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Primo giorno di secessione

A Varese il ministro degli Interni Maroni ha partecipato a un happening che


era un po' una presa in giro della Festa della Repubblica e un po' una
dichiarazione di indipendenza.

Osservate Matteo Salvini mentre si lascia mostrare su un monitor del Tg3 Linea notte:
cautamente il conduttore Mannoni sta indietro come un domatore prudente. L'idea che il
monitor sia una gabbia che tiene alla giusta distanza un esemplare pericoloso è suggerita dallo
sguardo-sfida di Salvini (quando sta in silenzio), dalla smorfia di caratterista cattivo del vecchio
cinema, quando ascolta la domanda; l'impeto – diciamo pure la violenza – con cui risponde.
Trapela un intento: essere offensivo. Ma con la tecnica acquisita in questi ultimi due anni
(credo come scambio con l'immenso potere con cui questo 10% regionale di Lega-Padania
governa l'Italia), di essere maleducato con chiarezza, ma evitando con una certa bravura
l'insulto finale.

Il piccolo quadro che sto descrivendo riguarda alcuni minuti nella notte dal 3 al 4 giugno in cui
il conduttore del Tg3 tenta di tenere in equilibrio il predetto Matteo Salvini, deputato europeo
Lega nord, consigliere comunale di Milano Lega nord, direttore di Radio Padania e di varie altre
cose (perché tutto il vertice Lega ha incarichi multipli) nello scambio di idee con la giovane
scrittrice napoletana Valeria Parrella. A differenza di nove su dieci scrittori italiani anche di
fama, Parrella non finge simpatia per la Lega “radicata nel territorio”. Poiché il conduttore le
richiede un'opinione sul movimento di Bossi, la scrittrice risponde: “Non mi piace un partito
xenofobo che governa tutta l'Italia ma è eletto solo in due regioni, che perseguita i Rom e
rimanda in Libia gli immigrati”.

Come dieci notabili del patto Berlusconi su dieci, Salvini ribatte subito: “Come si permette
una persona che dovrebbe essere di cultura, di insultare tre milioni di elettori che hanno votato
Lega?” E aggiunge il secondo falso argomento Pdl-Lega di tanti dibattiti: “In tutti Paesi europei
governano partiti come la Lega”. Un fatto notoriamente non vero. Un partito secessionista al
governo è un fatto unico. Per fortuna non aggiunge il terzo classico argomento che recita:
“Tutta l'Europa ci invidia”, di volta in volta una legge, la violazione di una legge o la prepotenza
estrosa di un sindaco Lega nord. Salvini è un buon esempio: occupare, spintonare, rivolgersi
con malagrazia a chi osa obiettare (sulla secessione, sul disprezzo per le istituzioni italiane, sul
vistoso distacco tra gli eventi del mondo e la politica imposta dalla Lega, sul deterioramento
precipitoso della immagine italiana, sul rispetto dei diritti umani o dei trattati internazionali) e
fa capire, con toni, che una volta si dicevano squadristi, “siamo appena all'inizio”.

Ma questa volta, il 2 giugno 2010, Festa della Repubblica, il ministro dell'Interno italiano (che
però è, e si dichiara, della Padania, nome politico di una parte dell'Italia di imprecisata
definizione) ha partecipato ad un happening estroso nella città di Varese, con banda musicale
che esegue canzonette e una evidente atmosfera goliardica che vuole essere una presa in giro
della Festa della Repubblica italiana e una dichiarazione di indipendenza. Ovvero, per usare la
parola cara alla Lega e inclusa nell'articolo 1 della Carta di quel partito, “Secessione”. In tutte
le strutture giuridiche statuali la secessione come proclama e come programma è considerata
reato. Oppure è sottoposta, in tempi stretti, a referendum popolare. È troppo grave il pericolo
di essere uno Stato né integro né diviso.O – peggio – un Paese unito ma governato da ministri
secessionisti che dovrebbero essere, legittimamente, sospettati di lavorare al loro progetto,
che non è il bene di tutto il Paese, ma quello della divisione, stando nella stanza dei bottoni.

La sera del Tg3 il deputato Salvini, che non è l'ultimo venuto (né il più maleducato) nel suo
partito ha detto agli spettatori italiani: “Bè, dov'è il problema? C'era la Cecoslovacchia e poi si
sono divisi. Adesso c'è una Repubblica Ceca e ce n'è una Slovacca e non si lamenta nessuno”.
È vero. Ma nessuno di coloro che volevano mutilare Praga era, nello stesso tempo e nello
stesso momento, al governo a Praga, con facoltà di imporre leggi e trattati che potevano
cambiarne il senso e l'immagine.

E soprattutto, potevano condizionarne il futuro, anche economico. Per esempio, il trattato


politico-militare con la Libia, il più stringente e oneroso mai sottoscritto dall'Italia, impegna la
Repubblica italiana, non la Padania, a versare venti milioni di dollari alla Libia ogni anno per
cinque anni, in cambio del servizio che la Libia sta rendendo all'Italia, provocando
l'indignazione del mondo: far sparire i migranti prima che riescano ad attraversare il mare.
Nazioni Unite e organizzazioni umanitarie hanno rivolto all'Italia novantadue quesiti sul rispetto
(meglio, sulla sistematica violazione) dei diritti umani nel nostro Paese. Il sottosegretario
Scotti (Pdl) ha detto candidamente in Parlamento: “L'Italia è fiera del suo rispetto per i diritti
umani. Ma non abbiamo risposto alle domande che avevano a che fare con il 'Pacchetto
sicurezza' perché non siamo tenuti a giustificare le nostre leggi votate da un Parlamento
sovrano”.

Sono le leggi volute dalla Lega, che danno la caccia agli immigrati, abbattono i campi Rom,
negano diritti legali e sanitari nelle carceri speciali dette “Centri di immigrazione e di
espulsione”, dove non ci sono regolamenti e garanzie. Sono le leggi imposte dalla Lega al Pdl e
dal Pdl a Camera e Senato italiani. Creano il circolo vizioso del partito regionale del 10% che
governa tramite ricatto – e senza rapporto con il voto – il Paese che la Lega vuole spaccare. Il
ricatto riguarda la giustizia, ossessione snervante e distruttiva del premier. Il voto della Lega
assicura alla maggioranza il successo nella lotta ai giudici. In cambio la Lega ottiene mano
libera nella persecuzione di Rom e immigrati.

Due percorsi di civiltà. Questo sciagurato modo di governare purtroppo ha incontrato solo
un’opposizione sporadica, un’opposizione che non ha mai voluto affrontare l’insieme del
pessimo percorso di lavoro su cui è stato spinto il Parlamento. Ancora oggi, mentre la crisi
economica attanaglia il Paese, i favori alle richieste ossessive e xenofobe della Lega si
scambiano continuamente con il voto alla cieca per ogni nuova legge anti-processi e anti-
giudici. Per il Paese, per i suoi giovani, i suoi precari, i suoi senza lavoro, i suoi senza
assistenza, ma anche per la scuola, gli ospedali, i cittadini disabili, niente!

L'Italia governata da Lega e Pdl sostiene che è meglio e più urgente abbattere un campo
nomadi con le ruspe, espellere (verso un Paese che non conosce) un artigiano che lavora da 20
anni in Italia (e la arricchisce); che è meglio bloccare la libera stampa, le intercettazioni
telefoniche, evitare i processi a una sola persona, tutto ciò piuttosto che creare ricerca,
ripresa, lavoro e un’immagine rispettabile del Paese. Tutto ciò un momento prima della
secessione. La Lega, si capisce bene dal comportamento di Maroni, dalle spavalde battute di
Calderoli, dal ritorno di Bossi alle parole “fucili” e “rivoluzione”, sente l’odore del sangue, nel
senso di Italia spaccata.

La sfida è a tutto campo. Per esempio i leader leghisti, a cominciare da Cota, nuovo presidente
del Piemonte che resta deputato a Roma, cumulano con sfacciataggine due o tre stipendi. In
buon numero senatori e deputati leghisti sono sindaci, assessori, consiglieri, a diversi livelli
locali. Uno come Salvini ti direbbe che prende in anticipo un risarcimento da Roma ladrona. Ma
la vera domanda non è per loro, che almeno sono sinceri (vogliono spaccare il Paese, lo dicono
e si danno da fare). La vera domanda è per tutti, destra, sinistra e istituzioni. Che cosa si sta
facendo per salvare l’integrità di ciò che dai tempi del Petrarca si chiama Italia e che da 150
anni è un Paese unito? C’è poco tempo per rispondere.

Furio Colombo

Da Il Fatto Quotidiano del 6 Giugno 2010

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