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Si consideri un trasformatore monofase con un rapporto spire tale da rientrare nelle seguenti
categorie, nel quale le 𝑁2 spire secondarie sono affiancate ad altrettante spire primarie:
Si può dimostrare che per entrambe i componenti valgono le stesse proprietà, che studiamo subito.
Ogni spira di un avvolgimento, concatenando lo stesso flusso della corrispondente spira dell’altro,
ha la stessa 𝑓. 𝑒. 𝑚. indotta, e pertanto il funzionamento del trasformatore non è alterato se le
𝑁2 coppie di spire secondarie e primarie sono realizzate con un unico conduttore, in modo tale che il
primario e il secondario posseggano un tratto avvolto comune. Si ottiene un AUTOTRASFORATORE:
• Le perdite nel ferromagnetico per isteresi e correnti parassite, nonché la riluttanza del circuito
magnetico composto dal ferro sono entrambe trascurabili.
Poste tali ipotesi, valgono delle considerazioni simili a quelle fatte nella trattazione dei trasformatori
monofase reali, e pertanto abbiamo le seguenti tensioni 𝒱1 = al primario e 𝒱2 al secondario:
𝑁1
𝒱1 = 𝑗𝜔𝑁1 𝛷𝑡 ⋁ 𝒱2 = 𝑗𝜔𝑁2 𝛷𝑡 → 𝒱1 = 𝒱 → 𝒱1 = 𝓃𝒱2
𝑁2 2
3.39
Trascurando la corrente a vuoto ℐ10 dovuta alle perdite nel materiale ferromagnetico per quanto
ipotizzato prima, la corrente ℐ nel tratto di avvolgimento comune risulta data dall’equazione 𝐿𝐾𝐶:
𝑁2 1 𝓃−1
ℐ = ℐ2 − ℐ1 → ℐ = ℐ2 − ℐ → ℐ = (1 − ) ℐ2 → ℐ=( ) ℐ2
𝑁1 2 𝓃 𝓃
Essa ha un valore efficace tanto minore tanto quanto più il rapporto di trasformazione 𝓃
dell’autotrasformatore è prossimo all’unità, con il conseguente risparmio di sezione e di conduttore.
Dunque, le relazioni tra le tensioni e le correnti al primario e al secondario coincidono con quelle di
un trasformatore monofase reale con due avvolgimenti di 𝑁1 e 𝑁2 spire, valendo anche la:
𝓃−1
ℐ=( ) ℐ2 𝓃−1
{ 𝓃 → ( ) ℐ2 = (𝓃 − 1)ℐ1 → ℐ2 = 𝓃ℐ1
𝓃
ℐ = (𝓃 − 1)ℐ1
𝒱1 ℐ1 = 𝒱2 ℐ2 → 𝒮1 = 𝒮2 = 𝒮𝑃
𝒮𝐷 𝒱1 − 𝒱2 𝒮𝐷 1 𝒮𝐷 𝓃 − 1
= → =1− → =
𝒮𝑃 𝒱1 𝒮𝑃 𝓃 𝒮𝑃 𝓃
3.40
Questo è dovuto al fatto che in un autotrasformatore solo parte della potenza passante è trasferita
attraverso l’accoppiamento magnetico, mentre la parte rimanente (che diventa quella prevalente per
𝓃 > 2) è trasferita direttamente grazie al collegamento elettrico tra i due circuiti.
All’aumentare del rapporto di trasformazione 𝓃 tali vantaggi diventano meno evidenti, per il fatto che
gli isolamenti devono comunque essere dimensionati in base alla tensione primaria di alimentazione
𝒱1 , e in pratica si verifica che per 𝓃 > 4 non è più conveniente utilizzare gli autotrasformatori.
Per elevati rapporti di trasformazione quindi , da un lato tale convenienza si riduce, e dall’altro un
eventuale guasto di interruzione della porzione comune di avvolgimento costituirebbe un serio
pericolo, perché farebbe salire la tenisone tra i morsetti secondari al valore della tensione primaria.
Inoltre, un autotrasformatore non realizza l’isolamento elettrico tra il primario e il secondario, e quindi,
a differenza di un trasformatore convenzionale, non è utile ai fini della sicurezza degli impianti.
Nel caso in cui l’avvolgimento conduttore comune tra il primario e il secondario si guasti, il carico
collegato al secondario risulta sottoposto alla tensione primaria, e se il rapporto di trasformazione è
particolarmente elevato, tale situazione può essere pericolosa.
3.41
Esistono anche degli autotrasformatori trifasi, generalmente dotati di un nucleo
ferromagnetico a tre colonne e di avvolgimenti ipotizzati come connessi a stella.
Su di esso è possibile spostare il punto di connessione 𝐶 per mezzo di un contatto mobile, in modo
da variare il numero delle 𝑁2 spire costituenti il secondario. Questo autotrasformatore, detto
commercialmente VARIATORE CONTINUO DI TENSIONE 𝑉𝐴𝑅𝐼𝐴𝐶, è spesso utilizzato nei laboratori
di prova, ma non garantisce alcun isolamento tra la rete di alimentazione e il dispositivo in prova.
3.42