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dt
V2 dV
• Moto vario: T = P ( a + b v ) s i + Cc m + 102 P + 0.5 Cr SF Vr 2 (kg/ t)
r dt
/ \
(resistenza di inerzia longitudinale) (resistenza frontale)
• Spazio per raggiungere, da fermo, velocità di regime:
V dv
Vm
dv V
ds = V
dv
=
(T − R) g
S=
0
(T − R) g
dv
dt 1000 p 1000 p
Ciò che permette di trasformare un moto transitorio in un moto traslatorio è l'attrito volvente.
Prendendo, come esempio, tutte le forze che agiscono sulla ruota motrice, dove:
Mt = momento torcente, A = aderenza, R = forza che si oppone all'avanzamento del veicolo,
P = somma di tutte le forze normali alla strada. È possibile illustrare le possibili condizioni di moto:
- Se risulta in O (Mt/r)<R e in C (Mt/r)<Fa significa che i vincoli non cedono e le ruote restano in equilibrio
ferme A≤Fa. Se si aumenta Mt, i vincoli cedono e possono verificarsi 2 tipi di moto:
1) Se R<Fa allora cede il vincolo in O mentre in C resiste. Il moto della ruota è costituito da una rotazione
istantanea intorno al punto in C,b ed è la risultante di 2 moti: rotazione intorno ad O e traslazione di O.
Il momento motore è equilibrato dalla coppia formata da R e dalla reazione A uguale ed opposta ad R:
Mt = Rr da cui R = (Mt/r)<Fa
2) Se R>Fa, allora, il vincolo C cede e resiste quello in O. Si verifica un moto di rotazione intorno ad O, che
però resta fermo, mentre c’è scorrimento relativo in C, per cui le ruote slittano con l'auto ferma. Il momento
motore è equilibrato dalla coppia formata da Fa e dalla reazione R uguale ed opposta ad Fa, quindi:
Mt = FaR da cui R>Mt/r = Fa.
2
Dall’equazione generale della trazione alla relazione per il calcolo della distanza di visuale libera per l’arresto
• Quando un veicolo si muove con velocità costante (moto uniforme in regime stazionario) la trazione è data
dalla somma di tutte le resistenze che si incontrano:
T = R rot + R aer + R pen + R cur + R in
T = P (rrot + rpen + rcur + rin ) + R aer
1000 dv
T = P i + c + KSV 2
g dt
• Mentre quando il veicolo si muove (moto vario) interviene anche la forza d'inerzia, di verso opposto rispetto
P dV
a quello dell’accelerazione: Fi = −1000
g dt
Ed occorre tener presente che quando un veicolo è soggetto ad un’accelerazione nella direzione del moto,
tutti gli organi del motore e della trasmissione dotati di moto relativo rispetto a esso, sono anch'essi soggetti
a un'accelerazione relativa, per cui la forza d’inerzia Fi da applicare al veicolo (per impedirgli l'accelerazione
nella direzione del moto) è maggiore di quella data.
P dV dV
Viene introdotto, a tal proposito, un coefficiente β di maggiorazione: Fi = −1000 = −102 P
g dt dt
Dove: β = 1 per autoveicoli, β = 1.2 per veicoli commerciali
Per cui l'equazione generale della trazione nei moti transitori diventa:
dV
T = P i + 102 P + KSV
2
(moto non uniforme)
dt
Mentre: • Moto vario:
V2 dV
T = P ( a + b v ) s i + Cc m + 102 P + 0.5 Cr SF Vr 2 (kg/ t)
r dt
/ \
(resistenza di inerzia longitudinale) (resistenza frontale)
• Spazio per raggiungere, da fermo, velocità di regime:
V dv
Vm
dv V
ds = V
dv
=
(T − R) g
S=
0
(T − R) g
dv
dt 1000 p 1000 p
Ciò che permette di trasformare un moto transitorio in un moto traslatorio è l'attrito volvente.
Prendendo, come esempio, tutte le forze che agiscono sulla ruota motrice, dove:
Mt = momento torcente, A = aderenza, R = forza che si oppone all'avanzamento del veicolo,
P = somma di tutte le forze normali alla strada.
Quando si vuole frenare una macchina, si annulla il momento motore
e si frena. Si ha sempre attrito, ma bisogna tenere conto che si hanno
comunque delle forze d’inerzia che cercano di mantenere il moto che si
aveva. L’aderenza si oppone e quindi bisogna avere sempre una
coppia che contrasti il momento:
Mf + Ma = A R → (Mf + Ma) / R A
Nel caso in cui fosse stato maggiore, il veicolo, si sarebbe bloccato;
poiché nell’azione frenante bisogna perdere energia con le ruote che
girano per mantenere la direzione. Se le ruote si bloccano il corpo ha
una traiettoria per la quale si disperde meno energia. L’aderenza varia
in funzione delle velocità. Andando piano si ha un’elevata aderenza:
Fi− R = Fa → Fi = Fa + R
Dove la forza di aderenza è data dal prodotto tra il peso aderente e il coefficiente di aderenza: Fa = P fa
Mentre: Fi = 1000 P fa + R → Fi = 1000 P fa + [P ( i) + KSV ] 2
5
1 P
Fi ds = 2 g V 1000
2
Fi durante la frenata non è cost. ma compie lavoro pari alla perdita di energia cinetica:
1000 P fa + P ( i) + KSV ds
2
Ammesso che S diventi costante e fa non dipendente dalla velocità:
Dopodiché si sostituisce fa con fe, che sarebbe il coefficiente di aderenza equivalente, che comprende: il
coefficiente di aderenza, quello di resistenza al rotolamento e quello KSV / P di resistenza dell’aria,
2
ottenendo:
S è la distanza di arresto che non è l’unica che serve per fermare il veicolo: bisogna aggiungere anche un
contributo che si ottiene moltiplicando la velocità per il tempo di percezione e reazione che la normativa DM
5/11/2001 assume pari a 1 secondo.
6
Questa formula determina l’inclinazione che deve avere una curva di raggio R perché possa essere percorsa
a velocità V anche in assenza totale di attrito.
Le scelte progettuali relative alla definizione dell’andamento dell’asse stradale portano spesso a utilizzare
per le curve raggi R maggiori del raggio minimo (Rmin). In questi casi è necessario ridurre il valore della
pendenza trasversale utilizzando gli abachi allegati alla Normativa DM 5/11/2001.
Questi abachi hanno in ascissa i valori dei raggi e in ordinata i valori delle pendenze trasversali q.
Essi vanno utilizzati con le seguenti modalità di lettura:
Quando il raggio R della curva è minore del raggio R* calcolato con l’espressione: Vpmin / [127 (fT + q max )]
2
2
ma utilizzando il limite superiore Vp max della velocità di progetto, la pendenza trasversale dovrà essere
mantenuta costante e pari al valore massimo qmax.
La pendenza trasversale minima del 2,5% deve essere impiegata quando il raggio di curvatura R è uguale o
maggiore ai valori del raggio R2,5 riportato negli abachi.
Per raggi di curvatura intermedi tra, R* e il raggio R2.5, la pendenza trasversale viene ricavata dall’abaco in
corrispondenza delle linee oblique riferite al limite superiore della velocità di progetto della corrispondente
categoria di strada.
Es. si vuole adottare un raggio pari a 1000 m per una curva in una strada di tipo C, caratterizzata da un
limite superiore della velocità di progetto pari a 100 Km/h.
Considerando l’abaco si osserva che in questo caso R * = 437 m e R 2.5 = 2187 m, dunque il raggio
iniziale di 1000 m è intermedio tra i valori trovati e la pendenza trasversale della piattaforma dovrà essere:
q = 0,0415. Tale valore è stato ricavato considerando l’intersezione tra la verticale tracciata in
corrispondenza del valore R = 1000 m e la linea inclinata corrispondente alla velocità di progetto massima di
100 Km/h. Tracciando una retta orizzontale da tale intersezione si ricava appunto la pendenza trasversale:
ic = 4,15% da utilizzare.
Oltre a fissare dei limiti massimi alla pendenza trasversale ic della piattaforma e a quella longitudinale p
dell’asse stradale, le norme fissano anche un limite alla combinazione delle due.
Questa combinazione, detta pendenza geodetica J = (p2 + ic2 ) , non deve superare il valore del 10%
per le strade di tipo A e B e del 12% per le altre.
7
Andamento cigli: nelle clotoidi di flesso, nel caso in cui la sopraelevazione < al valore stabilito dal DM 2001
Lungo le curve a raggio variabile, inserite fra due elementi di tracciato a curvatura costante si realizza il
graduale passaggio della pendenza trasversale dal valore proprio di un elemento a quello relativo al
successivo.
Questo passaggio si ottiene facendo ruotare la carreggiata stradale (o parte di essa), intorno al suo asse
ovvero intorno alla sua estremità interna, in quanto comporta un minor sollevamento dell’estremità della
piattaforma. Essa può essere adottata anche nelle strade a carreggiata unica a due o più corsie e nelle
strade a carreggiate separate con spartitraffico di larghezza superiore ai 4 m.
Per larghezze minori, allo scopo di evitare che lo spartitraffico acquisti una eccessiva pendenza trasversale,
è necessario far ruotare le due vie intorno alle estremità interne delle carreggiate.
Nelle strade ad unica carreggiata a duo o più corsie, la cui sagoma in rettifilo è a doppia falda, il passaggio
della sagoma propria del rettifilo a quella della curva circolare avviene generalmente in due tempi: in una
prima fase ruota soltanto la falda esterna intorno all’asse della carreggiata fino a realizzare una superficie
piana, successivamente ruota l’intera carreggiata sempre intorno al suo asse.
Per ragioni dinamiche la sovra pendenza longitudinale Δi delle estremità della carreggiata non può superare
dq Bi Bi
il valore massimo che si calcola con la seguente espressione: i max = 100 = 18
dt v v
Dove: - dq/dt = variazione della pendenza trasversale nel tempo pari a 0.05 rad/sec
- Bi = distanza espressa in metri fra l’asse di rotazione e l’estremità della carreggiata all’inizio della
curva a raggio variabile
- v = velocità di progetto in m/s
- V = velocità di progetto in km/h
La pendenza deve comunque essere non inferiore ad un valore minimo (i min) per garantire il deflusso
dell’acqua. Quando lungo ad una curva a raggio variabile la pendenza trasversale della carreggiata cambia
segno, per esempio lungo una clotoide di flesso e nel passaggio dal rettifilo alla curva circolare, durante una
certa fase della rotazione la pendenza trasversale è inferiore a quella minima del 2,5 necessaria per il
deflusso dell’acqua.
In certi casi, allo scopo di ridurre al minimo la lunghezza del tratto di strada in cui può aversi il ristagno di
acqua, è necessario che la pendenza longitudinale Δi sia non inferiore ad un valore: i min = 0.1 Bi
Se pertanto la pendenza Δi è inferiore del Δi min è necessario spezzare in due parti il profilo longitudinale di
quella estremità della carreggiata che è esterna alla curva, realizzando un primo tratto con pendenza
maggiore o uguale a Δi min, fino a quando la pendenza trasversale della via ha raggiunto il 2,5%.
La pendenza per il tratto successivo potrà anche essere inferiore a Δi min.
8
2
s
s2 2A
x = cos 2
ds
2A
Questi integrali non sono risolvibili; quindi utilizziamo il metodo
0
x = 0 cos ds
Ripartendo da 3 5 7
sen = − + − + ...
5
y = sen ds
0
3! 5! 7!
cos = 1 + + − + ...
2 4 6
2 −1/2
Inoltre se: s = A 2 e ds = A d
2
2 4
x = A 2 1 − + ...
10 216
Ottengo: Le equazioni parametriche della clotoide
y = A 2 − + ...
2 5
3 42 1320
In cui l’unico elemento sconosciuto è A
10
Dove:
s (p+ q) s (p + q)
V = d r + + e V0 = d r + +
2 3 2 2
Area S = variazione lineare
Area p e q = variazione quadratica
d
L’errore che si commette è dato da: V− V0 = (p+ q)
q
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Coordinamento plano-altimetrico nel progetto stradale e le problematiche legate alla perdita di tracciato
Quando un veicolo percorre una strada, il conducente ha lo sguardo focalizzato su un piano verticale, la cui
distanza dal suo occhio aumenta con la velocità. Analogamente all’aumentare della velocità si restringe il
campo della visione periferica, cioè l’angolo entro cui sono contenuti gli oggetti che il conducente riesce a
vedere.
Questo fenomeno si verifica perché chi è alla guida di un veicolo cerca di non guardare oggetti in rapido
movimento rispetto a lui e fissa lo sguardo su oggetti lontani, in pratica immobili.
Dalla visione prospettica il conducente ricava le informazioni sull’andamento della strada che gli sono
necessarie per la guida del veicolo.
Se nella visione prospettica c’è qualche difetto ottico, quando il conducenti si approssima a esso scopre il
difetto e cerca di modificare il comportamento di guida che aveva preventivato.
Queste modifiche generano insicurezza e rendono faticosa la guida.
Per evitare questi inconvenienti è necessario coordinare fra loro andamento planimetrico e altimetrico della
strada, in quanto il difetto ottico nella visione prospettica nasce quando all’interno di un elemento di tracciato
planimetrico di caratteristica geometrica costante s’introduce una variazione di pendenza longitudinale con
un raccordo di sviluppo inferiore a quello planimetrico, ad esempio una curva nella quale è inserito un breve
raccordo altimetrico.
Di seguito vengono mostrati i difetti di coordinamento fra elementi planimetrici ed altimetrici.
1) Occorre evitare che il punto di inizio di una curva planimetrica coincida o sia prossimo con la sommità di
un raccordo verticale convesso (cunetta). Se ciò si verificasse, risulterebbe nascosto il cambiamento di
direzione planimetrica.
2) Occorre evitare che un raccordo planimetrico (curva) inizi immediatamente dopo un raccordo verticale
concavo (sacca). Se ciò si dovesse verificare, la visione prospettica dei cigli presenterebbe una falsa piega.
Quando non è possibile spostare i due elementi in modo che le posizioni dei rispettivi vertici coincidano si
deve imporre che Rv/ R 6.
3) Occorre evitare l’inserimento di raccordi verticali concavi (sacche) di piccolo sviluppo all’interno di curve
planimetriche di grande sviluppo. In questo caso, la visione prospettica di uno dei cigli presenta difetti di
continuità. Per correggere tale difetto occorre aumentare il rapporto Rv/R in modo che gli sviluppi dei due
raccordi coincidano.
4) Occorre evitare il posizionamento di un raccordo concavo (sacca) immediatamente dopo la fine di una
curva planimetrica. Anche in questo caso nelle linee di ciglio si presentano evidenti difetti di continuità ed
inoltre si percepisce un restringimento della larghezza della sede stradale che può indurre l’utente ad
adottare comportamenti non rispondenti alla reale situazione del tracciato. Questo difetto può essere corretto
portando a coincidere i vertice dei due elementi.
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5) Occorre evitare che il vertice di un raccordo concavo (sacca) coincida o sia prossimo ad un punto di flesso
della linea planimetrica. Anche in questo caso la visione prospettica è falsata e l’utente percepisce un falso
restringimento della larghezza della sede stradale. Anche in questo caso il difetto può essere risolto
portando a coincidere i vertici dei due elementi.
Le altre due figure, si riferiscono invece a due casi di perdita di tracciato in corrispondenza di un rettifilo e di
una curva circolare; la piattaforma stradale scompare alla vista del conducente in corrispondenza di un
dosso e contemporaneamente riappare oltre il dosso stesso.
La perdita di tracciato può verificarsi ogni volta che un raccordo concavo segue un raccordo convesso. Lo
studio preciso del coordinamento fra andamento planimetrico e andamento altimetrico di una strada può
essere eseguito dal progettista solo disegnando le prospettive così come appaiono al conducente, perché
fra l’altro esse variano con la velocità di progetto.
Tuttavia si possono segnalare una serie di regole per il coordinamento.
1) Un raccordo verticale deve essere inserito all’interno di un elemento del tracciato orizzontale avente
caratteristiche omogenee. Così esso può investire una clotoide e il successivo arco di cerchio avente
curvatura dello stesso segno, oppure i due tratti di curvatura opposta di una clotoide di flesso.
Inoltre è bene che lo sviluppo del raccordo verticale comprenda gran parte di quello dell’elemento di
tracciato orizzontale in cui è inserito.
2) Quando un raccordo verticale convesso è inserito in una curva del tracciato orizzontale, è opportuno
localizzare l’origine del raccordo dopo una deviazione di circa 3° della clotoide che precede la curva
circolare. Questa condizione deve essere rispettata tanto più rigorosamente quanto minore è il raggio della
curvatura orizzontale. Tale regola serve per garantire che l’utente veda l’esistenza della curva orizzontale
prima dell’inizio del dosso, in modo da evitare pericolosi effetti sorpresa.
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Curva di transizione
Nella geometria stradale l’opportunità di inserire una curva di transizione tra arco di cerchio e rettilineo deriva
da problematiche differenti.
Essendo il veicolo stradale non vincolato ad una specifica traiettoria imposta geometricamente, può
percorrere ed in generale percorre una propria traiettoria di transizione che è definita dalla sterzatura
applicata dall’utente alla guida.
D’altra parte una geometria priva di transizione tra cerchio e rettilineo non può essere esattamente percorsa
dal veicolo stradale considerata l’impossibilità di ruotare istantaneamente lo sterzo nel punto di raccordo in
modo da passare dall’assetto delle ruote in rettilineo ad un assetto deviato di uno specifico angolo θR che
consenta di percorrere l’arco di cerchio di raggio R.
Ciò sarebbe possibile in prima approssimazione solo se il veicolo si fermasse in corrispondenza del punto di
raccordo e, a veicolo fermo, l’assetto delle ruote passasse da θ=0 a θ=θR.
Pertanto allo scopo di disporre di una geometria dell’asse stradale teoricamente percorribile da un veicolo è
indispensabile inserire un arco di transizione tra il rettilineo ed il cerchio, tale per cui la curvatura vari lungo la
transizione regolarmente e l’utente possa articolare una manovra così che la traiettoria del veicolo non si
discosti dall’asse stradale.
Assunto che il passo tra il treno delle ruote anteriori e posteriori di un generico veicolo si pari a p, la
curvatura nel generico punto dell’arco di transizione sia 1/ρ e l’angolo al centro che sottende il passo p sia θ,
si ha: p = p = p(d / dt) dt = p(d / dt) (s / v) Da cui: ps = vp/ (d / dt)
Assunta una velocità costante (v) e una velocità di sterzatura costante (dθ/dt) si ottiene l’equazione in
n +1
coordinate intrinseche della clotoide ps = cost = A , spirale d ps = A
2 n
i grado n=1
Il dimensionamento di una clotoide deve rispettare alcuni criteri al fine di garantire una configurazione idonea
sotto il profilo della sicurezza dell’esercizio viario:
• Metodo dinamico (limitazione del contraccolpo):
Affinché lungo un arco di clotoide si abbia una graduale variazione dell’accelerazione trasversale non
compensata nel tempo (contraccolpo c), fra il parametro A e la massima velocità V (km/h) desunta dal
diagramma delle velocità, per l’elemento di clotoide deve essere verificata la relazione:
V 3 gVR(qf − qi)
A A min = −
c c
Dove: qf = pendenza trasversale nel punto finale della clotoide
qi = pendenza trasversale nel punto iniziale della clotoide c max = contraccolpo
Trascurando il secondo termine dell’espressione del radicando ed assumendo per il contraccolpo il valore
A 0.021 V 2
limite c = 50.4 / V [m/S2]; si ottiene:
Una volta calcolato A, calcoliamo: L = A / R
2
e = L2 / 2 A 2
• Metodo costruttivo (sovrapendenza longitudinale):
Nel caso in cui il raggio iniziale sia di valore infinito (rettilineo o punto di flesso), il parametro deve verificare
R
la seguente disuguaglianza: A A min = 1000 Bi (qi+ qf)
i max
Dove: Bi = distanze fra l’asse di rotazione ed il ciglio della carreggiata nella sezione iniziale della curvatura a
raggio variabile [m]
i max (%) = sovrapendenza longitudinale massima della linea costituita dai punti che distano Bi dall’asse di
rotazione; in assenza di allargamento tale linea coincide con l’estremità della carreggiata
q i = i ci /100 dove ici = pendenza trasversale iniziale, in valore assoluto
q f = icf /100 dove icf = pendenza trasversale finale, in valore assoluto
Nel caso in cui anche il raggio iniziale sia di valore finito (continuità) l parametro deve verificare la seguente
Bi (qf − qi)
disuguaglianza: A A min =
1 1 i max
Ri Rf 100
Dove: Ri = raggio nel punto iniziale della curva a raggio variabile [m]
Rf = raggio nel punto finale della curva a raggio variabile [m] • Metodo Ottico: Per garantire la
percezione ottica del raccordo deve essere verificata la relazione: A R/ 3 (Ri/ 3 in caso di continuità)
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Per tracciare il raccordo di transizione tra i due rettifili che formano un angolo di deviazione α nel vertice V,
noti il raggio R dell’arco di cerchio ed i parametro A1 ed A2, scelti in funzione di R con i criteri visti in
precedenza, si deve posizionare il centro del cerchio rispetto ai due rettifili. Per fare ciò è necessario
calcolare la distanza dal vertice V delle origini O1 ed O2 delle due clotodi. La formula per calcolare tali
distanze O1V ed O2V può essere ottenuta per via grafica.
Flesso
Il raccordo di flesso è utilizzato per raccordare due archi di cerchio le cui curvature hanno segno opposto.
Questo raccordo è costituito da due clotoidi contrapposte le cui origini coincidono nel punto O (punto di
flesso). Nel punto di flesso le due clotoidi sono tangenti tra loro, ovvero, sono entrambe tangenti al rettifilo
degenere che si è ridotto al solo punto O. Da notare che, essendo le due clotoidi tangenti tra loro in O,
origine di entrambi i sistemi di riferimento, gli assi dei due sistemi di riferimento coincidono. La figura
seguente può aiutare a comprendere la costruzione del raccordo di flesso.
Per tracciare il raccordo di flesso, note le coordinate dei loro centri C1 e C2 ed i loro raggi R1 ed R2, e quindi
la distanza D tra i due cerchi, è necessario trovare i due parametri A1 ed A2 e la posizione dei sistemi di assi
xy a cui essi sono riferite. Per risolvere questo problema è necessario ipotizzare di conoscere la posizione
del sistema di assi Oxy e considerare il triangolo C1C2G riportato nella seguente figura. E’ importante
osservare che, ad eccezione del caso in cui il raccordo sia simmetrico (R1 = R2; A1 = A2), la retta
congiungente C1 e C2 non passa per l’origine O.
Poiché il triangolo è un triangolo rettangolo, è
possibile applicare il teorema di Pitagora:
C1C22 = C1G2 + C2G2
I due cateti, paralleli agli assi x ed y dei sistemi
di riferimento a cui sono riferite le due clotoidi,
possono essere scritte come la somma delle
coordinate dei due centri espressi rispetto agli
stessi sistemi di riferimento:
(R1 + D+ R 2 )2 = (Xc1 + Xc2 )2 + (Yc1 + Yc2 )2
Tenendo conto delle equazioni per calcolare le
coordinate del centro del cerchio nel sistema di
riferimento della clotoide:
Xc = xp− R sen Yc = yp+ R cos
È possibile scrivere:
(R1 + D+ R 2 )2 = [(xp1 − R1 sen 1 ) + (xp2 − R 2 sen 2 )]2 + [(yp1 + R1 cos 1 ) + (yp2 + R 2 cos 2 )]2
Sostituendo a xp1, yp1 e xp2 e yp2 le equazioni complete con lo sviluppo in serie e ricordando che vale:
A12 A 22
1 = e 2 = Si ottiene un’equazione complessa con incognite A1 e A2
2 R 12 2 R 22
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Poiché l’equazione presenta due incognite è necessario introdurre un’ulteriore relazione. Pertanto si deve
fissare il rapporto tra A1 ed A2. Normalmente, questo rapporto deve essere scelto in modo che, noti R1 ed
R2, le due clotoidi abbiano lunghezze simili e quindi può variare tra 0.7 A1 / A 2 1.3 non discostandosi
troppo dall’unità. Calcolate tutte le grandezze geometriche caratteristiche delle due clotoidi è possibile
posizionare nel piano rispetto ai due cerchi il sistema di riferimento Oxy per tracciare il raccordo.
Xc1 + Xc 2
Infatti, l’angolo tra la congiungente i due centri e l’asse y è pari a: =
Yc1 + Yc 2
Pertanto, si possono riportare a partire dai centri C1 e C2 i segmenti di lunghezza rispettivamente Yc1 e Yc2
inclinati di rispetto alla congiungente i due centri identificando i punti M ed N per i quali passa l’asse x;
spostandosi lungo l’asse x da M della lunghezza Xc1 o da N della lunghezza Xc2 è quindi possibile
posizionare l’origine O del sistema di riferimento.
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Continuità
Il raccordo di continuità è costituito da un arco di clotoide che raccorda due archi di cerchio, uno interno
all’altro ma non concentrici, le cui curvature hanno segno uguale, cioè sono percorsi nello stesso senso. A
differenza degli altri raccordi, nel raccordo di continuità il punto iniziale non ha curvatura 1/R infinita poiché
non è tangente ad un rettifilo bensì ad un arco di cerchio. Il raccordo di continuità è costituito da una
porzione di un’unica clotoide di parametro A che parte dal punto P1 di curvatura 1/R1 tangente al cerchio di
centro C1 e termina nel punto P2 di curvatura 1/R2 tangente al cerchio di centro C2. La seguente figura
consente di meglio comprendere il raccordo di continuità.
Per risolvere questo problema è necessario ipotizzare di conoscere la posizione del sistema di assi Oxy e
considerare il triangolo C1C2G riportato nella seguente figura.
È possibile scrivere:
(R1 − R 2 − D)2 = [(xp2 − R 2 sen 2 ) − (xp1 − R1 sen 1 )]2 + [(yp1 + R1 cos1 ) − (yp2 + R 2 cos 2 )]2
Sostituendo a xp1, yp1 e xp2 e yp2 le equazioni complete con lo sviluppo in serie e ricordando che vale:
A12 A 22
1 = e 2 = Si ottiene un’equazione complessa con incognita il parametro A
2 R 12 2 R 22
Calcolate tutte le grandezze geometriche caratteristiche della clotoide è possibile posizionare nel piano
rispetto ai due cerchi il sistema di riferimento Oxy per tracciare il raccordo.
Xc 2 − Xc1
Infatti, l’angolo tra la congiungente i due centri e l’asse y è pari a: =
Yc1 − Yc 2
19
Allargamento in curva
Allo scopo di consentire la sicura iscrizione dei veicoli nei tratti curvilinei del tracciato, conservando i
necessari franchi fra la sagoma limite dei veicoli ed i margini delle corsie, è necessario che nelle curve
circolari ciascuna corsia sia allargata di una quantità E, data dalla seguente relazione: E = K/R (m)
Dove: K = 45, R = raggio esterno (in m) della corsia
Per R > 40m si può assumere, nel caso di strade ad unica carreggiata a due corsie, il valore del raggio
uguale a quello dell’asse della carreggiata. Nel caso di strade a carreggiate separate, o ad unica carreggiata
a più di una corsia per senso di marcia, si assume come raggio per il calcolo dell’allargamento quello
dell’asse di ciascuna carreggiata o semi carreggiata.
Se l’allargamento E, così calcolato, è inferiore a 20 cm, la corsia conserva la larghezza del rettifilo.
Il valore così determinato potrà essere opportunamente ridotto, al massimo fino alla metà, qualora si ritenga
poco probabile l’incrocio in curva di due veicoli appartenenti ai seguenti tipo: autobus, ed autocarri di grosse
dimensioni, autotreni ed autoarticolati.
L’allargamento complessivo della carreggiata o semicarreggiata Et sarà pari alla somma degli allargamenti
delle singole corsie nel caso in cui esse siano in numero di una o al massimo due per senso di marcia, nel
caso in cui il numero di corsie per senso di marcia sia maggiore di due, l’allargamento complessivo della
carreggiata sarà pari alla somma di quelli calcolati per le due corsie più interne alla curva
1) Nel caso di raccordo clotoidico (rettifilo/curva), l’allargamento parte 7.50 m prima dell’inizio della curva di
raccordo e termina 7.50 m dopo il punto finale del raccordo.
La lunghezza complessiva Lz del tratto di strada lungo il quale si effettua l’allargamento è: L Z = 2 7.50 + L
3) Nel caso di flesso, per ciascun ramo del raccordo l’inizio del tratto di allargamento è anticipato di 7.50m
rispetto al punto di flesso e termina di uguale misura dopo il punto finale della curva di raccordo, si ha quindi:
L Z = 2 7.50 + L
4) Nel caso di raccordo di continuità l’allargamento avviene lungo il raccordo. Pertanto risulta: Lz = L
L’allargamento complessivo della carreggiata deve essere riportato tutto sul lato interno della cruva. Le
banchine e le eventuali corsie di sosta conservano le larghezze che hanno in rettifilo
22
Poiché h1 = 1.1m, h 2 = 1.1m (sorpasso) o h 2 = 0.1m (arresto) mentre R è pari a centinaia o migliaia di
metri, si ottiene: 2Rh1 X e 2Rh 2 Y
2 2
Da cui: D = X+ Y = 2h1R + 2h 2R
( ) ( )
2
Quindi: D2 = 2 h1R + 2 h 2 R = 2 R h1 + h 2 + 2 h1h 2
Da cui si può ricavare il valore di R, ovviamente indipendente da i
D2
R=
2 (h1 + h 2 + 2 h1h 2 )
Questa è la relazione riportata dal D.M. 05/11/2001 per calcolare il raggio R del raccordo verticale convesso
nel caso D<L
23
D>L
Il raccordo convesso è effettivamente in grado di limitare la distanza di visibilità D per tutte le distanze di
visibilità la cui verifica è richiesta dal D.M. 05.11.2001. Il calcolo del valore del raggio Rv in funzione della
distanza D si distingue in due casi, a seconda che D sia minore o maggiore della lunghezza del raccordo L.
Nel primo caso il valore minimo del raggio Rv dipenderà solo dalla distanza di visibilità D da garantire,
mentre nel secondo sarà funzione anche della differenza di pendenza Δi.
D = EA + AB + BF (1)
h1 h2
AB = R tg + R tg EA = BF =
2 2 sen sen
Poiché le pendenze, e quindi gli angoli e ; sono piccoli in ambito stradale
1 1 1 1
AB R tg + R tg = R (tg + tg ) = R i (2)
2 2 2 2
Vale inoltre la relazione:
BC
AB sen = BC sen → sen = sen
AB
Ricordando che gli angoli sono piccoli (pertanto vale la semplificazione sen tg i) e sostituendo AB
BC 2 2
con la (2) si ha: sen = i = BC i = BC tg
AB R i R
2
Inoltre: sen tg tg − tg i − tg = i − BC
R
R R
Pertanto è possibile esprimere EA e BF come: EA = h1 BF = h 2
2 BC R i− 2 BC
R 1 R
La (1) si può quindi esprimere come: D = h1 + R i + h 2 (3)
2 BC 2 R i − 2 BC
Da questa equazione si osserva che la distanza D dipende non solo da R ma anche dalla lunghezza
BC, e quindi dipende dalla posizione del veicolo e dell’ostacolo rispetto al raccordo. Volendo valutare il
valore da assicurare al raggio R nella posizione più sfavorevole poiché è necessario garantire sempre la
distanza di visibilità D, è necessario annullare la derivata prima rispetto a BC.
24
D R 1 2R
= − h1 + R i+ h 2 =0
BC 2 BC 2
2 (R i− 2 BC) 2
R i
La lunghezza BC per la quale questa derivata si annulla è pari a: BC = (h1 − (h1 h 2 ) (4)
2 (h1 − h 2 )
R i h1 + h 2 + 2 h1 h 2
Sostituendo la (4) nella (3): D= +
2 i
2 h + h + 2 h1 h 2
Da cui: R= D− 1 2
i i
A differenza dell’equazione ottenuta nel caso in cui D < L, in questo caso il raggio R del raccordo dipende
dalla variazione di pendenza Δi. L’equazione presenta un andamento crescente al crescere della differenza
di pendenza Δi, raggiunge il punto di massimo per D = L, oltre il quale decresce al crescere della differenza
di pendenza Δi. Questa è la relazione riportata dal D.M. 05.11.2001 per calcolare il raggio R del raccordo
verticale convesso nel caso D > L.
25
Poiché AA’ è piccolo rispetto ad AC ed inoltre R è grande si può ritenere che: AC A'C D
Con riferimento alla figura vale: BC = BB'+ B'C = hf + A'C sen hf + D sen
Con hf altezza dei fari ed semiaperta degli stesso fari, vale inoltre:
AC AC D
= R sen quindi sen = (1)
2 2 2 2R 2R
L’angolo BAC vale e pertanto: BC = AC sen (2)
2 2
D D2
Unendo le equazioni (1) e (2) si ottiene: BC = AC sen
2R 2R
D2
Sostituendo BC: hf + D sen =
2R
D2
Da cui si può ricavare il valore di R, ovviamente indipendente da i : R =
2(hf + D sen )
Questa relazione riportata da DM 05/11/2001 per calcolare il raggio R del raccordo verticale concavo nel
caso D<L
26
D>L
Il raccordo concavo, a differenza di quello convesso, non limita la distanza di visibilità in tutti i casi, ma solo
in particolari condizioni. In effetti, di giorno, in condizioni di buona luminosità un oggetto posto sulla
carreggiata può essere visto dal guidatore indipendentemente dal valore del raggio Rv del raccordo, così
come un veicolo che proviene in senso opposto. Analogamente, anche di notte un veicolo che proviene in
senso opposto è identificato poiché i suoi fari sono ben visibili nel buio. In effetti, l’unica distanza di visibilità
D che deve essere verificata per un raccordo concavo è quella relativa all’arresto ma limitatamente al caso
notturno. Infatti, in questo caso è necessario che il fascio di luce prodotto dai fari del veicolo illumini
l’ostacolo posto sulla carreggiata ad una distanza superiore o, al limite uguale, alla distanza di visibilità per
l’arresto.
Il punto B di illuminazione del faro è
esterno al raccordo.
R R
L
A' B
A
M F A'B = D
BC' = D sen
V
AM = Rv sen
tg = i1 + i 2 2
C'
C hf
AF = 2AM = 2 Rv sen
2
AB AF
Tracciamo AB e AF, consideriamo il triangolo AFB e scriviamo il teorema dei seni: =
sen AFB sen
2 Rvsen
D 2
Con: AB = D, AF = 2 Rvsen , sen AFB = sen180 − = sen , =
2 2 2 sen
sen
2
Poiché = 1 + 2 tg = tg 1 + tg 2 = i1 + i 2 = i
1 1 1
Per ipotesi di angoli piccoli: sen sen tg = i
2 2 2 2
2 Rv sen
2D i
Per cui la precedente formula diventa: = 2 sen = Rv sen
i sen 2 D
Ci serve una relazione che leghi D con Rv:
i Rv i 2
Poiché sen sen =
=
2 2 2D
sen = i Rv i 2
= − Ma con: = sen − sen = −
2 sin 2 = 2 2 2 2D
27
I limiti di Atterberg
I limiti di Atterberg rappresentano quei valori limite corrispondenti alla transizione da uno stato in cui si può
trovare un’argilla, ovvero: 1) lo stato liquido è quello in cui le particelle di argilla si trovano in sospensione
all’interno nell’acqua 2) lo stato plastico è quello in cui l’argilla diviene lavorabile 3) lo stato semisolido è
quello in cui la quantità di acqua presente non permette più una lavorabilità ottimale 4) lo stato solido è
quello in cui l’argilla si trova a seguito di essiccamento.
I limiti di Atterberg vengono determinati su un campione di terreno prelevato dal passante al setaccio ASTM
n 200 ovvero sulla frazione limo-argillosa di terreno.
• Limite liquido (wL) = è il contenuto d’acqua che separa lo stato liquido dallo stato plastico dell’argilla. Esso
si determina utilizzando la prova con cucchiaio di Casagrande, una specie di scodella che viene
ripetutamente sollevata e fatta cadere su un supporto rigido di ebano da un’altezza di 60mm. Il campione da
sottoporre a prova viene posto sul cucchiaio; si effettua un solco al centro di esso mediante un utensile
solcatore standardizzato, in modo che il materiale venga diviso in 2 frazioni uguali. Si conta quindi il numero
di colpi subiti dal campione (N), a seguito delle ripetute cadute del cucchiaio, necessario alla parziale
chiusura del solco; dopo la prova si determina poi il contenuto d’acqua del campione (wn).
Queste operazioni vanno ripetute in modo da poter avere a disposizione 4 o 5 coppie di valori (n° di colpi-
contenuto d'acqua), per poter tracciare un diagramma e da esso ricavare il valore del contenuto d'acqua
corrispondente ad un numero di colpi N = 25. Convenzionalmente tale valore equivale al limite liquido.
• Limite plastico (wP) = rappresenta, per un terreno, il contenuto d’acqua in corrispondenza del quale il
terreno inizia a perdere lavorabilità. Esso si determina formando manualmente, per rotolamento su una
lastra di vetro, dei cilindretti di terreno di diametro circa 3mm e lunghezza circa 80 mm che presentino sulla
superficie un diffuso e uniforme stato fessurativo. Il contenuto d’acqua del materiali fornisce il limite plastico.
Quanto minore è wP quanto maggiore è la capacità dell’argilla di perdere acqua, mantenendo inalterate la
sua plasticità.
• Limite di Ritiro (wR) = è il valore del contenuto d’acqua al di sotto del quale ogni ulteriore diminuzione della
quantità di acqua nel terreno non ne provoca più diminuzione di volume. La sua determinazione viene fatta
su un campione di terreno indisturbato conoscendo il peso di volume reale di una terra ( s ) e misurando il
suo volume V in condizioni asciutte, mediante volumenometro a mercurio, secondo la relazione:
100 Vs Il limite di ritiro è di particolare interesse poiché fornisce una misura della
w R (%) = V− capacità di rigonfiamento di una terra, in quanto per contenuti d’acqua a
P S esso superiori, il terreno aumenta di volume rigonfiando, e, se costituisce il
sottofondo di una pavimentazione, provoca nella sovrastruttura effetti fortemente dannosi, quali:
- Il sollevamento e la deformazione del piano viabile e di conseguenza la fessurazione degli strati legati alla
pavimentazione
- Netta riduzione della portanza del sottofondo, rapido decadimento strutturale della pavimentazione,
formazione di ormaie e, nei casi più gravi, sfondamenti nella pavimentazione
• Indice di Plasticità = esso è dato dalla differenza tra il limite di liquidità e quello di plasticità: I P = w L − w P
Esso permette di definire l’ampiezza dell’intervallo dei contenuti d’acqua che caratterizza lo stato platico del
terreno. I limiti di Atterberg, e di conseguenza IP, sono correlati alla quantità di argilla presente nel campione
di prova e ai minerali argillosi che la compongono.
• Indice di Consistenza = esso è dato dal seguente rapporto:
wL − wn wL − wn
IC = = Dove: wn = contenuto d’acqua del terreno allo stato naturale
wL − wP IP
L’indice di consistenza delle terre fornisce indicazioni utili sulle condizioni operative di cantiere; infatti:
- per IC < 0.7 si ha difficoltà di circolazione che comporta una scarsa trafficabilità per i mezzi d’opera
- per IC > 1.4 si ha difficoltà di costipamento e quindi scarsa compattibilità del terreno in quanto troppo secco
w− wP
• Indice di Liquidità = esso è dato dal seguente rapporto: IL = = 1 − IC
IP
3
umidità ottima w% w%
• Prova CBR
È un metodo analogo alla prova Proctor; sul materiale costipato si esegue una misura convenzionale di
portanza relativa alla capacità del terreno di sopportare i carichi senza pericolosi cedimenti.
Il campione viene sottoposto alla punzonatura: una sonda a sezione cilindrica di 5 cm di diametro viene fatta
penetrare, a velocità costante (1 mm ogni 50 secondi), nel campione contenuto nella fustella già impiegata
nella prova Proctor e si misurano le pressioni trasmesse dalla sonda al terreno in corrispondenza delle
penetrazioni di 2.5 mm e 5mm
Tali pressioni vengono rapportate a quelle necessarie per ottenere eguali penetrazioni in un terreno
campione della California costipato alla densità massima della prova AASHO modificata, pari rispettivamente
a: P2.5 → 70 Kg/ cm e P5 → 105Kg/ cm2
2
I rapporti che ne risultano, moltiplicati per 100, forniscono gli indici CBR per la terra in esame:
P2.5 P5
ICBR = 100 (%) ICBR = 100 (%) Come indice CBR si prende quello più grande tra i due
70 105
Se si ripete la prova CBR sul materiale costipato a diversi contenuti d’acqua si ricava la legge di variazione
della portanza (non più del costipamento come in Proctor) in funzione del contenuto d’acqua:
CBR
w%
Wopt per la Wopt per il
portanza costipamento
5
La portanza dei sottofondi stradali: modelli teorici e verifiche sperimentali – Indice CBR e Mc Leod
Innanzitutto il sottofondo è lo strato più superficiale del terreno in sito (se la strada è in trincea) o del rilevato,
su cui poggia la pavimentazione e nel quale le tensioni prodotte dai carichi transitanti sulla strada assumono
ancora valori apprezzabili.
• La portanza dei sottofondi stradali:
Un sottofondo deve possedere una rigidità sufficiente a garantire una corretta costruzione e una buona
durata della pavimentazione sovrastante; quindi diventa indispensabile determinare sperimentalmente un
parametro che dia la misura della rigidità del sottofondo, cioè la capacità di resistere ai carichi, tale
parametro è la portanza.
La portanza del sottofondo è un parametro fondamentale che fornisce la misura della rigidità del sottofondo.
Questo parametro è utilizzato nel dimensionamento della pavimentazione sovrastante e viene definito e
calcolato in modi diversi a seconda dei metodi di calcolo impiegati per il progetto della pavimentazione.
Tali metodi possono dividersi in due grandi categorie:
1) Metodi Empirici (CBR) = ricavati dall’esperienza acquisita nell’osservazione del comportamento di
pavimentazioni già costruite nel passato. Si riferisce alla prova CBR e al calcolo dell’indice (spiegata prima)
2) Metodi Razionali = ricavano lo stato tensionale e di deformazione della pavimentazione per via analitica
studiando un modello schematico della pavimentazione stessa. Il vero problema è che non si conoscono tutti
i legami costitutivi, a partire dal sottofondo, a questo scopo si è introdotta la:
• Prova di carico su piastra:
Si appoggia sul sottofondo una piastra circolare rigida d’acciaio, in posizione orizzontale, sulla quale si
applica un carico P mediante un martinetto idraulico e tramite una serie di comparatori (3 per avere una
media significativa) centesimali, appoggiati sulla piastra, si misurano i cedimenti del piano di sottofondo
durante la prova. Dalla media delle 3 misure, una a 120° dall’altra, si ottiene un carico P e un cedimento f.
Effettuando diverse misure si ottengono diverse coppie di valori (P,f) le quali si possono tradurre in punti in
un diagramma:
P (peso) Questi punti uniti formano il diagramma carico – cedimenti
f (affondamento)
Dopo aver applicato il carico si toglie; nella fase di scarico si noterà che i punti (Pi, fi) non ripercorrono la
curva di carico e alla fine rimane una deformazione residua Ep:
p P
Nel ciclo di carico – scarico sulla piastra si possono osservare 3
el carico comportamenti del fondo:
- Elastico = il sottofondo restituisce la deformazione avvenuta col carico
scarico - Plastico = dato dalla deformazione residua Ep
- Viscoso = dovuto a un carico permanente e a uno scorrimento ritardato
f del terreno per effetto di scorrimenti esterni
La deformazione viscosa è funzione del tempo e non è possibile rappresentarla in un diagramma −
Applicando e togliendo più volte il carico nello stesso punto il cedimento elastico ottenuto in ciascun ciclo
rimane invariato mentre quello permanente decresce con il numero n dei cicli di carico.
La somma dei cedimenti permanenti ottenuti in n cicli, ovvero il cedimento residuo totale, varia linearmente
con il logaritmo decimale di n: p = a + b log n
Dove: a e b = sono due costanti che dipendono dalle caratteristiche del sottofondo, dall’entità della pressione
applicata e dal diametro della piastra rigida. Questa formula non è altro che la legge di McLeod:
Pmax
pl1 P Legge di McLeod: pltot = p = plI + k log n
Dove: pl I = cedimento al primo ciclo n = n° cicli
el=cost K dipende dal diametro della piastra e dal tipo di materiale
7
Superato un certo valore di cicli entra in gioco l’effetto fatica dove le deformazioni incrementano in modo
esponenziale e la Legge di McLeod non è più valida.
Finché la pressione non supera un certo limite, per un dato sottofondo e per una data piastra di carico, il
cedimento totale δ cresce linearmente con la pressione fino a raggiungere un certo valore max (76 cm) oltre
al quale il cedimento è costante.
Questo risultato viene espresso con un diagramma in cui sull’asse delle ascisse si riportano i rapporti
P / A = 2 / R e sull’asse delle ordinate i rapporti P / δ fra pressione e cedimenti
P
_
D>76cm D<76cm
P = 2 R A = R2
Variazione del cedimento di un sottofondo al variare del
diametro della piastra
P 2
_=_
A R
Si è visto che se il diametro della piastra è inferiore a 76cm, il cedimento è quello che si ricava dallo studio
del semispazio elastico; per diametri maggiori è invece indipendente dal diametro della piastra.
Perciò se nel progetto della pavimentazione si assume come modello del sottofondo un semispazio elastico
omogeneo ed isotropo con modulo elastico E e coefficiente di Poisson , il legame fra pressione p e
cedimento δ ottenuto con una prova di carico con piastra circolare rigida è dato dalla
E 2 2
Legge di Boussinesq: P= = C
(1 − ) R
2
R
Dove: C = costante di Boussinesq, = coefficiente di Poisson, E = modulo elastico, δ = cedimento
Questa relazione rappresenta una retta passante per l’origine che da un certo punto in poi ha un andamento
simile alla curva sperimentale.
Se invece si assume il secondo modello, Modello di Winkler, vuol dire che si assume come modello del
sottofondo un letto di molle; la legge che lo regola è: P = Kδ
In questo caso la portanza è caratterizzata dal rapporto P/ δ = K
Dove: K = costante di reazione del sottofondo
Quindi se si assume il modello di Winkler la portanza deve essere misurata con una piastra di diametro
D>76cm.
P
_
D>76cm D<76cm Con queste due rette si forma una bilatera che è abbastanza
prossima alla curva sperimentale.
sq Quindi:
ine
Bo
us
s
Per D<76cm → Boussinesq (pavimentazione flessibile)
Winkler Per D>76cm → Winkler (pavimentazione rigida)
2
_
R
• Modalità di prova per pavimentazione Flessibile: la misura si esegue con una piastra circolare
generalmente di 30 cm di diametro alla quale viene applicato un carico via via crescente in modo che il
sottofondo riceva un incremento di pressione Δp = 0,5 Kg/cm2 e ad ogni incremento di carico si legge
l'incremento Δs di cedimento della piastra.
La portanza è convenzionalmente fornita dal modulo di deformazione del sottofondo Md dato dalla relazione:
Md = (Δp/Δs) moltiplicato per D (diametro della piastra)
Dove: Δs viene misurato in corrispondenza dell'incremento di pressione compreso fra 1 e 1,5 Kg/cm2.
• Modalità di prova per pavimentazione Rigida: per la pavimentazione rigida si utilizza una piastra con
d=70cm e si effettua una prova a ciclo unico di carico-scarico. Con un martinetto idraulico viene inizialmente
dato un precarico P = 0,1 Kg/cm2 sulla piastra e si effettua la lettura. Dopo 15 minuti si dà un carico
P = 0,8 Kg/cm2 e si effettua una seconda lettura. Al termine si toglie completamente il carico e si misura
anche in questo caso il cedimento corrispondente δo che non arriva mai ad annullarsi.
Quindi calcolati i cedimenti: δ0.1, δ0.8 e δo calcolo K = (P0.8 − P0.1 ) / ( 0.8 − 0.1 )
Una volta fatte le due letture successive, se la differenza tra loro è < 3% il cedimento misurato con i
comparatori si ritiene costante.
La portanza richiesta a un sottofondo è diversa da strada a strada, in base alle caratteristiche del traffico e
della pavimentazione. E', però, importante che sia costante lungo ciascun tronco stradale in cui si ritiene di
dover adoperare lo stesso tipo di pavimentazione.
8
AGGREGATI LAPIDEI
Classificazione
In tutte le miscele che vengono impiegate nella tecnica stradale, gli aggregati lapidei rappresentano la fase
rigida delle pavimentazioni e la parte più importante in volume, circa l’80%.
Esse devono garantire:
- Funzioni costruttive (economicità e lavorabilità);
- Funzioni in opera (assicurare nel tempo le funzioni strutturali).
Tali inerti si legano elettronicamente con il bitume che è un legante organico:
- Gli inerti lisci = hanno una poca resistenza ma si legano bene al bitume;
- Gli inerti acidi = hanno elevata resistenza ma poca affinità col bitume.
• Le caratteristiche che si richiedono agli aggregati lapidei possono essere raggruppate in tre categorie:
1) Proprietà fisiche = identificano e descrivono il materiale con misure fondamentali: forma, porosità,
tessitura, assorbimento granulometrico e peso specifico
2) Proprietà chimiche = identificano chimicamente un materiale e descrivono le possibili trasformazioni
chimiche (affinità al bitume, adesione, suscettibilità all’acqua)
3) Proprietà meccaniche = sono particolari proprietà fisiche che indentificano la risposta del materiale
sottoposto a delle forze (resistenza a: compressione, consumo, degrado e durabilità)
• Gli aggregati lapidei possono essere divisi in due gruppi.
1) Aggregati naturali: Rocce magmatiche (intrusive vulcaniche o effusive piroclastiche), sedimentarie o
metamorfiche (a causa dei processi termici o chimici o meccanici).
In generale le rocce più utilizzate e più resistenti hanno una struttura fina e una porosità quasi nulla, in
compenso la microrugosità è durevole e si può contare su una buona permanenza degli spigoli vivi.
2) Depositi granulari: Ghiaie, sabbie e fillers. Sono materiali con forme generiche quindi bisogna considerare
il diametro medio
Proprietà Chimico – Fisiche
Gli aggregati lapidei risultano molto importanti nell'impiego delle costruzioni stradali; hanno diversa funzione
se vengono impiegati in strati superiori o inferiori delle sovrastrutture stradali.
Fanno parte della famiglia degli aggregati lapidei, indicati come inerti, le sabbie, i fillers e i granulati
frantumati. Inoltre gli aggregati lapidei vengono divisi in aggregati naturali (provenienti da frantumazioni di
rocce in massa o da frantumazioni di materiali alluvionali) e in aggregati artificiali (hanno una maggiore
durevolezza e una maggiore resistenza all'abradibilità rispetto agli aggregati naturali).
Le caratteristiche degli aggregati sono:
1) La forma = la forma di un grano è definita da tre dimensioni: la lunghezza L, la larghezza G (definibile
dalla maglia del setaccio) e lo spessore E (definibile da una setacciatura su vagli a barre). Per classificare le
forme intermedie si utilizzano i calibri e si determina un coefficiente di forma L/E e un coefficiente di
appiattimento dei grani G/E. Si hanno varie forme di aggregati, quelli piatti non vanno bene né per il cls, né
per i bitumi perché hanno una sezione meno resistente dell'altra e tendono a rompersi.
Essi si usano per riempire i vuoti attorno ai tubi o per fare lo strato anti capillare.
Per i cls gli inerti consigliati sono quelli tondeggianti perché creano un buon addensamento ma anche quelli
irregolari o angolosi mentre nel conglomerato bituminoso, quelli tondi non aderiscono e non legano con il
bitume e per questo, si usano inerti spigolosi.
2) La granulometria = è una misura convenzionale della distribuzione degli inerti. Per un materiale non viene
data una sola curva ma viene dato un fuso granulometrico che indica il limite entro cui la curva deve stare
Muovendosi all'interno del fuso si può far variare le caratteristiche del materiale.
3) Tessitura superficiale = dà l'idea della scabrezza (attrito che si oppone agli spostamenti relativi); gli inerti
di fiume sono stati levigati dall'acqua e la loro scabrezza è bassa quindi si usano inerti da frantoi.
4) Porosità = entra in gioco quando vien usato il legante, perché se il materiale è troppo poroso il legante
sparisce e il materiale diventa povero di legante.
5) Assorbimento d’acqua = nel bitume non deve esserci acqua altrimenti si stacca, quindi è importante
valutare la suscettibilità all'acqua.
6) Peso specifico = esso si può misurare a seconda dei vari casi:
- granuli = Pg / Vg Dove più granuli è alto e più il materiale è buono
- secco = Pg / Vtot (L’assortimento granulometrico è buono oppure no) - apparente = Pg+ PH2O / Vtot
7) Affinità al bitume = è necessario che gli inerti abbiano affinità al bitume, perché se non lo sono, quando
piove gli inerti si staccano e il tappeto di usura si consuma subito.
D’importanza minore e collegata a particolari condizioni di impiego, fanno parte anche le caratteristiche di
imbibizione e gelività.
La misura del coefficiente di imbibizione sono indispensabili ogni volta che l’aggregato non si presenta in
modo compatto, in tal caso i controlli possono avvenire sul calcolo della percentuale di legante oppure sul
controllo della percentuale dei vuoti.
9
Proprietà Meccaniche
Le proprietà meccaniche sono particolari proprietà fisiche che identificano la risposta del materiale
sottoposto a delle forze. Esse sono fondamentali per le caratteristiche statiche della costruzione.
Le più importanti sono:
1) Resistenza dei grani = sforzo di trazione o compressione a cui è sottoposto un granulo prima di rompersi
2) Stabilità = proprietà che permette ad una miscela di granuli di rimanere stabile sotto carico
3) Rigidezza = resistenza del granulo alla deformazione (espressa come modulo elastico)
4) Resistenza al consumo = attitudine di un granulo (riferito alla sua superficie) di resistere alla perdita di
massa per effetto di forze esterne. Questa caratteristica è sensibile alla presenza di acqua
5) Resistenza al degrado = è l’attitudine di un granulo a non ridursi in parti di minori dimensioni quando è
sottoposto a carichi (Es. miscelazione, compattazione, traffico)
6) Forma dei frammenti = è la forma 3D dei frammenti più piccoli che si producono per abradibilità
7) Modulo resiliente = è una particolare forma di modulo elastico.
I misti granulari, sotto cicli di carico, manifestano una componente di deformazione plastico-viscosa che non
si annulla con la rimozione del carico. Si determina mediante test dinamico (ripetuto)
È espresso dal rapporto tra lo sforzo massimo deviatorico e la componente di deformazione elastica
recuperata: MR = Dmax / R
Principali prove
• Prova Deval = vengono introdotti 5 kg di pietrisco (40-50 elementi) in un cilindro in ghiaia calettato inclinato
di 30° rispetto all’asse di rotazione; si produce così un movimento che fa rotolare gli inerti su se stessi e
contro le pareti del cilindro. La polvere che si produce tende ad arrestare il processo di consumo per attrito.
Dopo 10000 giri viene allontanata la polvere prodotta per lavaggio su un setaccio con apertura di maglia di
2mm. Si ricava in questo modo il coefficiente di Deval: Q = 40/C
Dove: C = è la percentuale della polvere rispetto al peso iniziale dell’aggregato (Q>10 buono)
• Prova Deval umida = Si differenzia dall'altra solo nel semplice fatto che nel cilindro viene immessa una
determinata quantità d'acqua e poi si procede in ugual modo rispetto alla prova precedente.
• Prova micro-Deval = Questa prova (introdotta per ottenere risultati correlabili con quelli della prova Los
Angeles) consente di misurare l’usura per attrito non più sul pietrisco ma sulle pezzature minori
effettivamente usate nelle più interessanti miscele stradali. La prova consiste nel far rotolare entro un cilindro
in rotazione introno al proprio asse 500g di materiale monogranulare inserendo nel cilindro stesso una
quantità di sferette di acciaio di 10 mm di diametro in quantità correlata alla pezzatura in esame.
Il coeff. Micro-Deval è pari alla percentuale di fino prodottasi durante la prova, allontanata per setacciatura
su setaccio da 2 mm.
• Prova Los-Angeles = viene fatta per misurare contemporaneamente il consumo per attrito e la tendenza
alla frantumazione. L’apparecchio che si usa è detto Los Angeles, esso è un cilindro ad asse orizzontale in
cui si introducono quantità prefissate di miscele granulometriche di inerte di diverse pezzature e anche sfere
d’acciaio che non solo rotolano insieme al materiale ma, per la presenza di un risalto d'arresto nella
superficie interna del cilindro, vengono trascinate in alto e cadono sul materiale che si trova in basso.
Il coefficiente Los Angeles è misurato dalla percentuale di frazione fina prodottasi (d<1,7 mm) allontanata
per setacciatura.
• Prova dell’equivalente in sabbia = serve per misurare non solo la quantità di fino ma anche la sua qualità,
quindi per vedere se il materiale è pulito. La prova si esegue su inerti passanti al 40 (< 5mm) prelevati dalla
miscela che si vuole esaminare; una quantità prefissata di tali inerti viene posta in un cilindro trasparente
graduato a fondo piano. Gli inerti vengono energicamente lavati con una soluzione flocculante che
impedisce alle sostanze organiche di precipitare. In questo modo, dopo aver messo a riposo il cilindro in
posizione verticale, gli inerti fini si depositano sul fondo (h1) mentre il fino flocculato si dispone
superiormente in una colonna (h2-h1).
A questo punto si misura l’altezza dei due strati: ES = (h1/ h 2) 100 Dove, appunto, h2 = altezza totale
ES viene utilizzato anche come misura della plasticità delle terre da impiegare nelle stabilizzazioni:
ES 35 (terra non plastica) 25 ES 35 (terra debolmente plastica) ES 25 (terra molto
plastica)
• Prova CPA = Misura l'abradibilità degli aggregati lapidei, cioè l'attitudine di alcuni materiali a consumarsi
superficialmente e a diventare scivolosi.
Consiste nell'incollare della graniglia in un unico strato su lamelle ricurve che vengono poi applicate sulla
superficie di rotolamento di una ruota; questa viene fatta girare mentre è premuta contro una ruota munita di
pneumatico con interposizione d'acqua e di una sostanza abrasiva.
Dopo 6 ore vengono smontate le lamine e sottoposte a misura di attrito radente.
Il rapporto tra questo valore e quello ottenuto su una lamina che porta un materiale campione di riferimento è
assunto come valore del CPA.
10
• Prova di Gelività = con questa prova si determina la sensibilità al gelo di aggregati lapidei; si mette una
quantità di inerti (di cui si è già calcolato il coeff. di Los Angeles) in un contenitore basso. Si sottopongono a
10 cicli di caldo (+20°) e freddo (-20°) poi si va a vedere se le pietre si sono rotte oppure no.
Al termine della prova ricalcolo il coeff. LA: se tra prima e dopo si ha una differenza di La > 20% la
determinazione non va bene.
Esistono inoltre vari CNR:
- CNR 65 = determinazione della porosità dei granuli
- CNR 95 = determinazione dei coefficienti di forma, appiattimento e allungamento
- CNR 137 = determinazione del coefficiente di inibizione
- CNR 62 = determinazione dei gamma
11
Inoltre è possibile rappresentare in un piano le coppie di dati ( , ) da prove di laboratorio:
t
inga
m n<1
Norton: = A n
B
ian
o n>1 Newtoniano: =
to n
Bingam: = o +
w
Ne Norton
Per quanto riguarda la reologia dei solidi visco-elastico bisogna dire prima di tutto che un solido visco-
elastico è un materiale che, sollecitato in modo costante, presenta deformazioni istantanee e differite nel
tempo. Un corpo visco-elastico lo si può considerare con modelli fisico-reologici comportamentali ottenuti
dalle diverse prove:
- La prova fluage o creep = consiste nell’applicare una sollecitazione che viene mantenuta costante nel
tempo studiando lo stato deformativo.
Nella prova si definisce un modulo di rigidezza S = o / (t) → S = f (t, T)
- La prova dinamica = si esegue una prova di sollecitazione sinusoidale in cui si arriva al calcolo di un
modulo complesso E*
13
log t
Eseguendo la prova di Creep a temperature diverse si ottiene:
log S
log t
Se nella prova di Creep, a un certo punto, blocco la deformazione, faccio rilassare il materiale e misuro la
poi vedo cosa succede in (t, ) :
to t to t
Proprietà meccaniche del bitume
Il bitume è un materiale termoplastico utilizzato come legante per trattenere insieme grani di diversa forma e
grandezza. Il mantenimento di questo legame richiede che vi sia adesione (tra bitume e grani) e coesione
(all’interno della pellicola del bitume) e poiché questo legame deve sussistere sia alle basse che alle alte
temperature, bisogna esaminare la consistenza del bitume e la variabilità di questa caratteristica.
A temperatura ambiente, la consistenza del bitume è quella di un solido (deformabile solo con forti
pressioni), a temperature elevate si ha un progressivo rammollimento mentre a temperature basse è così
rigido che diventa fragile.
Gli intervalli di temperatura particolarmente interessanti sono:
- Intervallo di temperatura di esercizio su strada (da -15°C a +60°C)
- Temperatura di confezione e posa in opera
La viscosità nell’ambito dell’intervallo d’esercizio dovrebbe mantenersi sensibilmente costante e molto
elevata. La temperatura non è, tuttavia, il solo parametro da cui dipendono le caratteristiche meccaniche del
bitume: trattandosi di un materiale viscoelastico il suo comportamento meccanico è molto sensibile alla
velocità di applicazione dei carichi.
1) Materiale perfettamente elastico 2) Materiale viscoelastico 3) Materiale viscoelastoplastico
recupero elastico
_ _ istantaneo
def. recuperata
nel tempo def. permanente
non recuperabile
to t1 t to t1 t2 t to t1 t
14
• Queste prove però forniscono indicazioni piuttosto sintetiche delle proprietà del bitume.
Un’interessante classifica dei bitumi è stata proposta da Heukelom il quale ha proposto di identificare
ciascun bitume attraverso la sua suscettività termica, cioè attraverso la legge di variazione di un certo
parametro in funzione della temperatura:
- per T<60° si considera come parametro la penetrazione
- per T>60° si considera come parametro la viscosità; in cui il bitume si comporta come un fluido newtoniano
Heukelom ha constatato che per molte classi di bitume vale la seguente proprietà: detti a, b, c, d quattro
valori qualsiasi di consistenza e Ta, Tb, Tc, Td i valori della temperatura ai quali tali consistenze vengono
raggiunte, allora vale che: (Ta - Tb) / (Tc - Td) → relazione invariante
Questa proprietà ha consentito la costruzione di una scala di rappresentazione delle consistenze, ai cui
estremi sono stati collocati rispettivamente: C = 0 in corrispondenza di viscosità = 1 Poise e
C = 1000 in corrispondenza di penetrazione = 0,1 mm.
Ora se si indica con: T1p la temperatura a cui corrisponde C = 0,
T1pen la temperatura a cui corrisponde C = 1000 e
Tx la temperatura a cui corrisponde il valore x della consistenza, allora, il valore Cx di tale consistenza
T1p − Tx
incognita è dato da: Cx = 1000
T1p − T1pen
Dunque è stato possibile, attraverso la misura della temperatura a diverse consistenze, costruire la
corrispondenza tra i valori di C e quelli di penetrazione o viscosità.
In questo modo è stato possibile costruire la legge di variazione della consistenza in funzione della
temperatura.
Frass
C
Penetrom. 1 Punti di
rammollimento
Diagramma C – T per bitumi “D”
d mm 2
10
10
4 Palla anello
Viscosità
Poise
1
T(°C)
(*) Dunque la consistenza è un’invariante per qualsiasi tipo di bitume poiché è definita dal rapporto di due
differenze di temperature tutte associate a uno stato di consistenza noto e per la proprietà dimostrata da
Heukelom tale rapporto è costante qualsiasi sia il bitume.
Egli ha suddiviso i bitumi in classi diverse a seconda di come si accordano con i risultati da lui trovati:
- Bitumi tipo “D” derivati da distillazione diretta (sono rette nel piano C–T)
- Bitumi tipo “S” soffiati (bilatere nel piano C – T)
- Bitumi tipo “P” ad alto contenuto di paraffina (sono due rette parallele nel piano C – T)
Grazie alla classificazione di Heukelom si è potuti arrivare alle 3 proprietà richieste ai bitumi secondo Krom e
Dormon:
1) Per ottenere una buona miscelazione aggregato – bitume è necessario che il bitume abbia una viscosità
di 2 poise per una temperatura compresa fra 140°C e 160°C
2) Per evitare la formazione di ormaie e il rifluimento del bitume alla superficie della pavimentazione è
necessario che la viscosità sia superiore ad un minimo alla massima temperatura raggiungibile sulla strada
(300, 700, 2000, 6000 poise a 60°C a seconda del clima e della circolazione)
3) Per evitare la fessurazione della pavimentazione è necessario che il bitume non diventi troppo fragile alle
basse temperature.
Prove di caratterizzazione dei bitumi
Bisogna descrivere la prova di penetrazione a 25 °C, la prova palla e anello e il punto di rottura Frass,
Heukelom e poi scrivere tutto da (*)
16
I conglomerati bituminosi sono miscele di aggregato (normalmente ottenuto per frantumazione) con legante
idrocarburato (bitumi solidi, flussati, catrami) confezionate a caldo in impianti centralizzati e successivamente
stese da macchine automatizzate. Le fasi per il progetto del conglomerato bituminoso sono: progetto della
miscela, confezionamento del conglomerato bituminoso, trasporto e posa in opera e controlli in opera
Progetto della miscela (MIX-DESIGN DEL CB)
Consiste nel progettare la miscela da utilizzare a seconda della pavimentazione. Il primo passaggio da fare è
lo studio preliminare in cui si sceglie una granulometria ottimale, cioè una curva granulometrica che
garantisca resistenza e durabilità. Il fuso viene dato da un capitolato speciale d’appalto ed è compreso fra 2
curve granulometriche: questa curva deve ricadere obbligatoriamente all’interno del fuso. All’interno della
miscela si avrà, in volume, l’80% di inerte e il 20% tra bitume e vuoti; tenendo presente che con troppo
bitume si avrà poca aderenza mentre con poco bitume si avranno sforzi si trazione non sopportati. Dunque il
progetto è delicato e non è facile trovare la giusta % di bitume necessaria per ottimizzare il comportamento
del conglomerato.
Per il calcolo della % di bitume nella miscela ci sono diversi modi:
• Metodo Inglese (dei vuoti): nel conglomerato ci deve essere una percentuale imposta di vuoti
Per legge esistono dei valori di Vr (volume residuo dei vuoti) entro i quali il progettista deve stare a seconda
che la pavimentazione sia aperta o chiusa. Per il conglomerato bituminoso:
Chiuso Vr < 5%, Semichiuso 5%<Vr<10%, Semiaperto 10%<Vr<15%, Aperto Vr>15%
Una volta che il progettista ha scelto Vr, entro questi limiti, si calcolano:
r −a
% Vvuoti m. = 100 = vuoti della miscela secca degli aggregati costipata a volume costante
r
Dove: a = apparente = (Pg+ PH2O ) / Vtot = peso specifico apparente della miscela costipata
r = reale = Pg/ Vg = peso specifico della miscela secca degli inerti
Vbitume bitume
Quindi: Vbitume = Vvuoti m. − Vr → %B = 100
a
• Metodo Francese: Gli aggregati lapidei sono composti da particelle con dimensioni differenti, di cui bisogna
conoscere la percentuale di inerte per ogni diametro e definire p = superficie / peso cioè la superficie
specifica per unità di peso. Al diminuire delle dimensioni delle particelle aumenta in maniera esponenziale la
superficie specifica mentre all’aumentare della presenza di particelle fini, come i filler, aumenta la necessità
di bitume per ricoprire tutte le particelle.
Secondo Duriez: p = F(G,g,e, h,f) che approssimata diventa: p = 2.5 + 135f (m / kg) 2
Dove f = % di Filler
Se Z = spessore della pellicola di legante che si forma sulla superficie degli inerti, d = diametro in mm
dell’elemento lapide, K = costante variabile tra 20 e 30: Z = Kd
4/5
• Metodo Marshall: Bisogna considerare il dosaggio risultante da uno dei due metodi precedenti (inglese e
francese) e, a parità di assortimento granulometrico, confezionare in tutto 6 campioni (ognuno dei quali è
formato da 4 provini) ciascuno con un suo valore di % di bitume.
Es: B% = 5.8% confeziono 6 campioni per ogni valore di %B (5.4, 5.6, 5.8, 6, 6.2)
Di questi 6 campioni, 4 vengono sottoposti alla prova Marshall vera e propria mentre altri 2 a prove di
laboratorio per determinare i vuoti.
La prova Marshall è sostanzialmente empirica e sottopone il campione a condizioni differenti da quella di
esercizio, ma è diffusa e ben accettata per gli ottimi risultati che fornisce.
Infatti grazie a questa prova è possibile misurare diverse caratteristiche come:
a) La stabilità Marshall (resistenza meccanica), b) Lo scorrimento Marshall (deformabilità),
c) la densità Marshall, d) la % di vuoti intergranulari riempiti di bitume, e) la % di vuoti residui.
La miscelazione del conglomerato avviene a 160-180 °C, poi bisogna lasciare fermo il bitume per un certo
tempo a 120°C, calare il bitume caldo in una fustella e costiparlo con un apposito martello chiamato
compattatore Marshall.
Vengono applicati 50+50 colpi oppure 75+75 a seconda della strada che si vuole progettare.
Alla fine della compattazione si dovrebbe ottenere un campione cilindrico con:
h = 65,3 mm e Φ = 100 mm.
Dopodiché i 4 campioni vanno messi, prima, in un bagno termostatico a 60°C per 30 minuti e, dopo, nella
pressa Marshall. Imponendo una velocità d'avanzamento delle ganasce si ottiene un grafico spinta-
deformazione del tipo:
S
(kg) punto di collasso Al punto di collasso si individuano:
- spinta S = Stabilità Marshall
- scorrimento s = Scorrimento Marshall
È possibile ricavare la rigidezza Marshall col rapporto S/s
In generale se si hanno alte rigidezze per valori di s alti, significa che la
granulometria non è stata ben assortita.
s (mm)
Infine si disegna un grafico S-B%:
S
Dove il risultato della prova Marshall è la %B che
massimizza le prestazioni, cioè massimizza S.
Diagrammi:
Il metodo Marshall per il Mix-Design del CB e descrivere la tecnica per la scelta della % ottima di bitume
Questo metodo considera diverse la caratteristiche dell'impasto ed esamina come variano al variare del
contenuto di bitume. Questo metodo non è altro che una prova di stabilità-scorrimento (per indice di stabilità
si indica il max carico applicato durante la deformazione, per indice di scorrimento si indica la deformazione
corrispondente al carico max).
In pratica, una volta definita la composizione granulometrica dell'impasto ed ottenuto un risultato circa la
percentuale di bitume necessaria (≈6%) (attraverso il metodo inglese o anche chiamato dei vuoti da riempire
con il legante oppure con il metodo francese o anche chiamato della superficie specifica da rivestire con il
legante), si preparano in laboratorio almeno cinque impasti con percentuale di legante pari rispettivamente a
5%, 5,5%, 6%, 6,5%, 7% e si determinano per ciascuno di essi i valori delle seguenti principali
caratteristiche: stabilità Marshall, scorrimento Marshall, densità Marshall, %vuoti riempiti dal bitume e %
vuoti residui. Riportando su cinque diversi grafici le variazioni di queste caratteristiche in funzione del
contenuto di legante, si rilevano infine le percentuali di bitume che consentono di ottenere i più idonei valori
per le diverse caratteristiche e se ne fa la media.
Nel caso in esame risulta che il contenuto di bitume ottimo è pari al 6,1% in peso sugli aggregati e, con
questo dosaggio di legante, le principali caratteristiche dell'impasto sono le seguenti: stabilità kg 775,
scorrimento mm 2,75, vuoti residui 3,1 %, vuoti riempiti 80%; questo metodo è superato.
Oggi si usa un forno che brucia il bitume dove: si pesa il provino di CB, si brucia il bitume e si ripesano gli
inerti. Il problema è che il bitume quando brucia produce residui sotto forma di polveri e visto che gli inerti
perdono acqua, la pesata è errata. La stabilità Marshall e lo scorrimento sono i requisiti più importanti e dei 5
grafici si estrae il valore che sembra migliore.
Quindi nei laboratori è possibile conoscere tutto mentre in cantiere il problema è diverso: bisogna tener
presente il problema di trasporto, ovvero la perdita di temperatura che fa aumentare la viscosità. Per questo
motivo, durante il trasporto, la temperatura non deve scendere al di sotto di un certo limite.
Inoltre le vibrazioni del camion portano alla segregazione degli inerti, per questo, oggi, si usano dei cassoni
termici montati su camion con telo atermico che permette di non far raffreddare il materiale.
Un altro problema è quello della messa in opera, che richiede un'attrezzatura adatta che permette la
distensione in piano del conglomerato, dopo di che, con un termostato, si misura la temperatura del
materiale e se è troppo bassa viene riscaldata con una piastra (140 °C) e poi, successivamente, la
costipazione col rullo.
20
Dove: a = apparente = (Pg+ PH 2O ) / Vtot = peso specifico apparente della miscela costipata
r = reale = Pg/ Vg = peso specifico della miscela secca degli inerti
Vbitume bitume
Quindi: Vbitume = Vvuoti m. − Vr → % B = 100
a
• Metodo Francese: Gli aggregati lapidei sono composti da particelle con dimensioni differenti, di cui bisogna
conoscere la percentuale di inerte per ogni diametro e definire p = superficie / peso cioè la superficie
specifica per unità di peso. Al diminuire delle dimensioni delle particelle aumenta in maniera esponenziale la
superficie specifica mentre all’aumentare della presenza di particelle fini, come i filler, aumenta la necessità
di bitume per ricoprire tutte le particelle.
Secondo Duriez: p = F(G,g,e, h,f) che approssimata diventa: p = 2.5 + 135f (m / kg) 2
Dove f = % di Filler
Se Z = spessore della pellicola di legante che si forma sulla superficie degli inerti, d = diametro in mm
dell’elemento lapide, K = costante variabile tra 20 e 30: Z = Kd
4/5
meccaniche costituenti gli strati.
Strato di base Le pavimentazioni flessibili sono inoltre suscettibili alla
strati non legati
Fondazione temperatura e alle condizioni ambientali.
Sottofondo
- Usura = deve essere al massimo 4 cm, è a contatto diretto con il traffico veicolare, viene realizzato con
miscele ricche di filler e inerti resistenti all’usura.
- Binder = strato di collegamento, è realizzato con fuso semichiuso ed aggregati di media pezzatura.
- Strato di base = è fatto in misto di cemento e deve essere almeno 20 cm (altrimenti il cemento non lega)
oppure in misto bitumato (10 – 12cm), ha la funzione di ripartire sul terreno di appoggio le
azioni verticali durante il traffico.
- Fondazione = costituisce una superficie regolare per la stesura della base ed è realizzata in materiale
granulare.
• Pavimentazioni Rigide = sono pavimentazioni indeformabili realizzate con strati di CLS armato e non
armato più uno strato di conglomerato bituminoso di usura, quest’ultimo è di più facile manutenzione ed è
certamente una buona soluzione:
CLS
Questo tipo di pavimentazioni si usano per moli di traffico elevate e massicce
Misto Cemento
Fondazione
Sottofondo
- CLS = assorbe le azioni esterne senza deformarsi.
- Misto cemento = non ha acqua e, anche se tende ad assorbire umidità esterna, non provoca ritiro
23
1
- Realmente:
area di isteresi tot = p + d = Deformazione plastica residua
L’area di isteresi rappresenta l’energia immagazzinata dal materiale
o nel ciclo di carico-scarico. Se nel ripetersi di questi cicli l’energia
ric
ca
ico
d
Il calcolo del danno da fatica nei vari strati di una pavimentazione stradale si esegue applicando la legge
dell'accumulo lineare scoperta da Minner:
Questa legge dice che: se 1 , 2 ,..., k sono le ampiezze rispettivamente di n1 , n 2 ,..., n k ovvero, i cicli di
deformazione applicati a un materiale senza alcun ordine particolare, si verifica la rottura per fatica quando:
k
ni
N
i =1
=1 Dove: Ni = numero di cicli di deformazione che porterebbe a rottura il materiale qualora
l'ampiezza di deformazione fosse sempre mantenuta uguale a i
i
Nel caso di pavimentazioni stradali le ampiezze i sono le massime deformazioni orizzontali di trazione che,
nelle varie condizioni di temperatura, i carichi di traffico provocano nei diversi strati della sovrastruttura.
Per poter applicare la legge di Minner, bisogna eseguire una sequenza di operazioni:
- Bisogna suddividere l'anno solare in due o più periodi durante i quali la temperatura media dell'aria non
subisce notevoli variazioni e quindi calcolare la temperatura media dei vari strati e i corrispondenti valori del
modulo E e del coefficiente di Poisson μ.
- Prendere in esame i vari carichi di ruote considerati uniformemente ripartiti su aree circolari e calcolare le
tensioni e le deformazioni prodotte da questi carichi
- Calcolare, mediante le curve di fatica alle diverse temperature, per la maggiore delle due deformazioni
orizzontali di trazione provocate da ciascun carico in ciascun strato e per ciascuna temperatura, il numero Ni
di cicli di deformazione che producono la rottura
- Determinare, utilizzando le previsioni di traffico sulla strada in esame, il numero di applicazioni che si avrà
durante ciascuno dei periodi in cui è stato diviso l'anno solare, il quale, moltiplicato per il numero di anni della
richiesta di vita utile della pavimentazione, fornisce il numero ni, corrispondente a ciascuna deformazione
per la quale in precedenza si è valutato Ni.
- Infine, calcolare i vari rapporti ni/Ni e fare la somma. Se risulta ≤1 la pavim. è progettata correttamente.
• La curva di fatica si ricava sperimentalmente: Dove: n è sempre minore della tensione di snervamento
Per ricavare la curva si procede applicando la n sinusoidalmente fino a rottura. Si è visto che al
( FAT ) il materiale inizia da solo a dissipare l’energia
di sotto di un certo stato tensionale
accumulata senza causare il salto energetico: al di sotto di FAT non esiste più il problema della
fatica. Non c’è però la sicurezza di quale sia il valore esatto di FAT per il sottofondo e dunque
n
non si può impedire che questo si rompa per fatica; si conosce solo: n FAT sott n FAT pav
FAT Per questo motivo la rottura della pavim. da fatica è già un segnale di allarme che
ci avverte che presto si romperà a fatica anche il sottofondo
log n
24
Dove: A = differenza tra il valore del PSI iniziale della vita utile e quello posto uguale a 1.5, in corrispondenza
del quale si ritiene che la sovrastruttura si sia totalmente dissestata.
Il valore del PSI varia a seconda delle pavimentazioni usate, ad esempio per pavimentazioni flessibili
PSIiniz = 4.2 → A = 4.2 − 1.5 = 2.7
Sostituendo i valori di A e di PSIiniz nell’espressione precedente si ottiene:
4.2 − PSI
lg = = (lg N− lg p) (*) Che fornisce il numero N di passaggi di assi di ugual peso e produce
2.7
l’ammaloramento definitivo dal PSI a numeratore del primo membro.
È possibile definire uno spessore equivalente detto indice di spessore (Is) espresso in funzione degli
spessori h1, h2, h3: (Is = 0.44 h1 + 0.14 h 2 + 0.11 h 3 )
Dove: h1 = manto di conglomerato bituminoso h2 = strato di base di misto granulare frantumato
h3 = strato di fondazione di misto non frantumato
e p sono due funzioni dell’indice di spessore della sovrastruttura e dei carichi dei vari assi; i loro valori si
possono calcolare tramite le seguenti espressioni:
0.081(L1 + L 2 )3.23
- = 0.40 + - p = 5.93 + 9.36 lg(IS / 2.5 + 1) − 4.79 lg(L1 + L2 ) + 4.33 lg(L2 )
(IS / 2.5 + 1)5.19 L 23.23
Dove: L1 = carico agente sull’asse che si considera (espresso in migliaia di libbre)
L2 = termine che assume valore 1 se l’asse è singolo, 2 se si tratta di una coppia di assi tandem
In particolare, ponendo nell’equazioni di e p → L1 = 18 (18000 libbre = 8,2 t) e L2 = 1, si ottiene dalla (*):
I lg[(4.2 − Pf) / 2.7]
lg(N8.2 ) = 9.36 lg S + 1 − 0.20 +
2.5 0.40 +
1094
5.19
IS
+ 1
2.5
La quale fornisce il numero di passaggi di assi singoli da 8.2 t che una pavimentazione, caratterizzata da un
indice di spessore, può sopportare durante la sua vita utile; espresso in funzione del valore Pf del PSI.
Metodo di Progetto della “ROAD NOTE 29”
È un metodo di progettazione delle pavimentazioni flessibili messo a punto in Inghilterra elaborando risultati
ottenuti su alcune strade sperimentali. È un metodo diretto nel senso che consente, noto il numero di
passaggi di assi da 8.2 t sulla corsia di progetto durante la vita utile, di calcolare dapprima lo spessore della
fondazione in funzione del CBR del sottofondo, quindi lo spessore dello strato di base e quelli superficiali.
Nota la portanza del sottofondo (CBR di progetto) si può calcolare (tramite un abaco dove sono riportate
curve a valori del CBR da 2 a 1) lo spessore della fondazione in funzione del numero di passaggi di assi da
8.2 t. Per valori di CBR<2 lo spessore della fondazione si ottiene aumentando di 15 cm quello ricavato dalla
curva CBR=2. Quando CBR>7 conviene adoperare gli spessori che si ottengono per CBR=7 se il numero di
passaggi di assi da 8.2 t è inferiore a 500000. Se il numero di passaggi supera 5000000 lo spessore della
fondazione può ancora ricavarsi dalla curva CBR=7 tenendo però presente che esso non può scendere sotto
i 15 cm quando CBR<30. Sulla fondazione si deve prevedere uno strato di base che può essere realizzato
con materiali diversi, ed uno strato superficiale (usura + binder) di conglomerato bituminoso. Lo spessore di
questi due strati si ricava, sempre in funzione del numero di assi da 8.2 t, da abachi.
26
Le 3 sezioni stradali tipo: Materiali, procedura realizzativa, disegno delle sezioni e dei particolari costruttivi
1) Sezione in riporto:
Dove: A = profilo originario del terreno B = materiale granulare anti capillare (spessore 30 cm)
C = calcestruzzo magro di riempimento D = cunetta in c.a. prefabbricata
E = copertura in terreno vegetale (spessore 30cm)
3) Sezione a mezza costa:
• Particolari costruttivi:
Particolare 1 – pavimentazione flessibile in conglomerato bituminoso:
Il Solido stradale
Costruttivamente una strada è formata da un solido stradale; con esso si individuano i vari strati con i quali si
trasmettono sia i pesi propri sia i carichi transitanti al terreno di sottofondo, con il minimo di deformabilità e di
usura della strada. È affidato alla sovrastruttura il compito di proteggere il corpo stradale dall’usura
determinata dal passaggio veicolare e dalla infiltrazione delle acque meteoriche (pavimentazione) nonché di
distribuire i carichi al terreno di sottofondo (fondazione). La sovrastruttura s’intende costituita da tre strati:
1) Strato di fondazione 2) Strato di base 3) Pavimentazione
Per ognuno dei quali vengono impiegati materiali lapidei e inerti:
• Materiali lapidei:
Nella costruzione delle sovrastrutture stradali vengono impiegati inerti di granulometria variabile di origine
naturale oppure provenienti dalla frantumazione delle rocce:
- Naturali = sono ghiaie e sabbie ricavate da depositi alluvionali, dal letto di fiumi o spiagge, che devono
essere puliti e tenaci, cioè resistenti all’usura. Tout-venant sono gli inerti già assortiti granulometricamente in
natura, misto granulare se ottenuti da miscelazione artificiale;
- Artificiali = sono pietrischi e graniglie di calcari e dolomie molto usati nei lavori stradali, si ottengono per
estrazione dalle cave e frantumazione successiva.
Gli inerti vengono suddivisi in classi in funzione della loro pezzatura, ossia delle dimensioni massime e
minime dei grani che costituiscono una determinata classe; sono definiti additivi o filler i materiali molto fini
che vengono impiegati per riempire i vuoti tra i materiali più grossi.
• Materiali leganti
Hanno la funzione di collegare gli inerti realizzando una coesione fra i vari elementi; possono essere:
- Bitumi naturali = se formatisi in natura da petrolio affiorato in superficie ed evaporazione delle parti volatili;
- Bitumi artificiali = se derivati dalla distillazione frazionata del petrolio;
- Bitumi liquidi = ottenuti dai precedenti semisolidi con l’aggiunta di solventi, per cui possono essere
impiegati a freddo
- Emulsioni bituminose = si ottengono disperdendo bitume puro, in percentuale del 50-65%, in acqua calda;
venendo a contatto con la superficie da trattare l’acqua evapora e il bitume si coagula formando una pellicola
- Asfalti = si ottengono per frantumazione di rocce calcaree naturali impregnate finemente di bitume in
percentuale del 10-20%
- Catrami = sono ottenuti per distillazione del carbone fossile e successiva ridistillazione per eliminare
l’acqua ed altri componenti volatile; sono più fluidi dei bitumi ma chimicamente instabili per cui vengono
miscelati con bitumi semisolidi o polveri di asfalto
- Cementi = sono i cementi normali o ad alta resistenza, anche se meno rapidi.
Sia i leganti bituminosi sia i cementi devono sottostare a particolari requisiti di accettazione e di prove, che
permettono la loro classificazione.
Strato di fondazione
Terminati i movimenti di terra, il sottofondo stradale deve essere convenientemente ripulito e costipato con
rullo compressore; se l’ultimo strato di sottofondo non è soddisfacente (limo o argilla) occorre preparare uno
strato di fondazione, esteso a tutta la lunghezza della strada o a particolari tratti con spessori anche variabili;
ha lo scopo di ridurre le sollecitazioni del traffico sul sottofondo e di migliorare il drenaggio.
Può essere realizzato in: macadam, macadam all’acqua, macadam bituminato, macadam con emulsioni
bituminose, macadam cementizio, misti granulari stabilizzati.
Strato di base
Ha uno spessore di 15-20 cm e viene realizzato impiegando gli stessi materiali usati per lo strato di
fondazione, ed anzi può sostituirlo quando lo strato di sottofondo del terreno possiede buone capacità
portanti. Costituendo il supporto alla pavimentazione, deve essere in grado di ripartire i carichi trasmessi dai
veicoli in transito e possedere una buona rigidezza, i materiali vengono generalmente stabilizzati con leganti
bituminosi (misti bitumati) o leganti cementizi (misti cementati). La rullatura è solo parziale, in modo da
ottenere una superficie con sufficienti cavità che migliori la possibilità di attacco dello strato di collegamento
(binder) o direttamente del tappeto di usura.
30
Pavimentazioni flessibili
La pavimentazione, detta anche strato superficiale di usura, ha la funzione di realizzare un piano viabile con
caratteristiche tali da assicurare lo svolgimento del traffico in condizione di sicurezza e confort, proteggere gli
strati sottostanti dall’azione degli agenti atmosferici (acqua e ghiaccio) e ottenere così una buona durata
della strada. La scelta del tipo di pavimentazione dipende essenzialmente dall’intensità del traffico,
dall’andamento altimetrico del tracciato e da analisi economiche. Le pavimentazioni stradali si suddividono:
- Flessibili = dotate di scarsa rigidezza flessionale, si deformano anche di alcuni millimetri per effetto dei
carichi transitanti e sono costituite con: macadam, catrame, malte bituminose, conglomerato bituminoso, in
polvere d’asfalto, in cubetti di pietra e asfalto compresso.
- Rigide = presentano deformazioni quasi trascurabili, ottenendo una buona distribuzione dei carichi sul
terreno di sottofondo e, resistendo alle sollecitazioni per la loro elevata rigidezza flessionale, richiedono
sottofondi poco deformabili o almeno uniformemente cedevoli; sono realizzate in calcestruzzo non armato,
debolmente armato e con armatura continua
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Strato di fondazione
Posa in opera del misto granulare
- Piano di posa dello strato = quote, sagoma, requisiti di portanza prescritti. Ripulito da materiale estraneo.
- Stesa = strati di spessore finito non superiore a 25 cm e non inferiore a 10 cm e uniformemente miscelato
dopo costipamento (in modo da non presentare segregazione dei suoi componenti).
Eventuale aggiunta di acqua mediante dispositivi spruzzatori.
Tutte le operazioni sono sospese quando le condizioni ambientali (pioggia, neve, gelo) siano tali da
danneggiare la qualità dello strato stabilizzato.
Il materiale pronto per il costipamento deve presentare in ogni punto la prescritta granulometria.
Per il costipamento e la rifinitura verranno impiegati rulli vibranti, rulli gommati o combinati, tutti semoventi.
Per ogni cantiere, l’idoneità dei mezzi d’opera e le modalità di costipamento devono essere determinate, con
la Direzione Lavori, prima dell’esecuzione dei lavori, mediante una prova sperimentale di campo, usando le
miscele messe a punto per quel cantiere.
Il costipamento di ciascuno strato deve essere eseguito sino ad ottenere una densità in sito non inferiore al
98% della densità massima fornita dalla prova AASHO modificata.
Il valore del modulo di compressibilità ME, nell'intervallo compreso fra 0,15 e 0,20 N/mmq, non dovrà essere
inferiore ad 80 N/mmq.
Sullo strato di fondazione, compattato, è buona norma procedere subito alla esecuzione delle
pavimentazioni, senza far trascorrere, tra le due fasi di lavori un intervallo di tempo troppo lungo, che
potrebbe recare pregiudizio ai valori di portanza conseguiti dallo strato di fondazione a costipamento
ultimato. Ciò allo scopo di eliminare i fenomeni di allentamento, di asportazione e di disgregazione del
materiale fine, interessanti la parte superficiale degli strati di fondazione che non siano adeguatamente
protetti dal traffico di cantiere o dagli agenti atmosferici.
Nel caso in cui non sia possibile procedere immediatamente dopo la stesa dello strato di fondazione alla
realizzazione delle pavimentazioni, sarà opportuno procedere alla stesa di una mano di emulsione saturata
con graniglia a protezione della superficie superiore dello strato di fondazione.
• Controlli sul misto granulare:
Controllo della qualità dei misti granulari e della loro posa in opera:
- prove di laboratorio sui materiali costituenti;
- prove di laboratorio sul materiale prelevato in sito al momento della stesa;
- prove sullo strato finito
- Materiali = Caratteristiche di accettazione dei materiali verificate prima dell’inizio dei lavori, ogni qualvolta
cambino i luoghi di provenienza dei materiali e successivamente ogni 2 mesi.
- Granulometria = Verificata giornalmente, prelevando il materiale in sito già miscelato, subito dopo avere
effettuato il costipamento. Rispetto alla qualificazione delle forniture, nella curva granulometrica sono
ammessi variazioni delle singole percentuali dell’aggregato fino e grosso (2÷5%). Non devono essere
superati i limiti del fuso assegnato. Equivalente in sabbia dell’aggregato fino verificato almeno ogni tre giorni
lavorativi.
- Costipamento (a compattazione ultimata)
- Densità del secco in sito (nel 95% dei prelievi) ≥ 98% del valore di riferimento (gsmax) misurato in
laboratorio sulla miscela di progetto e dichiarato prima dell’inizio dei lavori.
- Portanza = Accertare che le prestazioni dello strato finito soddisfino le richieste di progetto e siano conformi
a quanto dichiarato prima dell’inizio dei lavori. La metodologia di indagine impiegata dovrà essere tale da
fornire parametri di controllo identici, o comunque direttamente confrontabili, con quelli utilizzati nel calcolo
della pavimentazione. A tale scopo, sono ammesse sia prove puntuali (Prove di carico con piastra o misure
di deflessione) sia prove ad elevato rendimento.
Al momento della costruzione degli strati di pavimentazione sovrastanti, la media dei valori di portanza del
misto granulare su ciascun tronco omogeneo, non dovrà essere inferiore a quella prevista in progetto.
Per carenze superiori al 20%, il tratto considerato deve essere demolito e ricostruito.
- Sagoma = Superfici finite perfettamente piane, con scostamenti rispetto ai piani di progetto non superiori a
10 mm, controllati a mezzo di un regolo di 4m di lunghezza e disposto secondo due direzioni ortogonali.
- Spessore medio = Quello previsto in progetto, con una tolleranza in più o in meno del 5% purché tale
differenza si presenti solo saltuariamente
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