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Euripide
È il primo dramma in cui troviamo insieme gli elementi
della forma comica standard, quale poi si vedrà in Menan-
dro, Plauto, Shakespeare, Molière fino a Oscar Wilde.
IONE
Bernard Knox
Euripide
Alternando i colori cupi della tragedia a quelli brillanti di una
commedia ironica, lo Ione mette in scena l’incontro della principessa IONE
ateniese Creusa con il figlio adolescente, da lei abbandonato alla a cura di Maria Serena Mirto
nascita per tenere segreto lo stupro di cui è stata vittima. Autore testo greco a fronte
della violenza è Apollo, dio della verità oracolare, che ha salvato il
bambino e lo ha fatto crescere nel suo santuario di Delfi.
Nell’intreccio si susseguono equivoci, rivelazioni, un avvelenamento
e una condanna a morte sventati in extremis. Il riconoscimento tra
madre e figlio, voluto dalla provvidenza divina ma favorito dal caso,
garantisce alla fine, non senza ombre, la felicità dei protagonisti.
L’introduzione e il ricco commento evidenziano, nell’originale
disegno di questa moderna tragedia “a lieto fine”, i modi in cui
la drammaturgia di Euripide dissacra il mito di fondazione di
Atene e della stirpe ionica.
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ISBN 978-88-17-02893-6
Euripide
IONE
Introduzione, traduzione e commento
di Maria Serena Mirto
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Cfr. invece Pindaro, Pitiche, IX 5-70: l’amore di Apollo per la nin-
fa Cirene, che culmina nelle loro nozze e nel viaggio in Libia, dove il
dio la farà regina della città che da lei prende il nome, qui è narrato
con tutti i particolari celebrativi che evidenziano il destino glorioso
non solo del figlio Aristeo, ma anche della madre. Prima di avvicinarsi
a lei Apollo sembra persino trattenuto da scrupoli e da un insolito pu-
dore, chiedendosi se gli sia lecito violare la verginità della seducente
cacciatrice, e avrà bisogno dell’incoraggiamento del centauro Chirone
per compiere «il rito soave delle nozze» (v. 66: terpna;n gavmou ... teleu-
tavn). Sul tono eufemistico con cui Pindaro narra il ratto di Cirene, cfr.
il commento di P. Giannini ad v. 6-6a (in Gentili 1995, pp. 589 sg.). L’u-
nione con Creusa, celata da lei e mantenuta segreta per volere dello
stesso Apollo anche dopo l’avvenuto riconoscimento del figlio, ben
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L’unità di misura del tempo, per gli esseri umani, non si può sepa-
rare dalla sfera emotiva e dall’esperienza del dolore, mentre gli dèi
possono guardare oltre, alla storia futura di una stirpe e alla fortuna
dei suoi discendenti. In questo senso Atena ribadisce, alla fine della
tragedia, che «l’azione divina può anche tardare, ma alla fine è effica-
ce» (v. 1615: crovnia me;n ta; tw``n qew``n pw", ej" tevlo" dΔ oujk ajsqenh`). Sulla
distinta concezione, divina e umana, del tempo si veda Strohm 1976,
pp. 68-79, e per la qualità emozionale e affettiva della concezione del
tempo nel teatro euripideo, de Romilly 1968, pp. 113-141. Per il con-
trasto fra le relazioni col tempo, rispettivamente, di Ione e Creusa, il
ragazzo senza passato che vive radicato nel presente e la donna osses-
sionata da un passato doloroso, entrambi tuttavia consapevoli delle
ferite del tempo perduto, cfr. Lee 1996, pp. 85-109.
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Cfr. vv. 80 sg. Ermes è il dio che salva il bambino dall’esposizione
nella grotta dove era avvenuta la violenza, ma a Delfi lo espone una
seconda volta, sui gradini del tempio, lasciando alla Pizia il compito di
raccoglierlo e allevarlo. Fra le molte simmetrie e duplicazioni che
scandiscono la vicenda di Ione si annovera dunque anche il ripetersi
dell’e[kqesi". Ermes sembra una figura di mediazione fra mondo divi-
no e umano, perché se in alcuni miti proprio lui si fa carico di condur-
re un bambino divino, lontano dalla madre, alla nutrice che lo edu-
cherà (cfr. Pindaro, Pitiche, IX 59-65), in questo caso assolve il suo
compito ripetendo il gesto di esporre il neonato, sia pure in un luogo
sicuro e protetto. Una volta di più si dà così rilievo alla segretezza che
Apollo vuole mantenere sulla sua paternità, e alla netta separazione
tra le premure divine e quelle dei mortali, persino di coloro che vivo-
no al servizio del dio e del suo culto. Interessanti osservazioni sugli
scarti tra la vicenda elaborata da Euripide e il modello narrativo del-
l’eroe esposto alla nascita in Huys 1995, pp. 308 sgg.
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Si vedano le spiegazioni etimologizzanti dei nomi di Anfione e
Zeto, probabilmente imposti dal pastore che aveva trovato i due ge-
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melli figli di Antiope e Zeus (Eur., Antiope, frr. 181-182 Kn.); quella
del nome di Beoto, nato da Melanippe e Poseidone (Eur., Melanippe
desmotis, fr. 489 Kn.); il nome di Ippotoonte, generato da Alope a Po-
seidone, ricordava che il bambino esposto era stato allattato da una
cavalla (Igino, Fab. 187, 5, che dipende verosimilmente dalla perduta
Alope euripidea, cfr. TrGF 5.1, p. 229); per Telefo, il figlio nato ad Au-
ge violentata da Eracle, si veda l’etimologia suggerita da Apollodoro,
Biblioteca, III 9, 1 e quanto osserva H. Van Looy (J.-V.L. 1998, p. 311 n.
9), che ne ritiene verosimile l’origine euripidea; nel Telefo tuttavia,
Euripide propone un’altra fantasiosa paretimologia: cfr. fr. 696 Kn.,
11-13. Nel caso di Paride/Alessandro due nomi diversi si avvicendano
a ricordare due distinti momenti della vicenda di eroe esposto alla na-
scita: Paride, dalla «bisaccia» (phvra) in cui il neonato era stato traspor-
tato, e Alessandro, «difensore di uomini» (ΔAlevxandro") perché, cre-
sciuto fra i pastori sull’Ida e divenuto un coraggioso adolescente, li
aveva difesi dall’assalto dei briganti (cfr. schol. ad Andr. 293 e Apollo-
doro, Biblioteca III 12, 5; Eur., Alessandro, fr. 42d Kn.). In generale cfr.
Van Looy 1973, pp. 345-366 (su Paride, p. 352), e Huys 1995, p. 305.
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Cfr. Huys 1995, p. 309. Loraux 1981, pp. 201 sg., insiste sull’im-
portanza del riconoscimento da parte di Creusa per conferire legitti-
mità a Ione, mentre al padre tocca solo assegnargli il nome e, perché
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Vv. 281 sg. La fine del re era narrata anche nell’Eretteo dal mes-
saggero che dava notizia a Prassitea dello svolgimento della battaglia
(fr. 370, 16 sgg. Kn.). In quella versione Euripide dava spazio al moti-
vo per cui Eumolpo assaliva l’Attica (la spedizione è inserita da altre
fonti nel contesto di una guerra fra Atene ed Eleusi): suo padre Posei-
done si era visto preferire Atena come divinità tutelare della regione.
Per una ricostruzione del mito e della versione euripidea, e per ipotesi
sulla sua datazione si vedano Collard, Cropp, Lee 1995, pp. 148-155; F.
Jouan, in J.-V.L. 2000, pp. 95-114.
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Huys 1995, pp. 95 sgg., a proposito dell’accenno alla necessità di
nascondere la gravidanza al padre, che affiora ai vv. 14 sg. e 340, sostie-
ne che Euripide introduce così un “locus rudimentalis”, un “motivo
inerte”, di nessuna importanza per l’intreccio ma tipico del modello
narrativo cui s’ispira. A parlare di loci rudimentales per spiegare alcu-
ne contraddizioni interne al testo fu per primo Zielinski 1925, pp. 24-
26, 55-58, 74-79, 119-121: lo studioso polacco li intendeva come residui
di precedenti versioni (per lo Ione si sarebbe trattato della Creusa
sofoclea di cui, per la verità, non si sa neppure se trattasse la stessa vi-
cenda), ormai inattivi o addirittura in conflitto con la nuova elabora-
zione drammatica.
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Si veda Burnett 1962, p. 90; Burnett 1971, p. 123.
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Su questo cfr. Huys 1995, p. 149.
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Cfr. Aristotele, Costituzione degli Ateniesi 3, 2; Strabone 8, 7, 1;
Pausania 7, 1, 5.
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Viene suggerito di frequente l’accostamento tra la posizione di
Creusa e l’istituto dell’epiclerato, volto a garantire ad Atene la conti-
nuità dell’oikos prescrivendo che, in mancanza di altri eredi, la figlia
depositaria del patrimonio familiare si unisca in matrimonio con un
parente prossimo del ramo paterno: cfr. Burnett 1971, pp. 106-108 e n.
6, e soprattutto Loraux 1981, pp. 217-219, 223-229, peraltro costretta a
definire Creusa «une épiclère parfaitement anormale» (p. 218). L’as-
sociazione è piuttosto fuorviante, perché non tiene conto della situa-
zione delineata nella tragedia prima del pronunciamento dell’oracolo:
se il matrimonio con Xuto non fosse rimasto fino ad allora sterile e se
la comparsa di un suo figlio bastardo non rappresentasse un pericolo
concreto per la purezza etnica della stirpe ateniese, non ci sarebbe ra-
gione per enfatizzare l’origine indigena della famiglia di Eretteo e ve-
dere nel principe regnante un intruso. La dinastia autoctona rivive
grazie al contributo di un padre che viene dall’esterno – dio o alleato
mortale che sia – ma solo il marito umano di Creusa può conferire le-
gittimità sociale all’erede. Per rifondare la linea di discendenza dei
“nati dalla terra” c’è dunque bisogno di uno straniero che adotti il fi-
glio concepito, fuori dal matrimonio, dalla sola figlia di Eretteo so-
pravvissuta: doppia infrazione ai vincoli che l’Atene classica impone-
va ai suoi cittadini (cfr. vv. 589-592), consentita, tuttavia, dal codice mi-
tico. Ne sono elementi riconoscibili la paternità biologica di un dio e
l’integrazione dell’eroe straniero nella famiglia regale, quando gli si
offre di sposare una figlia che rimarrà così nella casa di suo padre an-
ziché seguire il marito (modello ben diverso dall’epiclerato, ma che ne
condivide lo scopo: mantenere il legame della donna, e dei figli che
nasceranno dalle sue nozze, con l’oikos paterno). Non ha dunque sen-
so parlare di una sfida di Creusa alle convenzioni del matrimonio e di
una sua denuncia del ruolo esclusivo del maschio nella successione,
perché l’accusa da lei rivolta a Xuto di volersi appropriare del suo pa-
trimonio metterebbe in rilievo l’impotenza della epikleros (Dunn
1990, pp. 133-136). Per la soluzione anacronistica rappresentata, nella
polis democratica, dai miti in cui un marito viene “adottato” dalla fa-
miglia d’origine della sposa, cfr. Seaford 1990, pp. 154 sgg.
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Cole 1997, pp. 89-91, sostiene che l’esistenza di una Creusa, figlia
di Eretteo e resa da Apollo madre di Ione, risulta problematica rispet-
to alla tradizione precedente. Per Esiodo (fr. 9 M.-W.) Xuto è figlio di
Elleno e fratello di Doro ed Eolo; per Erodoto (VII 94; VIII 44, 2) è il
vero padre di Ione (anche nella Melanippe sophe, fr. 481, 9-11 Kn., Eu-
ripide descrive Ione come figlio di Xuto e di una figlia di Eretteo).
Non è tuttavia corretta l’affermazione che Creusa non sia neppure
menzionata prima di Euripide, come sostiene Cole 1997 (p. 89), per-
ché proprio Esiodo ne fa la figlia di Eretteo (fr. 10(a), 20-24 M.-W.): le
integrazioni di M. L. West al frammento papiraceo del Catalogo delle
donne – basate su Apollodoro, Biblioteca I, 7, 3 e 9, 4 – dove si dice che
Xuto sposa Creusa, figlia di Eretteo, e gli genera Acheo, Ione e la bel-
la Diomeda (P. Turner 1, ed. Parsons-Sijpesteijn-Worp, London 1981,
p. 14) sono state successivamente confortate e rese virtualmente sicu-
re dal felice accostamento di un altro frammento papiraceo (P. Oxy.
2822, fr. 2, ed. Lobel: cfr. West 1983, pp. 27-30). È invece evidente che
la soluzione adottata nello Ione, fare di Creusa una superstite al sacri-
ficio delle sorelle per la sua tenera età, sembra del tutto indipendente
dalla tradizione ateniese, proprio per le difficoltà cronologiche che
comporta rispetto alla menzione del padre al v. 14 (Cole 1997, p. 154
sg. n. 8: il dettaglio è una inaccurata invenzione euripidea; la tradizio-
ne ateniese conosceva due sorelle che si erano sposate prima della
guerra, e anche Creusa avrebbe potuto salvarsi lasciando la casa pa-
terna col matrimonio). Inoltre non sono conclusive, per postulare una
versione del mito in cui Apollo fosse padre di Ione già prima di Euri-
pide, neppure le testimonianze di un antico culto di Apollo come divi-
nità ancestrale degli Ioni (cfr. Cole 1997, pp. 90 e 155, nn. 13-14; Owen,
pp. XII-XV). È molto improbabile, del resto, l’ipotesi di West 1985, p.
106, che non esclude la menzione di Apollo, evidentemente assente
nel breve resoconto delle nozze di Xuto e Creusa nel fr. 10a, 20-24 del
Catalogo esiodeo, più oltre, quando veniva raccontata la storia di
Creusa: anche lei, come le sorelle Procri e Orizia, avrebbe così avuto
una relazione con un dio. Ma nella versione di Euripide l’unione col
dio è destinata a dare una paternità divina a Ione, che in Esiodo sa-
rebbe invece, come Acheo, figlio di Xuto.
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Questa è l’equilibrata raccomandazione di Mastronarde 2002,
pp. 29 sg.
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Cfr. Whitman 1974, pp. 73 sg.; Loraux 1981, p. 203.
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Pindaro, Olimpiche, VI 67; cfr. Pitiche, III 29; IX 42, Euripide, Ifige-
nia Taurica 1254.
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La definizione in Loraux 1981, pp. 216 sg. Su questa istituzione
sociale arcaica, che allontana un bambino “eletto” dalla sua famiglia, e
lo relega in una regione straniera presso la famiglia della madre o fra
pastori, dove verrà educato vivendo una sorta d’iniziazione prima di
tornare a pieno titolo nella sua comunità per rinnovarla grazie alle
sue doti in qualità di eroe fondatore, cfr. Gernet 19642, pp. 19-28. Nel
tema del tentato avvelenamento da parte di Creusa, che nella storia di
Teseo si ripete ad opera di Medea quando l’eroe torna ad Atene per
farsi riconoscere dal padre Egeo, Gernet (p. 23) crede di ravvisare
un’ordalia d’investitura legata alla conclusione del fosterage.
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È di grande interesse, per inquadrare questo aspetto del perso-
naggio di Ione, il confronto tra la minaccia agli uccelli della monodia
iniziale (vv. 154-183) e un passo erodoteo dove lo stesso gesto suscita
la reazione sdegnata di Apollo dell’oracolo dei Branchidi (I 159). Cac-
ciare i passeri e gli altri uccelli che hanno nidificato nel santuario è
l’empio stratagemma di un cittadino di Cuma eolica per costringere il
dio – che per due volte ha sorprendentemente consigliato agli inviati
cumani di consegnare un supplice agli inseguitori – a proteggere i suoi
“supplici” naturali e rivelare il vero intento dei precedenti responsi:
punire la sfrontatezza dei consultanti facendoli incorrere in un sacrile-
gio. Un approfondimento di questo parallelo in Mirto 2001, pp. 29-46.
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Cfr., ad esempio, Mastronarde 1975, pp. 163-176, Huys 1995, pp.
175 sg.
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L’errore cui il vecchio è indotto da un atteggiamento razionali-
stico, in un dramma che mostra i limiti di una comprensione razionale
della realtà, è illustrato da Lloyd 1986, p. 40.
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Al v. 406 Creusa, alludendo alla speranza di avere figli insieme al
marito, ricorre a un’espressione – «Come si potrà mescolare il nostro
seme per generare figli?» (paivdwn o{pw" nw/`n spevrma sugkraqhvsetai…) –
che indica un ruolo attivo della donna nel concepimento, secondo una
teoria presocratica (Parmenide, Empedocle, forse anche Anassagora,
nonostante la testimonianza di Aristotele, Generazione degli animali
763b, 30-33, che gli attribuisce l’opinione contraria, per cui solo il ma-
schio ha funzione attiva nel generare), condivisa dai medici del Cor-
pus Hippocraticum. Creusa parla di una futura maternità, ma è un’e-
sperienza che ha già vissuto, il suo segreto dolorosamente custodito.
L’attenzione di Euripide per le teorie fisiologiche è evidente anche
nell’Eracle (rinvio per questo a Mirto 20062, pp. 15-27 e in particolare
21-22, n. 17), e non deve sorprendere che qui all’idea della donna co-
me semplice ricettacolo del seme maschile subentri quella alternativa,
secondo cui sia il maschio che la femmina producono seme e coopera-
no nel procreare. Zeus e Anfitrione si avvicendano a fianco di Alcme-
na, ed Eracle nasce dalla misteriosa fusione di seme maschile immor-
tale e umano nel ventre della stessa donna; per Ione la mescolanza
delle due stirpi avviene solo attraverso il rapporto imposto alla donna
dal dio, e il figlio riceve dalla madre tutte le qualità che ne fanno un
degno erede del trono di Eretteo.
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Cfr., per una valutazione più dettagliata di questi temi, l’Appendi-
ce: Stupro e adulterio nel diritto attico e sulla scena euripidea, pp. 63-74.
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L’eccezione del Duskolos di Menandro conferma la regola: il
giovane ricco che s’innamora di una ragazza povera e intende sposar-
la, vincendo le resistenze del padre di lei, misantropo e diffidente, è un
pretendente così inconsueto che quando il fratellastro della giovane,
Gorgia, lo sorprende nei pressi della sua casa, sospetta che si tratti di
un potenziale stupratore o seduttore (vv. 289-314); lo stesso Sostrato
non crede che il suo progetto matrimoniale incontri l’approvazione
dell’amico che gli offre aiuto per realizzarlo (vv. 135-138), e alla fine
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solo a fatica convincerà il padre a dare il suo consenso anche alle noz-
ze tra la propria sorella e Gorgia, replicando così il gesto filantropico
di una scelta matrimoniale che ignori le differenze economiche. Per
un’esauriente analisi dei motivi della commedia si vedano Konstan
1995, pp. 93-106 e Lape 2001b, pp. 141-172: la singolare passione amo-
rosa di Sostrato si rivela un efficace mezzo per reintegrare nella co-
munità civica – grazie al vincolo di un’alleanza matrimoniale in grado
di superare l’antagonismo di classe – l’oikos del contadino pericolosa-
mente asociale, che sogna un’impossibile autarchia; un elemento del
repertorio culturale ateniese, questo, ormai superato, benché ancora
vitale nella commedia di Aristofane. In generale, sul carattere “politi-
co” dei modelli di solidarietà tra individui di diverso status nella com-
media di Menandro, cfr. Giglioni Bodei 1984.
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Menandro, L’arbitrato 1123 sg. = Euripide, Auge fr. 265a Kn.: hJ
fuvsi" ejbouvleqΔ, h|/ novmwn oujde;n mevlei: É gunh; dΔejpΔ aujtw/` tw/` dΔ e[fu. Cfr.
Rosivach 1998, pp. 43 sg.
53
Sulla novità rappresentata dalla sostituzione di aggressori scono-
sciuti, nella Commedia Nuova, agli dèi stupratori del paradigma miti-
co, cfr. Scafuro 1997, pp. 275-278.
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Cfr. Giannopoulou 1999-2000, pp. 262-271.
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Cfr. Furley 1999-2000, pp. 188-192, e Zacharia 2003, pp. 89-91.
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Zacharia 1995, pp. 60 sg., esamina alcune specularità formali
giungendo alla conclusione che esemplificano, proprio come il co-
stante intersecarsi dei toni comico e serio, la coesistenza di modi al-
ternativi di guardare la realtà. Un’analisi parallela degli aspetti for-
mali e della nuova temperie religiosa che avvicinerebbero lo Ione al-
la Commedia Nuova già in Friedrich 1953, pp. 10-29. Danek 2001, p.
58, addita nelle due diverse prospettive, divina e umana, i contesti di
pertinenza, rispettivamente, del tono comico e di quello tragico: il
pubblico, reso consapevole del piano d’azione divino, può avvertire
una nota comica nella distanza tra il sapere degli dèi e l’ignoranza de-
gli uomini, ma è partecipe del modo tragico che qualifica i sentimenti
dei personaggi umani.
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Cfr. l’analisi che ne fanno Taplin 19852, pp. 137 sg., e Knox 1979,
pp. 260-263.
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Il suggestivo confronto proposto da Matthiessen 1990, pp. 271
sg., 288 sg., con A Midsummer-Night’s Dream di Shakespeare non met-
te tuttavia in rilievo una differenza, fra le altre, utile a mostrare come
lo Ione resti a pieno titolo nell’ambito del genere tragico («eine Tragö-
die der Irrungen», p. 289): l’intervento di Oberon, il re degli elfi, e del
suo servo Puck per orientare i sentimenti delle coppie umane in modo
da stabilire una giusta reciprocità amorosa avviene su un terreno per
natura imprevedibile, accidentale e precario come quello dell’eros;
l’intervento di Apollo nel destino di Creusa e di Ione, invece, determi-
na conseguenze che ledono il naturale orientamento affettivo di una
coppia costituita da una madre e da un figlio, prima tenendoli lunga-
mente separati e poi non riuscendo a prevedere i tempi giusti del loro
ricongiungimento. Se Oberon può rimediare all’errore di Puck e sta-
bilire infine amore reciproco e duraturo fra i componenti delle due
coppie, Apollo, dal canto suo, neutralizza i rischi causati dalla sua vi-
sione troppo algida e distante delle passioni umane, ma la sua magia è
assai meno straordinaria perché, dopo tutto, consente solo a una ma-
dre e a un figlio di riconoscersi e amarsi per il futuro – come normal-
mente accade alle madri e ai figli – senza poter restituire loro il tempo
perduto, né sanare tutte le ferite.
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Come si afferma in un frammento dell’Andromeda, 141 Kn. Cfr.
anche Andromaca 632-638 e i frr. 168 Kn. (dall’Antigone) e 377 Kn.
(dal dramma satiresco Euristeo), tutti passi relativi all’infondatezza
dell’antitesi tra figli bastardi e legittimi, basata sulla convenzione so-
ciale (novmo") ma non sulla natura (fuvsi"). L’idea della fondamentale
eguaglianza dell’umanità era radicata nella teoria antropologica: cfr.
Guthrie 1971, pp. 160-163.
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Cfr. Auerbach 1956, pp. 63-87.
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Auerbach 1956, pp. 84 sgg. Sia la menzione del passo platonico
(Simposio 223d), sia il paragone con i toni comici nella produzione se-
ria di Shakespeare ricorrono poi insistentemente nelle riflessioni criti-
che su questa peculiarità euripidea: cfr. Zacharia 1995, pp. 57 sg., Za-
charia 2003, pp. 152 sg. e la bibliografia ivi citata.
63
Nietzsche 1982, cap. XI, pp. 80-86 (in particolare p. 81).
64
Nietzsche 1982, p. 102.
65
Valutazioni molto equilibrate sulla funzione degli aspetti innova-
tivi del teatro euripideo in Fusillo 1992, pp. 270-299. Una recente ri-
flessione sul luogo comune critico che Euripide abbia trasgredito i
confini del suo genere in Gregory 1999-2000, pp. 59-74. Lo stesso invi-
to alla cautela nel confidare in una definizione astratta del genere tra-
gico, ascrivendo alla drammaturgia euripidea continue violazioni del-
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62 INTRODUZIONE
APPENDICE
Stupro e adulterio nel diritto attico
e sulla scena euripidea
64 APPENDICE
1
A partire da Paoli 1976, pp. 251-307, in particolare pp. 254 sgg.,
267, 289 sgg., 293 sgg.
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APPENDICE 65
66 APPENDICE
2
Non appare convincente la tesi di Cohen 1991, pp. 98-109, che in-
tende dimostrare come l’unico senso del termine greco sia quello di
volontaria violazione del vincolo coniugale, lo stesso che vale per le
lingue moderne.
3
Si veda la recente discussione di Omitowoju 1997, pp. 1-24, Omi-
towoju 2002, pp. 29-115. Utile anche la sintesi di Lape 2001a, pp. 84-89.
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APPENDICE 67
68 APPENDICE
APPENDICE 69
70 APPENDICE
APPENDICE 71
72 APPENDICE
APPENDICE 73
5
Cfr. sopra, n. 52. Per una ricostruzione delle caratteristiche del per-
sonaggio e l’ipotesi che il fr. 265a Kn. appartenga a un confronto tra
Auge e suo padre Aleo, si veda H. Van Looy in J.-V.L. 1998, pp. 317 sg.
6
Utili punti di riferimento sulla legislazione e la prassi giudiziaria
relative allo stupro e all’adulterio, oltre agli studi già menzionati, sono
MacDowell 1978, pp. 124 sg., Todd 1993, pp. 276-279; Cole 1984, pp. 97-
113, con le obiezioni di Harris 1990, pp. 370-377, e le ulteriori precisa-
zioni di Carey 1995, pp. 407-417; Brown 1991, pp. 533-534; Ogden 1996,
pp. 136-150; Ogden 1997, pp. 25-41; Pierce 1997, pp. 176-179; Scafuro
1997, pp. 194-216.
0060.appendice.qxd 15-12-2008 14:54 Pagina 74
74 APPENDICE
7
Scafuro 1990, pp. 133-136.
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PREMESSA AL TESTO
76 PREMESSA AL TESTO
PREMESSA AL TESTO 77
78 PREMESSA AL TESTO
PREMESSA AL TESTO 79
80 PREMESSA AL TESTO
PREMESSA AL TESTO 81
82 PREMESSA AL TESTO
PREMESSA AL TESTO 83
84 PREMESSA AL TESTO
Avvertenza
PREMESSA AL TESTO 85
86 PREMESSA AL TESTO
BIBLIOGRAFIA
88 BIBLIOGRAFIA
SCOLÎ
TRADUZIONI ITALIANE
BIBLIOGRAFIA 89
STUDI
90 BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA 91
92 BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA 93
94 BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA 95
96 BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA 97
98 BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA 99
100 BIBLIOGRAFIA
ABBREVIAZIONI
102 ABBREVIAZIONI
IONE
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ERMHS
IWN
COROS
KREOUSA
XOUQOS
PRESBUTHS
QERAPWN
PROFHTIS
AQHNA
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ERMES
IONE
CORO
CREUSA
XUTO
VECCHIO
SERVO
PROFETESSA
ATENA
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ERMHS
1 “Atla" oJ nwvtoi" calkevoisin oujrano;n,
qew'n palaio;n oi\kon, ejktrivbwn qew'n
mia'" e[fuse Mai'an, h} ΔmΔ ejgeivnato
ÔErmh'n megivstw/ Zhniv, daimovnwn lavtrin.
5 h{kw de; Delfw'n thvnde gh'n, i{nΔ ojmfalo;n
mevson kaqivzwn Foi'bo" uJmnw/dei' brotoi'"
tav tΔ o[nta kai; mevllonta qespivzwn ajeiv.
e[stin ga;r oujk a[shmo" ÔEllhvnwn povli",
th'" crusolovgcou Pallavdo" keklhmevnh,
10 ou| pai'dΔ ΔErecqevw" Foi'bo" e[zeuxen gavmoi"
biva/ Krevousan, e[nqa prosbovrrou" pevtra"
Pallavdo" uJpΔ o[cqw/ th'" ΔAqhnaivwn cqono;"
Makra;" kalou'si gh'" a[nakte" ΔAtqivdo".
ajgnw;" de; patriv (tw'/ qew'/ ga;r h\n fivlon)
15 gastro;" dihvnegkΔ o[gkon. wJ" dΔ h\lqen crovno",
tekou'sΔ ejn oi[koi" pai'dΔ ajphvnegken brevfo"
ej" taujto;n a[ntron ou|per hujnavsqh qew'/
Krevousa, kajktivqhsin wJ" qanouvmenon
koivlh" ejn ajntivphgo" eujtrovcw/ kuvklw/,
20 progovnwn novmon swv/zousa tou' te ghgenou'"
ΔEricqonivou. keivnw/ ga;r hJ Dio;" kovrh
frourw; parazeuvxasa fuvlake swvmato"
dissw; dravkonte, parqevnoi" ΔAglaurivsin
divdwsi swv/zein: o{qen ΔErecqeivdai" ejkei'
25 novmo" ti" e[stin o[fesin ejn crushlavtoi"
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PROLOGO
108 IWN
IONE 109
110 IWN
IONE 111
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IONE 115
116 IWN
povda kinhvsei"…
oujdevn sΔ aJ fovrmigx aJ Foivbou
165 suvmmolpo" tovxwn rJuvsaitΔ a[n.
pavrage ptevruga":
livmna" ejpivba ta'" Dhliavdo":
aiJmavxei", eij mh; peivsh/,
ta;" kallifqovggou" wj/dav".
170 e[a e[a:
tiv" o{dΔ ojrnivqwn kaino;" prosevba…
mw'n uJpo; qrigkou;" eujnaiva"
karfura;" qhvswn tevknoi"…
yalmoiv sΔ ei[rxousin tovxwn.
ouj peivsh/… cwrw'n divna"
175 ta;" ΔAlfeiou' paidouvrgei
h] navpo" “Isqmion,
wJ" ajnaqhvmata mh; blavpthtai
naoiv qΔ oiJ Foivbou ã Ã.
kteivnein dΔ uJma'" aijdou'mai
180 tou;" qew'n ajggevllonta" fhvma"
qnatoi'": oi|" dΔ e[gkeimai movcqoi"
Foivbw/ douleuvsw kouj lhvxw
tou;" bovskonta" qerapeuvwn.
COROS
ã<Ã oujk ejn tai'" zaqevai" ΔAqav- ªstr. a
185 nai" eujkivone" h\san auj-
lai; qew'n movnon oujdΔ ajgui-
avtide" qerapei'ai:
ajlla; kai; para; Loxiva/
tw'/ Latou'" diduvmwn proswv-
pwn kalliblevfaron fw'".
190 < ijdouv, ta'/dΔ a[qrhson:
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IONE 117
[entra il Coro]
PARODO
CORO
– Non solo nella sacra Atene strofe a
vi sono dimore degli dèi
adorne di colonnati,
e si onora il divino protettore delle strade;
anche presso il Lossia,
il figlio di Latona, rifulge
lo sguardo luminoso dei due frontoni.
– Su guarda, osserva qui!
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118 IWN
IONE 119
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IONE 121
[entra Creusa]
PRIMO EPISODIO
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[entra Xuto]
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[esce]
[esce]
PRIMO STASIMO
CORO
Supplico te, mia Atena, strofe
nata senza le doglie del parto,
portata alla luce
dal titano Prometeo
dalla sommità del capo di Zeus,
beata Vittoria,
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138 IWN
IONE 139
[rientra Ione]
SECONDO EPISODIO
140 IWN
Iw. caivromen: su; dΔ eu\ frovnei ge, kai; duvΔ o[ntΔ eu\ pravxomen.
Xo. do;" cero;" fivlhmav moi sh'" swvmatov" tΔ ajmfiptucav".
520 Iw. eu\ fronei'" mevn… h[ sΔ e[mhnen qeou' ti", w\ xevne, blavbh…
Xo. ouj fronw', ta; fivltaqΔ euJrw;n eij filei'n ejfivemai…
Iw. pau'e, mh; yauvsa" ta; tou' qeou' stevmmata rJhvxh/" ceriv.
Xo. a{yomai: kouj rJusiavzw, tajma; dΔ euJrivskw fivla.
Iw. oujk ajpallavxh/, pri;n ei[sw tovxa pleumovnwn labei'n…
525 Xo. wJ" tiv dh; feuvgei" me sautou' gnwrivsai ta; fivltata…
Iw. ouj filw' frenou'n ajmouvsou" kai; memhnovta" xevnou".
Xo. ktei'ne kai; pivmprh: patro;" gavr, h]n ktavnh/", e[sh/ foneuv".
Iw. pou' dev moi path;r suv… tau'tΔ ou\n ouj gevlw" kluvein ejmoiv…
Xo. ou[: trevcwn oJ mu'qo" a[n soi tajma; shmhvneien a[n.
530 Iw. kai; tiv moi levxei"… Xo. path;r sov" eijmi kai; su; pai'" ejmov".
Iw. tiv" levgei tavdΔ… Xo. o{" sΔ e[qreyen o[nta Loxiva" ejmovn.
Iw. marturei'" sautw'/. Xo. ta; tou' qeou' gΔ ejkmaqw;n
ªcrhsthvria.
Iw. ejsfavlh" ai[nigmΔ ajkouvsa". Xo. oujk a[rΔ o[rqΔ ajkouvomen.
Iw. oJ de; lovgo" tiv" ejsti Foivbou… Xo. to;n sunanthvsantav moi...
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IONE 141
142 IWN
535 Iw. tivna sunavnthsin… Xo. ...dovmwn tw'ndΔ ejxiovnti tou' qeou'...
Iw. sumfora'" tivno" kurh'sai… Xo. ...pai'dΔ ejmo;n pefukevnai.
Iw. so;n gegw'tΔ h] dw'ron a[llw"… Xo. dw'ron, o[nta tΔ ejx ejmou'.
Iw. prw'ta dh'tΔ ejmoi; xunavptei" povda sovn… Xo. oujk a[llw/
ªtevknon.
Iw. hJ tuvch povqen poqΔ h{kei… Xo. duvo mivan qaumavzomen.
540 Iw. ejk tivno" dev soi pevfuka mhtrov"… Xo. oujk e[cw fravsai.
Iw. oujde; Foi'bo" ei\pe… Xo. terfqei;" tou'to, kei'nΔ oujk hjrovmhn.
Iw. gh'" a[rΔ ejkpevfuka mhtrov"… Xo. ouj pevdon tivktei tevkna.
Iw. pw'" a]n ou\n ei[hn sov"… Xo. oujk oi\dΔ, ajnafevrw dΔ ej" to;n
ªqeovn.
Iw. fevre lovgwn aJywvmeqΔ a[llwn. Xo. tou'tΔ a[meinon, w\
ªtevknon.
545 Iw. h\lqe" ej" novqon ti levktron… Xo. mwriva/ ge tou' nevou.
Iw. pri;n kovrhn labei'n ΔErecqevw"… Xo. ouj ga;r u{sterovn
ªgev pw.
Iw. a\ra dh'tΔ ejkei' mΔ e[fusa"… Xo. tw'/ crovnw/ ge suntrevcei.
Iw. ka\ita pw'" ajfikovmesqa deu'ro Xo. tou'tΔ ajmhcanw'.
Iw. dia; makra'" ejlqw;n keleuvqou… Xo. tou'to ka[mΔ ajpaiola'./
550 Iw. Puqivan dΔ h\lqe" pevtran privn… Xo. ej" fanav" ge Bakcivou.
Iw. proxevnwn dΔ e[n tou katevsce"… Xo. o{" me Delfivsin
ªkovrai"
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SECONDO STASIMO
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TERZO EPISODIO
156 IWN
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164 IWN
povtnian ajkthvn,
oujkevti kruvyw levco", wJ" stevrnwn
875 ajponhsamevnh rJav/wn e[somai.
stavzousi kovrai dakruvoisin ejmaiv,
yuch; dΔ ajlgei' kakoboulhqei'sΔ
e[k tΔ ajnqrwvpwn e[k tΔ ajqanavtwn,
ou}" ajpodeivxw
880 levktrwn prodovta" ajcarivstou".
w\ ta'" eJptafqovggou mevlpwn
kiqavra" ejnopavn, a{tΔ ajgrauvloi"
keravessin ejn ajyuvcoi" ajcei'
mousa'n u{mnou" eujachvtou",
885 soi; momfavn, w\ Latou'" pai',
pro;" tavndΔ aujga;n aujdavsw.
h\lqev" moi crusw'/ caivtan
marmaivrwn, eu\tΔ ej" kovlpou"
krovkea pevtala favresin e[drepon
890 ÊajnqivzeinÊ crusantaugh':
leukoi'" dΔ ejmfu;" karpoi'sin
ceirw'n eij" a[ntrou koivta"
krauga;n “W ma'tevr mΔ aujdw'san
qeo;" oJmeunevta"
895 a\ge" ajnaideiva/
Kuvpridi cavrin pravsswn.
tivktw dΔ aJ duvstanov" soi
kou'ron, to;n frivka/ matro;"
bavllw ta;n sa;n eij" eujnavn,
900 i{na mΔ ejn levcesin melevan melevoi"
ejzeuvxw ta;n duvstanon.
oi[moi moi: kai; nu'n e[rrei
ptanoi'" aJrpasqei;" qoivna
pai'" moi kai; soiv.
905 tlavmwn, su; dΔ ãajei;Ã kiqavra/ klavzei"
paia'na" mevlpwn.
wjhv, to;n Latou'" aujdw',
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170 IWN
Pr. feu':
960 tlhvmwn su; tovlmh", oJ de; qeo;" ma'llon sevqen.
Kr. eij pai'dav gΔ ei\de" cei'ra" ejkteivnontav moi.
Pr. masto;n diwvkontΔ h] pro;" ajgkavlai" pesei'n…
Kr. ejntau'qΔ i{nΔ oujk w]n a[dikΔ e[pascen ejx ejmou'.
Pr. soi; dΔ ej" tiv dovxΔ ejsh'lqen ejkbalei'n tevknon…
965 Kr. wJ" to;n qeo;n swvsonta tovn gΔ auJtou' govnon.
Pr. oi[moi, dovmwn sw'n o[lbo" wJ" ceimavzetai.
Kr. tiv kra'ta kruvya", w\ gevron, dakrurroei'"…
Pr. se; kai; patevra so;n dustucou'nta" eijsorw'n.
Kr. ta; qnhta; toiau'tΔ: oujde;n ejn taujtw'/ mevnei.
970 Pr. mhv nun e[tΔ oi[ktwn, quvgater, ajntecwvmeqa.
Kr. tiv gavr me crh; dra'n… ajporiva to; dustucei'n.
Pr. to;n prw'ton ajdikhvsantav sΔ ajpotivnou qeovn.
Kr. kai; pw'" ta; kreivssw qnhto;" ou\sΔ uJperdravmw…
Pr. pivmprh ta; semna; Loxivou crhsthvria.
975 Kr. devdoika: kai; nu'n phmavtwn a{dhn e[cw.
Pr. ta; dunatav nun tovlmhson, a[ndra so;n ktanei'n.
Kr. aijdouvmeqΔ eujna;" ta;" tovqΔ hJnivkΔ ejsqlo;" h\n.
Pr. nu'n dΔ ajlla; pai'da to;n ejpi; soi; pefhnovta.
Kr. pw'"… eij ga;r ei[h dunatovn: wJ" qevloimiv gΔ a[n.
980 Pr. xifhfovrou" sou;" oJplivsasΔ ojpavona".
Kr. steivcoimΔ a[n: ajlla; pou' genhvsetai tovde…
Pr. iJerai'sin ejn skhnai'sin ou| qoina'/ fivlou".
Kr. ejpivshmon oJ fovno" kai; to; dou'lon ajsqenev".
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IONE 171
VE. Ah!
Sciagurata per ciò che hai osato fare, ma il dio più
sciagurato di te.39
CR. Se avessi visto come il bimbo mi tendeva le mani.
VE. Cercava il tuo seno, voleva essere stretto fra le tue
braccia?
CR. Sì, e non poterci stare è l’ingiustizia che ha subito
da me.
VE. Perché ti è venuta l’idea di esporre il bambino?
CR. Speravo che il dio salvasse la sua creatura.
VE. Ahimè, quale tempesta scuote la prosperità della
tua casa!
CR. Perché, vecchio, ti copri il capo e piangi?
VE. Vedo la tua sventura e quella di tuo padre.
CR. È la condizione dei mortali: niente dura stabilmente.
VE. Basta, figlia, lasciamo stare i continui lamenti.
CR. Cosa dovrei fare? La sventura è mancanza di ri-
sorse.
VE. Vendicati del dio, che per primo ti ha oltraggiato.
CR. E come posso io, mortale, trionfare di potenze su-
periori?
VE. Incendia il sacro oracolo del Lossia.
CR. Ho paura. Ho già abbastanza guai.
VE. Allora tenta ciò che è alla tua portata: uccidi tuo
marito.
CR. Ho riguardo per il vincolo nuziale, per quando lui
era onesto con me.
VE. Ma almeno uccidi il figlio, che è comparso per dan-
neggiarti.
CR. E come? Se solo fosse possibile, quanto lo vorrei!
VE. Arma di spade i tuoi servi.
CR. Potrei farlo. Ma dove avrebbe luogo l’attentato?
VE. Nel sacro padiglione dove offre un banchetto agli
amici.
CR. Ma il delitto richiama l’attenzione e i servi sono
deboli.
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IONE 173
174 IWN
IONE 175
176 IWN
IONE 177
TERZO STASIMO
178 IWN
IONE 179
180 IWN
QERAPWN
kleinhvn, gunai'ke", pou' kovrhn ΔErecqevw"
devspoinan eu{rw… pantach'/ ga;r a[stew"
ã Ã
zhtw'n nin ejxevplhsa koujk e[cw labei'n.
Co. tiv dΔ e[stin, w\ xuvndoule… tiv" proqumiva
1110 podw'n e[cei se kai; lovgou" tivna" fevrei"…
Qe. qhrwvmeqΔ: ajrcai; dΔ aJpicwvrioi cqono;"
zhtou'sin aujth;n wJ" qavnh/ petroumevnh.
Co. oi[moi, tiv levxei"… ou[ti pou lelhvmmeqa
krufai'on ej" pai'dΔ ejkporivzousai fovnon…
1115 Qe. e[gnw": meqevxei" dΔ oujk ejn uJstavtoi" kakou'.
Co. w[fqh de; pw'" ta; krupta; mhcanhvmata…
Qe. ªto; mh; divkaion th'" divkh" hJsswvmenonº
ejxhu'ren oJ qeov", ouj mianqh'nai qevlwn.
Co. pw'"… ajntiavzw sΔ iJkevti" ejxeipei'n tavde.
1120 pepusmevnai gavr, eij qanei'n hJma'" crewvn,
h{dion a]n qavnoimen, ei[qΔ oJra'n favo".
Qe. ejpei; qeou' mantei'on w[/cetΔ ejklipw;n
povsi" Kreouvsh" pai'da to;n kaino;n labw;n
pro;" dei'pna qusiva" qΔ a}" qeoi'" wJplivzeto,
1125 Xou'qo" me;n w[/cetΔ e[nqa pu'r phda'/ qeou'
bakcei'on, wJ" sfagai'si Dionuvsou pevtra"
deuvseie dissa;" paido;" ajntΔ ojpthrivwn,
levxa": Su; mevn nun, tevknon, ajmfhvrei" mevnwn
skhna;" ajnivsth tektovnwn mocqhvmasin.
1130 quvsa" de; genevtai" qeoi'sin h]n makro;n crovnon
meivnw, parou'si dai'te" e[stwsan fivloi".
labw;n de; movscou" w[/ceqΔ: oJ de; neaniva"
semnw'" ajtoivcou" peribola;" skhnwmavtwn
ojrqostavtai" iJdruveqΔ, hJlivou bola;"
1135 kalw'" fulavxa", ou[te pro;" mevsa" flogo;"
ajkti'na" ou[tΔ au\ pro;" teleutwvsa" bivon,
plevqrou staqmhvsa" mh'ko" eij" eujgwnivan,
mevtrhmΔ e[cousan toujn mevsw/ ge murivwn
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IONE 181
QUARTO EPISODIO
182 IWN
IONE 183
184 IWN
IONE 185
186 IWN
IONE 187
CORO
Non posso, non posso sottrarmi
alla morte, sventurata che sono!
È palese ormai, è palese:
la libagione mescolò il succo
dei grappoli di Dioniso, in modo fatale,
con gocce di sangue del fulmineo rettile.
È palese che siamo vittime votate agli inferi:
sciagura per la mia vita,
lapidazione mortale per la mia padrona.
Dove potrei fuggire a volo,
o in quali oscuri recessi della terra,
così scampando alla morte per lapidazione:
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188 IWN
ajpofeuvgousa, teqrivppwn
wjkista'n cala'n ejpiba'sΔ
h] pruvmna" e[pi naw'n…
oujk e[sti laqei'n o{te mh; crhv/zwn
1245 qeo;" ejkklevptei.
tiv potΔ, w\ meleva devspoina, mevnei
yuch'/ se paqei'n… a\ra qevlousai
dra'saiv ti kako;n tou;" pevla" aujtai;
peisovmeqΔ w{sper to; divkaion…
1250 Kr. provspoloi, diwkovmesqa qanasivmou" ejpi; sfagav",
Puqiva/ yhvfw/ krathqei'sΔ, e[kdoto" de; givgnomai.
Co. i[smen, w\ tavlaina, ta;" sa;" sumforav", i{nΔ ei\ tuvch".
Kr. poi' fuvgw dh'tΔ… ejk ga;r oi[kwn prouvlabon movli" povda
mh; qanei'n, kloph'/ dΔ ajfi'gmai diafugou'sa polemivou".
1255 Co. poi' dΔ a]n a[llosΔ h] Δpi; bwmovn… Kr. kai; tiv moi plevon tovde…
Co. iJkevtin ouj qevmi" foneuvein. Kr. tw'/ novmw/ dev gΔ o[llumai.
Co. ceiriva gΔ aJlou'sa. Kr. kai; mh;n oi{dΔ ajgwnistai; pikroi;
deu'rΔ ejpeivgontai xifhvrei". Co. i{ze nun pura'" e[pi.
ka]n qavnh/" ga;r ejnqavdΔ ou\sa, toi'" ajpokteivnasiv se
1260 prostrovpaion ai|ma qhvsei": oijstevon de; th;n tuvchn.
Iw. w\ taurovmorfon o[mma Khfisou' patrov",
oi{an e[cidnan thvndΔ e[fusa" h] puro;"
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[entra Creusa]
ESODO
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[entra la Pizia]
PROFETESSA
Fermati, figlio mio. Lasciato il tripode oracolare oltre-
passo questa soglia, io, profetessa di Febo, scelta a custo-
dire l’antica legge del tripode fra tutte le donne di Delfi.
IO. Salve, madre cara, anche se non mi hai concepito.
PR. Chiamami pure con un nome che mi suona dolce.
IO. Hai sentito come costei ha cercato d’uccidermi con
le sue trame?
PR. Ho sentito. Ma anche tu sei nel torto comportan-
doti con crudeltà.
IO. Non dovrei uccidere a mia volta chi ha tentato di
uccidermi?
PR. Le mogli sono sempre ostili ai figliastri.
IO. E noi alle matrigne quando ci trattano male.
PR. Non così. Lasciando il tempio e andando nella tua
patria...
IO. Cosa dovrei fare, qual è il tuo consiglio?
PR. ...va’ ad Atene con le mani pure e con buoni au-
spici.
IO. Chiunque uccida i suoi nemici ha le mani pure.
PR. Non tu: ascolta ciò che ho da dirti.
IO. Parla. Quel che dirai sarà per il mio bene.
PR. Vedi questa cesta che tengo fra le braccia?
IO. Vedo un vecchio canestro avvolto nelle bende.
PR. Qui dentro ti raccolsi un giorno, neonato.
IO. Che dici? Questa storia mi giunge nuova.
PR. L’ho taciuta a lungo, ma ora la rivelo.
IO. Perché me lo hai tenuto nascosto da allora?
PR. Il dio volle averti nel tempio come suo servo.
IO. E ora non lo vuole più? Come posso esserne certo?
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dalla loro terra, allo stesso modo degli Sparti, l’aristocrazia te-
bana, ma su ciò fondavano l’unità e l’eguaglianza naturale dei
cittadini, figli “legittimi” e non adottivi della loro madrepatria.
L’epiteto Lossia, che qualifica il dio oracolare come «ambi-
guo», in genere allude all’oscurità dei responsi. Nel corso del
dramma, tuttavia, Apollo non sceglierà espressioni oblique per
comunicare con i mortali – il suo unico pronunciamento sarà
chiarissimo e deliberatamente non veridico – ma resta elusivo
ed evita ogni contatto diretto con gli esseri umani nelle cui vi-
cende è troppo coinvolto. La soglia del tempio è il luogo dove
il bambino viene “esposto” per la seconda volta; non più però
in un ambiente selvaggio, ma al riparo da veri pericoli, là dove
il dio può meglio assicurarne la salvezza senza tuttavia lasciar
trapelare la verità sulla sua nascita. La Pizia, quando al sorgere
del sole fa ingresso nell’oracolo, è la prima a scorgerlo attra-
verso il coperchio opportunamente sollevato; la sua istintiva
indignazione, perché il bambino è evidentemente il frutto di un
amore illecito e dunque la purezza del luogo ne verrebbe con-
taminata (cfr. il destino del figlio partorito e nascosto nel tem-
pio di Atena da Auge, in Apollodoro, II, 7, 4; III, 9, 1 e Introdu-
zione, pp. 52 sg.), viene subito mitigata su ispirazione del dio.
La pietà che la induce ad allevare il trovatello, senza porsi do-
mande sulle sue origini, segnala la strategia scelta da Apollo
per salvare il figlio nato dallo stupro di Creusa: neppure i mini-
stri del culto, suoi vicari nell’allevarlo ed educarlo, possono co-
noscerne la vera paternità. Accogliendo Ione in deroga alle
norme catartiche che scandiscono la vita del santuario, lo inte-
grano nella comunità delfica fino ad assegnargli incarichi di re-
sponsabilità (il compito di tesoriere delle ricchezze donate al
dio dai suoi fedeli si affianca, in modo inatteso, all’umile servi-
zio che il ragazzo poi assolve in scena).
scena della tragedia eschilea, getta una luce ironica sui suoi
gesti. È improbabile che si possano considerare fonte di con-
taminazione proprio i volatili, dato il loro rapporto privilegia-
to con la sfera divina: gli si perdona normalmente che frequen-
tino i luoghi di culto, e non solo negli ambienti selvaggi (si pen-
si alla grotta Coricia, sul Parnaso, sacra a Pan e alle Ninfe e de-
finita, proprio in Eumenidi 22 sg., fivlorni", daimovnwn ajna-
strofhv «gradita agli uccelli e dimora dei numi»). I templi, anzi,
possono essere considerati rifugio non solo dei supplici uma-
ni, ma anche dei supplici del mondo della natura, quali gli uc-
celli appaiono in un episodio delle Storie di Erodoto (I 159:
cfr. Introduzione, p. 34 n. 28). Primo ad essere apostrofato è
proprio l’«araldo di Zeus», l’aquila, sovrano indiscusso della
sua specie ed emblema di regalità in quanto rapace dotato di
forza straordinaria. In successione viene affrontato e cacciato
via un cigno, e il movimento delle ali del grande volatile è con-
densato icasticamente nel verbo ejrevssei (v. 161), che lo assi-
mila a quello dei remi di un’imbarcazione. L’aggressività di Io-
ne non è affatto attenuata dalla consapevolezza di avere di-
nanzi l’animale sacro ad Apollo per eccellenza. I segni distinti-
vi del suo legame col dio diventano anzi motivo di scherno e
ritorsione: la cetra, lo strumento che Apollo suona accompa-
gnando il canto del cigno, non può contrastare l’arco (entram-
bi simboli del dio, da lui designati come tali alla nascita: cfr. In-
no omerico ad Apollo, III 131). L’arma apollinea qui sceglie il
bersaglio più inappropriato, e Ione non si fa scrupolo di rap-
presentare in modo cruento l’esito della minaccia: se il cigno
non si dirigesse altrove planando, anziché sul tempio di Delfi,
sul piccolo lago dell’isola di Delo, presso le cui rive Latona ha
partorito Apollo, non esiterà a trafiggerlo lasciando che il san-
gue «arrossi» i suoi canti armoniosi. La strana immagine è ap-
parsa così ardita da suggerire a molti editori di intervenire sul
testo: Diggle corregge aiJmavxei" del v. 168 in aijavxei" (Nauck,
Page), nel senso di «emettere un suono lamentoso» (cfr. v.
1205), ma la costruzione che ne risulta non è priva di difficoltà.
La sinestesia implicita nell’«insanguinare i canti» è invece del
tutto in armonia con lo stile euripideo, che associa volentieri
qualità cromatiche e sonore in una stessa immagine. Si è pen-
sato di localizzare la gola o il becco come luogo di emissione
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menti i templi e i doni votivi che vi sono esposti (l’uso dei mh-
nivskoi, dischi metallici che proteggevano la testa delle statue
dagli escrementi dei volatili, testimoniato da Aristofane, Uc-
celli 1114-1117, mostra una misura per evitare che le proprietà
del dio vengano insudiciate ben diversa da quella radicale
adottata da Ione). Al v. 178 gli editori preferiscono presuppor-
re una lacuna di due o tre sillabe lunghe (in genere un epiteto
che qualifica naoiv) per evitare un docmio in un contesto di
anapesti lirici, ma questa associazione non è priva di paralleli
(cfr. Martinelli 19972, pp. 185, 188 n. 15, 273). L’apparente resi-
piscenza finale, mostrando di rispettare il ruolo di messaggeri
della volontà divina attribuito agli uccelli – l’ornitomanzia era
una delle tecniche divinatorie più popolari (cfr. Aristofane,
Uccelli 716-722) – introduce un motivo di ritegno, che frena la
determinazione di Ione a respingere ogni potenziale veicolo
d’impurità anche a costo di commettere violenza. Il ragazzo
torna a ribadire la sua devota subordinazione ad Apollo, ma la
brillante monodia lo ha ormai presentato al pubblico in bilico
tra i due aspetti polari, purezza e violenza, che caratterizzano
anche «colui che lo nutre».
(il mucov", che comunque non coincide con l’a[duton, dove si tro-
vavano il tripode e l’omphalos e potevano accedere solo i mi-
nistri del culto) è invece necessario un sacrificio cruento di vit-
time animali. Le coreute non devono comunque interrogare
direttamente il dio e si accontentano di ammirare le bellezze
artistiche visibili all’esterno del santuario. Quando Ione cerca
di identificarne meglio l’origine – chiedendo chi siano i padro-
ni di cui si dicono al servizio – le ancelle menzionano ancora
una volta con fierezza la città della loro signora: Atene, protet-
ta dalla dea Pallade; la sovrana intanto arriva in scena, prima
ancora che il canto sia finito, e l’annuncio del suo ingresso
chiude la sezione lirica.
molpo; infine accenna alla morte del re, colpito dal tridente di
Poseidone e ingoiato dalla terra, una volta vinta la battaglia e
ucciso l’invasore, il figlio del dio (cfr. Introduzione, par. 2, pp.
15 sgg., per il contrasto tra la cronologia della morte di Eret-
teo e la vicenda elaborata da Euripide). La terra partorisce o
si apre ad accogliere e nascondere per sempre i sovrani autoc-
toni di Atene. In questa dinamica, che affascina il ragazzo cre-
sciuto a Delfi, si consuma anche il dramma familiare che vede
Creusa unica superstite, la sola cui sono affidate le speranze di
continuare la stirpe. E proprio la vicenda di maternità frustra-
ta che la riguarda affiora nelle battute immediatamente suc-
cessive, celata nello sgomento di dover rispondere alla curio-
sità su un luogo sacro dell’acropoli, le Rocce Alte: è questo lo
scenario dello stupro da lei subito tanti anni prima e masche-
rato a prezzo di abbandonare il figlio nato dalla violenza divi-
na. Ione chiede ora conferma di quel che già conosce della to-
pografia religiosa ateniese legata ad Apollo, ma Creusa ha in
mente piuttosto come l’infelice intreccio di azioni divine e
umane non riguardi solo i suoi avi, ma prosegua fino alla sua
generazione e abbia lasciato in lei una ferita profonda. La di-
screzione impone comunque al ragazzo di non cogliere gli
spunti offerti dalle esclamazioni della nobile straniera, elusive
ma di evidente condanna (vv. 284, 286, 288). La sorpresa di Io-
ne, nel constatare l’avversione di Creusa verso quegli stessi
luoghi in cui ad Atene si venera Apollo, non viene affatto
smentita: accennando al «disonore» che si è consumato in una
di quelle grotte, lei anticipa di conoscere una vicenda ignomi-
niosa che, più tardi, attribuirà a un’altra persona. I lampi che
segnalano agli Ateniesi il favore di Apollo, secondo l’allusione
del v. 285, si riferiscono a una consuetudine di cui apprendia-
mo i dettagli da Strabone (IX 2, 11): ogni anno nell’arco di tre
mesi, per tre giorni e tre notti ogni mese, si scrutava in direzio-
ne di Arma, un luogo sul monte Parnete ai confini tra Attica e
Beozia, e se il lampeggiare lontano segnalava la caduta di ful-
mini veniva inviata un’ambasceria che portasse offerte sacrifi-
cali a Delfi per ringraziare Apollo. Strabone però localizza al-
trove (tra i templi di Apollo Pitico e di Zeus Olimpio) l’osser-
vatorio, niente affatto vicino alle grotte delle Rocce Alte sul
versante settentrionale dell’acropoli. Non stupirebbe che Eu-
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Creusa – dal fatto che non ha più procreato; poi il tentativo del
servo devoto di assolvere il comportamento di Apollo, cui
Creusa replica confermando che la decisione del seduttore di-
vino non sarebbe giusta comunque, perché ha tenuto il bambi-
no lontano dalla madre, privando entrambi del reciproco affet-
to (v. 358: ouj divkaia dra/` riprende e dilata il senso di ajdikei` nin
del v. 355). L’assimilazione ai ruoli materno e filiale, che li avvi-
cina l’una all’altro, induce Ione ad ammettere che il rimpianto
struggente per l’assenza della madre adesso riaffiora dolorosa-
mente, nonostante i suoi sforzi per superarlo. Il clima emotivo
sembra quasi preludere al riconoscimento, ma sia Creusa che
Ione restano alla fine chiusi nelle loro private angosce, come
mostra la sintassi ambigua del testo greco, al v. 360: il senso può
essere «Credo che anche tu, straniero, rimpianga tua madre»
(con se soggetto dell’infinito poqei``n, come probabilmente in-
tende Ione), oppure «Credo, straniero, che anche tua madre
rimpianga te» (con se oggetto dell’infinito, come sicuramente
intende dire Creusa). E la sua richiesta di aiutarla a porre un
quesito all’oracolo prima dell’arrivo del marito, come Ione
aveva promesso, devia la conversazione su un obiettivo prati-
co, rompendo l’incanto che li ha portati così vicini a riconosce-
re, dietro le analogie, le rispettive identità.
rituale”, del dio della purezza che ispira il suo stile di vita, ne
ha ricevuto un duro colpo. Prima di uscire di scena Ione pro-
nuncia così un atto d’accusa inatteso nei confronti di Apollo,
per estenderlo poi agli dèi dell’Olimpo che, come lui, non han-
no scrupoli a sedurre e abbandonare le vergini. Il linguaggio
che descrive la violenza sulle donne è più esplicito di quello,
ancora pudico e reticente, usato da Creusa nel suo racconto
(cfr. v. 338 e qui v. 437: parqevnou" biva/ gamw``n, un’espressione si-
mile a quella usata da Ermes nel prologo, ai vv. 10 sg.: e[zeuxen
gavmoi" biva/). Non era possibile infatti equivocare la natura del
rapporto imposto dalla divinità potente a una ragazza inge-
nua, e Ione non ignora le avventure che sono all’origine della
nascita degli eroi, la lussuria degli dèi e le loro incursioni fra i
mortali per assecondare il proprio piacere. Ma non è questo
l’aspetto della personalità di Apollo che lo affascina e cui lui
dedica devotamente tutta la sua esistenza; lo sdegno dello sfo-
go è pari al disincanto per essersi direttamente imbattuto in
una storia che rispecchia i difetti della natura antropomorfica
del dio, di cui venerava solo l’aspetto incorporeo e trascenden-
te. Dal monologo passa allora all’apostrofe diretta (v. 439), con
l’argomento più scottante della critica antica alla religione:
l’incoerenza di figure divine del tutto amorali che, pure, do-
vrebbero imporre la moralità agli uomini ed esserne garanti
(si veda lo stesso spunto nella protesta di Creusa, ai vv. 252-
254). Non solo la giustizia degli dèi non è più credibile, ma per-
sino l’inapplicabilità della giustizia umana alle loro infrazioni
rende particolarmente inique le aggressioni alla virtù femmi-
nile, da cui nascono figli bastardi il cui destino non può essere
regolato dalle norme giuridiche dei tribunali o dagli arbitrati
tra famiglie: in questo senso va intesa l’immagine paradossale
delle multe che svuoterebbero i templi dei loro tesori, se po-
tessero essere comminate ad Apollo, Poseidone e Zeus, per
punire gli stupri e gli adulteri di cui si rendono responsabili
(cfr. Introduzione, p. 42 e n. 39). Anche nel lessico dei vv. 448
sg. si coglie la prospettiva umana delle azioni giudiziarie: si
può imputare a colui che «commette una colpa» (il verbo usa-
to è ajdikei``n) ai danni di una donna (ma più precisamente del-
l’uomo che ne è il tutore giuridico, padre o marito) la violazio-
ne della legge – ma nel caso degli dèi si può parlare solo di
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turna alla luce delle fiaccole (il culto dionisiaco sul Parnaso è
poi evocato nel secondo stasimo, vv. 714-717; cfr. n. 32). Il gio-
vane aristocratico ha approfittato della mediazione del suo
pròsseno, l’ospite ufficiale presso cui alloggiano gli stranieri in
visita, per essere introdotto in una cerchia di menadi, ragazze
di condizione libera iniziate a Dioniso. Nel clima di sospensio-
ne delle regole che caratterizza la celebrazione di un’orgia
dionisiaca, quando l’ebbrezza annebbia la coscienza e non
consente il dominio degli istinti (cfr. Fenicie 21 sg., per il nesso
tra vino e desiderio), Xuto si rammenta di aver avuto un rap-
porto sessuale: la descrizione del fatto si limita, per la verità,
all’allusione eufemistica alla sua partecipazione al raduno
femminile dove si è abbandonato ai piaceri di Bacco, ma è suf-
ficiente perché Ione ne tragga l’ovvia conclusione che venne
concepito allora (cfr. il racconto reticente di un’analoga vicen-
da, che vede protagonista Moschione, in Menandro, La donna
di Samo 41-50 e, per il motivo divenuto ormai convenzionale
nella Commedia Nuova, Introduzione, pp. 40 sg.). Se ne può
dedurre che quella ragazza fu costretta a esporre il bambino
nato fuori dal vincolo del matrimonio, e il tempio di Apollo
era un luogo sacro e molto frequentato, dove si poteva sperare
che qualcuno ne avesse pietà e si prendesse cura di lui (per gli
scrupoli della Pizia, ai vv. 44-46, cfr. sopra n. 4). Sembra così fu-
gato il timore di essere nato da genitori di condizione servile,
anche se questo dubbio continuerà ad affiorare finché non
verrà accertata l’identità della madre (cfr. vv. 1380-1383). Xu-
to ha vinto infine la resistenza di Ione e può rimarcare lui, que-
sta volta, che il figlio ragiona in modo assennato perché ha cre-
duto alla parola del dio. La fiducia nella verità del responso
oracolare ha un ulteriore risvolto ironico nell’affermazione di
Ione: non poteva desiderare di più, un padre aristocratico, na-
to da Zeus. Xuto è figlio di Eolo e quindi Ione sarebbe solo
pronipote della somma divinità (cfr. v. 292), ma la sua formula
inaccurata (v. 559: Dio;" paido;" genevsqai pai``"), che Xuto non
bada a correggere, ne descrive più adeguatamente la vera ori-
gine: nipote di Zeus in quanto figlio di Apollo. Nel testo del v.
560 non è necessario emendare, con Diggle, la terza persona
plur. – che mantiene un certo distacco anche nel momento in
cui Ione sta per arrendersi – in seconda sing. (o{" mΔ e[fusa",
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dalla vergogna e dalle regole del suo status, per liberarsi del
peso sopportato così a lungo in solitudine. Lo sfogo lirico del-
la sofferenza, del rancore verso chi l’ha oltraggiata – e dello
strazio per aver dovuto abbandonare il bambino nato dallo
stupro – sembra innescato proprio dalla parzialità delle accuse
del vecchio. La sua condanna andava esclusivamente a Xuto,
mentre il dio veniva così riscattato dal sospetto di menzogna.
Ma prima di prendere in considerazione una rivalsa sul marito
Creusa sente il bisogno di gridare la verità, additare Apollo
come il primo maschio che l’ha violata in segreto e abbando-
nata a una vita infelice, dominata dal rimorso e non rasserena-
ta dalla nascita di altri figli. Ora che svanisce la speranza di
averne, insieme a quella di sapere se il bambino nato dal dio
sia riuscito miracolosamente a sopravvivere o è morto come
lei teme, non c’è più alcuna ragione di continuare a celare
quella vicenda: il buon nome della sua stirpe, l’onore del mari-
to che è stato scelto per lei dalla famiglia, tutto si dissolve nel-
la brutale realtà in cui aver taciuto, anziché preservare la sua
integrità morale come futura madre dell’erede di Eretteo, ha
solo acuito la sua disperazione e il senso di abbandono. Gli
anapesti lirici inaugurano l’angoscioso interrogarsi di Creusa
e veicolano l’intensa emozione che la induce a confidare il suo
segreto ai servi più devoti (vv. 859-861). Seguono poi anapesti
recitativi (vv. 862-880), in cui la decisione è raggiunta in modo
razionale, argomentandola e soppesando i benefici che, dopo
tanta sofferenza, deriveranno dall’aperta denuncia dell’oltrag-
gio subito. L’accusa al dio, una sorta di anti-inno in cui la for-
ma celebrativa è piegata al biasimo, si dispiega ancora in ana-
pesti lirici (vv. 881-922), con l’inserzione di alcuni docmi (vv.
894-896, 906, 908). L’apostrofe al proprio animo ha molti pre-
cedenti poetici – a partire da Odissea, XX 18 – ed esprime in
genere il conflitto interiore di chi deve imporsi autocontrollo
(come nel passo odissiaco, in Teognide 695, 1029, e in Sofocle,
Trachinie 1260) o farsi coraggio (Archiloco, fr. 128, 1 W.); qui
l’impasse della situazione, insieme al compatimento di sé (cfr.
Oreste 466), si esprimono nell’appello che altrove Euripide
(parodiato per questo da Aristofane: cfr. Acarnesi 450, 480,
483, Vespe 756) impiega volentieri con variazioni (in Ifigenia
Taurica 839, nel riconoscimento tra Ifigenia e Oreste, addita
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sg.). Pur essendo stata ispirata ad agire dal dio, nei momenti
cruciali in cui andava salvata la vita del figlio o della madre,
solo nell’ambiguo registro dell’ironia tragica la Pizia può di-
chiarare a Ione che Apollo «ha avuto una parte nel tuo desti-
no» (v. 1368).
stofane, Uccelli 1658: si veda ancora Bravo 1980, pp. 774 sg.;
nello Ione non è importante l’avversario cui si contesta la pro-
prietà, evidentemente Apollo, che rimane sullo sfondo della
metafora giuridica). Creusa, a differenza di Xuto che voleva
abbracciarlo, reclama solo a parole ciò che le appartiene di di-
ritto, senza ricorrere al gesto simbolico di mettervi sopra la
mano. È inoltre probabile, se l’ordine di afferrarle le braccia è
stato eseguito dagli uomini armati – e non è verosimile che
l’abbiano ignorato – che lei venga trattenuta a una certa di-
stanza, impedita in ogni movimento. Diversamente dalla mag-
gior parte degli interpreti della tragedia (fa eccezione Kraus
1989, pp. 96-98), non ritengo dunque che il verbo ajntevcomai
qui significhi, come in genere, «tener stretto», e che quindi
Creusa si stringa alla cesta che Ione ha fra le mani, o anche so-
lo ne annunci l’intenzione: mi pare più ragionevole che per
tutta la sticomitia i due si fronteggino soltanto. Il contatto fisi-
co avverrà, come climax della scena del riconoscimento, ai vv.
1437-40 (Lee, ad loc., ritiene che Creusa esprima il suo propo-
sito di abbracciare la cesta e Ione senza tuttavia poterlo met-
tere in atto, e non dà peso alla metafora giuridica di ajntevco-
mai; approva così la correzione di lovgw/, al v. 1406, termine as-
solutamente appropriato, invece, secondo questa interpreta-
zione: Diggle preferisce infatti scrivere, con Jacobs, dovlw/, in
quanto Creusa compirebbe un gesto concreto e non si limite-
rebbe a parlare; al v. 1405 mantengo ancora la lezione tràdita,
tw``n te sw``n, in luogo della correzione di Tyrwhitt, adottata da
Diggle, tw``n tΔ e[sw). La sfida a procedere nei suoi confronti, ora
che non è più protetta dallo status di supplice ma rivendica il
possesso di una persona amata e degli oggetti che consentono
di identificarla, suggerisce dunque a Ione l’immagine di una
confisca verbale (anche se il verbo rJusiavzomai è paradossal-
mente usato, altrove, proprio per un supplice strappato con
violenza al suo asilo, come ad esempio in Eschilo, Supplici
424). Paralizzato, non più dal timore del sacrilegio ma dalla ri-
velazione che farebbe di lui un matricida, Ione non crede al
rovesciamento della situazione e dei sentimenti implicito nelle
affermazioni appassionate di Creusa. Per smascherare le sue
astuzie ora però si offre un’opportunità. La mandante del de-
litto gli sta dinanzi e non può sfuggirgli, anzi il desiderio di sot-
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zia, benché la donna si sia ormai ritirata nel tempio) e Ione ri-
conduce l’inspiegabilità degli eventi all’operato del dio. Non
può peraltro evitare di augurarsi che il futuro abbia in serbo
per loro una sorte diversa da quella che li ha tenuti così a lun-
go lontani, segnando la vita di entrambi. Creusa torna allora
con la memoria al trauma del parto e della separazione, de-
scritta in termini che evocano un allontanamento forzato più
che un abbandono volontario (v. 1459). La felicità della madre
rovescia gli stilemi del lutto (v. 1463: i composti con a- privati-
vo accumulati in asindeto sono tipici del lamento; cfr. Supplici
966, Ifigenia Taurica 220) e poi proietta sulla dinastia ateniese
la sua fortuna individuale: la stirpe di Eretteo non è più desti-
nata a estinguersi o a essere contaminata da estranei, ritrova
la continuità in un erede che rinnova la vita e la giovinezza del
capostipite e rappresenta – come il focolare della casa – un
elemento di forza e stabilità per il futuro (cfr. Eschilo, Coefore
808-811 per una simile personificazione della casa di Agamen-
none che esce dal buio a rivedere la luce della libertà, grazie al
figlio Oreste). L’immagine della famiglia di sovrani autoctoni
che torna alla luce, uscendo dalle tenebre che ne oscuravano
la vista (vv. 1466 sg.), rinnova la metafora iniziale con cui
Creusa aveva stretto a sé Ione (v. 1439). Il tema dell’autocto-
nia torna così alla ribalta, dopo aver alimentato l’orgoglio pa-
triottico della regina, condiviso dalle ancelle del coro e dal
vecchio pedagogo di Eretteo, e aver innescato il complotto per
uccidere il servo del tempio. L’aristocratica fierezza a cui
Creusa ha sacrificato il figlio illegittimo, nato dopo la violenza
di Apollo, può ricevere paradossalmente nuova linfa ora che
lei lo riabbraccia adulto; l’oracolo lo ha assegnato come figlio
a suo marito, lo straniero sposato in ossequio al volere familia-
re e per il bene della città, ma lei torna col pensiero a Xuto so-
lo quando Ione soggiunge che la loro felicità sarebbe comple-
ta se il padre si unisse a loro. Ricomporre il nucleo familiare,
dopo le distinte agnizioni col padre e con la madre, rispette-
rebbe il principio che la stessa Creusa additava al dio, nel caso
che avesse egoisticamente tenuto solo per sé la gioia che i ge-
nitori devono condividere (vv. 357 sg.). Ma se Ione pensa evi-
dentemente a Xuto – avendo ricostruito con lui un episodio di
stupro commesso in stato di ebbrezza, cui sarebbe seguito, sen-
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del tradimento del marito Tereo e nella poesia tragica era l’e-
sempio prototipico della madre in lutto, per la sua metamorfo-
si in usignolo che lamenta perennemente la morte del figlio.
Ione sembra infine sollevato, quando apprende che proprio
Apollo, il suo dio, è autore della violenza da cui è nato: l’escla-
mazione con cui saluta la notizia dimostra l’orgoglio di esser
nato dal più nobile dei padri, anche se questo non lo riscatta
dalla condizione di “bastardo” (al v. 1486 la durata della gesta-
zione è indicata in dieci mesi, anziché nove, secondo il conteg-
gio inclusivo dei Greci).
SOMMARIO
5 Introduzione
63 Appendice
75 Premessa al testo
87 Bibliografia
103 IONE
Euripide in
Alcesti Elena
A cura di Guido Paduano A cura di Massimo Fusillo
Il sacrificio di Alcesti disposta a morire al po- Tragedia del doppio e del rovesciamento.
sto del marito, Admeto, sovrano generoso e Una variante paradossale del celebre mito
devoto agli dèi. Una meditazione sulla mor- troiano.
te e sull’amore. Classici greci e latini - Pagine 208
Classici greci e latini - Pagine 160 ISBN 1717178
ISBN 1716931 ✧
✧ Eracle
Andromaca A cura di Maria Serena Mirto
A cura di Caterina Barone La follia di Eracle, spinto da Era ad assassi-
Schiava di Neottolemo, cui ha dato un fi- nare i figli e la moglie: la sua trasformazio-
glio, Andromaca è bersaglio dell’ostilità di ne da eroe leggendario a uomo impuro e
Ermione, la moglie legittima, angustiata colpevole.
dalla sterilità. Classici greci e latini - Pagine 288
Classici greci e latini - Pagine 160 ISBN 1717180
ISBN 1717156 ✧
✧ Fenicie
Le Baccanti A cura di Enrico Medda
A cura di Vincenzo Di Benedetto La contesa sanguinosa tra Edipo e i suoi figli,
La macabra punizione inflitta a Penteo, re Eteocle e Polinice, si conclude con l’annien-
di Tebe, sbranato dalle Baccanti per essersi tamento dei figli maledetti dal padre e il sui-
opposto all’introduzione in città del culto cidio della madre Giocasta.
dionisiaco. Classici greci e latini - Pagine 368
Classici greci e latini - Pagine 540 ISBN 1700960
ISBN 1710025 ✧
✧ Ifigenia in Tauride
Il ciclope Ifigenia in Aulide
A cura di Guido Paduano A cura di Franco Ferrari
In una divertente parodia ritmata dagli Due momenti della storia di Ifigenia. Un’a-
sberleffi di un coro di satiri, il Polifemo del- cuta esplorazione dell’interiorità di figure
l’Odissea sveste i panni del ciclope antropo- consacrate dall’epos, private del loro alone
fago e si fa interprete di una visione edoni- mitico.
stica della vita. Classici greci e latini - Pagine 336
Classici greci e latini - Pagine 144 ISBN 1716668
ISBN 1700499
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Ippolito Troiane
A cura di Guido Paduano Introduzione, premessa al testo
La lussuriosa matrigna cui la tradizione tragi- di Vincenzo Di Benedetto
ca attribuiva un’insana passione per il figlio Traduzione, appendice metrica di Ester Cerbo
diventa, nelle mani di Euripide, una donna Note di Ester Cerbo, Vincenzo Di Benedetto
virtuosa ed esemplare, baluardo dei valori La sventurata e luttuosa sorte delle vedove
morali. troiane, la tragedia corale dei sopravvissuti.
Classici greci e latini - Pagine 144 Una dura condanna della guerra.
Classici greci e latini - Pagine 304
ISBN 1717309
✧ ISBN 1717240
✧
Medea Euripide, Seneca
Introduzione di Vincenzo Di Benedetto
Il mito di Medea
Traduzione di Ester Cerbo
A cura di Vincenzo di Benedetto
L’indimenticabile eroina della Colchide,
Uno dei drammi più famosi della storia del
assassina dei figli per punire il padre, Gia-
teatro antico, di cui qui si offre la “versione”
sone, colpevole di averla abbandonata.
Classici greci e latini - Pagine 240 greca di Euripide e quella latina di Seneca.
✧ ISBN 1700972
Oreste
A cura di Enrico Medda
La corrosiva riesplorazione di uno dei miti più
frequentati dalla drammaturgia antica. Euripi-
de affida il matricida al giudizio della polis.
Classici greci e latini - Pagine 340
ISBN 1712512
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ISBN 978-88-17-02893-6