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Leopardi

Leopardi nacque nel 1798 a Recanati e morì nel 1837 a Napoli.


Recanati era una città sotto il dominio della chiesa.
Leopardi nasce in una famiglia molto nobile ma poco abbiente a causa della difficile economia
domestica importa dalla madre.
Leopardi ha due fratelli, Carlo e Paolina, Leopardi è legatissimo a quelli due fratelli, questi ultimi
vengono educati da dei precettori a casa.
I genitori di leopardi sono degli oppositori di Napoleone.

Il padre di Leopardi ha una biblioteca stracolma di classici, saggi di teologi, pensatori, con sezioni
di ogni genere, anche libri proibiti o che andavano contro le idee del padre stesso.

Leopardi traduce molti classici, traduce anche il secondo libro dell’eneide, che nella sua vita ebbe
un’importanza particolare, poiché capita in mano a Pietro Giordani, colui che aveva tradotto la
lettera della donna che aveva accusato la letteratura italiana di essere vecchia (battaglia tra classici e
romantici). Giordani vuole conoscere chi ha tradotto il testo, pensando fosse un uomo della sua eta,
in realtà aveva 25 anni in più. Perciò giordani incontra leopardi che lo prende quasi come un padre,
poiché aveva vari scontri con il suo a causa delle ideologie.

Nel 1818 scrive due canzoni (con la forma poetica delle canzoni, di tipo petrarchesco, alterna
endecasillabi e settenari, con scherma di rime definite), nella raccolta delle poesie (“I Canti”) che
fare anni dopo mette queste due canzoni in apertura. La prima si chiama “all’Italia”, la seconda
“Sopra il monumento di Dante”.

Leopardi chiama “idilli” le sue opere perché sono rappresentazioni. Dal gr. eidýllion, dim.
di eîdos ‘immagine’; propr. “quadretto, bozzetto”.

L’infinito
La poesia è composta da 15 endecasillabi, gli endecasillabi sono versi liberi, sciolti, senza rime.
Questa è una cosa stranissima per l’epoca, perché la poesia dell’inizio dell’800 ha pochissime forme
metriche, il sonetto, la canzone.
Gli endecasillabi sciolti si vedono nella composizioni italiane lunghe, come in Foscolo, nei sepolcri,
oppure anche il giorno di Parigi. Perciò l’endecasillabo sciolto è tipica in questo periodo delle
composizione di una certa lunghezza., anche per una questione di praticità, poiché trovare le rime
per 300 versi è lungo.
Chiunque per una poesia di 15 versi avrebbe scelto di usare un sonetto (+1 verso, il sonetto sono
due quartine e due terzine). Leopardi fa un passo in più.

Una poesia come questa all’epoca doveva sconcertare i lettori, si sono tutti chiesti perché non
avesse scritto un sonetto. In realtà dal punto di vista della lingua fa una scelta tradizionale, molto
pertrarchesco, usa poche parole, con una lingua molto pulita.

Leopardi lavorava moltissimo prima di scrivere le sue opere, nello Zibaldone, che è appunto la
raccolta dei suoi appunti, è un insieme di quaderni su cui leopardi a partire dal 1817 ha annotato
tutto, i suoi pensieri, le sue riflessioni, spunti per racconti e poesie, riflessioni storiche e filosofiche,
citazioni interessanti ai suoi occhi. A partire dal 1820 mette la data, fino al 1832.

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Sono 5000 pagine, che lui non aveva pensato alla pubblicazione, sono rimaste in mano ad Antonio
Ranieri, che è anche l’editore delle sue opere prossime. La famiglia Ranieri ha dovuto cedere il
quaderno allo stato italiano ed è stato trascritto sotto richiesta di Carducci. Leopardi non aveva
appunto pensato alla pubblicazione, perciò è abbastanza confuso.
A proposito dell’infinito ci sono pezzettini qua e là, quasi una prosa.
La poesia è composta da un’unica strofa.

Dal punto di vista metrico e sintattico;


- L’inizio e la fine (primo e ultimo verso) coincidono, per metrica e sintassi
- Leopardi utilizza molti aggettivi, come “interminanti”, “sovrumani”, “profondissima”,
“immensità”, poiché cerca di rendere l’idea di infinito con aggettivi e parole lunghe. Inoltre sono
tutti aggettivi vaghi, non precisi.
- Nello Zibaldone infatti annota una differenza tra termini e parole; “termine” per lui è una parola
precisa, che non ha possibilità di fraintendimento. Le parole invece sono termini che spingono
rettamente ad associazioni i idee molto vaste, come “notte”, “infinito", “mare”. Le parole sono
più poetiche, Leopardi considera i termini troppo pensanti per le poesie.
- La poesia di leopardi usa una grand quantità di dimostrativi “questo”, “quello”, “questa”.
- La realtà è brutta e la vita è infelice, noi la sopportiamo solo perché non ce ne rendiamo conto.

T6 La teoria del piacere


Appunto di pagina 165, che è stato datato al al 1820.

Leopardi ripudia la religione cristiana, ma sposa un materialismo spinto in cui tutto è corpo.
Quando lui parla di anima umana intende la sensazione emotiva, il sentimento. Per Leopardi l’uomo
è solo uno dei tanti animali sulla terra, concezione molto rivoluzionaria per l’epoca.
Per Leopardi la felicità e il piacere sono la stessa cosa, la felicità è il soddisfacimento del piacere. Il
desiderio di felicita dura tutta la vita, perciò il piacere non può essere infinito, noi smettiamo di
avere il desiderio di felicità solo alla morte, perché nessun piacere ci soddisfa abbastanza.
Nella vita noi vogliamo essere sempre felici, quindi il desiderio di felicità è infinito per durata e per
estensione (vogliamo essere del tutto felici), ma nella concretezza della nostra vita non ce niente che
sia infinito ne per durata ne per estensione. Quindi noi nasciamo con un desiderio di felicita infinito,
sia per durata che per estensione, in un mondo finito, che non ci permette di avere questa infinità.
Leopardi fa l’esempio del cavallo; se desideriamo un cavallo, e poi lo abbiamo, in un futuro
desidereremmo un’altra cosa.
In un altro pezzo dello stesso brano Leopardi sostiene che l’uomo ha trovato un modo per illudersi
dell’infinita del piacere, siccome non si può avere un soddisfacimento ingiunto per durata o per
estensione, noi cerchiamo costantemente di soddisfarci con piccole cose.
Dato ciò l’uomo è destinato ad essere infelice.

Un modo per illuderci di essere felici è l’immaginazione, che è infinita. Solo l’immaginazione può
dare serenità.

T6 Termini e parole - scheda


Per un certo periodo leopardi sostenne l’idea che nessuno nasce per essere felice, gli ignoranti, i
bambini non sono felici, solamente che non si sono resi conto di essere felici. Leopardi ha sempre
pensato che tutti siano infelici da sempre e per sempre, all’inizio trova una via di fuga solamente
nell’immaginazione, in seguito sostenendo l’irrelata dell’immaginazione è passato alla
rassegnazione dell’infelicità.
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Canzone al cardinale Angelo Mai
Angelo mai è un cardinale filologo, che va a cercare manoscritti. Ha trovato il De Republica di
Cicerone. Leopardi dopo che non riesci ad andarsene per le vicessidurini riguardanti il passaporto
era talmente infelice che i genitori gli permisero di andare a Roma da alcuni parenti. Leopardi
rimane pero estremamente deluso, definendo le persone che aveva conosciuto come degli ignoranti.
A Roma riuscì a leggere la traduzione di angelo mai, che trovo estremamente insoddisfacente.
Leopardi conobbe in seguito alla stesura della canzone il cardinale, per questo ha una visione molto
positiva di lui.
Si è fortunati se si e costantemente infelici, siamo sfortunati noi ci rendiamo conto che il dolore
non è una circostanza momentanea. Quando si soffre si ha solo la speranza che il dolore passi,
quando la speranza cade ci si rende conto che non ci si può fare nulla.

T4 Alla luna
- Questo testo è uno dei “piccoli idilli”, c’è un quadretto di campagna che velocemente si
trasforma in una descrizione sentimentale.
- Sono endecasillabi sciolti in una misura che si avvicina al sonetto.
- Dopo il verso 9 la punteggiatura inizia a non concedere con la sintassi.
- Quando si è giovani e gradito ricordare le cose passate, anche le sofferenze, perché se sei giovane
ricordi un breve passato e sai che avrai un lungo futuro pieno di speranza. Per leopardi diventa
piacevole il ricordo del dolore del passato. Ad esempio le memorie dell’infanzia, per noi come
per leopardi sono ricordi teneri, che coprono la sofferenza che eventualmente abbiamo provato.
Anche se ancora oggi soffriamo, ripensare al passato ha qualcosa di piacevole.
- Scrive 10 canzoni, due dedicate (in queste due canzoni lui li fa letteralmente parlare) a due
personaggi dell’antichità: l’ultimo canto di Saffo e il Bruto minore. Queste sono le uniche poesie
dove leopardi lascia lo spazio ad altri personaggi di parlare, in cui mette da parte il suo io.

Note:
- V. 5 = Come fai ora, comparativo siccome
- V. 6.1 = Ma il tuo volto appariva
- V. 6.2 = A causa delle lascive che mi sorgevano
- V. 7 = A causa delle lascive che mi sorgevano
- V. 8 = Questo “che ”, nasconde un perchè
- V. 9 = Non cambia il modo, era travaglio e lo resta
- V. 11.1 = Mi è piacevole il ricordo
- V. 11.2 = Passare in rassegna l’eta del mio dolore
- V. 14 = La speme ha il corso lungo e la vita breve

Ultimo canto di Saffo


Secondo Leopardi il suicidio è sbagliato, perché anche se la sofferenza è enorme, arriva con calma
alla conclusione che il suicidio porta altro dolore alle altre persone.

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Dal 1823 al 1827 Leopardi
non scrive praticamente Le Operette morali

nulla, tranne le operette titolo temi


morali. operette → il diminutivo è una spia dellintento teoria del piacere
satirico natura crudele
Scrive solamente le morali + carattere"morale"dei testi, civiltà dominata dall'egoismo
che smascherano la morale visione materialistica
“operette morali”, con tradizionale e indicano nuovi • infelicità dell'uomo

argomento morale, modelli di comportamento


(in latino mores, cioè 'costumi')
critica dell'antropocentrismo
critica del progresso
filosofico-esistenziale. per reagire all'infelicità critica della prospettiva religiosa
virtù disprezzata nel mondo
Scrive praticamente tutte modello
• critica delle illusioni umane

le operette in pochi anni. dialoghi greci di Luciano, basati sul paradosso


e sull'ironia forme, lingua e stile
L’edizione definitiva ne ha • ironia

satira
24, perchè una delle 20 struttura
•24 proseordinate in unastrutturaunitaria, iu

registro comico e contenuto tragico
contaminazioni e varietà di stili e di forme
iniziali viene rinnegata da ma ricca di variazioni (cambiano i personaggi,
le ambientazioni e le tecniche narrative)
classicismo e ricchezza espressiva
• lingua filosofica moderna
Leopardi e non pubblicata.
Sono circa messe in ordine
cronologico.
Creato con Scanner Pro
Leopardi stesso scrive a Pietro Giordano di queste nuove opere minimizzandole.
Hanno la forma di dialoghi e in questi ultimi in maniera satirica Leopardi parla delle visioni del
mondo del so tempo, portando avanti le sue polemiche , soprattutto contro i sui contemporanei e i
falsi miti della sua epoca.
Leopardi polemica contro gli intellettuali che sostengono che il mondo in cui vivono sia il migliore
possibile. Questi essendo cattolici credono che il mondo che dio gli ha dato sia il mondo migliore
possibile perché è stato dio a darlo. Leopardi non credeva in dio e trovava che quedt fossero delle
idiozie.
Per Leopardi il cattolicesimo non spinge gli uomini ad essere migliori, come almeno erano le
religioni antiche (greci), che anche essendo tutta una menzogna almeno aiutavano gli uomini ad
essere migliori.

Storia del genere umano - Operette morali


Le operette morali si aprono con questo testo.
Leopardi costruisce la storia del genere umano secondo la teoria del piacere.
L’operetta racconta la nascita del mondo. Molto piccolo al principio e senza i mari, il mondo era
abitato da bambini. Questi, via via crescendo, girato tutto il mondo e venendo a mancare le novità
diventarono annoiati e infelici, tanto che qualcuno decise di togliersi la vita. Giove, ritenendo
questo impossibile, decise di allargare il mondo, aggiungendo i mari, creando le razze e nuovi
animali, illusioni e sogni. Per un periodo di quello precedenti gli uomini furono contenti, ma poi di
nuovo la mancanza di novità si abbatté su di loro e iniziarono a piangere un nato e festeggiare un
morto. Giove decise allora di punirli e inviò il diluvio, da cui si salvarono solo Deucalione e Pirra, i
quali, rimasti soli sulla punta di una montagna, invocavano la morte. Giove suggerì loro di far
rinascere la stirpe umana, e decisero di seguire questo consiglio. Decise anche di cambiare il mondo
aggiungendo il dolore e la sofferenza, la malattia e le disgrazie naturali, in modo che gli uomini, di
fronte a situazioni così vicine alla morte, si attaccassero di più alla vita, Creò inoltra città, stati,
lingue e arti, e le illusioni, come Giustizia, Amore, Virtù e Sapienza. La vita tornò serena, ma
quest’ultima promise agli uomini la verità, la più grande di tutte le virtù che vive con gli dei. Gli
uomini, la invocarono, ma avuta risposta negativa da parte di Giove, si sdegnarono. Giove allora,
arrabbiato per la superbia degli uomini, decisa di mandare la Verità, che avrebbe mostrato agli
uomini la falsità della loro vita. Commosso però dalla tristezza degli uomini sulla terra chiese a
qualche dio se volesse andare a consolare gli uomini; Amore accettò.
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Amore pero rappresenta l’amore non reciproco.

Dialogo della Natura e di un Islandese


Come la maggior parte delle Operette, anche il Dialogo della Natura e di un Islandese venne
composto nel corso del 1824.
Il Dialogo offre una testimonianza del passaggio, fondamentale per la filosofia leopardiana, da
un'idea positiva della Natura, madre benigna di uomini e animali, a una concezione totalmente
negativa, che ne fa una matrigna tirannica e spietata, del tutto impassibile davanti alle sofferenze
delle sue creature. È al mutamento dell'idea leopardiana di Natura che va attribuito anche
l'abbandono della poesia da parte dell'autore nel periodo 1824-1828.
Nel Dialogo, il rapporto tra uomo e Natura è concepito materialisticamente come un ciclo
perpetuo di creazione e distruzione, del tutto fine a se stesso. L'Islandese è consapevole dell'inutilità
delle fatiche cui gli uomini abitualmente si sottopongono al fine di raggiungere la felicità, ed è
stanco della crudeltà del clima della propria isola; perciò parte alla ricerca di un luogo lontano dalle
sofferenze arrecate dalle asprezze della Natura e dalle intemperie.
Durante uno dei suoi viaggi nel cuore dell'Africa, l'Islandese si imbatte proprio nella Natura, che gli
si presenta nella figura di una donna gigantesca: per nulla felice dell'incontro, l'uomo confessa alla
Natura di aver viaggiato per tutto il mondo cercando un luogo in cui vivere senza l'assillo di climi
estremi, aria cattiva e malattie, non trovandolo mai.
La Natura, sorpresa per l'ingenuità dell'Islandese, gli dichiara di non essere per nulla interessata alla
sorte della specie umana (la quale potrebbe anzi sparire da un momento all'altro senza conseguenze
rilevanti); le interessa soltanto perpetuare il meccanismo della vita, di cui sofferenza fisica, malattia
e morte sono condizioni necessarie.
A nulla valgono le obiezioni dell'Islandese, il quale non può far altro che lamentarsi dell'ingiustizia
della Natura. Per tutta risposta a questo fondamentale interrogativo, che chiude l'operetta,
l'Islandese viene ucciso.
La sofferenza è dunque per Leopardi uno degli elementi del tutto necessari affinché la morte, e
conseguentemente la legge naturale, possa continuare a operare. Il Dialogo nega una volta per tutte
la possibilità di intendere le leggi che dominano la Natura come buone, o riconducibili a una visione
provvidenziale.

Leopardi tramite la natura contesta la mania di protagonismo degli uomini.

Nelle ultime 6 righe torna il narratore come all’inizio


Mausoleo di sabbia —> probabilmente il luogo in cui morì l’islandese (travolto da una tempesta di
sabbia) un mausoleo non

Nelle ultime 6 righe torna il narratore come all’inizio


Mausoleo di sabbia —> probabilmente il luogo in cui morì l’islandese (travolto da una tempesta di
sabbia) un mausoleo

Il testo non piace alla chiesa, le operette morali sono state faticose ad essere pubblicate.
Scrive le operette m
Vita
Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798 da una famiglia nobile decaduta. Affidato dal padre
Monaldo a precettori ecclesiastici, rivela doti eccezionali: a soli dieci anni sa tradurre all'impronta i
testi classici e compone in latino.

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Il rapporto coi genitori è molto difficile. Giacomo sta spesso da solo, studia nella grande biblioteca
paterna, in dialogo muto con gli autori antichi. Tra il 1809 e il 1816 passa "sette anni di studio matto
e disperatissimo", durante i quali impara alla perfezione varie lingue, traduce i classici, compone
opere erudite, studia poesia e filosofia. Questa vita solitaria e reclusa lo mina nel fisico e nello
spirito.
Il 1816 è l'anno della "conversione letteraria", passa dall'erudizione al bello e alla poesia. Invia le
sue prime prove a Pietro Giordani, che lo incoraggia. Nel 1817 comincia a scrivere il suo diario
infinito, lo Zibaldone (1817-1832) e scrive le prime canzoni civili.
Nel 1819 tenta di fuggire da casa, ma il padre lo ferma: Recanati è ora una prigione e il giovane
cade in depressione. La produzione poetica però non ha sosta: compone gli Idilli (L'Infinito, Alla
luna ...) e le grandi canzoni civili.
Nel 1822 finalmente va a Roma dagli zii materni, ma il viaggio è deludente. Tornato a Recanati, nel
1823 scrive le Operette morali.
Nel 1825 è a Milano, dove lavora per l'editore Stella. In povertà, si sposta tra Bologna e Firenze,
accolto nei circoli letterari e nei salotti mondani. Nel 1828 a Pisa ritrova la vena poetica che pareva
perduta: inizia il ciclo dei Grandi Idilli.
Tra la fine del 1828 e il 1930 ritorna a Recanati. Ricorderà il periodo come "sedici mesi di notte
orribile", ma è allora che scrive alcuni tra i suoi canti più famosi: La quiete dopo la tempesta, Il
sabato del villaggio...
Con l'aiuto di amici lascia per sempre il "natio borgo selvaggio" e va di nuovo a Firenze. Dall'amore
non corrisposto con Fanny Targioni Tozzetti nasce Il ciclo di Aspasia. Nel 1832 sospende lo
Zibaldone.
Nell'ottobre del 1833 si trasferisce a Napoli insieme all'amico Antonio Ranieri. Benché ormai molto
provato nel fisico, partecipa alla vita culturale partenopea. A Torre del Greco, in fuga dal colera che
imperversa in città, compone due tra le sue più grandi poesie: La ginestra o il fiore del deserto
(1836) e Il tramonto della luna (1837), che costituiscono il suo testamento poetico e spirituale.
Muore a Napoli il 14 giugno 1837 e viene sepolto accanto all'amato Virgilio.

Nel 1827 esce la prima edizione dei promessi sposi, ma non va a fare il concorso, Leopardi e
Manzoni si incontrano a Firenze, a casa di un ricco svizzero, proprietario di un giornale in cui per
due anni hanno scritto tutti gli amici di Manzoni. Leopardi si rifiuta di entrare a far parte, e a questa
“festa”, leopardi e Manzoni non si parlano.
Leopardi pochi anni dopo partecipa ad un premio per la miglior prosa scatta negli ultimi 5 anni,
leopardi sapendo che Manzoni ha deciso di non candidarsi allora Leopardi crede di poter avere una
possibilità con le operette morali.
Leopardi riceve un solo voto e non vince questo concorso, aveva solamente una piccola cerchia.

Dopo la prima pubblicazione del 1827, la seconda pubblicazione delle operette morali con 3 opere
in più, viene notata dalla chiesa, i libri vengono inseriti nel registro dei libri proibiti.

Dialogo di un folletto e di uno gnomo


Secondo Leopardi se l’uomo sparisce dalla faccia della terra, non cambia niente. Anche senza i
calendari i giorni passano lo stesso.
La seconda polemica di leopardi è quella secondo cui ogni creatura si sente al centro dell’universo
Leopardi gioca con una realtà, Crisippo un filosofo che sosteneva ipotizzando che se il mondo fosse
fatto apposta per gli uomini, anche animali come i porci sarebbero stati fatti apposta.

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Leopardi nel considerare l’uomo non la creatura più importante, ma anzi la può superba, è molto
avanti nei tempi.

Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare


In alcuni dei grandi idilli come nel testo c’è l’idea che il piacere nell’istante in cui lo vivi non ti
basta, perciò tendi a rimandarlo al futuro. Quando il futuro arriva e si ripensa all’ipotetico momento
di felicità nel passato per non rendersi conto di non essere stati veramente felici si racconta la
propria felicità agli altri, solo per convincere se stessi.
“Stato violento”, concetto già espresso tempo prima; la felicità non esiste, e la vita è una continua
frustrazione.
Leopardi si chiede; se le cose stanno9 cosi, perché gli uomini decidono di vivere così e non la fanno
finita subito?

La noia, il fastidio (sinonimi per leopardi) è un sentimento peggiore del dolore, riempie tutti i vuoti,
si insinua ovunque il disgusto di vivere. Il dolore è qualcosa che ha ancora a che fare con il vivere,
la noia toglie la voglia di fare ogni cosa.

Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie


Il dialogo si apre con il coro di morti nello studio di Federico Ruysch.
Sicuramente la morte per leopardi non è dolore, perché è assenza di alcuna sensazione. Gli attimi
prima della morte possono essere dolorosi, ma al momento della morte non ce dolore. Se l’assenza
di dolore è piacere, la morte allora è un piacere. L’assenza di dolore, o anche la pausa tra due dolori,
è comunque un piacere. Quest’ultimo non è un piacere positivo, ma negativo.
Questa corrente del pensiero è principalmente epicurea, di Lucrezio.

I grandi idilli
Seconda serie degli idilli, dove Leopardi era più maturo.
Sono una decina di poesie piuttosto lunghe, di vario argomento ma che ruotano intorno alle stesse
tematiche: quasi tutti si aprono con la descrizione di un paesaggio seguita da una riflessione
filosofica di grande disillusione.

A Silvia
Silvia è un’idea, non una persona precisa. La chiama Silvia perché si rivolge ad un’idea di una
fanciulla, questo nome è perché è una delle protagoniste di un testo per il teatro di Tasso.

È una ulteriore tappa della distruzione delle forme metriche obbligate


Nella seconda stanza ci sono moltissimi enjambement. Le strofe sono sempre più lunghe.
Le correzioni sul testo sono pochissime perché leopardi ah già talmente elaborato i pensieri che sa
già cosa scrivere.

Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia


Questo è una delle poche poesie di leopardi in cui non parla l’Io lirico, leopardi lascia parlare un
pastore, un uomo poco colto, per lasciar intendere che queste sono domande che anche persona
qualsiasi e non colte si fanno.

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