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Scrivere e commentare l’equazione generale della trazione e le possibili condizioni di moto


• Quando un veicolo si muove con velocità costante (moto uniforme in regime stazionario) la trazione è data
dalla somma di tutte le resistenze che si incontrano:
T = R rot + R aer + R pen + R cur + R in
T = P (rrot + rpen + rcur + rin ) + R aer
 1000 dv 
T = P    i + c    + KSV 2
 g dt 
• Mentre quando il veicolo si muove (moto vario) interviene anche la forza d'inerzia, di verso opposto rispetto
P dV
a quello dell’accelerazione: Fi = −1000  
g dt
Ed occorre tener presente che quando un veicolo è soggetto ad un’accelerazione nella direzione del moto,
tutti gli organi del motore e della trasmissione dotati di moto relativo rispetto a esso, sono anch'essi soggetti
a un'accelerazione relativa, per cui la forza d’inerzia Fi da applicare al veicolo (per impedirgli l'accelerazione
nella direzione del moto) è maggiore di quella data.
P dV dV
Viene introdotto, a tal proposito, un coefficiente β di maggiorazione: Fi = −1000   = −102    P
g dt dt
Dove: β = 1 per autoveicoli, β = 1.2 per veicoli commerciali
Per cui l'equazione generale della trazione nei moti transitori diventa:
 dV 
T = P    i+ 102    P  + KSV (moto non uniforme) mentre
2

 dt 
 V2  dV
• Moto vario: T = P ( a + b v )  s  i + Cc m  + 102    P + 0.5  Cr SF    Vr 2 (kg/ t)
 r  dt
/ \
(resistenza di inerzia longitudinale) (resistenza frontale)
• Spazio per raggiungere, da fermo, velocità di regime:

V dv
Vm
dv V
ds = V
dv
=
(T − R)  g
 S= 
0
(T − R)  g
 dv

dt 1000  p  1000  p 
Ciò che permette di trasformare un moto transitorio in un moto traslatorio è l'attrito volvente.
Prendendo, come esempio, tutte le forze che agiscono sulla ruota motrice, dove:
Mt = momento torcente, A = aderenza, R = forza che si oppone all'avanzamento del veicolo,
P = somma di tutte le forze normali alla strada. È possibile illustrare le possibili condizioni di moto:
- Se risulta in O (Mt/r)<R e in C (Mt/r)<Fa significa che i vincoli non cedono e le ruote restano in equilibrio
ferme A≤Fa. Se si aumenta Mt, i vincoli cedono e possono verificarsi 2 tipi di moto:
1) Se R<Fa allora cede il vincolo in O mentre in C resiste. Il moto della ruota è costituito da una rotazione
istantanea intorno al punto in C,b ed è la risultante di 2 moti: rotazione intorno ad O e traslazione di O.
Il momento motore è equilibrato dalla coppia formata da R e dalla reazione A uguale ed opposta ad R:
Mt = Rr da cui R = (Mt/r)<Fa
2) Se R>Fa, allora, il vincolo C cede e resiste quello in O. Si verifica un moto di rotazione intorno ad O, che
però resta fermo, mentre c’è scorrimento relativo in C, per cui le ruote slittano con l'auto ferma. Il momento
motore è equilibrato dalla coppia formata da Fa e dalla reazione R uguale ed opposta ad Fa, quindi:
Mt = FaR da cui R>Mt/r = Fa.
2

CALCOLO DELLA DISTANZA DI:


Visuale libera per l’arresto
Considerando un veicolo sulle cui ruote sia stato soppresso il momento motore e applicando un momento
frenante sussiste, quindi, l’equilibrio fra la reazione A (componente nella direzione del moto della reazione
esplicata dalla strada sulle ruote) esplicata dalla strada e la risultante Fi – R della forza d’inerzia e delle
resistenze incontrate dal veicolo. Al limite dell’aderenza, se tutte le ruote del veicolo sono frenate, risulta:
1000fa P = Fi − R Dove: fa = coefficiente di aderenza, P = peso del veicolo in t, Fi e R = espressi in Kg

Sostituendo a R lo sforzo di trazione, si ha: Fi = P (   i + 1000fa) + KSV


2
(Sforzo di trazione)
Dove Fi non rimane costante durante la fase di frenatura, poiché KSV2 varia al diminuire della velocità, ma
compie un lavoro pari alla perdita di energia cinetica del veicolo.
P V2
Se s è lo spazio necessario per l’arresto del veicolo, si può scrivere:  Fi ds = 1000  g  2
È giusto introdurre una forza d’inerzia equivalente alla quale, rimanendo costante durante tutta la fase di
frenatura, dia luogo allo stesso valore di s che si ha nella realtà e sarebbe: Fi* = P (1000fe  i)
Dove fe = coefficiente di aderenza equivalente, che comprende: il coefficiente di aderenza, quello  di
resistenza al rotolamento e quello KSV 2 / P di resistenza dell’aria.
V2
Inoltre è possibile ricavare l’espressione dello spazio s di frenatura: s=
[2 g (fe (i/1000))]
Il coefficiente fe può essere facilmente ricavato per via sperimentale misurando gli spazi di frenatura che si
ottengono al limite dell’aderenza su pavimentazioni in condizioni diverse e per diversi valori della velocità
che il veicolo possiede all’inizio della frenatura.
Nella progettazione stradale è necessario garantire che il conducente di un veicolo riesca a vedere un
ostacolo presente sulla sua traiettoria a una distanza tale che possa arrestarsi prima d’investirlo.
S’introduce, perciò, il concetto di distanza di visibilità per l’arresto, la quale è data dalla somma dello spazio
di frenatura s e dallo spazio percorso alla velocità iniziale V durante il tempo τ, detto di percezione e
reazione.
Il tempo τ diminuisce con l’aumentare della velocità, perché a velocità elevata i riflessi del conducente sono
V2
più pronti (può essere posto a 1 secondo): D = V+
[2 g (fe (i/1000))]
Per motivi di sicurezza occorre sempre riferirsi ai coefficienti di aderenza su strada bagnata.
D’altra parte la decelerazione media durante la frenatura ,g (fe (i/1000)), assumerebbe valori
notevolmente superiori a quelli di 4.5ms −2 che è ritenuto il limite da non superare per il comfort degli
occupanti il veicolo.
Visualità per la manovra di cambiamento di corsia
Con la seguente formula Dc = 9.5  v = 2.6 V (m), si valuta lo spazio necessario per eseguire la manovra
di cambiamento di corsia; nella quale 9,5 secondi comprendono tempi necessari per percepire e riconoscere
la situazione e per la decisione ed effettuazione della manovra di cambiamento di una sola corsia.
V = la velocità del veicolo espressa in Km/h
v = la velocità del veicolo espressa in m/s.
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Visuale libera per il sorpasso


Come ben sappiamo sulle strade a due corsie è necessario che sia garantita per una percentuale
abbastanza elevata del percorso la visibilità necessaria per eseguire manovre di sorpasso, se così non fosse
le condizioni di sicurezza della circolazione sarebbero insufficienti.
Perciò per la progettazione delle strade a due corsie s'introduce il concetto di distanza di visuale libera per il
sorpasso, la quale è data dalla lunghezza del tratto di corsia di senso opposto che il conducente di un
veicolo deve vedere libera da ostacoli affinché possa eseguire con sicurezza la manovra di sorpasso.
Vi sono fondamentalmente due tecniche di sorpasso:
• La prima tecnica è quella che considera il caso di un veicolo che, marciando sulla propria corsia ad una
certa velocità ne raggiunge uno più lento, e, avendo visto libera la corsia di senso opposto, esegue il
sorpasso senza modificare la sua velocità.
• La seconda tecnica si riferisce invece al caso di un veicolo che, avendone raggiunto uno più lento, è
dapprima costretto a rallentare per accodarsi a quest'ultimo e successivamente, non appena scorge libera la
corsia opposta, accelera ed esegue il sorpasso.
Ai fini pratici del calcolo queste due tecniche possono ritenersi equivalenti perché conducono a risultati molto
simili tra loro. Consideriamo per il calcolo il primo caso:
Siano A il veicolo sorpassante, B il veicolo da sorpassare e C un veicolo che si avvicina ai primi due sull'altra
corsia. Sia V = velocità (m/s), per ipotesi uguale di A e di C, e V-ΔV quella di B.
Indichiamo con 1 la posizione dei tre veicoli nell'istante in cui A ritiene di poter iniziare il sorpasso e
chiamiamo T1 il tempo impiegato da A per portarsi nella posizione 1', cioè all'altezza della coda di B.
II tempo T2 necessario perché A passi dalla posizione 1' a quella 2' in cui ha superato B è:
(La + Lb)
T2 = Dove: La e Lb = lunghezze rispettivamente di A e B.
V
Sia infine T3 il tempo impiegato da A per rientrare nella propria corsia assumendo la posizione 2.
Durante il tempo T1+T2+T3 i veicoli A e C hanno percorso entrambi lo spazio V(T1+T2+T3), per cui la
massima distanza Ds alla quale C deve essere visto da A perché questo possa iniziare la manovra di
 T1 + 2 Lm  (La + Lb)
sorpasso si scrive: Ds = 2 V (T1 + T 2 + T 3) = 2 V   Dove: Lm =
  V+ T 3  2
I tempi T1 e T3 variano poco con la velocità, le norme italiane assumono T1=T3= 4 secondi, mentre:
S (La + Lb)  Lm  Lm
T2 = = = 2  Dove: è molto piccolo pari a 1 e quindi: T 2 = 2 1 = 2s
V (Va − Vb)  V  V
Quindi: Ds = 2V (10) = 20V (m/ s) oppure Ds = 5 − 5.5V (km/ h)
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Dall’equazione generale della trazione alla relazione per il calcolo della distanza di visuale libera per l’arresto
• Quando un veicolo si muove con velocità costante (moto uniforme in regime stazionario) la trazione è data
dalla somma di tutte le resistenze che si incontrano:
T = R rot + R aer + R pen + R cur + R in
T = P (rrot + rpen + rcur + rin ) + R aer
 1000 dv 
T = P    i + c    + KSV 2
 g dt 
• Mentre quando il veicolo si muove (moto vario) interviene anche la forza d'inerzia, di verso opposto rispetto
P dV
a quello dell’accelerazione: Fi = −1000  
g dt
Ed occorre tener presente che quando un veicolo è soggetto ad un’accelerazione nella direzione del moto,
tutti gli organi del motore e della trasmissione dotati di moto relativo rispetto a esso, sono anch'essi soggetti
a un'accelerazione relativa, per cui la forza d’inerzia Fi da applicare al veicolo (per impedirgli l'accelerazione
nella direzione del moto) è maggiore di quella data.
P dV dV
Viene introdotto, a tal proposito, un coefficiente β di maggiorazione: Fi = −1000   = −102    P
g dt dt
Dove: β = 1 per autoveicoli, β = 1.2 per veicoli commerciali
Per cui l'equazione generale della trazione nei moti transitori diventa:
 dV 
T = P    i + 102    P  + KSV
2
(moto non uniforme)
 dt 
Mentre: • Moto vario:
 V2  dV
T = P ( a + b v )  s  i + Cc m  + 102    P + 0.5  Cr SF    Vr 2 (kg/ t)
 r  dt
/ \
(resistenza di inerzia longitudinale) (resistenza frontale)
• Spazio per raggiungere, da fermo, velocità di regime:
V dv
Vm
dv V
ds = V
dv
=
(T − R)  g
 S= 
0
(T − R)  g
 dv

dt 1000  p  1000  p 
Ciò che permette di trasformare un moto transitorio in un moto traslatorio è l'attrito volvente.
Prendendo, come esempio, tutte le forze che agiscono sulla ruota motrice, dove:
Mt = momento torcente, A = aderenza, R = forza che si oppone all'avanzamento del veicolo,
P = somma di tutte le forze normali alla strada.
Quando si vuole frenare una macchina, si annulla il momento motore
e si frena. Si ha sempre attrito, ma bisogna tenere conto che si hanno
comunque delle forze d’inerzia che cercano di mantenere il moto che si
aveva. L’aderenza si oppone e quindi bisogna avere sempre una
coppia che contrasti il momento:
Mf + Ma = A R → (Mf + Ma) / R  A
Nel caso in cui fosse stato maggiore, il veicolo, si sarebbe bloccato;
poiché nell’azione frenante bisogna perdere energia con le ruote che
girano per mantenere la direzione. Se le ruote si bloccano il corpo ha
una traiettoria per la quale si disperde meno energia. L’aderenza varia
in funzione delle velocità. Andando piano si ha un’elevata aderenza:
Fi− R = Fa → Fi = Fa + R
Dove la forza di aderenza è data dal prodotto tra il peso aderente e il coefficiente di aderenza: Fa = P fa
Mentre: Fi = 1000  P fa + R → Fi = 1000  P fa + [P (   i) + KSV ] 2
5

1 P
 Fi ds = 2  g  V 1000
2
Fi durante la frenata non è cost. ma compie lavoro pari alla perdita di energia cinetica:

 1000  P fa + P (  i) + KSV  ds
2
Ammesso che S diventi costante e fa non dipendente dalla velocità:
Dopodiché si sostituisce fa con fe, che sarebbe il coefficiente di aderenza equivalente, che comprende: il
coefficiente di aderenza, quello  di resistenza al rotolamento e quello KSV / P di resistenza dell’aria,
2

ottenendo:

 (1000  fe  i) ds = (V / 2g) 1000


2
V2
S=
 s (1000  fe  i) = (V / 2g) 1000 [2 g (fe  (i/1000))]
2

S è la distanza di arresto che non è l’unica che serve per fermare il veicolo: bisogna aggiungere anche un
contributo che si ottiene moltiplicando la velocità per il tempo di percezione e reazione che la normativa DM
5/11/2001 assume pari a 1 secondo.
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Sopraelevazione in curva: equazione che esprime R in funzione di tg 


La sopraelevazione delle curve dipende dal fatto che un automobile, nel percorrerla, è soggetta ad una forza
centrifuga, che viene portata quindi verso l’esterno.
Ad impedire lo sbandamento sono i pneumatici, che danno origine ad una forza d’attrito che dipende dalla
massa della macchina e da quanto le gomme sono “buone”. Le curve ad alta velocità possono mettere in
crisi l’aderenza di una macchina, e quindi si ricorre alla sopraelevazione.
Il coefficiente d’attrito fra le gomme e la strada può essere aumentato, ingrandendo, per così dire, l’angolo
tra la normale alle gomme e il piano individuato dalla strada. In certi tratti di strada gli ingegneri fanno sì che
anche con la massima velocità raggiunta da un auto, in curva, la resistenza d’attrito sia ancora presente tra
gomme e strada.
Dal punto di vista fisico una curva, anche se non regolare, può essere approssimata in ogni punto con una
circonferenza (si dice circonferenza osculatrice), quindi quando si parla di raggio R della curva ci si riferisce
al raggio della circonferenza che meglio approssima la curva in un determinato punto.
La forza che spinge la macchina verso l’esterno è in ogni punto: Fc = (m V ) / R
2

La forza d’attrito è invece in prima approssimazione costante e vale –Kmg


Dove: K = costante che dipende dalla mescola delle gomme, dalle condizioni dell’asfalto, dalla temperatura
etc. (è un attrito statico, non dinamico). Si vede quindi che fissato K, curve sufficientemente strette o prese
troppo velocemente fanno sbandare la macchina.
Se la curva è piana, il peso della macchina sarà tutto bilanciato dalla reazione vincolare della strada, ma se
la strada stessa è inclinata di un certo angolo α, la forza peso avrà una componente mg sen  parallela
alla strada stessa che tenderà a portare la macchina verso il centro della curva.
La forza centrifuga stessa avrà però una componente parallela alla strada, cioè: [(m V 2 ) / R]  cos 
Se imponiamo che le due forze siano uguali, si ottiene: tg  = V / Rg.
2

Questa formula determina l’inclinazione che deve avere una curva di raggio R perché possa essere percorsa
a velocità V anche in assenza totale di attrito.
Le scelte progettuali relative alla definizione dell’andamento dell’asse stradale portano spesso a utilizzare
per le curve raggi R maggiori del raggio minimo (Rmin). In questi casi è necessario ridurre il valore della
pendenza trasversale utilizzando gli abachi allegati alla Normativa DM 5/11/2001.
Questi abachi hanno in ascissa i valori dei raggi e in ordinata i valori delle pendenze trasversali q.
Essi vanno utilizzati con le seguenti modalità di lettura:
Quando il raggio R della curva è minore del raggio R* calcolato con l’espressione: Vpmin / [127  (fT + q max )]
2

2
ma utilizzando il limite superiore Vp max della velocità di progetto, la pendenza trasversale dovrà essere
mantenuta costante e pari al valore massimo qmax.
La pendenza trasversale minima del 2,5% deve essere impiegata quando il raggio di curvatura R è uguale o
maggiore ai valori del raggio R2,5 riportato negli abachi.
Per raggi di curvatura intermedi tra, R* e il raggio R2.5, la pendenza trasversale viene ricavata dall’abaco in
corrispondenza delle linee oblique riferite al limite superiore della velocità di progetto della corrispondente
categoria di strada.
Es. si vuole adottare un raggio pari a 1000 m per una curva in una strada di tipo C, caratterizzata da un
limite superiore della velocità di progetto pari a 100 Km/h.
Considerando l’abaco si osserva che in questo caso R * = 437 m e R 2.5 = 2187 m, dunque il raggio
iniziale di 1000 m è intermedio tra i valori trovati e la pendenza trasversale della piattaforma dovrà essere:
q = 0,0415. Tale valore è stato ricavato considerando l’intersezione tra la verticale tracciata in
corrispondenza del valore R = 1000 m e la linea inclinata corrispondente alla velocità di progetto massima di
100 Km/h. Tracciando una retta orizzontale da tale intersezione si ricava appunto la pendenza trasversale:
ic = 4,15% da utilizzare.
Oltre a fissare dei limiti massimi alla pendenza trasversale ic della piattaforma e a quella longitudinale p
dell’asse stradale, le norme fissano anche un limite alla combinazione delle due.
Questa combinazione, detta pendenza geodetica J = (p2 + ic2 ) , non deve superare il valore del 10%
per le strade di tipo A e B e del 12% per le altre.
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Andamento cigli: nelle clotoidi di flesso, nel caso in cui la sopraelevazione < al valore stabilito dal DM 2001
Lungo le curve a raggio variabile, inserite fra due elementi di tracciato a curvatura costante si realizza il
graduale passaggio della pendenza trasversale dal valore proprio di un elemento a quello relativo al
successivo.
Questo passaggio si ottiene facendo ruotare la carreggiata stradale (o parte di essa), intorno al suo asse
ovvero intorno alla sua estremità interna, in quanto comporta un minor sollevamento dell’estremità della
piattaforma. Essa può essere adottata anche nelle strade a carreggiata unica a due o più corsie e nelle
strade a carreggiate separate con spartitraffico di larghezza superiore ai 4 m.
Per larghezze minori, allo scopo di evitare che lo spartitraffico acquisti una eccessiva pendenza trasversale,
è necessario far ruotare le due vie intorno alle estremità interne delle carreggiate.
Nelle strade ad unica carreggiata a duo o più corsie, la cui sagoma in rettifilo è a doppia falda, il passaggio
della sagoma propria del rettifilo a quella della curva circolare avviene generalmente in due tempi: in una
prima fase ruota soltanto la falda esterna intorno all’asse della carreggiata fino a realizzare una superficie
piana, successivamente ruota l’intera carreggiata sempre intorno al suo asse.
Per ragioni dinamiche la sovra pendenza longitudinale Δi delle estremità della carreggiata non può superare
dq Bi  Bi 
il valore massimo che si calcola con la seguente espressione:  i max =  100 = 18   
dt v  v
Dove: - dq/dt = variazione della pendenza trasversale nel tempo pari a 0.05 rad/sec
- Bi = distanza espressa in metri fra l’asse di rotazione e l’estremità della carreggiata all’inizio della
curva a raggio variabile
- v = velocità di progetto in m/s
- V = velocità di progetto in km/h
La pendenza deve comunque essere non inferiore ad un valore minimo (i min) per garantire il deflusso
dell’acqua. Quando lungo ad una curva a raggio variabile la pendenza trasversale della carreggiata cambia
segno, per esempio lungo una clotoide di flesso e nel passaggio dal rettifilo alla curva circolare, durante una
certa fase della rotazione la pendenza trasversale è inferiore a quella minima del 2,5 necessaria per il
deflusso dell’acqua.
In certi casi, allo scopo di ridurre al minimo la lunghezza del tratto di strada in cui può aversi il ristagno di
acqua, è necessario che la pendenza longitudinale Δi sia non inferiore ad un valore:  i min = 0.1 Bi
Se pertanto la pendenza Δi è inferiore del Δi min è necessario spezzare in due parti il profilo longitudinale di
quella estremità della carreggiata che è esterna alla curva, realizzando un primo tratto con pendenza
maggiore o uguale a Δi min, fino a quando la pendenza trasversale della via ha raggiunto il 2,5%.
La pendenza per il tratto successivo potrà anche essere inferiore a Δi min.
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Le spire: equazioni parametriche della clotoide


I tracciati stradali sono formati, oltre che da curve circolari, anche da curve a raggio variabile: tra queste la
più usata è la clotoide. La clotoide è una spirale il cui raggio varia in modo continuo da un valore
infinitamente grande fino a un valore piccolo.
Detti s l’ascissa curvilinea e r il raggio di un punto generico, l’equazione della clotoide in forma chiusa è data
da: r s = A2 (A = costante che prende il nome di parametro della clotoide)
Consideriamo una clotoide di parametro A, dove:  = l’angolo della clotoide nel generico punto P di ascissa
curvilinea s, cioè l’angolo generato dal raggio di curvatura quando il punto generico si sposta da O a P

Prendiamo in esame un elemento infinitesimo ds


immediatamente a sinistra di P e chiamiamo dτ l’angolo che
esso sottende:
1 s
rs = A 2  =
r A2
 s
ds s ds s
d  = = 2 E integrando:  d  =  2 ds da cui
r A 0 0
A
s2 A2 s
ottengo:  = 2
= 2= = Angolo di derivazione;
2A 2r 2r
tenendo presente che la costante d’integrazione è nulla perché
per s=0 si ha  = 0
Assumiamo come sistema di riferimento la tangente alla clotoide in O e la normale a essa nello stesso
  s2 
 =

dx cos  2 
ds
dx = cos  ds   2 A 
 
punto; dalla figura risulta:
dy = sen  ds
dy = sen  s  ds
2

  2 
 s
 s2    2A 
 x =  cos  2 
ds
  2A 
 Questi integrali non sono risolvibili; quindi utilizziamo il metodo
0

dy = sen  s  ds dell’integrazione per sostituzione e poniamo:


s 2
E integrando


0  2 A 2  u = s quindi → du = ds e ds = A  du
A  A 
Allora sostituendo: s = Au  e ds = A  du otteniamo:
 u
 A2    u 2   u
   u2 
 x =  cos 

2   A  du 

x = A  0  2  du = A  F1(u)
cos
 2 A 

0

u
 y = sen  A 2
   u 2
 
u
   u2 
0  2 A 2   A  du y = A   sen   du = A  F 2(u)
  0  2 
In cui con F1 e F2 sono indicati gli integrali di Fresnel della variabile u (sono tabellati per di valori di u).
Le coordinate del generico punto P possono porsi anche sotto un’altra forma:
 5



x = 0 cos  ds
Ripartendo da   3 5 7
sen  =  − + − + ...
5
 y = sen  ds 


0 

3! 5! 7!
cos = 1 +  +  −  + ...
2 4 6

Questa volta utilizziamo gli sviluppi in serie di Taylor:



 2! 4! 6!
9

2 −1/2
Inoltre se: s = A 2 e ds = A  d
2
  2 4 
 x = A 2 1 − + ... 
  10 216 
Ottengo:  Le equazioni parametriche della clotoide
 y = A 2   −  +  ... 
2 5

  
 3 42 1320 
In cui l’unico elemento sconosciuto è A
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Metodo delle sezioni ragguagliate e calcolo dell’errore commesso


Il calcolo del volume del solido stradale, delimitato dal piano di campagna, dalla piattaforma (supposta
piana), dalle scarpate del rilevato e/o della trincea e dalle sezioni traversali terminali del tronco considerato,
viene ottenuto utilizzando la Formula di Torricelli: V = d/ 6  (A1 + A 2 + 4 A M )

Torricelli calcola il volume del solido stradale come se fosse un prismoide.


Con il metodo delle sezioni ragguagliate la superficie AM viene considerata come la media delle due
A1 + A 2
superfici iniziali e finali del solido stradale: AM =
2
A questo punto andando a sostituire la formula della “superficie media” all’interno della formula di Torricelli, il
d
volume del totale viene represso come: VM =  (A1 + A 2 )
2
Utilizzando questo metodo, però, si commette l’errore di considerare la superficie AM perfettamente a metà
del solido, il che non è corretto in quanto si avranno due valori di volume (V1 e V2) errati perché non sono
perfettamente calcolati con le reali superfici. E’ opportuno suddividere il solido nel seguente modo:

Dove:
 s (p+ q)   s (p + q) 
V = d  r + +  e V0 = d  r + +
 2 3   2 2 
Area S = variazione lineare
Area p e q = variazione quadratica
d
L’errore che si commette è dato da: V− V0 =  (p+ q)
q
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Coordinamento plano-altimetrico nel progetto stradale e le problematiche legate alla perdita di tracciato
Quando un veicolo percorre una strada, il conducente ha lo sguardo focalizzato su un piano verticale, la cui
distanza dal suo occhio aumenta con la velocità. Analogamente all’aumentare della velocità si restringe il
campo della visione periferica, cioè l’angolo entro cui sono contenuti gli oggetti che il conducente riesce a
vedere.
Questo fenomeno si verifica perché chi è alla guida di un veicolo cerca di non guardare oggetti in rapido
movimento rispetto a lui e fissa lo sguardo su oggetti lontani, in pratica immobili.
Dalla visione prospettica il conducente ricava le informazioni sull’andamento della strada che gli sono
necessarie per la guida del veicolo.
Se nella visione prospettica c’è qualche difetto ottico, quando il conducenti si approssima a esso scopre il
difetto e cerca di modificare il comportamento di guida che aveva preventivato.
Queste modifiche generano insicurezza e rendono faticosa la guida.
Per evitare questi inconvenienti è necessario coordinare fra loro andamento planimetrico e altimetrico della
strada, in quanto il difetto ottico nella visione prospettica nasce quando all’interno di un elemento di tracciato
planimetrico di caratteristica geometrica costante s’introduce una variazione di pendenza longitudinale con
un raccordo di sviluppo inferiore a quello planimetrico, ad esempio una curva nella quale è inserito un breve
raccordo altimetrico.
Di seguito vengono mostrati i difetti di coordinamento fra elementi planimetrici ed altimetrici.

1) Occorre evitare che il punto di inizio di una curva planimetrica coincida o sia prossimo con la sommità di
un raccordo verticale convesso (cunetta). Se ciò si verificasse, risulterebbe nascosto il cambiamento di
direzione planimetrica.

2) Occorre evitare che un raccordo planimetrico (curva) inizi immediatamente dopo un raccordo verticale
concavo (sacca). Se ciò si dovesse verificare, la visione prospettica dei cigli presenterebbe una falsa piega.
Quando non è possibile spostare i due elementi in modo che le posizioni dei rispettivi vertici coincidano si
deve imporre che Rv/ R  6.
3) Occorre evitare l’inserimento di raccordi verticali concavi (sacche) di piccolo sviluppo all’interno di curve
planimetriche di grande sviluppo. In questo caso, la visione prospettica di uno dei cigli presenta difetti di
continuità. Per correggere tale difetto occorre aumentare il rapporto Rv/R in modo che gli sviluppi dei due
raccordi coincidano.
4) Occorre evitare il posizionamento di un raccordo concavo (sacca) immediatamente dopo la fine di una
curva planimetrica. Anche in questo caso nelle linee di ciglio si presentano evidenti difetti di continuità ed
inoltre si percepisce un restringimento della larghezza della sede stradale che può indurre l’utente ad
adottare comportamenti non rispondenti alla reale situazione del tracciato. Questo difetto può essere corretto
portando a coincidere i vertice dei due elementi.
12

5) Occorre evitare che il vertice di un raccordo concavo (sacca) coincida o sia prossimo ad un punto di flesso
della linea planimetrica. Anche in questo caso la visione prospettica è falsata e l’utente percepisce un falso
restringimento della larghezza della sede stradale. Anche in questo caso il difetto può essere risolto
portando a coincidere i vertici dei due elementi.
Le altre due figure, si riferiscono invece a due casi di perdita di tracciato in corrispondenza di un rettifilo e di
una curva circolare; la piattaforma stradale scompare alla vista del conducente in corrispondenza di un
dosso e contemporaneamente riappare oltre il dosso stesso.

La perdita di tracciato può verificarsi ogni volta che un raccordo concavo segue un raccordo convesso. Lo
studio preciso del coordinamento fra andamento planimetrico e andamento altimetrico di una strada può
essere eseguito dal progettista solo disegnando le prospettive così come appaiono al conducente, perché
fra l’altro esse variano con la velocità di progetto.
Tuttavia si possono segnalare una serie di regole per il coordinamento.
1) Un raccordo verticale deve essere inserito all’interno di un elemento del tracciato orizzontale avente
caratteristiche omogenee. Così esso può investire una clotoide e il successivo arco di cerchio avente
curvatura dello stesso segno, oppure i due tratti di curvatura opposta di una clotoide di flesso.
Inoltre è bene che lo sviluppo del raccordo verticale comprenda gran parte di quello dell’elemento di
tracciato orizzontale in cui è inserito.
2) Quando un raccordo verticale convesso è inserito in una curva del tracciato orizzontale, è opportuno
localizzare l’origine del raccordo dopo una deviazione di circa 3° della clotoide che precede la curva
circolare. Questa condizione deve essere rispettata tanto più rigorosamente quanto minore è il raggio della
curvatura orizzontale. Tale regola serve per garantire che l’utente veda l’esistenza della curva orizzontale
prima dell’inizio del dosso, in modo da evitare pericolosi effetti sorpresa.
13

Curva di transizione
Nella geometria stradale l’opportunità di inserire una curva di transizione tra arco di cerchio e rettilineo deriva
da problematiche differenti.
Essendo il veicolo stradale non vincolato ad una specifica traiettoria imposta geometricamente, può
percorrere ed in generale percorre una propria traiettoria di transizione che è definita dalla sterzatura
applicata dall’utente alla guida.
D’altra parte una geometria priva di transizione tra cerchio e rettilineo non può essere esattamente percorsa
dal veicolo stradale considerata l’impossibilità di ruotare istantaneamente lo sterzo nel punto di raccordo in
modo da passare dall’assetto delle ruote in rettilineo ad un assetto deviato di uno specifico angolo θR che
consenta di percorrere l’arco di cerchio di raggio R.
Ciò sarebbe possibile in prima approssimazione solo se il veicolo si fermasse in corrispondenza del punto di
raccordo e, a veicolo fermo, l’assetto delle ruote passasse da θ=0 a θ=θR.
Pertanto allo scopo di disporre di una geometria dell’asse stradale teoricamente percorribile da un veicolo è
indispensabile inserire un arco di transizione tra il rettilineo ed il cerchio, tale per cui la curvatura vari lungo la
transizione regolarmente e l’utente possa articolare una manovra così che la traiettoria del veicolo non si
discosti dall’asse stradale.
Assunto che il passo tra il treno delle ruote anteriori e posteriori di un generico veicolo si pari a p, la
curvatura nel generico punto dell’arco di transizione sia 1/ρ e l’angolo al centro che sottende il passo p sia θ,
si ha: p =  p = p(d  / dt) dt = p(d  / dt)  (s / v) Da cui: ps = vp/ (d  / dt)
Assunta una velocità costante (v) e una velocità di sterzatura costante (dθ/dt) si ottiene l’equazione in
n +1
coordinate intrinseche della clotoide ps = cost = A , spirale d ps = A
2 n
i grado n=1
Il dimensionamento di una clotoide deve rispettare alcuni criteri al fine di garantire una configurazione idonea
sotto il profilo della sicurezza dell’esercizio viario:
• Metodo dinamico (limitazione del contraccolpo):
Affinché lungo un arco di clotoide si abbia una graduale variazione dell’accelerazione trasversale non
compensata nel tempo (contraccolpo c), fra il parametro A e la massima velocità V (km/h) desunta dal
diagramma delle velocità, per l’elemento di clotoide deve essere verificata la relazione:
V 3 gVR(qf − qi)
A  A min = −
c c
Dove: qf = pendenza trasversale nel punto finale della clotoide
qi = pendenza trasversale nel punto iniziale della clotoide c max = contraccolpo
Trascurando il secondo termine dell’espressione del radicando ed assumendo per il contraccolpo il valore
A  0.021 V 2
limite c = 50.4 / V [m/S2]; si ottiene:
Una volta calcolato A, calcoliamo: L = A / R
2
e  = L2 / 2 A 2
• Metodo costruttivo (sovrapendenza longitudinale):
Nel caso in cui il raggio iniziale sia di valore infinito (rettilineo o punto di flesso), il parametro deve verificare
R
la seguente disuguaglianza: A  A min = 1000  Bi (qi+ qf)
 i max
Dove: Bi = distanze fra l’asse di rotazione ed il ciglio della carreggiata nella sezione iniziale della curvatura a
raggio variabile [m]
 i max (%) = sovrapendenza longitudinale massima della linea costituita dai punti che distano Bi dall’asse di
rotazione; in assenza di allargamento tale linea coincide con l’estremità della carreggiata
q i = i ci /100 dove ici = pendenza trasversale iniziale, in valore assoluto
q f = icf /100 dove icf = pendenza trasversale finale, in valore assoluto
Nel caso in cui anche il raggio iniziale sia di valore finito (continuità) l parametro deve verificare la seguente
Bi (qf − qi)
disuguaglianza: A  A min =
 1 1   i max
 
 Ri Rf  100
Dove: Ri = raggio nel punto iniziale della curva a raggio variabile [m]
Rf = raggio nel punto finale della curva a raggio variabile [m] • Metodo Ottico: Per garantire la
percezione ottica del raccordo deve essere verificata la relazione: A  R/ 3 (Ri/ 3 in caso di continuità)
14

L’inserimento della clotoide nel tracciato stradale


Transizione
La curva tra due rettifili è costituita da un arco di cerchio e da due clotoidi che raccordano il cerchio stesso ai
due rettifili. Il raccordo di transizione consente di collegare due rettifili che formano un angolo di deviazione α
nel vertice V mediante un arco di cerchio collegato ad essi da due clotoidi che possono avere parametro
uguale, caso normalmente da preferire detto transizione simmetrica, oppure diverso:

Per tracciare il raccordo di transizione tra i due rettifili che formano un angolo di deviazione α nel vertice V,
noti il raggio R dell’arco di cerchio ed i parametro A1 ed A2, scelti in funzione di R con i criteri visti in
precedenza, si deve posizionare il centro del cerchio rispetto ai due rettifili. Per fare ciò è necessario
calcolare la distanza dal vertice V delle origini O1 ed O2 delle due clotodi. La formula per calcolare tali
distanze O1V ed O2V può essere ottenuta per via grafica.

Noti R, A1 ed A2, è possibile calcolare gli scostamenti ΔR1


e ΔR2. Questi possono essere riportati parallelamente ai
due rettifili e quindi è possibile riportare sul lato del ΔR
maggiore come in figura, anche la loro differenza.

Quindi è possibile tracciare l’asse di simmetria


passante per il centro C che divide in due angoli uguali,
pari a α/2, l’angolo al centro α.

A questo punto è possibile dimostrare che il triangolo VBD


è isoscele ed in particolare i due lati uguali di lunghezza l
sono quelli lungo i due rettifili. Ciò può essere fatto
considerando i suoi angoli come nella figura seguente,
ricordando che la somma degli angoli interni ad un
triangolo è pari a 180° e che i due angoli β sono uguali
perché l’asse che li divide è di simmetria.
15

Quindi l’angolo DBV è uguale a β e DV = BV = l e vale:


l  cos(90 −  ) =  R 2 −  R1
 R 2 −  R1
l=
sen 
Pertanto, le distanze possono essere espresse come somme di: O1V = O1P+PD+DV e O2V = O2R+RB-VB
Quindi sostituendo si ottengono le formule finali:
O1V = X M1 + (R +  R1 )  tg( / 2) + l
O 2 V = X M 2 + (R +  R 2 )  tg( / 2) + l
Particolare attenzione va posta nella scelta del segno per la lunghezza l poiché, a seconda che ΔR1 sia
maggiore o minore di ΔR2, il segno cambia.
16

Flesso
Il raccordo di flesso è utilizzato per raccordare due archi di cerchio le cui curvature hanno segno opposto.
Questo raccordo è costituito da due clotoidi contrapposte le cui origini coincidono nel punto O (punto di
flesso). Nel punto di flesso le due clotoidi sono tangenti tra loro, ovvero, sono entrambe tangenti al rettifilo
degenere che si è ridotto al solo punto O. Da notare che, essendo le due clotoidi tangenti tra loro in O,
origine di entrambi i sistemi di riferimento, gli assi dei due sistemi di riferimento coincidono. La figura
seguente può aiutare a comprendere la costruzione del raccordo di flesso.

Per tracciare il raccordo di flesso, note le coordinate dei loro centri C1 e C2 ed i loro raggi R1 ed R2, e quindi
la distanza D tra i due cerchi, è necessario trovare i due parametri A1 ed A2 e la posizione dei sistemi di assi
xy a cui essi sono riferite. Per risolvere questo problema è necessario ipotizzare di conoscere la posizione
del sistema di assi Oxy e considerare il triangolo C1C2G riportato nella seguente figura. E’ importante
osservare che, ad eccezione del caso in cui il raccordo sia simmetrico (R1 = R2; A1 = A2), la retta
congiungente C1 e C2 non passa per l’origine O.
Poiché il triangolo è un triangolo rettangolo, è
possibile applicare il teorema di Pitagora:
C1C22 = C1G2 + C2G2
I due cateti, paralleli agli assi x ed y dei sistemi
di riferimento a cui sono riferite le due clotoidi,
possono essere scritte come la somma delle
coordinate dei due centri espressi rispetto agli
stessi sistemi di riferimento:
(R1 + D+ R 2 )2 = (Xc1 + Xc2 )2 + (Yc1 + Yc2 )2
Tenendo conto delle equazioni per calcolare le
coordinate del centro del cerchio nel sistema di
riferimento della clotoide:
Xc = xp− R sen  Yc = yp+ R cos

È possibile scrivere:
(R1 + D+ R 2 )2 = [(xp1 − R1 sen 1 ) + (xp2 − R 2  sen  2 )]2 + [(yp1 + R1 cos 1 ) + (yp2 + R 2  cos  2 )]2
Sostituendo a xp1, yp1 e xp2 e yp2 le equazioni complete con lo sviluppo in serie e ricordando che vale:
A12 A 22
1 = e 2 = Si ottiene un’equazione complessa con incognite A1 e A2
2 R 12 2 R 22
17

Poiché l’equazione presenta due incognite è necessario introdurre un’ulteriore relazione. Pertanto si deve
fissare il rapporto tra A1 ed A2. Normalmente, questo rapporto deve essere scelto in modo che, noti R1 ed
R2, le due clotoidi abbiano lunghezze simili e quindi può variare tra 0.7  A1 / A 2  1.3 non discostandosi
troppo dall’unità. Calcolate tutte le grandezze geometriche caratteristiche delle due clotoidi è possibile
posizionare nel piano rispetto ai due cerchi il sistema di riferimento Oxy per tracciare il raccordo.
Xc1 + Xc 2
Infatti, l’angolo  tra la congiungente i due centri e l’asse y è pari a: =
Yc1 + Yc 2

Pertanto, si possono riportare a partire dai centri C1 e C2 i segmenti di lunghezza rispettivamente Yc1 e Yc2
inclinati di  rispetto alla congiungente i due centri identificando i punti M ed N per i quali passa l’asse x;
spostandosi lungo l’asse x da M della lunghezza Xc1 o da N della lunghezza Xc2 è quindi possibile
posizionare l’origine O del sistema di riferimento.
18

Continuità
Il raccordo di continuità è costituito da un arco di clotoide che raccorda due archi di cerchio, uno interno
all’altro ma non concentrici, le cui curvature hanno segno uguale, cioè sono percorsi nello stesso senso. A
differenza degli altri raccordi, nel raccordo di continuità il punto iniziale non ha curvatura 1/R infinita poiché
non è tangente ad un rettifilo bensì ad un arco di cerchio. Il raccordo di continuità è costituito da una
porzione di un’unica clotoide di parametro A che parte dal punto P1 di curvatura 1/R1 tangente al cerchio di
centro C1 e termina nel punto P2 di curvatura 1/R2 tangente al cerchio di centro C2. La seguente figura
consente di meglio comprendere il raccordo di continuità.

Per risolvere questo problema è necessario ipotizzare di conoscere la posizione del sistema di assi Oxy e
considerare il triangolo C1C2G riportato nella seguente figura.

Poiché il triangolo è un triangolo rettangolo, è


possibile applicare il teorema di Pitagora:
C1C22 = C1G2 + C2G2
I due cateti, paralleli agli assi x ed y del sistema di
riferimento Oxy a cui è riferita la clotoide, possono
essere ottenuti dalle coordinate dei due centri:
(R1 − R 2 − D)2 = (Xc2 − Xc1 )2 + (Yc1 − Yc2 )2
Tenendo conto delle equazioni per calcolare le
coordinate del centro del cerchio nel sistema di
riferimento della clotoide:
Xc = xp− R sen  Yc = yp+ R cos

È possibile scrivere:
(R1 − R 2 − D)2 = [(xp2 − R 2  sen  2 ) − (xp1 − R1 sen 1 )]2 + [(yp1 + R1 cos1 ) − (yp2 + R 2  cos 2 )]2
Sostituendo a xp1, yp1 e xp2 e yp2 le equazioni complete con lo sviluppo in serie e ricordando che vale:
A12 A 22
1 = e 2 = Si ottiene un’equazione complessa con incognita il parametro A
2 R 12 2 R 22
Calcolate tutte le grandezze geometriche caratteristiche della clotoide è possibile posizionare nel piano
rispetto ai due cerchi il sistema di riferimento Oxy per tracciare il raccordo.
Xc 2 − Xc1
Infatti, l’angolo  tra la congiungente i due centri e l’asse y è pari a: =
Yc1 − Yc 2
19

Pertanto, si può riportare a partire dai centri C1 e C2 i segmenti


di lunghezza rispettivamente Yc1 e Yc2 inclinati di  rispetto alla
congiungente i due centri identificando i punti M ed N per i quali
passa l’asse x; spostandosi lungo l’asse x da M della lunghezza
Xc1 o da N della lunghezza Xc2 è quindi possibile posizionare
l’origine O del sistema di riferimento.

Diagramma delle velocità


Come indica il DM ad ogni tipo di strada sono associati un limite inferiore ed uno superiore per le velocità di
progetto degli elementi plano – altimetrici che compongono il suo asse.
(ES: una strada locale tipo F1, Vp = 40 – 100 km/h)
Il diagramma delle velocità è la rappresentazione grafica dell’andamento della velocità di progetto in
funzione della progressiva dell’asse stradale.
Si costruisce, sulla base del solo tracciato planimetrico, calcolando per ogni elemento di esso l’andamento
della velocità di progetto, che deve essere contenuta nei limiti imposti dal DM.
Il modello semplificato di variazione della velocità lungo il tracciato si basa sulle seguenti ipotesi:
- La velocità è costante lungo lo sviluppo delle curve con R<R2.5 e si determina dagli abachi
- i valori della decelerazione e dell’accelerazione restano fissati in 0.8 m/s2 ( ac  0.8 m / s )
2

- Le pendenze longitudinali non influenzano la velocità di progetto.


Il passaggio da una velocità Vp1 a una velocità Vp2 viene individuato dalla lunghezza di transizione Dt:
DT = ( V Vm) / (12.96 a)
Vp1 − Vp2
 V = Vp1 − Vp2 (km/ h), Vm = velocità media = (km/ h), ac  0.8m / s2
2
Vp = 70 km/h (rettifilo) Vp = 50 km/h (curva) Vp = 70 km/h (rettifilo)
Secondo questo modello l’apprezzamento di una variazione di curvatura dell’asse può avvenire solo
all’interno della lunghezza di trazione e quindi per garantire la sicurezza della circolazione:
In caso di decelerazioni DT  Dr Dove: Dr = distanza di riconoscimento
Dr = t – Vp con t = 12 sec e Vp espressa in m/s
Inoltre per Vpmax  100 km/ h il passaggio a velocità inferiore non deve superare i 10 km/h.
Fra due curve successive tale differenza, comunque mai superiore a 20 km/h, è consigliabile che non superi
i 15 km/h
20

Allargamento in curva
Allo scopo di consentire la sicura iscrizione dei veicoli nei tratti curvilinei del tracciato, conservando i
necessari franchi fra la sagoma limite dei veicoli ed i margini delle corsie, è necessario che nelle curve
circolari ciascuna corsia sia allargata di una quantità E, data dalla seguente relazione: E = K/R (m)
Dove: K = 45, R = raggio esterno (in m) della corsia
Per R > 40m si può assumere, nel caso di strade ad unica carreggiata a due corsie, il valore del raggio
uguale a quello dell’asse della carreggiata. Nel caso di strade a carreggiate separate, o ad unica carreggiata
a più di una corsia per senso di marcia, si assume come raggio per il calcolo dell’allargamento quello
dell’asse di ciascuna carreggiata o semi carreggiata.
Se l’allargamento E, così calcolato, è inferiore a 20 cm, la corsia conserva la larghezza del rettifilo.
Il valore così determinato potrà essere opportunamente ridotto, al massimo fino alla metà, qualora si ritenga
poco probabile l’incrocio in curva di due veicoli appartenenti ai seguenti tipo: autobus, ed autocarri di grosse
dimensioni, autotreni ed autoarticolati.
L’allargamento complessivo della carreggiata o semicarreggiata Et sarà pari alla somma degli allargamenti
delle singole corsie nel caso in cui esse siano in numero di una o al massimo due per senso di marcia, nel
caso in cui il numero di corsie per senso di marcia sia maggiore di due, l’allargamento complessivo della
carreggiata sarà pari alla somma di quelli calcolati per le due corsie più interne alla curva
1) Nel caso di raccordo clotoidico (rettifilo/curva), l’allargamento parte 7.50 m prima dell’inizio della curva di
raccordo e termina 7.50 m dopo il punto finale del raccordo.
La lunghezza complessiva Lz del tratto di strada lungo il quale si effettua l’allargamento è: L Z = 2  7.50 + L

L (m) = lunghezza della curva di raccordo


In ogni caso Lz, anche in assenza di raccordo clotoidico (strade esistenti), deve essere di almeno 15m
2) Nel caso di raccordo di transizione, se la curva circolare ha uno sviluppo interiore a 15m (strade esistenti)
deve risultare per ciascun ramo del raccordo: L Z = 7.50 + L+ (s / 2)

Dove: s(m) = sviluppo della curva circolare (al limite s=0)


L(m) = lunghezza della curva di raccordo considerata
21

3) Nel caso di flesso, per ciascun ramo del raccordo l’inizio del tratto di allargamento è anticipato di 7.50m
rispetto al punto di flesso e termina di uguale misura dopo il punto finale della curva di raccordo, si ha quindi:
L Z = 2  7.50 + L

4) Nel caso di raccordo di continuità l’allargamento avviene lungo il raccordo. Pertanto risulta: Lz = L

L’allargamento complessivo della carreggiata deve essere riportato tutto sul lato interno della cruva. Le
banchine e le eventuali corsie di sosta conservano le larghezze che hanno in rettifilo
22

RACCORDO CONVESSO (dosso)


Il raccordo convesso è effettivamente in grado di limitare la distanza di visibilità D per tutte le distanze di
visibilità la cui verifica è richiesta dal D.M. 05.11.2001. Il calcolo del valore del raggio Rv in funzione della
distanza D si distingue in due casi, a seconda che D sia minore o maggiore della lunghezza del raccordo L.
Nel primo caso il valore minimo del raggio Rv dipenderà solo dalla distanza di visibilità D da garantire,
mentre nel secondo sarà funzione anche della differenza di pendenza Δi.
D<L

h1 = altezza sul piano stradale dell’occhio del conducente


h2 = altezza sul piano stradale dell’ostacolo che deve essere visto a distanza D
Applicando il teorema di Pitagora ai due triangoli rettangoli si ha:
(R + h1 ) 2 = X 2 + R 2 R 2 + h12 + 2 Rh1 = X 2 + R 2
 Ovvero:  2
(R + h 2 ) = Y + R R + h 2 + 2 Rh 2 = Y + R
2 2 2 2 2 2

Semplificando R e considerando che h1  2Rh1 e h 2  2Rh 2


2 2 2

Poiché h1 = 1.1m, h 2 = 1.1m (sorpasso) o h 2 = 0.1m (arresto) mentre R è pari a centinaia o migliaia di
metri, si ottiene: 2Rh1  X e 2Rh 2  Y
2 2

Da cui: D = X+ Y = 2h1R + 2h 2R

( ) ( )
2
Quindi: D2 = 2 h1R + 2 h 2 R = 2 R h1 + h 2 + 2 h1h 2
Da cui si può ricavare il valore di R, ovviamente indipendente da  i
D2
R=
2  (h1 + h 2 + 2 h1h 2 )
Questa è la relazione riportata dal D.M. 05/11/2001 per calcolare il raggio R del raccordo verticale convesso
nel caso D<L
23

D>L
Il raccordo convesso è effettivamente in grado di limitare la distanza di visibilità D per tutte le distanze di
visibilità la cui verifica è richiesta dal D.M. 05.11.2001. Il calcolo del valore del raggio Rv in funzione della
distanza D si distingue in due casi, a seconda che D sia minore o maggiore della lunghezza del raccordo L.
Nel primo caso il valore minimo del raggio Rv dipenderà solo dalla distanza di visibilità D da garantire,
mentre nel secondo sarà funzione anche della differenza di pendenza Δi.

D = EA + AB + BF (1)
  h1 h2
AB = R tg + R tg EA = BF =
2 2 sen  sen 
Poiché le pendenze, e quindi gli angoli  e  ; sono piccoli in ambito stradale
1 1 1 1
AB  R tg  + R tg  = R (tg  + tg  ) = R  i (2)
2 2 2 2
Vale inoltre la relazione:
BC
AB sen  = BC sen  → sen  =  sen 
AB
Ricordando che gli angoli sono piccoli (pertanto vale la semplificazione sen   tg    i) e sostituendo AB
BC 2 2
con la (2) si ha: sen  =   i = BC   i = BC  tg 
AB R  i R
2
Inoltre: sen   tg   tg  − tg    i − tg  =  i − BC
R
R R
Pertanto è possibile esprimere EA e BF come: EA = h1  BF = h 2 
2  BC R  i− 2 BC
R 1 R
La (1) si può quindi esprimere come: D = h1  + R  i + h 2  (3)
2  BC 2 R  i − 2 BC
Da questa equazione si osserva che la distanza D dipende non solo da R ma anche dalla lunghezza
BC, e quindi dipende dalla posizione del veicolo e dell’ostacolo rispetto al raccordo. Volendo valutare il
valore da assicurare al raggio R nella posizione più sfavorevole poiché è necessario garantire sempre la
distanza di visibilità D, è necessario annullare la derivata prima rispetto a BC.
24

D R 1 2R
= − h1 + R  i+ h 2  =0
 BC 2  BC 2
2 (R  i− 2 BC) 2
R  i
La lunghezza BC per la quale questa derivata si annulla è pari a: BC =  (h1 − (h1  h 2 ) (4)
2  (h1 − h 2 )
R  i h1 + h 2 + 2  h1 h 2
Sostituendo la (4) nella (3): D= +
2 i
2  h + h + 2  h1  h 2 
Da cui: R=   D− 1 2 
 i  i 

A differenza dell’equazione ottenuta nel caso in cui D < L, in questo caso il raggio R del raccordo dipende
dalla variazione di pendenza Δi. L’equazione presenta un andamento crescente al crescere della differenza
di pendenza Δi, raggiunge il punto di massimo per D = L, oltre il quale decresce al crescere della differenza
di pendenza Δi. Questa è la relazione riportata dal D.M. 05.11.2001 per calcolare il raggio R del raccordo
verticale convesso nel caso D > L.
25

RACCORDO CONCAVO (sacca)


Il raccordo concavo, a differenza di quello convesso, non limita la distanza di visibilità in tutti i casi, ma solo
in particolari condizioni. In effetti, di giorno, in condizioni di buona luminosità un oggetto posto sulla
carreggiata può essere visto dal guidatore indipendentemente dal valore del raggio Rv del raccordo, così
come un veicolo che proviene in senso opposto. Analogamente, anche di notte un veicolo che proviene in
senso opposto è identificato poiché i suoi fari sono ben visibili nel buio. In effetti, l’unica distanza di visibilità
D che deve essere verificata per un raccordo concavo è quella relativa all’arresto ma limitatamente al caso
notturno. Infatti, in questo caso è necessario che il fascio di luce prodotto dai fari del veicolo illumini
l’ostacolo posto sulla carreggiata ad una distanza superiore o, al limite uguale, alla distanza di visibilità per
l’arresto.
D<L

Poiché AA’ è piccolo rispetto ad AC ed inoltre R è grande si può ritenere che: AC  A'C  D
Con riferimento alla figura vale: BC = BB'+ B'C = hf + A'C sen   hf + D sen 
Con hf altezza dei fari ed  semiaperta degli stesso fari, vale inoltre:
AC   AC D
= R sen quindi sen =  (1)
2 2 2 2R 2R
 
L’angolo BAC vale e pertanto: BC = AC sen (2)
2 2
D D2
Unendo le equazioni (1) e (2) si ottiene: BC = AC sen 
2R 2R
D2
Sostituendo BC: hf + D sen  =
2R
D2
Da cui si può ricavare il valore di R, ovviamente indipendente da i : R =
2(hf + D sen  )
Questa relazione riportata da DM 05/11/2001 per calcolare il raggio R del raccordo verticale concavo nel
caso D<L
26

D>L
Il raccordo concavo, a differenza di quello convesso, non limita la distanza di visibilità in tutti i casi, ma solo
in particolari condizioni. In effetti, di giorno, in condizioni di buona luminosità un oggetto posto sulla
carreggiata può essere visto dal guidatore indipendentemente dal valore del raggio Rv del raccordo, così
come un veicolo che proviene in senso opposto. Analogamente, anche di notte un veicolo che proviene in
senso opposto è identificato poiché i suoi fari sono ben visibili nel buio. In effetti, l’unica distanza di visibilità
D che deve essere verificata per un raccordo concavo è quella relativa all’arresto ma limitatamente al caso
notturno. Infatti, in questo caso è necessario che il fascio di luce prodotto dai fari del veicolo illumini
l’ostacolo posto sulla carreggiata ad una distanza superiore o, al limite uguale, alla distanza di visibilità per
l’arresto.


 Il punto B di illuminazione del faro è
esterno al raccordo.
R R
L



A'   B
A 
 M  F A'B = D
BC' = D sen 



V
AM = Rv sen
tg  = i1 + i 2 2
C' 
C hf
AF = 2AM = 2 Rv sen
2

AB AF
Tracciamo AB e AF, consideriamo il triangolo AFB e scriviamo il teorema dei seni: =
sen AFB sen 

2 Rvsen
   D 2
Con: AB = D, AF = 2 Rvsen , sen AFB = sen180 − = sen , =
2 2 2  sen 
sen
2
Poiché  = 1 +  2  tg  = tg 1 + tg  2 = i1 + i 2 =  i
 1 1 1
Per ipotesi di angoli piccoli: sen  sen   tg  =  i
2 2 2 2

2 Rv sen
2D  i
Per cui la precedente formula diventa: = 2  sen  = Rv sen 
i sen  2 D
Ci serve una relazione che leghi D con Rv:
i  Rv  i 2
Poiché sen  sen  =
=
2 2 2D
 sen  =    i Rv  i 2

 = − Ma con:      = sen − sen  = −
2 sin 2 = 2 2 2 2D
27

Ma poiché: CB = BAsen CAB


(Dsen  + hf) Dsen  + hf  
BA =  sen CAB = = sen  +  
sen CAB D 2 
 i  i Rv  i 2 Dsen  + hf  
Perciò: + − = Rispettivamente: sen + sen = sen CAB
2 2 2D D 2 2
2  (hf + D sen  ) 
Ora da questa espressione ricavo Rv: R =   D− 
i  i
1

Classificazione dei terreni nel sistema CNR e HRB e CNR-UNI 10006


• Le norme CNR per la tecnica di impiego delle terre nelle costruzioni stradali propongono le seguenti
classificazioni dal punto di vista granulometrico:
- Ciottoli o pietra: frazione di terra di dimensioni maggiori di 71 mm (trattenuta al crivello 71 UNI 2334)
costituita da elementi a spigolo arrotondato (ciottoli) o a spigoli vivi (pietra);
- Ghiaia o breccia: frazione di terra compresa fra 71 e 25 mm (passante al crivello 71 UNI 2334 ma trattenuta
al crivello 25 UNI 2334) costituita da elementi a spigoli arrotondati (ghiaia) o a spigoli vivi (breccia);
- Ghiaietto o breccetta: frazione di terra compresa fra 25 e 10 mm (passante al crivello 25 UNI 2334 ma
trattenuta al crivello 10 UNI 2334) costituita da elementi rispettivamente a spigoli arrotondati o vivi;
- Ghiaino o brecciolino: frazione di terra compresa fra 10 e 2 mm (passante al crivello 10 UNI 2334 e
trattenuto al crivello 2 UNI 2334) costituita da elementi a spigoli arrotondati o vivi;
- Sabbia: frazione di terra compresa fra 2 e 0,05 mm;
- Limo: frazione di terra compresa fra 0,05 e 0,005 mm;
- Argilla: frazione di terra avente dimensioni minori di 0,005 mm.
La più elementare fra le classificazioni che tengono conto sia della granulometria che della suscettibilità
all’acqua è la classificazione dell’indice di gruppo.
Essa divide le terre in 21 gruppi ciascuno dei quali viene caratterizzato da un indice di qualità detto indice di
gruppo variabile tra 0 e 20.
Il gruppo con indice 0 comprende le terre prive di frazione fine e insensibili all’acqua, all’aumentare
dell’indice aumenta sia la frazione fine che la sensibilità all’acqua e i gruppi con indice prossimo a 20
comprendono le terre con dominio plastico.
L’indice di gruppo è dato dalla seguente relazione: IG = 0.2a + 0.005ac+ 0.01bd
Dove:
a = % d passante al setaccio 0.075 UNI 2332 – 35 (a = 75 se %pass. 0.075>75; a = 35 se %pass. 0.075<35)
b = % d passante al setaccio 0.075 UNI 2332 – 15 (b = 55 se %pass. 0.075>55; b = 15 se %pass. 0.075<15)
c = LL (limite di liquido) – 40 (c = 20 se LL>60; c = 0 se LL<40)
d = IP (indice di plasticità) – 10 (d = 20 se LL>30; d = 0 se LL<10)
• Una classificazione molto più completa e dettagliata è quella americana elaborata dall’HRB e adottata
senza modifiche dal CNR; essa suddivide le terre in 8 gruppi, individuati con gli indici da A1 ad A8, in base
alla granulometria ed alla sensibilità all’acqua.
- A1, A2, A3: terre ghiaino-sabbiose: caratterizzare da un passante al setaccio 0,075 UNI 2332 < 35%
- A4, A5, A6, A7: terre limo-argillose, aventi una percentuale di passante al setaccio 0,075 > 35%
- A8 = comprende le terre con forte percentuale di materie organiche, come le torbe, i limi e le argille di
origini palustre, le quali non vengono mai utilizzate nelle costruzioni stradali.
Nella classificazione si osserva che taluni gruppi (A1, A2, A7) sono suddivisi in sottogruppi, inoltre, le terre
dei gruppi A1 e A3, costituite da ghiaia o breccia, sabbia senza argilla e con eventuale pochissimo limo,
sono praticamente insensibili all’azione dell’acqua e del gelo e sono pertanto ottimi materiali, sia per la
costruzione di rilevati che per sottofondi.
Le terre dei sottogruppi A2-4 e A2-5, costituite da ghiaia e sabbia limo-argillose, aventi indice di plasticità
inferiore a 10, sono insensibili all’azione dell’acqua e solo debolmente interessate dal gelo: sono pertanto in
ogni caso buoni materiali, facilmente costipabili.
Le terre dei gruppi A2-6 e A2-7, cioè le ghiaie e le sabbie limo-argillose con indici di plasticità maggiore di
10, sono poco sensibili all’azione dell’acqua, ma risentono alquanto quella del gelo. Sono utilizzate nei
rilevati stradali dove qualche difficoltà nel costipamento può derivare da un eccessivo contenuto d’acqua, il
quale però, è facilmente eliminabile per effetto del sole e del vento.
Data la modesta percentuale di frazione fine non possono essere utilizzate come materiale di sottofondo.
I terreni dei gruppi A4, A5, A6, A7 sono invece, in misura più o meno elevata, sensibili all’azione dell’acqua e
del gelo. Sono pertanto utilizzabili nella costruzione dei rilevati solo se il loro contenuto d’acqua naturale è
modesto; in caso contrario non si riuscirebbe a costiparli efficacemente.
• Una classificazione simile alla HRB è stata effettuata anche in Italia con la norma CNR-UNI 10006, in cui
sono indicate (oltre all’IG, il limite di liquidità e l’indice di plasticità) la qualità portante del terreno di
sottofondo in assenza di gelo, l’azione del gelo sulle qualità portanti del sottofondo, il ritiro o il rigonfiamento,
la permeabilità, gli aspetti identificativi dei terreni in sito.
2

I limiti di Atterberg
I limiti di Atterberg rappresentano quei valori limite corrispondenti alla transizione da uno stato in cui si può
trovare un’argilla, ovvero: 1) lo stato liquido è quello in cui le particelle di argilla si trovano in sospensione
all’interno nell’acqua 2) lo stato plastico è quello in cui l’argilla diviene lavorabile 3) lo stato semisolido è
quello in cui la quantità di acqua presente non permette più una lavorabilità ottimale 4) lo stato solido è
quello in cui l’argilla si trova a seguito di essiccamento.
I limiti di Atterberg vengono determinati su un campione di terreno prelevato dal passante al setaccio ASTM
n 200 ovvero sulla frazione limo-argillosa di terreno.
• Limite liquido (wL) = è il contenuto d’acqua che separa lo stato liquido dallo stato plastico dell’argilla. Esso
si determina utilizzando la prova con cucchiaio di Casagrande, una specie di scodella che viene
ripetutamente sollevata e fatta cadere su un supporto rigido di ebano da un’altezza di 60mm. Il campione da
sottoporre a prova viene posto sul cucchiaio; si effettua un solco al centro di esso mediante un utensile
solcatore standardizzato, in modo che il materiale venga diviso in 2 frazioni uguali. Si conta quindi il numero
di colpi subiti dal campione (N), a seguito delle ripetute cadute del cucchiaio, necessario alla parziale
chiusura del solco; dopo la prova si determina poi il contenuto d’acqua del campione (wn).
Queste operazioni vanno ripetute in modo da poter avere a disposizione 4 o 5 coppie di valori (n° di colpi-
contenuto d'acqua), per poter tracciare un diagramma e da esso ricavare il valore del contenuto d'acqua
corrispondente ad un numero di colpi N = 25. Convenzionalmente tale valore equivale al limite liquido.
• Limite plastico (wP) = rappresenta, per un terreno, il contenuto d’acqua in corrispondenza del quale il
terreno inizia a perdere lavorabilità. Esso si determina formando manualmente, per rotolamento su una
lastra di vetro, dei cilindretti di terreno di diametro circa 3mm e lunghezza circa 80 mm che presentino sulla
superficie un diffuso e uniforme stato fessurativo. Il contenuto d’acqua del materiali fornisce il limite plastico.
Quanto minore è wP quanto maggiore è la capacità dell’argilla di perdere acqua, mantenendo inalterate la
sua plasticità.
• Limite di Ritiro (wR) = è il valore del contenuto d’acqua al di sotto del quale ogni ulteriore diminuzione della
quantità di acqua nel terreno non ne provoca più diminuzione di volume. La sua determinazione viene fatta
su un campione di terreno indisturbato conoscendo il peso di volume reale di una terra ( s ) e misurando il
suo volume V in condizioni asciutte, mediante volumenometro a mercurio, secondo la relazione:
100  Vs  Il limite di ritiro è di particolare interesse poiché fornisce una misura della
w R (%) =   V−  capacità di rigonfiamento di una terra, in quanto per contenuti d’acqua a
P  S  esso superiori, il terreno aumenta di volume rigonfiando, e, se costituisce il
sottofondo di una pavimentazione, provoca nella sovrastruttura effetti fortemente dannosi, quali:
- Il sollevamento e la deformazione del piano viabile e di conseguenza la fessurazione degli strati legati alla
pavimentazione
- Netta riduzione della portanza del sottofondo, rapido decadimento strutturale della pavimentazione,
formazione di ormaie e, nei casi più gravi, sfondamenti nella pavimentazione
• Indice di Plasticità = esso è dato dalla differenza tra il limite di liquidità e quello di plasticità: I P = w L − w P
Esso permette di definire l’ampiezza dell’intervallo dei contenuti d’acqua che caratterizza lo stato platico del
terreno. I limiti di Atterberg, e di conseguenza IP, sono correlati alla quantità di argilla presente nel campione
di prova e ai minerali argillosi che la compongono.
• Indice di Consistenza = esso è dato dal seguente rapporto:
wL − wn wL − wn
IC = = Dove: wn = contenuto d’acqua del terreno allo stato naturale
wL − wP IP
L’indice di consistenza delle terre fornisce indicazioni utili sulle condizioni operative di cantiere; infatti:
- per IC < 0.7 si ha difficoltà di circolazione che comporta una scarsa trafficabilità per i mezzi d’opera
- per IC > 1.4 si ha difficoltà di costipamento e quindi scarsa compattibilità del terreno in quanto troppo secco
w− wP
• Indice di Liquidità = esso è dato dal seguente rapporto: IL = = 1 − IC
IP
3

Il costipamento delle terre


Le proprietà meccaniche di una terra (resistenza a taglio e portanza) dipendono dalla numerosità e dalla
natura dei contatti esistenti fra le particelle solide e dal grado di addensamento dello scheletro litico. Tali
caratteristiche possono essere migliorate attraverso tecniche di stabilizzazione di tipo meccanico
(costipamento, ossia la tecnica volta ad ottenere l’addensamento del terreno mediante l’applicazione di forze
esterne) o chimico (miscelazione del terreno con composti come cemento, calce ecc.)
L’operazione di costipamento ha lo scopo di:
1) Evitare che, durante l'esercizio della strada, possano prodursi nel materiale posto in opera assestamenti
inaccettabili per effetto dei carichi permanenti e di quelli dinamici trasmessi dai veicoli
2) Conferire al corpo dei rilevati caratteristiche di resistenza a taglio in grado di assicurarne la stabilità a
lungo termine e agli altri strati di terra, progressivamente posti in opera, rigidezza sufficiente: sia per poter
compattare correttamente quelli soprastanti sia per assicurare la necessaria indeformabilità del piano di
posa della pavimentazione
3) Ridurre l'influenza dell'acqua nelle opere in terra, in quanto la diminuzione della porosità le rende meno
permeabile e meno erodibili.
La riduzione della porosità che si accompagna all’addensamento dei grani è legata principalmente
all'espulsione dell'aria contenuta nel volume di terra, oltre che alla compressione dell'aria interna che non
può essere espulsa e alla migrazione dell'acqua. Questo fenomeno richiede energia di entità che varia in
funzione della tecnica di costipamento, della natura della terra e del suo tenore in acqua.
In generale, se si compatta un terreno granulare a basso contenuto d'acqua, l'attrito fra i granuli risulta
piuttosto elevato cosicché i movimenti relativi tra i grani di una sabbia o di una ghiaia avvengano con
notevole difficoltà riducendo l'efficacia del costipamento. Per i terreni fini in condizioni di basso grado di
saturazione, occorre considerare che le tensioni capillari di contatto che serrano i grani siano abbastanza
elevate e offrano notevole resistenza alle sollecitazioni esterne. Aumentando l'umidità, i granuli di terra
vengono avvolti da una pellicola d'acqua che, agendo da lubrificante nei terreni granulari ovvero riducendo le
tensioni capillari terreni fini, permette movimenti relativi sempre più agevoli fra le particelle solide, il che
migliora il rendimento del costipamento.
Aumentando ulteriormente il contenuto d'acqua, l'energia di costipamento si trasforma in pressione neutra
con la conseguente riduzione della componente che si trasmette in termini efficaci sullo scheletro solido e
che è la sola in grado di indurre scorrimenti relativi fra i grani tali da favorirne l'addensamento.
Inoltre per i terreni fini, quando il contenuto d'acqua ha superato determinate soglie, la maggiore pressione
raggiunta dall'aria che non viene espulsa, può generare un sistema di tensioni interne che riduca l'effetto
costipante e che comporti caduta di resistenza meccanica nel materiale posto in opera e, talvolta, effetti di
decostipamento noti come “fenomeno del cuscino di Caucciù“.
Il costipamento di una terra dipende da numerosi fattori principali:
- contenuto d’acqua naturale del terreno - energia di costipamento - natura della terra
- modalità di costipamento - spessore dello strato - rigidezza del supporto
Vista la complessità del fenomeno, l'ottimizzazione dei processi di posa in opera va effettuata in cantiere
attraverso prove preliminari di campo condotte, per ciascun materiale che si intende impiegare, con i mezzi
di costipamento disponibili e nelle effettive condizioni di impiego, al fine di determinare le condizioni più
favorevoli alla costruzione. L'onerosità di tali prove preliminari può essere notevolmente ridotta considerando
le indicazioni che è possibile trarre dai risultati degli studi di costipamento Proctor di laboratorio.
Tali studi, oltre a dare indicazioni utili per le prove in vera grandezza e per la fase di costruzione, in fase di
progetto forniscono riferimenti indispensabili per le prescrizioni di capitolato relative ai controlli di qualità
degli strati posti in opera.
4

Confronto Prova Proctor e Prova CBR


• Prova Proctor
L’influenza del contenuto d’acqua sul costipamento fu scoperta da Proctor tramite la sua prova:
Essa viene eseguita su dei campioni di terra divisi in gruppi A1, A2, A3 aventi un passante al setaccio n° 4
della serie ASTM o al n° 5 della serie UNI 2332.
Ogni campione viene disposto in una fustella cilindrica di date dimensioni e costipato mediante un pestello
che cade ritmicamente da una certa altezza h con una procedura normalizzata.
A costipamento ultimato si misura: - Il contenuto d'acqua: Pw = Ptot − Psecco
- Peso specifico del secco:  S = PS / Vtot (Ps = essiccato in stufa a 105°, Vtot = costipato ma non essiccato)
Si effettuano 5 prove su 5 campioni con un contenuto d’acqua crescente, ottenendo diversi valori di  S.
Rappresentando i risultati delle prove con riferimento a un sistema di assi cartesiani in cui si riportano come
ascisse il contenuto d’acqua (w) in % e come ordinate il peso specifico del secco ( S ) si ottiene un insieme
di punti, il quale permette di tracciare una curva a campana (curva Proctor) che esprime la relazione tra la
densità di un terreno a secco e il suo contenuto d‘acqua.
Da tale grafico si osserva l’esistenza di un umidità ottima, in corrispondenza della quale la densità
raggiungibile con l'energia di costipamento impegnata risulta massima.
All’aumentare dell’energia di costipamento aumenta la densità massima raggiunta ma diminuisce l'umidità
ottima necessaria per costipare. Come si può notare dal grafico le curve relative non si intersecano e
all’aumentare dell'umidità tutte si approssimano senza raggiungere la curva detta di saturazione.
Questa esprime graficamente la relazione fra densità secca di una terra e il contenuto di acqua necessario
perché tutti i vuoti siano riempiti completamente d’acqua.
Il fatto che le curve di costipamento non raggiungano mai la curva di saturazione pone in evidenza il fatto
che non è possibile mediante costipamento espellere tutto il gas presente nei vuoti di una terra, riducendo il
volume di questo a quello strettamente necessario per contenere l’acqua.
s energia impiegata costante s
curva di
saturazione

umidità ottima w% w%
• Prova CBR
È un metodo analogo alla prova Proctor; sul materiale costipato si esegue una misura convenzionale di
portanza relativa alla capacità del terreno di sopportare i carichi senza pericolosi cedimenti.
Il campione viene sottoposto alla punzonatura: una sonda a sezione cilindrica di 5 cm di diametro viene fatta
penetrare, a velocità costante (1 mm ogni 50 secondi), nel campione contenuto nella fustella già impiegata
nella prova Proctor e si misurano le pressioni trasmesse dalla sonda al terreno in corrispondenza delle
penetrazioni di 2.5 mm e 5mm
Tali pressioni vengono rapportate a quelle necessarie per ottenere eguali penetrazioni in un terreno
campione della California costipato alla densità massima della prova AASHO modificata, pari rispettivamente
a: P2.5 → 70 Kg/ cm e P5 → 105Kg/ cm2
2

I rapporti che ne risultano, moltiplicati per 100, forniscono gli indici CBR per la terra in esame:
P2.5 P5
ICBR = 100 (%) ICBR = 100 (%) Come indice CBR si prende quello più grande tra i due
70 105
Se si ripete la prova CBR sul materiale costipato a diversi contenuti d’acqua si ricava la legge di variazione
della portanza (non più del costipamento come in Proctor) in funzione del contenuto d’acqua:
CBR

Si ottiene anche in questa prova delle analoghe curve a


campana in cui c’è un valore del contenuto d’acqua in
corrispondenza della massima portanza Wopt che è
inferiore al Wopt per il costipamento

w%
Wopt per la Wopt per il
portanza costipamento
5

Le prove Proctor e CBR sono prove puramente convenzionali.


La tecnica di costipamento impiegata in laboratorio è completamente diversa da quella impiegata in cantiere;
inoltre lo stato tensionale al quale il cilindro CBR sottopone il terreno durante la prova di penetrazione è
tutt’altra cosa dal sistema di tensione che, per la cause più diverse, nasce in un rilevato o in un sottofondo.
L’umidità ottima della prova Standard è in genere l’elemento a cui si paragona il contenuto d’acqua naturale
di una terra per decidere le macchine da impiegare nel costipamento e lo spessore degli strati.
D’altra parte la densità da raggiungere in cantiere viene espressa, nel caso delle terre fini, come percentuale
della densità ottima Proctor Standard.
I risultati della prova CBR vengono spesso impiegati per decidere se il materiale proveniente dagli scavi,
tenuto conto del suo contenuto d’acqua, può essere utilizzato nei rilevati, ovvero se deve essere
preventivamente corretto o rifiutato; cioè l’indice CBR può essere impiegato come sistema di classificazione
delle terre dal punto di vista del loro stato.
Se il contenuto d’acqua naturale corrisponde a un indice CBR (relativo a un costipamento eseguito con la
prova Proctor Standard) maggiore di 10, il materiale è utilizzabile; se corrisponde a un indice CBR inferiore a
5 il materiale non può essere utilizzato senza particolari provvedimenti.
6

La portanza dei sottofondi stradali: modelli teorici e verifiche sperimentali – Indice CBR e Mc Leod
Innanzitutto il sottofondo è lo strato più superficiale del terreno in sito (se la strada è in trincea) o del rilevato,
su cui poggia la pavimentazione e nel quale le tensioni prodotte dai carichi transitanti sulla strada assumono
ancora valori apprezzabili.
• La portanza dei sottofondi stradali:
Un sottofondo deve possedere una rigidità sufficiente a garantire una corretta costruzione e una buona
durata della pavimentazione sovrastante; quindi diventa indispensabile determinare sperimentalmente un
parametro che dia la misura della rigidità del sottofondo, cioè la capacità di resistere ai carichi, tale
parametro è la portanza.
La portanza del sottofondo è un parametro fondamentale che fornisce la misura della rigidità del sottofondo.
Questo parametro è utilizzato nel dimensionamento della pavimentazione sovrastante e viene definito e
calcolato in modi diversi a seconda dei metodi di calcolo impiegati per il progetto della pavimentazione.
Tali metodi possono dividersi in due grandi categorie:
1) Metodi Empirici (CBR) = ricavati dall’esperienza acquisita nell’osservazione del comportamento di
pavimentazioni già costruite nel passato. Si riferisce alla prova CBR e al calcolo dell’indice (spiegata prima)
2) Metodi Razionali = ricavano lo stato tensionale e di deformazione della pavimentazione per via analitica
studiando un modello schematico della pavimentazione stessa. Il vero problema è che non si conoscono tutti
i legami costitutivi, a partire dal sottofondo, a questo scopo si è introdotta la:
• Prova di carico su piastra:
Si appoggia sul sottofondo una piastra circolare rigida d’acciaio, in posizione orizzontale, sulla quale si
applica un carico P mediante un martinetto idraulico e tramite una serie di comparatori (3 per avere una
media significativa) centesimali, appoggiati sulla piastra, si misurano i cedimenti del piano di sottofondo
durante la prova. Dalla media delle 3 misure, una a 120° dall’altra, si ottiene un carico P e un cedimento f.
Effettuando diverse misure si ottengono diverse coppie di valori (P,f) le quali si possono tradurre in punti in
un diagramma:
P (peso) Questi punti uniti formano il diagramma carico – cedimenti

f (affondamento)
Dopo aver applicato il carico si toglie; nella fase di scarico si noterà che i punti (Pi, fi) non ripercorrono la
curva di carico e alla fine rimane una deformazione residua Ep:
p P
Nel ciclo di carico – scarico sulla piastra si possono osservare 3
el carico comportamenti del fondo:
- Elastico = il sottofondo restituisce la deformazione avvenuta col carico
scarico - Plastico = dato dalla deformazione residua Ep
- Viscoso = dovuto a un carico permanente e a uno scorrimento ritardato
f del terreno per effetto di scorrimenti esterni
La deformazione viscosa è funzione del tempo e non è possibile rappresentarla in un diagramma −  
Applicando e togliendo più volte il carico nello stesso punto il cedimento elastico ottenuto in ciascun ciclo
rimane invariato mentre quello permanente decresce con il numero n dei cicli di carico.
La somma dei cedimenti permanenti ottenuti in n cicli, ovvero il cedimento residuo totale, varia linearmente
con il logaritmo decimale di n:  p = a + b log n
Dove: a e b = sono due costanti che dipendono dalle caratteristiche del sottofondo, dall’entità della pressione
applicata e dal diametro della piastra rigida. Questa formula non è altro che la legge di McLeod:
Pmax
pl1 P Legge di McLeod:  pltot =  p =  plI + k log n
Dove:  pl I = cedimento al primo ciclo n = n° cicli
el=cost K dipende dal diametro della piastra e dal tipo di materiale


7

Superato un certo valore di cicli entra in gioco l’effetto fatica dove le deformazioni incrementano in modo
esponenziale e la Legge di McLeod non è più valida.
Finché la pressione non supera un certo limite, per un dato sottofondo e per una data piastra di carico, il
cedimento totale δ cresce linearmente con la pressione fino a raggiungere un certo valore max (76 cm) oltre
al quale il cedimento è costante.
Questo risultato viene espresso con un diagramma in cui sull’asse delle ascisse si riportano i rapporti
P / A = 2 / R e sull’asse delle ordinate i rapporti P / δ fra pressione e cedimenti
P
_

D>76cm D<76cm
P = 2 R A =  R2
Variazione del cedimento di un sottofondo al variare del
diametro della piastra

P 2
_=_
A R
Si è visto che se il diametro della piastra è inferiore a 76cm, il cedimento è quello che si ricava dallo studio
del semispazio elastico; per diametri maggiori è invece indipendente dal diametro della piastra.
Perciò se nel progetto della pavimentazione si assume come modello del sottofondo un semispazio elastico
omogeneo ed isotropo con modulo elastico E e coefficiente di Poisson  , il legame fra pressione p e
cedimento δ ottenuto con una prova di carico con piastra circolare rigida è dato dalla
E 2 2
Legge di Boussinesq: P=   = C  

(1 −  )   R
2
R
Dove: C = costante di Boussinesq,  = coefficiente di Poisson, E = modulo elastico, δ = cedimento
Questa relazione rappresenta una retta passante per l’origine che da un certo punto in poi ha un andamento
simile alla curva sperimentale.
Se invece si assume il secondo modello, Modello di Winkler, vuol dire che si assume come modello del
sottofondo un letto di molle; la legge che lo regola è: P = Kδ
In questo caso la portanza è caratterizzata dal rapporto P/ δ = K
Dove: K = costante di reazione del sottofondo
Quindi se si assume il modello di Winkler la portanza deve essere misurata con una piastra di diametro
D>76cm.
P
_

D>76cm D<76cm Con queste due rette si forma una bilatera che è abbastanza
prossima alla curva sperimentale.
sq Quindi:
ine
Bo
us
s
Per D<76cm → Boussinesq (pavimentazione flessibile)
Winkler Per D>76cm → Winkler (pavimentazione rigida)
2
_
R
• Modalità di prova per pavimentazione Flessibile: la misura si esegue con una piastra circolare
generalmente di 30 cm di diametro alla quale viene applicato un carico via via crescente in modo che il
sottofondo riceva un incremento di pressione Δp = 0,5 Kg/cm2 e ad ogni incremento di carico si legge
l'incremento Δs di cedimento della piastra.
La portanza è convenzionalmente fornita dal modulo di deformazione del sottofondo Md dato dalla relazione:
Md = (Δp/Δs) moltiplicato per D (diametro della piastra)
Dove: Δs viene misurato in corrispondenza dell'incremento di pressione compreso fra 1 e 1,5 Kg/cm2.
• Modalità di prova per pavimentazione Rigida: per la pavimentazione rigida si utilizza una piastra con
d=70cm e si effettua una prova a ciclo unico di carico-scarico. Con un martinetto idraulico viene inizialmente
dato un precarico P = 0,1 Kg/cm2 sulla piastra e si effettua la lettura. Dopo 15 minuti si dà un carico
P = 0,8 Kg/cm2 e si effettua una seconda lettura. Al termine si toglie completamente il carico e si misura
anche in questo caso il cedimento corrispondente δo che non arriva mai ad annullarsi.
Quindi calcolati i cedimenti: δ0.1, δ0.8 e δo calcolo K = (P0.8 − P0.1 ) / ( 0.8 −  0.1 )
Una volta fatte le due letture successive, se la differenza tra loro è < 3% il cedimento misurato con i
comparatori si ritiene costante.
La portanza richiesta a un sottofondo è diversa da strada a strada, in base alle caratteristiche del traffico e
della pavimentazione. E', però, importante che sia costante lungo ciascun tronco stradale in cui si ritiene di
dover adoperare lo stesso tipo di pavimentazione.
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AGGREGATI LAPIDEI
Classificazione
In tutte le miscele che vengono impiegate nella tecnica stradale, gli aggregati lapidei rappresentano la fase
rigida delle pavimentazioni e la parte più importante in volume, circa l’80%.
Esse devono garantire:
- Funzioni costruttive (economicità e lavorabilità);
- Funzioni in opera (assicurare nel tempo le funzioni strutturali).
Tali inerti si legano elettronicamente con il bitume che è un legante organico:
- Gli inerti lisci = hanno una poca resistenza ma si legano bene al bitume;
- Gli inerti acidi = hanno elevata resistenza ma poca affinità col bitume.
• Le caratteristiche che si richiedono agli aggregati lapidei possono essere raggruppate in tre categorie:
1) Proprietà fisiche = identificano e descrivono il materiale con misure fondamentali: forma, porosità,
tessitura, assorbimento granulometrico e peso specifico
2) Proprietà chimiche = identificano chimicamente un materiale e descrivono le possibili trasformazioni
chimiche (affinità al bitume, adesione, suscettibilità all’acqua)
3) Proprietà meccaniche = sono particolari proprietà fisiche che indentificano la risposta del materiale
sottoposto a delle forze (resistenza a: compressione, consumo, degrado e durabilità)
• Gli aggregati lapidei possono essere divisi in due gruppi.
1) Aggregati naturali: Rocce magmatiche (intrusive vulcaniche o effusive piroclastiche), sedimentarie o
metamorfiche (a causa dei processi termici o chimici o meccanici).
In generale le rocce più utilizzate e più resistenti hanno una struttura fina e una porosità quasi nulla, in
compenso la microrugosità è durevole e si può contare su una buona permanenza degli spigoli vivi.
2) Depositi granulari: Ghiaie, sabbie e fillers. Sono materiali con forme generiche quindi bisogna considerare
il diametro medio
Proprietà Chimico – Fisiche
Gli aggregati lapidei risultano molto importanti nell'impiego delle costruzioni stradali; hanno diversa funzione
se vengono impiegati in strati superiori o inferiori delle sovrastrutture stradali.
Fanno parte della famiglia degli aggregati lapidei, indicati come inerti, le sabbie, i fillers e i granulati
frantumati. Inoltre gli aggregati lapidei vengono divisi in aggregati naturali (provenienti da frantumazioni di
rocce in massa o da frantumazioni di materiali alluvionali) e in aggregati artificiali (hanno una maggiore
durevolezza e una maggiore resistenza all'abradibilità rispetto agli aggregati naturali).
Le caratteristiche degli aggregati sono:
1) La forma = la forma di un grano è definita da tre dimensioni: la lunghezza L, la larghezza G (definibile
dalla maglia del setaccio) e lo spessore E (definibile da una setacciatura su vagli a barre). Per classificare le
forme intermedie si utilizzano i calibri e si determina un coefficiente di forma L/E e un coefficiente di
appiattimento dei grani G/E. Si hanno varie forme di aggregati, quelli piatti non vanno bene né per il cls, né
per i bitumi perché hanno una sezione meno resistente dell'altra e tendono a rompersi.
Essi si usano per riempire i vuoti attorno ai tubi o per fare lo strato anti capillare.
Per i cls gli inerti consigliati sono quelli tondeggianti perché creano un buon addensamento ma anche quelli
irregolari o angolosi mentre nel conglomerato bituminoso, quelli tondi non aderiscono e non legano con il
bitume e per questo, si usano inerti spigolosi.
2) La granulometria = è una misura convenzionale della distribuzione degli inerti. Per un materiale non viene
data una sola curva ma viene dato un fuso granulometrico che indica il limite entro cui la curva deve stare
Muovendosi all'interno del fuso si può far variare le caratteristiche del materiale.
3) Tessitura superficiale = dà l'idea della scabrezza (attrito che si oppone agli spostamenti relativi); gli inerti
di fiume sono stati levigati dall'acqua e la loro scabrezza è bassa quindi si usano inerti da frantoi.
4) Porosità = entra in gioco quando vien usato il legante, perché se il materiale è troppo poroso il legante
sparisce e il materiale diventa povero di legante.
5) Assorbimento d’acqua = nel bitume non deve esserci acqua altrimenti si stacca, quindi è importante
valutare la suscettibilità all'acqua.
6) Peso specifico = esso si può misurare a seconda dei vari casi:
-  granuli = Pg / Vg Dove più  granuli è alto e più il materiale è buono

-  secco = Pg / Vtot (L’assortimento granulometrico è buono oppure no) -  apparente = Pg+ PH2O / Vtot
7) Affinità al bitume = è necessario che gli inerti abbiano affinità al bitume, perché se non lo sono, quando
piove gli inerti si staccano e il tappeto di usura si consuma subito.
D’importanza minore e collegata a particolari condizioni di impiego, fanno parte anche le caratteristiche di
imbibizione e gelività.
La misura del coefficiente di imbibizione sono indispensabili ogni volta che l’aggregato non si presenta in
modo compatto, in tal caso i controlli possono avvenire sul calcolo della percentuale di legante oppure sul
controllo della percentuale dei vuoti.
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Proprietà Meccaniche
Le proprietà meccaniche sono particolari proprietà fisiche che identificano la risposta del materiale
sottoposto a delle forze. Esse sono fondamentali per le caratteristiche statiche della costruzione.
Le più importanti sono:
1) Resistenza dei grani = sforzo di trazione o compressione a cui è sottoposto un granulo prima di rompersi
2) Stabilità = proprietà che permette ad una miscela di granuli di rimanere stabile sotto carico
3) Rigidezza = resistenza del granulo alla deformazione (espressa come modulo elastico)
4) Resistenza al consumo = attitudine di un granulo (riferito alla sua superficie) di resistere alla perdita di
massa per effetto di forze esterne. Questa caratteristica è sensibile alla presenza di acqua
5) Resistenza al degrado = è l’attitudine di un granulo a non ridursi in parti di minori dimensioni quando è
sottoposto a carichi (Es. miscelazione, compattazione, traffico)
6) Forma dei frammenti = è la forma 3D dei frammenti più piccoli che si producono per abradibilità
7) Modulo resiliente = è una particolare forma di modulo elastico.
I misti granulari, sotto cicli di carico, manifestano una componente di deformazione plastico-viscosa che non
si annulla con la rimozione del carico. Si determina mediante test dinamico (ripetuto)
È espresso dal rapporto tra lo sforzo massimo deviatorico e la componente di deformazione elastica
recuperata: MR =  Dmax /  R
Principali prove
• Prova Deval = vengono introdotti 5 kg di pietrisco (40-50 elementi) in un cilindro in ghiaia calettato inclinato
di 30° rispetto all’asse di rotazione; si produce così un movimento che fa rotolare gli inerti su se stessi e
contro le pareti del cilindro. La polvere che si produce tende ad arrestare il processo di consumo per attrito.
Dopo 10000 giri viene allontanata la polvere prodotta per lavaggio su un setaccio con apertura di maglia di
2mm. Si ricava in questo modo il coefficiente di Deval: Q = 40/C
Dove: C = è la percentuale della polvere rispetto al peso iniziale dell’aggregato (Q>10 buono)
• Prova Deval umida = Si differenzia dall'altra solo nel semplice fatto che nel cilindro viene immessa una
determinata quantità d'acqua e poi si procede in ugual modo rispetto alla prova precedente.
• Prova micro-Deval = Questa prova (introdotta per ottenere risultati correlabili con quelli della prova Los
Angeles) consente di misurare l’usura per attrito non più sul pietrisco ma sulle pezzature minori
effettivamente usate nelle più interessanti miscele stradali. La prova consiste nel far rotolare entro un cilindro
in rotazione introno al proprio asse 500g di materiale monogranulare inserendo nel cilindro stesso una
quantità di sferette di acciaio di 10 mm di diametro in quantità correlata alla pezzatura in esame.
Il coeff. Micro-Deval è pari alla percentuale di fino prodottasi durante la prova, allontanata per setacciatura
su setaccio da 2 mm.
• Prova Los-Angeles = viene fatta per misurare contemporaneamente il consumo per attrito e la tendenza
alla frantumazione. L’apparecchio che si usa è detto Los Angeles, esso è un cilindro ad asse orizzontale in
cui si introducono quantità prefissate di miscele granulometriche di inerte di diverse pezzature e anche sfere
d’acciaio che non solo rotolano insieme al materiale ma, per la presenza di un risalto d'arresto nella
superficie interna del cilindro, vengono trascinate in alto e cadono sul materiale che si trova in basso.
Il coefficiente Los Angeles è misurato dalla percentuale di frazione fina prodottasi (d<1,7 mm) allontanata
per setacciatura.
• Prova dell’equivalente in sabbia = serve per misurare non solo la quantità di fino ma anche la sua qualità,
quindi per vedere se il materiale è pulito. La prova si esegue su inerti passanti al 40 (< 5mm) prelevati dalla
miscela che si vuole esaminare; una quantità prefissata di tali inerti viene posta in un cilindro trasparente
graduato a fondo piano. Gli inerti vengono energicamente lavati con una soluzione flocculante che
impedisce alle sostanze organiche di precipitare. In questo modo, dopo aver messo a riposo il cilindro in
posizione verticale, gli inerti fini si depositano sul fondo (h1) mentre il fino flocculato si dispone
superiormente in una colonna (h2-h1).
A questo punto si misura l’altezza dei due strati: ES = (h1/ h 2) 100 Dove, appunto, h2 = altezza totale
ES viene utilizzato anche come misura della plasticità delle terre da impiegare nelle stabilizzazioni:
ES  35 (terra non plastica) 25  ES  35 (terra debolmente plastica) ES  25 (terra molto
plastica)
• Prova CPA = Misura l'abradibilità degli aggregati lapidei, cioè l'attitudine di alcuni materiali a consumarsi
superficialmente e a diventare scivolosi.
Consiste nell'incollare della graniglia in un unico strato su lamelle ricurve che vengono poi applicate sulla
superficie di rotolamento di una ruota; questa viene fatta girare mentre è premuta contro una ruota munita di
pneumatico con interposizione d'acqua e di una sostanza abrasiva.
Dopo 6 ore vengono smontate le lamine e sottoposte a misura di attrito radente.
Il rapporto tra questo valore e quello ottenuto su una lamina che porta un materiale campione di riferimento è
assunto come valore del CPA.
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• Prova di Gelività = con questa prova si determina la sensibilità al gelo di aggregati lapidei; si mette una
quantità di inerti (di cui si è già calcolato il coeff. di Los Angeles) in un contenitore basso. Si sottopongono a
10 cicli di caldo (+20°) e freddo (-20°) poi si va a vedere se le pietre si sono rotte oppure no.
Al termine della prova ricalcolo il coeff. LA: se tra prima e dopo si ha una differenza di La > 20% la
determinazione non va bene.
Esistono inoltre vari CNR:
- CNR 65 = determinazione della porosità dei granuli
- CNR 95 = determinazione dei coefficienti di forma, appiattimento e allungamento
- CNR 137 = determinazione del coefficiente di inibizione
- CNR 62 = determinazione dei gamma
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La Chimica del bitume


Le prestazioni in opera del bitume dipendono dalle proprietà reologiche e fisiche della materia prima e a loro
volta le proprietà reologiche e fisiche sono strettamente legate alla composizione chimica e strutturale del
bitume.
Il bitume è composto da una miscela di idrocarburi e loro derivati metallici e non più elementi in tracce.
Facendo un'analisi elementare di due bitumi (messicano e arabo) ci si accorge che anche se gli elementi
come il N, S, O sono presenti in piccole quantità influenzano notevolmente le caratteristiche del bitume.
Infatti le molecole che contengono tali elementi sono dotate di un certo grado di polarità che le rende più
reattive; questo si spiega perché N, S, O sono etero atomi. Questa analisi, però, è poco indicativa perché
non consente di evidenziare gli isomeri che sono fortemente presenti nel bitume; per questo motivo si
effettua un’analisi strutturale in cui vengono raggruppati gli idrocarburi a seconda delle loro proprietà che
forniscono informazioni indirette relative alla struttura.
Un esempio di idrocarburi dotati di legami semplici con catena lineare aperta è fornito dall'esano C6H14, tali
idrocarburi vengono detti Paraffinici o Alifatici mentre gli stessi composti con legami semplici a catena aperta
questa volta non più lineare bensì ramificata vengono detti isoparaffinici.
Altri composti, dotati sempre di legami semplici, a struttura chiusa sono detti Cicloparaffinici.
Gli idrocarburi descritti fino ad ora rientrano nella categoria degli Idrocarburi saturi.
Quelli insaturi sono caratterizzati da molecole in cui sono presenti legami multipli; a questa classe
appartengono gli alcheni e gli aromatici (benzene C6H6).
Composti insaturi dotati di legami tripli sono gli idrocarburi acetilenici o alchini.
• Metodi di frazionamento:
Nell'ambito dell'analisi strutturale vanno distinti i concetti di struttura molecolare e struttura della materia.
La prima fa riferimento alla disposizione spaziale degli atomi, l'uno rispetto all'altro, nella molecola mentre la
seconda è relativa alle molecole. Uno strumento utile per la conoscenza dell'organizzazione molecolare
interna di un idrocarburo consiste nell'operazione di frazionamento. I diversi metodi di frazionamento
vengono impiegati per classificare in gruppi gli idrocarburi dotati di caratteristiche simili.
Metodo di frazionamento di Richardson
Egli suddivise il bitume nelle seguenti classi in base alla diversa solubilità in determinati solventi:
1) Carboidi = prodotto insolubile in solfuro di carbonio CS2;
2) Carbeni = prodotto solubile in CS2 ed insolubile in tetracloruro di carbonio CCL4;
3) Asfalteni = prodotto solubile sia in CS2 che in CCL4 ed insolubile in alcani basso bollenti;
4) Malteni = prodotto solubile in ognuna delle precedenti sostanze.
A loro volta tali composti si suddividono in resine ed oli.
Questi ultimi due vengono ricavati attraverso un tipo di frazionamento detto di assorbimento ed eluizione. In
questo metodo vengono separate delle molecole da un composto, facendole assorbire da una sostanza
specifica; la materia non assorbita, viene eluita tramite un lavaggio con solvente il quale può essere
benzene, cloroformio, etc.
In conclusione è possibile affermare che: Bitume = Asfalteni + Malteni (resine ed oli).
Dove:
- Asfalteni = si presentano sotto forma di polveri solide, friabili, di colore bruno; hanno un elevato peso
molecolare e al loro interno contengono parecchi eteroatomi che conferiscono caratteristiche di polarità alla
molecola stessa. Essi danno corpo al bitume e sono presenti per una quantità pari circa al 10-20% in peso.
- Resine = sono sostanze semi-solide che hanno la caratteristica di essere adesive ed appiccicose
conferendo al bitume proprietà leganti ed impermeabilizzanti; fungono da agenti peptizzanti per gli Asfalteni
consentendone la dispersione all'interno degli oli. In assenza delle resine gli Asfalteni tenderebbero ad
aggregarsi ed a flocculare.
- Oli = sono liquidi bianchi ed incolori che possono essere di natura aromatica o saturi; hanno un basso peso
molecolare e fungono da agenti flocculanti tendendo a far flocculare gli Asfalteni.
Frazionamento con n-Eptano
Il bitume viene trattato in una soluzione con n-Eptano facendo precipitare gli Asfalteni; i Malteni che
rimangono vengono trattati per mezzo di una cromatografia su allumina:
a) effettuando un lavaggio con n-Eptano si ottengono i saturi
b) se lavati con benzene producono nafteno – aromatici
c) infine è possibile ricavare gli aromatici polari
Frazionamento con n-Pentano
In questo caso il bitume viene trattato con n-Pentano facendo precipitare di nuovo gli Asfalteni; i Malteni
vengono invece trattati con gel di silice e sulla base di diversi solventi vengono individuati i saturi gli
aromatici e le resine
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La Reologia del bitume


La reologia studia il comportamento tenso-deformativo di un materiale in funzione della temperatura.
Il bitume a temperatura ambiente è un solido deformabile, a bassissime temperature è un solido
estremamente rigido quasi elastico, ad alte temperature è un solido estremamente plastico quasi viscoso e
ad altissime temperature è un liquido, cioè, non resiste staticamente a sforzi di taglio:
Per questo motivo gli strumenti propri della reologia dei liquidi si possono adottare in un intervallo di
temperatura che va da un limite superiore aperto ad un limite inferiore compreso tra la temperatura ambiente
e la temperatura di transizione vetrosa.
La reologia dei solidi, invece, riguarderà intervalli di temperatura che vanno da un limite inferiore aperto ad
una temperatura compresa tra la temperatura ambiente e quella detta di miscelazione (130 °C).
Perciò occorre tenere in considerazione due strumenti comportamentali diversi che sono "solido visco-
elastico" e "fluido visco-elastico".
Per quanto riguarda la reologia dei fluidi bisogna mettere in relazione lo stato di sforzo con quello
deformativo; da quest’ultimo si ricava il tasso di scorrimento  = d  / dt
Mentre dallo stato di sforzo si nota, supponendo prima che il moto sia influenzato dalla sola componente
deviatorica e non da quella isotropa, che variando il campo delle pressioni, il campo delle velocità non
varierà configurazione. Perciò come legge costitutiva di un fluido, si avrà un legame chiamato costitutivo tra
sollecitazioni tangenziali e tassi di scorrimento =  
Dove:  = è la viscosità che equivale alla legge di Newton.
A seconda del tipo di legame tra  e  è possibile distinguere vari tipi di fluido:
- Fluidi dipendenti dal tempo  = f ( , t) - Fluidi visco-elastici  = f ( ,  )
- Corpi reologici complessi f ( ,  ,  , t) = 0 - Fluidi puramente viscosi (bitume)  = f ( )
Quest’ultimo si distingue in
a) Fluido Newtoniano:  =  Dove  = viscosità assoluta del materiale
b) Fluido non Newtoniano:  = f ( ) non lineare; la viscosità è definita in base alla
Curva di flusso del materiale:
t
ho Per  →0 Legame lineare  =  o
h  →  =  
Per Retta


Inoltre è possibile rappresentare in un piano le coppie di dati ( ,  ) da prove di laboratorio:
t

inga
m n<1
Norton:  = A n
B
ian
o n>1 Newtoniano:  = 
to n
Bingam:  =  o +  
w
Ne Norton


Per quanto riguarda la reologia dei solidi visco-elastico bisogna dire prima di tutto che un solido visco-
elastico è un materiale che, sollecitato in modo costante, presenta deformazioni istantanee e differite nel
tempo. Un corpo visco-elastico lo si può considerare con modelli fisico-reologici comportamentali ottenuti
dalle diverse prove:
- La prova fluage o creep = consiste nell’applicare una sollecitazione che viene mantenuta costante nel
tempo studiando lo stato deformativo.
Nella prova si definisce un modulo di rigidezza S =  o /  (t) → S = f (t, T)
- La prova dinamica = si esegue una prova di sollecitazione sinusoidale in cui si arriva al calcolo di un
modulo complesso E*
13

- La prova di rilassamento = consiste nell’imporre una deformazione e studiando il rilassamento delle


tensioni:
log S comportamento Nomogramma di Van Der Poel = permette di determinare,
elastico sulla base dei risultati desunti dalle prove di penetrazione e
comportamento palla anello, le proprietà visco-elastiche di un bitume a
viscoso qualsiasi temperatura e frequenza e sollecitazione (oppure
tempo di carico)

log t
Eseguendo la prova di Creep a temperature diverse si ottiene:
log S

10° Il principio di sovrapposizione tempo – temperatura


20°
25°


log t
Se nella prova di Creep, a un certo punto, blocco la deformazione, faccio rilassare il materiale e misuro la
poi vedo cosa succede in (t,  ) :
 

 

to t to t
Proprietà meccaniche del bitume
Il bitume è un materiale termoplastico utilizzato come legante per trattenere insieme grani di diversa forma e
grandezza. Il mantenimento di questo legame richiede che vi sia adesione (tra bitume e grani) e coesione
(all’interno della pellicola del bitume) e poiché questo legame deve sussistere sia alle basse che alle alte
temperature, bisogna esaminare la consistenza del bitume e la variabilità di questa caratteristica.
A temperatura ambiente, la consistenza del bitume è quella di un solido (deformabile solo con forti
pressioni), a temperature elevate si ha un progressivo rammollimento mentre a temperature basse è così
rigido che diventa fragile.
Gli intervalli di temperatura particolarmente interessanti sono:
- Intervallo di temperatura di esercizio su strada (da -15°C a +60°C)
- Temperatura di confezione e posa in opera
La viscosità nell’ambito dell’intervallo d’esercizio dovrebbe mantenersi sensibilmente costante e molto
elevata. La temperatura non è, tuttavia, il solo parametro da cui dipendono le caratteristiche meccaniche del
bitume: trattandosi di un materiale viscoelastico il suo comportamento meccanico è molto sensibile alla
velocità di applicazione dei carichi.
1) Materiale perfettamente elastico 2) Materiale viscoelastico 3) Materiale viscoelastoplastico

  
recupero elastico
_ _ istantaneo
  def. recuperata
nel tempo def. permanente
non recuperabile

to t1 t to t1 t2 t to t1 t
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Consistenza dei bitumi e diagramma di Heukelom


La misura della consistenza dei bitumi stradali ci permette di identificarne meglio le loro proprietà.
Questa misura viene ottenuta mediante varie prove in cui è fissato il tempo di applicazione dei carichi.
I principali parametri che vengono determinati con queste prove sono:
• Prova di penetrazione a 25 °C: (prova di accettazione)
La procedura di prova prevede che venga colato del bitume liquido in un contenitore cubico di ottone di
lunghezza 50 mm e altezza 35 mm. Tale contenitore è mantenuto per 90 minuti in un bagno termostatico a
25 °C. A questo punto la prova di penetrazione consiste nell’affondamento che un ago d’acciaio
normalizzato subisce nel tempo di 5 secondi e sotto un carico di 100 g nel provino mantenuto a 25 °C.
Il risultato è espresso in decimi di millimetro. Su un provino si eseguono 10 determinazioni e il valore finale è
espresso dalla media aritmetica scartando il valore minimo e massimo.
La prova di penetrazione è importante per la normativa Italiana perché il suo risultato dà il nome al bitume.
Le norme italiane suddividono i bitumi in base alla penetrazione in 8 classi, da quelli più duri di penetrazione
20/30 a quelli più molli di penetrazione 180/220.
Es: un bitume 40/50 è un bitume che presenta a 25 °C tra i 40 e i 50 decimi di millimetro di penetrazione.
La penetrazione è direttamente legata alla temperatura a cui avviene la prova.
Con questa prova si misura la consistenza del bitume intesa come capacità di resistere a sforzi di taglio.
• Prova palla e anello: (prova di accettazione)
Un campione di bitume viene colato all’interno di un anello circolare in ottone (della dimensione di una fede).
Tale piastrina viene posta all’interno di un contenitore che la tiene a temperatura iniziale di 5 °C per 15
minuti. Il campione di bitume è sospeso a un pollice (2,54 cm) da un piano di riferimento.
Sul provino si pone una sferetta d’acciaio di dato diametro e peso; durante la prova si aumenta la
temperatura dell’acqua di 5 °C al minuto. Il punto di rammollimento è indicato dalla temperatura alla quale la
sferetta arriva a toccare il piano sottostante di riferimento.
La sfera nel suo spostamento trascina il bitume che lo avviluppa come una goccia, rimanendo lateralmente
attaccata all’anello. In ogni apparecchio gli anelli sono 2 o 3 per avere più determinazioni e come valore si
assume la media delle determinazioni.
• Punto di rottura Frass: (prova di accettazione)
Per questa prova si utilizza una laminetta d’acciaio 20 x 40 mm di spessore 0,15 mm, standard.
Sulla lamina si stende un velo di bitume pari a circa 0,4 gr dello spessore di 0,5 mm.
La lamina viene poi inserita in un apparecchio detto vaso Dewar alla temperatura di 10 °C e
successivamente posta fra due morsetti metallici che le imprimono un movimento di inflessione.
L’inflessione avviene con intervalli regolari di 1 al minuto mentre la temperatura si abbassa di 1 °C al minuto.
Si definisce punto di rottura la temperatura alla quale la pellicola di bitume non ammette più deformazioni e
presenta la prima fessurazione.
La prova misura la resistenza a fessurazione del bitume ma è importante dire che se il punto di rottura è, per
esempio, -10 °C non è detto che in sito a -11 °C si fessura.
Inoltre:
• Prova di Duttilità:
Misura delle caratteristiche a trazione di un bitume attraverso l’elongazione di campioni standard in bagno
termostatico. La velocità di elongazione è pari a 50 mm/min
• Prova Rolling thin film oven test:
Ha lo scopo di riprodurre l’invecchiamento del bitume a breve termine (miscelazione, stesa e
compattazione). La prova consente di trattare termicamente il bitume ed è possibile effettuare qualsiasi
tipologia di test sul bitume prima e dopo il trattamento, al fine di verificarne il cambiamento della reologia
• Viscosità dinamica a gravità:
La viscosità è misurata con i viscosimetri. Rappresenta il tempo necessario affinché il bitume refluisca nel
tubo da una tacca ad un’altra di riferimento per effetto del solo peso (viscosimetro a gravità).
La temperatura del bitume deve essere molto alta per fare questa prova.
Quando il bitume è più viscoso si usa un altro viscosimetro:
- tubo a U dotato di tacche temporali e riempito di bitume
- si crea il vuoto per spingere il bitume lungo il tubo
- si misura il tempo necessario al bitume per raggiungere le varie tacche
- 60°C
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• Queste prove però forniscono indicazioni piuttosto sintetiche delle proprietà del bitume.
Un’interessante classifica dei bitumi è stata proposta da Heukelom il quale ha proposto di identificare
ciascun bitume attraverso la sua suscettività termica, cioè attraverso la legge di variazione di un certo
parametro in funzione della temperatura:
- per T<60° si considera come parametro la penetrazione
- per T>60° si considera come parametro la viscosità; in cui il bitume si comporta come un fluido newtoniano
Heukelom ha constatato che per molte classi di bitume vale la seguente proprietà: detti a, b, c, d quattro
valori qualsiasi di consistenza e Ta, Tb, Tc, Td i valori della temperatura ai quali tali consistenze vengono
raggiunte, allora vale che: (Ta - Tb) / (Tc - Td) → relazione invariante
Questa proprietà ha consentito la costruzione di una scala di rappresentazione delle consistenze, ai cui
estremi sono stati collocati rispettivamente: C = 0 in corrispondenza di viscosità = 1 Poise e
C = 1000 in corrispondenza di penetrazione = 0,1 mm.
Ora se si indica con: T1p la temperatura a cui corrisponde C = 0,
T1pen la temperatura a cui corrisponde C = 1000 e
Tx la temperatura a cui corrisponde il valore x della consistenza, allora, il valore Cx di tale consistenza
T1p − Tx
incognita è dato da: Cx = 1000
T1p − T1pen
Dunque è stato possibile, attraverso la misura della temperatura a diverse consistenze, costruire la
corrispondenza tra i valori di C e quelli di penetrazione o viscosità.
In questo modo è stato possibile costruire la legge di variazione della consistenza in funzione della
temperatura.
Frass
C
Penetrom. 1 Punti di
rammollimento
Diagramma C – T per bitumi “D”
d mm 2
10
10
4 Palla anello
Viscosità
Poise
1
T(°C)
(*) Dunque la consistenza è un’invariante per qualsiasi tipo di bitume poiché è definita dal rapporto di due
differenze di temperature tutte associate a uno stato di consistenza noto e per la proprietà dimostrata da
Heukelom tale rapporto è costante qualsiasi sia il bitume.
Egli ha suddiviso i bitumi in classi diverse a seconda di come si accordano con i risultati da lui trovati:
- Bitumi tipo “D” derivati da distillazione diretta (sono rette nel piano C–T)
- Bitumi tipo “S” soffiati (bilatere nel piano C – T)
- Bitumi tipo “P” ad alto contenuto di paraffina (sono due rette parallele nel piano C – T)
Grazie alla classificazione di Heukelom si è potuti arrivare alle 3 proprietà richieste ai bitumi secondo Krom e
Dormon:
1) Per ottenere una buona miscelazione aggregato – bitume è necessario che il bitume abbia una viscosità
di 2 poise per una temperatura compresa fra 140°C e 160°C
2) Per evitare la formazione di ormaie e il rifluimento del bitume alla superficie della pavimentazione è
necessario che la viscosità sia superiore ad un minimo alla massima temperatura raggiungibile sulla strada
(300, 700, 2000, 6000 poise a 60°C a seconda del clima e della circolazione)
3) Per evitare la fessurazione della pavimentazione è necessario che il bitume non diventi troppo fragile alle
basse temperature.
Prove di caratterizzazione dei bitumi
Bisogna descrivere la prova di penetrazione a 25 °C, la prova palla e anello e il punto di rottura Frass,
Heukelom e poi scrivere tutto da (*)
16

Suscettibilità termica dei bitumi e caratterizzazione con prove tecnologiche


Se si osservano gli abachi di Heukelom, si nota che la consistenza risulta proporzionale al logaritmo della
penetrazione e varia linearmente con la temperatura. Da ciò ne deriva una relazione di proporzionalità
d log pen
diretta tra il logaritmo della penetrazione e la temperatura: = cost
dT
Da questa relazione è stato possibile definire l’indice di penetrazione IP come:
d log pen log pen T1 − log pen T 2 20 − IP
= = 0.02
dT T1 − T2 10 + IP
Dove: T1 e T2 = valori della temperatura, penT1 e penT2 = penetrazioni ad esse corrispondenti
Normalmente, per il calcolo di IP viene utilizzata la temperatura di rammollimento del bitume (T1 = Tpa) ed il
corrispondente valore della penetrazione, costante, fino a 800 decimi di millimetro. In tal modo la relazione
20 − IP log800 − log pen T
assume la forma: = 50 
10 + IP Tpa − T
Questa misura della suscettibilità termica dei bitumi alle basse temperature è stata utilizzata da Van Der

Poel per il calcolo del modulo di rigidità del bitume; questo modulo è definito come: Sb =
 (t, T)
In cui  = sollecitazione di ampiezza costante applicata per un tempo t, ad una temperatura T, ed  = è la
corrispondente deformazione.
Van Der Poel constatò che due bitumi aventi uguale indice di penetrazione IP avevano anche lo stesso
modulo di rigidità Sb se sottoposti ad una sollecitazione della stessa frequenza. In base a queste
considerazioni costruì un diagramma in cui comparivano le frequenze di carico, una scala di valori della
differenza T8000 – Tx (dove Tx = temperatura a cui si vuole calcolare il modulo di rigidità Sb) ed una scala di
IP che individua la suscettibilità termica.
• La misura della consistenza dei bitumi stradali permette di identificarne meglio le loro proprietà. Questa
misura viene ottenuta mediante varie prove in cui è fissato il tempo di applicazione dei carichi.
Le principali prove sono: Prova di penetrazione a 25 °C, Prova palla e anello e il Punto di rottura Frass…
17

I conglomerati bituminosi sono miscele di aggregato (normalmente ottenuto per frantumazione) con legante
idrocarburato (bitumi solidi, flussati, catrami) confezionate a caldo in impianti centralizzati e successivamente
stese da macchine automatizzate. Le fasi per il progetto del conglomerato bituminoso sono: progetto della
miscela, confezionamento del conglomerato bituminoso, trasporto e posa in opera e controlli in opera
Progetto della miscela (MIX-DESIGN DEL CB)
Consiste nel progettare la miscela da utilizzare a seconda della pavimentazione. Il primo passaggio da fare è
lo studio preliminare in cui si sceglie una granulometria ottimale, cioè una curva granulometrica che
garantisca resistenza e durabilità. Il fuso viene dato da un capitolato speciale d’appalto ed è compreso fra 2
curve granulometriche: questa curva deve ricadere obbligatoriamente all’interno del fuso. All’interno della
miscela si avrà, in volume, l’80% di inerte e il 20% tra bitume e vuoti; tenendo presente che con troppo
bitume si avrà poca aderenza mentre con poco bitume si avranno sforzi si trazione non sopportati. Dunque il
progetto è delicato e non è facile trovare la giusta % di bitume necessaria per ottimizzare il comportamento
del conglomerato.
Per il calcolo della % di bitume nella miscela ci sono diversi modi:
• Metodo Inglese (dei vuoti): nel conglomerato ci deve essere una percentuale imposta di vuoti
Per legge esistono dei valori di Vr (volume residuo dei vuoti) entro i quali il progettista deve stare a seconda
che la pavimentazione sia aperta o chiusa. Per il conglomerato bituminoso:
Chiuso Vr < 5%, Semichiuso 5%<Vr<10%, Semiaperto 10%<Vr<15%, Aperto Vr>15%
Una volta che il progettista ha scelto Vr, entro questi limiti, si calcolano:
r −a
% Vvuoti m. = 100 = vuoti della miscela secca degli aggregati costipata a volume costante
r
Dove:  a =  apparente = (Pg+ PH2O ) / Vtot = peso specifico apparente della miscela costipata
 r =  reale = Pg/ Vg = peso specifico della miscela secca degli inerti
Vbitume   bitume
Quindi: Vbitume = Vvuoti m. − Vr → %B = 100
a
• Metodo Francese: Gli aggregati lapidei sono composti da particelle con dimensioni differenti, di cui bisogna
conoscere la percentuale di inerte per ogni diametro e definire  p = superficie / peso cioè la superficie
specifica per unità di peso. Al diminuire delle dimensioni delle particelle aumenta in maniera esponenziale la
superficie specifica mentre all’aumentare della presenza di particelle fini, come i filler, aumenta la necessità
di bitume per ricoprire tutte le particelle.
Secondo Duriez:  p = F(G,g,e, h,f) che approssimata diventa:  p = 2.5 + 135f (m / kg) 2

Dove f = % di Filler
Se Z = spessore della pellicola di legante che si forma sulla superficie degli inerti, d = diametro in mm
dell’elemento lapide, K = costante variabile tra 20 e 30: Z = Kd
4/5

Quindi se si moltiplica lo spessore Z con la superficie specifica si ottiene la % di bitume:


% B =  p Z100 =  p K d 4/5 100
% B = K  p
1/5
Nel caso di un elemento sferico: Dove: K = modulo di ricchezza di legante
Quest’ultimo è uguale a 3.75 per strade a traffico pesante, a 4.25 per monti di usura, a 5.25 per rivestimenti
di canali
18

• Metodo Marshall: Bisogna considerare il dosaggio risultante da uno dei due metodi precedenti (inglese e
francese) e, a parità di assortimento granulometrico, confezionare in tutto 6 campioni (ognuno dei quali è
formato da 4 provini) ciascuno con un suo valore di % di bitume.
Es: B% = 5.8% confeziono 6 campioni per ogni valore di %B (5.4, 5.6, 5.8, 6, 6.2)
Di questi 6 campioni, 4 vengono sottoposti alla prova Marshall vera e propria mentre altri 2 a prove di
laboratorio per determinare i vuoti.
La prova Marshall è sostanzialmente empirica e sottopone il campione a condizioni differenti da quella di
esercizio, ma è diffusa e ben accettata per gli ottimi risultati che fornisce.
Infatti grazie a questa prova è possibile misurare diverse caratteristiche come:
a) La stabilità Marshall (resistenza meccanica), b) Lo scorrimento Marshall (deformabilità),
c) la densità Marshall, d) la % di vuoti intergranulari riempiti di bitume, e) la % di vuoti residui.
La miscelazione del conglomerato avviene a 160-180 °C, poi bisogna lasciare fermo il bitume per un certo
tempo a 120°C, calare il bitume caldo in una fustella e costiparlo con un apposito martello chiamato
compattatore Marshall.
Vengono applicati 50+50 colpi oppure 75+75 a seconda della strada che si vuole progettare.
Alla fine della compattazione si dovrebbe ottenere un campione cilindrico con:
h = 65,3 mm e Φ = 100 mm.
Dopodiché i 4 campioni vanno messi, prima, in un bagno termostatico a 60°C per 30 minuti e, dopo, nella
pressa Marshall. Imponendo una velocità d'avanzamento delle ganasce si ottiene un grafico spinta-
deformazione del tipo:
S
(kg) punto di collasso Al punto di collasso si individuano:
- spinta S = Stabilità Marshall
- scorrimento s = Scorrimento Marshall
È possibile ricavare la rigidezza Marshall col rapporto S/s
In generale se si hanno alte rigidezze per valori di s alti, significa che la
granulometria non è stata ben assortita.
s  (mm)
Infine si disegna un grafico S-B%:
S
Dove il risultato della prova Marshall è la %B che
massimizza le prestazioni, cioè massimizza S.

5.4 5.6 5.8 6.0 6.2


B%
La densità dei provini non è calcolabile direttamente perché il volume non è quello geometrico, dato che il
bitume ha le pareti con asperità superficiali (è una piccola differenza ma importante per la precisione con cui
si valuta %B). Ora si pesa il provino prima in aria e poi completamente immerso nell'acqua:
Paria − Pacqua
Pacqua = Paria − Sarchimede = Paria − V  acqua  V =
 acqua
In realtà la misura è ancora incerta perché le asperità superficiali non si sa se appartengano all'aria o al
campione, quindi elimino le asperità paraffinando tutto il campione e misurando poi in acqua:
Pparaffinato − Pacqua Pparaffinato − Pacqua
V= − ( paraffina = 0.92g/ cm3 )
 acqua  paraffina
Vcampione = Vtot H2O − Vparaffina
Da cui si ottiene anche la densità del campione.
Ora è possibile determinare il volume dei vuoti:
Paggregato Pbitume
Vvuoti = Vtot campione − Vaggregati − Vbitume = Vtot campione − −
 aggregato  bitume
E il volume dei vuoti residui:
Vvuoti
% VVR = 100 Deve essere compreso tra il 2% e il 5%
Vtot
19

Diagrammi:

Il metodo Marshall per il Mix-Design del CB e descrivere la tecnica per la scelta della % ottima di bitume
Questo metodo considera diverse la caratteristiche dell'impasto ed esamina come variano al variare del
contenuto di bitume. Questo metodo non è altro che una prova di stabilità-scorrimento (per indice di stabilità
si indica il max carico applicato durante la deformazione, per indice di scorrimento si indica la deformazione
corrispondente al carico max).
In pratica, una volta definita la composizione granulometrica dell'impasto ed ottenuto un risultato circa la
percentuale di bitume necessaria (≈6%) (attraverso il metodo inglese o anche chiamato dei vuoti da riempire
con il legante oppure con il metodo francese o anche chiamato della superficie specifica da rivestire con il
legante), si preparano in laboratorio almeno cinque impasti con percentuale di legante pari rispettivamente a
5%, 5,5%, 6%, 6,5%, 7% e si determinano per ciascuno di essi i valori delle seguenti principali
caratteristiche: stabilità Marshall, scorrimento Marshall, densità Marshall, %vuoti riempiti dal bitume e %
vuoti residui. Riportando su cinque diversi grafici le variazioni di queste caratteristiche in funzione del
contenuto di legante, si rilevano infine le percentuali di bitume che consentono di ottenere i più idonei valori
per le diverse caratteristiche e se ne fa la media.
Nel caso in esame risulta che il contenuto di bitume ottimo è pari al 6,1% in peso sugli aggregati e, con
questo dosaggio di legante, le principali caratteristiche dell'impasto sono le seguenti: stabilità kg 775,
scorrimento mm 2,75, vuoti residui 3,1 %, vuoti riempiti 80%; questo metodo è superato.
Oggi si usa un forno che brucia il bitume dove: si pesa il provino di CB, si brucia il bitume e si ripesano gli
inerti. Il problema è che il bitume quando brucia produce residui sotto forma di polveri e visto che gli inerti
perdono acqua, la pesata è errata. La stabilità Marshall e lo scorrimento sono i requisiti più importanti e dei 5
grafici si estrae il valore che sembra migliore.
Quindi nei laboratori è possibile conoscere tutto mentre in cantiere il problema è diverso: bisogna tener
presente il problema di trasporto, ovvero la perdita di temperatura che fa aumentare la viscosità. Per questo
motivo, durante il trasporto, la temperatura non deve scendere al di sotto di un certo limite.
Inoltre le vibrazioni del camion portano alla segregazione degli inerti, per questo, oggi, si usano dei cassoni
termici montati su camion con telo atermico che permette di non far raffreddare il materiale.
Un altro problema è quello della messa in opera, che richiede un'attrezzatura adatta che permette la
distensione in piano del conglomerato, dopo di che, con un termostato, si misura la temperatura del
materiale e se è troppo bassa viene riscaldata con una piastra (140 °C) e poi, successivamente, la
costipazione col rullo.
20

Il metodo di valutazione delle % di bitume e del volume dei vuoti in un CB


Per un CB in fase di progetto bisogna stabilire sia la curva granulometrica e sia la % di bitume.
Per evitare l'uso di inerti tondeggianti, nei capitolati, viene specificato che gli inerti sono quelli da
frantumazione; non si devono usare gli inerti di fiume ma quelli di cava.
Per il calcolo della % di bitume si conoscono due metodi: il metodo inglese (metodo dei vuoti) e quello
francese; stabilite le caratteristiche bisogna misurare, in laboratorio, delle caratteristiche di riferimento.
Vengono presi più campioni e la differenza sta nella % di bitume presente.
Con il metodo teorico sì calcola la % di bitume e poi si varia questa nell'intorno del valore teorico e si fanno
vari provini. Quindi in laboratorio si va a misurare la resistenza meccanica.
Per le caratteristiche meccaniche si utilizza il metodo Marshall che misura determinate caratteristiche fisiche
(stabilità, scorrimento, densità) da cui poi si trovano le caratteristiche meccaniche.
E' un metodo che non misura la vera e propria resistenza meccanica ma che ci fornisce dei valori certi e
sicuri; andando a misurare la densità, % vuoti intergranulari riempiti dal bitume e la % di vuoti residui.
Tutti questi vengono espressi in appositi grafici in relazione della % di legante sugli aggregati.
I limiti vengono dati nel capitolato speciale d'appalto. Se i vuoti residui sono tra lo 0-5% si parla di
conglomerato chiuso, tra il 5-10% conglomerato semichiuso, tra il 10-15% conglomerato semiaperto, > 15%
conglomerato aperto.
• Metodo Inglese (dei vuoti): nel conglomerato ci deve essere una percentuale imposta di vuoti
Per legge esistono dei valori di Vr (volume residuo dei vuoti) entro i quali il progettista deve stare a seconda
che la pavimentazione sia aperta o chiusa. Per il conglomerato bituminoso:
Chiuso Vr < 5%, Semichiuso 5%<Vr<10%, Semiaperto 10%<Vr<15%, Aperto Vr>15%
Una volta che il progettista ha scelto Vr, entro questi limiti, si calcolano:
r −a
% Vvuoti m. = 100 =
r vuoti della miscela secca degli aggregati costipata a volume costante

Dove:  a =  apparente = (Pg+ PH 2O ) / Vtot = peso specifico apparente della miscela costipata
 r =  reale = Pg/ Vg = peso specifico della miscela secca degli inerti
Vbitume   bitume
Quindi: Vbitume = Vvuoti m. − Vr → % B = 100
a
• Metodo Francese: Gli aggregati lapidei sono composti da particelle con dimensioni differenti, di cui bisogna
conoscere la percentuale di inerte per ogni diametro e definire  p = superficie / peso cioè la superficie
specifica per unità di peso. Al diminuire delle dimensioni delle particelle aumenta in maniera esponenziale la
superficie specifica mentre all’aumentare della presenza di particelle fini, come i filler, aumenta la necessità
di bitume per ricoprire tutte le particelle.
Secondo Duriez:  p = F(G,g,e, h,f) che approssimata diventa:  p = 2.5 + 135f (m / kg) 2

Dove f = % di Filler
Se Z = spessore della pellicola di legante che si forma sulla superficie degli inerti, d = diametro in mm
dell’elemento lapide, K = costante variabile tra 20 e 30: Z = Kd
4/5

Quindi se si moltiplica lo spessore Z con la superficie specifica si ottiene la % di bitume:


% B =  p Z100 =  p K d 4/5 100
% B = K  p
1/5
Nel caso di un elemento sferico: Dove: K = modulo di ricchezza di legante
Quest’ultimo è uguale a 3.75 per strade a traffico pesante, a 4.25 per monti di usura, a 5.25 per rivestimenti
di canali
• Per verificare la % di bitume nel provino è possibile utilizzare anche la “Prova Bologna”.
Questa prova consiste nel sottoporre un provino di conglomerato bituminoso, ottenuto dalla prova Marshall,
in un bagno di trielina:
Al di sotto del ripiano sul quale viene eseguita la prova, viene accesa la fiamma che consente alla trielina di
evaporare, condensando sulle parete del tappo che ricopre il campione.
Successivamente il sistema va in saturazione. Questo movimento lava gli inerti e alla fine del processo si
avrà soltanto l’inerte pulito. P bitume + filler = P conglomerato – P inerte.
Oggi, al posto della trielina, che è fuori legge, viene utilizzato il ciclo esano.

(Dopo MIX-DESIGN): Confezionamento del conglomerato bituminoso:


21

I conglomerati vengono confezionati a caldo in impianti centralizzati e quasi completamente automatizzati.


Gli impianti per il confezionamento si dividono in due categorie:
1) Impianti continui o a volume: in essi sia l’aggregato che il legante sono dosati a volume rispettivamente su
nastri trasportatori e mediante pompe. Successivamente un miscelatore rotante a funzionamento continuo
procede alla miscelazione.
2) Impianti discontinui: aggregati e leganti sono pesati in bilance automatiche e vengono successivamente
miscelati. Ogni miscelazione coinvolge dai 500 ai 1000 Kg di materiale, il funzionamento è discontinuo.
(Poi) Trasporto e posa in opera: Una volta confezionato il conglomerato viene versato in un camion che si
dirige al cantiere immediatamente in quanto si ha l’esigenza di evitare la segregazione e la perdita di calore
con conseguente abbassamento della temperatura. All’atto della stesa il conglomerato deve mantenere una
temperatura sui 110 – 120 °C. Il conglomerato viene steso sulla strada mediante macchine vibro-finitrici che
procedono a un accurato spandimento e a un primo costipamento mediante una barra vibrante.
(Infine) Controlli in opera sui CB
Un ultimo momento essenziale della costruzione degli strati è costituito dai controlli sugli strati finiti.
Non si tratta in questo caso dei controlli da eseguire nelle miscele man mano che esse si formano, ma di
tutte quelle misure che vengono eseguite sullo strato finito e che costituiscono quindi il controllo “a valle”, più
significativo in quanto vengono in esso compresi gli effetti delle diverse operazioni costruttive.
Possono essere del tipo seguente:
- Controllo dello spessore: Può essere fatto con asticciole metalliche infisse, con misure a mezzo di
radioisotopi, con misure dirette su carote prelevate; un controllo indiretto dello spessore può essere ottenuto
controllando il peso del materiale steso per unità di superficie.
- Controllo del costipamento: E’ il più importante perché costituisce indirettamente anche un controllo
dell’efficienza; può essere fatto attraverso misure con radioisotopi, misure su carote prelevate, controllo della
differenza di spessore prima e dopo il costipamento; attraverso questa misura si può anche risalire alla
valutazione di vuoti nella miscela costipata.
- Controllo della efficienza dello strato: Attraverso misure di portanza eseguite mediante il procedimento
delle prove di carico con piastra: sia dirette alla determinazione del coefficiente di portanza, sia alla misura
del modulo Md di deformabilità, sia alla misura del modulo E del complesso degli strati. Talvolta il modulo E
viene ricavato attraverso prove di maniche, misurando la risposta all’azione di una macchina vibrante.
- Controllo della regolarità superficiale: Va effettuato sui singoli strati, in quanto la regolarità finale dell’ultimo
strato può essere considerata come la risultante dei diversi profili eseguiti volta per volta.
Questi controlli vengono eseguiti con attrezzature anche molto complicate che vanno dal regolo fisso, che
controlla gli scostamenti massimi negativi da un’asta rigida di tre o quattro metri di lunghezza, al regolo
mobile e alla serie di rilevatori di profili longitudinali o trasversali, che consistono nel far scorrere un indice
sulla superficie e nel registrate il profilo rispetto a un elemento rigido.
Oltre ai controlli sulla regolarità della superficie dello strato e a quelli in fase di studio della miscela, se ne
eseguono anche in fase di confezione della miscela e sulle caratteristiche della miscela in opera.
Con il conglomerato all’uscita dall’impianto di produzione si confezionano provini Marshall, sui quali si
eseguono prove di stabilità e determinazione della percentuale dei vuoti, per verificare il rispetto dei limiti di
tolleranza nella produzione.
Dal conglomerato in opera vengono estratti provini a forma cilindrica (carote) o a forma parallelepipeda
(tasselli) sui quali si esegue la determinazione della percentuale dei vuoti e del contenuto di bitume,
recuperato mediante l’azione di un solvente (solfuro di carbonio).
A opera finita si devono eseguire, inoltre, controlli che riguardano:
1) Regolarità (influenza l'aderenza):
- microondulazioni = irregolarità di 3-4 mm in un R di 1-1,5 m
- macroondulazioni = irregolarità di 6-12 m
- megaondulazioni = irregolarità di lunghezza maggiore di 12 m
Queste irregolarità diminuiscono il comfort e la sicurezza del viaggio
2) Aderenza:
- microrugosità = determinata con lo skid-teste
- macrorugosità = è propria della superficie stradale, è bene che ci sia per garantire aderenza e per spazzare
il velo d'acqua che si formerebbe
Vsabbia
Vengono determinate con la misura dell'altezza di sabbia: h = 1  h  4 mm
( D2 ) / 4
3) Portanza: Eseguita con apparecchiature RWD
4) Controllo degli spessori:
5) Controllo della miscela: verifico che il conglomerato utilizzato sia conforme al progetto
22

Il progetto delle sovrastrutture stradali


Il metodo di progetto di una pavimentazione stradale è: note le caratteristiche meccaniche dei materiali da
impiegare e i carichi trasmessi dai veicoli, si tratta di dimensionare lo spessore dei vari strati della
pavimentazione in modo da contenere entro certi limiti il danno che tali carichi essa subisce.
Dunque le sovrastrutture stradali sono strutture idonee a garantire la transitabilità del traffico veicolare
secondo le previsioni progettuali; la loro funzione è quella di trasferire i carichi del traffico veicolare in transito
al sottofondo, compatibilmente alla portanza del medesimo.
Ci possono essere due tipi di pavimentazioni:
• Pavimentazioni Flessibili = sono strutture multistrato in conglomerato bituminoso realizzate con materiali
aventi qualità crescenti dagli strati di sottofondo agli strati superficiali:

strati legati  Usura


Binder
Nelle pavimentazioni flessibili si studiano i vincoli tra gli strati, i
carichi (traffico, frequenza) e le caratteristiche fisiche e


meccaniche costituenti gli strati.
Strato di base Le pavimentazioni flessibili sono inoltre suscettibili alla
strati non legati
Fondazione temperatura e alle condizioni ambientali.
Sottofondo
- Usura = deve essere al massimo 4 cm, è a contatto diretto con il traffico veicolare, viene realizzato con
miscele ricche di filler e inerti resistenti all’usura.
- Binder = strato di collegamento, è realizzato con fuso semichiuso ed aggregati di media pezzatura.
- Strato di base = è fatto in misto di cemento e deve essere almeno 20 cm (altrimenti il cemento non lega)
oppure in misto bitumato (10 – 12cm), ha la funzione di ripartire sul terreno di appoggio le
azioni verticali durante il traffico.
- Fondazione = costituisce una superficie regolare per la stesura della base ed è realizzata in materiale
granulare.
• Pavimentazioni Rigide = sono pavimentazioni indeformabili realizzate con strati di CLS armato e non
armato più uno strato di conglomerato bituminoso di usura, quest’ultimo è di più facile manutenzione ed è
certamente una buona soluzione:
CLS
Questo tipo di pavimentazioni si usano per moli di traffico elevate e massicce
Misto Cemento
Fondazione
Sottofondo
- CLS = assorbe le azioni esterne senza deformarsi.
- Misto cemento = non ha acqua e, anche se tende ad assorbire umidità esterna, non provoca ritiro
23

La fatica nelle pavimentazioni: La Legge di Minner


Ogni volta che transitano i veicoli avviene un ciclo di carico e di scarico, che trasmette al sottofondo e agli
strati sovrastanti una certa energia. A livello di sforzi-deformazioni:
- Idealmente:

Quando si scarica viene ripercorsa la stessa linea, si ha un ritorno
allo stato iniziale senza deformazioni residue e l’energia
1 immagazzinata sarebbe nulla
o
ric o
ca aric
sc

1 
- Realmente:

area di isteresi  tot =  p +  d = Deformazione plastica residua
L’area di isteresi rappresenta l’energia immagazzinata dal materiale
o nel ciclo di carico-scarico. Se nel ripetersi di questi cicli l’energia
ric
ca
ico

immagazzinata supera l’energia atomica, avviene il salto energetico


ar
sc

degli elettroni che vanno in un’orbita più stabile rilasciando energia,


quindi avviene una separazione fisica degli atomi e si crea una
p  tot  microfrattura.

d
Il calcolo del danno da fatica nei vari strati di una pavimentazione stradale si esegue applicando la legge
dell'accumulo lineare scoperta da Minner:
  
Questa legge dice che: se 1 , 2 ,..., k sono le ampiezze rispettivamente di n1 , n 2 ,..., n k ovvero, i cicli di
deformazione applicati a un materiale senza alcun ordine particolare, si verifica la rottura per fatica quando:
k
ni
N
i =1
=1 Dove: Ni = numero di cicli di deformazione che porterebbe a rottura il materiale qualora
l'ampiezza di deformazione fosse sempre mantenuta uguale a  i
i
Nel caso di pavimentazioni stradali le ampiezze  i sono le massime deformazioni orizzontali di trazione che,
nelle varie condizioni di temperatura, i carichi di traffico provocano nei diversi strati della sovrastruttura.
Per poter applicare la legge di Minner, bisogna eseguire una sequenza di operazioni:
- Bisogna suddividere l'anno solare in due o più periodi durante i quali la temperatura media dell'aria non
subisce notevoli variazioni e quindi calcolare la temperatura media dei vari strati e i corrispondenti valori del
modulo E e del coefficiente di Poisson μ.
- Prendere in esame i vari carichi di ruote considerati uniformemente ripartiti su aree circolari e calcolare le
tensioni e le deformazioni prodotte da questi carichi
- Calcolare, mediante le curve di fatica alle diverse temperature, per la maggiore delle due deformazioni
orizzontali di trazione provocate da ciascun carico in ciascun strato e per ciascuna temperatura, il numero Ni
di cicli di deformazione che producono la rottura
- Determinare, utilizzando le previsioni di traffico sulla strada in esame, il numero di applicazioni che si avrà
durante ciascuno dei periodi in cui è stato diviso l'anno solare, il quale, moltiplicato per il numero di anni della
richiesta di vita utile della pavimentazione, fornisce il numero ni, corrispondente a ciascuna deformazione
per la quale in precedenza si è valutato Ni.
- Infine, calcolare i vari rapporti ni/Ni e fare la somma. Se risulta ≤1 la pavim. è progettata correttamente.
• La curva di fatica si ricava sperimentalmente: Dove:  n è sempre minore della tensione di snervamento
Per ricavare la curva si procede applicando la  n sinusoidalmente fino a rottura. Si è visto che al
 ( FAT ) il materiale inizia da solo a dissipare l’energia
di sotto di un certo stato tensionale
accumulata senza causare il salto energetico: al di sotto di  FAT non esiste più il problema della
fatica. Non c’è però la sicurezza di quale sia il valore esatto di  FAT per il sottofondo e dunque
n
non si può impedire che questo si rompa per fatica; si conosce solo: n FAT sott  n FAT pav
FAT Per questo motivo la rottura della pavim. da fatica è già un segnale di allarme che
ci avverte che presto si romperà a fatica anche il sottofondo
log n
24

Metodo razionale di progetto delle pavimentazioni flessibili


Si può articolare il tre tappe:
1) Analisi dello stato di tensione e di deformazione;
2) Calcolo del danno da fatica accumulato nei vari strati durante la vita utile e verificare che esso non
provochi fessurazioni prima del termine
3) Calcolo della profondità delle ormaie prodottesi al limite della vita utile e verifica che esso, solo a quel
momento, raggiungano il limite di tollerabilità per la funzionalità e la sicurezza del piano viabile.
Per analizzare lo stato di tensione e di deformazione che i carichi di traffico determinano in una
pavimentazione stradale, questa viene schematizzata come una serie di strati orizzontali sovrapposti,
indefiniti in pianta e di spessore costante, caratterizzati ciascuno da un modulo elastico E e dal coefficiente
di Poisson μ; questi strati sono appoggiati sul sottofondo, schematizzato come un semispazio indefinito,
anch’esso omogeneo, elastico ed isotropo.
I carichi di traffico agenti sulla superficie della pavimentazione sono quelli verticali trasmessi dalle ruote dei
veicoli, che si ritengono uniformemente distribuiti su superfici circolari, di area uguale a quella di impronta dei
pneumatici. Oltre a queste azioni verticali, si considerano anche quelle orizzontali agenti con distribuzione
uniforme nelle stesse aree circolari. Le sollecitazioni di taglio determinate da queste azioni orizzontali si
esauriscono entro i primi 15 – 20 cm di spessore.
Normalmente si esegue una verifica allo scorrimento lungo la superficie inferiore del primo strato a partire
dall’alto, dove potrebbero verificarsi fenomeni di distacco. In questa verifica la massima tensione tangenziale
 max non deve superare l’adesione fra uno strato e l’altro ( max  5Kg/ cm2 ).
Nei metodi di calcolo più recenti è prevista la presenza contemporanea di più carichi di ruota e carichi
orizzontali agenti in un’unica direzione. Si assume quindi un riferimento cartesiano ortogonale.
Lo stato di tensione in qualsiasi punto P del complesso degli strati, di coordinate x, y, z è individuato dalle sei
componenti di tensioni agenti sulle facce di un elementino delimitato da piani paralleli a quelli del sistema di
riferimento:  xx ,  yy ,  zz , xy =  yx , xz =  zx , yz =  zy .
Analogamente lo stato di deformazione è definito dalle componenti di tensione e di deformazione; in pratica
ci si limita a considerare quei punti e quelle componenti di tensione e di deformazione che interessano ai fini
della verifica della pavimentazione nei riguardi del comportamento a fatica e della formazione delle ormaie.
LEGGE DI MINNER
25

Metodi Empirici per il calcolo delle pavimentazioni


Metodo AASHTO Interim Guide per il calcolo delle pavimentazioni
E’ un metodo empirico basato su osservazioni sperimentali dei parametri in gioco, i quali sono
opportunamente correlati da funzioni di regressione in modo che i legami funzionali siano fisicamente
corretti. Esso consiste nel ricavare il numero totale di assi standard (l’asse standard è l’asse singolo con
ruote gemelle da 8,2 t) che la pavimentazione può sopportare prima di raggiungere il valore del PSI (indice
di variabilità presente che misura l'idoneità della strada) in corrispondenza del quale si ritiene che essa
debba essere rifatta in quanto giunta alla fine della vita utile.
Si tratta di un metodo di verifica: si assegna un certo tipo di pavimentazione caratterizzato dal numero e
dallo spessore degli strati, nonché dai materiali impiegati per ciascuno di questi e si verifica se il numero di
passaggi di assi da 8,2 t è dello stesso ordine di grandezza di quello a cui equivale il traffico previsto sulla
struttura in esame durante la sua vita utile.
Il numero di passaggi di assi che la pavimentazione riesce a sopportare si ricava dalla seguente formula:
PSI = PSIiniz − A ( N/ p )

Dove: A = differenza tra il valore del PSI iniziale della vita utile e quello posto uguale a 1.5, in corrispondenza
del quale si ritiene che la sovrastruttura si sia totalmente dissestata.
Il valore del PSI varia a seconda delle pavimentazioni usate, ad esempio per pavimentazioni flessibili
PSIiniz = 4.2 → A = 4.2 − 1.5 = 2.7
Sostituendo i valori di A e di PSIiniz nell’espressione precedente si ottiene:
4.2 − PSI
lg = =  (lg N− lg p) (*) Che fornisce il numero N di passaggi di assi di ugual peso e produce
2.7
l’ammaloramento definitivo dal PSI a numeratore del primo membro.
È possibile definire uno spessore equivalente detto indice di spessore (Is) espresso in funzione degli
spessori h1, h2, h3: (Is = 0.44 h1 + 0.14 h 2 + 0.11 h 3 )
Dove: h1 = manto di conglomerato bituminoso h2 = strato di base di misto granulare frantumato
h3 = strato di fondazione di misto non frantumato
 e p sono due funzioni dell’indice di spessore della sovrastruttura e dei carichi dei vari assi; i loro valori si
possono calcolare tramite le seguenti espressioni:
0.081(L1 + L 2 )3.23
-  = 0.40 + - p = 5.93 + 9.36 lg(IS / 2.5 + 1) − 4.79 lg(L1 + L2 ) + 4.33 lg(L2 )
(IS / 2.5 + 1)5.19  L 23.23
Dove: L1 = carico agente sull’asse che si considera (espresso in migliaia di libbre)
L2 = termine che assume valore 1 se l’asse è singolo, 2 se si tratta di una coppia di assi tandem
In particolare, ponendo nell’equazioni di  e p → L1 = 18 (18000 libbre = 8,2 t) e L2 = 1, si ottiene dalla (*):
 I  lg[(4.2 − Pf) / 2.7]
lg(N8.2 ) = 9.36 lg  S + 1 − 0.20 +
 2.5  0.40 +
1094
5.19
 IS 
 + 1
 2.5 
La quale fornisce il numero di passaggi di assi singoli da 8.2 t che una pavimentazione, caratterizzata da un
indice di spessore, può sopportare durante la sua vita utile; espresso in funzione del valore Pf del PSI.
Metodo di Progetto della “ROAD NOTE 29”
È un metodo di progettazione delle pavimentazioni flessibili messo a punto in Inghilterra elaborando risultati
ottenuti su alcune strade sperimentali. È un metodo diretto nel senso che consente, noto il numero di
passaggi di assi da 8.2 t sulla corsia di progetto durante la vita utile, di calcolare dapprima lo spessore della
fondazione in funzione del CBR del sottofondo, quindi lo spessore dello strato di base e quelli superficiali.
Nota la portanza del sottofondo (CBR di progetto) si può calcolare (tramite un abaco dove sono riportate
curve a valori del CBR da 2 a 1) lo spessore della fondazione in funzione del numero di passaggi di assi da
8.2 t. Per valori di CBR<2 lo spessore della fondazione si ottiene aumentando di 15 cm quello ricavato dalla
curva CBR=2. Quando CBR>7 conviene adoperare gli spessori che si ottengono per CBR=7 se il numero di
passaggi di assi da 8.2 t è inferiore a 500000. Se il numero di passaggi supera 5000000 lo spessore della
fondazione può ancora ricavarsi dalla curva CBR=7 tenendo però presente che esso non può scendere sotto
i 15 cm quando CBR<30. Sulla fondazione si deve prevedere uno strato di base che può essere realizzato
con materiali diversi, ed uno strato superficiale (usura + binder) di conglomerato bituminoso. Lo spessore di
questi due strati si ricava, sempre in funzione del numero di assi da 8.2 t, da abachi.
26

Le 3 sezioni stradali tipo: Materiali, procedura realizzativa, disegno delle sezioni e dei particolari costruttivi
1) Sezione in riporto:

Dove: A = profilo originario del terreno B = rilevato in terra di tipo A1/A2-4/A3


C = materiale granulare anti capillare (garantiti ovunque spess. 30 cm)
D = eventuale gradonatura per pendenza terreno > 15%
E = guard rail F = copertura in terreno vegetale (spessore 30cm)
2) Sezione in scavo:

Dove: A = profilo originario del terreno B = materiale granulare anti capillare (spessore 30 cm)
C = calcestruzzo magro di riempimento D = cunetta in c.a. prefabbricata
E = copertura in terreno vegetale (spessore 30cm)
3) Sezione a mezza costa:

Dove: A = copertura in terreno vegetale (spessore 30cm)


B = rilevato in tera di tipo A1/A2-4/A3
C = materiale granulare anti capillare (garantiti ovunque spessore 30cm)
D = eventuale gradonatura per pendenza terreno > 15%
E = calcestruzzo magro di riempimento F = cunetta in c.a. prefabbricata
G = copertura in terreno vegetale (spessore 30cm) H = profilo originario del terreno
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• Particolari costruttivi:
Particolare 1 – pavimentazione flessibile in conglomerato bituminoso:

A = usura in conglomerato bituminoso (spessore 4cm)


B = binder in conglomerato bituminoso (spessore 6cm)
C = base in conglomerato bituminoso (spessore 10cm)
D = fondazione in misto granulare non legato (spessore 30cm)

Particolare 2 – cunetta prefabbricata per la raccolta delle acque piovane:

A = cunetta in c.a. prefabbricato


B = calcestruzzo armato per posizionamento cunetta
Prefabbricata in c.a. (spessore 10cm)

Particolare 3 – Barriera stradale di sicurezza (Guard rail)


28

Movimenti di terra e macchine operatrici


Per la formazione del corpo stradale è necessario intervenire sul terreno naturale effettuando scavi, riporti,
trasporti di terra in modo da realizzare la strada secondo le caratteristiche geometriche e planimetriche
previste in progetto. Queste operazioni richiedono prima di tutto la conoscenza della natura dei terreni, sia
per stabilire i mezzi da impiegare per eseguire gli scavi sia per la scelta della terra da utilizzare per la
formazione dei rilevati che devono presentare doti di stabilità e indeformabilità nel tempo.
Note le caratteristiche dei terreni, devono essere scelti i mezzi da utilizzare per effettuare gli scavi e i
trasporti. Le macchine comunemente usate nella costruzione delle strade si possono così classificare:
• Macchine destinate allo scavo e al carico della terra sui mezzi di trasporto, quali escavatori e pale mecc.:
Possono essere ad azione continua o discontinua; al primo gruppo appartengono gli escavatori a tazze,
montate su un nastro in movimento continuo, che raschiando sul terreno lo asportano e lo trasportano in una
zona di accumulo; sono adatti per scavi a sezione costante e in presenza di terreni poco duri, ma quasi mai
utilizzati per le strade. Al secondo gruppo appartengono gli escavatori universali, così definiti in quanto
possono avere equipaggiamenti diversi e sono dotati da un braccio articolato montato su una piattaforma
girevole; possono essere montati su cingoli (adatti per terreni accidentati e poco resistenti) e su ruote
gommate (adatti per terreni resistenti e quasi orizzontali). Gli escavatori possono essere dotati di cucchiaio
diritto, cucchiaio rovescio, benna mordente, benna trascinata (dragline), martello demolitore, benna per la
formazione di pozzi. A questo tipo di macchine appartengono anche le pale meccaniche, costituite da un
trattore su cingoli o ruote su cui è montato un cucchiaio anteriore adatto per lo scavo, il livellamento del
terreno e il carico sugli autocarri.
• Macchine destinate al trasporto, quali autocarri, con cassone ribaltabile e i dumper:
Sono gli autocarri con cassone a ribaltamento posteriore e/o laterale; per trasporti nell’ambito del cantiere
sono impiegati i dumper, veicoli a trazione totale e cassone ribaltabile
• Macchine destinate allo scavo e al trasporto, quali i vari tipi di apripista:
Sono trattori a cingoli muniti nella parte anteriore di una lama trasversale concava, inferiormente tagliente,
detti apripista; si distinguono in bulldozer (a lama fissa), angledozer (lama orientabile con rotazione intorno
all’asse verticale) e tiltdozer (lama inclinabile con rotazione intorno all’asse orizzontale).
• Macchine destinate allo scavo, carico, trasporto e scarico della terra, quali le motoruspe:
Sono macchine gommate, dette motoruspe, dotate di un cassone che in fase d’avanzamento viene
abbassato e con la sua lama raschia il terreno riempiendosi; terminato il carico il cassone viene sollevato e
chiuso e la motoruspa avanza velocemente verso la zona di scarico
• Macchine destinate al livellamento del terreno, quali le autolivellatrici:
Sono macchine gommate, dotate al centro di una lama orientabile sul piano orizzontale e sul piano verticale,
dette moto livellatrici; sono impiegate nel taglio di fossi e cunette, per rifiniture di scarpate e per il
livellamento del terreno.
• Macchine destinate a costipare il terreno, quali i rulli costipatori:
Hanno la funzione di aumentare la densità del terreno con la riduzione dei vuoti e l’assestamento dei granuli;
sono i rulli compressori ad azione statica, dinamica o combinata
29

Il Solido stradale
Costruttivamente una strada è formata da un solido stradale; con esso si individuano i vari strati con i quali si
trasmettono sia i pesi propri sia i carichi transitanti al terreno di sottofondo, con il minimo di deformabilità e di
usura della strada. È affidato alla sovrastruttura il compito di proteggere il corpo stradale dall’usura
determinata dal passaggio veicolare e dalla infiltrazione delle acque meteoriche (pavimentazione) nonché di
distribuire i carichi al terreno di sottofondo (fondazione). La sovrastruttura s’intende costituita da tre strati:
1) Strato di fondazione 2) Strato di base 3) Pavimentazione
Per ognuno dei quali vengono impiegati materiali lapidei e inerti:
• Materiali lapidei:
Nella costruzione delle sovrastrutture stradali vengono impiegati inerti di granulometria variabile di origine
naturale oppure provenienti dalla frantumazione delle rocce:
- Naturali = sono ghiaie e sabbie ricavate da depositi alluvionali, dal letto di fiumi o spiagge, che devono
essere puliti e tenaci, cioè resistenti all’usura. Tout-venant sono gli inerti già assortiti granulometricamente in
natura, misto granulare se ottenuti da miscelazione artificiale;
- Artificiali = sono pietrischi e graniglie di calcari e dolomie molto usati nei lavori stradali, si ottengono per
estrazione dalle cave e frantumazione successiva.
Gli inerti vengono suddivisi in classi in funzione della loro pezzatura, ossia delle dimensioni massime e
minime dei grani che costituiscono una determinata classe; sono definiti additivi o filler i materiali molto fini
che vengono impiegati per riempire i vuoti tra i materiali più grossi.
• Materiali leganti
Hanno la funzione di collegare gli inerti realizzando una coesione fra i vari elementi; possono essere:
- Bitumi naturali = se formatisi in natura da petrolio affiorato in superficie ed evaporazione delle parti volatili;
- Bitumi artificiali = se derivati dalla distillazione frazionata del petrolio;
- Bitumi liquidi = ottenuti dai precedenti semisolidi con l’aggiunta di solventi, per cui possono essere
impiegati a freddo
- Emulsioni bituminose = si ottengono disperdendo bitume puro, in percentuale del 50-65%, in acqua calda;
venendo a contatto con la superficie da trattare l’acqua evapora e il bitume si coagula formando una pellicola
- Asfalti = si ottengono per frantumazione di rocce calcaree naturali impregnate finemente di bitume in
percentuale del 10-20%
- Catrami = sono ottenuti per distillazione del carbone fossile e successiva ridistillazione per eliminare
l’acqua ed altri componenti volatile; sono più fluidi dei bitumi ma chimicamente instabili per cui vengono
miscelati con bitumi semisolidi o polveri di asfalto
- Cementi = sono i cementi normali o ad alta resistenza, anche se meno rapidi.
Sia i leganti bituminosi sia i cementi devono sottostare a particolari requisiti di accettazione e di prove, che
permettono la loro classificazione.
Strato di fondazione
Terminati i movimenti di terra, il sottofondo stradale deve essere convenientemente ripulito e costipato con
rullo compressore; se l’ultimo strato di sottofondo non è soddisfacente (limo o argilla) occorre preparare uno
strato di fondazione, esteso a tutta la lunghezza della strada o a particolari tratti con spessori anche variabili;
ha lo scopo di ridurre le sollecitazioni del traffico sul sottofondo e di migliorare il drenaggio.
Può essere realizzato in: macadam, macadam all’acqua, macadam bituminato, macadam con emulsioni
bituminose, macadam cementizio, misti granulari stabilizzati.
Strato di base
Ha uno spessore di 15-20 cm e viene realizzato impiegando gli stessi materiali usati per lo strato di
fondazione, ed anzi può sostituirlo quando lo strato di sottofondo del terreno possiede buone capacità
portanti. Costituendo il supporto alla pavimentazione, deve essere in grado di ripartire i carichi trasmessi dai
veicoli in transito e possedere una buona rigidezza, i materiali vengono generalmente stabilizzati con leganti
bituminosi (misti bitumati) o leganti cementizi (misti cementati). La rullatura è solo parziale, in modo da
ottenere una superficie con sufficienti cavità che migliori la possibilità di attacco dello strato di collegamento
(binder) o direttamente del tappeto di usura.
30

Pavimentazioni flessibili
La pavimentazione, detta anche strato superficiale di usura, ha la funzione di realizzare un piano viabile con
caratteristiche tali da assicurare lo svolgimento del traffico in condizione di sicurezza e confort, proteggere gli
strati sottostanti dall’azione degli agenti atmosferici (acqua e ghiaccio) e ottenere così una buona durata
della strada. La scelta del tipo di pavimentazione dipende essenzialmente dall’intensità del traffico,
dall’andamento altimetrico del tracciato e da analisi economiche. Le pavimentazioni stradali si suddividono:
- Flessibili = dotate di scarsa rigidezza flessionale, si deformano anche di alcuni millimetri per effetto dei
carichi transitanti e sono costituite con: macadam, catrame, malte bituminose, conglomerato bituminoso, in
polvere d’asfalto, in cubetti di pietra e asfalto compresso.
- Rigide = presentano deformazioni quasi trascurabili, ottenendo una buona distribuzione dei carichi sul
terreno di sottofondo e, resistendo alle sollecitazioni per la loro elevata rigidezza flessionale, richiedono
sottofondi poco deformabili o almeno uniformemente cedevoli; sono realizzate in calcestruzzo non armato,
debolmente armato e con armatura continua
31

Strato di fondazione
Posa in opera del misto granulare
- Piano di posa dello strato = quote, sagoma, requisiti di portanza prescritti. Ripulito da materiale estraneo.
- Stesa = strati di spessore finito non superiore a 25 cm e non inferiore a 10 cm e uniformemente miscelato
dopo costipamento (in modo da non presentare segregazione dei suoi componenti).
Eventuale aggiunta di acqua mediante dispositivi spruzzatori.
Tutte le operazioni sono sospese quando le condizioni ambientali (pioggia, neve, gelo) siano tali da
danneggiare la qualità dello strato stabilizzato.
Il materiale pronto per il costipamento deve presentare in ogni punto la prescritta granulometria.
Per il costipamento e la rifinitura verranno impiegati rulli vibranti, rulli gommati o combinati, tutti semoventi.
Per ogni cantiere, l’idoneità dei mezzi d’opera e le modalità di costipamento devono essere determinate, con
la Direzione Lavori, prima dell’esecuzione dei lavori, mediante una prova sperimentale di campo, usando le
miscele messe a punto per quel cantiere.
Il costipamento di ciascuno strato deve essere eseguito sino ad ottenere una densità in sito non inferiore al
98% della densità massima fornita dalla prova AASHO modificata.
Il valore del modulo di compressibilità ME, nell'intervallo compreso fra 0,15 e 0,20 N/mmq, non dovrà essere
inferiore ad 80 N/mmq.
Sullo strato di fondazione, compattato, è buona norma procedere subito alla esecuzione delle
pavimentazioni, senza far trascorrere, tra le due fasi di lavori un intervallo di tempo troppo lungo, che
potrebbe recare pregiudizio ai valori di portanza conseguiti dallo strato di fondazione a costipamento
ultimato. Ciò allo scopo di eliminare i fenomeni di allentamento, di asportazione e di disgregazione del
materiale fine, interessanti la parte superficiale degli strati di fondazione che non siano adeguatamente
protetti dal traffico di cantiere o dagli agenti atmosferici.
Nel caso in cui non sia possibile procedere immediatamente dopo la stesa dello strato di fondazione alla
realizzazione delle pavimentazioni, sarà opportuno procedere alla stesa di una mano di emulsione saturata
con graniglia a protezione della superficie superiore dello strato di fondazione.
• Controlli sul misto granulare:
Controllo della qualità dei misti granulari e della loro posa in opera:
- prove di laboratorio sui materiali costituenti;
- prove di laboratorio sul materiale prelevato in sito al momento della stesa;
- prove sullo strato finito
- Materiali = Caratteristiche di accettazione dei materiali verificate prima dell’inizio dei lavori, ogni qualvolta
cambino i luoghi di provenienza dei materiali e successivamente ogni 2 mesi.
- Granulometria = Verificata giornalmente, prelevando il materiale in sito già miscelato, subito dopo avere
effettuato il costipamento. Rispetto alla qualificazione delle forniture, nella curva granulometrica sono
ammessi variazioni delle singole percentuali dell’aggregato fino e grosso (2÷5%). Non devono essere
superati i limiti del fuso assegnato. Equivalente in sabbia dell’aggregato fino verificato almeno ogni tre giorni
lavorativi.
- Costipamento (a compattazione ultimata)
- Densità del secco in sito (nel 95% dei prelievi) ≥ 98% del valore di riferimento (gsmax) misurato in
laboratorio sulla miscela di progetto e dichiarato prima dell’inizio dei lavori.
- Portanza = Accertare che le prestazioni dello strato finito soddisfino le richieste di progetto e siano conformi
a quanto dichiarato prima dell’inizio dei lavori. La metodologia di indagine impiegata dovrà essere tale da
fornire parametri di controllo identici, o comunque direttamente confrontabili, con quelli utilizzati nel calcolo
della pavimentazione. A tale scopo, sono ammesse sia prove puntuali (Prove di carico con piastra o misure
di deflessione) sia prove ad elevato rendimento.
Al momento della costruzione degli strati di pavimentazione sovrastanti, la media dei valori di portanza del
misto granulare su ciascun tronco omogeneo, non dovrà essere inferiore a quella prevista in progetto.
Per carenze superiori al 20%, il tratto considerato deve essere demolito e ricostruito.
- Sagoma = Superfici finite perfettamente piane, con scostamenti rispetto ai piani di progetto non superiori a
10 mm, controllati a mezzo di un regolo di 4m di lunghezza e disposto secondo due direzioni ortogonali.
- Spessore medio = Quello previsto in progetto, con una tolleranza in più o in meno del 5% purché tale
differenza si presenti solo saltuariamente
32

Posa in opera del misto cementato


La miscela verrà stesa sul piano finito dello strato precedente dopo che sia stata accertata dalla direzione
dei Lavori la rispondenza di quest'ultimo ai requisiti di quota, sagoma e compattezza prescritti.
- Stesa: finitrici vibranti.
- Costipamento e la rifinitura: rulli lisci vibranti o rulli gommati (oppure rulli misti vibranti e gommati).
L'idoneità dei rulli e le modalità di costipamento verranno, per ogni cantiere, determinate dalla D.L. su una
stesa sperimentale, usando le miscele messe a punto per quel cantiere (Prova di costipamento).
La stesa della miscela non dovrà di norma essere eseguita con temperature ambienti inferiori a 0°C e
superiori a 25°C ne sotto pioggia.
Consentita la stesa a temperature comprese tra i 25°C e i 30°C. In questo caso, però, sarà necessario
proteggere da evaporazione la miscela durante il trasporto dall'impianto di miscelazione al luogo di impiego;
sarà inoltre necessario provvedere ad abbondante bagnatura del piano di posa del misto cementato. Infine
le operazioni di costipamento e di stesa dello strato di protezione con emulsione bituminosa dovranno
essere eseguite immediatamente dopo la stesa della miscela.
Condizioni ideali di lavoro: temperature di 15°C ¸ 18°C ed umidità relativa del 50% circa. Temperature
superiori saranno accettabili con umidità relative anch'esse crescenti; comunque è opportuno, anche per
temperature inferiori alla media, che l'umidità relativa all'ambiente non scenda al di sotto del 15% (eccessiva
evaporazione del getto).
- Il tempo intercorrente tra la stesa di due strisce affiancate non dovrà superare di norma 1-2 ore per
garantire la continuità della struttura.
Particolari accorgimenti dovranno adottarsi nella formazione dei giunti longitudinali di ripresa, che andranno
protetti con fogli di polistirolo espanso (o materiale similare) conservati umidi.
Il giunto di ripresa sarà ottenuto terminando la stesa dello strato a ridosso di una tavola, e togliendo la tavola
stessa al momento della ripresa del getto; se non si fa uso della tavola, sarà necessario, prima della ripresa
del getto, provvedere a tagliare l'ultima parte del getto precedente, in modo che si ottenga una parete
verticale per tutto lo spessore dello strato. Non saranno eseguiti altri giunti all'infuori di quelli di ripresa.
Il transito di cantiere sarà ammesso sullo strato a partire dal terzo giorno dopo quello in cui è stata effettuata
la stesa e limitatamente ai mezzi gommati. Strati eventualmente compromessi dalle condizioni
meteorologiche, o da altre cause, dovranno essere rimossi e sostituiti (a totale cura e spese dell'Impresa).
Subito dopo il completamento delle opere di costipamento e di rifinitura, dovrà essere eseguito lo
stendimento di un velo protettivo di emulsione bituminosa al 55% in ragione di 1-2 Kg/mq, in relazione al
tempo ed alla intensità del traffico di cantiere cui potrà venire sottoposto ed il successivo spargimento di
sabbia.
• Controlli sul misto cementato:
- Densità in sito ≥ 98% della densità di progetto = controllo eseguito con cadenza giornaliera (almeno una
prova per giornata lavorativa) prelevando il materiale durante la stesa ovvero prima dell'indurimento; la
densità in sito si effettuerà mediante i normali procedimenti a volumometro.
- Densità sullo strato finito (SECCA) = 100% della densità di progetto. Almeno 15 ¸ 20 gg di stagionatura, su
provini estratti tramite carotatrice; densità secca = peso della carota essiccata in stufa a 105 ¸110°C fino al
peso costante/volume ricavato per mezzo di pesata idrostatica previa paraffinatura.
- Umidità della miscela
- Resistenza a compressione e a trazione: provini confezionati e stagionati come quelli di studio preparati in
laboratorio, prelevando la miscela durante la stesa e prima del costipamento definitivo, nella quantità
necessaria per il confezionamento dei sei provini (tre per le rotture a compressione e tre per quelle a
trazione) previa la vagliatura al crivello da 25 mm (prelievo almeno ogni 1500 mc di materiale costipato).
Resistenza a 7 giorni di ciascun provino, preparato con la miscela stesa, non dovrà discostarsi da quella di
riferimento preventivamente determinato in laboratorio di oltre ± 20%; comunque non dovrà mai essere
inferiore a 2,5 N/mm2 per la compressione e 0,25 N/mm2 per la trazione.
- Scostamento dalla sagoma di progetto a mezzo di un regolo di m 4,50 di lunghezza, disposto secondo due
direzioni ortogonali.

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