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Il padre di Leopardi ha una biblioteca stracolma di classici, saggi di teologi, pensatori, con sezioni
di ogni genere, anche libri proibiti o che andavano contro le idee del padre stesso.
Leopardi traduce molti classici, traduce anche il secondo libro dell’eneide, che nella sua vita ebbe
un’importanza particolare, poiché capita in mano a Pietro Giordani, colui che aveva tradotto la
lettera della donna che aveva accusato la letteratura italiana di essere vecchia (battaglia tra classici e
romantici). Giordani vuole conoscere chi ha tradotto il testo, pensando fosse un uomo della sua eta,
in realtà aveva 25 anni in più. Perciò giordani incontra leopardi che lo prende quasi come un padre,
poiché aveva vari scontri con il suo a causa delle ideologie.
Nel 1818 scrive due canzoni (con la forma poetica delle canzoni, di tipo petrarchesco, alterna
endecasillabi e settenari, con scherma di rime definite), nella raccolta delle poesie (“I Canti”) che
fare anni dopo mette queste due canzoni in apertura. La prima si chiama “all’Italia”, la seconda
“Sopra il monumento di Dante”.
Leopardi chiama “idilli” le sue opere perché sono rappresentazioni. Dal gr. eidýllion, dim.
di eîdos ‘immagine’; propr. “quadretto, bozzetto”.
L’infinito
La poesia è composta da 15 endecasillabi, gli endecasillabi sono versi liberi, sciolti, senza rime.
Questa è una cosa stranissima per l’epoca, perché la poesia dell’inizio dell’800 ha pochissime forme
metriche, il sonetto, la canzone.
Gli endecasillabi sciolti si vedono nella composizioni italiane lunghe, come in Foscolo, nei sepolcri,
oppure anche il giorno di Parigi. Perciò l’endecasillabo sciolto è tipica in questo periodo delle
composizione di una certa lunghezza., anche per una questione di praticità, poiché trovare le rime
per 300 versi è lungo.
Chiunque per una poesia di 15 versi avrebbe scelto di usare un sonetto (+1 verso, il sonetto sono
due quartine e due terzine). Leopardi fa un passo in più.
Una poesia come questa all’epoca doveva sconcertare i lettori, si sono tutti chiesti perché non
avesse scritto un sonetto. In realtà dal punto di vista della lingua fa una scelta tradizionale, molto
pertrarchesco, usa poche parole, con una lingua molto pulita.
Leopardi lavorava moltissimo prima di scrivere le sue opere, nello Zibaldone, che è appunto la
raccolta dei suoi appunti, è un insieme di quaderni su cui leopardi a partire dal 1817 ha annotato
tutto, i suoi pensieri, le sue riflessioni, spunti per racconti e poesie, riflessioni storiche e filosofiche,
citazioni interessanti ai suoi occhi. A partire dal 1820 mette la data, fino al 1832.
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Sono 5000 pagine, che lui non aveva pensato alla pubblicazione, sono rimaste in mano ad Antonio
Ranieri, che è anche l’editore delle sue opere prossime. La famiglia Ranieri ha dovuto cedere il
quaderno allo stato italiano ed è stato trascritto sotto richiesta di Carducci. Leopardi non aveva
appunto pensato alla pubblicazione, perciò è abbastanza confuso.
A proposito dell’infinito ci sono pezzettini qua e là, quasi una prosa.
La poesia è composta da un’unica strofa.
Leopardi ripudia la religione cristiana, ma sposa un materialismo spinto in cui tutto è corpo.
Quando lui parla di anima umana intende la sensazione emotiva, il sentimento. Per Leopardi l’uomo
è solo uno dei tanti animali sulla terra, concezione molto rivoluzionaria per l’epoca.
Per Leopardi la felicità e il piacere sono la stessa cosa, la felicità è il soddisfacimento del piacere. Il
desiderio di felicita dura tutta la vita, perciò il piacere non può essere infinito, noi smettiamo di
avere il desiderio di felicità solo alla morte, perché nessun piacere ci soddisfa abbastanza.
Nella vita noi vogliamo essere sempre felici, quindi il desiderio di felicità è infinito per durata e per
estensione (vogliamo essere del tutto felici), ma nella concretezza della nostra vita non ce niente che
sia infinito ne per durata ne per estensione. Quindi noi nasciamo con un desiderio di felicita infinito,
sia per durata che per estensione, in un mondo finito, che non ci permette di avere questa infinità.
Leopardi fa l’esempio del cavallo; se desideriamo un cavallo, e poi lo abbiamo, in un futuro
desidereremmo un’altra cosa.
In un altro pezzo dello stesso brano Leopardi sostiene che l’uomo ha trovato un modo per illudersi
dell’infinita del piacere, siccome non si può avere un soddisfacimento ingiunto per durata o per
estensione, noi cerchiamo costantemente di soddisfarci con piccole cose.
Dato ciò l’uomo è destinato ad essere infelice.
Un modo per illuderci di essere felici è l’immaginazione, che è infinita. Solo l’immaginazione può
dare serenità.
T4 Alla luna
- Questo testo è uno dei “piccoli idilli”, c’è un quadretto di campagna che velocemente si
trasforma in una descrizione sentimentale.
- Sono endecasillabi sciolti in una misura che si avvicina al sonetto.
- Dopo il verso 9 la punteggiatura inizia a non concedere con la sintassi.
- Quando si è giovani e gradito ricordare le cose passate, anche le sofferenze, perché se sei giovane
ricordi un breve passato e sai che avrai un lungo futuro pieno di speranza. Per leopardi diventa
piacevole il ricordo del dolore del passato. Ad esempio le memorie dell’infanzia, per noi come
per leopardi sono ricordi teneri, che coprono la sofferenza che eventualmente abbiamo provato.
Anche se ancora oggi soffriamo, ripensare al passato ha qualcosa di piacevole.
- Scrive 10 canzoni, due dedicate (in queste due canzoni lui li fa letteralmente parlare) a due
personaggi dell’antichità: l’ultimo canto di Saffo e il Bruto minore. Queste sono le uniche poesie
dove leopardi lascia lo spazio ad altri personaggi di parlare, in cui mette da parte il suo io.
Note:
- V. 5 = Come fai ora, comparativo siccome
- V. 6.1 = Ma il tuo volto appariva
- V. 6.2 = A causa delle lascive che mi sorgevano
- V. 7 = A causa delle lascive che mi sorgevano
- V. 8 = Questo “che ”, nasconde un perchè
- V. 9 = Non cambia il modo, era travaglio e lo resta
- V. 11.1 = Mi è piacevole il ricordo
- V. 11.2 = Passare in rassegna l’eta del mio dolore
- V. 14 = La speme ha il corso lungo e la vita breve
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Dal 1823 al 1827 Leopardi
non scrive praticamente Le Operette morali
satira
24, perchè una delle 20 struttura
•24 proseordinate in unastrutturaunitaria, iu
•
registro comico e contenuto tragico
contaminazioni e varietà di stili e di forme
iniziali viene rinnegata da ma ricca di variazioni (cambiano i personaggi,
le ambientazioni e le tecniche narrative)
classicismo e ricchezza espressiva
• lingua filosofica moderna
Leopardi e non pubblicata.
Sono circa messe in ordine
cronologico.
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Leopardi stesso scrive a Pietro Giordano di queste nuove opere minimizzandole.
Hanno la forma di dialoghi e in questi ultimi in maniera satirica Leopardi parla delle visioni del
mondo del so tempo, portando avanti le sue polemiche , soprattutto contro i sui contemporanei e i
falsi miti della sua epoca.
Leopardi polemica contro gli intellettuali che sostengono che il mondo in cui vivono sia il migliore
possibile. Questi essendo cattolici credono che il mondo che dio gli ha dato sia il mondo migliore
possibile perché è stato dio a darlo. Leopardi non credeva in dio e trovava che quedt fossero delle
idiozie.
Per Leopardi il cattolicesimo non spinge gli uomini ad essere migliori, come almeno erano le
religioni antiche (greci), che anche essendo tutta una menzogna almeno aiutavano gli uomini ad
essere migliori.
Il testo non piace alla chiesa, le operette morali sono state faticose ad essere pubblicate.
Scrive le operette m
Vita
Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798 da una famiglia nobile decaduta. Affidato dal padre
Monaldo a precettori ecclesiastici, rivela doti eccezionali: a soli dieci anni sa tradurre all'impronta i
testi classici e compone in latino.
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Il rapporto coi genitori è molto difficile. Giacomo sta spesso da solo, studia nella grande biblioteca
paterna, in dialogo muto con gli autori antichi. Tra il 1809 e il 1816 passa "sette anni di studio matto
e disperatissimo", durante i quali impara alla perfezione varie lingue, traduce i classici, compone
opere erudite, studia poesia e filosofia. Questa vita solitaria e reclusa lo mina nel fisico e nello
spirito.
Il 1816 è l'anno della "conversione letteraria", passa dall'erudizione al bello e alla poesia. Invia le
sue prime prove a Pietro Giordani, che lo incoraggia. Nel 1817 comincia a scrivere il suo diario
infinito, lo Zibaldone (1817-1832) e scrive le prime canzoni civili.
Nel 1819 tenta di fuggire da casa, ma il padre lo ferma: Recanati è ora una prigione e il giovane
cade in depressione. La produzione poetica però non ha sosta: compone gli Idilli (L'Infinito, Alla
luna ...) e le grandi canzoni civili.
Nel 1822 finalmente va a Roma dagli zii materni, ma il viaggio è deludente. Tornato a Recanati, nel
1823 scrive le Operette morali.
Nel 1825 è a Milano, dove lavora per l'editore Stella. In povertà, si sposta tra Bologna e Firenze,
accolto nei circoli letterari e nei salotti mondani. Nel 1828 a Pisa ritrova la vena poetica che pareva
perduta: inizia il ciclo dei Grandi Idilli.
Tra la fine del 1828 e il 1930 ritorna a Recanati. Ricorderà il periodo come "sedici mesi di notte
orribile", ma è allora che scrive alcuni tra i suoi canti più famosi: La quiete dopo la tempesta, Il
sabato del villaggio...
Con l'aiuto di amici lascia per sempre il "natio borgo selvaggio" e va di nuovo a Firenze. Dall'amore
non corrisposto con Fanny Targioni Tozzetti nasce Il ciclo di Aspasia. Nel 1832 sospende lo
Zibaldone.
Nell'ottobre del 1833 si trasferisce a Napoli insieme all'amico Antonio Ranieri. Benché ormai molto
provato nel fisico, partecipa alla vita culturale partenopea. A Torre del Greco, in fuga dal colera che
imperversa in città, compone due tra le sue più grandi poesie: La ginestra o il fiore del deserto
(1836) e Il tramonto della luna (1837), che costituiscono il suo testamento poetico e spirituale.
Muore a Napoli il 14 giugno 1837 e viene sepolto accanto all'amato Virgilio.
Nel 1827 esce la prima edizione dei promessi sposi, ma non va a fare il concorso, Leopardi e
Manzoni si incontrano a Firenze, a casa di un ricco svizzero, proprietario di un giornale in cui per
due anni hanno scritto tutti gli amici di Manzoni. Leopardi si rifiuta di entrare a far parte, e a questa
“festa”, leopardi e Manzoni non si parlano.
Leopardi pochi anni dopo partecipa ad un premio per la miglior prosa scatta negli ultimi 5 anni,
leopardi sapendo che Manzoni ha deciso di non candidarsi allora Leopardi crede di poter avere una
possibilità con le operette morali.
Leopardi riceve un solo voto e non vince questo concorso, aveva solamente una piccola cerchia.
Dopo la prima pubblicazione del 1827, la seconda pubblicazione delle operette morali con 3 opere
in più, viene notata dalla chiesa, i libri vengono inseriti nel registro dei libri proibiti.
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Leopardi nel considerare l’uomo non la creatura più importante, ma anzi la può superba, è molto
avanti nei tempi.
La noia, il fastidio (sinonimi per leopardi) è un sentimento peggiore del dolore, riempie tutti i vuoti,
si insinua ovunque il disgusto di vivere. Il dolore è qualcosa che ha ancora a che fare con il vivere,
la noia toglie la voglia di fare ogni cosa.
I grandi idilli
Seconda serie degli idilli, dove Leopardi era più maturo.
Sono una decina di poesie piuttosto lunghe, di vario argomento ma che ruotano intorno alle stesse
tematiche: quasi tutti si aprono con la descrizione di un paesaggio seguita da una riflessione
filosofica di grande disillusione.
A Silvia
Silvia è un’idea, non una persona precisa. La chiama Silvia perché si rivolge ad un’idea di una
fanciulla, questo nome è perché è una delle protagoniste di un testo per il teatro di Tasso.
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