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CAPITOLO 7

ASPETTI ENERGETICI DEL MOTO DEI FLUIDI

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7.1 Flusso laminare e turbolento. La legge di Poiseuille

Consideriamo un fluido che, provenendo da −  con velocità uniforme v  , imbocchi


una piastra piana, continuando a scorrere nello spazio semi-infinito al di sopra di essa
(deflusso esterno). Le forze di attrito viscoso esercitantesi tra il fluido e la piastra
manifesteranno la propria azione frenante introducendo un gradiente di velocità nella
direzione y normale alla piastra.

Per comprendere l’origine di questo gradiente di velocità osserviamo che, per


l’ipotesi dell’aderenza, il fluido a contatto con la superficie della piastra vi aderisce e
quindi ha velocità pari a zero. Questo strato esercita uno sforzo tangenziale  x (forza
per unità di area) sullo strato sovrastante (che si muove più velocemente) rallentandolo.
Il processo si ripete stato dopo strato finché, ad una distanza sufficientemente grande
dalla piastra, la velocità del fluido riacquista il valore v  della corrente indisturbata. Si
definisce allora strato limite idrodinamico la regione di fluido compreso entro una
distanza  dalla superficie solida dove il valore locale della velocità raggiunge il 99%
del valore della velocità del fluido indisturbato: v( ) = 0.99 v . Nella regione esterna
allo strato limite y   le forze di attrito viscoso sono trascurabili dal momento che
d v/ dy = 0 ed il fluido può essere considerato come ideale (con viscosità nulla). Lo
strato limite cresce ovviamente all’aumentare della distanza dal bordo d’attacco
 =  (x). Basta osservare, infatti, che al bordo di attacco della superficie ( x = 0)
soltanto le particelle di fluido a contatto diretto con la superficie sono rallentate mentre
il resto del fluido continua a muoversi alla velocità della corrente libera indisturbata.
Man mano che il fluido procede lungo la piastra le forze viscose determinano il
rallentamento di una quantità sempre maggiore di fluido a distanze via via crescenti
dalla piastra.
Anche le caratteristiche cinematiche del moto cambiano con la distanza dal bordo
d’attacco. Vicino al bordo d’attacco il moto del fluido all’interno dello strato limite è di
tipo laminare e gli sforzi tangenziali esercitantesi tra due lamine adiacenti sono descritti
dalla legge di Newton-Petroff.
v
 x = − x (7.1.1)
y

dove  (Nsm-2) è il coefficiente di viscosità assoluta. Per una determinata velocità v∞,

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però, il moto nello strato limite rimane laminare soltanto fino a una distanza xc dal
bordo d’attacco, denominata distanza critica. Per x>xc le linee di flusso si
scompongono e si mescolano disordinatamente tra loro attorcendosi a formare dei
vortici che si susseguono nel tempo e nello spazio senza alcuna regolarità.
Contemporaneamente, i valori locali delle variabili di stato (v,T , P,  ,..) divengono
fluttuanti e la legge di Newton-Petroff non è più applicabile. Responsabile di un tale
regime di moto, denominato moto turbolento, è l’inerzia del liquido che predomina sulle
forze di frizione dovute alla viscosità.
Ad una fissata distanza x dal bordo d’attacco, la transizione da moto laminare a
turbolento avviene anche se la velocità media aumenta oltre un certo valore critico.
Sperimentalmente si osserva come i limiti di esistenza del moto laminare e del moto
turbolento dipendono del valore assunto dal raggruppamento adimensionale noto come
numero di Reynolds, esprimente fisicamente il valore del rapporto tra le forze di inerzia
e le forze di attrito viscoso. Per la geometria considerata (deflusso esterno su piastra
piana) si ha
 v x v x
Re x = = (7.1.2)
 

dove  =  /  ( m2s-1) è la viscosità cinematica. Risulta

Re x  5 105 regime di moto laminare


Re x  5 105 regime di moto turbolento
Re x  5 10 5
regime di transizione tra moto laminare e moto turbolento

In questo caso, qualunque sia il valore di v∞, esisterà sempre una distanza critica xc dal
bordo di attacco cui avviene la transizione tra i due regimi di moto.
L’analisi teorica e sperimentale indicano che lo spessore dello strato limite 
diminuisce all’aumentare del numero di Reynolds e cioè al diminuire della viscosità e/o
all’aumentare della velocità media del fluido. Lo spessore dello strato limite turbolento,
però, cresce più rapidamente rispetto allo strato limite laminare. Inoltre, nello strato
limite turbolento il più intenso mescolamento ha l’effetto di rendere il profilo di velocità
più uniforme (effetto di livellamento) nella parte centrale dello strato limite.
Conseguentemente il gradiente di velocità alla superficie, e quindi lo sforzo tangenziale
alla parete è molto maggiore nello strato limite turbolento che in quello laminare. Un
regime di moto laminare sussiste ancora comunque in un sottile strato nell’immediata
vicinanza della superficie denominato sottostrato laminare. La regione compresa tra la
zona dello strato limite laminare e la parte dello strato limite completamente turbolenta
si chiama zona di transizione.
Analogo è il caso di un fluido che scorre all’interno di un condotto (deflusso
interno). In questo caso lo strato limite si sviluppa su tutta la superficie interna del tubo.
Man mano che il fluido procede dalla sezione di ingresso lo spessore dello strato limite
cresce fino a raggiungere eventualmente il valore del raggio R del tubo. Prima di
questo punto il flusso si compone di un nucleo non-viscoso e della regione dello strato
limite in cui sono concentrati gli effetti della viscosità. La distribuzione di velocità

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cambia man mano che il fluido avanza a partire dalla sezione di imbocco dal momento
cha la regione affetta dalla viscosità aumenta. Quando  = R e la distribuzione di
velocità non cambia più si parla di flusso completamente sviluppato. La regione
compresa tra la sezione di ingresso ed il punto in cui il moto diviene completamente
sviluppato prende il nome di regione di ingresso. Anche in questo caso nello strato
limite turbolento il più intenso mescolamento ha l’effetto di rendere il profilo di velocità
più uniforme (effetto di livellamento) nella parte centrale dello strato limite.

Conseguentemente, il gradiente di velocità alla superficie, e quindi lo sforzo tangenziale


alla parete, è molto maggiore nello strato limite turbolento che in quello laminare.
I domini di esistenza del moto laminare e del moto turbolento dipendono dal valore
del numero di Reynolds. Per la geometria considerata (deflusso interno in condotti) si
ha
 vD v D
Re D = = (7.1.3)
 

(dove D è il diametro del tubo e v la velocità media del fluido) risultando

Re D  2300 regime di moto laminare


Re D  2300 regime di moto turbolento
Re D  2300 regime di transizione tra moto laminare e moto turbolento

Per calcolare la distribuzione di velocità del fluido è necessario partire dall’equazione di


conservazione della quantità di moto nel caso di flusso stazionario. Consideriamo

pertanto un fluido in moto stazionario attraverso un condotto di forma arbitraria ed


indichiamo v1 e v 2 rispettivamente la velocità media del fluido sulla sezione di
ingresso, A1 , e di uscita, A2 . Osserviamo ora che la massa M di fluido contenuta

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all’istante di tempo t tra le sezioni A1 ed A2 si sarà spostata, dopo un tempo
infinitesimo dt , nel segmento compreso tra le sezioni A1 e A2 . Ai fini pratici tutto va
come se la massa m contenuta nel segmento A1 - A1 si fosse spostata in A2 - A2 . Ciò
implica che la variazione della quantità di moto della massa M nel tempo infinitesimo
dt coincide con quella della massa m . Per il teorema dell’impulso possiamo scrivere
allora
m (v2 − v1 ) = Fdt (7.1.4)

F essendo la risultante delle forze esterne applicate alla massa M . Dividendo ambo i
membri per dt e ricordando che m / dt = M 1 = M 2 (= M ) è la portata massica otteniamo
l’equazione cercata per la conservazione della quantità di moto in regime stazionario:

M (v2 − v1 ) = F (7.1.5)

Consideriamo ora all’interno di un condotto ad asse rettilineo e sezione costante un


elemento di fluido di forma cilindrica di lunghezza dx e raggio di base r . Applicando
l’equazione di conservazione precedentemente ricavata a tale elemento, ove si osservi
che v 2 = v1 , si ottiene
F =0 (7.1.6)

e cioè la risultante delle forze agenti sul cilindretto di fluido deve essere nulla. Per
calcolare F osserviamo che la velocità locale v , diretta ovunque assialmente per
ragioni di simmetria, deve decrescere procedendo dall’asse del tubo verso la parete
interna dove, per l’ipotesi dell’aderenza, è nulla.
Il cilindretto di fluido sarà sottoposto, pertanto, sulla sua superficie laterale ad una
forza frenante dovuta allo sforzo tangenziale viscoso esercitato dallo strato di fluido
esterno pari a
−  (r ) 2 rdx (7.1.7)

e sulle sue superfici di base ad una forza totale di pressione

P r 2 − ( P + dP)  r 2 = −dP r 2 = dP  r 2 (7.1.8)

dove si è tenuto conto che dP è intrinsecamente negativo (la pressione diminuisce nel
verso del moto).

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Imponendo la (7.1.6) si ottiene allora

r dP
 (r ) = (7.1.9)
2 dx

Lo sforzo tangenziale varia pertanto linearmente con r dal centro del tubo dove è nullo
( = 0) alla parete (r = R) ) dove assume il valore massimo

R dP
w = (7.1.10)
2 dx

Tenendo conto di questa relazione la (7.1.9) può essere scritta come

r
 (r ) =  w (7.1.11)
R

Si noti come il risultato ottenuto vale sia nel caso di moto laminare che di moto
turbolento.
Nel caso di moto laminare la distribuzione di velocità si può trovare sostituendo
nella (7.1.9) la legge di Newton
dv
 (r ) = − (7.1.12)
dr

(dove il segno meno dà luogo ad una  positiva essendo d v/ dr negativo). Il risultato è:

dv r dP
=− (7.1.13)
dr 2 dx
Integrando questa equazione
1 dP
 d v = − 2 dx 
rdr (7.1.14)

si ottiene
r 2 dP
v(r ) = − +B (7.1.15)
4 dx

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dove B è una costante arbitraria di integrazione. Imponendo la condizione che sulla
parete interna del tubo la velocità sia nulla si ricava B = ( R 2 / 4 ) dP / dx per cui
l’espressione finale di v(r ) è

1 dP 2 2 1  P1 − P2  2 2
v(r ) = ( R − r ) o v(r ) =  ( R − r ) (7.1.16)
4 dx 4  L 

avendo considerato anche il caso di un segmento di tubo di lunghezza finita L . La


(7.1.16) è nota come equazione di Poiseuille e informa che in condizioni di regime
laminare il profilo di velocità, è parabolico.
Per la velocità media e la portata si ottiene, essendo A =  R 2 e dA = 2 rdr

R
1 1 dP R 2 dP
A A 2R 2 dx 0
v= v( r ) dA = ( R 2
− r 2
) rdr = (7.1.17)
8 dx
e
.  R 4 dP
V = vA= (7.1.18)
8  dx

La portata risulta dunque proporzionale alla quarta potenza del raggio del condotto.

7.2 L’equazione di Bernoulli

Consideriamo un fluido in moto stazionario all’interno di un condotto. L’equazione per


il bilancio dell’energia riferita all’unità di peso (e non di massa) è

(v 22 − v12 )
q − lT = (h2 − h1 ) + + ( z2 − z1 ) (7.2.1)
2g

Ammettendo che il tubo sia isolato termicamente (q = 0) e scrivendo tale equazione in


forma infinitesima, cioè tra due sezioni infinitamente vicine, si ottiene:

vd v
− lT = dh + + dz (7.2.2)
g

Poiché h è funzione di stato per calcolare la sua variazione possiamo sostituire al


processo reale un processo internamente reversibile (quasi-statico) che abbia gli stessi
stati iniziali e finali. In tal modo possiamo scrivere

vd v
− lT = (Tds + vdP) + + dz (7.2.3)
g

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La variazione di entropia associata al processo ideale quasi-statico deve essere
ovviamente uguale a quella che compete al processo reale. Per quantificare tale
variazione osserviamo che, a causa della dissipazione dell’energia meccanica del fluido
causata dall’attrito viscoso, la trasformazione reale è sicuramente irreversibile. E poiché
il fluido non scambia calore con l’ambiente (pareti del condotto termicamente isolate)
tale irreversibilità si traduce in una variazione positiva di entropia.

ds = dsint  0 (7.2.4)

Pertanto, anche il termine Tds (associato al processo ideale) che compare nella (7.2.3)
deve essere positivo.
Integrando la (7.2.3) tra due generiche sezioni 1 e 2 e ponendo

2
R =  Tds  0 (7.2.5)
1
si ottiene
v 22 − v12
2
+ ( z2 − z1 ) +  vdP + R + lT = 0 (7.2.6)
2g 1

nota come equazione di Bernoulli. Tale equazione, per come è stata dedotta, è valida per
un fluido reale in moto stazionario all’interno di un condotto isolato adiabaticamente.
Nell’ipotesi che il fluido sia incomprimibile (  = cost) , privo di viscosità
( = 0, R = 0) e che non scambi energia meccanica con l’ambiente esterno (lT = 0) ,
l’equazione (7.2.6) si riduce a quella originariamente dedotta da Bernoullì:

v12 P v2 P
+ z1 + 1 = 2 + z2 + 2 (7.2.7)
2g  2g 

I tre addendi che compaiono in questa equazione hanno tutti le dimensioni di una
altezza ed è possibile attribuire a ciascuno di essi un ben preciso significato da cui
prendono il nome:
− z rappresenta l’energia potenziale dell’unità di peso di liquido posto ad una altezza z
nel campo gravitazionale e prende il nome di quota geometrica;
− P /  è pari all’altezza che deve avere una colonna di fluido di peso specifico  per
esercitare una pressione P (legge di Stevino) e prende il nome di quota piezometrica.
Rappresenta energia di pressione e insieme a z esprime il contenuto totale di energia
potenziale posseduta dalla unità di peso di fluido.
− ( v/ 2 g ) è pari all’altezza da cui deve cadere un grave nel vuoto per acquistare una
velocità v e prende il nome di quota cinetica. Rappresenta ovviamente l’energia
cinetica dell’unità di peso di fluido che si muove con velocità v. Si noti che l’ipotesi di
fluidi incomprimibile, sempre valida per i liquidi, può essere ritenuta applicabile anche
per i gas quando la temperatura si mantenga approssimativamente costante e per
velocità di efflusso non elevate.

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L’equazione di Bernoullì esprime evidentemente il teorema di conservazione della
energia per un fluido ideale in moto isotermo stabilendo che il contenuto di energia
meccanica specifica totale o, come suol
dirsi, il “carico totale” di una corrente
fluida, somma dei contributi dinamico
(v/ 2 g ) e piezometrico ( z + P /  ) ),
rimane costante lungo un qualsiasi tubo di
flusso. Tale equazione è suscettibile di
una immediata interpretazione
geometrica: la somma della quota
geometrica, della quota piezometrica e
della quota cinetica è costante lungo ogni
sezione del tubo di flusso. Tale altezza
costante individua una linea denominata linea dei carichi totali.
Il confronto della (7.2.6) con la (7.2.7) mostra allora che per i fluidi reali, in cui non
possono trascurarsi i fenomeni dissipativi, il carico totale non rimane costante, essendo
diminuito nel passaggio dalla sezione 1 alla sezione 2 della quantità R che viene
conseguentemente indicata con il termine di resistenza o perdita di carico.

− Pressione statica e pressione dinamica


La pressione che figura nella equazione di Bernoullì viene denominata pressione statica
dal momento che corrisponde alla pressione che sarebbe misurata da un manometro
immerso nel fluido ed avente velocità relativa nulla rispetto ad esso.

Nel caso di moto relativo tra fluido e manometro si rileverà, in generale, che la
pressione locale misurata da quest’ultimo è maggiore della pressione statica.
Consideriamo, infatti, un fluido incomprimibile in moto entro un condotto orizzontale a
sezione costante entro cui è inserito un piccolo tubo (manometro) con la bocca rivolta
normalmente alla direzione del moto. Individuati i filetti fluidi che interessano la bocca
del manometro fissiamo una sezione 1 prima del manometro in seno al fluido
imperturbato ed una sezione 2 sulla bocca del manometro. Osservando che
z2 = z1 , R = 0 , lT = 0 e che v 2 = 0 dal momento che il moto dei filetti fluidi si arresta
in prossimità della sezione 2 sulla bocca del manometro (punto di ristagno), l’equazione
di Bernoullì assume la forma:
v12 P2 − P1
= (7.2.8)
2g 

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cioè
1
P2 = P1 +  v12 (7.2.9)
2

Sulla superficie sensibile del manometro, dunque, alla pressione statica locale ( P1 ) va
ad aggiungersi il contributo “dinamico” (1/ 2)  v12 il cui
ammontare eguaglia l’energia cinetica persa dal fluido
nell’arresto sulla bocca del manometro. Tale contributo
prende il nome di pressione dinamica.
Ovviamente, l’effetto sarà tanto maggiore quanto
più rilevante è la perdita di energia cinetica subita al
fluido nell’arresto. Diviene importante quindi
l’orientamento della superficie sensibile del manometro
rispetto alla direzione del fluido in moto. In particolare,
il massimo incremento di pressione dinamica si avrà per
orientazione normale. Se invece la superficie è parallela
o “volge le spalle” alla direzione del moto non si
rileverà alcun incremento.

− Sonda di Pitot (facoltativo)


La sonda di Pitot consente, attraverso misure di
pressione statica e dinamica, di determinare la velocità
di efflusso locale di un fluido. Essa consiste di due tubi concentrici collegati a due
manometri. La presa di pressione statica (1) misura la pressione statica locale del fluido
( P1 ) . La presa di pressione dinamica (2) misura la somma della pressione statica e della
pressione dinamica P2 = P1 + (1/ 2)  v12 . Dalla differenza delle pressioni misurate dai
due manometri è possibile dunque determinare la velocità del fluido dalla relazione

2( P1 − P2 )
v= (7.2.10)

Le dimensioni della sonda, in genere piccole rispetto al condotto (0.5 cm), consentono
di ricavare la velocità locale e disegnare, una volta ricavate le velocità in vari punti della
sezione, la distribuzione di velocità in una sezione del condotto

− Tubo di Venturi (facoltativo)


Consente di misurare la portata di un fluido sfruttando le variazioni di pressione e
velocità che hanno luogo nei cambiamenti di sezione di un condotto. E’ costituito da un
tronco convergente e da uno divergente in cui l’ultimo ha il solo scopo di riportare la
sezione al suo valore originale per permettere l’inserimento dell’apparecchio nel tubo di
cui si vuole misurare la portata.
Applicando l’equazione di Bernoullì tra le sezioni estreme del convergente e
tenendo conto che z2 = z1 , R = 0 , lT = 0 si ottiene

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v 22 − v12 P2 − P1
+ =0 (7.2.11)
2g 

che indica che sulla sezione contratta A2 la velocità aumenta e la pressione diminuisce.
La conservazione della massa impone che

v1 A1 = v 2 A2 (7.2.12)
da cui
A1
v 2 = v1 (7.2.13)
A2

Sostituendo questa relazione nella equazione di Bernoullì si ottiene

v12  A12  P1 − P2
 − 1 = (7.2.14)
2  A22  
da cui
 
V = v1 A1 = A1 2( P1 − P2 ) /  ( A12 / A22 ) − 1 (7.2.15)
e cioè
A1 A2
V = 2( P1 − P2 ) /  (7.2.16)
A12 − A22

dove la quantità A1 A2 / A12 − A22 prende il nome di costante di Venturi e dipende


unicamente dalle caratteristiche geometriche dello strumento. La misura della portata
del fluido si riduce dunque alla misura delle pressioni statiche nelle prese (1) e (2).
In effetti, la (7.2.16) fornisce il valore esatto della portata solo se l’ipotesi di
trascurare le perdite di carico ( R = 0) è plausibile e cioè se il guadagno di energia
cinetica compensa esattamente la diminuzione di pressione tra le sezioni 1 e 2. In realtà
risulta sempre ( R  0) e quindi il salto di pressione misurato è inferiore a quello teorico.
Di ciò si tiene conto mediante una costante dello strumento. Per rendere R il più
piccolo possibile si seguono precise regole nella profilatura del tubo di Venturi: (a) il
restringimento del tubo deve essere a 20 °; (b) l’allargamento del tubo deve essere a 6°.

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7.3 Perdite di carico distribuite

Nella sezione precedente si è visto come la dissipazione di energia meccanica cui è


sottoposto un fluido nel suo moto all’interno di un condotto è rappresentata dalla
resistenza di carico R . La valutazione della perdita di carico è fondamentale per chi
deve progettare una qualsiasi apparecchiatura con un fluido in movimento in quanto si
tratta di energia meccanica che viene irreversibilmente degradata (trasformata in energia
termica) all’interno del sistema.
Le resistenze di carico dipendono sia da fattori geometrici quali forma, lunghezza,
larghezza e natura delle superfici del segmento di condotto considerato, sia da fattori
dinamici quali il regime di moto con cui il fluido scorre all’interno del condotto. Nella
schematizzazione tradizionale le perdite di carico vengono distinte in:
a) perdite di carico (o resistenze) distribuite ( Rd ). Sono quelle causate dall’attrito
viscoso sulle pareti dei segmenti di condotto ad asse rettilineo e sezione costante e
risultano proporzionali alla lunghezza L del segmento.
b) perdite di carico (o resistenze) concentrate ( Rc ). Sono quelle che hanno luogo in
elementi di un circuito idraulico quali restringimenti ed allargamenti bruschi di sezione,
valvole di regolazione, valvole di chiusura saracinesche, gomiti, imbocchi, sbocchi, etc.
e risultano fortemente localizzate.
Per ottenere una espressione generale delle resistenze distribuite prendiamo in
considerazione il caso di un condotto ad asse orizzontale e sezione costante; per esso
l’equazione di Bernoullì fornisce
P −P
Rd = 1 2 (7.3.1)

vale a dire che le resistenze dei condotti sono la causa della perdita di pressione statica
che si rileva nella direzione del moto. Per
mantenere un fluido reale in moto entro
un condotto è necessario pertanto
applicare una adeguata differenza di
pressione per vincere le forze di attrito
viscoso. Dal punto di vista ingegneristico
il calcolo di Rd equivale a determinare la
potenza di pompaggio o di ventilazione
necessaria per mantenere una certa
portata. Un fluido ideale, invece,
potrebbe essere mantenuto in moto
indefinitamente senza che venga imposta
alcuna caduta di pressione statica.
Nelle applicazioni, si è soliti mettere
in relazione la differenza di pressione
(necessaria per bilanciare le azioni di attrito) alla portata volumetrica e cioè alla velocità
media di efflusso del fluido. Per ricavare tale relazione osserviamo che dall’espressione
della distribuzione degli sforzi all’interno di un condotto possiamo scrivere

107
 w 2L  w 4L
P1 − P2 = = (7.3.2)
R D

dove D è pari al diametro del condotto nel caso di sezione circolare e, più in generale,
al diametro equivalente definito dalla relazione

Deq = 4Rh (7.3.3)

dove Rh , il raggio idraulico, è a sua volta definito come rapporto tra l’area A della
sezione trasversale ed il perimetro P della stessa (perimetro bagnato del condotto):

Rh = A / P (7.3.4)

Sostituendo la (7.3.2) nella (7.3.1) si ottiene

4L
Rd = w (7.3.5)
D

Per mettere in relazione lo sforzo alla parete, e cioè il gradiente assiale di pressione, con
la velocità media viene definito il fattore di attrito di Moody o di Darcy ( f ) come il
rapporto tra il quadruplo di  w e la densità di energia cinetica trasportata dalla corrente
fluida riferita alla velocità media sulla sezione del tubo:

4 w 8
f = = w2 (7.3.6)
 v2  v
1
2

Va osservato come f sia una quantità adimensionale. Sostituendo il valore di  w che si


ricava da questa espressione nella (7.3.5) si ottiene

L v2
Rd = f (7.3.7)
D 2g

Tale equazione, detta equazione di Darcy-Weisbach, costituisce l’espressione generale


delle resistenze distribuite in un condotto di lunghezza L e diametro (equivalente) D .
Di seguito verrà esplicitata l’espressione di f per il caso di regime di moto
laminare e per quello turbolento.

− Flusso laminare
Per efflusso laminare in un condotto a sezione circolare il profilo di velocità segue la
legge di Poiseuille e la velocità media è

108
R 2  P1 − P2 
v=   (7.3.8)
8  L 

D’altro canto, l’equazione di Bernoullì applicata tra le stesse sezioni fornisce

P1 − P2
Rd = (7.3.9)

Sostituendo in questa relazione il valore della differenza di pressione P1 − P2 che si


ottiene dalla (7.3.8) si ha
8L 
Rd = 2 v (7.3.10)
R 

che mostra come, in regime di moto laminare, la perdita di carico Rd sia direttamente
proporzionale alla velocità media del fluido v ed alla lunghezza L del segmento di
condotto. Inoltre, il valore del fattore di attrito di Moody è esattamente deducibile dal
momento che per questo tipo di moto la (7.3.7) deve coincidere con la (7.3.10). Dal
confronto delle due espressioni si ottiene immediatamente

64
f = (7.3.11)
Re

che mostra come nel caso di regime laminare f dipenda esclusivamente da Re :

f = f (Re) (7.3.12)

− Flusso turbolento
Per efflusso turbolento la determinazione teorica di f è generalmente impossibile ed è
necessario ricorrere ad evidenze sperimentali. In questo caso si trova che il fattore di
attrito di Moody è funzione, oltre che di
Re , anche di un altro parametro
adimensionale denominato coefficiente di
scabrezza relativa. Questo coefficiente tiene
conto del fatto che le superfici interne dei
condotti non sono mai perfettamente lisce
ma presentano delle rugosità che
incrementano gli effetti dissipativi. Il coefficiente di scabrezza viene in tal modo
definito dal rapporto  / D , dove  è l’altezza media delle sporgenze e D il diametro
(equivalente) del condotto. In definitiva, nel caso di regime turbolento si ha in generale:

f = f (Re,  / D) (7.3.13)

Nel caso di un tubo liscio f dipende ovviamente solo da Re e si possono usare le

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seguenti formule:

(formula di Blausius) f = 0.3164 Re−0.25 (3000  Re  100000)


(formula di Herman) f = 0.0054 + 0.396 Re−0.3 (Re  100000)
(formula di Nikuradse) f = 0.0032 + 0.231Re−0.237 (Re  100000)

Nel caso di tubi molto rugosi si osserva che il fattore di attrito è indipendente da Re e
dipende solo dalla scabrezza relativa.
Nei casi intermedi f dipende sia da Re che da  / D e può essere ricavato dalla
formula di Colebrook

1  /D 2.51 
= −2.0 log +  (7.3.14)

f  3.7 Re f 

Il diverso comportamento di f al variare di Re e  / D può essere meglio chiarito


analizzando l’abaco di Moody. In questo grafico bilogaritmico vengono riportati i valori
di f in funzione di Re per differenti valori del coefficiente di scabrezza relativa.
Per valori di Re corrispondenti al moto laminare f decresce linearmente con Re
conformemente alla relazione f = 64 /Re . Segue poi una zona critica di incertezza nella
misura corrispondente all’instaurarsi del moto turbolento e quindi una regione di
transizione in cui di f torna a diminuire all’aumentare di Re fino ad un valore limite
(all’intersezione con la linea tratteggiata) oltre il quale rimane costante.
La regione al di sopra della linea tratteggiata, detta zona di turbolenza completa, è
quella in cui f non dipende da Re ma dipende fortemente dalla scabrezza relativa del
tubo. In questa regione le perdite di carico risultano proporzionali al quadrato della
velocità media come può dedursi scrivendo la formula di Darcy nella forma

Rd cost v 2
f = = = cost (7.3.15)
 L v 2  cost' v 2
 
 D 2g 

Nel regime turbolento, pertanto, le perdite di carico sono molto più grandi rispetto a
quelle che si hanno nel regime di moto laminare (proporzionali a v ). La ragione fisica
di ciò è che il lavoro fornito dalle forze di pressione serve non solo a produrre
l’avanzamento del fluido ma anche a creare e mantenere vortici che dissipano
irreversibilmente energia per attrito interno con effetti che equivalgono ad incrementi
della viscosità dinamica dell’ordine di centinaia di volte e più. Questi effetti dissipativi
sono tanto più intensi quanto maggiore è la scabrezza del tubo e ciò spiga la dipendenza
di f da  / D .
La regione sottostante la linea tratteggiata è quella in cui in cui f esibisce
dipendenza da Re . Tale regione è tanto più estesa (e, corrispondentemente, la regione al

110
al di sopra della linea tratteggiata in cui f è costante è tanto più corta) quanto più piccola
è la scabrezza del tubo.

Tale andamento si può interpretare osservando che per bassi valori di Re lo spessore
del sottostrato laminare (che diminuisce all’aumentare di Re ) è grande rispetto
all’altezza media delle rugosità anche per tubi molto rugosi. E poiché all’interno del
sottostrato laminare Rd è proporzionale a v , e non a v 2 come avviene all’interno del
nucleo turbolento, si rileverà un diminuzione di f con Re , come può dedursi sempre
dalla (7.3.15). In pratica, nella situazione descritta il sottostrato laminare “copre” le
rugosità e il tubo si comporta
da tubo liscio. La regione in
cui f diminuisce con Re è
tanto più estesa quanto più
piccola è la rugosità del tubo.
In questo caso, infatti, solo per
valori di Re molto grandi il
sottostrato laminare si
abbasserà fino a “scoprire” le rugosità e il nucleo turbolento si estenderà a tutta la
sezione del tubo.
Quando si disconosce totalmente il tipo di regime di moto si può assumere in prima
approssimazione un valore medio di f pari a 0.03 cui corrisponde un moto turbolento
sviluppato che non è riferito né ad un tubo liscio né ad un tubo rugoso.

111
7.4 Perdite di carico concentrate

Le perdite di carico concentrate Rc sono quelle localizzate in elementi di modeste


dimensioni di un circuito idraulico (restringimenti ed allargamenti bruschi di sezione,
valvole di regolazione, valvole di chiusura saracinesche, gomiti, imbocchi, sbocchi, etc.)
in cui il normale andamento delle linee di flusso subisce brusche modifiche.
Tali perdite dipendono principalmente dalla forma dell’elemento idraulico dove
hanno luogo mentre appare modesta l’influenza del numero di Reynolds dal momento
che in questi elementi il moto è sempre altamente turbolento. Appare logico dunque,
alla luce di quanto detto sulle resistenze distribuite, assumere Rc proporzionale al
quadrato della velocità media v .
v2
Rc = r (7.4.1)
2g

che costituisce l’espressione generale delle resistenze concentrate ed in cui il fattore di


attrito r dipende dall’elemento idraulico considerato.

− Brusco allargamento di sezione


L’esistenza di una perdita di carico localizzata in corrispondenza di un brusco
allargamento di sezione può essere evidenziata dal confronto con un allargamento
guidato. In quest’ultimo caso, ammettendo che il fluido sia incomprimibile, che non vi
siano apparecchiature che trasferiscano lavoro meccanico e che le sezioni A1 e A2 siano

sufficientemente vicine da poter trascurare le perdite distribuite ( Rd  0) , l’equazione di


Bernoullì fornisce
v12 − v 22 P2 − P1
= (7.4.2)
2g 

che mostra come, nel moto del fluido da sezioni più piccole a sezioni più grandi, si
registra una diminuzione della velocità media e un aumento della pressione statica
( P2  P1 ) . Si realizza, cioè, una conversione integrale e completa di energia cinetica in
energia di pressione; Il contrario accade se il fluido si muove da sezioni più grandi a
sezioni più piccole.
Nel caso dell’allargamento brusco, misurando la pressione a valle dell’allargamento
( P2 ) si rileverà un valore inferiore a quello relativo al caso guidato. Ciò significa che
non si è verificata la conversione completa del salto di energia cinetica (v12 − v 22 ) / 2

112
(identico nei due casi essendo A1 e A2 le medesime) in energia di pressione. Il minore
guadagno di pressione ( P2 − P1 ) rispetto al caso guidato indica l’esistenza di fenomeni
dissipativi localizzati nella regione del brusco allargamento e cioè l’esistenza di una
resistenza concentrata Rc di cui bisogna tenere conto nella equazione di bilancio di
Bernoulli
v12 − v 22 P2 − P1
= + Rc (7.4.3)
2g 

Per determinare il coefficiente di attrito r applichiamo l’equazione di conservazione


della quantità di moto al segmento di condotto compreso tra A1 e A2

M (v 2 − v1 ) = F (7.4.4)

dove F , la risultante delle forze esterne applicate alla massa di fluido compresa tra A1 e
A2 , può essere determinata osservando che:
− sulla sezione A1 agisce la forza P1 A1 ;
− sulla sezione A2 agisce in verso opposto la forza − P2 A2 ;
− per determinare la forza agente sulla sezione anulare B di area ( A2 − A1 ) va osservato
che è fisicamente plausibile che la pressione del fluido vari, non discontinuamente,

bensì gradualmente dal valore P1 sulla sezione  (immediatamente prima


dell’allargamento) al valore P2 sulla sezione  (immediatamente dopo). Il fluido, cioè,
si costruisce immediatamente a valle della sezione B un divergente (sede di fenomeni
vorticosi che dissipano parte dell’energia cinetica del fluido e sono responsabili della
perdita di carico). Sulla sezione anulare B , pertanto, agisce ancora la pressione P1 e
quindi la forza P1 ( A2 − A1 ) . Si ha allora

F = P1 A1 + P1 ( A2 − A1 ) − P2 A2 = ( P1 − P2 ) A2 (7.4.5)
e la (7.4.4) diventa
M (v 2 − v1 ) = ( P1 − P2 ) A2 (7.4.6)
ma M =  v 2 A2 per cui
( P1 − P2 )
v 2 (v 2 − v1 ) = (7.4.7)

113
che, sostituita nella equazione di Bernoulli, fornisce dopo qualche passaggio

2
(v − v ) 2  A  v2
Rc = 1 2 = 1 − 1  1 (7.4.8)
2g  A2  2 g
pertanto
2
 A 
r = 1 − 1  (7.4.9)
 A2 

nota come formula di Borda. I valori estremi che r (riferito a v1 ) può assumere sono:
− r = 0 per A2 = A1 . In questo caso Rc = 0 e non esiste alcuna perdita di carico;
− r = 1 per A2  A1 (ad esempio in uno sbocco da un tubo all’aperto). In questo caso
Rc = v12 / 2 g ed il fluido dissipa tutta la propria energia cinetica senza che si abbia alcun
recupero di energia di pressione.

− Brusco restringimento di sezione


In questo caso si perde più energia di pressione di quanto se ne dovrebbe perdere nel
caso guidato. Facendo riferimento alla figura si ha che nella zona  si ha dissipazione
di energia causata dai moti turbolenti con cui il fluido si costruisce un convergente.
Nella zona  si ha una ulteriore dissipazione causata dai moti turbolenti con cui il
fluido si costruisce un divergente. A causa della inerzia, infatti, il filetti fluidi, dopo aver
superato il raccordo, continuano a restringere la sezione. Questa perdita è analoga a
quella dell’allargamento brusco di sezione.

L’analisi teorica e sperimentale indica che i valori estremi che r (riferito a v 2 ) può
assumere sono:
− r = 0 per A2 = A1 . In questo caso non esiste alcuna perdita di carico.
− r = 0.5 per A2  A1 (ad esempio l’imbocco di una condotta da un serbatoio).

114
Fattore di attrito per alcuni componenti

115
116
CAPITOLO 8

LA CONDUZIONE TERMICA

116
8.1 La legge di Fourier

Nello studio della termodinamica si è visto come ad un trasferimento di energia dovuto


esclusivamente ad una differenza di temperatura si dà il nome di calore. Le differenze
di temperatura o, equivalentemente, i gradienti termici costituiscono invero le “forze
generalizzate” che attivano i flussi di calore che persistono fintantoché la temperatura
non si sarà uniformata all’interno del sistema e non si sarà raggiunto l’equilibrio
termico.
Sulla base del meccanismo fisico che presiede alla trasmissione del calore si suole
distinguere tra conduzione termica, convezione termica ed irraggiamento. Si definisce
conduzione termica il trasporto di calore che avviene in assenza di moti macroscopici di
materia. Tale fenomeno, pertanto, risulta tipico dei corpi solidi benché possa avvenire
anche nei liquidi e negli aeriformi in cui siano assenti flussi di
massa.
Per enunciare le leggi fondamentali della conduzione termica
è necessario definire dapprima la grandezza vettoriale densità di
flusso termico

q ( x, y, z, t ) (W/m2) (8.1.1)

La direzione e il verso del vettore q valutato nel punto ( x, y, z )


del mezzo all’istante di tempo t coincidono con la direzione e il verso in cui viene
trasferito il calore. Il modulo del vettore q è pari al flusso di calore (quantità di calore
che nell’unità di tempo viene trasportata) attraverso la superficie di area unitaria (1 m2)
disposta perpendicolarmente alla direzione del flusso. Il flusso di calore elementare
attraverso una superficie infinitesima dA comunque orientata (e di versore normale n) è
dato da
.
Q = q  n dA (8.1.2)

Nel caso di una superficie finita di estensione A si ha che il flusso termico si ottiene per
integrazione della (8.1.2)
.
Q =  q  n dA (8.1.3)
A

Sulla base di numerose osservazioni sperimentali Fourier stabilì


che, nel caso di un mezzo isotropo in cui non esistono flussi di
materia, la densità di flusso termico conduttivo è proporzionale al
gradiente di temperatura secondo la semplice relazione

q = − K T (8.1.4)

dove il parametro K (Wm-1K-1) prende il nome di coefficiente di conducibilità termica.


La (8.1.4) è nota come legge di Fourier ed indica che i flussi conduttivi di calore, come
avviene per tutti i meccanismi di scambio termico, si manifestano solo quando esistono

117
gradienti di temperatura all’interno del mezzo. Il flusso termico ad un determinato
istante, inoltre, dipende solo dal valore del gradiente di temperatura valutato allo stesso
istante. Una tale circostanza viene descritta dicendo che il processo è puramente
resistivo o a memoria nulla. In processi non puramente resistivi i flussi possono
dipendere, oltre che dai valori istantanei delle forze generalizzate anche dai valori che
queste assumono in istanti precedenti.
Si noti come nella legge di Fouier non sia necessario postulare l’omogeneità del
mezzo. Essa è valida anche per un mezzo eterogeneo purché continuo ed isotropo. La
differenza sostanziale tra i due casi è che se il mezzo è omogeneo K è spazialmente
uniforme e cioè indipendente dalle coordinate x, y, z (pur potendo dipendere ancora da
t ) mentre se il mezzo è eterogeneo K diviene funzione del posto oltreché
eventualmente del tempo K ( x, y, z, t ) .
Il segno meno che compare nella (8.1.4) implica che il calore fluisce, sospinto dal
gradiente di temperatura, nel verso delle temperature decrescenti (in accordo con il II

principio). Inoltre, in ogni punto del mezzo il vettore q è ortogonale alla superficie
isotema passante per quel punto e quindi la maggiore differenza di temperatura per unità
di lunghezza si incontra attraversando le superfici isoterme nella direzione della
normale n . In analogia con il moto dei fluidi si definiscono linee di flusso quelle linee
che in ogni punto hanno come tangente il gradiente locale di temperatura. L’insieme
delle linee di flusso che si “appoggiano” ad un contorno chiuso definisce un tubo di
flusso. Poiché il vettore q è tangente alla superficie laterale del tubo di flusso in ogni
suo punto, si ha che non possono esistere flussi termici “uscenti” dal tubo e pertanto in
condizioni di regime stazionario il flusso termico attraverso ogni sezione del tubo è
costate.
La conducibilità termica K costituisce una proprietà termofisica della sostanza e
varia in funzione dello stato termodinamico (T , P) di quest’ultima. Essa caratterizza la
capacità della sostanza di trasmettere calore. I diversi materiali hanno valori di K
variabili generalmente entro quattro ordini di grandezza. La conducibilità termica dei
solidi è maggiore di quella dei fluidi. Tra i solidi hanno maggiore conducibilità i
metalli; quest’ultima risulta minore nei materiali cristallini non metallici e minore
ancora nei solidi non cristallini (vetri). Tra i fluidi, i liquidi sono più conduttori degli
aeriformi.
Il meccanismo di base che controlla la trasmissione di calore per conduzione è
diverso a seconda della struttura fisica del mezzo. Nei solidi il meccanismo di trasporto
del calore è costituito dalle vibrazioni reticolari che possono trasportare, oltreché
immagazzinare, energia. Nei solidi si trova che la conducibilità termica decresce

118
all’aumentare della temperatura. I migliori conduttori termici sono i metalli che tendono
ad avere valori di conducibilità termica uno o due ordini di grandezza più alti di quelli
dei solidi dielettrici (benché il diamante abbia K =2300 Wm-1K-1). Al contributo delle
vibrazioni reticolari, infatti, va ad aggiungersi quello elettronico che predomina a tutte
le temperature. Migliore conduttore tra i metalli è l’argento puro che ha K = 430 Wm-
K . I materiali con K  0.25 Wm-1K-1 vengono utilizzati per l’isolamento termico e
1 -1

sono detti isolanti. I materiali isolanti utilizzati nelle costruzioni hanno generalmente
una struttura porosa. Il loro basso coefficiente di conducibilità si spiega con la bassa
conducibilità del gas che riempie i pori.

Materiale K (Wm-1 K)
Gas alla pressione atmosferica 0.007 - 0.17
Materiali isolanti 0.034 - 0.21
Liquidi non metallici 0.087 - 0.7
Solidi non metallici (mattoni, pietra cemento) 0.034 - 2.3
Metalli liquidi 8.7 - 81
Leghe 52 - 120
Metalli puri 14 – 420

Poiché nei liquidi le molecole non occupano posizioni reticolari fisse come nei solidi
non è possibile parlare di vibrazioni reticolari. In generale, la conducibilità termica dei
liquidi è circa due o tre orini di grandezza inferiore a quella dei solidi, sebbene esistano
delle eccezioni come, ad esempio, i metalli liquidi che, in virtù del contributo
elettronico, hanno conducibilità circa 100 volte maggiore di quella dei liquidi ordinari.
Nei liquidi di regola la conducibilità decresce al crescere della temperatura. Il
coefficiente di conducibilità dell’acqua invece aumenta con la temperatura e raggiunge
un massimo (0.7 Wm-1K-1) a T = 120 °C e in seguito diminuisce.
I gas sono i peggiori conduttori termici. Nei gas la conducibilità termica aumenta
generalmente con la temperatura come T . Tra i gas i migliori conduttori termici sono
l’idrogeno e l’elio che hanno K  0.2 Wm-1K-1. Il valore di conducibilità termica
dell’aria a temperatura ambiente è uguale a 0.026 Wm-1K-1.

8.2 L’equazione generale della conduzione

L’applicazione della legge di Fourier presuppone che la distribuzione di temperatura


all’interno del mezzo T ( x, y, z, t ) sia nota. La funzione
T ( x, y, z, t ) può essere determinata risolvendo
l’equazione che esprime il bilancio dell’energia.
Consideriamo una porzione arbitraria di un mezzo
solido di volume V e superficie di contorno A .
Nell’ipotesi che il solido sia interessato da flussi
termici studiamo come varia nel tempo l’energia
interna U contenuta in V . Osservando che il prodotto

119
 u rappresenta la densità di energia interna del mezzo (energia interna per unità di
volume) possiamo scrivere

U  (  u ) u
=  (  u) d v =  dv =   dv (8.2.1)
t t V V
t V
t

avendo tenuto conto che, essendo la dilatazione termica di un solido generalmente


modesta, la densità locale  non varia nel tempo. Applicando il primo principio si ha

du  q Pd v dT
= − c (8.2.2)
dt dt dt dt

dove il lavoro di dilatazione per unità di tempo Pd v / dt è stato trascurato per le stesse
ragioni di cui sopra ed avendo tenuto conto che nei solidi c p  cv = c . Sostituendo la
(8.2.2) nella (8.2.1) si ha che la variazione di energia interna del volume V può essere
espressa come segue
U T
=  c dv (8.2.3)
t V t

Tale variazione può essere provocata da due fattori:


− Un flusso di calore attraverso la superficie di contorno A e descritto dal vettore
densità di flusso termico q ( x, y, z, t ) .
− Calore generato o distrutto all’interno di V in corrispondenza di “sorgenti” o “pozzi”
termici (reazioni chimiche, calore prodotto per effetto Joule in resistenze elettriche,
etc.). Di ciò si tiene conto definendo una funzione “sorgente”  q ( x, y, z, t ) (W m-3) che
rappresenta la quantità di calore prodotta (o distrutta) nell’unità di volume del mezzo
per unità di tempo.
Tenendo conto di ciò l’equazione del bilancio dell’energia interna diviene

T
  c t d v =   q d v −  q  n dA
V V A
(8.2.4)

dove il segno negativo nel terzo integrale corrisponde alla scelta fatta per la normale
(uscente). In pratica, se del calore fluisce verso l’esterno, internamente si rileverà una
diminuzione di energia interna. Possiamo applicare adesso il teorema di Gauss per
trasformare l’integrale di superficie in un integrale di volume e, quindi, l’equazione di
Fourier per scrivere in forma esplicita il vettore densità di flusso termico

 q  n dA =  (  q ) d v = − [  ( KT )] d v
A V V
(8.2.5)

cosicché la (8.2.4) diventa

120
 T 
   c t
V
−  q −   ( KT ) d v = 0

(8.2.6)

L’espressione scritta deve valere per ogni volume V , essendo quest’ultimo


completamente arbitrario. Ciò è possibile se e solo se si annulla localmente la quantità
sotto il segno di integrale
T
  ( KT ) +  q =  c (8.2.7)
t

nota come equazione generale della conduzione o equazione del calore.


Nel caso di un mezzo omogeneo ed isotropo con conducibilità termica K costante
la (8.2.7) assume la forma
 q 1 T
 2T + = (8.2.8)
K  t
in cui si è posto
K
= (m2s-1) (8.2.9)
c

parametro che prende il nome di diffusività termica.


La diffusività termica è una proprietà termofisica del materiale. Essa esprime la
rapidità con cui una variazione di temperatura alla superficie di un mezzo si propaga al
suo interno. Un materiale avente una elevata diffusività termica si raffredda o si riscalda
più velocemente di un materiale avente piccola diffusività termica. Infatti, un grande
valore di  si ottiene o con un grande valore di K , e questo giustifica l’asserzione,
oppure con un piccolo valore di  cP (calore da fornire per aumentare di 1°C la
temperatura di un volume unitario di materia).
I valori di  che si riscontrano nei materiali hanno i seguenti ordini di grandezza

Materiale  (m2/s)
Gomma 10-7
Mattone 10-7
Acqua 10-7
Marmo 10-6
Rame 10-3
Oro 10-3

Casi speciali dell’equazione del calore sono:

− Equazione di Fourier
E’ l’equazione che si ottiene dalla (8.2.8) in assenza di sorgenti termiche ( q = 0)

1 T
 2T = (8.2.10)
 t

121
− Equazione di Poisson
E’ l’equazione che si ottiene dalla (8.2.8) per condizioni di regime stazionario
(T /  t = 0)
q
 2T + =0 (8.2.11)
K
− Equazione di Laplace
E’ l’equazione che si ottiene dalla (8.2.8) in assenza di sorgenti termiche ( q = 0) e per
condizioni di regime stazionario (T /  t = 0)

 2T = 0 (8.2.12)

Le tre equazioni scritte sono valide per mezzi omogenei ed isotropi le cui proprietà
termofisiche non dipendono dalla temperatura.
Le condizioni al contorno più comuni utilizzate per l’integrazione di tali equazioni
sono le condizioni di Dirichlet, in cui viene specificate la distribuzione di temperatura
sulla superficie A del corpo ad ogni istante di tempo, e le condizioni di Neumann, in cui
viene specificata la derivata della temperatura in direzione normale alla superficie del
corpo (ovvero il flusso termico) in tutti i punti della stessa e ad ogni istante di tempo.
Vengono riportate di seguito le espressioni dell’operatore di Laplace nei sistemi di
coordinate più comuni
 2T  2T  2T
coordinate cartesiane 2T = 2 + 2 + 2 (8.2.13)
x y z

1 2 1   T  1  2T
coordinate sferiche  T = (rT ) + 2  sin  +
2
(8.2.14)
r r 2 r sin      r 2 sin 2   2

 2T 1 T 1  2T  2T
coordinate cilindrich e 2T = + + + (8.2.15)
r 2 r r r 2  2 z 2

8.3 Parete piana semplice e multistrato

Consideriamo una parete piana a facce piane e parallele di altezza indefinita, spessore
L e costituita da materiale omogeneo ed isotropo di conducibilità termica K . Le due
facce della parete siano mantenute a temperatura uniforme e costante ossia costituiscano
due superfici isoterme rispettivamente a temperatura T1 e T2 con T1  T2 . Nella
situazione descritta il calore può fluire solo in direzione normale alle facce e ogni piano
ad esse parallelo (interno alla parete) è una superficie isoterma.
Si tratta di un problema monodimensionale in condizioni di regime stazionario. In
assenza di sorgenti interne di calore l’equazione da integrare per ottenere la
distribuzione di temperatura è quella di Laplace

122
d 2T
=0 (8.3.1)
dx 2

Un procedimento alternativo è quello di prendere in considerazione all’interno della


parete una superficie isoterma a temperatura T. In base alla legge di Fourier, la densità
di flusso termico che attraversa tale superficie vale (in modulo)

dT
q = − K (8.3.2)
dx
Separando le variabili

q
dT = − dx (8.3.3)
K

ed integrando tra le due superfici estreme (ove si


tenga conto che per la conservazione della energia
ed essendo in condizioni di regime stazionario q è
costante su tutte le superfici isoterme)

q
2 2

 dT = −
1
K 1
dx (8.3.4)

si ottiene
q
T2 − T1 = − L (8.3.5)
K
da cui
(T1 − T2 )
q = K (8.3.6)
L

E quindi il flusso termico trasmesso attraverso una superficie di area A parallela alle
facce risulta
(T − T ) (T − T )
Q = A q = AK 1 2 = 1 2 (8.3.7)
L L
AK

Si può stabilire a questo punto una analogia formale tra il flusso di calore ed il flusso di
cariche elettriche in un conduttore ohmico. Dalla equazione sopra scritta, infatti, si
evince come la differenza di temperatura T1 − T2 giochi il ruolo di una differenza di
potenziale per il flusso di calore. Definita allora la resistenza termica di uno strato
semplice omogeneo come
L
RT = (KW-1) (8.3.8)
AK

e la conduttanza termica o coefficiente di scambio termico come

123
1 1
U= = (Wm-2K-1) (8.3.9)
ART L
K

si ha che il flusso termico può essere espresso come

. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (8.3.10)
RT

essendo UA = 1/ RT . La distribuzione di temperatura


all’interno della parete si può ottenere facilmente
integrando la (8.3.4) tra x = 0 e una generica superficie
isoterma posta a x
q
T ( x) − T1 = − x (8.3.11)
K

Sostituendo in questa relazione la (8.3.6) per q si ottiene

(T1 − T2 )
T ( x) = T1 − x (8.3.12)
L

che mostra come l’andamento di temperatura all’interno della parete piana sia lineare.
E’ interessante osservare come l’espressione ottenuta risulti indipendente da K , cioè
dal materiale di cui è costituito la parete, mentre sia funzione solo dello spessore L e
delle temperature imposte alle due facce.

− Parete piana multistrato


Consideriamo una parete piana a più strati (ad es. tre) omogenei ed isotropi con
coefficienti di conducibilità termica K1 K 2 K 3 . Nella ipotesi di regime stazionario e,
note le temperature sulle facce esterne T1 e T4 , questo caso può essere trattato
estendendo semplicemente i risultati ottenuti per la parete piana monostrato. Infatti,
poiché il flusso termico è costante attraverso ogni sezione si può scrivere

. (T − T ) (T − T ) (T − T )
Q = K1 1 2 A = K 2 2 3 A = K3 3 4 A (8.3.13)
L1 L2 L3

esplicitando le differenze di temperatura si ottengono le relazioni

. L . L . L
T1 − T2 = Q 1 T2 − T3 = Q 2 T3 − T4 = Q 3 (8.3.14)
K1 A K2 A K3 A

che, sommate membro a membro, forniscono la seguente espressione del flusso termico

124
. (T1 − T4 )
Q= (8.3.15)
L1 L L
+ 2 + 3
Ak1 Ak 2 Ak 3

Nell’ambito dell’analogia elettrica, questa relazione può essere scritta come

. (T − T )
Q = 1 4 = UA(T1 − T4 ) (8.3.16)
RT

avendo definito la resistenza termica globale della parete multistrato come

L1 L L
RT = + 2 + 3 (8.3.17)
AK1 AK 2 AK 3

e la conduttanza termica globale o coefficiente di scambio termico globale come

1 1
U= = (8.3.18)
RT A L1 + L2 + L3
K1 K 2 K3

essendo UA = 1/ RT . Le ultime due relazioni scritte mostrano come la resistenza termica

125
totale di una parete piana multistrato è pari alla somma delle resistenze che competono
ai singoli strati o, più semplicemente, che le resistenze termiche in serie si sommano.
La caduta di temperatura è ancora lineare all’interno di ogni strato ma, come si
evince dalla (8.3.14), la pendenza della retta risulta in questo caso inversamente
proporzionale alla conducibilità termica dello strato.

− Reti di resistenze termiche


L’analogia elettrica consente di risolvere anche casi più complessi in cui materiali di
differenti caratteristiche vengono posti in serie e in parallelo rispetto alla direzione del

flusso termico. Per il sistema raffigurato, ad esempio, il flusso termico può essere
espresso come
. (T − T )
Q= 1 2 (8.3.19)
RT

dove RT va calcolato con l’ausilio del circuito elettrico equivalente come

1 1
RT = RTA + + RTE + (8.3.20)
1 1 1 1 1
+ + +
RTB RTC RTD RTF RTG

Questo risultato è attendibile se gli elementi in parallelo hanno resistenza termiche non
molto dissimili tra loro. Solo in questo caso, infatti, le superfici normali alla direzione x
possono essere considerate isoterme e il flusso termico è con buona approssimazione
unidirezionale.

− Resistenza di contatto
Finora si è sottinteso che all’interfaccia tra due strati esiste un contatto termico perfetto
e cioè senza variazione di temperatura. Ciò può avvenire solo se le superfici affacciate
sono perfettamente lisce. In realtà, le superfici sono generalmente rivide e quando
vengono poste a contatto esisteranno sempre “sporgenze” che assicurano un buon
contatto termico e “cavità” riempite d’aria che si comportano da isolante a causa della

126
bassa conducibilità termica dell’aria. A causa di ciò l’interfaccia offre una certa
resistenza alla diffusione del calore
(denominata resistenza termica di contatto)
che si manifesta con una caduta di
temperatura localizzata all’interfaccia stessa.
La resistenza termica di contatto è definita
per unità di area di interfaccia come

(T1 − T2 )
RC = (8.3.21)
q

e assume valori generalmente compresi tra


0.00001 e 0.001 m2 K W-1.

8.4 Manicotto cilindrico semplice e multistrato

Consideriamo un manicotto cilindrico di raggio interno r1 e raggio esterno r2 costituito


da materiale omogeneo ed isotropo di conducibilità termica K . Si supponga che il
manicotto abbia lunghezza infinita e che la superficie interna e quella esterna siano
mantenute a temperatura uniforme e costante ossia costituiscano due superfici isoterme
rispettivamente a temperatura T1 e T2 con T1  T2 .
Si tratta di un problema a simmetria cilindrica in cui la temperatura dipende solo
dalla coordinata r (distanza dall’asse del manicotto): T = T (r ) . Ciò implica che ogni
superficie cilindrica concentrica è una
superficie isoterma e che il flusso termico
è in direzione radiale.
In condizioni di regime stazionario
ed in assenza di sorgenti interne di calore
l’equazione da integrare per ottenere la
distribuzione di temperatura è quella di
Laplace
d 2T 1 dT
+ =0 (8.4.1)
d r2 r d r

Un procedimento alternativo è quello di


prendere in considerazione una superficie
cilindrica isoterma di raggio r , altezza l
ed area A = 2 r l all’interno del
manicotto (r1  r  r2 ) . In base alla legge di Fourier il flusso termico che attraversa tale
superficie vale
dT
Q = − K 2 r l (8.4.2)
dr

127
Separando le variabili ed integrando tra tale superficie e la superficie interna a r1 (ove si
tenga conto che, per la conservazione dell’energia, Q è costante e cioè indipendente da
r)
T r
Q dr
T dT = − K 2 l r r (8.4.3)
1 1

si ottiene
Q r
T (r ) − T1 = − ln (8.4.4)
K 2 l r1
da cui
Q r
T2 − T1 = − ln 2 (8.4.5)
K 2 l r1

Pertanto, il flusso termico che attraversa il segmento di manicotto di altezza l vale

T −T
Q = 2 lK 1 2 (8.4.6)
ln( r2 / r1 )

Sostituendo questa relazione nella (8.4.4) si perviene al risultato che la distribuzione di


temperatura è logaritmica
T −T r
T (r ) = T1 − 1 2 ln (8.4.7)
ln( r2 / r1 ) r1

Mentre, dividendo la (8.4.6) per l’area della generica superficie isoterma posta a una
distanza r si perviene al risultato che la densità di flusso termico è inversamente
proporzionale a r
Q K T1 − T2
q = = (8.4.8)
2 r l r ln( r2 / r1 )

La conservazione dell’energia impone infatti che q diminuisca con r affinché Q si


mantenga costante (dal momento che A aumenta con r ).
Scrivendo la (8.4.6) nella forma

T −T T1 − T2 T1 − T2
Q = 1 2 = = (8.4.9)
ln( r2 / r1 ) r1 ln( r2 / r1 ) r2 ln( r2 / r1 )
2 lK A1K A2 K

si vede come sia possibile definire anche per il segmento di manicotto di altezza l una
resistenza termica come
ln( r2 / r1 ) r1 ln( r2 / r1 ) r2 ln( r2 / r1 )
RT = = = (8.4.10)
2 lK A1K A2 K
tale che

128
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (8.4.11)
RT
con
1
UA = (8.4.12)
RT

In questo caso è necessario specificare rispetto a quale superficie viene definita la


conduttanza termica U . Indicando con U 1 e U 2 le conduttanze termiche riferite
rispettivamente alla superficie interna A1 = 2 r1 l ed esterna A2 = 2 r2 l si ha

1 1 1 1
U1 = = U2 = = (8.4.13)
A1RT r1 ln( r2 / r1 ) A2 RT r2 ln( r2 / r1 )
K K
dovendo risultare
U1 A1 = U 2 A2 (8.4.14)

− manicotto multistrato
Nel caso di più manicotti in serie, ad esempio un manicotto a tre stati di conducibilità
termiche K1 , K 2 e K 3 , un calcolo analogo a quello svolto per la parete piana
multistrato fornisce la seguente espressione per il flusso termico

T1 − T2
Q = (8.4.15)
ln( r2 / r1 ) ln( r3 / r2 ) ln( r4 / r3 )
+ +
2 lK1 2 lK 2 2 lK 3

che mostra come sia possibile definire per il manicotto multistrato una resistenza
termica globale come somma delle resistenze termiche dei singoli strati

ln( r2 / r1 ) ln( r3 / r2 ) ln( r4 / r3 )


RT = RT 1 + RT 2 + RT 3 = + + (8.4.16)
2 lK1 2 lK 2 2 lK 3
tale che
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (8.4.17)
RT

Anche in questo caso è necessario specificare a quale superficie è riferito U . Scegliendo


ad esempio la superficie interna A1 = 2 r1 l ed osservando che è possibile scrivere la
resistenza termica globale nella forma

r1 ln( r2 / r1 ) r1 ln( r3 / r2 ) r1 ln( r4 / r3 )


RT = + + (8.4.18)
A1K1 A1K 2 A1K3
si ha

129
1 1
U1 = = (8.4.19)
A1RT r1 ln( r2 / r1 ) + r1 ln( r3 / r2 ) + r1 ln( r4 / r3 )
K1 K2 K3

Analoghe espressioni valgono se U viene riferito ad altre superfici. Ovviamente deve


risultare
U1 A1 = U 2 A2 = U3 A3 = U 4 A4 (8.4.20)

− manicotto sottile
Se lo spessore del manicotto (r2 − r1 ) è molto più piccolo del raggio interno r1 e cioè se

L = (r2 − r1 )  r1 (8.4.21)

allora è possibile approssimare l’espressione (8.4.10) della resistenza termica con quella
di una parete piana. Posto infatti
r2 = r1 + L (8.4.22)
si ha
r2 r1 + L L L
= = 1+ = 1+ x (essendo x =  1)
r1 r1 r1 r1
e quindi
r x2 x3 x4 L
ln 2 = ln(1 + x) = x − + − +     x = (8.4.23)
r1 2 3 4 r1
cosicché
r ln( r2 / r1 ) L
RT = 1  (8.4.24)
A1K A1K

130
CAPITOLO 9

LA CONVEZIONE TERMICA

0
9.1 La legge di Newton
La convezione è un fenomeno di scambio termico tipico dei fluidi in moto. In presenza
di gradienti termici, due differenti meccanismi di trasporto energetico sono attivi nel
fluido. In aggiunta alla trasmissione di calore dovuta alla conduzione termica (che
avviene a livello molecolare) vi è anche un trasporto di energia dovuto al moto
macroscopico del fluido. L’effetto cumulativo di questi due meccanismi di trasporto
prende il nome di convezione termica.
Nelle applicazioni ingegneristiche si è particolarmente interessati allo scambio
termico convettivo tra una superficie solida e un fluido in moto quando i due si trovano
a differenti temperature. La potenza termica scambiata dipende, oltre che dalle proprietà
termofisiche del fluido e dalla forma geometrica della parete, anche dalle caratteristiche
fluidodinamiche (distribuzione di velocità) del fluido in movimento. In relazione a tali
caratteristiche si distingue tra:
− convezione forzata quando il moto del fluido è indipendente dalla temperatura dalla
parete ma viene imposto da dispositivi esterni quali pompe e ventilatori.
− convezione naturale quando il moto del fluido è provocato unicamente da gradienti
locali di densità indotti, a loro volta, dalle differenze di temperatura tra la superficie
solida e il fluido.
− convezione mista quando entrambi gli effetti precedenti sono importanti.

Per comprendere il meccanismo fisico che sta alla base della convezione termica
consideriamo un fluido che, provenendo da −  con temperatura uniforme T ,
imbocchi una piastra piana “calda” a temperatura Ts  T , continuando a scorrere nello
spazio semi-infinito al di sopra di essa (deflusso esterno). Sappiamo che le forze di
attrito viscoso esercitantesi tra il fluido e la piastra daranno origine allo strato limite
idrodinamico  . Parallelamente a  , nel fluido si svilupperà, a causa dello scambio
termico fluido-piastra, una regione prossima alla superficie solida caratterizzata da un
gradiente di temperatura nella direzione y normale alla piastra. La temperatura del
fluido varierà da Ts a y = 0 a T a distanze sufficientemente grandi dalla piastra. Il
sottile strato di fluido che aderisce alla superficie solida (v = 0) , infatti, si trova alla
stessa temperatura della piastra. In questo strato di fluido ed in quelli immediatamente
adiacenti che si muovono a velocità moto bassa (di moto laminare) il calore viene
scambiato solo per conduzione. Ma non appena il calore diffonde negli strati più veloci

131
viene “trascinato via” dalla corrente fluida nella direzione del flusso. Chiaramente, la
velocità con cui si muove il fluido influenza in modo rilevante il gradiente di
temperatura che si forma nella direzione y e, conseguentemente, il flusso termico
scambiato con la piastra. Si definisce allora strato limite termico la regione di fluido
compreso entro una distanza  T dalla superficie solida dove la differenza di
temperatura piastra-fluido raggiunge il 99 % del valore massimo:
Ts − T ( T ) = 0.99(Ts −T ).
Analogamente allo strato limite idrodinamico, anche lo strato limite termico cresce
all’aumentare della distanza dal bordo d’attacco  T =  T (x) (ma, in generale, con
differente velocità rispetto a  ). Basta osservare, infatti, che al bordo di attacco ( x = 0)
soltanto le particelle di fluido a contatto diretto con la superficie sono riscaldate mentre
il resto del fluido ha la temperatura della corrente libera indisturbata (T ) . Man mano
che il fluido procede lungo la piastra lo scambio termico determina il riscaldamento di
una quantità sempre maggiore di fluido a distanze via via crescenti dalla piastra.
Analogo è il caso di un fluido che scorre all’interno di un condotto (deflusso
interno). In questo caso lo strato limite termico si sviluppa su tutta la superficie interna
del tubo. In sezioni molto vicine a quelle d’imbocco (regione di ingresso termica) la

temperatura ha il valore che compete alla corrente libera (T ) mentre alla parete assume
bruscamente il valore (Ts ) . Man mano che il fluido procede dalla sezione di ingresso lo
spessore dello strato limite cresce fino a eguagliare il raggio R del tubo e quindi si
mantiene costante. Quando di verifica questa condizione e il profilo di temperatura
adimensionale [T (r ) − Ts ] /(Tm − Ts ) rimane costante ( Tm essendo la temperatura media
del fluido definita in base all’equazione 9.1.3), si dice che il flusso è completamente
sviluppato (termicamente).
In entrambi i casi (deflusso esterno e interno) se il moto è turbolento le fluttuazioni
di velocità e il continuo rimescolamento dovuto ai vortici potenziano lo scambio
termico. Il continuo rimescolamento ha anche l’effetto di far crescere più rapidamente
lo spessore dello stato limite termico e di rendere il profilo di temperatura più uniforme
nella zona turbolenta (con conseguente aumento del gradiente di temperatura alla
parete).
Nel 1700 Newton studiò i fenomeni convettivi e postulò la seguente equazione per
la densità di flusso termico scambiato lungo la direzione y normale ad una superficie di
forma arbitraria in un generico punto x della stessa:

132
q = h (Ts − T ) (9.1.1)

In questa equazione, nota come legge di Newton (del raffreddamento), h (Wm −2 K −1 ) è


il coefficiente di convezione locale e T è la
temperatura del fluido valutata al di fuori dello
strato limite termico nel caso di deflusso
esterno. Nel caso di deflusso interno non esiste
una temperatura di corrente libera costante ed
è necessario definire una temperatura media.
La temperatura media del fluido in un generica
sezione A del condotto viene definita come
quella temperatura fittizia costante Tm che dà
luogo a un flusso di entalpia uguale a quello
reale. Uguagliando le due espressioni seguenti

H =  hdA =  MhdA =   v hdA =   v cPTdA H = McPTm (9.1.2)


A A A A
si ottiene
  v c TdA
P

Tm = A
(9.1.3)
M cP

e la legge di Newton si scrive nella forma

q = h (Ts − Tm ) (9.1.4)

A differenza di T che è costante nella direzione del flusso, però, Tm varia sempre in
questa direzione in presenza di scambio termico con la parete. In particolare, il bilancio
dell’energia impone che dTm / dx sia positivo se il fluido assorbe calore dalla parete e
negativo nel caso opposto.
Poiché le condizioni di flusso possono variare da punto a punto sulla superficie sia
h che q variano sulla superficie stessa. Il flusso termico totale scambiato da un
elemento di parete di area A con il fluido si ottiene allora integrando la densità di flusso
termico su A . Nel caso di deflusso esterno si ha

1
Q =  h (Ts − T ) dA = (Ts − T )  h dA = A (Ts − T )  h dA (9.1.5)
A A
AA

Definito allora un coefficiente di convezione medio riferito all’elemento di superficie A


come
1
h =  h dA (9.1.6)
AA

133
possiamo scrivere la (9.1.5) sinteticamente come

Q = A h (Ts − T ) (9.1.7)

9.2 Il coefficiente di convezione termica

Le equazioni (9.1.1), (9.1.4) e (9.1.7) mostrano come il calcolo dei flussi termici
convettivi richieda che sia noto il valore del coefficiente di convezione locale (e/o
medio). La determinazione dei coefficienti h e h costituisce, in effetti, il principale
problema nello studio dei fenomeni convettivi dal momento che essi dipendono da
numerose variabili quali le proprietà termofisiche del fluido (densità, conducibilità
termica, viscosità, etc.) la geometria della superficie (forma, scabrezza, etc.) e le
condizioni di flusso (velocità media, turbolenza, etc.).
Per chiarire meglio la dipendenza del coefficiente di convezione dalla molteplicità
di parametri sopra elencati si può osservare che attraverso lo strato di fluido aderente
alla parete lo scambio di calore può avvenire solo per conduzione e, conseguentemente,
il flusso termico può essere ottenuto applicando l’equazione di Fourier al fluido a y = 0

 T 
q = − K   (9.2.1)
 y  y =0

Combinando questa equazione con la (9.1.1) si ottiene

 T 
− K 
 y  y =0
h= (9.2.2)
Ts − T

Questa equazione mostra che h dipende


dal gradiente di temperatura all’interno
dello strato limite termico, ovvero, che
esso è determinato dalla “struttura” dello
strato limite (spessore, profilo di
temperatura). Il coefficiente di convezione
dipende pertanto da tutte le variabili che
influenzano lo sviluppo dello strato limite.
Ciò spiega la dipendenza di h e h dalla
molteplicità di parametri sopra elencati.
L’ordine di grandezza di h si può
ottenere sostituendo nella (9.2.2) l’espressione approssimata

134
 T  T −T
   s  (9.2.3)
 y  y =0 T
Il risultato è
K
h (9.2.4)
T

che conferma che, tanto più sottile è  T , e cioè tanto più piccolo è il gradiente termico
alla parete, tanto più grande è h .
Riferendoci al caso del deflusso esterno su una piastra piana, ad esempio, si vede
come, essendo Ts − T costante (indipendente da x ) e poiché il gradiente di temperatura
diminuisce con x ( dal momento che  T cresce con x ), il coefficiente h e q
diminuiscono all’aumentare di x . Al bordo d’attacco ( x = 0) , in particolare, essendo
 T  0 , il gradiente di temperatura, e quindi h e q , sono elevatissimi (teoricamente
infiniti). Nella regione di transizione da regime laminare a turbolento ( x  xC ) , inoltre,
si rileva un brusco aumento di h e q dovuto al fatto, già discusso in precedenza, che la
miscelazione turbolenta ha l’effetto di rendere più piatto il profilo di temperatura nella
zona turbolenta e di incrementarne il gradiente alla parete.
Da ciò consegue anche che, per aumentare in un fissato punto della superficie il
valore locale del coefficiente di convezione, è necessario aumentare la velocità è la
turbolenza del fluido. Entrambi i fattori, infatti, hanno l’effetto di diminuire  T e di
incrementare il gradiente di temperatura alla parete. Nelle applicazioni in cui sia
richiesto l’isolamento termico, invece, è necessario aumentare  T riducendo la velocità
del fluido (fluidi possibilmente stagnanti o che si muovono a velocità molto basse di
moto laminare).
Nel caso di deflusso interno, poiché nella regione termicamente sviluppata il profilo
di temperatura adimensionale non cambia, il coefficiente di convezione locale si
mantiene costante (indipendente da x ), sia per temperatura della parete costante
(Ts = cost) che per flusso termico alla parete costante (q = cost) .
Di seguito sono riportati alcuni ordini di grandezza del coefficiente di convezione
h in Wm −2 K −1

− aria in convezione naturale h  1 20


− aira in convezione forzata h  40  250
− vapore d’acqua surriscaldato h  25  100
− liquidi organici (bassa  ) in convezione naturale h  80  200
− liquidi organici (bassa  ) in convezione forzata h  300  4000
− oli minerali in convezione forzata h  100  1000
− acqua in convezione naturale h  200  750
− acqua in convezione forzata h  1000  12000
− acqua in ebollizione h  1800  45000

135
9.3 Similitudine e analisi dimensionale
Il calcolo del coefficiente di convezione locale (o medio) comporta, in base alla (9.2.2),
che sia nota la distribuzione di temperatura T ( x, y, z, t ) all’interno dello strato limite.
Ciò implica, a sua volta, che vengano risolte le equazioni di bilancio della massa, del
momento e dell’energia con le opportune condizioni al contorno. Tuttavia, queste
equazioni possono essere risolte solo per condizioni di flusso molto semplici, mentre
nella maggior parte dei problemi ingegneristici i fluidi si muovono di moto turbolento e
la geometria della parete può essere anche complessa. Per questo motivo l’approccio
generalmente seguito per il calcolo di h è quello di utilizzare relazioni empiriche (e
cioè ottenute sperimentalmente) espresse in termini di opportuni gruppi adimensionali.
Tale approccio prende il nome di metodo della similitudine o dell’analisi dimensionale.
Il metodo trae vantaggio dal fatto che la soluzione di un problema fisico avrà una
validità ed un campo di applicazione molto più ampio se essa viene espressa in funzione
di un limitato numero di gruppi adimensionali indipendenti costruiti a partire dalle
variabili fisiche che influenzano il problema. Si consideri, ad esempio il problema dello
sviluppo del moto turbolento nel caso di deflusso interno. E’ noto che il fenomeno è
influenzato dalle variabili v,  , , D , non prese singolarmente, ma nel loro
raggruppamento adimensionale
 vD
Re D = (9.3.1)

Il problema può essere studiato, pertanto, in funzione di una singola variabile


adimensionale ( Re ) e la soluzione (ottenuta empiricamente da Reynolds)

Re D  2300 regime di moto laminare


Re D  2300 regime di moto turbolento

è applicabile a tutti i problemi di deflusso interno, indipendentemente dalle proprietà


specifiche del fluido in moto e dal particolare diametro del condotto. In altri termini, le
soluzioni empiriche espresse in forma adimensionale hanno validità più generale in
quanto applicabili a classi di sistemi caratterizzati da condizioni di similitudine
geometrica e da condizioni al contorno della stessa specie.
I gruppi adimensionali indipendenti da considerare per esprimere le leggi empiriche
possono essere ottenuti dal teorema di analisi dimensionale noto come teorema pi greco
di Buckingham. Il teorema afferma che, se n è il numero di variabili fisiche che
influenzano un fenomeno convettivo (o, in generale, un fenomeno fisico), allora il
numero N di gruppi adimensionali indipendenti () che si possono costruire da queste
variabili è
N = n−m (9.3.2)

dove m è il numero di dimensioni fondamentali utilizzate nella definizione delle


variabili stesse. Ad esempio, se un problema è influenzato da 5 variabili fisiche definite
in termini di 3 dimensioni fondamentali allora i gruppi adimensionali indipendenti da

136
considerare sono 5 − 3 = 2 e la soluzione del problema sarà esprimibile nella forma

f (1, 2 ) = 0 o 1 = f (2 ) (9.3.3)

Riportando su un diagramma i dati sperimentali di 1


in funzione di  2 si ottiene la curva empirica che
esprime la relazione funzionale tra i due gruppi.
La forma adimensionale del coefficiente di
convezione h utilizzata nell’analisi dimensionale è il
numero di Nusselt. Per trovare l’espressione e il
significato di tale numero definiamo dapprima alcune
variabili adimensionali indipendenti come

x y T − Ts
x = y = T = (9.3.4)
L L T − Ts

dove L è la dimensione lineare caratteristica della superficie di interesse. Da queste


relazioni si ha
dx = Ldx dy = Ldy dT = (T − Ts )dT  (9.3.5)

che, sostituite nella (9.2.2), forniscono

K (T − Ts )  T   K  T  
h=−    =    (9.3.6)
(Ts − T ) L  y  y =0 L  y  y =0
da cui segue
 T   hL
   = = Nu (9.3.7)
 y  y =0 K

Questo parametro adimensionale, denominato numero di Nusselt, è uguale al gradiente


di temperatura adimensionale alla parete e costituisce una misura dell’efficienza dello
scambio termico convettivo. Scrivendo Nu nella forma

h
Nu = (9.3.8)
( K / L)

si vede che esso è uguale al rapporto tra il flusso termico trasmesso per convezione
(proporzionale ad h ) e quello che sarebbe trasmesso per pura conduzione se il fluido
fosse stagnante (proporzionale a K / L ). Nu costituisce, pertanto, una misura di quanto
lo scambio termico convettivo potenzi quello puramente conduttivo. Un valore Nu  1
indica una convezione inefficiente (lo scambio termico è equivalente ad uno
conduttivo). Valori Nu  100  1000 indicano una convezione molto efficiente.

137
9.4 La convezione forzata
Nei fenomeni di convezione forzata il moto del fluido è imposto da un propulsore
esterno e il contributo dovuto alle forze di galleggiamento è trascurabile. In questo caso
i gruppi adimensionali indipendenti da cui dipende lo scambio termico convettivo sono
due: il numero di Reynolds e il numero di Prandtl.
Il numero di Reynolds esprime, com’è noto, il rapporto tra le forze di inerzia e le
forze di attrito viscoso all’interno dello strato limite idrodinamico.
Il numero di Prandtl esprime il rapporto tra la diffusività del momento lineare ( ) e
la diffusività del calore ( )
 c
Pr = = P (9.4.2)
 K

e costituisce una proprietà termofisica del fluido. I gas hanno Pr  0.7  1 e la diffusione
di momento ed energia sono confrontabili. I liquidi hanno 1  Pr  100000 (tranne i
metalli liquidi per cui Pr  1). Tenendo conto del significato fisico del numero di
Prandtl, si intuisce come in un fluido con Pr  1 lo strato limite dinamico si sviluppa
più velocemente di quello termico. Il contrario accade in un fluido Pr  1.
Per una assegnata geometria, il legame tra il coefficiente di convezione e le
variabili fisiche che influenzano lo scambio termico convettivo viene espresso tramite
relazioni del tipo
Nu = Nu (Re, Pr) = C Rea Prb (9.4.3)

i coefficienti C , a, b essendo determinati sperimentalmente. Calcolato Nu , si determina


allora h con la relazione
Nu K
h= (9.4.4)
L

Nell’applicare le formule precedenti i parametri termofisici del fluido vanno calcolati


alla temperatura di film T f = (Ts + T ) / 2 , nel caso di deflusso esterno, ed alla
temperatura media Tm , nel caso di deflusso interno.
Un problema di convezione forzata che ricorre spesso nelle applicazioni
ingegneristiche è l’efflusso stazionario di un fluido all’interno di un condotto con
temperatura di parete costante (Ts = cost) o flusso termico superficiale costante
(q = cost) . La distribuzione assiale della temperatura media del fluido, indicata per
semplicità con T (e non Tm ), e del flusso termico scambiato possono essere determinate
dall’equazione di bilancio energetico applicata al volume di controllo delimitato dalle
sezioni 1 (di ingresso) e 2 (di uscita) separate da una distanza L . Assumeremo che in
tale regione il flusso sia completamente sviluppato termicamente. Indicando con T1 e
T2 rispettivamente le temperature di ingresso e uscita del fluido, l’equazione dei sistemi
aperti fornisce
Q = M (h2 − h1 ) = M cP (T2 − T1 ) (9.4.5)

138
M essendo la portata massica del fluido. Scrivendo la stessa equazione tra due sezioni
separate da una distanza infinitesima dx e di temperatura T e T + dT si ottiene

Q = M cP dT (9.4.6)

Osservando che il flusso termico scambiato con la parete si può esprimere come

Q = qdx (9.4.7)

(  essendo il perimetro della sezione) l’equazione di bilancio (9.4.6) diventa

qdx = M cP dT (9.4.8)

che, risolta con le opportune condizioni al contorno, consente di determinare le


distribuzioni assiali di T e q . Esaminiamo i due principali casi di interesse.

− temperatura di parete costante (Ts = cost)


In questo caso q = h(Ts − T ) e la (9.4.8) diventa

dT h
= (Ts − T ) (9.4.9)
dx M cP

Posto  = (Ts − T ) con 1 = (Ts − T1 ) ,  2 = (Ts − T2 ) e d = −dT l’equazione precedente


si può scrivere nella forma
d h
− =  (9.4.10)
dx M cP

Separando le variabili ed integrando tra le sezioni di ingresso e uscita del segmento di


condotto
2
d h
L

 = − M cP 0 dx
1 
(9.4.11)

si ottiene

139
2 h
ln =− L (9.4.12)
1 M cP

Se si fosse integrato tra la sezione d’ingresso 1 e una sezione arbitraria posta ad una
distanza x si sarebbe ottenuto
 ( x) h
ln =− x (9.4.13)
 1 M c P

che indica come la differenza di temperatura


 = (Ts − T ) diminuisca con x secondo la legge
esponenziale
 h 
 ( x) = 1 exp  −  x  (9.4.14)
 M cP 

Ciò implica che anche il flusso termico alla parete


diminuisce con x in base alla stessa legge esponenziale

 h 
q ( x) = h[Ts − T ( x)] = h ( x) = h1 exp  − x  (9.4.15)

 M cP 

Il flusso termico totale scambiato si ottiene integrando questa equazione tra le sezioni di
ingresso e uscita o, più semplicemente, applicando la (9.4.5) ove si faccia uso della
(9.4.14) per calcolare la differenza di temperatura (T2 − T1 )

  h 
Q = M cP (T2 − T1 ) = M cP ( 2 − 1 ) = M cP1 1 − exp  − L  (9.4.16)

  M cP 

Utilizzando l’espressione di M cP che si ricava dalla (9.4.12) la relazione precedente


può anche essere scritta nella forma
  − 
Q = Ah  1 2  (9.4.17)
 ln (1 /  2 
)

dove A = L è l’area della superficie totale di scambio e la quantità in parentesi quadra


prende il nome di differenza di temperatura media logaritmica.

− flusso termico superficiale costante (q = cost)


Nell’ipotesi di flusso termico superficiale costante la potenza termica complessivamente
scambiata vale
Q = Aq = Lq (9.4.18)

Per ottenere la distribuzione di temperatura osserviamo che scrivendo l’equazione

140
(9.4.8) nella forma
dT q
= (9.4.19)
dx M cP

il secondo membro risulta costante (indipendente da x ). Separando allora le variabili e


integrando tra la sezione d’ingresso ed una arbitraria

q
T x

 dT = M cP 0 dx
T1
(9.4.20)

si ottiene
q
T ( x) = T1 + x (9.4.21)
M cP

che indica come la temperatura media del fluido vari


linearmente con x . Dall’equazione di Newton q = h (Ts − T ) segue, infine, che la
differenza di temperatura (Ts − T ) deve essere costante (indipendente da x ) e, quindi,
che anche Ts varia linearmente con x .

9.5 La convezione naturale


Nei fenomeni di convezione naturale (o libera) il moto del fluido si origina dai gradienti
locali di densità generati dalle differenze di temperatura. Nel
campo di forza gravitazionale questi gradienti di densità
danno origine a “spinte di galleggiamento” che innescano il
moto naturale del fluido. Rispetto alla convezione forzata le
velocità sono molto basse ( 1 ms −1 ) e, conseguentemente,
sono più bassi i flussi termici scambiati. Essa interviene,
tuttavia in moltissime applicazioni ingegneristiche come ad
esempio nei sistemi di riscaldamento ambientale.
Per descrivere lo sviluppo dello strato limite in un
processo di convezione naturale consideriamo il caso di una
piastra piana verticale “calda” immersa in un fluido in quiete.
Le particelle fluide a contatto con la piastra si riscaldano
diminuendo la loro densità rispetto al fluido circostante e, per
azione della forza di gravità, sono sottoposte a spinte di
galleggiamento verso l’alto. La corrente ascensionale trascina
al suo interno particelle fluide delle zone circostanti in quiete
dando luogo ad uno strato limite verticale che cresce in
spessore nel senso del moto (ma in modo più cospicuo rispetto al caso della convezione
forzata a causa delle velocità assai moderate). Lo strato limite è laminare solo fino a una
certa distanza xC dal bordo oltre il quale diviene turbolento. Si osservi come nel caso
della convezione naturale lo strato limite dinamico e quello termico sono accoppiati dal

141
momento che i moti convettivi sono indotti dagli effetti termici.
Per quanto riguarda la distribuzione di velocità e temperatura nella direzione y
normale alla piastra osserviamo che la velocità dello strato di fluido che aderisce alla
superficie ( y = 0) è nulla. All’aumentare della distanza dalla piastra la velocità aumenta
fino ad un valore massimo oltre il quale diminuisce fino ad annullarsi nella regione del
fluido stagnante.
Analogamente, la temperatura del sottile strato di fluido che aderisce alla piastra
( y = 0) è uguale alla temperatura Ts della superficie. All’aumentare della distanza dalla
piastra la temperatura decresce fino a raggiungere il valore T del fluido quiescente al
di fuori dello strato limite. Il coefficiente di convezione è legato al gradiente di
temperatura alla parete e valgono le stesse considerazioni fatte per il caso della
convezione forzata su una lastra piana.
In questo caso i gruppi adimensionali indipendenti da cui dipende lo scambio
termico convettivo sono due: il numero di Grashof e il numero di Prandtl.
Il numero di Grashof esprime il rapporto tra le forze di galleggiamento e le forze
viscose ed è definito come
 g L3 (Ts − T )
GrL = (9.5.1)
 2

dove  è il coefficiente di espansione termica del fluido e L è la dimensione lineare


caratteristica della superficie. E’ interessante osservare come l’effetto delle spinte di
galleggiamento sia contenuto nei parametri  e g che non compaiono nella
convezione forzata.
Per una assegnata geometria, il legame tra il coefficiente di convezione e i
parametri termofluidodinamici che influenzano lo scambio termico convettivo viene
espresso tramite relazioni del tipo

Nu = Nu (Gr, Pr) = C Gra Prb (9.5.2)

dove i coefficienti C , a, b sono determinati sperimentalmente.


L’effetto dei due parametri Gr e Pr viene spesso combinato in un unico
raggruppamento noto come numero di Rayleigh:

Ra = Gr Pr (9.5.3)

L’indagine sperimentale rivela che la transizione da moto laminare a turbolento ha


luogo quando Ra xc  109 .
Quando un flusso esterno forzato è sovraimposto al flusso naturale si può valutare
l’importanza relativa dei due fenomeni sullo scambio termico tramite il rapporto
(Gr/ Re2 ) . Quando (Gr/ Re2  1) la convezione forzata è dominante e
Nu = Nu (Re, Pr) . Quando (Gr/ Re2  1) la convezione è mista e Nu = Nu (Re, Gr, Pr) .
Quando (Gr/ Re2  1) la convezione naturale è prevalente e Nu = Nu (Gr, Pr) .

142
Correlazioni empiriche in casi specifici

Convezione forzata su una superficie piana con temperatura uniforme (Ts = cost)

− regime laminare
Nu x = 0.332 Re1x/ 2 Pr1/ 3 (0.6  Pr  50)
Nu x = 0.664 Re1x/ 2 Pr1/ 3 (0.6  Pr  50)

− regime turbolento
Nu x = 0.0296 Re4x / 5 Pr1/ 3 (5 105  Re x  108 ) (0.6  Pr  60)
Nu x = 0.037 Re4x / 5 Pr1/ 3 (5 105  Re x  108 ) (0.6  Pr  60)

Convezione forzata su una superficie piana con flusso termico uniforme (q = cost)

− regime laminare
Nu x = 0.453 Re1x/ 2 Pr1/ 3

− regime turbolento
Nu x = 0.0308 Re4x / 5 Pr1/ 3

Convezione forzata in tubi per flusso completamente sviluppato ( L / D  10)

− regime laminare
NuD = 3.66 (Ts = cost)
NuD = 4.36 (q = cost)

− regime turbolento
NuD = 0.023 Re4D/ 5 Pr0.4 (Ts  Tm ) (Re  10000) (0.6  Pr  160)
NuD = 0.023 Re 4/5
D Pr 0.3
(Ts  Tm ) (Re  10000) (0.6  Pr  160)

Convezione naturale su piastra piana verticale

− regime laminare
Nu L = 0.59 Ra1L/ 4 104  Ra L  109

− regime turbolento
Nu L = 0.10 Ra1L/ 3 109  Ra L  1013

143
Convezione naturale su piastra piana orizzontale ( L = A / P)

− superficie calda verso il basso (Ts  T ) o superficie fredda verso l’alto (Ts  T )
Nu L = 0.27 Ra1L/ 4 105  Ra L  1010

− superficie calda verso l’alto (Ts  T ) o superficie fredda verso il basso (Ts  T )
Nu L = 0.54 Ra1L/ 4 104  Ra L  107
Nu L = 0.15 Ra1L/ 3 107  Ra L  1011

Convezione naturale su cilindro orizzontale (tubo o filo)

− regime laminare
Nu D = 0.53 Ra1L/ 4 103  Ra L  109

− regime turbolento
Nu D = 0.13 Ra1L/ 3 109  Ra L  1012

Convezione naturale in intercapedini verticali chiuse di altezza H e larghezza L

− moti convettivi assenti (solo conduzione)


Nu L  1 Ra L  103

− moti convettivi presenti


Nu L = 0.046 Ra1L/ 3 104  Ra L  107 (1  Pr  20000) (10  H / L  40)
NuL = 0.42 Ra1L/ 4 Pr0.012( H / L)−0.3 106  Ra L  109 (1  Pr  20) (1  H / L  40)

144
CAPITOLO 10

PROBLEMI COMBINATI DI CONDUZIONE E


CONVEZIONE
10.1 Scambio termico tra due fluidi attraverso una parete solida
Nel problema della parete piana (sez. 8.3) sono state assegnate le temperature delle
superfici a x = 0 e x = L come condizioni al contorno. Usualmente, però, tali
temperature non sono note, mentre sono note le temperature dei due fluidi separati dalla
parete solida. D’altro canto, nella maggior parte delle applicazioni ingegneristiche, i
fluidi scambiano calore tra di essi attraverso una parete di separazione. E’ utile,
pertanto, trovare l’espressione della resistenza termica globale in questi casi.
Consideriamo allora una parete piana di
spessore L e conducibilità termica K e
indichiamo con T1 e T 2 ( T1  T2 ). le
temperature dei due fluidi separati dalla parete
stessa. Il flusso termico si trasmette dal fluido
“caldo” (a T1 ) alla parete per convezione,
attraverso la parete per conduzione e dalla parete
al fluido “freddo” (a T 2 ) ancora per convezione.
La caduta di temperatura è lineare all’interno
della parete mentre nei fluidi è interamente
localizzata in prossimità delle due superfici
all’interno dello strato limite termico.
Se la parete è indefinitamente lunga il problema è unidimensionale e, per la
conservazione dell’energia, il flusso di calore deve essere costante attraverso ogni
sezione (isoterma) normale alla direzione (x ) del flusso stesso. Possiamo quindi
scrivere
. (T − T )
Q = Ah1 (T1 − Ts1 ) = K s1 s 2 A = Ah2 (Ts2 − T2 ) (10.1.1)
L

h1 e h1 essendo i coefficienti di convezione medi dei due fluidi con le due superfici
della parete. Esplicitando le differenze di temperatura si ottengono le relazioni

. 1 . L . 1
(T1 − Ts1 ) = Q (Ts1 − Ts2 ) = Q (Ts 2 − T2 ) = Q (10.1.2)
Ah1 KA Ah2

che, sommate membro a membro, forniscono la seguente espressione del flusso termico

. (T1 − T 2 )
Q= (10.1.3)
1 L 1
+ +
Ah1 AK Ah2

Nell’ambito dell’analogia elettrica questa relazione mostra che, definita una resistenza
termica convettiva come
1
RT = (10.1.4)
Ah

145
il flusso termico può essere espresso in termini di una resistenza termica globale
risultante dalla somma serie della resistenza conduttiva della parete e delle resistenze
convettive dei due fluidi
1 L 1
RT = + + (10.1.5)
Ah1 AK Ah2

nella forma
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 )
RT

dove U , la conduttanza termica globale (o coefficiente globale di scambio termico),


rimane definita come

1 1
=U= (10.1.6)
RT A 1 L 1
+ +
h1 K h2
essendo UA = 1/ RT .
Nel caso di un manicotto cilindrico
limitato da due fluidi a temperature
diverse valgono considerazioni analoghe.
La caduta di temperatura è logaritmica
all’interno del manicotto mentre nei fluidi
è interamente localizzata in prossimità
delle due superfici all’interno dello strato
limite termico. Per la conservazione
dell’energia, il flusso di calore che attraversa in direzione radiale un segmento di
manicotto di lunghezza l è costante e vale

(T − T )
Q = 2 r1l h1 (T1 − Ts1 ) = 2 lK s1 s2 = 2 r2l h2 (Ts 2 − T2 ) (10.1.7)
ln( r2 / r1 )

Esplicitando le differenze di temperatura e sommando membro a membro si ottiene

T1 − T2 T1 − T2 T1 − T2


Q = = =
1 ln( r2 / r1 ) 1 1 r ln( r2 / r1 ) 1 1 r ln( r2 / r1 ) 1
+ + + 1 + + 2 +
2 r1lh1 2 lK 2 r2lh2 A1h1 A1K A2 h2 A1h1 A2 K A2 h2

dove A1 = 2 r1 l ed A2 = 2 r2 l sono le aree della superficie interna ed esterna del

146
segmento di manicotto. Nell’ambito dell’analogia elettrica questa relazione mostra che,
definita una resistenza termica convettiva come

1
RT = (10.1.8)
Ah

il flusso termico può essere espresso in termini di una resistenza termica globale
risultante dalla somma serie della resistenza conduttiva della parete e delle resistenze
convettive dei due fluidi

1 ln( r2 / r1 ) 1 1 r ln( r2 / r1 ) 1 1 r ln( r2 / r1 ) 1


RT = + + = + 1 + = + 2 +
2 r1lh1 2 lK 2 r2lh2 A1h1 A1K A2 h2 A1h1 A2 K A2 h2

nella forma
. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (10.1.9)
RT
con
1
UA = (10.1.10)
RT

In questo caso è necessario specificare rispetto a quale superficie viene definita la

conduttanza termica U . Indicando con U 1 e U 2 le conduttanze termiche riferite


rispettivamente alla superficie interna ed esterna si ha

1 1 1 1
U1 = = U2 = =
A1RT 1 r1 ln( r2 / r1 ) r1 1 A2 RT r2 1 + r2 ln( r2 / r1 ) + 1
+ +
h1 K r2 h2 r1 h1 K h2
con
U1 A1 = U 2 A2 (10.1.11)

Immediate sono le generalizzazioni di RT e U nel caso di una parete multistrato

1 L L L 1
RT = + 1 + 2 + 3 + (10.1.12)
Ah1 AK1 AK 2 AK 3 Ah2

147
1 1
U= = (10.1.13)
RT A 1 + L1 + L2 + L3 + 1
h1 K1 K 2 K3 h2
e di un manicotto multistrato

1 ln(r2 / r1 ) ln(r3 / r2 ) ln(r4 / r3 ) 1


RT = + + + + (10.1.14)
A1h1 2 lK1 2 lK 2 2 lK3 A4 h2

1 1
U1 = = (10.1.15)
A1RT 1 r1 ln( r2 / r1 ) r1 ln( r3 / r2 ) r1 ln( r4 / r3 ) r1 1
+ + + +
h1 K1 K2 K3 r4 h2

dove la conduttanza termica è stata riferita alla superficie interna A1 = 2 r1 l . Analoghe


espressioni valgono se U viene riferito ad altre superfici. Ovviamente deve risultare

U1 A1 = U 2 A2 = U3 A3 = U 4 A4 (10.1.16)

10.2 Raggio critico di isolamento

Nel caso della parete piana l’aggiunta di uno strato isolante riduce sempre il flusso
termico trasmesso dal momento che si viene a sommare una
componente resistiva alla resistenza termica globale

1 L L 1
RT = + 1 + 2 + (10.2.1)
Ah1 AK1 AK 2 Ah2

Nel caso del manicotto cilindrico, invece, l’aggiunta di uno


strato isolante comporta (come prima) l’aggiunta di una
componente resistiva alla resistenza termica globale ma,
contemporaneamente, produce una diminuzione della
componente convettiva riferita alla superficie esterna, in
quanto l’area della superficie di scambio aumenta. La
potenza termica trasmessa potrà quindi aumentare o
diminuire a seconda di quale dei due effetti prevale.
Immaginiamo di rivestire un tubo cilindrico di raggio
interno r1 , raggio esterno r2 e conducibilità termica K1 con un materiale isolante di
conducibilità termica K 2 e spessore r3 − r2 . La potenza termica trasmessa attraverso un
segmento di manicotto di lunghezza l vale

. (T − T )
Q = 1 2 = UA(T1 − T2 ) (10.2.2)
RT

148
T1 e T 2 essendo le temperature rispettivamente del fluido interno ed esterno al
manicotto e dove
1 1  1 ln( r2 / r1 ) ln( r3 / r2 ) 1 
RT = =  + + +
r3h2 
(10.2.3)
UA 2 l  r1h1 K1 K2

.
Per studiare la dipendenza di Q dallo
spessore di isolante calcoliamo la derivata
di RT rispetto al raggio esterno r3 .

RT 1  1 1 
=  −  (10.2.4)
 r3 2 r3  K 2 r3h2 

Questa derivata si annulla quando r3


assume il valore

K2
r3 = rC = (10.2.5)
h2

denominato raggio critico d’isolamento.


.
Per r3 = rC la resistenza RT esibisce un minimo e, conseguentemente, Q esibisce
un massimo. Ciò implica che, fintantoché r3  rC , l’aggiunta di materiale isolante ha
l’effetto negativo di incrementare il flusso
termico disperso. Soltanto quando r3  rC
l’aggiunta dell’isolante diminuisce il flusso
termico.
In base alla (10.2.5), il valore di rC
incrementa all’aumentare della conducibilità
termica dell’isolante e al diminuire del
coefficiente di convezione lato fluido esterno.
Poiché i valori più bassi di h si hanno nella
convezione naturale di gas (h  5 Wm −2 K−1 )
mentre tipicamente Kisol  0.05 Wm −1K−1 ne
consegue che il valore più elevato che può assumere rC è verosimilmente

Kisol 0.05
rCmax =  = 0.01 m = 1 cm (10.2.6)
h 5

Per valori di h corrispondenti alla convezione forzata rC è molto minore di rCmax


(rC  1 mm) . Nei casi reali, pertanto, rC è sempre più piccolo del raggio del tubo nudo

149
per cui è sempre utile isolare. Nei conduttori elettrici, invece, il raggio del conduttore è
minore di rC per cui l’isolamento plastico aumenta il flusso termico diminuendo la
temperatura del conduttore. Nel caso generale, l’isolamento può produrre un
decremento della resistenza termica globale solo se r2  rC ovvero solo se

r2 hr2
= = Bi  1 (10.2.7)
rC K

dove il raggruppamento adimensionale Bi = hr2 / K prende il nome di numero di Biot.

10.3 Transitorio termico di un solido con sorgente interna di calore


In molti problemi di trasmissione del calore le variabili fisiche del sistema dipendono
esplicitamente dal tempo. Questi problemi non stazionari si verificano tipicamente
quando le condizioni al contorno (relativamente alla temperatura o ai flussi termici
attraverso la superficie di confine) vengono modificate. In questo caso il sistema evolve
verso un nuovo stato di equilibrio in un processo transitorio in cui le variabili di stato
cambiano nel tempo.
Consideriamo, ad esempio, il caso di un corpo solido molto caldo di massa m che
si trova inizialmente alla temperatura uniforme Ti . Per raffreddare il corpo esso viene
immerso all’istante t = 0 in un liquido (o fluido)
freddo che si trova alla temperatura T  Ti . Il corpo
solido comincerà allora a cedere calore per
convezione al fluido circostante raffreddandosi fino a
raggiungere la temperatura T . Nel caso in cui
all’interno del corpo sia presente una sorgente di
calore di potenza Q  , la temperatura finale di
equilibrio sarà più elevata di T . Per trovare la legge
con cui varia nel tempo la temperatura del solido consideriamo l’equazione generale
(8.2.4) che esprime il bilancio energetico di un sistema che scambia calore con
l’ambiente esterno attraverso la superficie di confine ed in cui siano eventualmente
presenti sorgenti di calore
T
V  c t d v = V  q d v − A q  n dA (10.3.1)

Nel caso considerato

V
  q d v = Q A
 q  n dA = hA (T − T ) (10.3.2)

Per semplificare la trattazione facciamo l’ipotesi che il solido abbia temperatura


uniforme in ogni istate di tempo, ovvero, che i gradienti termici al suo interno siano
trascurabili (condizione esattamente verificata se la conducibilità termica del corpo

150
fosse infinita) Sotto questa ipotesi è possibile scrivere

T T
  c t dv = cm t
V
(10.3.3)

Tenendo conto delle ultime relazioni, l’equazione di bilancio (10.3.1) diventa

T 
cm = Q − hA (T − T ) (10.3.4)
t
che può essere scritta come

T hA 
= [Q / hA − (T − T )] (10.3.5)
t cm

Definendo la variabile Q / hA − (T − T ) =  (con d = −dT ) si ottiene

cm d
= − (10.3.6)
hA d t

Separando le variabili e integrando tra l’istante iniziale t = 0 e un generico istante t


cm d
t

hA i 
= − d t (10.3.7)
0

(dove i = Q / hA − (Ti − T ) ) si perviene a

cm i cm Q / hA − (Ti − T )
ln = ln = t (10.3.8)
hA  hA Q / hA − (T − T )
ovvero
hA hA
− −
T (t ) = T + Q / hA + [(Ti − T ) − Q / hA]e
t t
 (t ) = i e cm cm
(10.3.9)

Le equazioni (10.3.8) e (10.3.9) possono essere usate per determinare rispettivamente il


tempo richiesto perché il solido raggiunga una certa temperatura T e il valore di
temperatura raggiunto dopo un certo intervallo di tempo t . La quantità di calore
dispersa dopo un tempo t si calcola con la formula

t t
Q =  Q(t )dt =  hA (t )dt (10.3.10)
0 0

Le stesse formule, in cui si ponga Q = 0 , descrivono il raffreddamento (o

151
riscaldamento) naturale del solido.
E’ interessante osservare come dopo un tempo teoricamente infinito la (10.3.9)
fornisce
Tinf = T (t → ) = T + Q / hA (10.3.11)
ovvero
Q = hA(Tinf − T ) (10.3.12)

che indica come la temperatura finale del corpo sia quella per cui la potenza termica
prodotta internamente viene dispersa totalmente per convezione.
La (10.3.9) mostra come la temperatura del solido diminuisca esponenzialmente al
tendere di t all’infinito. La quantità cm / hA ha le dimensioni di un tempo e prende il
nome di costante di tempo. Essa può essere espressa come

1
T = cm = RT CT (10.3.13)
hA

dove RT è la resistenza termica alla convezione e CT è la capacità termica concentrata


del solido. Tanto più elevati sono i valori di
RT e CT (tanto più grande è la costante di
tempo), tanto più bassa sarà la velocità di
avvicinamento alla temperatura di equilibrio.
Si noti come la legge (10.3.9) sia
formalmente uguale alla legge di variazione
della tensione ai capi di un condensatore che
viene caricato e scaricato attraverso una
resistenza in un circuito RC .
Il metodo di risoluzione sopra descritto è
stato sviluppato assumendo che i gradienti
termici all’interno del corpo fossero piccoli.
Tale metodo prende il nome di metodo a capacità concentrate. Per stabilire sotto quali
condizioni tale metodo sia valido riscriviamo l’esponente dell’equazione (10.3.9) nella
seguente forma
hAt hAt ht ht LK hL  t
= = = = = Bi Fo (10.3.14)
cm Vc  Lc  Lc LK K L2

dove è stata definita la lunghezza caratteristica del corpo come L = V / A e i numeri


(adimensionali) di Biot e Fourier come Bi = hL / K e Fo =  t / L2 . Il numero di Biot, in
particolare, è esprimibile come
hL hLA L 1 R cond
Bi = = = = Tconv (10.3.15)
K KA KA 1 RT
hA

che mostra come esso rappresenti il rapporto tra la resistenza conduttiva (che sottende i

152
flussi conduttivi all’interno del solido) e la resistenza convettiva (che sottende i flussi
convettivi tra la superficie del solido e il fluido circostante). Un numero di Biot molto
piccolo (Bi  1) implica, dunque, che le differenze di temperatura all’interno del corpo
su distanze dell’ordine di L siano molto più piccole della caduta di temperatura
attraverso lo strato limite. In queste condizioni la temperatura all’interno del corpo può
essere ritenuta ragionevolmente uniforme e si può applicare il metodo a capacità
concentrate. In particolare, si può dimostrare che l’errore che si commette considerando
la temperatura del solido uniforme ad ogni istante di tempo è molto piccolo ( 5%) se
risulta verificata la condizione
Bi  0.1 (10.3.16)

10.4 Scambiatori di calore


Uno scambiatore di calore è un dispositivo preposto allo scambio termico tra due fluidi
a differenti temperature (“caldo” e “freddo”) separati da una parete solida e quindi senza
che avvenga miscelazione tra di essi. Il calore viene trasmesso per convezione in
entrambi i fluidi e per conduzione attraverso la parete solida che li separa. Essi vengono

utilizzati in un gran numero di applicazioni ingegneristiche (impianti di potenza,


impianti frigoriferi, unità di trattamento dell’aria, etc.) e possono essere di differente
tipologia (scambiatori tubo in tubo, a tubo e mantello, a piastre, batterie di tubi alettati,
etc.). Relativamente alle condizioni di flusso gli scambiatori di calore di tipo più
semplice, possono essere classificati secondo due configurazioni di base:
−a correnti parallele in cui i due fluidi scorrono in condotti paralleli nello stesso verso
(scambiatore equicorrente) o in versi opposti (scambiatore controcorrente);
−a flusso incrociato: i due fluidi percorrono lo scambiatore in direzioni perpendicolari
l’uno rispetto all’altro.
Per definire il bilancio termico delle masse fluide è conveniente far riferimento, per
la sua semplicità, allo scambiatore a doppio tubo. Esso consiste di due tubi coassiali in
cui un fluido scorre nel tubo interno e l’altro nello spazio anulare compreso tra i due
tubi, per cui il calore viene scambiato attraverso la parete del tubo interno.
Stabiliamo (arbitrariamente) come sezione 1 dello scambiatore quella di ingresso
del fluido caldo e come sezione 2 quella di uscita dello stesso. Indichiamo poi con il
pedice "F " grandezze relative al fluido freddo e con il pedice "C" grandezze relative al
fluido caldo. Pertanto, la temperatura TF 1 indicherà, ad esempio, la temperatura di

153
ingresso o uscita del fluido freddo a seconda che si consideri rispettivamente la
configurazione in equicorrente o quella in controcorrente (vedi figura). Adottiamo
inoltre la convenzione T1 − T2 per tutte le differenze di temperatura.
Poiché procedendo all’interno dello scambiatore il fluido freddo si riscalderà e
quello caldo si raffredderà il bilancio energetico applicato ai singoli fluidi fornisce

(equicorrente) (controcorrente)
| QC |= cC M C (TC1 − TC 2 ) QC = cC M C (TC1 − TC 2 )
| QF |= −cF M F (TF 1 − TF 2 ) QF = cF M F (TF 1 − TF 2 )

Avendo indicato con (cC , cF ) e ( M C , M F ) rispettivamente i calori specifici e le portate


dei due fluidi. Il prodotto cM corrisponde alla potenza termica necessaria per elevare di
un grado la temperatura del fluido nel passaggio attraverso lo scambiatore e prende il
nome di capacità termica oraria. Ovviamente, il fluido con capacità termica oraria più
elevata subirà variazioni di temperatura inferiori rispetto al’altro.
Ipotizzando che il tubo esterno sia termicamente isolato rispetto all’ambiente, la
conservazione dell’energia impone che il calore ceduto dal fluido caldo sia uguale al
calore assorbito dal fluido freddo | QC |=| QF |=| Q | . Potremo scrivere pertanto

(equicorrente) (controcorrente)
| Q |=cC M C (TC1 − TC 2 ) = −cF M F (TF 1 − TF 2 ) | Q |= cC M C (TC1 − TC 2 ) = cF M F (TF 1 − TF 2 )

In entrambi i casi si ottiene


(TC1 − TC 2 ) (TF 1 − TF 2 ) ( −) equicorren te
| Q |= =
1 1 ( +) controcorrente

cC M C cF M F
e cioè
1
TC1 − TC 2 = |Q|
cC M C ( −) equicorren te
1 ( +) controcorrente
TF 1 − TF 2 =  |Q|
cF M F

154
Sottraendo membro a membro le due relazioni precedenti si trova

 1 1  ( +) equicorren te
(TC1 − TC 2 ) − (TF 1 − TF 2 ) =| Q |   
 cC M C cF M F  ( −) controcorrente
cioè
(TC1 − TF 1 ) − (TC 2 − TF 2 ) ( +) equicorren te
| Q |=
 1 1  ( −) controcorrente
  
 cC M C cF M F 
Posto allora
 = TC − TF (10.4.1)
e
1 1 ( +) equicorren te
D=  (10.4.2)
cC M C cF M F ( −) controcorrente

il flusso termico scambiato tra i due fluidi si può scrivere nella forma compatta

(1 −  2 )
| Q |= (10.4.3)
D

e quindi risulta espresso in funzione delle temperature di ingresso e uscita dei due fluidi
e delle capacità termiche orarie.

− Flusso scambiato in funzione della differenza di temperatura media logaritmica


Applicando la relazione appena ricavata ad un tratto di scambiatore di lunghezza
infinitesima dx si ha
d
|  Q |= − (10.4.4)
D

D’altro canto, detto U il coefficiente globale di scambio termico riferito all’unità di


area esterna o interna della superficie di scambio (con U i dAi = U e dAe ), si ha

|  Q |= UdA(TC − TF ) = UdA (10.4.5)

dove U tiene conto anche dell’effetto di eventuali incrostazioni solide che possono
depositarsi sulle superfici dello scambiatore causando così resistenze termiche
aggiuntive, dette di “sporcamento” (fouling), che abbassano lo scambio termico.
Uguagliando la (10.4.5) con la (10.4.4) si ottiene

d
− = UdA (10.4.6)
D

Separando le variabili ed integrando fra le estremità dello scambiatore

155
d
2 2


1
= −  UDdA
1
(10.4.7)

Si perviene alla relazione


 2 = 1e −UDA (10.4.8)

che fornisce la distribuzione delle temperature lungo lo scambiatore.


Sostituendo l’espressione di D che si ricava dalla (10.4.3) nella (10.4.5) si ottiene

2  −
ln = −UA 1 2 (10.4.9)
1 |Q|
cioè
 2 − 1
| Q |= UA = UA ml (10.4.10)
2
ln
1

dove la quantità  ml = (2 − 1 ) / ln(2 / 1 ) prende il nome di differenza di temperatura


media logaritmica. Si noti come nell’ultima relazione trovata compare esplicitamente la
superficie di scambio A e quindi essa risulta più utile rispetto alla (10.4.3) per il
dimensionamento dello scambiatore.
L’equazione (10.4.10) può essere applicata anche a scambiatori più complessi (a
più passaggi, a flussi incrociati, etc.) moltiplicando per un fattore di correzione il valore
di  ml che si ottiene sotto l’assunzione di flusso in controcorrente.

− Andamento delle temperature


La distribuzione delle temperature all’interno dello scambiatore si ottiene integrando la
(10.4.7) tra la sezione d’ingresso e una sezione arbitraria

 ( x) = 1e−UDA x
(10.4.11)

dove Ax è l’area della superficie di scambio compresa tra la sezione 1 e la sezione

(arbitraria) x .
Considerando dapprima il caso dello scambiatore in equicorrente, dalla (10.4.2) si
ricava che D è sempre positivo e pertanto la differenza di temperatura tra il fluido caldo
e il fluido freddo ( ) diminuisce sempre all’aumentare della lunghezza dello

156
scambiatore ovvero all’aumentare della superficie di scambio. Ovviamente, il fluido di
capacità termica oraria più elevata subirà variazioni di temperatura più modeste. In
particolare, la temperatura di fluidi che, percorrendo lo scambiatore, cambiano di fase
(cM → ) rimane costante.
Nel caso dello scambiatore in controcorrente si ha che D può essere positivo,
negativo o nullo. Quando D è positivo  decresce con A . Quando D è negativo 
aumenta con A . Quando D è nullo  è costante e, conseguentemente, anche il flusso
termico scambiato per unità superficie di scambio è costante (Q = U = cost) . Ciò
significa che il flusso scambiato è proporzionale alla lunghezza dello scambiatore.
E’ interessante rilevare come nello scambiatore in controcorrente la temperatura di
uscita del fluido freddo (TF 1 ) può superare la temperatura di uscita del fluido caldo
(TC 2 ) . Al limite, il fluido freddo potrebbe essere riscaldato fino a raggiungere la
temperatura d’ingresso del fluido caldo. Ciò non si può mai verificare in uno
scambiatore in equicorrente in cui la temperatura di uscita del fluido freddo (TF 2 ) può
al massimo eguagliare (ma mai superare) la temperatura di uscita del fluido caldo (TC 2 ) .

Per fissati valori delle temperature d’ingresso dei due fluidi, la disposizione in
controcorrente da sempre luogo ad una maggiore  ml di quella relativa alla disposizione
in equicorrente. La disposizione in controcorrente è quindi più efficace per quanto
concerne lo scambio termico. Per scambiare una determinata potenza termica lo
scambiatore in controcorrente richiede una superficie di scambio minore di quella
richiesta da uno scambiatore in equicorrente.

−Efficienza di una scambiatore


Con il metodo della differenza di temperatura media logaritmica è possibile effettuare il
dimensionamento dello scambiatore quando siano note le temperature di ingresso e di
uscita ed il coefficiente globale di scambio termico U . In molti casi, però, pur essendo
noto U , non si conoscono le temperature di uscita dei due fluidi e quindi il metodo
anzidetto non è direttamente applicabile.
Il problema di ottenere una espressione della potenza termica scambiata che non
comprenda alcuna temperatura di uscita può essere risolto introducendo la grandezza
efficienza dello scambiatore  . Tale parametro rimane definito dal rapporto tra la
potenza termica effettivamente scambiata tra i due fluidi, | Q | , e la massima potenza
termica | Qmax | che i due fluidi potrebbero scambiare percorrendo uno scambiatore
ideale con le stesse temperature d’ingresso:

157
|Q|
= (10.4.12)
| Qmax |

Per quanto detto in precedenza, lo scambiatore ideale deve essere del tipo
controcorrente con superficie di scambio infinita. Solo in questo caso, infatti, la corrente

fluida di minore capacità termica oraria raggiungerà in uscita la temperatura di ingresso


dell’altra realizzando così il massimo salto termico possibile. Tenendo conto di ciò la
massima potenza termica che può essere scambiata dai due fluidi vale

| Qmax |= Cmin (TC1 − TF 2 ) = Cmin (TCi − TFi ) (10.4.13)

in cui C min è la minore tra cC M C e cF M F ed il pedice "i" sta per “ingresso”.


Nota  , la potenza termica scambiata può quindi essere ottenuta dalla relazione

| Q |=  Cmin (TCi − TFi ) (10.4.14)

Per ogni scambiatore, l’efficienza è


funzione dei due parametri adimensionali
C min / C max e NTU = UA / C min (dove C max è
la maggiore tra cC M C e cF M F e NTU sta
per “numero di unità di trasporto”)

 =  ( NTU , C min / C max ) (10.4.15)

La relazione funzionale (10.4.15) è stata


calcolata per le configurazioni più comuni
di scambiatore di calore. Generalmente si
trova che  varia rapidamente fino a
NTU  3 . Non e conveniente, quindi,
l’uso di scambiatori con NTU  3 poiché
a un aumento delle dimensioni dello
scambiatore (e dei costi associati)
corrisponde un piccolo aumento dell’efficienza. Per una dato NTU , inoltre, 
raggiunge il valore massimo per C min / C max = 0 (ovvero per C max →  ) e il valore

158
minimo per C min / C max = 1 . Infine, per dati NTU e C min / C max , lo scambiatore in
controcorrente presenta l’efficienza più alta, seguita da vicino da uno scambiatore a
flussi incrociati mentre i valori più bassi si hanno per scambiatori in equicorrente.
Se è nota la relazione funzionale (10.4.15) (o il diagramma relativo) di uno
scambiatore, è possibile effettuarne facilmente il dimensionamento. Dai valori di
progetto dei parametri Q , C min , TCi , TFi si calcola infatti  tramite la relazione

|Q|
= (10.4.16)
Cmin (TCi − TFi )

e quindi il valore corrispondente di NTU dalla (10.4.15) o dal diagramma relativo. Il


valore della superficie di scambio compatibile con i dati di progetto è quindi

C min
A = NTU (10.4.17)
U

10.5 Alette di raffreddamento

Consideriamo una piastra “calda” di area A e temperatura Ts immersa in un fluido


“freddo” di temperatura T La potenza termica trasmessa per convezione dalla piastra
al fluido è quantificata, com’è noto, dalla legge di Newton:

Q = A h (Ts − T ) (10.5.1)

Questa legge mostra che, se le temperature Ts e T sono fissate e costanti, il flusso


termico può essere incrementato, o aumentando il coefficiente di scambio termico
convettivo h (ad es. aumentando la velocità e la turbolenza del fluido), o aumentando
l’area A della superficie di scambio. Tuttavia, in molti casi l’aumento di h è
insufficiente o non è possibile è quindi è necessario incrementare la superficie di
scambio.

Per aumentare la superficie di scambio si può pensare di saldare all’area A della


piastra una sbarretta solida di forma opportuna (aletta). Per studiare il funzionamento di

159
un’aletta consideriamo una sbarretta di materiale omogeneo e isotropo, sezione
trasversale A costante e lunghezza L saldata alla superficie della parete con un contatto
termico perfetto. Al bordo d’attacco della sbarretta ( x = 0) il calore può propagarsi
dalla parete alla sbarretta solo per conduzione, mentre, nella sbarretta ( x  0) la
trasmissione del calore avverrà ancora per conduzione nelle regioni interne e per
convezione tra la superficie esterna della sbarretta ed il fluido circostante.
Considerando condizioni di regime stazionario e scelte due sezioni 1 e 2 normali
all’asse della sbarretta separate da una distanza infinitesima dx , indichiamo con Q1 e
Q 2 i flussi conduttivi attraverso le sezioni 1 e 2 e con Q 3 il flusso convettivo attraverso
la superficie laterale compresa tra 1 e 2. Per quanto detto, Q 2 rappresenta la frazione di
Q che, continuando a propagarsi per conduzione, raggiunge la sezione 2. Il flusso Q
1 3

rappresenta invece la frazione di Q1 che viene dispersa per convezione nel fluido
adiacente. Il bilancio dell’energia applicato al volume compreso tra le sezioni 1 e 2
fornisce
Q1 = Q 2 + Q 3 (10.5.2)

Per semplificare lo studio di questa equazione e, in generale, del funzionamento


dell’aletta, applicheremo si seguito un’analisi unidimensionale, ovvero ammetteremo
che la temperatura dell’aletta dipende solo dalla coordinata longitudinale x (distanza
dal bordo d’attacco): T = T (x) . Per stabilire sotto quali condizioni tale metodo possa
ritenersi valido osserviamo che, poiché i flussi conduttivi sono sempre normali alle
superfici isoterme, nel caso dell’eletta tali superfici non possono essere piani
perpendicolari alla direzione x altrimenti non si avrebbe alcun flusso convettivo nel
fluido:
Q1 = Q 2 Q 3 = 0 (10.5.3)

Le isoterme devono essere necessariamente superfici curve in modo tale che su ogni
sezione dell’aletta si abbia una diminuzione di temperatura procedendo dal centro verso
la periferia lungo la direzione ortogonale a x . Il problema sarebbe dunque a rigore
bidimensionale con la temperatura che dipende da due coordinate. I gradienti di
temperatura nell’aletta, però, sono tanto più modesti quanto maggiore è la conducibilità
termica del materiale di cui è costituita e quanto più essa è sottile. Posto allora che la
sbarretta sia di materiale omogeneo, isotropo, buon conduttore termico e di spessore
sottile è lecito supporre che le superfici isoterme siano approssimativamente piane,
parallele e perpendicolari alla direzione x . Sotto queste ipotesi è possibile scrivere

 dT   dT 
Q1 = − KA  Q 2 = − KA  Q3 = h dx (T − T ) (10.5.4)
 dx 1  dx 2

D’altro canto, utilizzando lo sviluppo in serie di Taylor arrestato al primo ordine si ha

160
 dT   dT   d T 
2
    +  2  dx (10.5.5)
 dx  2  dx 1  dx 1

cosicché l’equazione di bilancio (10.5.2) diventa

 dT   dT   d 2T  
− KA   = − KA   +  2  dx  + h dx (T − T ) (10.5.6)
 dx 1  dx 1  dx 1 
cioè
d 2T h
= (T − T ) (10.5.7)
dx 2 KA
Definendo le variabili
h
 = T − T (con d = dT ) m2 = (10.5.8)
KA

l’equazione (10.5.7) assume la forma


d 2
2
− m 2 = 0 (10.5.9)
dx

L’integrale generale di questa equazione lineare, omogenea, del 2° ordine ed a


coefficienti costanti è
 ( x) = C1emx + C2e− mx (10.5.10)

dove le costanti di integrazione C1 e C2 vanno determinate imponendo due condizioni


al contorno.
La prima condizione al contorno, che vale per qualunque tipologia di aletta, impone
che la temperatura dell’aletta alla base d’attacco sia uguale alla temperatura della parete.

 ( x = 0) = 0 = Ts − T = C1 + C2 (10.5.11)

La seconda condizione al contorno dipende dalla configurazione dell’aletta. Di seguito


vengono studiati due casi significativi.

− sbarretta di lunghezza infinita


E’ ragionevole ritenere che a grandi distanze dalla base d’attacco (teoricamente a una
distanza infinita) la temperatura della sbarretta eguagli la temperatura del fluido

Lim  ( x) = Lim (C1e mx + C2e− mx ) = 0 (10.5.12)


x → x →

da cui si ricava
C1 = 0 (10.5.13)
cosicché la (10.5.11) diventa
C2 =  0 (10.5.14)

161
Tenendo conto delle due ultime relazioni la soluzione per la distribuzione di
temperatura è
 ( x) =  0 e − mx (10.5.15)

La temperatura diminuisce dunque


esponenzialmente lungo la sbarretta dal valore
Ts al bordo d’attacco al valore T ad una
distanza infinita. E’ interessante osservare come
anche il gradiente di temperatura diminuisce
all’aumentare di x. Ciò è una conseguenza della
riduzione del flusso termico conduttivo nella
direzione x dovuta alle continue perdite
convettive dalla superficie dell’aletta.

− sbarretta di lunghezza finita con superficie terminale adiabatica


Se la superficie terminale dell’aletta è adiabatica (ipotesi ragionevole per sbarrette
sottili) la seconda condizione al contorno da imporre è

Q ( x = L) = 0 (10.5.16)
che equivale alla condizione
 d  −mL
  = mC1e − mC2e = 0
mL
(10.5.17)
 dx L

Imponendo questa condizione al contorno insieme alla (10.5.11) si ottiene

e − mL
C1 =  0 (10.5.18)
e mL + e −mL

e mL
C2 =  0 (10.5.19)
e mL + e −mL
La soluzione cercata è quindi

0
 ( x) =
e mL
+e −mL
e −m ( L − x )
+ e m( L− x )  (10.5.20)
ovvero
cosh[ m( L − x)]
 ( x) = 0 (10.5.21)
cosh( mL)

− flusso termico disperso da un’aletta


Per calcolare il flusso termico disperso dalla superficie laterale di un’aletta è sufficiente
conoscere la distribuzione di temperatura lungo l’aletta. Il calcolo si può effettuare
applicando la legge di Newton

162
L L
Q =  Ph[T ( x) − T ]dx =  Ph ( x)dx (10.5.22)
0 0

o, più semplicemente, imponendo che il flusso termico disperso deve coincidere con il
flusso termico entrante nell’aletta per conduzione attraverso la sezione d’attacco

 dT   d 
Q = − KA  = − KA  (10.5.23)
 dx 0  dx 0

Nel caso della sbarretta di lunghezza infinita si ha

 d   d
 (
− mx 
)
 =   0 e  = −m 0 (10.5.24)
 dx  0  dx 0
e quindi
Q = KAm0 = 0 KAh (10.5.25)

Nel caso della sbarretta di lunghezza finita si ha

 d   d  cosh[ m( L − x)] 
  =   0  = − m 0 tanh(mL) (10.5.26)
 dx 0  dx  cosh( mL)  0
pertanto
Q = KAm0 tanh(mL) = 0 KAh tanh(mL) (10.5.27)

Va osservato come essendo tanh(2.3) = 0.98 tale equazione implica che l’aletta
disperde il 98% del flusso massimo che può disperdere (e cioè quello che disperderebbe
se fosse di lunghezza infinita) quando mL = 2.3 . Pertanto, in ogni caso, non è
conveniente costruire alette di lunghezza superiore a

2.3
L= (10.5.28)
m
− prestazione di un’aletta
Si è detto che le alette vengono utilizzate per incrementare il flusso termico disperso da
una parete incrementandone l’area della superficie di scambio. Tuttavia, va notato che
l’aggiunta del materiale dell’aletta introduce una resistenza termica conduttiva nel
processo globale di scambio termico parete-fluido. Pertanto, l’incremento atteso del
flusso termico, conseguente all’aumento della superficie di scambio, potrebbe essere
compromesso dall’aggiunta di tale resistenza. Una verifica dell’azione dell’aletta può
essere effettuata calcolando la prestazione  dell’aletta definita dal rapporto tra il flusso
termico disperso dall’aletta (Q ) e il flusso termico disperso dalla superficie senza aletta
(Q ) . Usando l’espressione del flusso termico disperso da un’aletta di lunghezza
infinita e tenendo conto che Q  è fornito dalla (10.5.1) si ha

163
Q 0 KAh K
= = = (10.5.29)
Q hA0 hA

L’uso dell’aletta è giustificato se   2 . Dalla (10.5.29) si evince che:


− Per fissati K , , h, A l’espressione  = K  / hA costituisce il limite superiore della
prestazione di un’aletta, limite che viene raggiunto per L →  ;
− La conducibilità termica dell’aletta deve essere elevata (vengono realizzate, infatti, in
rame, leghe di alluminio e ferro);
− Il rapporto tra il perimetro e l’area della sezione trasversale ( / h) deve essere
grande (condizione soddisfatte da sottili alette piane o da sottili alette a spillo);
− L’uso delle alette è più efficace in quelle applicazioni che comportano bassi
coefficienti di convezione h . Sono favorevoli, perciò, quando il fluido è un gas e lo
scambio avviene per convezione naturale. Sono assai meno convenienti, e di solito non
vengono usate, nella convezione termica con i liquidi.

− rendimento di un’aletta
Un altro parametro utile per quantificare la performance termica di un’aletta è il
rendimento  definito dal rapporto tra il flusso termico effettivamente scambiato
dall’aletta e quello ideale che l’aletta potrebbe dissipare se avesse conducibilità termica
infinita, vale a dire se avesse temperatura uniforme pari alla temperatura Ts della base
d’attacco. In quest’ultimo caso lo scambio termico dell’aletta sarebbe massimo (dal
momento che su ogni sezione si ha il massimo salto termico disponibile Ts − T ) e
varrebbe
Qmax = Lh (Ts − T ) = Af h0 (10.5.30)

Af = L essendo l’area della superficie laterale dell’aletta. Il rendimento dell’aletta


rimane definito pertanto come
Q
= (10.5.31)
Q max

Noto  , questa relazione consente di calcolare il calore disperso dall’aletta dal valore
della temperatura sulla sezione d’attacco (Ts )

Q = Af h (Ts − T ) = Af h0 (10.5.32)

Nel caso di una semplice aletta di sezione costante e lunghezza L con terminazione
adiabatica si ha
 KAh tanh(mL) tanh(mL)
= 0 = (10.5.33)
Lh0 mL

Questa relazione mostra che, all’aumentare della lunghezza dell’aletta, e quindi della

164
superficie di scambio, il rendimento decresce da 1 (per L → 0 ) a 0 (per L →  ). Ciò è
dovuto alla caduta di temperatura esponenziale lungo l’aletta che fa si che le porzioni di
aletta distanti dal bordo d’attacco dissipino poco calore, dal momento che la loro
temperatura differisce poco dalla temperatura del fluido. L’aumento della potenza
termica dissipata con la lunghezza dell’aletta è in contrasto perciò con la diminuzione
del suo rendimento. Oltre una certa lunghezza, l’aumento del costo associato
all’aggiunta di materiale non risulta più
economicamente vantaggioso.
Quando si calcola la potenza
termica dispersa da una superficie
alettata è necessario considerare anche
la porzione di superficie priva di alette.
Decomponendo allora l’area della
superficie totale di scambio (A) nella
somma della superficie complessiva
delle alette ( Af ) e della superficie
della base d’attacco non-alettata ( Ab )
si ha

Q = Ab h 0 + Af h0 (10.5.34)

che può essere anche scritta nella forma

 A 
Q = h[( A − Af ) + Af ] 0 = hA1 − f (1 −  ) 0 (10.5.35)
 A 

dove la quantità in parentesi quadra può essere considerata una efficienza globale della
superficie.
L’analisi del rendimento di alette di differenti geometrie mostra che le alette a
spillo con profilo triangolare hanno rendimenti più elevati delle alette a sezione costante

con profilo rettangolare. Il loro uso è quindi più vantaggioso rispetto alle prime in
quanto, a parità di flusso termico disperso, richiedono meno materiale. Rendimenti
ancora più elevati si ottengono con alette a spillo con profilo parabolico. Nel caso di
tubi, invece, vengono utilizzate alette anulari con profilo rettangolare. Anche in questi
casi è possibile applicare la (10.5.34) ma con valori di  e Af da determinare da grafici o
formule specifici della geometria considerata.

165
CAPITOLO 11

L’IRRAGGIAMENTO TERMICO
11.1 La radiazione termica
Il trasferimento di calore per conduzione e convezione richiede la presenza di un
gradiente di temperatura in un mezzo materiale (sia esso liquido, solido o aeriforme). Al
contrario, il trasferimento di energia per irraggiamento non richiede la presenza di
materia. Due sistemi a differente temperatura possono scambiare energia, e quindi
raggiungere l’equilibrio termico, anche se sono separati dallo spazio vuoto (che
preclude la conduzione e la convezione). Lo scambio di energia avviene in questo caso
come conseguenza della emissione di radiazione elettromagnetica (e.m.) dovuta ai moti
(oscillazioni, transizioni, etc.) degli elettroni contenuti nella materia. Questi moti sono
sostenuti dalla energia interna e, pertanto, dallo stato termico (temperatura) della
materia. Tutte le forme di materia emettono dunque radiazioni a T  0 K . L’intensità
della radiazione emessa dipende dal valore di temperatura e dalla natura del mezzo.
Per i gas l’emissione è un fenomeno volumetrico. Cioè, la radiazione emergente da
un volume finito di materia è la sovrapposizione delle emissioni locali che hanno luogo
in tutto il volume. Nei solidi e nei liquidi la radiazione emessa dalle molecole interne è
fortemente assorbita dalle molecole adiacenti. Di conseguenza, la radiazione emessa da
un solido o da un liquido si origina essenzialmente dalle molecole che si trovano
approssimativamente ad una distanza di 1 μm dalla superficie esposta. In questo caso
l’emissione è un fenomeno superficiale.

Indipendentemente dall’interpretazione della natura della radiazione e.m. (onde e.m. o


fotoni) è possibile attribuire ad essa una lunghezza d’onda ( ) e una frequenza ( f ) che
soddisfano alla relazione
 f =c (11.1.1)

c essendo la velocità di propagazione della radiazione nel mezzo considerato (nel vuoto
c = 2.998 108 ms −1 ).
Le radiazioni e.m. coprono un vastissimo campo di lunghezze d’onda che vanno da
−10
10 μm (raggi cosmici) a 1010 μm (onde radio). La radiazione a corta lunghezza
d’onda (raggi , raggi x, raggi UV) sono di interesse principalmente per la fisica delle
alte energie e la fisica nucleare. Le radiazioni a grande lunghezza d’onda competono
all’ingegneria dei campi e.m. Tra questi due estremi è compresa la banda di radiazione

167
che è di interesse per la trasmissione del calore. Essa si estende approssimativamente da
0.1 a 100 μm e comprende quindi:

• l’intera radiazione visibile (0.38 − 0.78 μm)


• l’intero IR (0.78 − 100 μm)
• parte dell’UV (0.1 − 0.38 μm)

La pelle del corpo umano percepisce tali radiazioni come sensazione di calore da cui il
termine radiazione termica per indicare questa parte dello spettro.
La luce visibile è composta da bande ristrette di colore che vanno dal violetto
(0.38 − 0.44 μm) al giallo-verde (0.555 μm) fino al rosso (0.65 − 0.78 μm) .
Il sole è la principale sorgente di radiazione termica. La radiazione solare è
compresa quasi tutta nella banda 0.1 − 3 μm . E’ quasi per il 50 % luce visibile e per la
parte rimanente (38 %) radiazione NIR ovvero radiazione nel “vicino” infrarosso
(1 − 3 μm) e radiazione UV ( 12 % ). Gli UV (dannosi per gli esseri umani) sono quasi
interamente assorbiti dallo strato di ozono (O3 ) presente nell’atmosfera.
Tutti i corpi a T ambiente emettono radiazione FIR ovvero nel “lontano”
infrarosso (4 − 40 μm) con un picco a circa 10 μm . Questa distinzione è importante in
quanto il comportamento dei materiali (in termini di emissione, assorbimento.
riflessione e trasmissione della radiazione) è diverso nei differenti campi di lunghezza
d’onda.

11.2. I coefficienti di assorbimento riflessione e trasmissione.


Per caratterizzare il comportamento di una superficie nei confronti della radiazione
incidente consideriamo un mezzo semitrasparente (ad es. uno strato di acqua o una
lastra di vetro) ed indichiamo con G ( ) la potenza radiante monocromatica (di
lunghezza d’onda compresa nell’intervallo unitario centrato intorno a  ) intercettata

dall’unità di superficie del mezzo (Wm −2μm −1 ) . L’esperienza insegna che parte della
radiazione incidente sarà riflessa, parte sarà assorbita e parte sarà trasmessa. Dette
perciò Gr ( ) , Ga ( ) e Gt ( ) le potenze rispettivamente riflessa, assorbita e

168
trasmessa, i coefficienti di riflessione, assorbimento e trasmissione monocromatici della
superficie rimangono definiti come

Gr ( ) G ( ) G ( )
  ( , T , x ) =  ( ,T , x) = a   ( ,T , x) = t (11.2.1)
G ( ) G ( ) G ( )

dove è stato indicato espressamente che i coefficienti dipendono, oltreché dalla


lunghezza d’onda ( ) della radiazione incidente e dalla temperatura (T ) del corpo
anche dalla sua natura chimico-fisica e dal suo stato superficiale (parametri indicati
globalmente con x ) . Ovviamente, i coefficienti non dipendono dalla grandezza del
flusso incidente, pur potendo dipendere dalla direzione di incidenza della radiazione.
Nella maggior parte delle applicazioni ingegneristiche, però, è desiderabile lavorare con
proprietà superficiali che rappresentino valori medi su tutte le direzioni. Pertanto rimane
sottinteso che tali coefficienti sono coefficienti spettrali emisferici.
Imponendo la conservazione dell’energia deve risultare

Gr ( ) + Ga ( ) + Gt ( ) = G ( ) (11.2.2)

Dividendo ambo i membri per G ( ) segue allora che i coefficienti (11.2.1) devono
soddisfare sempre alla relazione

 ( ,T , x) +  ( ,T , x) +   ( ,T , x) = 1 (11.2.3)

Se l’energia incidente ha spettro continuo (1    2 ) la superficie sarà sottoposta ad


un flusso di radiazione incidente totale
2
G =  G ( ) d (11.2.4)
1

In questo caso si è spesso interessati a descrivere il comportamento medio del mezzo


sull’intervallo di lunghezze d’onda considerato e vengono definiti i coefficienti di
riflessione assorbimento e trasmissione globali con le relazioni
2 2 2

 Gr ( )d
1
 Ga ( )d
1
 Gt ( )d
1
 (T , x ) = 2
 (T , x ) = 2
 (T , x ) = 2 (11.2.5)
 G ( )d
1
 G ( )d
1
 G ( )d
1

risultando in questo caso dipendenti dalla distribuzione spettrale della radiazione


incidente pur dovendo verificare sempre la relazione

 (T , x) +  (T , x) +  (T , x) = 1 (11.2.6)

169
L’assorbimento della radiazione è dovuto agli effetti dissipativi che si originano quando
il campo elettromagnetico associato alla radiazione compie lavoro sulle particelle
cariche del mezzo spostandole dalle loro posizioni di equilibrio. A differenza dei
processi di riflessione e trasmissione che non producono alcun effetto sul mezzo,
l’assorbimento causa un incremento dell’energia interna del mezzo.
Le caratteristiche di riflessione delle superfici (unitamente alle proprietà di
assorbimento e alla distribuzione spettrale della radiazione incidente) determinano i
colori degli oggetti. Una colorazione dominante deriva da una elevata riflessione a
quella lunghezza d’onda ed elevati assorbimenti a tutte le altre lunghezze d’onda. La
neve, ad esempio, ha elevati   nel campo del visibile (appare bianca) mentre nel NIR
ha grandi   ( si scioglie al sole). Anche la vernice bianca ha grandi   nel campo del
visibile. La vernice nera, invece, ha elevati   su tutto lo spettro. Un film di alluminio
depositato per evaporazione ha altissimi coefficienti di riflessione (    1) e viene usato
per la costruzione di specchi astronomici.

La riflessione è fortemente influenzata dallo stato della superficie (rugosità) che


può dar luogo a due casi limite. Il primo caso è quello della riflessione speculare
(angolo di riflessione uguale a quello di incidenza) che si verifica quando la superficie è
liscia (altezza media delle rugosità  0.1  ) . Il secondo caso limite è quello della
riflessione diffusa (radiazione riflessa uniformemente in tutte le direzioni dello spazio)
che si verifica quando la superficie è rugosa (altezza media delle rugosità  2  ) . Le
superfici reali presentano un comportamento intermedio tra lo speculare e il diffuso.
Nella maggior parte della applicazioni ingegneristiche è plausibile assumere riflessione
di tipo diffuso.
In molti casi lo strato di materiale sottoposto all’irraggiamento non presenta alcuna
componente trasmessa della radiazione

 = 0   +  = 1 (11.2.7)

Si dice in tal caso il mezzo è opaco e i processi di assorbimento e riflessione possono


essere considerati come due fenomeni superficiali (hanno luogo generalmente entro
1 μm dalla superficie). Una superficie viene definita selettiva se presenta un
comportamento alla trasmissione notevolmente diverso nei diversi campi di lunghezza
d’onda. Un tipico materiale selettivo è il vetro a basso contenuto di ferro. Esso è
trasparente alle radiazioni visibili e del primo infrarosso (0.3 − 3 μm) , dove viene

170
emesso oltre il 90 % della radiazione solare, mentre è opaco alle radiazioni a più
elevata lunghezza d’onda ( FIR ), emesse dalle superfici a temperatura ambiente. Da ciò
si origina il ben noto effetto serra in ambienti chiusi con ampie vetrate.

11.3 Intensità di radiazione


La distribuzione direzionale della radiazione emessa da una superficie viene descritta
dalla grandezza intensità di radiazione. Consideriamo un elemento di superficie dA che
emette radiazione e un sistema di coordinate sferiche centrato sull’elemento stesso. Sia

poi dAn una superficie infinitesima posta a una distanza r da dA e normale al raggio
stesso. Se la direzione di dAn è individuata dall’angolo zenitale  e dall’angolo
azimutale  essa “vedrà” dA come una superficie “apparente” (e cioè proiettata
normalmente al raggio) di area dA cos( ) . La potenza radiante monocromatica dW
che, emessa da dA , viene intercettata da dAn coincide ovviamente con quella che
“viaggia” nell’angolo solido d  sotteso da dAn quando vista da dA :

dAn
d = = sin ( )d d (11.3.1)
r2

Si definisce allora intensità monocromatica della radiazione emessa dall’elemento dA


la potenza monocromatica emessa nella direzione ( , ) , per unità di superficie
emittente apparente e per unità di angolo solido d  :

dW
I  ( , ) = (Wm −2str−1μm −1 ) (11.3.2)
dA cos( )d

171
L’intensità integrale, ovvero l’intensità emessa a tutte le lunghezze d’onda, si ottiene
integrando I  sulla banda di lunghezze d’onda di interesse:

2
dW
I ( , ) =  I  d = (Wm −2str−1 ) (11.3.3)
1
dA cos( )d
dove
2
dW =  dW d (11.3.4)
1

A partire dall’intensità è possibile definire numerose altre grandezze fisiche. Nel seguito
si farà riferimento alle grandezze monocromatiche con l’avvertenza che per ottenere le
corrispondenti grandezze integrali è sufficiente integrare sulla banda di lunghezze
d’onda di interesse

Potenza totale emessa


Dalla (11.3.2) segue che la potenza monocromatica emessa nella direzione ( , ) vale

dW = I  dA cos( )d (11.3.5)

e quindi la potenza emessa in tutte le direzioni (nell’intera emisfera) vale (tenendo conto
che d = sin( )d d )
2  /2
W =  d  I  dA sin( ) cos( )d (11.3.6)
0 0

Se l’intensità è costante, ovvero se è indipendente dalla direzione di emissione ( , ) , si


dice che l’emissione è di tipo diffuso e la superficie viene definita Lambertiana. In tal
caso l’integrale (11.3.6) conduce a un risultato semplice

2  /2
 I  dA  / 2
W = I  dA  d  sin( ) cos( )d =  sin(2 )d (2 ) = I  dA (11.3.7)
0 0
2 0

Potere emissivo
Si definisce potere emissivo la potenza emessa nell’intero semispazio dall’unità di
superficie emittente. Per una superficie Lambertiana dalla (11.3.7) segue direttamente

e =  I  (11.3.8)
Irradiazione
Data una superficie radiante dA e una superficie ricevente dAr si definisce irradiazione
la potenza radiante intercettata dall’unità di area di superficie ricevente. In pratica, detta
dW la potenza incidente sulla superficie dAr , l’irradiazione rimane definita dalla
relazione

172
dW
G = (11.3.9)
dAr

L’espressione di G in funzione di I  verrà calcolata nella sezione 11.8.

11.4 La legge di Kirchhoff


Nella sezioni precedenti si è visto che le proprietà di emissione ed assorbimento di una
assegnata superficie (di caratteristiche chimico-fisiche x ) vengono quantificate
rispettivamente tramite il potere emissivo monocromatico

e ( ,T , x) (Wm −2μm −1 ) (11.4.1)

(potenza emessa alla lunghezza d’onda  dall’unità di superficie mantenuta alla


temperatura T ) e il coefficiente di assorbimento monocromatico

  ( , T , x ) (11.4.2)

(frazione della potenza incidente di lunghezza d’onda  assorbita dalla superficie


mantenuta alla temperatura T ).
Le funzioni (11.4.1) e (11.4.2), e cioè le proprietà di emissione e assorbimento di
una superficie, sono strettamente correlate.
Kirchhoff dimostrò, infatti, che per ogni
superficie il rapporto

e ( ,T , x)
= ( ,T ) (11.4.3)
  ( , T , x )

è una funzione universale  delle variabili  ,T


indipendente dalla natura (x ) della superficie
che si sta considerando. Tale relazione è nota
come legge di Kirchoff ed è una conseguenza del
II Principio.
Per dimostrare la (11.4.3) consideriamo una cavità a pareti adiabatiche mantenute
alla temperatura T ed all’interno della quale siano presenti dei piccoli corpi.
All’equilibrio termico tutti i corpi devono trovarsi alla medesima temperatura T della
cavità. In questa situazione lo scambio netto di energia che un corpo realizza con gli
altri corpi e con le pareti della cavità deve essere nullo.
La superficie A1 , ad esempio, emetterà alla lunghezza d’onda  la potenza

e1 ( ,T , x1 ) A1 (11.4.4)

173
ed assorbirà, sempre alla stessa lunghezza d’onda, la potenza

1 ( ,T , x1 ) A1G (11.4.5)

G essendo l’irradiazione che, per ragioni di simmetria, è uniformemente distribuita su


tutte le possibili direzioni di incidenza. Il bilancio energetico impone che

e1 ( ,T , x1 ) A1 − 1 ( ,T , x1 ) A1G = 0 (11.4.6)


ovvero
e1 ( ,T , x1 )
= G (11.4.7)
 1 ( ,T , x1 )

Non rimane ora che dimostrare che la potenza incidente G dipende solo dalle variabili
 ,T e non dalle caratteristiche chimico fisiche della cavità o dalla sua geometria (ossia
è uguale per tutte le cavità mantenute alla temperatura T ). Se ciò non fosse vero si
poterebbe pensare di inserire in una cavità contenente solo due corpi dei filtri alla
radiazione in modo da far passare dalla sezione 1 alla sezione 2 solo le lunghezze
d’onda che, emesse da 1 , vengono minimamente assorbite da 2 e, viceversa, dalla
sezione 2 alla sezione 1 le lunghezze d’onda che, emesse da 2 , vengono
massimamente assorbite da 1 . Conseguentemente, si
rileverebbe un riscaldamento del corpo 1 e un
raffreddamento del corpo 2, ovvero si osserverebbe un
trasferimento spontaneo di calore da un corpo più
freddo ad uno più caldo, in netta violazione del II
Principio.
Resta così dimostrato che la funzione G dipende
solo dalle variabili  ,T . Poiché la superficie A1 è
completamente arbitraria se ne conclude che il
rapporto tra il potere emissivo e il coefficiente di
assorbimento monocromatico è uguale per tutte le superfici contenute nella cavità ed è
pari ad una funzione universale delle variabili  ,T :

e1 ( ,T , x1 ) e1 ( ,T , x2 ) e1 ( ,T , x3 ) E ( , T )


= = =    = N = ( ,T ) (11.4.8)
1 ( ,T , x1 ) 1 ( ,T , x2 ) 1 ( ,T , x3 ) 1

L’ultimo di questi rapporti è formato con i valori del potere emissivo e del coefficiente
di assorbimento monocromatici di una superficie che ha la proprietà di assorbire
totalmente tutta la radiazione incidente, indipendentemente dalla lunghezza d’onda e
dalla direzione di incidenza:
N = cost = 1 (11.4.9)

174
Un corpo caratterizzato da questa proprietà prende il nome di corpo nero e dalla
(11.4.8) segue che la funzione universale deve coincidere con il potere emissivo di tale
corpo.
( ,T )  EN ( ,T ) (11.4.10)

Scrivendo la legge di Kirchoff nella forma

e ( ,T , x) = EN ( ,T ) ( ,T , x) (11.4.11)

si deduce che tanto più grande è il coefficiente di assorbimento di un corpo tanto


maggiore è il suo potere emissivo. Un corpo, cioè, che ha più facilità ad assorbire
radiazione di determinata lunghezza d’onda ha anche più capacità ad emetterla ed il
valore massimo di e si ha per  = 1 , cioè, quando il corpo è nero. Il corpo nero,
dunque, è non soltanto un perfetto assorbitore di radiazione, ma anche un perfetto
emettitore. Per ogni temperatura e per ogni lunghezza d’onda esso emette ed assorbe la
quantità massima possibile di radiazione. In particolare, il corpo nero pone un limite
superiore all’emissione di radiazione, in accordo con il II principio della termodinamica.

11.5 Il corpo nero


Poiché il corpo nero è il perfetto emettitore di radiazione conviene riferire ad esso le
proprietà radiative delle superfici reali. L’interesse verso questo sistema è motivato,
d’altro canto, da altre due ragioni:
− Nota la funzione universale EN ( ,T ) , è possibile ottenere il potere emissivo di una
superficie (sperimentalmente difficile da ottenere) dal
coefficiente di assorbimento monocromatico
(sperimentalmente più facile da determinare) in base
alla relazione (11.4.11);
− E’ possibile realizzare concretamente un sistema
fisico che si comporti con ottima approssimazione
con un corpo nero e quindi la funzione universale
EN ( ,T ) può essere misurata sperimentalmente.
Una cavità a pareti metalliche ben opache in cui
sia praticato un foro di piccole dimensioni costituisce
un corpo nero. Tutte le radiazioni che incidono sulla
superficie del foro, infatti, entrano nella cavità e,
dopo qualche riflessione, vengono assorbite dalle
pareti incrementandone l’energia interna. Nei confronti della radiazione incidente,
pertanto, la superficie del foro si comporta da corpo nero in quanto “assorbe” radiazioni
di qualunque frequenza e per qualsiasi angolo di incidenza. Analogamente, se le pareti
della cavità sono mantenute alla temperatura T , la radiazione emessa dalle superfici
interne uscirà dall’apertura dopo riflessioni multiple in modo diffuso. Tale radiazione
deve avere la distribuzione spettrale del corpo nero. Immaginiamo, infatti, di inserire

175
all’interno della cavità un piccolo corpo nero. All’equilibrio termico il bilancio
dell’energia impone che
EN ( ,T ) AN − N AN G = 0 (11.5.1)

G essendo l’irradiazione sulla superficie del piccolo corpo nero.


Tenendo conto allora che N = cost = 1 si ricava

EN ( ,T ) = G ( ,T ) (11.5.2)

Dunque, il foro si comporta anche da perfetto emettitore di radiazione diffusa e


costituisce a tutti gli effetti una superficie nera.
Dalle misure sperimentali del potere emissivo di un corpo nero si rileva che
− La radiazione emessa è una funzione continua della lunghezza d’onda  . Ad ogni
fissata temperatura EN aumenta con  fino ad esibire un massimo e quindi decresce;
− Per una fissata lunghezza d’onda EN aumenta con la temperatura;
− All’aumentare della temperatura il massimo della emissione si sposta verso lunghezze
d’onda più piccole. Alla temperatura di circa 5800 K (superficie esterna del sole) il

massimo della emissione si ha a  = 0.555 μm ed il 50% della radiazione emessa cade


nel visibile. Per T  800 K la radiazione emessa cade prevalentemente nell’infrarosso e
non è visibile all’occhio umano.
Le caratteristiche di emissione del corpo nero sono compendiate in tre leggi

176
fondamentali
− La legge di Planck
La distribuzione spettrale della radiazione di corpo nero non può essere dedotta sulla
base dell’elettromagnetismo classico. Essa fu determinata per la prima volta da Planck
ipotizzando la quantizzazione della radiazione e.m. Ammettendo, cioè, che i processi di
emissione e assorbimento della radiazione da parte della materia avvengono, per una
determinata frequenza f , solo per multipli interi della quantità finita

c
hf = h (11.5.3)

denominata quanto di radiazione o fotone (dove h = 6.6256 10−34 Js è la costante di


Planck), egli dedusse la seguente funzione per EN ( ,T )

C1
EN ( ,T ) = (11.5.4)
 [exp(C2 / T ) − 1]
5

dove C1 = 3.742 108 W μm 4 m−2 e C2 = 1.439 104 μm K . Tale formula, nota come
formula di Planck, è in grado di descrivere e riprodurre tutte le caratteristiche
sperimentali della radiazione di corpo nero.

− La legge dello spostamento di Wien


Descrive la dipendenza dalla temperatura della lunghezza d’onda max cui avviene il
massimo della emissione. La relazione funzionale tra le due grandezze è

maxT = cost (= 2897.8 μm K) (11.5.5)

nota come legge dello spostamento di Wien. Si noti come la diminuzione di max con la
temperatura implica, in base alla (11.5.3) che i fotoni emessi abbiano maggiore energia.

− La legge di Stefan Boltzmann


Il potere emissivo integrale del corpo nero, ovvero la potenza emessa a tutte le
lunghezze d’onda per una temperatura assegnata, si ottiene integrando la legge di
Planck sull’intera banda di lunghezze d’onda. Il risultato è

 
C1
EN (T ) =  EN ( ,T )d =  d =  0T 4 (11.5.5)
0 0
 5
[exp( C2 / T ) − 1]

dove  0 , la costante di Boltzmann, vale 5.670 10−8 Wm −2 K−4 . La (11.5.5) prende il


nome di legge di Stefan Boltzmann e informa che il potere emissivo integrale è
proporzionale alla quarta potenza della temperatura. Graficamente E N corrisponde
all’area sottesa dalla curva EN ( ,T ) .

177
Spesso si è interessati a calcolare la potenza radiante emessa da un corpo nero su una
ristretta banda di lunghezze d’onda (ad esempio per 1    2 ). Poiché l’integrazione
dell’equazione di Planck non è semplice, per effettuare calcoli di questo tipo è stata
definita una quantità adimensionale, detta
funzione di radiazione di corpo nero, come
la frazione della radiazione totale del corpo
nero compresa nell’intervallo di lunghezze
d’onda 0 −  :

 E N (  , T ) d
F0− = 0
(11.5.6)
 0T 4

I valori di F0− sono stati calcolati in


funzione di T e tabulati. Si ha
evidentemente

F1 −2 = F0−2 − F0−1 (11.5.7)

Va notato, infine, come poiché una


superficie nera emette in modo diffuso,
sussistono in base alla (11.3.8) le seguenti
semplici relazioni tra potere emissivo e
intensità

EN =  I N EN =  I N (11.5.8)

11.6 Emissione delle superfici reali: il corpo grigio


L’ emissione di una superficie reale differisce sostanzialmente da quelle di un corpo
nero. L’energia emessa dalle superfici reali, infatti, è sempre inferiore a quella di una
superficie nera. Inoltre, la distribuzione spettrale della radiazione emessa dalle superfici
reali non segue un andamento regolare quale quello descritto dalla legge di Planck, ma
varia in modo irregolare con la lunghezza d’onda. Infine, la potenza irradiata dipende
dalla direzione in quanto l’emissione non è generalmente di tipo diffuso.
Per semplificare lo studio delle proprietà di emissione delle superfici reali queste
ultime vengono descritte facendo riferimento al corpo nero. Si definisce allora
emissività di una superficie reale il rapporto tra il potere emissivo monocromatico e il
potere emissivo di un corpo nero alla stessa temperatura:

e ( ,T , x)
  ( , T , x ) = (11.6.1)
EN ( ,T )

178
Il parametro   (che assume valori compresi tra 0 e 1) costituisce dunque una misura di
quanto una superficie reale approssima un corpo nero per il quale   = 1 . Facendo il
confronto della (11.6.1) con la (11.4.8) segue che è possibile scrivere la legge di
Kirchoff nella forma
  (,T , x) =   ( ,T , x) (11.6.2)

Per qualunque superficie, dunque, l’emissività monocromatica coincide con il


coefficiente di assorbimento monocromatico.
Analogamente, l’emissività integrale è definita dal rapporto tra il potere emissivo
integrale della superficie e il potere emissivo integrale del corpo nero

 

e(T , x )  e ( ,T , x)d  E N ( ,T )  ( ,T , x ) d
 (T , x ) = = 0
= 0
(11.6.3)
EN (T ) 
 0T 4
 E
0
N ( ,T ) d

Va osservato come la legge di Kirchoff (11.6.2), sempre valida quando si confrontano le


emissività e i coefficienti di assorbimento monocromatici, non è in generale verificata
per le corrispondenti grandezze integrali. Dalla definizione di coefficiente di
assorbimento integrale segue infatti

 

  ( ,T , x)G ( )d    ( ,T , x)G ( )d


 (T , x ) = 0

= 0

(11.6.4)
 G ( )d
0
 G ( )d
0

che mostra come  dipenda dalle caratteristiche spettrali della radiazione incidente
G ( ) e quindi in generale si ha (   ) . Ciò succede, in definitiva, poiché la
superficie può assorbire certe lunghezze d’onda meglio di altre. Pertanto, l’assorbimento
totale dipenderà dalla distribuzione spettrale della radiazione incidente. In generale il
valore di assorbimento di una superficie esposta alla radiazione solare ( s ) può
differire apprezzabilmente dal valore relativo all’esposizione alla radiazione di grande
lunghezza d’onda emessa da sorgenti a temperatura più bassa. Per questo motivo, per
studiare l’effetto della radiazione sui vari materiali, si valuta separatamente il
coefficiente di assorbimento nel campo delle lunghezze d’onda corte, relative allo
spettro solare (  4 μm) , e nel campo a grandi lunghezze d’onda, tipico
dell’irraggiamento termico dei corpi a temperatura ambiente (  4 μm) . Il rapporto
 s /  costituisce un importante parametro ingegneristico. Piccoli valori del rapporto
sono preferibile per superfici refrattarie alla radiazione solare. Grandi valori del
rapporto sono richiesti invece per superfici da impiegare in collettori solari.
Dalla (11.6.4) si può dedurre che solo nel caso in cui l’emissività monocromatica di

179
una superficie reale è indipendente da  la legge di Kirchoff è verificata anche per i
coefficienti integrali:
 =   =  =  (11.6.5)

Si è detto che la distribuzione spettrale del potere emissivo di una superficie reale si
discosta in genere dalla legge di Planck e varia in modo irregolare con la lunghezza
d’onda. Ciò implica che anche la dipendenza della emissività dalla lunghezza d’onda
presenta variazioni irregolari e pronunciate. Per questo motivo nei calcoli di scambio
termico radiativo si preferisce sostituire il
corpo reale, che presenta un andamento
irregolare di   , con un corpo ideale di
emissività costante  (indipendente dalla
lunghezza d’onda) e che emette in modo
diffuso la stessa potenza radiante. Una
tale superficie ideale prende il nome di
superficie grigia. La (11.6.5) mostra che
il valore medio costante di  coincide
con l’emissività integrale della superficie
reale e può essere calcolato con la
(11.6.3).
Per una superficie grigia la relazione
(11.6.1) assume la forma

e ( ,T , x) = En ( ,T ) (T , x) (11.6.6)

da cui si evince che la curva di emissione di una superficie grigia ha la stessa forma di
quella di una superficie nera, ma l’altezza è ridotta del fattore numerico della emissività.
Quasi tutti i metalli hanno valori piuttosto bassi di emissività (0.02) a meno che
non siano ossidati (0.1, 0.5) . La maggior parte delle sostanze non-metalliche hanno
emissività che sono invece piuttosto alte (>0.6) ed approcciano quelle di un corpo nero.

11.7 Sorgenti di radiazione termica


Si è già detto che il Sole rappresenta la principale sorgente di radiazione termica. La
distribuzione spettrale della radiazione solare approssima quella di un corpo nero a 5800
K, l’emissione essendo concentrata tutta nella regione di bassa lunghezza d’onda
(0.1 − 3 μm) dello spettro con un picco di emissione a 0.555 μm .
L’irradiazione prodotta dal sole su una superficie piana posta all’esterno
dell’atmosfera terrestre quando la Terra è alla sua distanza media dal sole (150106 km)
prende il nome di costante solare e vale

SC = 1353 Wm −2 (11.7.1)

180
Al suo ingresso nell’atmosfera (  30 km dalla superficie terrestre) la radiazione solare
subisce significativi cambiamenti in intensità, direzione e distribuzione spettrale a causa
dei fenomeni di assorbimento e diffusione.
L’assorbimento di radiazione da parte dell’ozono stratosferico (O3 ) è efficace
soprattutto sulla radiazione ultravioletta che viene assorbita quasi interamente. Ozono e
ossigeno sono anche responsabili di un modesto assorbimento di radiazione visibile
mentre l’assorbimento della radiazione infrarossa è dominato dal vapore d’acqua e dal
biossido di carbonio. Anche polveri ed aerosols producono assorbimento di radiazione.
I processi di diffusione (scattering) che hanno luogo nell’atmosfera hanno l’effetto
di operare una redistribuzione della direzione della radiazione. Essi sono di due tipi.
Nello scattering Rayleigh (o molecolare) le molecole diffondono uniformemente la
radiazione in tutte le direzioni. A causa di ciò approssimativamente metà della
radiazione diffusa viene rinviata verso lo spazio mentre la porzione rimanente giunge
alla superficie terrestre da tutte le direzioni. In contrasto, nello scattering Mie, operato
dalle particelle di aerosol e polvere, la direzione della radiazione diffusa è prossima a
quella dei raggi incidenti.
La parte di radiazione che attraversa l’atmosfera senza essere diffusa o assorbita è
nella direzione dell’angolo zenitale ed è chiamata radiazione diretta. Da quanto detto
sopra si capisce come il valore dell’irradiazione solare diretta dipende dalla massa d’aria
attraversata (e quindi, per una certa località, dall’angolo di altezza solare al momento di
osservazione) In un giornata completamente serena e con il Sole allo zenith
l’irradiazione globale diretta al livello del mare vale al massimo

GD = 950 Wm −2 (11.7.2)

All’irraggiamento solare diretto va a sommarsi il contributo dovuto alla radiazione


solare diffusa, Gd , che raggiunge la superficie terrestre da tutte le direzioni.
L’irradiazione diffusa varia da circa il 10 % dell’irradiazione totale (diretta più diffusa)
in una giornata serena a quasi il 100 % in una giornata completamente nuvolosa.
Il Sole non è l’unica sorgente di radiazione termica. Quest’ultima si origina anche
dall’emissione nella banda dell’infrarosso della superficie della Terra e della volta
celeste.
La radiazione solare viene assorbita dalla superficie terrestre (terreno e oggetti
dell’ambiente) che conseguentemente si riscalda e riemette radiazioni termiche. A
temperature ordinarie tale radiazione consiste di radiazioni IR di lunghezza d’onda
compresa nell’intervallo 4 − 40 μm con un picco a 10 μm . Il potere emissivo associato
può essere calcolato con la formula
et =  t 0Tt 4 (11.7.3)

dove  t e Tt sono rispettivamente l’emissività superficiale ( 1) e la temperatura del


terreno.
Anche l’atmosfera si comporta da sorgente di radiazioni termiche. L‘emissione
atmosferica (essenzialmente da molecole di CO2 e H2O) è concentrata nella regione
spettrale 5 − 8 μm ed al di sopra di 13 μm . Benché la distribuzione spettrale di questa

181
radiazione non corrisponda a quella di un corpo nero il suo contributo all’irradiazione
della superficie terrestre viene descritto con una relazione del tipo

Gsky =  0Tsky
4
(11.7.3)

dove Tsky è la temperatura effettiva della volta celeste. Il suo valore può variare da un
valore minimo di 230 K in un giornata invernale limpida e fredda ad un valore
massimo di 285 K in una giornata nuvolosa estiva.
Va osservato come la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre cade
nella banda di assorbimento del biossido di carbonio e del vapore d’acqua. Pertanto, la
maggior parte di questa radiazione viene assorbita dall’atmosfera e reirradiata verso la
superficie terrestre. Questo fenomeno prende il nome di “effetto serra” (“greenhouse
effect”) in quanto richiama la trasmissione dell’energia solare attraverso il vetro.
L’entità di tale effetto dipende dalla concentrazione dei gas assorbenti dell’atmosfera.
L’incremento della concentrazione di CO2 negli ultimi due secoli causato dei processi di
combustione può squilibrare il bilancio tra energia ricevuta ed energia emessa dalla
superficie della Terra con diminuzione della potenza energetica dispersa dalla Terra e
conseguentemente aumento della temperatura media dell’atmosfera.

11.8 Scambio termico tra due superfici nere


Lo scambio termico per irraggiamento tra differenti superfici dipende essenzialmente,
oltre che dalla temperatura e dalle proprietà radiative delle superfici, dalle loro
caratteristiche geometriche e dalla orientazione relativa.

Il calcolo dello scambio termico tra due superfici nere, ad esempio, si riduce alla
determinazione di grandezze puramente geometriche note col nome di fattori di vista. Il
calcolo è semplificato dal fatto che per superfici nere non vi è riflessione. Pertanto,
l’energia che lascia una superficie è solo quella emessa e tutta la radiazione incidente è
assorbita.
Consideriamo due superfici nere di area A1 ed A2 mantenute a temperature uniformi

182
T1 e T2 . Individuiamo sulle due superfici due elementi infinitesimi di area dA1 e dA2
orientati arbitrariamente nelle direzioni individuate dagli angoli 1 e  2 che le normali
alle superfici formano con la retta che le congiunge. Il flusso termico netto scambiato
sarà pari alla differenza tra la potenza che, emessa dalla superficie A1 , viene intercettata
da A2 e la potenza che, emessa da A2 , viene intercettata da A1 . Dalla definizione di
intensità segue che la potenza emessa da dA1 e che è intercettata da dA2 è

dW12 = I N 1dA1 cos1d21 (11.8.1)

d 21 essendo l’angolo solido sotteso da dA2 quando visto da dA1 . Osservando che dA2
è vista da dA1 come una superficie apparente dA2 cos 2 si ha

dA2 cos  2
d21 = (11.8.2)
R2

Sostituendo questa relazione nella (11.8.1) si ottiene

cos 1 cos  2
dW12 = I N 1 dA1dA2 (11.8.3)
R2

Si noti, incidentalmente, come dividendo ambo i membri di questa relazione per dA2 si
ottiene l’irradiazione prodotta da dA1 su dA2

dW12 cos 1 cos  2


G2 = = I N1 dA1 (11.8.4)
dA2 R2

Ritornando alla (11.8.3), va considerato che una superficie nera ha una emissione
diffusa ( I N 1 = EN 1 /  ) e pertanto può essere scritta nella forma

EN 1 cos 1 cos  2
dW12 = dA1dA2 (11.8.5)
 R2

La potenza emessa dall’intera superficie A1 ed incidente su A2 vale pertanto

EN 1 cos 1 cos  2
W12 = 
 A1 , A2 R2
dA1dA2 (11.8.6)

e quindi la frazione della potenza totale emessa dalla superficie A1 ed incidente su A2 è

183
W12 1 cos 1 cos  2
F12 = = 
EN 1 A1  A1 A1 , A2 R2
dA1dA2 (11.8.7)

Tale quantità dipende da soli parametri geometrici e prende il nome di fattore di vista
della superficie A1 rispetto alla superficie A2 . La (11.8.6) si può dunque scrivere in
forma compatta come
W12 = F12EN 1 A1 (11.8.8)

Analogamente, la potenza emessa da A2 e che è intercettata da A1 si può esprimere


come
W21 = F21 A2 EN 2 (11.8.9)

F21 essendo il fattore di vista della superficie A2 rispetto alla superficie A1

W21 1 cos 1 cos  2


F21 = =
EN 2 A2  A2 
A1 , A2
R2
dA1dA2 (11.8.10)

dal confronto della (11.8.7) con la 11.8.10) si ricava facilmente

A1 F12 = A2 F21 (11.8.11)

nota come relazione di reciprocità. Il flusso termico netto scambiato tra due superfici
nere vale pertanto:
.
Q12 = W12 − W21 = A1F12 EN1 − A2 F21 EN 2 (11.8.12)

ovvero, tenendo conto della relazione di reciprocità e della legge di Stefan-Boltzmann

.
Q12 = F12 A1 0 (T14 − T24 ) = F21A2 0 (T14 − T24 ) (11.8.13)

In definitiva, la determinazione dello scambio termico tra superfici nere si riduce ad un


problema geometrico che consiste nella valutazione dei fattori di vista relativi alla
posizione reciproca delle superfici stesse.
Per il calcolo dei fattori di vista è utile far riferimento, in aggiunta alla relazione di
reciprocità, alle seguenti proprietà:

−Proprietà di chiusura
Se N superfici costituiscono una cavità chiusa allora, detto Fij il fattore di vista della
generica superficie i rispetto alla generica superficie j , risulta

 Fij = 1
j =1
(11.8.14)

184
Questa relazione è una conseguenza della conservazione dell’energia e indica
semplicemente che tutta la radiazione che lascia la superficie i deve essere intercettata
dalle altre superfici. Il termine Fii rappresenta la frazione di energia che lascia la
superficie i e che è intercettata dalla stessa. Si ha quindi Fii = 0 per superficie piana o
convessa e Fii  0 per superficie concava.

− Suddivisione della superficie ricevente


Data una superficie emittente Ai ed una superficie ricevente A j composta da N parti di
area Ak allora
N
Fij =  Fik (11.8.15)
k =1

Questa relazione stabilisce semplicemente che la radiazione che raggiunge una


superficie composta è la somma della radiazione che raggiunge le sue parti.

− Suddivisione della superficie emittente.


Moltiplicando ambo i membri della relazione precedente per l’estensione della
superficie emittente Ai si ha
N
Ai Fij =  Ai Fik (11.8.16)
k =1

e quindi applicando la relazione di reciprocità ad ambo i membri

N
A j F ji =  Ak Fki (11.8.17)
k =1
da cui

185
N
A F k ki
F ji = k =1
(11.8.18)
Aj

Questa relazione può essere applicata quando la superficie emittente si compone di


diverse parti.

11.9 Scambio termico tra superfici grigie


Nel caso di superfici reali il problema della valutazione del flusso termico scambiato
diviene più complesso in quanto esse possono riflettere ed assorbire parzialmente la
radiazione incidente. In generale, inoltre, le loro proprietà radiative dipendono in
maniera complessa dalla lunghezza d’onda e dalla direzione. Per semplificare lo studio
dello scambio termico radiativo, allora, si impiega usualmente l’approssimazione di
superficie grigia.
Consideriamo allora due superfici grigie e opache di estensione A1 ed A2 e
temperatura T1 e T2 . Ognuna di esse, in
generale, emetterà e rifletterà radiazione
per cui la potenza radiante totale uscente
dalla unità di superficie di A1 si compone
sia del contributo della emissione diretta
(e1 = 1EN 1 ) sia di quello della riflessione
di una parte dell’irradiazione (generata da
A2 ) incidente su di essa ( 1G1 ) . Questo flusso totale uscente prende il nome di
radiosità e vale
J1 = 1EN 1 + 1G1 (11.9.1)

Poiché, per ipotesi, la superficie A1 è grigia e opaca risulta

1 = 1 1 = 1 − 1 = 1 − 1 (11.9.2)
e la (11.9.1) diventa
J1 = 1 EN1 + (1 − 1 )G1 (11.9.3)

Il flusso termico totale che lascia la superficie A1 vale pertanto

W1 = A1J1 = A1[1EN 1 + (1 − 1 )G1 ] (11.9.4)

e la parte di questa radiazione che viene intercettata da A2 è

W12 = A1F12 J1 = A1F12[1EN 1 + (1 − 1 )G1 ] (11.9.5)

186
Analogamente, la potenza radiante uscente da A2 ed intercettata da A1 vale

W21 = A2 F21J 2 = A2 F21[ 2 EN 2 + (1 −  2 )G2 ] (11.9.6)

cosicché il flusso termico netto scambiato tra le due superfici è

Q 21 = W12 − W21 = A1F12 ( J1 − J 2 ) = A2 F21( J1 − J 2 ) (11.9.7)

E’ possibile applicare l’analogia elettrica al fenomeno della emissione osservando che il


flusso termico totale incidente su A1 vale A1G1 e quindi il flusso termico netto che lascia
la superficie è
Q1 = A1 ( J1 − G1 ) (11.9.8)

Sostituendo in questa relazione l’espressione di G1


che si ottiene dalla (11.9.3) si perviene alla seguente
equazione per il flusso termico netto

E −J
Q1 = N 1 1 (11.9.9)
(1 −  1 )
1 A1

In analogia alla legge di Ohm si può interpretare il denominatore di questa relazione


come una resistenza superficiale alla radiazione

(1 − 1 )
R= (11.9.10)
1 A1

laddove il numeratore gioca il ruolo di una differenza di potenziale e il flusso netto

quello di una corrente. La (11.9.9) mostra che si avrà un flusso termico netto uscente
dalla superficie solo se il potere emissivo che essa avrebbe se fosse un corpo nero è
maggiore della sua radiosità. Nel caso opposto si rileverà un flusso termico netto
entrante nella superficie.
Nel caso in cui le due superfici formino una cavita, (oggetto piccolo in una cavità
grande, piastre piane parallele infinite, etc), è possibile sviluppare ulteriormente
l’analogia elettrica. In questo caso, infatti, il flusso termico netto uscente da A1 (Q1 )

187
deve coincidere con il flusso termico netto entrante in A2 (Q 2 ) , entrambi i flussi
dovendo coincidere con il flusso termico netto scambiato tra le due superfici (Q 21) .
Utilizzando le relazioni (11.9.7) e (11.9.9) l’equazione di bilancio è

E −J J − J 2 J 2 − EN 2
Q12 = N 1 1 = 1 = (11.9.11)
(1 − 1 ) 1 (1 −  2 )
1 A1 A1F12  2 A2

Risolvendo rispetto ai numeratori

(1 − 1 ) 1 (1 −  2 )
EN 1 − J1 = Q12 J1 − J 2 = Q12 J 2 − EN 2 = Q12 (11.9.12)
1 A1 A1F12  2 A2

e sommando membro a membro si ottiene facilmente

EN 1 − EN 2  0 (T14 − T24 )
Q12 = = (11.9.13)
(1 − 1 ) 1 (1 −  2 ) (1 − 1 ) 1 (1 −  2 )
+ + + +
1 A1 A1F12  2 A2 1 A1 A1F12  2 A2

Definita allora una resistenza spaziale (o geometrica) alla radiazione come

1
R= (11.9.14)
A1F12

il processo globale di scambio termico tra


le due superfici può essere descritto in
termini di una resistenza termica globale
alla radiazione risultante dalla somma
serie delle resistenze superficiali e della
resistenza spaziale.
Il procedimento può essere
generalizzato al caso in cui N superfici
formino una cavità chiusa. In questo caso
il flusso termico netto uscente dalla i -
esima superficie deve essere uguale alla
somma dei flussi termici netti scambiati dalla stessa superficie con tutte le altre:

188
N J − J
ENi − J i
=
i j
(11.9.15)
(1 −  i ) j =1
1
 i Ai Ai Fij

Questa equazione può anche essere interpretata come un bilancio di radiazione per il
nodo radiosità associato alla superficie i . Scrivendo una equazione dello stesso tipo per
i nodi radiosità associati alle altre superfici, si ottiene un sistema di N equazione che
può essere risolto per determinare i valori delle radiosità J k , note le temperature delle
superfici. Se sono noti i valori dei flussi termici netti uscenti dalle superfici (e non le
temperature) il sistema da risolvere per ottenere le radiosità è

N Ji − J j
Q i =  (11.9.16)
j =1
1
Ai Fij

11.10 Cavità con due superfici


Il più semplice esempio di cavità e quella costituita da due sole superfici. In questo
caso, il flusso termico netto scambiato è dato dalla (11.9.13) che riscriviamo

 0 (T14 − T24 )
Q12 = (11.9.17)
(1 − 1 ) 1 (1 −  2 )
+ +
1 A1 A1F12  2 A2

Nel seguito si applicherà questa equazione ad alcuni esempi rappresentativi di cavità a


due superfici.

− Piani paralleli infiniti affacciati


Essendo in questo caso A1 = A2 = A e F12 = 1 la (11.9.17) diventa

 (T 4 − T24 )
Q12 = A 0 1 (11.9.18)
1 1
+ −1
1 2

− Piani paralleli infiniti affacciati con schermo interposto


Lo scambio termico per irraggiamento tra due superfici può essere notevolmente ridotto
interponendo tra di esse uno schermo di materiale a bassa emissività. Considerando il
circuito elettrico rappresentativo del processo di scambio termico si vede come
l’aggiunta dello schermo introduce due resistenze superficiali e una resistenza spaziale
che aumentano la resistenza globale al flusso termico

189
Il flusso termico scambiato tra le superfici 1 e 2 vale pertanto

 0 (T14 − T24 )
Q12 = (11.9.19)
(1 − 1 ) 1 (1 −  31) (1 −  32 ) 1 (1 −  2 )
+ + + + +
1 A1 A1F12  31A3  32 A3 A3 F32  2 A2

Osservando ora che A1 = A2 = A3 = A e F13 = F23 = 1 si ottiene

 0 (T14 − T24 )
Q12 = A (11.9.20)
1 1   1 1 
 + − 1 +  + − 1
 1  2    31  32 

che mostra come le resistenze alla radiazione associate allo schermo divengono molto
grandi quando le emissività  31 e  32 sono molto piccole. In particolare, se le emissività
delle superfici sono tutte uguali, la relazione precedente si riduce a

 (T 4 − T24 )
Q12 = A 0 1 (11.9.21)
1 1 
2 + − 1
  

Confrontando questa relazione con la (11.9.18), in cui si ponga 1 =  2 , si evince come


l’introduzione dello schermo ha l’effetto di dimezzare il flusso termico.

− Oggetto piccolo in una cavità gande


Nel caso in cui le due superfici completamente affacciate sono una tutta concava e
l’altra tutta convessa, come nel caso di un oggetto piccolo di area A1 in una cavità
grande di area A2 (con A1  A2 ), allora F12 = 1 e la (11.9.18) diventa

 0 (T14 − T24 ) A1 0 (T14 − T24 )


Q12 = = (11.9.22)
1
+
1

1 1 A1  1 
+  − 1
1 A1  2 A2 A2 1 A2   2 
Ed essendo A1  A2 si ottiene

190
Q12  A11 0 (T14 − T24 ) (11.9.23)

Scompare dunque la dipendenza dall’emissività dell’involucro. Ciò si spiega


osservando che una cavità grande non riflette molta radiazione indietro verso il piccolo

oggetto e, pertanto, si comporta come un perfetto assorbitore della radiazione emessa


dal piccolo oggetto ovvero come un corpo nero. Ponendo infatti  2 = 1 nella (11.9.22) si
ottiene la (11.9.23).

191

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