0
7.1 Flusso laminare e turbolento. La legge di Poiseuille
dove (Nsm-2) è il coefficiente di viscosità assoluta. Per una determinata velocità v∞,
97
però, il moto nello strato limite rimane laminare soltanto fino a una distanza xc dal
bordo d’attacco, denominata distanza critica. Per x>xc le linee di flusso si
scompongono e si mescolano disordinatamente tra loro attorcendosi a formare dei
vortici che si susseguono nel tempo e nello spazio senza alcuna regolarità.
Contemporaneamente, i valori locali delle variabili di stato (v,T , P, ,..) divengono
fluttuanti e la legge di Newton-Petroff non è più applicabile. Responsabile di un tale
regime di moto, denominato moto turbolento, è l’inerzia del liquido che predomina sulle
forze di frizione dovute alla viscosità.
Ad una fissata distanza x dal bordo d’attacco, la transizione da moto laminare a
turbolento avviene anche se la velocità media aumenta oltre un certo valore critico.
Sperimentalmente si osserva come i limiti di esistenza del moto laminare e del moto
turbolento dipendono del valore assunto dal raggruppamento adimensionale noto come
numero di Reynolds, esprimente fisicamente il valore del rapporto tra le forze di inerzia
e le forze di attrito viscoso. Per la geometria considerata (deflusso esterno su piastra
piana) si ha
v x v x
Re x = = (7.1.2)
In questo caso, qualunque sia il valore di v∞, esisterà sempre una distanza critica xc dal
bordo di attacco cui avviene la transizione tra i due regimi di moto.
L’analisi teorica e sperimentale indicano che lo spessore dello strato limite
diminuisce all’aumentare del numero di Reynolds e cioè al diminuire della viscosità e/o
all’aumentare della velocità media del fluido. Lo spessore dello strato limite turbolento,
però, cresce più rapidamente rispetto allo strato limite laminare. Inoltre, nello strato
limite turbolento il più intenso mescolamento ha l’effetto di rendere il profilo di velocità
più uniforme (effetto di livellamento) nella parte centrale dello strato limite.
Conseguentemente il gradiente di velocità alla superficie, e quindi lo sforzo tangenziale
alla parete è molto maggiore nello strato limite turbolento che in quello laminare. Un
regime di moto laminare sussiste ancora comunque in un sottile strato nell’immediata
vicinanza della superficie denominato sottostrato laminare. La regione compresa tra la
zona dello strato limite laminare e la parte dello strato limite completamente turbolenta
si chiama zona di transizione.
Analogo è il caso di un fluido che scorre all’interno di un condotto (deflusso
interno). In questo caso lo strato limite si sviluppa su tutta la superficie interna del tubo.
Man mano che il fluido procede dalla sezione di ingresso lo spessore dello strato limite
cresce fino a raggiungere eventualmente il valore del raggio R del tubo. Prima di
questo punto il flusso si compone di un nucleo non-viscoso e della regione dello strato
limite in cui sono concentrati gli effetti della viscosità. La distribuzione di velocità
98
cambia man mano che il fluido avanza a partire dalla sezione di imbocco dal momento
cha la regione affetta dalla viscosità aumenta. Quando = R e la distribuzione di
velocità non cambia più si parla di flusso completamente sviluppato. La regione
compresa tra la sezione di ingresso ed il punto in cui il moto diviene completamente
sviluppato prende il nome di regione di ingresso. Anche in questo caso nello strato
limite turbolento il più intenso mescolamento ha l’effetto di rendere il profilo di velocità
più uniforme (effetto di livellamento) nella parte centrale dello strato limite.
99
all’istante di tempo t tra le sezioni A1 ed A2 si sarà spostata, dopo un tempo
infinitesimo dt , nel segmento compreso tra le sezioni A1 e A2 . Ai fini pratici tutto va
come se la massa m contenuta nel segmento A1 - A1 si fosse spostata in A2 - A2 . Ciò
implica che la variazione della quantità di moto della massa M nel tempo infinitesimo
dt coincide con quella della massa m . Per il teorema dell’impulso possiamo scrivere
allora
m (v2 − v1 ) = Fdt (7.1.4)
F essendo la risultante delle forze esterne applicate alla massa M . Dividendo ambo i
membri per dt e ricordando che m / dt = M 1 = M 2 (= M ) è la portata massica otteniamo
l’equazione cercata per la conservazione della quantità di moto in regime stazionario:
M (v2 − v1 ) = F (7.1.5)
e cioè la risultante delle forze agenti sul cilindretto di fluido deve essere nulla. Per
calcolare F osserviamo che la velocità locale v , diretta ovunque assialmente per
ragioni di simmetria, deve decrescere procedendo dall’asse del tubo verso la parete
interna dove, per l’ipotesi dell’aderenza, è nulla.
Il cilindretto di fluido sarà sottoposto, pertanto, sulla sua superficie laterale ad una
forza frenante dovuta allo sforzo tangenziale viscoso esercitato dallo strato di fluido
esterno pari a
− (r ) 2 rdx (7.1.7)
dove si è tenuto conto che dP è intrinsecamente negativo (la pressione diminuisce nel
verso del moto).
100
Imponendo la (7.1.6) si ottiene allora
r dP
(r ) = (7.1.9)
2 dx
Lo sforzo tangenziale varia pertanto linearmente con r dal centro del tubo dove è nullo
( = 0) alla parete (r = R) ) dove assume il valore massimo
R dP
w = (7.1.10)
2 dx
r
(r ) = w (7.1.11)
R
Si noti come il risultato ottenuto vale sia nel caso di moto laminare che di moto
turbolento.
Nel caso di moto laminare la distribuzione di velocità si può trovare sostituendo
nella (7.1.9) la legge di Newton
dv
(r ) = − (7.1.12)
dr
dv r dP
=− (7.1.13)
dr 2 dx
Integrando questa equazione
1 dP
d v = − 2 dx
rdr (7.1.14)
si ottiene
r 2 dP
v(r ) = − +B (7.1.15)
4 dx
101
dove B è una costante arbitraria di integrazione. Imponendo la condizione che sulla
parete interna del tubo la velocità sia nulla si ricava B = ( R 2 / 4 ) dP / dx per cui
l’espressione finale di v(r ) è
1 dP 2 2 1 P1 − P2 2 2
v(r ) = ( R − r ) o v(r ) = ( R − r ) (7.1.16)
4 dx 4 L
R
1 1 dP R 2 dP
A A 2R 2 dx 0
v= v( r ) dA = ( R 2
− r 2
) rdr = (7.1.17)
8 dx
e
. R 4 dP
V = vA= (7.1.18)
8 dx
La portata risulta dunque proporzionale alla quarta potenza del raggio del condotto.
(v 22 − v12 )
q − lT = (h2 − h1 ) + + ( z2 − z1 ) (7.2.1)
2g
vd v
− lT = dh + + dz (7.2.2)
g
vd v
− lT = (Tds + vdP) + + dz (7.2.3)
g
102
La variazione di entropia associata al processo ideale quasi-statico deve essere
ovviamente uguale a quella che compete al processo reale. Per quantificare tale
variazione osserviamo che, a causa della dissipazione dell’energia meccanica del fluido
causata dall’attrito viscoso, la trasformazione reale è sicuramente irreversibile. E poiché
il fluido non scambia calore con l’ambiente (pareti del condotto termicamente isolate)
tale irreversibilità si traduce in una variazione positiva di entropia.
ds = dsint 0 (7.2.4)
Pertanto, anche il termine Tds (associato al processo ideale) che compare nella (7.2.3)
deve essere positivo.
Integrando la (7.2.3) tra due generiche sezioni 1 e 2 e ponendo
2
R = Tds 0 (7.2.5)
1
si ottiene
v 22 − v12
2
+ ( z2 − z1 ) + vdP + R + lT = 0 (7.2.6)
2g 1
nota come equazione di Bernoulli. Tale equazione, per come è stata dedotta, è valida per
un fluido reale in moto stazionario all’interno di un condotto isolato adiabaticamente.
Nell’ipotesi che il fluido sia incomprimibile ( = cost) , privo di viscosità
( = 0, R = 0) e che non scambi energia meccanica con l’ambiente esterno (lT = 0) ,
l’equazione (7.2.6) si riduce a quella originariamente dedotta da Bernoullì:
v12 P v2 P
+ z1 + 1 = 2 + z2 + 2 (7.2.7)
2g 2g
I tre addendi che compaiono in questa equazione hanno tutti le dimensioni di una
altezza ed è possibile attribuire a ciascuno di essi un ben preciso significato da cui
prendono il nome:
− z rappresenta l’energia potenziale dell’unità di peso di liquido posto ad una altezza z
nel campo gravitazionale e prende il nome di quota geometrica;
− P / è pari all’altezza che deve avere una colonna di fluido di peso specifico per
esercitare una pressione P (legge di Stevino) e prende il nome di quota piezometrica.
Rappresenta energia di pressione e insieme a z esprime il contenuto totale di energia
potenziale posseduta dalla unità di peso di fluido.
− ( v/ 2 g ) è pari all’altezza da cui deve cadere un grave nel vuoto per acquistare una
velocità v e prende il nome di quota cinetica. Rappresenta ovviamente l’energia
cinetica dell’unità di peso di fluido che si muove con velocità v. Si noti che l’ipotesi di
fluidi incomprimibile, sempre valida per i liquidi, può essere ritenuta applicabile anche
per i gas quando la temperatura si mantenga approssimativamente costante e per
velocità di efflusso non elevate.
103
L’equazione di Bernoullì esprime evidentemente il teorema di conservazione della
energia per un fluido ideale in moto isotermo stabilendo che il contenuto di energia
meccanica specifica totale o, come suol
dirsi, il “carico totale” di una corrente
fluida, somma dei contributi dinamico
(v/ 2 g ) e piezometrico ( z + P / ) ),
rimane costante lungo un qualsiasi tubo di
flusso. Tale equazione è suscettibile di
una immediata interpretazione
geometrica: la somma della quota
geometrica, della quota piezometrica e
della quota cinetica è costante lungo ogni
sezione del tubo di flusso. Tale altezza
costante individua una linea denominata linea dei carichi totali.
Il confronto della (7.2.6) con la (7.2.7) mostra allora che per i fluidi reali, in cui non
possono trascurarsi i fenomeni dissipativi, il carico totale non rimane costante, essendo
diminuito nel passaggio dalla sezione 1 alla sezione 2 della quantità R che viene
conseguentemente indicata con il termine di resistenza o perdita di carico.
Nel caso di moto relativo tra fluido e manometro si rileverà, in generale, che la
pressione locale misurata da quest’ultimo è maggiore della pressione statica.
Consideriamo, infatti, un fluido incomprimibile in moto entro un condotto orizzontale a
sezione costante entro cui è inserito un piccolo tubo (manometro) con la bocca rivolta
normalmente alla direzione del moto. Individuati i filetti fluidi che interessano la bocca
del manometro fissiamo una sezione 1 prima del manometro in seno al fluido
imperturbato ed una sezione 2 sulla bocca del manometro. Osservando che
z2 = z1 , R = 0 , lT = 0 e che v 2 = 0 dal momento che il moto dei filetti fluidi si arresta
in prossimità della sezione 2 sulla bocca del manometro (punto di ristagno), l’equazione
di Bernoullì assume la forma:
v12 P2 − P1
= (7.2.8)
2g
104
cioè
1
P2 = P1 + v12 (7.2.9)
2
Sulla superficie sensibile del manometro, dunque, alla pressione statica locale ( P1 ) va
ad aggiungersi il contributo “dinamico” (1/ 2) v12 il cui
ammontare eguaglia l’energia cinetica persa dal fluido
nell’arresto sulla bocca del manometro. Tale contributo
prende il nome di pressione dinamica.
Ovviamente, l’effetto sarà tanto maggiore quanto
più rilevante è la perdita di energia cinetica subita al
fluido nell’arresto. Diviene importante quindi
l’orientamento della superficie sensibile del manometro
rispetto alla direzione del fluido in moto. In particolare,
il massimo incremento di pressione dinamica si avrà per
orientazione normale. Se invece la superficie è parallela
o “volge le spalle” alla direzione del moto non si
rileverà alcun incremento.
2( P1 − P2 )
v= (7.2.10)
Le dimensioni della sonda, in genere piccole rispetto al condotto (0.5 cm), consentono
di ricavare la velocità locale e disegnare, una volta ricavate le velocità in vari punti della
sezione, la distribuzione di velocità in una sezione del condotto
105
v 22 − v12 P2 − P1
+ =0 (7.2.11)
2g
che indica che sulla sezione contratta A2 la velocità aumenta e la pressione diminuisce.
La conservazione della massa impone che
v1 A1 = v 2 A2 (7.2.12)
da cui
A1
v 2 = v1 (7.2.13)
A2
v12 A12 P1 − P2
− 1 = (7.2.14)
2 A22
da cui
V = v1 A1 = A1 2( P1 − P2 ) / ( A12 / A22 ) − 1 (7.2.15)
e cioè
A1 A2
V = 2( P1 − P2 ) / (7.2.16)
A12 − A22
106
7.3 Perdite di carico distribuite
vale a dire che le resistenze dei condotti sono la causa della perdita di pressione statica
che si rileva nella direzione del moto. Per
mantenere un fluido reale in moto entro
un condotto è necessario pertanto
applicare una adeguata differenza di
pressione per vincere le forze di attrito
viscoso. Dal punto di vista ingegneristico
il calcolo di Rd equivale a determinare la
potenza di pompaggio o di ventilazione
necessaria per mantenere una certa
portata. Un fluido ideale, invece,
potrebbe essere mantenuto in moto
indefinitamente senza che venga imposta
alcuna caduta di pressione statica.
Nelle applicazioni, si è soliti mettere
in relazione la differenza di pressione
(necessaria per bilanciare le azioni di attrito) alla portata volumetrica e cioè alla velocità
media di efflusso del fluido. Per ricavare tale relazione osserviamo che dall’espressione
della distribuzione degli sforzi all’interno di un condotto possiamo scrivere
107
w 2L w 4L
P1 − P2 = = (7.3.2)
R D
dove D è pari al diametro del condotto nel caso di sezione circolare e, più in generale,
al diametro equivalente definito dalla relazione
dove Rh , il raggio idraulico, è a sua volta definito come rapporto tra l’area A della
sezione trasversale ed il perimetro P della stessa (perimetro bagnato del condotto):
Rh = A / P (7.3.4)
4L
Rd = w (7.3.5)
D
Per mettere in relazione lo sforzo alla parete, e cioè il gradiente assiale di pressione, con
la velocità media viene definito il fattore di attrito di Moody o di Darcy ( f ) come il
rapporto tra il quadruplo di w e la densità di energia cinetica trasportata dalla corrente
fluida riferita alla velocità media sulla sezione del tubo:
4 w 8
f = = w2 (7.3.6)
v2 v
1
2
L v2
Rd = f (7.3.7)
D 2g
− Flusso laminare
Per efflusso laminare in un condotto a sezione circolare il profilo di velocità segue la
legge di Poiseuille e la velocità media è
108
R 2 P1 − P2
v= (7.3.8)
8 L
P1 − P2
Rd = (7.3.9)
che mostra come, in regime di moto laminare, la perdita di carico Rd sia direttamente
proporzionale alla velocità media del fluido v ed alla lunghezza L del segmento di
condotto. Inoltre, il valore del fattore di attrito di Moody è esattamente deducibile dal
momento che per questo tipo di moto la (7.3.7) deve coincidere con la (7.3.10). Dal
confronto delle due espressioni si ottiene immediatamente
64
f = (7.3.11)
Re
f = f (Re) (7.3.12)
− Flusso turbolento
Per efflusso turbolento la determinazione teorica di f è generalmente impossibile ed è
necessario ricorrere ad evidenze sperimentali. In questo caso si trova che il fattore di
attrito di Moody è funzione, oltre che di
Re , anche di un altro parametro
adimensionale denominato coefficiente di
scabrezza relativa. Questo coefficiente tiene
conto del fatto che le superfici interne dei
condotti non sono mai perfettamente lisce
ma presentano delle rugosità che
incrementano gli effetti dissipativi. Il coefficiente di scabrezza viene in tal modo
definito dal rapporto / D , dove è l’altezza media delle sporgenze e D il diametro
(equivalente) del condotto. In definitiva, nel caso di regime turbolento si ha in generale:
f = f (Re, / D) (7.3.13)
109
seguenti formule:
Nel caso di tubi molto rugosi si osserva che il fattore di attrito è indipendente da Re e
dipende solo dalla scabrezza relativa.
Nei casi intermedi f dipende sia da Re che da / D e può essere ricavato dalla
formula di Colebrook
1 /D 2.51
= −2.0 log + (7.3.14)
f 3.7 Re f
Rd cost v 2
f = = = cost (7.3.15)
L v 2 cost' v 2
D 2g
Nel regime turbolento, pertanto, le perdite di carico sono molto più grandi rispetto a
quelle che si hanno nel regime di moto laminare (proporzionali a v ). La ragione fisica
di ciò è che il lavoro fornito dalle forze di pressione serve non solo a produrre
l’avanzamento del fluido ma anche a creare e mantenere vortici che dissipano
irreversibilmente energia per attrito interno con effetti che equivalgono ad incrementi
della viscosità dinamica dell’ordine di centinaia di volte e più. Questi effetti dissipativi
sono tanto più intensi quanto maggiore è la scabrezza del tubo e ciò spiga la dipendenza
di f da / D .
La regione sottostante la linea tratteggiata è quella in cui in cui f esibisce
dipendenza da Re . Tale regione è tanto più estesa (e, corrispondentemente, la regione al
110
al di sopra della linea tratteggiata in cui f è costante è tanto più corta) quanto più piccola
è la scabrezza del tubo.
Tale andamento si può interpretare osservando che per bassi valori di Re lo spessore
del sottostrato laminare (che diminuisce all’aumentare di Re ) è grande rispetto
all’altezza media delle rugosità anche per tubi molto rugosi. E poiché all’interno del
sottostrato laminare Rd è proporzionale a v , e non a v 2 come avviene all’interno del
nucleo turbolento, si rileverà un diminuzione di f con Re , come può dedursi sempre
dalla (7.3.15). In pratica, nella situazione descritta il sottostrato laminare “copre” le
rugosità e il tubo si comporta
da tubo liscio. La regione in
cui f diminuisce con Re è
tanto più estesa quanto più
piccola è la rugosità del tubo.
In questo caso, infatti, solo per
valori di Re molto grandi il
sottostrato laminare si
abbasserà fino a “scoprire” le rugosità e il nucleo turbolento si estenderà a tutta la
sezione del tubo.
Quando si disconosce totalmente il tipo di regime di moto si può assumere in prima
approssimazione un valore medio di f pari a 0.03 cui corrisponde un moto turbolento
sviluppato che non è riferito né ad un tubo liscio né ad un tubo rugoso.
111
7.4 Perdite di carico concentrate
che mostra come, nel moto del fluido da sezioni più piccole a sezioni più grandi, si
registra una diminuzione della velocità media e un aumento della pressione statica
( P2 P1 ) . Si realizza, cioè, una conversione integrale e completa di energia cinetica in
energia di pressione; Il contrario accade se il fluido si muove da sezioni più grandi a
sezioni più piccole.
Nel caso dell’allargamento brusco, misurando la pressione a valle dell’allargamento
( P2 ) si rileverà un valore inferiore a quello relativo al caso guidato. Ciò significa che
non si è verificata la conversione completa del salto di energia cinetica (v12 − v 22 ) / 2
112
(identico nei due casi essendo A1 e A2 le medesime) in energia di pressione. Il minore
guadagno di pressione ( P2 − P1 ) rispetto al caso guidato indica l’esistenza di fenomeni
dissipativi localizzati nella regione del brusco allargamento e cioè l’esistenza di una
resistenza concentrata Rc di cui bisogna tenere conto nella equazione di bilancio di
Bernoulli
v12 − v 22 P2 − P1
= + Rc (7.4.3)
2g
M (v 2 − v1 ) = F (7.4.4)
dove F , la risultante delle forze esterne applicate alla massa di fluido compresa tra A1 e
A2 , può essere determinata osservando che:
− sulla sezione A1 agisce la forza P1 A1 ;
− sulla sezione A2 agisce in verso opposto la forza − P2 A2 ;
− per determinare la forza agente sulla sezione anulare B di area ( A2 − A1 ) va osservato
che è fisicamente plausibile che la pressione del fluido vari, non discontinuamente,
F = P1 A1 + P1 ( A2 − A1 ) − P2 A2 = ( P1 − P2 ) A2 (7.4.5)
e la (7.4.4) diventa
M (v 2 − v1 ) = ( P1 − P2 ) A2 (7.4.6)
ma M = v 2 A2 per cui
( P1 − P2 )
v 2 (v 2 − v1 ) = (7.4.7)
113
che, sostituita nella equazione di Bernoulli, fornisce dopo qualche passaggio
2
(v − v ) 2 A v2
Rc = 1 2 = 1 − 1 1 (7.4.8)
2g A2 2 g
pertanto
2
A
r = 1 − 1 (7.4.9)
A2
nota come formula di Borda. I valori estremi che r (riferito a v1 ) può assumere sono:
− r = 0 per A2 = A1 . In questo caso Rc = 0 e non esiste alcuna perdita di carico;
− r = 1 per A2 A1 (ad esempio in uno sbocco da un tubo all’aperto). In questo caso
Rc = v12 / 2 g ed il fluido dissipa tutta la propria energia cinetica senza che si abbia alcun
recupero di energia di pressione.
L’analisi teorica e sperimentale indica che i valori estremi che r (riferito a v 2 ) può
assumere sono:
− r = 0 per A2 = A1 . In questo caso non esiste alcuna perdita di carico.
− r = 0.5 per A2 A1 (ad esempio l’imbocco di una condotta da un serbatoio).
114
Fattore di attrito per alcuni componenti
115
116
CAPITOLO 8
LA CONDUZIONE TERMICA
116
8.1 La legge di Fourier
q ( x, y, z, t ) (W/m2) (8.1.1)
Nel caso di una superficie finita di estensione A si ha che il flusso termico si ottiene per
integrazione della (8.1.2)
.
Q = q n dA (8.1.3)
A
q = − K T (8.1.4)
117
gradienti di temperatura all’interno del mezzo. Il flusso termico ad un determinato
istante, inoltre, dipende solo dal valore del gradiente di temperatura valutato allo stesso
istante. Una tale circostanza viene descritta dicendo che il processo è puramente
resistivo o a memoria nulla. In processi non puramente resistivi i flussi possono
dipendere, oltre che dai valori istantanei delle forze generalizzate anche dai valori che
queste assumono in istanti precedenti.
Si noti come nella legge di Fouier non sia necessario postulare l’omogeneità del
mezzo. Essa è valida anche per un mezzo eterogeneo purché continuo ed isotropo. La
differenza sostanziale tra i due casi è che se il mezzo è omogeneo K è spazialmente
uniforme e cioè indipendente dalle coordinate x, y, z (pur potendo dipendere ancora da
t ) mentre se il mezzo è eterogeneo K diviene funzione del posto oltreché
eventualmente del tempo K ( x, y, z, t ) .
Il segno meno che compare nella (8.1.4) implica che il calore fluisce, sospinto dal
gradiente di temperatura, nel verso delle temperature decrescenti (in accordo con il II
principio). Inoltre, in ogni punto del mezzo il vettore q è ortogonale alla superficie
isotema passante per quel punto e quindi la maggiore differenza di temperatura per unità
di lunghezza si incontra attraversando le superfici isoterme nella direzione della
normale n . In analogia con il moto dei fluidi si definiscono linee di flusso quelle linee
che in ogni punto hanno come tangente il gradiente locale di temperatura. L’insieme
delle linee di flusso che si “appoggiano” ad un contorno chiuso definisce un tubo di
flusso. Poiché il vettore q è tangente alla superficie laterale del tubo di flusso in ogni
suo punto, si ha che non possono esistere flussi termici “uscenti” dal tubo e pertanto in
condizioni di regime stazionario il flusso termico attraverso ogni sezione del tubo è
costate.
La conducibilità termica K costituisce una proprietà termofisica della sostanza e
varia in funzione dello stato termodinamico (T , P) di quest’ultima. Essa caratterizza la
capacità della sostanza di trasmettere calore. I diversi materiali hanno valori di K
variabili generalmente entro quattro ordini di grandezza. La conducibilità termica dei
solidi è maggiore di quella dei fluidi. Tra i solidi hanno maggiore conducibilità i
metalli; quest’ultima risulta minore nei materiali cristallini non metallici e minore
ancora nei solidi non cristallini (vetri). Tra i fluidi, i liquidi sono più conduttori degli
aeriformi.
Il meccanismo di base che controlla la trasmissione di calore per conduzione è
diverso a seconda della struttura fisica del mezzo. Nei solidi il meccanismo di trasporto
del calore è costituito dalle vibrazioni reticolari che possono trasportare, oltreché
immagazzinare, energia. Nei solidi si trova che la conducibilità termica decresce
118
all’aumentare della temperatura. I migliori conduttori termici sono i metalli che tendono
ad avere valori di conducibilità termica uno o due ordini di grandezza più alti di quelli
dei solidi dielettrici (benché il diamante abbia K =2300 Wm-1K-1). Al contributo delle
vibrazioni reticolari, infatti, va ad aggiungersi quello elettronico che predomina a tutte
le temperature. Migliore conduttore tra i metalli è l’argento puro che ha K = 430 Wm-
K . I materiali con K 0.25 Wm-1K-1 vengono utilizzati per l’isolamento termico e
1 -1
sono detti isolanti. I materiali isolanti utilizzati nelle costruzioni hanno generalmente
una struttura porosa. Il loro basso coefficiente di conducibilità si spiega con la bassa
conducibilità del gas che riempie i pori.
Materiale K (Wm-1 K)
Gas alla pressione atmosferica 0.007 - 0.17
Materiali isolanti 0.034 - 0.21
Liquidi non metallici 0.087 - 0.7
Solidi non metallici (mattoni, pietra cemento) 0.034 - 2.3
Metalli liquidi 8.7 - 81
Leghe 52 - 120
Metalli puri 14 – 420
Poiché nei liquidi le molecole non occupano posizioni reticolari fisse come nei solidi
non è possibile parlare di vibrazioni reticolari. In generale, la conducibilità termica dei
liquidi è circa due o tre orini di grandezza inferiore a quella dei solidi, sebbene esistano
delle eccezioni come, ad esempio, i metalli liquidi che, in virtù del contributo
elettronico, hanno conducibilità circa 100 volte maggiore di quella dei liquidi ordinari.
Nei liquidi di regola la conducibilità decresce al crescere della temperatura. Il
coefficiente di conducibilità dell’acqua invece aumenta con la temperatura e raggiunge
un massimo (0.7 Wm-1K-1) a T = 120 °C e in seguito diminuisce.
I gas sono i peggiori conduttori termici. Nei gas la conducibilità termica aumenta
generalmente con la temperatura come T . Tra i gas i migliori conduttori termici sono
l’idrogeno e l’elio che hanno K 0.2 Wm-1K-1. Il valore di conducibilità termica
dell’aria a temperatura ambiente è uguale a 0.026 Wm-1K-1.
119
u rappresenta la densità di energia interna del mezzo (energia interna per unità di
volume) possiamo scrivere
U ( u ) u
= ( u) d v = dv = dv (8.2.1)
t t V V
t V
t
du q Pd v dT
= − c (8.2.2)
dt dt dt dt
dove il lavoro di dilatazione per unità di tempo Pd v / dt è stato trascurato per le stesse
ragioni di cui sopra ed avendo tenuto conto che nei solidi c p cv = c . Sostituendo la
(8.2.2) nella (8.2.1) si ha che la variazione di energia interna del volume V può essere
espressa come segue
U T
= c dv (8.2.3)
t V t
T
c t d v = q d v − q n dA
V V A
(8.2.4)
dove il segno negativo nel terzo integrale corrisponde alla scelta fatta per la normale
(uscente). In pratica, se del calore fluisce verso l’esterno, internamente si rileverà una
diminuzione di energia interna. Possiamo applicare adesso il teorema di Gauss per
trasformare l’integrale di superficie in un integrale di volume e, quindi, l’equazione di
Fourier per scrivere in forma esplicita il vettore densità di flusso termico
q n dA = ( q ) d v = − [ ( KT )] d v
A V V
(8.2.5)
120
T
c t
V
− q − ( KT ) d v = 0
(8.2.6)
Materiale (m2/s)
Gomma 10-7
Mattone 10-7
Acqua 10-7
Marmo 10-6
Rame 10-3
Oro 10-3
− Equazione di Fourier
E’ l’equazione che si ottiene dalla (8.2.8) in assenza di sorgenti termiche ( q = 0)
1 T
2T = (8.2.10)
t
121
− Equazione di Poisson
E’ l’equazione che si ottiene dalla (8.2.8) per condizioni di regime stazionario
(T / t = 0)
q
2T + =0 (8.2.11)
K
− Equazione di Laplace
E’ l’equazione che si ottiene dalla (8.2.8) in assenza di sorgenti termiche ( q = 0) e per
condizioni di regime stazionario (T / t = 0)
2T = 0 (8.2.12)
Le tre equazioni scritte sono valide per mezzi omogenei ed isotropi le cui proprietà
termofisiche non dipendono dalla temperatura.
Le condizioni al contorno più comuni utilizzate per l’integrazione di tali equazioni
sono le condizioni di Dirichlet, in cui viene specificate la distribuzione di temperatura
sulla superficie A del corpo ad ogni istante di tempo, e le condizioni di Neumann, in cui
viene specificata la derivata della temperatura in direzione normale alla superficie del
corpo (ovvero il flusso termico) in tutti i punti della stessa e ad ogni istante di tempo.
Vengono riportate di seguito le espressioni dell’operatore di Laplace nei sistemi di
coordinate più comuni
2T 2T 2T
coordinate cartesiane 2T = 2 + 2 + 2 (8.2.13)
x y z
1 2 1 T 1 2T
coordinate sferiche T = (rT ) + 2 sin +
2
(8.2.14)
r r 2 r sin r 2 sin 2 2
2T 1 T 1 2T 2T
coordinate cilindrich e 2T = + + + (8.2.15)
r 2 r r r 2 2 z 2
Consideriamo una parete piana a facce piane e parallele di altezza indefinita, spessore
L e costituita da materiale omogeneo ed isotropo di conducibilità termica K . Le due
facce della parete siano mantenute a temperatura uniforme e costante ossia costituiscano
due superfici isoterme rispettivamente a temperatura T1 e T2 con T1 T2 . Nella
situazione descritta il calore può fluire solo in direzione normale alle facce e ogni piano
ad esse parallelo (interno alla parete) è una superficie isoterma.
Si tratta di un problema monodimensionale in condizioni di regime stazionario. In
assenza di sorgenti interne di calore l’equazione da integrare per ottenere la
distribuzione di temperatura è quella di Laplace
122
d 2T
=0 (8.3.1)
dx 2
dT
q = − K (8.3.2)
dx
Separando le variabili
q
dT = − dx (8.3.3)
K
q
2 2
dT = −
1
K 1
dx (8.3.4)
si ottiene
q
T2 − T1 = − L (8.3.5)
K
da cui
(T1 − T2 )
q = K (8.3.6)
L
E quindi il flusso termico trasmesso attraverso una superficie di area A parallela alle
facce risulta
(T − T ) (T − T )
Q = A q = AK 1 2 = 1 2 (8.3.7)
L L
AK
Si può stabilire a questo punto una analogia formale tra il flusso di calore ed il flusso di
cariche elettriche in un conduttore ohmico. Dalla equazione sopra scritta, infatti, si
evince come la differenza di temperatura T1 − T2 giochi il ruolo di una differenza di
potenziale per il flusso di calore. Definita allora la resistenza termica di uno strato
semplice omogeneo come
L
RT = (KW-1) (8.3.8)
AK
123
1 1
U= = (Wm-2K-1) (8.3.9)
ART L
K
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (8.3.10)
RT
(T1 − T2 )
T ( x) = T1 − x (8.3.12)
L
che mostra come l’andamento di temperatura all’interno della parete piana sia lineare.
E’ interessante osservare come l’espressione ottenuta risulti indipendente da K , cioè
dal materiale di cui è costituito la parete, mentre sia funzione solo dello spessore L e
delle temperature imposte alle due facce.
. (T − T ) (T − T ) (T − T )
Q = K1 1 2 A = K 2 2 3 A = K3 3 4 A (8.3.13)
L1 L2 L3
. L . L . L
T1 − T2 = Q 1 T2 − T3 = Q 2 T3 − T4 = Q 3 (8.3.14)
K1 A K2 A K3 A
che, sommate membro a membro, forniscono la seguente espressione del flusso termico
124
. (T1 − T4 )
Q= (8.3.15)
L1 L L
+ 2 + 3
Ak1 Ak 2 Ak 3
. (T − T )
Q = 1 4 = UA(T1 − T4 ) (8.3.16)
RT
L1 L L
RT = + 2 + 3 (8.3.17)
AK1 AK 2 AK 3
1 1
U= = (8.3.18)
RT A L1 + L2 + L3
K1 K 2 K3
125
totale di una parete piana multistrato è pari alla somma delle resistenze che competono
ai singoli strati o, più semplicemente, che le resistenze termiche in serie si sommano.
La caduta di temperatura è ancora lineare all’interno di ogni strato ma, come si
evince dalla (8.3.14), la pendenza della retta risulta in questo caso inversamente
proporzionale alla conducibilità termica dello strato.
flusso termico. Per il sistema raffigurato, ad esempio, il flusso termico può essere
espresso come
. (T − T )
Q= 1 2 (8.3.19)
RT
1 1
RT = RTA + + RTE + (8.3.20)
1 1 1 1 1
+ + +
RTB RTC RTD RTF RTG
Questo risultato è attendibile se gli elementi in parallelo hanno resistenza termiche non
molto dissimili tra loro. Solo in questo caso, infatti, le superfici normali alla direzione x
possono essere considerate isoterme e il flusso termico è con buona approssimazione
unidirezionale.
− Resistenza di contatto
Finora si è sottinteso che all’interfaccia tra due strati esiste un contatto termico perfetto
e cioè senza variazione di temperatura. Ciò può avvenire solo se le superfici affacciate
sono perfettamente lisce. In realtà, le superfici sono generalmente rivide e quando
vengono poste a contatto esisteranno sempre “sporgenze” che assicurano un buon
contatto termico e “cavità” riempite d’aria che si comportano da isolante a causa della
126
bassa conducibilità termica dell’aria. A causa di ciò l’interfaccia offre una certa
resistenza alla diffusione del calore
(denominata resistenza termica di contatto)
che si manifesta con una caduta di
temperatura localizzata all’interfaccia stessa.
La resistenza termica di contatto è definita
per unità di area di interfaccia come
(T1 − T2 )
RC = (8.3.21)
q
127
Separando le variabili ed integrando tra tale superficie e la superficie interna a r1 (ove si
tenga conto che, per la conservazione dell’energia, Q è costante e cioè indipendente da
r)
T r
Q dr
T dT = − K 2 l r r (8.4.3)
1 1
si ottiene
Q r
T (r ) − T1 = − ln (8.4.4)
K 2 l r1
da cui
Q r
T2 − T1 = − ln 2 (8.4.5)
K 2 l r1
T −T
Q = 2 lK 1 2 (8.4.6)
ln( r2 / r1 )
Mentre, dividendo la (8.4.6) per l’area della generica superficie isoterma posta a una
distanza r si perviene al risultato che la densità di flusso termico è inversamente
proporzionale a r
Q K T1 − T2
q = = (8.4.8)
2 r l r ln( r2 / r1 )
T −T T1 − T2 T1 − T2
Q = 1 2 = = (8.4.9)
ln( r2 / r1 ) r1 ln( r2 / r1 ) r2 ln( r2 / r1 )
2 lK A1K A2 K
si vede come sia possibile definire anche per il segmento di manicotto di altezza l una
resistenza termica come
ln( r2 / r1 ) r1 ln( r2 / r1 ) r2 ln( r2 / r1 )
RT = = = (8.4.10)
2 lK A1K A2 K
tale che
128
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (8.4.11)
RT
con
1
UA = (8.4.12)
RT
1 1 1 1
U1 = = U2 = = (8.4.13)
A1RT r1 ln( r2 / r1 ) A2 RT r2 ln( r2 / r1 )
K K
dovendo risultare
U1 A1 = U 2 A2 (8.4.14)
− manicotto multistrato
Nel caso di più manicotti in serie, ad esempio un manicotto a tre stati di conducibilità
termiche K1 , K 2 e K 3 , un calcolo analogo a quello svolto per la parete piana
multistrato fornisce la seguente espressione per il flusso termico
T1 − T2
Q = (8.4.15)
ln( r2 / r1 ) ln( r3 / r2 ) ln( r4 / r3 )
+ +
2 lK1 2 lK 2 2 lK 3
che mostra come sia possibile definire per il manicotto multistrato una resistenza
termica globale come somma delle resistenze termiche dei singoli strati
129
1 1
U1 = = (8.4.19)
A1RT r1 ln( r2 / r1 ) + r1 ln( r3 / r2 ) + r1 ln( r4 / r3 )
K1 K2 K3
− manicotto sottile
Se lo spessore del manicotto (r2 − r1 ) è molto più piccolo del raggio interno r1 e cioè se
L = (r2 − r1 ) r1 (8.4.21)
allora è possibile approssimare l’espressione (8.4.10) della resistenza termica con quella
di una parete piana. Posto infatti
r2 = r1 + L (8.4.22)
si ha
r2 r1 + L L L
= = 1+ = 1+ x (essendo x = 1)
r1 r1 r1 r1
e quindi
r x2 x3 x4 L
ln 2 = ln(1 + x) = x − + − + x = (8.4.23)
r1 2 3 4 r1
cosicché
r ln( r2 / r1 ) L
RT = 1 (8.4.24)
A1K A1K
130
CAPITOLO 9
LA CONVEZIONE TERMICA
0
9.1 La legge di Newton
La convezione è un fenomeno di scambio termico tipico dei fluidi in moto. In presenza
di gradienti termici, due differenti meccanismi di trasporto energetico sono attivi nel
fluido. In aggiunta alla trasmissione di calore dovuta alla conduzione termica (che
avviene a livello molecolare) vi è anche un trasporto di energia dovuto al moto
macroscopico del fluido. L’effetto cumulativo di questi due meccanismi di trasporto
prende il nome di convezione termica.
Nelle applicazioni ingegneristiche si è particolarmente interessati allo scambio
termico convettivo tra una superficie solida e un fluido in moto quando i due si trovano
a differenti temperature. La potenza termica scambiata dipende, oltre che dalle proprietà
termofisiche del fluido e dalla forma geometrica della parete, anche dalle caratteristiche
fluidodinamiche (distribuzione di velocità) del fluido in movimento. In relazione a tali
caratteristiche si distingue tra:
− convezione forzata quando il moto del fluido è indipendente dalla temperatura dalla
parete ma viene imposto da dispositivi esterni quali pompe e ventilatori.
− convezione naturale quando il moto del fluido è provocato unicamente da gradienti
locali di densità indotti, a loro volta, dalle differenze di temperatura tra la superficie
solida e il fluido.
− convezione mista quando entrambi gli effetti precedenti sono importanti.
Per comprendere il meccanismo fisico che sta alla base della convezione termica
consideriamo un fluido che, provenendo da − con temperatura uniforme T ,
imbocchi una piastra piana “calda” a temperatura Ts T , continuando a scorrere nello
spazio semi-infinito al di sopra di essa (deflusso esterno). Sappiamo che le forze di
attrito viscoso esercitantesi tra il fluido e la piastra daranno origine allo strato limite
idrodinamico . Parallelamente a , nel fluido si svilupperà, a causa dello scambio
termico fluido-piastra, una regione prossima alla superficie solida caratterizzata da un
gradiente di temperatura nella direzione y normale alla piastra. La temperatura del
fluido varierà da Ts a y = 0 a T a distanze sufficientemente grandi dalla piastra. Il
sottile strato di fluido che aderisce alla superficie solida (v = 0) , infatti, si trova alla
stessa temperatura della piastra. In questo strato di fluido ed in quelli immediatamente
adiacenti che si muovono a velocità moto bassa (di moto laminare) il calore viene
scambiato solo per conduzione. Ma non appena il calore diffonde negli strati più veloci
131
viene “trascinato via” dalla corrente fluida nella direzione del flusso. Chiaramente, la
velocità con cui si muove il fluido influenza in modo rilevante il gradiente di
temperatura che si forma nella direzione y e, conseguentemente, il flusso termico
scambiato con la piastra. Si definisce allora strato limite termico la regione di fluido
compreso entro una distanza T dalla superficie solida dove la differenza di
temperatura piastra-fluido raggiunge il 99 % del valore massimo:
Ts − T ( T ) = 0.99(Ts −T ).
Analogamente allo strato limite idrodinamico, anche lo strato limite termico cresce
all’aumentare della distanza dal bordo d’attacco T = T (x) (ma, in generale, con
differente velocità rispetto a ). Basta osservare, infatti, che al bordo di attacco ( x = 0)
soltanto le particelle di fluido a contatto diretto con la superficie sono riscaldate mentre
il resto del fluido ha la temperatura della corrente libera indisturbata (T ) . Man mano
che il fluido procede lungo la piastra lo scambio termico determina il riscaldamento di
una quantità sempre maggiore di fluido a distanze via via crescenti dalla piastra.
Analogo è il caso di un fluido che scorre all’interno di un condotto (deflusso
interno). In questo caso lo strato limite termico si sviluppa su tutta la superficie interna
del tubo. In sezioni molto vicine a quelle d’imbocco (regione di ingresso termica) la
temperatura ha il valore che compete alla corrente libera (T ) mentre alla parete assume
bruscamente il valore (Ts ) . Man mano che il fluido procede dalla sezione di ingresso lo
spessore dello strato limite cresce fino a eguagliare il raggio R del tubo e quindi si
mantiene costante. Quando di verifica questa condizione e il profilo di temperatura
adimensionale [T (r ) − Ts ] /(Tm − Ts ) rimane costante ( Tm essendo la temperatura media
del fluido definita in base all’equazione 9.1.3), si dice che il flusso è completamente
sviluppato (termicamente).
In entrambi i casi (deflusso esterno e interno) se il moto è turbolento le fluttuazioni
di velocità e il continuo rimescolamento dovuto ai vortici potenziano lo scambio
termico. Il continuo rimescolamento ha anche l’effetto di far crescere più rapidamente
lo spessore dello stato limite termico e di rendere il profilo di temperatura più uniforme
nella zona turbolenta (con conseguente aumento del gradiente di temperatura alla
parete).
Nel 1700 Newton studiò i fenomeni convettivi e postulò la seguente equazione per
la densità di flusso termico scambiato lungo la direzione y normale ad una superficie di
forma arbitraria in un generico punto x della stessa:
132
q = h (Ts − T ) (9.1.1)
Tm = A
(9.1.3)
M cP
q = h (Ts − Tm ) (9.1.4)
A differenza di T che è costante nella direzione del flusso, però, Tm varia sempre in
questa direzione in presenza di scambio termico con la parete. In particolare, il bilancio
dell’energia impone che dTm / dx sia positivo se il fluido assorbe calore dalla parete e
negativo nel caso opposto.
Poiché le condizioni di flusso possono variare da punto a punto sulla superficie sia
h che q variano sulla superficie stessa. Il flusso termico totale scambiato da un
elemento di parete di area A con il fluido si ottiene allora integrando la densità di flusso
termico su A . Nel caso di deflusso esterno si ha
1
Q = h (Ts − T ) dA = (Ts − T ) h dA = A (Ts − T ) h dA (9.1.5)
A A
AA
133
possiamo scrivere la (9.1.5) sinteticamente come
Q = A h (Ts − T ) (9.1.7)
Le equazioni (9.1.1), (9.1.4) e (9.1.7) mostrano come il calcolo dei flussi termici
convettivi richieda che sia noto il valore del coefficiente di convezione locale (e/o
medio). La determinazione dei coefficienti h e h costituisce, in effetti, il principale
problema nello studio dei fenomeni convettivi dal momento che essi dipendono da
numerose variabili quali le proprietà termofisiche del fluido (densità, conducibilità
termica, viscosità, etc.) la geometria della superficie (forma, scabrezza, etc.) e le
condizioni di flusso (velocità media, turbolenza, etc.).
Per chiarire meglio la dipendenza del coefficiente di convezione dalla molteplicità
di parametri sopra elencati si può osservare che attraverso lo strato di fluido aderente
alla parete lo scambio di calore può avvenire solo per conduzione e, conseguentemente,
il flusso termico può essere ottenuto applicando l’equazione di Fourier al fluido a y = 0
T
q = − K (9.2.1)
y y =0
T
− K
y y =0
h= (9.2.2)
Ts − T
134
T T −T
s (9.2.3)
y y =0 T
Il risultato è
K
h (9.2.4)
T
che conferma che, tanto più sottile è T , e cioè tanto più piccolo è il gradiente termico
alla parete, tanto più grande è h .
Riferendoci al caso del deflusso esterno su una piastra piana, ad esempio, si vede
come, essendo Ts − T costante (indipendente da x ) e poiché il gradiente di temperatura
diminuisce con x ( dal momento che T cresce con x ), il coefficiente h e q
diminuiscono all’aumentare di x . Al bordo d’attacco ( x = 0) , in particolare, essendo
T 0 , il gradiente di temperatura, e quindi h e q , sono elevatissimi (teoricamente
infiniti). Nella regione di transizione da regime laminare a turbolento ( x xC ) , inoltre,
si rileva un brusco aumento di h e q dovuto al fatto, già discusso in precedenza, che la
miscelazione turbolenta ha l’effetto di rendere più piatto il profilo di temperatura nella
zona turbolenta e di incrementarne il gradiente alla parete.
Da ciò consegue anche che, per aumentare in un fissato punto della superficie il
valore locale del coefficiente di convezione, è necessario aumentare la velocità è la
turbolenza del fluido. Entrambi i fattori, infatti, hanno l’effetto di diminuire T e di
incrementare il gradiente di temperatura alla parete. Nelle applicazioni in cui sia
richiesto l’isolamento termico, invece, è necessario aumentare T riducendo la velocità
del fluido (fluidi possibilmente stagnanti o che si muovono a velocità molto basse di
moto laminare).
Nel caso di deflusso interno, poiché nella regione termicamente sviluppata il profilo
di temperatura adimensionale non cambia, il coefficiente di convezione locale si
mantiene costante (indipendente da x ), sia per temperatura della parete costante
(Ts = cost) che per flusso termico alla parete costante (q = cost) .
Di seguito sono riportati alcuni ordini di grandezza del coefficiente di convezione
h in Wm −2 K −1
135
9.3 Similitudine e analisi dimensionale
Il calcolo del coefficiente di convezione locale (o medio) comporta, in base alla (9.2.2),
che sia nota la distribuzione di temperatura T ( x, y, z, t ) all’interno dello strato limite.
Ciò implica, a sua volta, che vengano risolte le equazioni di bilancio della massa, del
momento e dell’energia con le opportune condizioni al contorno. Tuttavia, queste
equazioni possono essere risolte solo per condizioni di flusso molto semplici, mentre
nella maggior parte dei problemi ingegneristici i fluidi si muovono di moto turbolento e
la geometria della parete può essere anche complessa. Per questo motivo l’approccio
generalmente seguito per il calcolo di h è quello di utilizzare relazioni empiriche (e
cioè ottenute sperimentalmente) espresse in termini di opportuni gruppi adimensionali.
Tale approccio prende il nome di metodo della similitudine o dell’analisi dimensionale.
Il metodo trae vantaggio dal fatto che la soluzione di un problema fisico avrà una
validità ed un campo di applicazione molto più ampio se essa viene espressa in funzione
di un limitato numero di gruppi adimensionali indipendenti costruiti a partire dalle
variabili fisiche che influenzano il problema. Si consideri, ad esempio il problema dello
sviluppo del moto turbolento nel caso di deflusso interno. E’ noto che il fenomeno è
influenzato dalle variabili v, , , D , non prese singolarmente, ma nel loro
raggruppamento adimensionale
vD
Re D = (9.3.1)
136
considerare sono 5 − 3 = 2 e la soluzione del problema sarà esprimibile nella forma
x y T − Ts
x = y = T = (9.3.4)
L L T − Ts
K (T − Ts ) T K T
h=− = (9.3.6)
(Ts − T ) L y y =0 L y y =0
da cui segue
T hL
= = Nu (9.3.7)
y y =0 K
h
Nu = (9.3.8)
( K / L)
si vede che esso è uguale al rapporto tra il flusso termico trasmesso per convezione
(proporzionale ad h ) e quello che sarebbe trasmesso per pura conduzione se il fluido
fosse stagnante (proporzionale a K / L ). Nu costituisce, pertanto, una misura di quanto
lo scambio termico convettivo potenzi quello puramente conduttivo. Un valore Nu 1
indica una convezione inefficiente (lo scambio termico è equivalente ad uno
conduttivo). Valori Nu 100 1000 indicano una convezione molto efficiente.
137
9.4 La convezione forzata
Nei fenomeni di convezione forzata il moto del fluido è imposto da un propulsore
esterno e il contributo dovuto alle forze di galleggiamento è trascurabile. In questo caso
i gruppi adimensionali indipendenti da cui dipende lo scambio termico convettivo sono
due: il numero di Reynolds e il numero di Prandtl.
Il numero di Reynolds esprime, com’è noto, il rapporto tra le forze di inerzia e le
forze di attrito viscoso all’interno dello strato limite idrodinamico.
Il numero di Prandtl esprime il rapporto tra la diffusività del momento lineare ( ) e
la diffusività del calore ( )
c
Pr = = P (9.4.2)
K
e costituisce una proprietà termofisica del fluido. I gas hanno Pr 0.7 1 e la diffusione
di momento ed energia sono confrontabili. I liquidi hanno 1 Pr 100000 (tranne i
metalli liquidi per cui Pr 1). Tenendo conto del significato fisico del numero di
Prandtl, si intuisce come in un fluido con Pr 1 lo strato limite dinamico si sviluppa
più velocemente di quello termico. Il contrario accade in un fluido Pr 1.
Per una assegnata geometria, il legame tra il coefficiente di convezione e le
variabili fisiche che influenzano lo scambio termico convettivo viene espresso tramite
relazioni del tipo
Nu = Nu (Re, Pr) = C Rea Prb (9.4.3)
138
M essendo la portata massica del fluido. Scrivendo la stessa equazione tra due sezioni
separate da una distanza infinitesima dx e di temperatura T e T + dT si ottiene
Q = M cP dT (9.4.6)
Osservando che il flusso termico scambiato con la parete si può esprimere come
qdx = M cP dT (9.4.8)
dT h
= (Ts − T ) (9.4.9)
dx M cP
= − M cP 0 dx
1
(9.4.11)
si ottiene
139
2 h
ln =− L (9.4.12)
1 M cP
Se si fosse integrato tra la sezione d’ingresso 1 e una sezione arbitraria posta ad una
distanza x si sarebbe ottenuto
( x) h
ln =− x (9.4.13)
1 M c P
h
q ( x) = h[Ts − T ( x)] = h ( x) = h1 exp − x (9.4.15)
M cP
Il flusso termico totale scambiato si ottiene integrando questa equazione tra le sezioni di
ingresso e uscita o, più semplicemente, applicando la (9.4.5) ove si faccia uso della
(9.4.14) per calcolare la differenza di temperatura (T2 − T1 )
h
Q = M cP (T2 − T1 ) = M cP ( 2 − 1 ) = M cP1 1 − exp − L (9.4.16)
M cP
140
(9.4.8) nella forma
dT q
= (9.4.19)
dx M cP
q
T x
dT = M cP 0 dx
T1
(9.4.20)
si ottiene
q
T ( x) = T1 + x (9.4.21)
M cP
141
momento che i moti convettivi sono indotti dagli effetti termici.
Per quanto riguarda la distribuzione di velocità e temperatura nella direzione y
normale alla piastra osserviamo che la velocità dello strato di fluido che aderisce alla
superficie ( y = 0) è nulla. All’aumentare della distanza dalla piastra la velocità aumenta
fino ad un valore massimo oltre il quale diminuisce fino ad annullarsi nella regione del
fluido stagnante.
Analogamente, la temperatura del sottile strato di fluido che aderisce alla piastra
( y = 0) è uguale alla temperatura Ts della superficie. All’aumentare della distanza dalla
piastra la temperatura decresce fino a raggiungere il valore T del fluido quiescente al
di fuori dello strato limite. Il coefficiente di convezione è legato al gradiente di
temperatura alla parete e valgono le stesse considerazioni fatte per il caso della
convezione forzata su una lastra piana.
In questo caso i gruppi adimensionali indipendenti da cui dipende lo scambio
termico convettivo sono due: il numero di Grashof e il numero di Prandtl.
Il numero di Grashof esprime il rapporto tra le forze di galleggiamento e le forze
viscose ed è definito come
g L3 (Ts − T )
GrL = (9.5.1)
2
Ra = Gr Pr (9.5.3)
142
Correlazioni empiriche in casi specifici
Convezione forzata su una superficie piana con temperatura uniforme (Ts = cost)
− regime laminare
Nu x = 0.332 Re1x/ 2 Pr1/ 3 (0.6 Pr 50)
Nu x = 0.664 Re1x/ 2 Pr1/ 3 (0.6 Pr 50)
− regime turbolento
Nu x = 0.0296 Re4x / 5 Pr1/ 3 (5 105 Re x 108 ) (0.6 Pr 60)
Nu x = 0.037 Re4x / 5 Pr1/ 3 (5 105 Re x 108 ) (0.6 Pr 60)
Convezione forzata su una superficie piana con flusso termico uniforme (q = cost)
− regime laminare
Nu x = 0.453 Re1x/ 2 Pr1/ 3
− regime turbolento
Nu x = 0.0308 Re4x / 5 Pr1/ 3
− regime laminare
NuD = 3.66 (Ts = cost)
NuD = 4.36 (q = cost)
− regime turbolento
NuD = 0.023 Re4D/ 5 Pr0.4 (Ts Tm ) (Re 10000) (0.6 Pr 160)
NuD = 0.023 Re 4/5
D Pr 0.3
(Ts Tm ) (Re 10000) (0.6 Pr 160)
− regime laminare
Nu L = 0.59 Ra1L/ 4 104 Ra L 109
− regime turbolento
Nu L = 0.10 Ra1L/ 3 109 Ra L 1013
143
Convezione naturale su piastra piana orizzontale ( L = A / P)
− superficie calda verso il basso (Ts T ) o superficie fredda verso l’alto (Ts T )
Nu L = 0.27 Ra1L/ 4 105 Ra L 1010
− superficie calda verso l’alto (Ts T ) o superficie fredda verso il basso (Ts T )
Nu L = 0.54 Ra1L/ 4 104 Ra L 107
Nu L = 0.15 Ra1L/ 3 107 Ra L 1011
− regime laminare
Nu D = 0.53 Ra1L/ 4 103 Ra L 109
− regime turbolento
Nu D = 0.13 Ra1L/ 3 109 Ra L 1012
144
CAPITOLO 10
h1 e h1 essendo i coefficienti di convezione medi dei due fluidi con le due superfici
della parete. Esplicitando le differenze di temperatura si ottengono le relazioni
. 1 . L . 1
(T1 − Ts1 ) = Q (Ts1 − Ts2 ) = Q (Ts 2 − T2 ) = Q (10.1.2)
Ah1 KA Ah2
che, sommate membro a membro, forniscono la seguente espressione del flusso termico
. (T1 − T 2 )
Q= (10.1.3)
1 L 1
+ +
Ah1 AK Ah2
Nell’ambito dell’analogia elettrica questa relazione mostra che, definita una resistenza
termica convettiva come
1
RT = (10.1.4)
Ah
145
il flusso termico può essere espresso in termini di una resistenza termica globale
risultante dalla somma serie della resistenza conduttiva della parete e delle resistenze
convettive dei due fluidi
1 L 1
RT = + + (10.1.5)
Ah1 AK Ah2
nella forma
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 )
RT
1 1
=U= (10.1.6)
RT A 1 L 1
+ +
h1 K h2
essendo UA = 1/ RT .
Nel caso di un manicotto cilindrico
limitato da due fluidi a temperature
diverse valgono considerazioni analoghe.
La caduta di temperatura è logaritmica
all’interno del manicotto mentre nei fluidi
è interamente localizzata in prossimità
delle due superfici all’interno dello strato
limite termico. Per la conservazione
dell’energia, il flusso di calore che attraversa in direzione radiale un segmento di
manicotto di lunghezza l è costante e vale
(T − T )
Q = 2 r1l h1 (T1 − Ts1 ) = 2 lK s1 s2 = 2 r2l h2 (Ts 2 − T2 ) (10.1.7)
ln( r2 / r1 )
146
segmento di manicotto. Nell’ambito dell’analogia elettrica questa relazione mostra che,
definita una resistenza termica convettiva come
1
RT = (10.1.8)
Ah
il flusso termico può essere espresso in termini di una resistenza termica globale
risultante dalla somma serie della resistenza conduttiva della parete e delle resistenze
convettive dei due fluidi
nella forma
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (10.1.9)
RT
con
1
UA = (10.1.10)
RT
1 1 1 1
U1 = = U2 = =
A1RT 1 r1 ln( r2 / r1 ) r1 1 A2 RT r2 1 + r2 ln( r2 / r1 ) + 1
+ +
h1 K r2 h2 r1 h1 K h2
con
U1 A1 = U 2 A2 (10.1.11)
1 L L L 1
RT = + 1 + 2 + 3 + (10.1.12)
Ah1 AK1 AK 2 AK 3 Ah2
147
1 1
U= = (10.1.13)
RT A 1 + L1 + L2 + L3 + 1
h1 K1 K 2 K3 h2
e di un manicotto multistrato
1 1
U1 = = (10.1.15)
A1RT 1 r1 ln( r2 / r1 ) r1 ln( r3 / r2 ) r1 ln( r4 / r3 ) r1 1
+ + + +
h1 K1 K2 K3 r4 h2
U1 A1 = U 2 A2 = U3 A3 = U 4 A4 (10.1.16)
Nel caso della parete piana l’aggiunta di uno strato isolante riduce sempre il flusso
termico trasmesso dal momento che si viene a sommare una
componente resistiva alla resistenza termica globale
1 L L 1
RT = + 1 + 2 + (10.2.1)
Ah1 AK1 AK 2 Ah2
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (10.2.2)
RT
148
T1 e T 2 essendo le temperature rispettivamente del fluido interno ed esterno al
manicotto e dove
1 1 1 ln( r2 / r1 ) ln( r3 / r2 ) 1
RT = = + + +
r3h2
(10.2.3)
UA 2 l r1h1 K1 K2
.
Per studiare la dipendenza di Q dallo
spessore di isolante calcoliamo la derivata
di RT rispetto al raggio esterno r3 .
RT 1 1 1
= − (10.2.4)
r3 2 r3 K 2 r3h2
K2
r3 = rC = (10.2.5)
h2
Kisol 0.05
rCmax = = 0.01 m = 1 cm (10.2.6)
h 5
149
per cui è sempre utile isolare. Nei conduttori elettrici, invece, il raggio del conduttore è
minore di rC per cui l’isolamento plastico aumenta il flusso termico diminuendo la
temperatura del conduttore. Nel caso generale, l’isolamento può produrre un
decremento della resistenza termica globale solo se r2 rC ovvero solo se
r2 hr2
= = Bi 1 (10.2.7)
rC K
V
q d v = Q A
q n dA = hA (T − T ) (10.3.2)
150
fosse infinita) Sotto questa ipotesi è possibile scrivere
T T
c t dv = cm t
V
(10.3.3)
T
cm = Q − hA (T − T ) (10.3.4)
t
che può essere scritta come
T hA
= [Q / hA − (T − T )] (10.3.5)
t cm
cm d
= − (10.3.6)
hA d t
cm d
t
hA i
= − d t (10.3.7)
0
cm i cm Q / hA − (Ti − T )
ln = ln = t (10.3.8)
hA hA Q / hA − (T − T )
ovvero
hA hA
− −
T (t ) = T + Q / hA + [(Ti − T ) − Q / hA]e
t t
(t ) = i e cm cm
(10.3.9)
t t
Q = Q(t )dt = hA (t )dt (10.3.10)
0 0
151
riscaldamento) naturale del solido.
E’ interessante osservare come dopo un tempo teoricamente infinito la (10.3.9)
fornisce
Tinf = T (t → ) = T + Q / hA (10.3.11)
ovvero
Q = hA(Tinf − T ) (10.3.12)
che indica come la temperatura finale del corpo sia quella per cui la potenza termica
prodotta internamente viene dispersa totalmente per convezione.
La (10.3.9) mostra come la temperatura del solido diminuisca esponenzialmente al
tendere di t all’infinito. La quantità cm / hA ha le dimensioni di un tempo e prende il
nome di costante di tempo. Essa può essere espressa come
1
T = cm = RT CT (10.3.13)
hA
che mostra come esso rappresenti il rapporto tra la resistenza conduttiva (che sottende i
152
flussi conduttivi all’interno del solido) e la resistenza convettiva (che sottende i flussi
convettivi tra la superficie del solido e il fluido circostante). Un numero di Biot molto
piccolo (Bi 1) implica, dunque, che le differenze di temperatura all’interno del corpo
su distanze dell’ordine di L siano molto più piccole della caduta di temperatura
attraverso lo strato limite. In queste condizioni la temperatura all’interno del corpo può
essere ritenuta ragionevolmente uniforme e si può applicare il metodo a capacità
concentrate. In particolare, si può dimostrare che l’errore che si commette considerando
la temperatura del solido uniforme ad ogni istante di tempo è molto piccolo ( 5%) se
risulta verificata la condizione
Bi 0.1 (10.3.16)
153
ingresso o uscita del fluido freddo a seconda che si consideri rispettivamente la
configurazione in equicorrente o quella in controcorrente (vedi figura). Adottiamo
inoltre la convenzione T1 − T2 per tutte le differenze di temperatura.
Poiché procedendo all’interno dello scambiatore il fluido freddo si riscalderà e
quello caldo si raffredderà il bilancio energetico applicato ai singoli fluidi fornisce
(equicorrente) (controcorrente)
| QC |= cC M C (TC1 − TC 2 ) QC = cC M C (TC1 − TC 2 )
| QF |= −cF M F (TF 1 − TF 2 ) QF = cF M F (TF 1 − TF 2 )
(equicorrente) (controcorrente)
| Q |=cC M C (TC1 − TC 2 ) = −cF M F (TF 1 − TF 2 ) | Q |= cC M C (TC1 − TC 2 ) = cF M F (TF 1 − TF 2 )
154
Sottraendo membro a membro le due relazioni precedenti si trova
1 1 ( +) equicorren te
(TC1 − TC 2 ) − (TF 1 − TF 2 ) =| Q |
cC M C cF M F ( −) controcorrente
cioè
(TC1 − TF 1 ) − (TC 2 − TF 2 ) ( +) equicorren te
| Q |=
1 1 ( −) controcorrente
cC M C cF M F
Posto allora
= TC − TF (10.4.1)
e
1 1 ( +) equicorren te
D= (10.4.2)
cC M C cF M F ( −) controcorrente
il flusso termico scambiato tra i due fluidi si può scrivere nella forma compatta
(1 − 2 )
| Q |= (10.4.3)
D
e quindi risulta espresso in funzione delle temperature di ingresso e uscita dei due fluidi
e delle capacità termiche orarie.
dove U tiene conto anche dell’effetto di eventuali incrostazioni solide che possono
depositarsi sulle superfici dello scambiatore causando così resistenze termiche
aggiuntive, dette di “sporcamento” (fouling), che abbassano lo scambio termico.
Uguagliando la (10.4.5) con la (10.4.4) si ottiene
d
− = UdA (10.4.6)
D
155
d
2 2
1
= − UDdA
1
(10.4.7)
2 −
ln = −UA 1 2 (10.4.9)
1 |Q|
cioè
2 − 1
| Q |= UA = UA ml (10.4.10)
2
ln
1
( x) = 1e−UDA x
(10.4.11)
(arbitraria) x .
Considerando dapprima il caso dello scambiatore in equicorrente, dalla (10.4.2) si
ricava che D è sempre positivo e pertanto la differenza di temperatura tra il fluido caldo
e il fluido freddo ( ) diminuisce sempre all’aumentare della lunghezza dello
156
scambiatore ovvero all’aumentare della superficie di scambio. Ovviamente, il fluido di
capacità termica oraria più elevata subirà variazioni di temperatura più modeste. In
particolare, la temperatura di fluidi che, percorrendo lo scambiatore, cambiano di fase
(cM → ) rimane costante.
Nel caso dello scambiatore in controcorrente si ha che D può essere positivo,
negativo o nullo. Quando D è positivo decresce con A . Quando D è negativo
aumenta con A . Quando D è nullo è costante e, conseguentemente, anche il flusso
termico scambiato per unità superficie di scambio è costante (Q = U = cost) . Ciò
significa che il flusso scambiato è proporzionale alla lunghezza dello scambiatore.
E’ interessante rilevare come nello scambiatore in controcorrente la temperatura di
uscita del fluido freddo (TF 1 ) può superare la temperatura di uscita del fluido caldo
(TC 2 ) . Al limite, il fluido freddo potrebbe essere riscaldato fino a raggiungere la
temperatura d’ingresso del fluido caldo. Ciò non si può mai verificare in uno
scambiatore in equicorrente in cui la temperatura di uscita del fluido freddo (TF 2 ) può
al massimo eguagliare (ma mai superare) la temperatura di uscita del fluido caldo (TC 2 ) .
Per fissati valori delle temperature d’ingresso dei due fluidi, la disposizione in
controcorrente da sempre luogo ad una maggiore ml di quella relativa alla disposizione
in equicorrente. La disposizione in controcorrente è quindi più efficace per quanto
concerne lo scambio termico. Per scambiare una determinata potenza termica lo
scambiatore in controcorrente richiede una superficie di scambio minore di quella
richiesta da uno scambiatore in equicorrente.
157
|Q|
= (10.4.12)
| Qmax |
Per quanto detto in precedenza, lo scambiatore ideale deve essere del tipo
controcorrente con superficie di scambio infinita. Solo in questo caso, infatti, la corrente
158
minimo per C min / C max = 1 . Infine, per dati NTU e C min / C max , lo scambiatore in
controcorrente presenta l’efficienza più alta, seguita da vicino da uno scambiatore a
flussi incrociati mentre i valori più bassi si hanno per scambiatori in equicorrente.
Se è nota la relazione funzionale (10.4.15) (o il diagramma relativo) di uno
scambiatore, è possibile effettuarne facilmente il dimensionamento. Dai valori di
progetto dei parametri Q , C min , TCi , TFi si calcola infatti tramite la relazione
|Q|
= (10.4.16)
Cmin (TCi − TFi )
C min
A = NTU (10.4.17)
U
Q = A h (Ts − T ) (10.5.1)
159
un’aletta consideriamo una sbarretta di materiale omogeneo e isotropo, sezione
trasversale A costante e lunghezza L saldata alla superficie della parete con un contatto
termico perfetto. Al bordo d’attacco della sbarretta ( x = 0) il calore può propagarsi
dalla parete alla sbarretta solo per conduzione, mentre, nella sbarretta ( x 0) la
trasmissione del calore avverrà ancora per conduzione nelle regioni interne e per
convezione tra la superficie esterna della sbarretta ed il fluido circostante.
Considerando condizioni di regime stazionario e scelte due sezioni 1 e 2 normali
all’asse della sbarretta separate da una distanza infinitesima dx , indichiamo con Q1 e
Q 2 i flussi conduttivi attraverso le sezioni 1 e 2 e con Q 3 il flusso convettivo attraverso
la superficie laterale compresa tra 1 e 2. Per quanto detto, Q 2 rappresenta la frazione di
Q che, continuando a propagarsi per conduzione, raggiunge la sezione 2. Il flusso Q
1 3
rappresenta invece la frazione di Q1 che viene dispersa per convezione nel fluido
adiacente. Il bilancio dell’energia applicato al volume compreso tra le sezioni 1 e 2
fornisce
Q1 = Q 2 + Q 3 (10.5.2)
Le isoterme devono essere necessariamente superfici curve in modo tale che su ogni
sezione dell’aletta si abbia una diminuzione di temperatura procedendo dal centro verso
la periferia lungo la direzione ortogonale a x . Il problema sarebbe dunque a rigore
bidimensionale con la temperatura che dipende da due coordinate. I gradienti di
temperatura nell’aletta, però, sono tanto più modesti quanto maggiore è la conducibilità
termica del materiale di cui è costituita e quanto più essa è sottile. Posto allora che la
sbarretta sia di materiale omogeneo, isotropo, buon conduttore termico e di spessore
sottile è lecito supporre che le superfici isoterme siano approssimativamente piane,
parallele e perpendicolari alla direzione x . Sotto queste ipotesi è possibile scrivere
dT dT
Q1 = − KA Q 2 = − KA Q3 = h dx (T − T ) (10.5.4)
dx 1 dx 2
160
dT dT d T
2
+ 2 dx (10.5.5)
dx 2 dx 1 dx 1
dT dT d 2T
− KA = − KA + 2 dx + h dx (T − T ) (10.5.6)
dx 1 dx 1 dx 1
cioè
d 2T h
= (T − T ) (10.5.7)
dx 2 KA
Definendo le variabili
h
= T − T (con d = dT ) m2 = (10.5.8)
KA
( x = 0) = 0 = Ts − T = C1 + C2 (10.5.11)
da cui si ricava
C1 = 0 (10.5.13)
cosicché la (10.5.11) diventa
C2 = 0 (10.5.14)
161
Tenendo conto delle due ultime relazioni la soluzione per la distribuzione di
temperatura è
( x) = 0 e − mx (10.5.15)
Q ( x = L) = 0 (10.5.16)
che equivale alla condizione
d −mL
= mC1e − mC2e = 0
mL
(10.5.17)
dx L
e − mL
C1 = 0 (10.5.18)
e mL + e −mL
e mL
C2 = 0 (10.5.19)
e mL + e −mL
La soluzione cercata è quindi
0
( x) =
e mL
+e −mL
e −m ( L − x )
+ e m( L− x ) (10.5.20)
ovvero
cosh[ m( L − x)]
( x) = 0 (10.5.21)
cosh( mL)
162
L L
Q = Ph[T ( x) − T ]dx = Ph ( x)dx (10.5.22)
0 0
o, più semplicemente, imponendo che il flusso termico disperso deve coincidere con il
flusso termico entrante nell’aletta per conduzione attraverso la sezione d’attacco
dT d
Q = − KA = − KA (10.5.23)
dx 0 dx 0
d d
(
− mx
)
= 0 e = −m 0 (10.5.24)
dx 0 dx 0
e quindi
Q = KAm0 = 0 KAh (10.5.25)
d d cosh[ m( L − x)]
= 0 = − m 0 tanh(mL) (10.5.26)
dx 0 dx cosh( mL) 0
pertanto
Q = KAm0 tanh(mL) = 0 KAh tanh(mL) (10.5.27)
Va osservato come essendo tanh(2.3) = 0.98 tale equazione implica che l’aletta
disperde il 98% del flusso massimo che può disperdere (e cioè quello che disperderebbe
se fosse di lunghezza infinita) quando mL = 2.3 . Pertanto, in ogni caso, non è
conveniente costruire alette di lunghezza superiore a
2.3
L= (10.5.28)
m
− prestazione di un’aletta
Si è detto che le alette vengono utilizzate per incrementare il flusso termico disperso da
una parete incrementandone l’area della superficie di scambio. Tuttavia, va notato che
l’aggiunta del materiale dell’aletta introduce una resistenza termica conduttiva nel
processo globale di scambio termico parete-fluido. Pertanto, l’incremento atteso del
flusso termico, conseguente all’aumento della superficie di scambio, potrebbe essere
compromesso dall’aggiunta di tale resistenza. Una verifica dell’azione dell’aletta può
essere effettuata calcolando la prestazione dell’aletta definita dal rapporto tra il flusso
termico disperso dall’aletta (Q ) e il flusso termico disperso dalla superficie senza aletta
(Q ) . Usando l’espressione del flusso termico disperso da un’aletta di lunghezza
infinita e tenendo conto che Q è fornito dalla (10.5.1) si ha
163
Q 0 KAh K
= = = (10.5.29)
Q hA0 hA
− rendimento di un’aletta
Un altro parametro utile per quantificare la performance termica di un’aletta è il
rendimento definito dal rapporto tra il flusso termico effettivamente scambiato
dall’aletta e quello ideale che l’aletta potrebbe dissipare se avesse conducibilità termica
infinita, vale a dire se avesse temperatura uniforme pari alla temperatura Ts della base
d’attacco. In quest’ultimo caso lo scambio termico dell’aletta sarebbe massimo (dal
momento che su ogni sezione si ha il massimo salto termico disponibile Ts − T ) e
varrebbe
Qmax = Lh (Ts − T ) = Af h0 (10.5.30)
Noto , questa relazione consente di calcolare il calore disperso dall’aletta dal valore
della temperatura sulla sezione d’attacco (Ts )
Nel caso di una semplice aletta di sezione costante e lunghezza L con terminazione
adiabatica si ha
KAh tanh(mL) tanh(mL)
= 0 = (10.5.33)
Lh0 mL
Questa relazione mostra che, all’aumentare della lunghezza dell’aletta, e quindi della
164
superficie di scambio, il rendimento decresce da 1 (per L → 0 ) a 0 (per L → ). Ciò è
dovuto alla caduta di temperatura esponenziale lungo l’aletta che fa si che le porzioni di
aletta distanti dal bordo d’attacco dissipino poco calore, dal momento che la loro
temperatura differisce poco dalla temperatura del fluido. L’aumento della potenza
termica dissipata con la lunghezza dell’aletta è in contrasto perciò con la diminuzione
del suo rendimento. Oltre una certa lunghezza, l’aumento del costo associato
all’aggiunta di materiale non risulta più
economicamente vantaggioso.
Quando si calcola la potenza
termica dispersa da una superficie
alettata è necessario considerare anche
la porzione di superficie priva di alette.
Decomponendo allora l’area della
superficie totale di scambio (A) nella
somma della superficie complessiva
delle alette ( Af ) e della superficie
della base d’attacco non-alettata ( Ab )
si ha
A
Q = h[( A − Af ) + Af ] 0 = hA1 − f (1 − ) 0 (10.5.35)
A
dove la quantità in parentesi quadra può essere considerata una efficienza globale della
superficie.
L’analisi del rendimento di alette di differenti geometrie mostra che le alette a
spillo con profilo triangolare hanno rendimenti più elevati delle alette a sezione costante
con profilo rettangolare. Il loro uso è quindi più vantaggioso rispetto alle prime in
quanto, a parità di flusso termico disperso, richiedono meno materiale. Rendimenti
ancora più elevati si ottengono con alette a spillo con profilo parabolico. Nel caso di
tubi, invece, vengono utilizzate alette anulari con profilo rettangolare. Anche in questi
casi è possibile applicare la (10.5.34) ma con valori di e Af da determinare da grafici o
formule specifici della geometria considerata.
165
CAPITOLO 11
L’IRRAGGIAMENTO TERMICO
11.1 La radiazione termica
Il trasferimento di calore per conduzione e convezione richiede la presenza di un
gradiente di temperatura in un mezzo materiale (sia esso liquido, solido o aeriforme). Al
contrario, il trasferimento di energia per irraggiamento non richiede la presenza di
materia. Due sistemi a differente temperatura possono scambiare energia, e quindi
raggiungere l’equilibrio termico, anche se sono separati dallo spazio vuoto (che
preclude la conduzione e la convezione). Lo scambio di energia avviene in questo caso
come conseguenza della emissione di radiazione elettromagnetica (e.m.) dovuta ai moti
(oscillazioni, transizioni, etc.) degli elettroni contenuti nella materia. Questi moti sono
sostenuti dalla energia interna e, pertanto, dallo stato termico (temperatura) della
materia. Tutte le forme di materia emettono dunque radiazioni a T 0 K . L’intensità
della radiazione emessa dipende dal valore di temperatura e dalla natura del mezzo.
Per i gas l’emissione è un fenomeno volumetrico. Cioè, la radiazione emergente da
un volume finito di materia è la sovrapposizione delle emissioni locali che hanno luogo
in tutto il volume. Nei solidi e nei liquidi la radiazione emessa dalle molecole interne è
fortemente assorbita dalle molecole adiacenti. Di conseguenza, la radiazione emessa da
un solido o da un liquido si origina essenzialmente dalle molecole che si trovano
approssimativamente ad una distanza di 1 μm dalla superficie esposta. In questo caso
l’emissione è un fenomeno superficiale.
c essendo la velocità di propagazione della radiazione nel mezzo considerato (nel vuoto
c = 2.998 108 ms −1 ).
Le radiazioni e.m. coprono un vastissimo campo di lunghezze d’onda che vanno da
−10
10 μm (raggi cosmici) a 1010 μm (onde radio). La radiazione a corta lunghezza
d’onda (raggi , raggi x, raggi UV) sono di interesse principalmente per la fisica delle
alte energie e la fisica nucleare. Le radiazioni a grande lunghezza d’onda competono
all’ingegneria dei campi e.m. Tra questi due estremi è compresa la banda di radiazione
167
che è di interesse per la trasmissione del calore. Essa si estende approssimativamente da
0.1 a 100 μm e comprende quindi:
La pelle del corpo umano percepisce tali radiazioni come sensazione di calore da cui il
termine radiazione termica per indicare questa parte dello spettro.
La luce visibile è composta da bande ristrette di colore che vanno dal violetto
(0.38 − 0.44 μm) al giallo-verde (0.555 μm) fino al rosso (0.65 − 0.78 μm) .
Il sole è la principale sorgente di radiazione termica. La radiazione solare è
compresa quasi tutta nella banda 0.1 − 3 μm . E’ quasi per il 50 % luce visibile e per la
parte rimanente (38 %) radiazione NIR ovvero radiazione nel “vicino” infrarosso
(1 − 3 μm) e radiazione UV ( 12 % ). Gli UV (dannosi per gli esseri umani) sono quasi
interamente assorbiti dallo strato di ozono (O3 ) presente nell’atmosfera.
Tutti i corpi a T ambiente emettono radiazione FIR ovvero nel “lontano”
infrarosso (4 − 40 μm) con un picco a circa 10 μm . Questa distinzione è importante in
quanto il comportamento dei materiali (in termini di emissione, assorbimento.
riflessione e trasmissione della radiazione) è diverso nei differenti campi di lunghezza
d’onda.
dall’unità di superficie del mezzo (Wm −2μm −1 ) . L’esperienza insegna che parte della
radiazione incidente sarà riflessa, parte sarà assorbita e parte sarà trasmessa. Dette
perciò Gr ( ) , Ga ( ) e Gt ( ) le potenze rispettivamente riflessa, assorbita e
168
trasmessa, i coefficienti di riflessione, assorbimento e trasmissione monocromatici della
superficie rimangono definiti come
Gr ( ) G ( ) G ( )
( , T , x ) = ( ,T , x) = a ( ,T , x) = t (11.2.1)
G ( ) G ( ) G ( )
Dividendo ambo i membri per G ( ) segue allora che i coefficienti (11.2.1) devono
soddisfare sempre alla relazione
( ,T , x) + ( ,T , x) + ( ,T , x) = 1 (11.2.3)
Gr ( )d
1
Ga ( )d
1
Gt ( )d
1
(T , x ) = 2
(T , x ) = 2
(T , x ) = 2 (11.2.5)
G ( )d
1
G ( )d
1
G ( )d
1
(T , x) + (T , x) + (T , x) = 1 (11.2.6)
169
L’assorbimento della radiazione è dovuto agli effetti dissipativi che si originano quando
il campo elettromagnetico associato alla radiazione compie lavoro sulle particelle
cariche del mezzo spostandole dalle loro posizioni di equilibrio. A differenza dei
processi di riflessione e trasmissione che non producono alcun effetto sul mezzo,
l’assorbimento causa un incremento dell’energia interna del mezzo.
Le caratteristiche di riflessione delle superfici (unitamente alle proprietà di
assorbimento e alla distribuzione spettrale della radiazione incidente) determinano i
colori degli oggetti. Una colorazione dominante deriva da una elevata riflessione a
quella lunghezza d’onda ed elevati assorbimenti a tutte le altre lunghezze d’onda. La
neve, ad esempio, ha elevati nel campo del visibile (appare bianca) mentre nel NIR
ha grandi ( si scioglie al sole). Anche la vernice bianca ha grandi nel campo del
visibile. La vernice nera, invece, ha elevati su tutto lo spettro. Un film di alluminio
depositato per evaporazione ha altissimi coefficienti di riflessione ( 1) e viene usato
per la costruzione di specchi astronomici.
= 0 + = 1 (11.2.7)
170
emesso oltre il 90 % della radiazione solare, mentre è opaco alle radiazioni a più
elevata lunghezza d’onda ( FIR ), emesse dalle superfici a temperatura ambiente. Da ciò
si origina il ben noto effetto serra in ambienti chiusi con ampie vetrate.
poi dAn una superficie infinitesima posta a una distanza r da dA e normale al raggio
stesso. Se la direzione di dAn è individuata dall’angolo zenitale e dall’angolo
azimutale essa “vedrà” dA come una superficie “apparente” (e cioè proiettata
normalmente al raggio) di area dA cos( ) . La potenza radiante monocromatica dW
che, emessa da dA , viene intercettata da dAn coincide ovviamente con quella che
“viaggia” nell’angolo solido d sotteso da dAn quando vista da dA :
dAn
d = = sin ( )d d (11.3.1)
r2
dW
I ( , ) = (Wm −2str−1μm −1 ) (11.3.2)
dA cos( )d
171
L’intensità integrale, ovvero l’intensità emessa a tutte le lunghezze d’onda, si ottiene
integrando I sulla banda di lunghezze d’onda di interesse:
2
dW
I ( , ) = I d = (Wm −2str−1 ) (11.3.3)
1
dA cos( )d
dove
2
dW = dW d (11.3.4)
1
A partire dall’intensità è possibile definire numerose altre grandezze fisiche. Nel seguito
si farà riferimento alle grandezze monocromatiche con l’avvertenza che per ottenere le
corrispondenti grandezze integrali è sufficiente integrare sulla banda di lunghezze
d’onda di interesse
e quindi la potenza emessa in tutte le direzioni (nell’intera emisfera) vale (tenendo conto
che d = sin( )d d )
2 /2
W = d I dA sin( ) cos( )d (11.3.6)
0 0
2 /2
I dA / 2
W = I dA d sin( ) cos( )d = sin(2 )d (2 ) = I dA (11.3.7)
0 0
2 0
Potere emissivo
Si definisce potere emissivo la potenza emessa nell’intero semispazio dall’unità di
superficie emittente. Per una superficie Lambertiana dalla (11.3.7) segue direttamente
e = I (11.3.8)
Irradiazione
Data una superficie radiante dA e una superficie ricevente dAr si definisce irradiazione
la potenza radiante intercettata dall’unità di area di superficie ricevente. In pratica, detta
dW la potenza incidente sulla superficie dAr , l’irradiazione rimane definita dalla
relazione
172
dW
G = (11.3.9)
dAr
( , T , x ) (11.4.2)
e ( ,T , x)
= ( ,T ) (11.4.3)
( , T , x )
e1 ( ,T , x1 ) A1 (11.4.4)
173
ed assorbirà, sempre alla stessa lunghezza d’onda, la potenza
Non rimane ora che dimostrare che la potenza incidente G dipende solo dalle variabili
,T e non dalle caratteristiche chimico fisiche della cavità o dalla sua geometria (ossia
è uguale per tutte le cavità mantenute alla temperatura T ). Se ciò non fosse vero si
poterebbe pensare di inserire in una cavità contenente solo due corpi dei filtri alla
radiazione in modo da far passare dalla sezione 1 alla sezione 2 solo le lunghezze
d’onda che, emesse da 1 , vengono minimamente assorbite da 2 e, viceversa, dalla
sezione 2 alla sezione 1 le lunghezze d’onda che, emesse da 2 , vengono
massimamente assorbite da 1 . Conseguentemente, si
rileverebbe un riscaldamento del corpo 1 e un
raffreddamento del corpo 2, ovvero si osserverebbe un
trasferimento spontaneo di calore da un corpo più
freddo ad uno più caldo, in netta violazione del II
Principio.
Resta così dimostrato che la funzione G dipende
solo dalle variabili ,T . Poiché la superficie A1 è
completamente arbitraria se ne conclude che il
rapporto tra il potere emissivo e il coefficiente di
assorbimento monocromatico è uguale per tutte le superfici contenute nella cavità ed è
pari ad una funzione universale delle variabili ,T :
L’ultimo di questi rapporti è formato con i valori del potere emissivo e del coefficiente
di assorbimento monocromatici di una superficie che ha la proprietà di assorbire
totalmente tutta la radiazione incidente, indipendentemente dalla lunghezza d’onda e
dalla direzione di incidenza:
N = cost = 1 (11.4.9)
174
Un corpo caratterizzato da questa proprietà prende il nome di corpo nero e dalla
(11.4.8) segue che la funzione universale deve coincidere con il potere emissivo di tale
corpo.
( ,T ) EN ( ,T ) (11.4.10)
175
all’interno della cavità un piccolo corpo nero. All’equilibrio termico il bilancio
dell’energia impone che
EN ( ,T ) AN − N AN G = 0 (11.5.1)
EN ( ,T ) = G ( ,T ) (11.5.2)
176
fondamentali
− La legge di Planck
La distribuzione spettrale della radiazione di corpo nero non può essere dedotta sulla
base dell’elettromagnetismo classico. Essa fu determinata per la prima volta da Planck
ipotizzando la quantizzazione della radiazione e.m. Ammettendo, cioè, che i processi di
emissione e assorbimento della radiazione da parte della materia avvengono, per una
determinata frequenza f , solo per multipli interi della quantità finita
c
hf = h (11.5.3)
C1
EN ( ,T ) = (11.5.4)
[exp(C2 / T ) − 1]
5
dove C1 = 3.742 108 W μm 4 m−2 e C2 = 1.439 104 μm K . Tale formula, nota come
formula di Planck, è in grado di descrivere e riprodurre tutte le caratteristiche
sperimentali della radiazione di corpo nero.
nota come legge dello spostamento di Wien. Si noti come la diminuzione di max con la
temperatura implica, in base alla (11.5.3) che i fotoni emessi abbiano maggiore energia.
C1
EN (T ) = EN ( ,T )d = d = 0T 4 (11.5.5)
0 0
5
[exp( C2 / T ) − 1]
177
Spesso si è interessati a calcolare la potenza radiante emessa da un corpo nero su una
ristretta banda di lunghezze d’onda (ad esempio per 1 2 ). Poiché l’integrazione
dell’equazione di Planck non è semplice, per effettuare calcoli di questo tipo è stata
definita una quantità adimensionale, detta
funzione di radiazione di corpo nero, come
la frazione della radiazione totale del corpo
nero compresa nell’intervallo di lunghezze
d’onda 0 − :
E N ( , T ) d
F0− = 0
(11.5.6)
0T 4
EN = I N EN = I N (11.5.8)
e ( ,T , x)
( , T , x ) = (11.6.1)
EN ( ,T )
178
Il parametro (che assume valori compresi tra 0 e 1) costituisce dunque una misura di
quanto una superficie reale approssima un corpo nero per il quale = 1 . Facendo il
confronto della (11.6.1) con la (11.4.8) segue che è possibile scrivere la legge di
Kirchoff nella forma
(,T , x) = ( ,T , x) (11.6.2)
e(T , x ) e ( ,T , x)d E N ( ,T ) ( ,T , x ) d
(T , x ) = = 0
= 0
(11.6.3)
EN (T )
0T 4
E
0
N ( ,T ) d
che mostra come dipenda dalle caratteristiche spettrali della radiazione incidente
G ( ) e quindi in generale si ha ( ) . Ciò succede, in definitiva, poiché la
superficie può assorbire certe lunghezze d’onda meglio di altre. Pertanto, l’assorbimento
totale dipenderà dalla distribuzione spettrale della radiazione incidente. In generale il
valore di assorbimento di una superficie esposta alla radiazione solare ( s ) può
differire apprezzabilmente dal valore relativo all’esposizione alla radiazione di grande
lunghezza d’onda emessa da sorgenti a temperatura più bassa. Per questo motivo, per
studiare l’effetto della radiazione sui vari materiali, si valuta separatamente il
coefficiente di assorbimento nel campo delle lunghezze d’onda corte, relative allo
spettro solare ( 4 μm) , e nel campo a grandi lunghezze d’onda, tipico
dell’irraggiamento termico dei corpi a temperatura ambiente ( 4 μm) . Il rapporto
s / costituisce un importante parametro ingegneristico. Piccoli valori del rapporto
sono preferibile per superfici refrattarie alla radiazione solare. Grandi valori del
rapporto sono richiesti invece per superfici da impiegare in collettori solari.
Dalla (11.6.4) si può dedurre che solo nel caso in cui l’emissività monocromatica di
179
una superficie reale è indipendente da la legge di Kirchoff è verificata anche per i
coefficienti integrali:
= = = (11.6.5)
Si è detto che la distribuzione spettrale del potere emissivo di una superficie reale si
discosta in genere dalla legge di Planck e varia in modo irregolare con la lunghezza
d’onda. Ciò implica che anche la dipendenza della emissività dalla lunghezza d’onda
presenta variazioni irregolari e pronunciate. Per questo motivo nei calcoli di scambio
termico radiativo si preferisce sostituire il
corpo reale, che presenta un andamento
irregolare di , con un corpo ideale di
emissività costante (indipendente dalla
lunghezza d’onda) e che emette in modo
diffuso la stessa potenza radiante. Una
tale superficie ideale prende il nome di
superficie grigia. La (11.6.5) mostra che
il valore medio costante di coincide
con l’emissività integrale della superficie
reale e può essere calcolato con la
(11.6.3).
Per una superficie grigia la relazione
(11.6.1) assume la forma
e ( ,T , x) = En ( ,T ) (T , x) (11.6.6)
da cui si evince che la curva di emissione di una superficie grigia ha la stessa forma di
quella di una superficie nera, ma l’altezza è ridotta del fattore numerico della emissività.
Quasi tutti i metalli hanno valori piuttosto bassi di emissività (0.02) a meno che
non siano ossidati (0.1, 0.5) . La maggior parte delle sostanze non-metalliche hanno
emissività che sono invece piuttosto alte (>0.6) ed approcciano quelle di un corpo nero.
SC = 1353 Wm −2 (11.7.1)
180
Al suo ingresso nell’atmosfera ( 30 km dalla superficie terrestre) la radiazione solare
subisce significativi cambiamenti in intensità, direzione e distribuzione spettrale a causa
dei fenomeni di assorbimento e diffusione.
L’assorbimento di radiazione da parte dell’ozono stratosferico (O3 ) è efficace
soprattutto sulla radiazione ultravioletta che viene assorbita quasi interamente. Ozono e
ossigeno sono anche responsabili di un modesto assorbimento di radiazione visibile
mentre l’assorbimento della radiazione infrarossa è dominato dal vapore d’acqua e dal
biossido di carbonio. Anche polveri ed aerosols producono assorbimento di radiazione.
I processi di diffusione (scattering) che hanno luogo nell’atmosfera hanno l’effetto
di operare una redistribuzione della direzione della radiazione. Essi sono di due tipi.
Nello scattering Rayleigh (o molecolare) le molecole diffondono uniformemente la
radiazione in tutte le direzioni. A causa di ciò approssimativamente metà della
radiazione diffusa viene rinviata verso lo spazio mentre la porzione rimanente giunge
alla superficie terrestre da tutte le direzioni. In contrasto, nello scattering Mie, operato
dalle particelle di aerosol e polvere, la direzione della radiazione diffusa è prossima a
quella dei raggi incidenti.
La parte di radiazione che attraversa l’atmosfera senza essere diffusa o assorbita è
nella direzione dell’angolo zenitale ed è chiamata radiazione diretta. Da quanto detto
sopra si capisce come il valore dell’irradiazione solare diretta dipende dalla massa d’aria
attraversata (e quindi, per una certa località, dall’angolo di altezza solare al momento di
osservazione) In un giornata completamente serena e con il Sole allo zenith
l’irradiazione globale diretta al livello del mare vale al massimo
GD = 950 Wm −2 (11.7.2)
181
radiazione non corrisponda a quella di un corpo nero il suo contributo all’irradiazione
della superficie terrestre viene descritto con una relazione del tipo
Gsky = 0Tsky
4
(11.7.3)
dove Tsky è la temperatura effettiva della volta celeste. Il suo valore può variare da un
valore minimo di 230 K in un giornata invernale limpida e fredda ad un valore
massimo di 285 K in una giornata nuvolosa estiva.
Va osservato come la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre cade
nella banda di assorbimento del biossido di carbonio e del vapore d’acqua. Pertanto, la
maggior parte di questa radiazione viene assorbita dall’atmosfera e reirradiata verso la
superficie terrestre. Questo fenomeno prende il nome di “effetto serra” (“greenhouse
effect”) in quanto richiama la trasmissione dell’energia solare attraverso il vetro.
L’entità di tale effetto dipende dalla concentrazione dei gas assorbenti dell’atmosfera.
L’incremento della concentrazione di CO2 negli ultimi due secoli causato dei processi di
combustione può squilibrare il bilancio tra energia ricevuta ed energia emessa dalla
superficie della Terra con diminuzione della potenza energetica dispersa dalla Terra e
conseguentemente aumento della temperatura media dell’atmosfera.
Il calcolo dello scambio termico tra due superfici nere, ad esempio, si riduce alla
determinazione di grandezze puramente geometriche note col nome di fattori di vista. Il
calcolo è semplificato dal fatto che per superfici nere non vi è riflessione. Pertanto,
l’energia che lascia una superficie è solo quella emessa e tutta la radiazione incidente è
assorbita.
Consideriamo due superfici nere di area A1 ed A2 mantenute a temperature uniformi
182
T1 e T2 . Individuiamo sulle due superfici due elementi infinitesimi di area dA1 e dA2
orientati arbitrariamente nelle direzioni individuate dagli angoli 1 e 2 che le normali
alle superfici formano con la retta che le congiunge. Il flusso termico netto scambiato
sarà pari alla differenza tra la potenza che, emessa dalla superficie A1 , viene intercettata
da A2 e la potenza che, emessa da A2 , viene intercettata da A1 . Dalla definizione di
intensità segue che la potenza emessa da dA1 e che è intercettata da dA2 è
d 21 essendo l’angolo solido sotteso da dA2 quando visto da dA1 . Osservando che dA2
è vista da dA1 come una superficie apparente dA2 cos 2 si ha
dA2 cos 2
d21 = (11.8.2)
R2
cos 1 cos 2
dW12 = I N 1 dA1dA2 (11.8.3)
R2
Si noti, incidentalmente, come dividendo ambo i membri di questa relazione per dA2 si
ottiene l’irradiazione prodotta da dA1 su dA2
Ritornando alla (11.8.3), va considerato che una superficie nera ha una emissione
diffusa ( I N 1 = EN 1 / ) e pertanto può essere scritta nella forma
EN 1 cos 1 cos 2
dW12 = dA1dA2 (11.8.5)
R2
EN 1 cos 1 cos 2
W12 =
A1 , A2 R2
dA1dA2 (11.8.6)
183
W12 1 cos 1 cos 2
F12 = =
EN 1 A1 A1 A1 , A2 R2
dA1dA2 (11.8.7)
Tale quantità dipende da soli parametri geometrici e prende il nome di fattore di vista
della superficie A1 rispetto alla superficie A2 . La (11.8.6) si può dunque scrivere in
forma compatta come
W12 = F12EN 1 A1 (11.8.8)
nota come relazione di reciprocità. Il flusso termico netto scambiato tra due superfici
nere vale pertanto:
.
Q12 = W12 − W21 = A1F12 EN1 − A2 F21 EN 2 (11.8.12)
.
Q12 = F12 A1 0 (T14 − T24 ) = F21A2 0 (T14 − T24 ) (11.8.13)
−Proprietà di chiusura
Se N superfici costituiscono una cavità chiusa allora, detto Fij il fattore di vista della
generica superficie i rispetto alla generica superficie j , risulta
Fij = 1
j =1
(11.8.14)
184
Questa relazione è una conseguenza della conservazione dell’energia e indica
semplicemente che tutta la radiazione che lascia la superficie i deve essere intercettata
dalle altre superfici. Il termine Fii rappresenta la frazione di energia che lascia la
superficie i e che è intercettata dalla stessa. Si ha quindi Fii = 0 per superficie piana o
convessa e Fii 0 per superficie concava.
N
A j F ji = Ak Fki (11.8.17)
k =1
da cui
185
N
A F k ki
F ji = k =1
(11.8.18)
Aj
1 = 1 1 = 1 − 1 = 1 − 1 (11.9.2)
e la (11.9.1) diventa
J1 = 1 EN1 + (1 − 1 )G1 (11.9.3)
186
Analogamente, la potenza radiante uscente da A2 ed intercettata da A1 vale
E −J
Q1 = N 1 1 (11.9.9)
(1 − 1 )
1 A1
(1 − 1 )
R= (11.9.10)
1 A1
quello di una corrente. La (11.9.9) mostra che si avrà un flusso termico netto uscente
dalla superficie solo se il potere emissivo che essa avrebbe se fosse un corpo nero è
maggiore della sua radiosità. Nel caso opposto si rileverà un flusso termico netto
entrante nella superficie.
Nel caso in cui le due superfici formino una cavita, (oggetto piccolo in una cavità
grande, piastre piane parallele infinite, etc), è possibile sviluppare ulteriormente
l’analogia elettrica. In questo caso, infatti, il flusso termico netto uscente da A1 (Q1 )
187
deve coincidere con il flusso termico netto entrante in A2 (Q 2 ) , entrambi i flussi
dovendo coincidere con il flusso termico netto scambiato tra le due superfici (Q 21) .
Utilizzando le relazioni (11.9.7) e (11.9.9) l’equazione di bilancio è
E −J J − J 2 J 2 − EN 2
Q12 = N 1 1 = 1 = (11.9.11)
(1 − 1 ) 1 (1 − 2 )
1 A1 A1F12 2 A2
(1 − 1 ) 1 (1 − 2 )
EN 1 − J1 = Q12 J1 − J 2 = Q12 J 2 − EN 2 = Q12 (11.9.12)
1 A1 A1F12 2 A2
EN 1 − EN 2 0 (T14 − T24 )
Q12 = = (11.9.13)
(1 − 1 ) 1 (1 − 2 ) (1 − 1 ) 1 (1 − 2 )
+ + + +
1 A1 A1F12 2 A2 1 A1 A1F12 2 A2
1
R= (11.9.14)
A1F12
188
N J − J
ENi − J i
=
i j
(11.9.15)
(1 − i ) j =1
1
i Ai Ai Fij
Questa equazione può anche essere interpretata come un bilancio di radiazione per il
nodo radiosità associato alla superficie i . Scrivendo una equazione dello stesso tipo per
i nodi radiosità associati alle altre superfici, si ottiene un sistema di N equazione che
può essere risolto per determinare i valori delle radiosità J k , note le temperature delle
superfici. Se sono noti i valori dei flussi termici netti uscenti dalle superfici (e non le
temperature) il sistema da risolvere per ottenere le radiosità è
N Ji − J j
Q i = (11.9.16)
j =1
1
Ai Fij
0 (T14 − T24 )
Q12 = (11.9.17)
(1 − 1 ) 1 (1 − 2 )
+ +
1 A1 A1F12 2 A2
(T 4 − T24 )
Q12 = A 0 1 (11.9.18)
1 1
+ −1
1 2
189
Il flusso termico scambiato tra le superfici 1 e 2 vale pertanto
0 (T14 − T24 )
Q12 = (11.9.19)
(1 − 1 ) 1 (1 − 31) (1 − 32 ) 1 (1 − 2 )
+ + + + +
1 A1 A1F12 31A3 32 A3 A3 F32 2 A2
0 (T14 − T24 )
Q12 = A (11.9.20)
1 1 1 1
+ − 1 + + − 1
1 2 31 32
che mostra come le resistenze alla radiazione associate allo schermo divengono molto
grandi quando le emissività 31 e 32 sono molto piccole. In particolare, se le emissività
delle superfici sono tutte uguali, la relazione precedente si riduce a
(T 4 − T24 )
Q12 = A 0 1 (11.9.21)
1 1
2 + − 1
190
Q12 A11 0 (T14 − T24 ) (11.9.23)
191