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I Trattai di Parigi del 1919

Contesto Storico: Il contesto storico in cui si svolsero le trattative era funestato dalle molte ombre
del passato, dagli irrisolti problemi delle frontiere, dalla sicurezza internazionale e dai frementi
nazionalismi non contenibili in un contesto che avrebbe dovuto salvaguardare le minoranze e le
identità nazionali. Le rivendicazioni rimaste in sospeso dopo la catastrofe del 1870, la carica
punitiva contro la Germania e la sempre più pressante paura di una "rivoluzione bolscevica"
irrigidirono tutte le delegazioni, soprattutto quella francese, desiderosa di impedire alla Germania di
poterle più nuocere.
Fatto in sé: Si svolse tra il 18 gennaio del 1919 e il 21 gennaio 1920. La conferenza di pace registra,
tra l’altro, un fatto politico capitale per la storia del 20° secolo: l’ingresso degli Stati Uniti
d’America nella grande politica mondiale. Gli americani portavano con sé una nuova concezione
dei rapporti internazionali, riassunta nei 14 punti elencati dal presidente Wilson in un messaggio al
Congresso nel 1918. Tra questi, l’affermazione del principio di nazionalità e la costituzione della
Società delle nazioni. Nonostante l’ispirazione universalistica, la nuova diplomazia americana
dovette venire a compromessi con la politica perseguita dai rappresentanti delle potenze europee
vincitrici. I plenipotenziari europei erano arrivati a Parigi non solo per consolidare la pace, ma
soprattutto con il fermo intento di conseguire i propri obiettivi di guerra. Nonostante questa radicale
divergenza di prospettive tra vecchio e nuovo mondo, gli americani non ebbero difficoltà ad
accordarsi con gli europei. Tra il 15 marzo e il 7 maggio 1919, Wilson, Lloyd George, Clemenceau
e Orlando (insieme a Sydney Sonnino) si riunirono tutti i giorni privatamente per ridisegnare le
linee della carta politica d’Europa e definire gli interessi delle potenze sconfitte nel vecchio
continente e nelle colonie. A dispetto del principio di nazionalità, nei Balcani prevalsero gli interessi
delle potenze vincitrici e dei loro alleati minori, e non si esitò a spostare confini e a ridefinire
appartenenze statuali senza tenere in nessun conto la composizione etnica dei singoli territori che
passarono da uno Stato all’altro. La Germania, su cui ricadde l’intera responsabilità della guerra, fu
colpita nella sua integrità territoriale e nella popolazione. L’Alsazia-Lorena fu «restituita» alla
Francia; Posnania e Prussia occidentale entrarono nei nuovi confini della Polonia, che otteneva così
il suo corridoio verso il mare. Danzica, città indiscutibilmente tedesca e che non poteva essere
ceduta senza violare ogni principio di nazionalità, fu costituita in «città libera», sotto il controllo
della Società delle nazioni e con l’obiettivo di servire da porto alla Polonia. I debiti di guerra che le
furono imposti vennero calcolati in cifre astronomiche che la Germania non sarebbe mai stata in
grado di risarcire. I vincitori imposero la smilitarizzazione della Renania e la riduzione dell’esercito
tedesco a 100.000 unità. La parte più cospicua della conferenza riguardò dunque la questione
tedesca. Il trattato che regolò gli obblighi della Germania nei confronti dei vincitori prese il nome
dal luogo della firma, il Salone degli specchi della reggia di Versailles (28 giugno 1919). Al Trattato
di Versailles con la Germania, il più rilevante riguardo agli effetti sugli equilibri politici e i
drammatici sviluppi degli anni successivi, si aggiunsero gli accordi tra le potenze vincitrici e gli
altri Paesi sconfitti come il Trattato di Saint-Germain con l’Austria o quello di Trianon con
l’Ungheria, con i quali veniva ripartito il dissolto impero austroungarico e si definivano confini e
territori dei nuovi Stati sorti in seguito alla sua fine. Per quanto riguarda l’Italia, il Patto di Londra
nel 1915 che era stato la base diplomatica dell’intervento italiano in guerra, le riconosceva notevoli
vantaggi territoriali nella Venezia Giulia, in Istria e Dalmazia. Ma quel trattato non era stato firmato
dagli americani e Wilson non si sentiva vincolato dagli accordi. Finita la guerra, l’Italia aggiunse
una rivendicazione non prevista dal patto del 1915, il porto croato di Fiume, città a maggioranza
italiana ma circondata da una periferia slava. Il conflitto si produsse su questo punto. Gli italiani
erano disposti a rinunciare a una parte della Dalmazia, ma non a Fiume. Wilson si oppose con forza,
Orlando abbandonò la Conferenza di Parigi in segno di protesta e i confini orientali italiani furono
definiti solo più tardi in base a un accordo bilaterale tra Italia e Iugoslavia (Rapallo, nov. 1920) con
il nuovo governo Giolitti. Ruolo fondamentale fu svolto dalla Regia Marina, e soprattutto
dall’Ammiraglio Enrico Millo, nel gestire la situazione fino al Trattato bilanciando le parti e il
movimento irredentistico di D’Annunzio.
Conclusioni: Negli anni durissimi del dopoguerra, i trattati di pace avrebbero alimentato un forte
malcontento nelle opinioni pubbliche europee, soprattutto in Germania e in Italia, e nutrito uno
spirito di rivalsa che avrebbe ingrossato il consenso dei movimenti fascista e nazista. Molte
questioni affrontate a Parigi si sarebbero ripresentate irrisolte allo scoppio della Seconda guerra
mondiale. Infatti in Italia sarà proprio il giovane Mussolini che con progetti come la rivendicazione
della città di Fiume, aizzare il malcontento generale e fomentando le masse dei reietti del
dopoguerra riuscirà a salire al potere. (MM) Nonostante ciò, va ricordata anche la Conferenza di
Washington avvenuta alla fine del primo conflitto mondiale. La conferenza navale di Washington fu
una conferenza internazionale tenutasi dal novembre 1921 al febbraio 1922. Vi parteciparono nove
nazioni: Stati Uniti, Giappone, Cina, Francia, Gran Bretagna, Italia, Belgio, Paesi
Bassi e Portogallo. La Germania non venne invitata alla conferenza, poiché era già stata disarmata
secondo i termini del trattato di Versailles (1919). La conferenza concerneva gli interessi
nell'Oceano Pacifico ed in Asia orientale. Per risolvere le controversie tecniche sulla qualità delle
navi da guerra, i conferenzieri adottarono uno standard basato sul dislocamento di tonnellaggio, una
semplice misura delle dimensioni di una nave. Un accordo fissava il rapporto tra corazzate: 525.000
tonnellate per gli Stati Uniti, 525.000 tonnellate per la Gran Bretagna e 315.000 tonnellate per il
Giappone. Limiti inferiori applicati a Francia e Italia. Il Trattato navale di Washington portò alla
fine effettiva della costruzione di nuove flotte di corazzate e le poche navi costruite erano di
dimensioni e armamenti limitati. Molte navi capitali esistenti vennero demolite. Alcune navi in
costruzione vennero invece trasformate in portaerei

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