Sei sulla pagina 1di 4

GLI AUTOTRASFORMATORI

Si consideri un trasformatore monofase con un rapporto spire tale da rientrare nelle seguenti
categorie, nel quale le 𝑁2 spire secondarie sono affiancate ad altrettante spire primarie:

• Se 𝑁1 > 𝑁2 abbiamo un cosiddetto ABBASSATORE DI TENSIONE.


• Se 𝑁1 < 𝑁2 abbiamo invece un ELEVATORE DI TENSIONE.

Si può dimostrare che per entrambe i componenti valgono le stesse proprietà, che studiamo subito.

Ogni spira di un avvolgimento, concatenando lo stesso flusso della corrispondente spira dell’altro,
ha la stessa 𝑓. 𝑒. 𝑚. indotta, e pertanto il funzionamento del trasformatore non è alterato se le
𝑁2 coppie di spire secondarie e primarie sono realizzate con un unico conduttore, in modo tale che il
primario e il secondario posseggano un tratto avvolto comune. Si ottiene un AUTOTRASFORATORE:

Per mettere in evidenza gli aspetti essenziali del funzionamento di un autotrasformatore,


supponiamo di analizzare un caso ideale in cui possiamo porre le seguenti ipotesi:

• Le cadute di tensione interne degli avvolgimenti sono trascurabili.

• Le perdite nel ferromagnetico per isteresi e correnti parassite, nonché la riluttanza del circuito
magnetico composto dal ferro sono entrambe trascurabili.

Poste tali ipotesi, valgono delle considerazioni simili a quelle fatte nella trattazione dei trasformatori
monofase reali, e pertanto abbiamo le seguenti tensioni 𝒱1 = al primario e 𝒱2 al secondario:

𝑁1
𝒱1 = 𝑗𝜔𝑁1 𝛷𝑡 ⋁ 𝒱2 = 𝑗𝜔𝑁2 𝛷𝑡 → 𝒱1 = 𝒱 → 𝒱1 = 𝓃𝒱2
𝑁2 2

L’equazione 𝐿𝐾𝑇 relativa al circuito magnetico dell’autotrasformatore impone invece che:

(𝑁1 − 𝑁2 )ℐ1 − 𝑁2 ℐ = ∅̇ → ℐ = (𝓃 − 1)ℐ1

3.39
Trascurando la corrente a vuoto ℐ10 dovuta alle perdite nel materiale ferromagnetico per quanto
ipotizzato prima, la corrente ℐ nel tratto di avvolgimento comune risulta data dall’equazione 𝐿𝐾𝐶:

𝑁2 1 𝓃−1
ℐ = ℐ2 − ℐ1 → ℐ = ℐ2 − ℐ → ℐ = (1 − ) ℐ2 → ℐ=( ) ℐ2
𝑁1 2 𝓃 𝓃

Essa ha un valore efficace tanto minore tanto quanto più il rapporto di trasformazione 𝓃
dell’autotrasformatore è prossimo all’unità, con il conseguente risparmio di sezione e di conduttore.

Dunque, le relazioni tra le tensioni e le correnti al primario e al secondario coincidono con quelle di
un trasformatore monofase reale con due avvolgimenti di 𝑁1 e 𝑁2 spire, valendo anche la:

𝓃−1
ℐ=( ) ℐ2 𝓃−1
{ 𝓃 → ( ) ℐ2 = (𝓃 − 1)ℐ1 → ℐ2 = 𝓃ℐ1
𝓃
ℐ = (𝓃 − 1)ℐ1

Possiamo immaginare che l’autotrasformatore sia ottenuto collegando come


in figura un trasformatore con 𝑁1 − 𝑁2 spire al primario, e 𝑁2 al secondario.

In tal modo, dato che con ottima approssimazione 𝒱1 è in fase con 𝒱2 , e ℐ1


lo è con ℐ2 , le potenze apparenti primaria 𝒮1 e secondaria 𝒮2 risultano essere
uguali per il principio di conservazione della potenza:

(𝒱1 − 𝒱2 )ℐ1 = (ℐ2 − ℐ1 )𝒱2 → 𝒮1 = 𝒮2 = 𝒮𝐷

Tale potenza è detta POTENZA DI DIMENSIONAMENTO 𝒮𝐷 , e gli avvolgimenti dell’autotrasformatore,


ma anche di un analogo trasformatore monofase, devono essere progettati in base a tale valore.

D’altro canto, l’autotrasformatore può essere anche assimilato a un


trasformatore con 𝑁1 spire al primario ed 𝑁2 spire al secondario.

In tal modo, la potenza apparente trasferita dal primario al secondario, detta


POTENZA PASSANTE 𝒮𝑃 rispetta il principio di conservazione della potenza:

𝒱1 ℐ1 = 𝒱2 ℐ2 → 𝒮1 = 𝒮2 = 𝒮𝑃

Mentre per un trasformatore la potenza di dimensionamento 𝒮𝐷 e la potenza passante 𝒮𝑃 coincidono


(𝒮𝐷 = 𝒮𝑃 ), così non è per un autotrasformatore (𝒮𝐷 ≠ 𝒮𝑃 ), per il quale si verifica la seguente relazione:

𝒮𝐷 𝒱1 − 𝒱2 𝒮𝐷 1 𝒮𝐷 𝓃 − 1
= → =1− → =
𝒮𝑃 𝒱1 𝒮𝑃 𝓃 𝒮𝑃 𝓃

A parità di potenza passante, un autotrasformatore ha una minore potenza di dimensionamento.

3.40
Questo è dovuto al fatto che in un autotrasformatore solo parte della potenza passante è trasferita
attraverso l’accoppiamento magnetico, mentre la parte rimanente (che diventa quella prevalente per
𝓃 > 2) è trasferita direttamente grazie al collegamento elettrico tra i due circuiti.

Per 𝓃 = 1, si verifica che 𝒮𝐷 = ∅, e dunque tutta la potenza è trasferita direttamente.

Quindi, gli autotrasformatori generalmente presentano dei rapporti di trasformazione 𝓃 vicini


all’unità, così non solo sono economici rispetto ai trasformatori convenzionali, ma hanno anche dei
rendimenti maggiori come conseguenza delle minori perdite per effetto Joule nei conduttori, poiché:

• Il primario di un autotrasformatore è realizzato con un conduttore dello stesso tipo, ma con


un numero di spire ridotto del fattore (𝓃 − 1)/𝓃 rispetto al trasformatore.

• Il secondario di un autotrasformatore ha lo stesso numero di spire di quello del trasformatore,


ma può avere una sezione conduttrice ridotta rispetto a questo del fattore (𝓃 − 1)/𝓃.

• Il minor ingombro degli avvolgimenti dell’autotrasformatore consente di ridurre anche le


dimensioni del nucleo ferromagnetico, con la riduzione delle perdite per isteresi e correnti
parassite, nonchè dei fenomeni dell’effetto Joule nelle spire e della dispersione magnetica, e
dunque con il conseguente miglioramento dei rendimenti del componente.

All’aumentare del rapporto di trasformazione 𝓃 tali vantaggi diventano meno evidenti, per il fatto che
gli isolamenti devono comunque essere dimensionati in base alla tensione primaria di alimentazione
𝒱1 , e in pratica si verifica che per 𝓃 > 4 non è più conveniente utilizzare gli autotrasformatori.

Per elevati rapporti di trasformazione quindi , da un lato tale convenienza si riduce, e dall’altro un
eventuale guasto di interruzione della porzione comune di avvolgimento costituirebbe un serio
pericolo, perché farebbe salire la tenisone tra i morsetti secondari al valore della tensione primaria.

Inoltre, un autotrasformatore non realizza l’isolamento elettrico tra il primario e il secondario, e quindi,
a differenza di un trasformatore convenzionale, non è utile ai fini della sicurezza degli impianti.

Nel caso in cui l’avvolgimento conduttore comune tra il primario e il secondario si guasti, il carico
collegato al secondario risulta sottoposto alla tensione primaria, e se il rapporto di trasformazione è
particolarmente elevato, tale situazione può essere pericolosa.

3.41
Esistono anche degli autotrasformatori trifasi, generalmente dotati di un nucleo
ferromagnetico a tre colonne e di avvolgimenti ipotizzati come connessi a stella.

Essi trovano un largo impiego nelle reti di distribuzione dell’energia elettrica ad


alta tensione, consentendo con piccole variazioni delle 𝑁2 spire accoppiate, e
quindi della tensione, la regolazione dei flussi di potenza lungo le linee.

IL 𝑉𝐴𝑅𝐼𝐴𝐶 (VARIATORE CONTINUO DI TENSIONE)


L’autotrasformatore trova impego anche nel caso in cui si voglia ottenere una tensione di valore
efficace 𝑁2 , variabile a piacere tra zero e un suo valore massimo. SI realizza in tal caso un
avvolgimento primario uniformemente distributito lungo un nucleo toroidale, come illustrato in figura:

Su di esso è possibile spostare il punto di connessione 𝐶 per mezzo di un contatto mobile, in modo
da variare il numero delle 𝑁2 spire costituenti il secondario. Questo autotrasformatore, detto
commercialmente VARIATORE CONTINUO DI TENSIONE 𝑉𝐴𝑅𝐼𝐴𝐶, è spesso utilizzato nei laboratori
di prova, ma non garantisce alcun isolamento tra la rete di alimentazione e il dispositivo in prova.

Inoltre, poiché il contatto mobile permette di ottenere rapporti di trasformazione 𝓃 anche


elevatissimo, se il 𝑉𝐴𝑅𝐼𝐴𝐶 è alimentato per errore al secondario, ai terminali del primario può
presentarsi una tensione molto elevata e dunque molto pericolosa.

3.42

Potrebbero piacerti anche