝐴1 − 𝑈̇𝐵2 = 𝑈̇𝐴 𝑒 𝑗 6
2

√3 𝜋
𝐸̇𝐵 = 𝑈̇𝐵1 − 𝑈̇𝐶2 = 𝑈̇𝐵 𝑒 𝑗 6
2

√3 𝜋
𝐸̇𝐶 = 𝑈̇𝐶1 − 𝑈̇𝐴2 = 𝑈̇𝐶 𝑒 𝑗 6
2
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 20

Per le tensioni di linea avremo:

𝜋 3 𝜋
̇ = √3𝐸𝐴̇ 𝑒 𝑗 6 = 𝑈̇𝐴 𝑒 𝑗 3
𝑉𝐴𝐵
2
𝜋 3 𝜋
𝑉̇𝐵𝐶 = √3𝐸̇𝐵 𝑒 𝑗 6 = 𝑈̇𝐵 𝑒 𝑗 3
2
𝜋 3 𝜋
𝑉̇𝐶𝐴 = √3𝐸̇𝐶 𝑒 𝑗 6 = 𝑈̇𝐶 𝑒 𝑗 3
2

In un trasformatore trifase (inserito in un sistema simmetrico ed equilibrato) si definisce rapporto di


trasformazione il rapporto fra il valore efficace di una tensione concatenata o stellata primaria e il valore
efficace della tensione secondaria omologa in corrispondenza del funzionamento a vuoto, trascurando
gli effetti delle cadute di tensione interne del trasformatore (rif. fig. 30):
𝑉𝐴𝐵 𝐸𝐴
𝐾= =
𝑉𝑎𝑏 𝐸𝑎

Fig. 30. Rapporto di trasformazione in un trasformatore trifase.

Il valore di K può differire dal rapporto spire e dipende dal tipo di collegamento interfasico adottato sui
due lati del trasformatore; inoltre le tensioni che formano il rapporto di trasformazione possono essere
sfasate una rispetto all’altra. Si definisce quindi anche lo spostamento angolare che è l’angolo (in gradi)
tra una tensione concatenata (o stellata) primaria e la tensione secondaria omologa. Per gli usuali
collegamenti il suo valore è sempre un multiplo di 30°.

𝑣𝐴𝐵 𝑜 𝐸𝐴 𝑜
𝛼 = 𝑎𝑟𝑔 ( ) = 𝑎𝑟𝑔 ( )
𝑣𝑎𝑏 𝐸𝑎
Consideriamo ora alcuni dei collegamenti più usati per i quali determineremo i valori del rapporto di
trasformazione, dello spostamento angolare e dell’indice orario (rapporto fra spostamento angolare e
30°).
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 21

Collegamento stella-stella (Yy0)

̇
𝑉𝐴𝐵 𝐸𝐴̇ 𝑈̇𝐴 𝑁
= = =
𝑉̇𝑎𝑏 𝐸̇𝑎 𝑈̇𝑎 𝑛
𝑁
𝐾 = , 𝛼 = 0°
𝑛
gruppo 0

Collegamento stella-stella (Yy6)

Rispetto a Yy0 si invertono gli


avvolgimenti del secondario e
si ottiene:
𝛼 = 180°
gruppo 6

Collegamento triangolo-triangolo (Dd0)

̇
𝑉𝐴𝐵 𝐸𝐴̇ 𝑈̇𝐴 𝑁
= = =
𝑉̇𝑎𝑏 𝐸̇𝑎 𝑈̇𝑎 𝑛
𝑁
𝐾 = , 𝛼 = 0°
𝑛
gruppo 0
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 22

Collegamento triangolo-triangolo (Dd6)

Rispetto a Dd0 si invertono gli


avvolgimenti del secondario e
si ottiene:
𝛼 = 180°
gruppo 6

Collegamento stella-triangolo (Yd11)

Si usa il collegamento triangolo


tipo 2.
𝜋 𝜋
̇ 𝑗 𝑗
𝑉𝐴𝐵 √3𝑈̇𝐴 𝑒 6 √3𝑈̇𝐴 𝑒 6
= = 𝜋
𝑉̇𝑎𝑏 −𝑈̇𝑏 𝑈̇𝑎 𝑒 𝑗 3
𝑁 5
= √3 𝑒 𝑗6𝜋
𝑛

𝑁
𝐾 = √3 , 𝛼 = 330°
𝑛
gruppo 11

Collegamento stella-triangolo (Yd5)

Rispetto a Yd11 si invertono


gli avvolgimenti del
secondario e si ottiene:
𝛼 = 150°
gruppo 5
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 23

Collegamento triangolo-stella (Dy11)

Si usa il collegamento
triangolo tipo 1.
̇
𝑉𝐴𝐵 𝑈̇𝐴
= 𝜋
𝑉̇𝑎𝑏 √3𝑈̇ 𝑒 𝑗 6
𝑎
1 𝑁 𝑗 5𝜋
= 𝑒 6
√3 𝑛
1 𝑁
𝐾= , 𝛼 = 330°
√3 𝑛
gruppo 11

Collegamento stella-zig-zag (Yz11)

𝜋
̇ 𝑗
𝑉𝐴𝐵 √3𝑈̇𝐴 𝑒 6
=
𝑉̇𝑎𝑏 3 ̇ 𝑗𝜋3
2 𝑈𝑎 𝑒
2 𝑁 𝑗 5𝜋
= 𝑒 6
√3 𝑛
2 𝑁
𝐾= ,𝛼
√3 𝑛
= 330°
gruppo 11

Collegamento triangolo-zig-zag (Dz0)

Si utilizza il collegamento
triangolo tipo 2.
𝜋
̇
𝑉𝐴𝐵 𝑈̇𝐴 𝑒 𝑗 3 2𝑁
= =
̇𝑉𝑎𝑏 3 ̇ 𝑗𝜋3 3 𝑛
2 𝑈𝑎 𝑒

2𝑁
𝐾= , 𝛼 = 0°
3𝑛
gruppo 0
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 24

1.7 CIRCUITO EQUIVALENTE DEL TRASFORMATORE TRIFASE


Per quanto riguarda l’analisi di circuiti trifase contenenti trasformatori, ci limiteremo a considerare
circuiti simmetrici ed equilibrati. In questi casi, indipendentemente dal tipo di collegamento interfasico
sui due lati del trasformatore, si studia il sistema trifase utilizzando un circuito equivalente del
trasformatore (trifase) che consiste di tre circuiti monofasi (identici a quelli utilizzati per il trasformatore
monofase) collegati a stella secondo lo schema di fig. 31:

Fig. 31. Circuito equivalente trasformatore trifase.

Il trasformatore equivalente monofase è caratterizzato da:

a) valori efficaci di tensioni primaria e secondaria pari a quelli delle tensioni stellate del
trasformatore trifase;
b) valori efficaci delle correnti primaria a secondaria uguali a quelle correnti di linea del
trasformatore trifase;
c) potenza nominale, potenza erogata, perdite nel rame e nel ferro uguali a un terzo delle potenze
corrispondenti del trasformatore trifase.

In base a queste considerazioni vengono effettuate le prove per la determinazione dei parametri del
circuito equivalente monofase (collegamento a stella). Si tratta sempre di una prova a vuoto a tensione
(concatenata) nominale, e di una in corto a corrente (di linea) nominale.

Lo schema di principio della prova a vuoto è indicato in figura 32:

Fig. 32. Prova a vuoto del trasformatore trifase.


Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 25

Il sistema viene alimentato da una terna trifase simmetrica di tensioni concatenate di valore efficace
𝑉10 = 𝑉𝑛 , e vengono misurate la tensione concatenata sul secondario 𝑉20, la corrente di linea sul
primario 𝐼10 e la potenza attiva complessivamente assorbita 𝑃10 (data dalla somma delle indicazioni dei
due wattmetri). Per quanto osservato in precedenza il singolo trasformatore assorbe 𝑃10 ⁄3, ha il
primario percorso dalla corrente 𝐼10 ed è sottoposto alla tensione 𝑉10⁄√3 , che è la tensione stellata
corrispondente alla 𝑉10 .

Quindi:
𝑃10 ⁄3 𝑃10 1
𝑅𝑚 = 2 = 2 =𝐺
(𝑉10⁄√3) 𝑉10 𝑚

Inoltre:
𝐼1,0 𝐼1,0
𝑌𝑚 = = √3
𝑉10⁄√3 𝑉10

𝐵𝑚 = √𝑌𝑚 2 − 𝐺𝑚 2

Da cui:
1 1
̅ =
𝑍𝑚 = = 𝑅0 + 𝑗𝑋0
̅̅̅̅
𝑌̅𝑚 𝐺𝑚 − 𝑗𝐵𝑚

Il rapporto di trasformazione può essere valutato come:


𝑉10
𝐾=
𝑉20

La prova in corto circuito è eseguita secondo lo schema di principio di fig. 33.

Fig. 33. Prova a vuoto del trasformatore trifase.

Come nel caso del trasformatore monofase, la tensione di prova è ridotta rispetto a quella nominale, ed
è quella corrispondente alla corrente nominale assorbita dalla macchina. Le grandezze misurate sono:
𝐼1𝑐𝑐 = 𝐼𝑛 , 𝑉1𝑐𝑐 e 𝑃1𝑐𝑐 (somme delle indicazioni dei due wattmetri). Da queste si può scrivere:

𝑉1𝑐𝑐 ⁄√3 1 𝑉1𝑐𝑐


𝑍1𝑐𝑐 = =
𝐼1𝑐𝑐 √3 𝐼1𝑐𝑐
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 26

𝑃1𝑐𝑐 ⁄3 𝑃1𝑐𝑐
𝑐𝑜𝑠𝜑1𝑐𝑐 = =
(𝑉1𝑐𝑐 ⁄√3)𝐼1𝑐𝑐 √3𝑉1𝑐𝑐 𝐼1𝑐𝑐

̅ = 𝑍1𝑐𝑐 (𝑐𝑜𝑠𝜑1𝑐𝑐 + 𝑗√1 − 𝑐𝑜𝑠 2 𝜑1𝑐𝑐 )


𝑍1𝑐𝑐

Infine anche per il trasformatore trifase valgono le già citate ragioni costruttive che permettono di
̅ ≃ 𝑍1𝑐𝑐
scrivere: 𝑍1𝑑 ̅ ⁄2 e 𝑍2𝑑 ̅ ≃ 𝑍1𝑐𝑐̅ ⁄(2𝑛2 ).

La determinazione del gruppo (e quindi dello sfasamento tra 𝑉10 e 𝑉20) completa la caratterizzazione
del trasformatore trifase. Quest’ultima informazione è di fondamentale importanza quando è necessario
collegare in parallelo più trasformatori trifase.

OSSERVAZIONE: inserzione Aron per la misure della potenza nei sistemi trifase a tre fili.

Per la misura della potenza nei sistemi trifase a tre fili è possibile operare in diversi modi. Uno di questi
è utilizzare 3 wattmetri identici in cui le bobine amperometriche sono attraversate dalla correnti di linea
mentre il terminale di inizio di ciascuna bobina voltmetrica è collegato al corrispondente filo di linea,
mentre i terminali di fine sono collegati fra loro a derivare un centro stella. La potenza che attraversa la
linea trifase in corrispondenza del punto di inserzione dei wattmetri è data dalla somma delle letture dei
tre strumenti. Si può dimostrare che tale potenza è indipendente dalla posizione del centro stella (ovvero
dalla tensione ai morsetti delle bobine voltmetriche, purché queste formino una terna stellata
corrispondente al triangolo delle tensioni di linea). Se si posiziona il centro stella su uno dei tre fili, la
lettura di uno dei tre 3 wattmetri sarà sempre nulla e questo diventerà inutile. Possiamo quindi eliminarlo
e utilizzare solo 2 wattmetri, inseriti come negli schemi delle figure 32 e 33.

1.8 PARALLELO DI TRASFORMATORI


Il collegamento in parallelo di due o più trasformatori viene utilizzato per distribuire la potenza su più
dispositivi. Non sono rari i casi in cui, a seguito di un aumento del carico sul secondario (e quindi ad
un aumento della potenza da trasferire al secondario), si eccede la potenza nominale di un trasformatore
già installato. In questi casi, una valida alternativa alla sostituzione del trasformatore preesistente con
uno di taglia superiore, capace di erogare l’intera potenza richiesta, consiste nell’introduzione di un
secondo trasformatore chiamato ad erogare solo la potenza aggiuntiva. I morsetti primari e secondari
del secondo trasformatore saranno sottoposti alla stessa tensione di quelli omologhi del trasformatore
preesistente. Si realizza così quello che viene chiamato il collegamento parallelo di due trasformatori.
La schema di principio di tale collegamento è rappresentato in fig. 34, dove si fa uso del circuito
equivalente semplificato dei due trasformatori con l’impedenza di corto circuito riportata sul secondario
mentre viene omessa l’impedenza di magnetizzazione che risulta essere ininfluente ai fini della
trattazione che verrà svolta.

Esistono alcune condizioni da verificare affinché il sistema formato da due (o più) trasformatori
collegati in parallelo funzioni correttamente:

a) Nel funzionamento a vuoto (tasto aperto nello schema circuitale di fig. 34) le correnti sui
secondari dei due trasformatori devono essere nulle (o comunque devono assumere valori
trascurabili).
b) In nessuna condizione di carico i due trasformatori devono superare le rispettive correnti (e
potenze) nominali.
Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 27

Fig. 34. Circuito equivalente del parallelo di due trasformatori monofase.

Osservando il circuito in fig. 34 si osserva che anche se il carico è scollegato (tasto aperto) esiste un
percorso chiuso costituito dai due secondari nel quale può scorrere una corrente, detta corrente di
circolazione. Questa corrente è data da:

𝑉̇20𝐴 − 𝑉̇20𝐵 𝑉1̇ ⁄𝑛𝐴 − 𝑉1̇ ⁄𝑛𝐵 𝑉1̇ 1 1


̇ =
𝐼20 = = ( − )
𝑍̅2𝑒𝑞𝐴 + 𝑍̅2𝑒𝑞𝐵 𝑍̅2𝑒𝑞𝐴 + 𝑍̅2𝑒𝑞𝐵 ̅
𝑍2𝑒𝑞𝐴 + 𝑍̅2𝑒𝑞𝐵 𝑛𝐴 𝑛𝐵

Considerando che si cerca di realizzare trasformatori con basse impedenze di corto circuito (per
migliorare le prestazioni della macchina), si vede che la corrente di circolazione può assumere valori
molto elevati. La prima condizione per il corretto funzionamento del parallelo dei trasformatori è quindi
che i rapporti spire delle due macchine siano uguali. Questa condizione implica l’annullamento della
corrente di circolazione.

Se consideriamo il funzionamento quando il carico è connesso, la corrente sul carico è data dalla
risultante delle correnti sui due trasformatori: 𝐼2̇ = 𝐼2𝐴
̇ + 𝐼2𝐵
̇ . Ipotizzando, come normalmente avviene
che le tensioni ai morsetti primari (e a quelli secondari) dei trasformatori siano uguali, possiamo usare
la rappresentazione semplificata di figura 35.

Fig. 35. Circuito equivalente del parallelo di due trasformatori monofase.


Appunti di Apparati Elettrici; capitolo 2. A. a. 2020-2021. Versione preliminare. 28

𝑉̇20,𝐴 − 𝑉̇2
̇ =
𝐼2𝐴
̅
𝑍2𝑒𝑞𝐴

𝑉̇20,𝐵 − 𝑉̇2
̇ =
𝐼2𝐵
̅
𝑍2𝑒𝑞𝐵

Essendo 𝑉̇20,𝐴 = 𝑉̇20,𝐵 , si ricava: 𝑍̅2𝑒𝑞𝐵 𝐼2𝐵


̇ = 𝑍2𝑒𝑞𝐴
̅ ̇ .
𝐼2𝐴

La potenza massima erogabile dal sistema dei due trasformatori è la somma delle potenze nominali,
inoltre deve sempre valere il vincolo che le correnti nei due trasformatori non devono superare le
rispettive correnti nominali. Se si impone che in ogni condizione di carico le correnti nei due
trasformatori siano proporzionali ai rispettivi valori nominali, si ottiene che anche le potenze dei due
trasformatori saranno proporzionali alle rispettive potenze nominali. I due trasformatori si troveranno
quindi ad erogare contemporaneamente le loro massime potenze.

Tenendo presente che 𝑍̅2𝑒𝑞𝐵 𝐼2𝐵


̇ = 𝑍̅2𝑒𝑞𝐴 𝐼2𝐴
̇ , si potrà scrivere:

𝐼2𝐴̇ ̇
𝐼2𝑛𝐴 ̅
𝑍2𝑒𝑞𝐵
= =
̇
𝐼2𝐵 ̇
𝐼2𝑛𝐵 ̅
𝑍2𝑒𝑞𝐴

La seconda uguaglianza rappresenta la seconda condizione per il corretto funzionamento del parallelo
di due trasformatori, e cioè che le impedenze di corto circuito devono stare in rapporto inverso con le
correnti (e quindi le potenze) nominali dei trasformatori.

Il funzionamento in parallelo è previsto anche per i trasformatori trifase in accordo con lo schema di
principio di figura 36.

Fig. 36. Parallelo di due trasformatori trifase.

Se costruiamo il circuito equivalente monofase riportato al secondario dell’intero sistema e richiediamo


l’uguaglianza delle tensioni secondarie per annullare la corrente di circolazione, notiamo che non è
sufficiente imporre l’uguaglianza del rapporto spire fra gli avvolgimenti primario e secondario dei due
trasformatori, ma è necessario imporre l’uguaglianza dei due rapporti di trasformazione e
l’appartenenza allo stesso gruppo (paragrafo 6). La condizione sulle impedenze di corto circuito rimane
invece inalterata. Osserviamo che la scelta circuito equivalente monofase (stella) deve essere la stessa
per entrambi i trasformatori.

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