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Prof.ssa Dinnella
La mammella è una ghiandola tubulo alveolare composta a secrezione apocrina; è suddivisa in due metà
distinte, separate da tessuto connettivo e dai legamenti sospensori mediani. Tale separazione destra e
sinistra appare facilmente per la presenza di un solco intermammario, più evidente osservando il posteriore
della bovina. Ciascuna metà è costituita da due ghiandole, anteriore e posteriore, dette comunemente
quarti o quartieri.
La cute, delicata con peli radi e sottili e numerose ghiandole sebacee e sudoripare
Il sottocute, ricco di vasi sanguigni
Le fasce, sostengono le mammelle (sono 4: 2 laterali e 2 mediali)
Il capezzolo, è una formazione conico-cilindrica che origina dal corpo ghiandolare
Il corpo ghiandolare, costituito dalla componente secernente (o ghiandolare) e dai dotti escretori
La componente secernente è organizzata in lobi ghiandolari, ognuno dei quali contiene diversi lobuli
(gruppi di alveoli circondati da tessuto connettivale).
Gli alveoli mammari sono strutture a forma di sacco acinoso (0.1-0.3 mm) considerate le unità produttive
perché è dove il latte viene sintetizzato e secreto. La parete degli alveoli, delimitata da membrana basale, è
formata da 2 tipi di cellule:
Ogni lobo fa capo a un proprio dotto escretore (o galattoforo); ogni dotto galattoforo all’interno del lobo si
divide in più dotti lobulari che raggiungono i singoli lobuli; questi proseguono poi nei dotti alveolari. I dotti
galattofori sboccano nella cisterna del latte (o cisterna mammaria) dove il latte sosta fino alla mungitura,
questa continua con la cisterna capezzolare a cui segue il canale del capezzolo che termina e sfocia
esternamente con l’orifizio del capezzolo (regolato da uno sfintere) in corrispondenza del quale è presente
un tappo di cheratina.
Lattogenesi
L’attività secretiva della ghiandola mammaria è dovuta all’ormone prolattina (PRL) secreto dall’ipofisi
anteriore.
Durante la gravidanza la presenza di progesterone nel circolo ematico è il principale inibitore della
lattogenesi in quanto limita la secrezione di PRL da parte dell’ipofisi. Al parto, si ha una caduta dei livelli
ematici di progesterone, la PRL entra in circolo ed inizia la secrezione del latte (secreto subito dopo il parto:
colostro)
1. Sintesi dei componenti del latte: avviene nella ghiandola mammaria a partire da precursori captati dal
sangue (es. sintesi di proteine a partire da AA, lipidi a partire dagli A.G e glicerolo, lattosio a partire dal
glucosio) altri componenti saranno invece direttamente trasferiti dal sangue al latte (minerali, vitamine,
acqua, sost. Aromatiche..). Per questo la produzione di latte è legata al circolo sanguigno (per la
formazione di 1kg di latte debbono attraversare la mammella circa 400 lt di sangue)
2. Secrezione del latte: consiste nel riversamento dei composti di neosintesi mammaria e delle altre
sostanze provenienti dal sangue al lume dell’alveolo
3. Eiezione del latte: è il meccanismo di trasferimento progressivo del latte secreto dall'alveolo nei dotti
alveolari, nei dotti galattofori e nella cisterna della mammella. Avviene a partire dalla contrazione delle
c. mioepiteliali.
Cos’è il latte
Il latte è un liquido alimentare bianco secreto dalla ghiandola mammaria di femmine di mammiferi.
E’ una miscela complessa di molte sostanze diverse di notevole importanza nutrizionale (principi nutritivi:
proteine, vitamine, grassi e sali minerali) il cui valore alimentare dipende principalmente dal suo contenuto
di proteine: lattoalbumina, lattoglobulina e protidi complessi (caseinogeno, una fosfoproteina che,
coagulando, dà la caseina) importanti dal p.d.v della caseificazione. In particolare, la caseina e la
lattoalbumina sono proteine complete, cioè contengono tutti gli aminoacidi necessari per il fabbisogno del
nostro organismo.
LA MATERIA GRASSA
Trigliceridi (molecole ottenute dall’unione di una molecola di glicerolo con 3 acidi grassi) 98-99%
Fosfolipidi 0.01-0.03% (emulsionanti, componenti membrane)
Steroli (colesterolo) 0.25-0.40
Componenti minori: ac. grassi liberi (ac.butirrico), carotenoidi, Vit. Liposolubili (A,D,E,K)
Nel latte i lipidi sono dispersi sotto forma di globuli di grasso (circa 1 miliardo per ml) di dimensioni molto
variabili (da 0,1 a oltre 10 μm) avvolti da una membrana. Per questo chimicamente il latte è definito come
un'emulsione di olio in acqua.
Valore nutrizionale
Proprietà dei prodotti
Conformità alle specifiche
Metodi per quantificare il contenuto lipidico (cioè la quantità di grasso) nel latte:
BABCOCK e GERBER : metodi ufficiali AOAC (Association of Official Analytical Chemists) per la determinazione del
contenuto lipidico del latte
Principio: H2SO4 (acido solforico) aggiunto al latte digerisce la frazione proteica e scompagina
l’organizzazione della fase lipidica permettendo la separazione dei lipidi dalla fase acquosa.
La quantità di grasso presente viene direttamente determinata sulla scala riportata sulla bottiglia di
Babcock e sul butirrometro di Gerber.
Cioè si utilizza acido solforico per sciogliere tutti i componenti del latte ad eccezione dei grassi, che possono
essere separati per centrifugazione, in più sarà aggiunto alcol amilico per estrarre la materia grassa
impedendone la carbonizzazione.
VETRERIA: butirrometro di Gerber per il latte vaccino (costituito da una speciale provetta da
centrifuga), pipetta a bolla da 11 mL, termometro, centrifuga riscaldata
REAGENTI: H2SO4 90%, alcool isoamilico hanno la funzione di solubilizzare il grasso del latte e separare le fasi
PROCEDIMENTO:
1. Porre 10 mL di H2SO4 90% nel butirrometro
2. Aggiungere lentamente 11 mL di latte tenendo la pipetta a leggero contatto con la superficie dell’acido
3. Aggiungere 1 ml di alcool isoamilico C5H11OH
4. Chiudere il butirrometro (contenente H2SO4, latte e alcool amilico) con l’apposito tappo di gomma
5. Capovolgere e agitare energicamente fino a consentire il completo mescolamento dei reagenti
6. Immergere il butirrometro in un bagno a 65°-70°C per 10-15 minuti (si scalda a bagnomaria)
7. Centrifugare a 65°C per 15 minuti (la centrifugazione ci consente di separare i grassi)
8. Estrarre il butirrometro dalla centrifuga e leggere direttamente il risultato sulla scala graduata
RISULTATO: al termine delle precedenti operazioni si formano 3 strati:
1. in mezzo uno strato rosso scuro o violaceo, composto dalle sostanze organiche
demolite dall’acido solforico
2. sopra uno strato oleoso trasparente di colore giallastro composto dalla sostanza
grassa
3. sul fondo uno strato sottile biancastro, composto da sali minerali e sostanze
insolubili
Facendo coincidere lo zero della scala graduata con la linea di separazione degli strati rosso
scuro e giallastro (agendo sul tappo con lo spingitappo facendo pressione e depressione), si
legge il valore % di materia grassa (quindi sulla scala dello strumento si legge direttamente la
% di grasso (g/100ml)). E’ una % m/V.
Sottoporre alla stessa procedura una prova in “bianco” (acqua al posto del campione)
RISULTATO: rapporto tra differenza in peso fra il peso del pallone con la miscela organica e il peso del
pallone dopo allontanamento del solvente corretto per il peso determinato nella prova in bianco e i gr
di campione utilizzato, tutto moltiplicato per 100
%grasso= (g grasso/g campione utilizzato per l’analisi)x100
**RICORDA..
L’estrazione con solvente è una tecnica che viene utilizzata solitamente per separare da una miscela
acquosa un soluto, purché poco solubile in acqua. A tal fine si sceglie un solvente insolubile in acqua, ma
capace di sciogliere il soluto.
La miscela acquosa e il solvente vengono agitati insieme in un imbuto separatore e successivamente lasciati
a riposo per breve tempo. Si ottengono 2 strati: lo strato superiore (a minor densità) è costituito in genere
dal solvente, in cui è disciolta la maggior parte del prodotto; lo strato inferiore (a minor
densità) consiste nella miscela acquosa, da cui il solvente ha estratto il prodotto.
GLI ZUCCHERI
Uno zucchero riducente è uno zucchero qualsiasi che, in soluzione, possiede un gruppo aldeidico
(RCOH) o chetonico (RCOR’). Ciò consente allo zucchero di agire come agente riducente (specie chimica che
cede elettroni ad un'altra specie chimica) per esempio nella reazione di Maillard ecc;
E’ una sostanza otticamente attiva (una sostanza è otticamente attiva o chirale quando, posta in
soluzione e attraversata da una luce polarizzata piana, è in grado di ruotare di un certo angolo la luce) e
destrogira perché capace di ruotare il piano della luce polarizzata in senso orario;
Determinazione:
basata sulle proprietà chimiche (determinazione zuccheri riducenti con il reattivo di
Fehling)
basata sulle proprietà fisiche (polarimetria-polarimetro)
metodo enzimatico (reazione accoppiata ad una reazione red-ox che genera un
segnale UV)
La determinazione della quantità di lattosio presente nel latte si basa su una reazione di
ossidoriduzione. Il gruppo carbonilico degli zuccheri aldeidici o chetonici, si ossida per
trattamento a caldo con una soluzione di rame. A questo punto il rame, presente nel
reattivo di Fehling, si riduce e si forma l’ossido rameoso (Cu₂O) di colore rosso mattone. Il
Blu di metilene è un indicatore di ossidoriduzione: quando il rame (Cu2+) presente nel
reattivo di Fehling aggiunto è stato tutto ridotto e quindi consumato, il lattosio aggiunto in più, riduce il blu
di metilene e indica la fine della titolazione.
7. Leggere sulla buretta la quantità di siero aggiunta necessaria per ridurre il reattivo (che
dunque contiene 0.0687 g di lattosio) .
Siano n i ml aggiunti di siero per ridurre completamente il reattivo e 0,0678 i grammi di lattosio necessari a
ridurre i 10 mL del reattivo di Fehling (questi due dati li conosco)
n ml : 0.0687g lattosio = 100 ml (V tot di siero ottenuto da 5g di latte portato a volume con H2O) : x
x = gr di lattosio contenuti nel siero ottenuto da 5 g di latte
gr lattosio (x) : 5g latte = x : 100g latte
x = g lattosio % (p/p).
polarizzata linearmente.
Il polarimetro è lo strumento che permette la misurazione del potere rotatorio di sostanze otticamente
attive. I suoi elementi costitutivi fondamentali sono:
PROCEDIMENTO:
Il numero di gradi di rotazione letto, moltiplicato per 0,952 fornisce la quantità di lattosio contenuta nei 50
mL di latte. Moltiplicando per 2 otteniamo perciò la quantità di lattosio su 100 mL di campione. Il fattore
0,909 è ricavato dalla formula:
1. Calcolo del DA
Nel latte le sostanze azotate presenti ammontano al 3,5%, e sono: Caseine e siero proteine 95%, Sostanze
azotate non proteiche 5-7% (urea, creatina, creatinina, nucleotidi, aa liberi come la “taurina” ecc..). *Nel
latte mastitico il livello di siero proteine e NPN tende ad aumentare.
Contenuto medio 3.5%: classe di sostanze con proprietà differenti e differente composizione (il latte
contiene molte proteine diverse). Il tasso proteico è variabile in funzione di molti fattori (razza,stadio di
lattazione ecc..).
Mezzi di frazionamento-impiegati per la separazione dei principali gruppi di proteine del latte sono:
Acidificazione a pH 4.6, riscaldamento, Dissalazione per saturazione con solfato ammonico e di magnesio.
Con questi mezzi le sostanze azotate del latte vengono frazionate nei seguenti gruppi: •Caseine
•Lattoalbumine •Lattoglobuline •Proteoso-peptoni •Sostanze azotate non proteiche (o NPN).
Comprende:
CASEINE (circa 74-78% delle proteine totali del latte, principali proteine sia per peso che per
importanza del latte)
Sono una famiglia di fosfoproteine perché sono legate al fosforo, cioè hanno un Acido fosforico esterificato
sulla serina.
I gruppi fosforici sono importanti sia per la struttura della proteina, sia per la sua funzione. Infatti
questo gruppo, caricato negativamente, è in grado di legare ioni calcio e magnesio, da cui la supposta
funzione di questa proteina, cioè quella di carrier, di trasportatore di calcio minerale
La struttura-conformazione delle caseine è simile a quella delle proteine denaturate a causa della
presenza di un alto numero di residui dell'aa prolina che impedisce alla proteina di ripiegarsi per
formare strutture più ordinate infatti ciò determina assenza di struttura
secondaria e terziaria; inoltre le caseine non possiedono ponti di solfuro in grado
anch'essi di conferire alla proteina una struttura più ordinata
Sintetizzate nella ghiandola mammaria
Sono proteine di elevatissimo valore biologico contenendo praticamente tutti gli
amminoacidi essenziali
Distinte in diverse classi identificate per via elettroforetica (elettroforèsi: tecnica
analitica e separativa basata sul movimento di particelle elettricamente
cariche immerse in un fluido per effetto di un campo elettrico applicato mediante una coppia
di elettrodi al fluido stesso)
α –caseina : fosfoproteina composta da una singola catena polipeptidica derivante da 199 aa e da 8
gruppi fosfatici legati ad altrettanti residui della serina. E’ estremamente instabile in presenza di Ca++
(insolubile 0.03M Ca++) e presenta numerose varianti dette s1,s2,s3, con numero diverso di gruppi P
legati ad aa diversi. Nei latti di specie diverse l’ α caseina presenta velocità elettroforetiche
caratteristiche e questa proprietà permette di differenziarli e di scoprire nei latti e latticini l’uso
fraudolento di latti di specie diverse.
β –caseina :fosfoproteina composta da una singola catena polipeptidica derivante da 209 aa e da 5
gruppi P legati alla serina. E’ sensibile al Ca++ ma meno dell’ α –caseina ed estremamente idrofobica.
La caseina β presenta una velocità elettroforetica assai simile per i diversi latti.
κ -caseina : è una fosfo-glicoproteina composta da una singola catena polipeptidica derivante da 169
aa, da un solo gruppo fosforico legato alla serina e da un numero variabile (di solito 5) di gruppi
glucidici. E’ insensibile al Ca (rimane solubile in presenza di Ca a tutte le T°) ed è l’unica delle caseine
ad essere idrofila (in quanto contiene zuccheri che sono idrofili) e glicosilata (contiene due catene
oligosaccaridiche su residui di Thr). Alla k caseina si attribuisce il compito di stabilizzare le micelle di
caseina presenti nel latte,mantenendole in sospensione e impedendone la precipitazione. Gli enzimi
del caglio rimuovendo lo zucchero (il caseinglicopeptide, che riunisce tutti i gruppi glucidici della k
caseina) fanno perdere alla k caseina la sua funzione di colloidal protettore delle micelle caseiniche e
lo stato di idratazione delle micelle decresce notevolmente, permettendo interazioni reciproche tra i
gruppi idrofobi che portano alla coagulazione del latte quindi le caseine precipitano.
La κ-caseina è costituita da due porzioni: C-terminale (idrofilia esterna,ha un alto contenuto di residui aa
idrofilici, glicosilata, ha un numero elevato di cariche negative e di residui glicosilati che sporgono verso
l’esterno come filamenti) a cui si deve l’azione colloidal-protettrice, N-terminale (detta paracaseina κ,
idrofobica interna, che gioca un ruolo fondamentale nella coagulazione presamica).
Punto isoelettrico (pI) (valore di pH al quale una molecola presenta carica elettrica netta nulla; se il pH
è più acido del punto isoelettrico, la proteina reca una carica positiva, per pH più alcalini la carica della
proteina è negativa) = 4.6
Sono presenti nel latte non allo stato di molecole libere ma sotto forma di micelle-aggregati molecolari,
cioè di proteine a struttura quaternaria, che possono essere separati mediante: Acidificazione,
Coagulazione, Coagulazione enzimatica
Precipitano per azione di enzimi coagulanti (coagulazione enzimatica, che si ottiene tramite l’aggiunta
di caglio contenente l’enzima chimosina, toglie alla k caseina i gruppi idrofilici (zuccheri), per
acidificazione del mezzo al p.I. (coagulazione per acidificazione, si ottiene abbassando il pH del latte
fino al p.I. del latte) e mediante ultracentrifugazione (non coagulano con il calore!)
PROTEINE DEL SIERO (o siero proteine o proteine solubili) (17-20% delle sostanze azotate)
Si dividono in: Albumine, costituite da: β lattoglobulina,α lattoalbumina, albumine del siero di sangue,
Globuline comprendono: euglobuline,pseudoglobuline,immunoglobuline(anticorpi, identificazione origine
del latte), Proteoso-peptoni, metalloproteine (lattoferrina, transferrina, ceruplasmina). Le α latt. e β latt.
sono di sintesi mammaria mentre albumina del siero e globuline sono filtrate direttamente dal sangue.
Più sub-micelle (che formano una micella) sono tenute tenute assieme-associate da interazioni
idrofobiche, elettrostatiche (tra gruppi esteri fosforici delle
caseine ed il fosfato di calcio a formare dei ponti salini o ponti
di apatite) legami H-H instabili
L’acidificazione al p.I.: diminuzione del grado di idratazione delle micelle, viene meno la repulsione tra le
cariche negative, demineralizza le micelle, facendo passare in soluzione Ca e P inorganici e le micelle
caseiniche si disgregano in particelle alimentari che, perso lo stato di idratazione, interagiscono tra loro
determinando la flocculazione-precipitazione
Innalzamento di temperatura
Coagulazione enzimaticaenzimi del caglioallontanamento zuccheri dalla k caseina
DETERMINAZIONE DELLE PROTEINE
Supposto che tutto l’azoto sia di origine proteica e che il contenuto medio di azoto delle proteine sia pari al
16%
16 N : 100 proteine = 1 N : x
Siano 10 i ml di NaOH 0.1N utilizzati (responso dell’analisi) per titolare l’HCl con titolo iniziale 0.1N
HCl 0.1 eq :1000 = x eq : 25 ml (ml titolati di HCl 0.1N) ⇒ 0.0025 eq iniziali di HCl
Il reattivo del Biureto consiste in una soluzione di solfato di rame contenente tartrato di sodio e potassio. In
ambiente basico si forma un complesso colorato (blu-violetto) grazie agli ioni rameici Cu2+ che
interagiscono con i legami peptidici delle proteine. L'intensità del colore sviluppato è proporzionale al
numero di legami peptidici interessati nella reazione ed è quindi utilizzabile come metodo particolarmente
rapido e semplice nella determinazione quali e quantitativa delle proteine. Per questo motivo andrò a fare
un analisi spettrofotometrica.
PRINCIPIO: determinazione del legame peptidico per via colorimetrica (+ legami peptidici ci sono+
intenso è il colore)
FASI:
Sottoponendo ad analisi il mio campione di cui voglio calcolare la concentrazione (prendo il campione,
aggiungo acqua e reattivo, misuro l’assorbimento) riporto sull’asse il valore Ax ottenuto e per
interpolazione otteniamo il valore di Cx.
VANTAGGI E SVANTAGGI
Accettato da AOAC
Semplice esecuzione, relativamente veloce rispetto al Kjeldhal
Non molto sensibile (limite di rilevabilità 2-4 mg), si usa solo quando la [ ] di proteine è molto alta
Variazioni dello spettro di assorbimento con la composizione aa della proteina
PRINCIPIO: alla complessazione di Cu2+ si affianca la riduzione del reattivo di Folin-Ciocalteau (reattivo
utilizzato per la determinazione dei fenoli e dei polifenoli, ma anche delle proteine in questo caso) da parte
degli aa aromatici (Tyr, Trypt). Quindi combina la reazione del biureto con la riduzione del reattivo di Folin
Ciocalteau.
Sviluppo di un addotto colorato: la riduzione in ambiente alcalino del reattivo porta alla formazione di
colore blu, la lettura avviene a 765 nm.
Semplice, più sensibile del Biureto, soggetto alla specifica composizione proteica
ASSORBIMENTO NELL’UV
Quando non posso misurare direttamente l’analita di interesse, misuro qualcosa che è ad esso associato-
collegato, cioè l’indice.
Gli indici chimico fisici che descrivono la composizione del latte rappresentano dei responsi strumentali che
indirettamente ci informano circa le caratteristiche e la sicurezza (ci dicono se la composizione del latte è
corretta o no) di questo prodotto.
Possiamo distinguere:
Densità (rapporto m/V) limiti di legge: 1.029-1.034 g/mL a 15°C (leggerm. +alta di quella dell’H2O)
Acidità 7-8 SH°
Residuo secco totale (RS) 12-13%
Residuo secco magro (RSM) 8.5-8.7%
Viscosità
Calore specifico del latte
Tensione superficiale
Indice di rifrazione
Punto di congelamento o crioscopico limiti di legge -0.520 -0.550°C
Punto di ebollizione
pH 6.5-6.8
Conducibilità elettrica
Potenziale redox
E’ dato dall’insieme dei costituenti del latte ad esclusione dell’acqua e ad esclusione del grasso
Si calcola sottraendo dal RS la materia grassa (che avremo determinato con un metodo indipendente)
ed’è un valore più costante e stabile del precedente poiché non risente della variabilità connessa al
tenore di materia grassa
RSM % = % materia secca - % materia grassa
Il tenore in materia secca magra nel latte deve essere non inferiore all’8.70% (se il tenore in materia
grassa supera il 3.15% deve essere non inferiore all’8.50%).Valori inferiori all’8,50 % rendono il latte
sospetto di annacquamento.
Un elevato valore del tenore in materia secca magra indica un’elevata percentuale di sostanze
proteiche e quindi una buona resa di trasformazione.
Sono due concetti concettualmente diversi a nella
LA DENSITA’ DEL LATTE (o meglio il suo PESO SPECIFICO) pratica si possono considerare equivalenti
E’ definita come rapporto m/V ed’è collegato al corretto rapporto fra la Densità del plasma latteo (H2O
e R.S.M.) (D media di: 1.036-1.037 g/mL) e la densità della fase lipidica (0.930-0.950 g/mL)
E’ influenzata dalla T°, dipende dalla ricchezz si misura per via aerometrica utilizzando i termo
lattodensimetri di Quèvenne normalmente tarati a 15°C o a 20°C
E’ importante misurare la densità del latte perché può mettere in evidenza la frode per
annacquamento: in questo caso per diluizione il peso specifico del latte diminuirà; oppure la frode per
sottrazione di grasso: in questo caso con la sottrazione fraudolenta di grasso il peso specifico
aumenterà poiché è stata sottratta la fase che ha una densità più bassa
PROCEDIMENTO:
Il parametro più importante da tenere sotto controllo mentre si effettua quest’analisi è la temperatura:
variazioni di T° provocano variazioni di densità. Per convenzione ci riferiamo alla densità misurata a 15°C (se
però la determinazione è stata fatta ad una T° diversa è possibile applicare delle formule correttive che
riportano il valore a quello della T° standard di 15°C).
L’unità di misura più comunemente utilizzata per esprimere l’acidità titolabile è rappresentata dai gradi SH°
Soxhlet-Henkel Questi si definiscono come i ml (V) di NaOH 0.25N necessari per neutralizzare (a titolare)
100ml di latte (6-8 SH°/100 ml in un latte normale-genuino). Altre unità di misura sono: i gradi D° Dornic
(ml di NaOH al 0.11 N necessari per neutralizzare 100 ml di latte) e i gradi T° Turner (decimi di ml di NaOH al
0,1 N necessari per neutralizzare 10 ml di latte).
SCOPO: verifica della corretta composizione del latte e l’assenza di fenomeni fermentativi
Es. ho un latte con pH nella norma e
PRINCIPIO: titolazione acido-base acidità molto alta
MATERIALI: buretta, beuta da 300ml, pipetta a bolla da 50ml Si accetta il latte al conferimento? Si,
se è iperproteico va bene
REAGENTI: soluzione idroalcolica di fenolftaleina, soluzione titolante NaOH 0.25M
In un latte che non ha subito nessun
tipo di fermentazione la titolazione è a
PROCEDIMENTO:
carico dei gruppi carbossilici delle
proteine
1. Pipettare 50 ml di latte nella beuta ed aggiungere 100 mL di acqua e 10 gocce di indicatore
2. Titolare con NaOH fino al viraggio al rosa pallidoleggere sulla buretta i ml di soluz.titolante impiegata
Per una corretta valutazione del punto di viraggio è utile confrontare il colore del campione che si sta
titolando con quello di un campione di latte
L‘acido lattico è prodotto dalla fermentazione del lattosio ad opera dell'attività microbica la sua
concentrazione è correlata alla carica batterica totale e può essere utile determinare il tenore di acido
lattico come indicatore generale del buono stato di conservazione del latte. In questo caso la
determinazione può esser eseguita con un test enzimatico accoppiato che genera un
segnale colorato che andiamo a rilevare allo spettrofotometro. Maggiore sarà la
concentrazione di acido latticomaggiore è l’intensità del segnale.
E’ un indice molto sensibile della corretta composizione del latte che dipende principalmente dal lattosio
Questo indice parte dal presupposto che una soluzione congela a una T° più bassa rispetto a quella del
solvente puro. T°cong solvente – T°cong soluzione = punto di cong (°C)
1 mole di una qualsiasi sostanza disciolta abbassa la temperatura di congelamento di 1.86°Cse cambia il
punto di congelamento significa che è cambiata la [sostanze] es.lattosio e/o sali in soluzione.
Nel latte la presenza di zuccheri e minerali in soluzione abbassa la T° di congelamento del latte rispetto a
quella dell’acqua pura. La concentrazione dei soluti nel latte è estremamente costante poiché deve
controbilanciare la pressione osmotica del sangue.
1) Frode per annacquamento: quando l’acqua è addizionata al latte la [ ] di Sali minerali e di zuccheri
viene diluita e quindi per diluizione il punto di congelamento diminuisce (diventa cioè più prossimo a
quello dell’acqua pura e si avvicina allo zero)
RICORDA: un’eventuale aggiunta fraudolenta di NaCl (sodio cloruro) può mascherare l’abbassamento
crioscopico indotto dalla diluizione!
IL CRIOSCOPIO DI BECKMANN
Funzionamento: si basa sul paragone della T° alla quale congela l’acqua pura e la T° alla quale
invece congela il campione di latte.
Il valore misurato sul campione di latte sarà quindi calcolato come segue:
SCOPO: verifica della corretta composizione del latte (può servire a rilevare un’eventuale annacquamento)
MATERIALI: Criostato, termometro per crioscopia, provette crioscopiche, soluzione di urea standard (1.77 g
in 100ml di acqua)
*E’ molto facile commettere errori in queste determinazioni (T° cong, T°eboll), si usano
PROCEDIMENTO: degli standard (soluzioni a [ ] nota di soluto di cui conosciamo il punto di congelamento)
standard)
1. Portare il criostato a 4°C
2. Riempire una provetta con acqua, una provetta con lo std di urea e una con il campione di latte
3. Mettere la provetta nel termostato munita di termometro, quando il termometro è sceso -0.5°C sotto il
punto di congelamento teorico inoculare con un granello di ghiaccio.
4. La T sale e quando si stabilizza per circa 1 min si considera raggiunto il p.to crioscopico
RISULTATO:
Calcolo del fattore di correzione del termometro (con il quale aggiusto il valore sperimentale del mio
campione) f= 0.550/(e-h)
IL pH
E’ il più importante degli indici relativi agli ioni in soluzione e può essere det. con pHmetro Quindi acidità≠pH!!
Indica lo stato di freschezza e l’acidità attuale (cioè il contenuto di ioni idrogeno disciolti, a differenza
dell’acidità titolabile che esprime un dato di acidità totale, in quanto tiene conto anche degli ioni
idrogeno non dissociati) del latte
Nel latte genuino il valore di pH è molto prossimo alla neutralità. Dobbiamo considerare che il latte è
una soluzione tampone, quindi se si verificano piccoli spostamenti di pH questo vuol dire che sono
avvenuti dei grandi cambiamenti di concentrazione idrogenionica. Quindi dobbiamo considerare
anormale un campione di latte che presenta piccoli scostamenti di pH dal valore normale che è
compreso fra 6.6-6.8.
Il valore di pH del latte (vicino a 6.6) non deve cambiare mai siccome il
latte è un sistema tampone!
Per farlo cambiare deve avvenire una fermentazione che è andata molto
avanti (>[acido lattico] quindi si sono sviluppati troppo i batteri
lattici<ph). Infatti se il latte ha un’alta carica microbica abbassa il pH e
l’acidità aumenta. I batteri lattici in sé per sé non è un problema ma si
potrebbero essere sviluppati anche m.o patogeni, per questo il legislatore
fissa dei limiti piuttosto bassi!
L’alcalinità e l'indice di alcalinità delle ceneri possono essere determinate mediante una retro titolazione: a
questo scopo, le ceneri ottenute da un V noto di latte (es.10ml) possono essere risospese (si sciolgono) in
H2SO4 acido solforico a titolo noto (10ml 0.1N); questa miscela,utilizzando come indicatore verde di bromo
cresolo e rosso di metile, si titola con NaOH 0.1N fino al viraggio al grigio (pH 4.5) e così viene rilevata
l’eventuale aggiunta fraudolenta di bicarbonato di sodio che avrà abbassato il titolo dell’acido.
DETERMINAZIONE DELL’INDICE DI ALCALINITA’ DELLE CENERI
V*N = V'*N'
V = volume titolato (acido), N = eq/L di titolato (incognita ?), V = volume titolante (per es. 7ml), N = eq/L di
titolante (0.1)
Per mascherare la diminuzione del punto crioscopico indotta dalla diluizione del latte con acqua è possibile
utilizzare acqua addizionata con sale (sodio cloruro) che tenta di mantenere inalterata la [] dei soluti in
soluzione. L’annacquamento con aggiunta di NaCl non fa variare il punto crioscopico.
Per mettere in evidenza l’aggiunta fraudolenta di acqua salata si può effettuare una titolazione con un sale
d’argento. Il metodo si basa sulla reazione degli ioni cloruro Cl- con una soluzione di argento nitrato AgNO3.
Quest’ultimo, in presenza di cloruri forma argento cloruro AgCl, che precipita.
La modificazione del titolo della soluzione iniziale di argento nitrato consente di calcolare la quantità di
cloruri Cl- presenti nel campione di latte (quindi determino i cloruri!)
Il latte a composizione normale contiene cloruri in una quantità compresa fra 90-110 mgCl-/100g che è
costante nel latte
Un valore di cloruri più elevato della norma può essere associato:
ad una alterata funzionalità delle mammelle legata a mastiti
all’aggiunta fraudolenta di acqua salata
PRESENZA DI INFEZIONI DELLA GHIANDOLA MAMMARIA
Le infezioni della ghiandola mammaria possono essere messe in evidenza andando a valutare il rapporto fra
i cloruri e il lattosio, che normalmente è molto costante (normalmente il rapporto fra questi due
componenti è pari a circa 3).
In caso di mastiti: la quantità di cloruri Cl- aumenta e la quantità di lattosio diminuisce per abbassamento
della funzionalità delle ghiandole mammarie. Questo porta a considerevoli variazioni di questo indice. In
più il latte mastitico si riconosce perché: abbassamento % di grasso e di proteine (aumentano le
sieroproteine) il pH tende alla neutralità (si alza un pò).
TEST rapidi utili PER la VERIFICA DELLE CONDIZIONI IGENICHE e quindi della qualità microbiologica
(SCOPO: vedere se la quantità di m.o. è entro i limiti) del latte (al conferimento per esempio)INDICI
DELLA QUALITA’ MICROBIOLOGICA da utilizzare per stimare le condizioni igeniche del latte al conferimento
Il test con la resazzurrina provoca modificazioni del colore del latte (quindi un responso colorimetrico) per
reazione della resazzurrina con le reduttasi (quindi se sono presenti le redutt.), enzimi di origine microbica.
SCOPO: verificare il grado di contaminazione microbica del latte per standardizzarne poi le condizioni
igieniche e le condizioni di trattamento termico
PRINCIPIO: tale test si basa sulla modificazione del colore di questo composto indotto dalle reduttasi
microbiche. Il colore vira dal blu al rosa fino all'incolore in funzione del grado di riduzione.
(+scolorisce>è la contaminazione)
MATERIALI: provette di vetro, pipette di vetro con bolla da 1 e da 10 ml, bagno termostatico
REAGENTI: pasticche di resazzurrina
PROCEDIMENTO:
1. mettere in una provetta 10 ml di latte e 1 ml i soluzione di resazzurrina
2. incubare a 37°C ed osservare il colore dopo 10 min, 1 ora e tre ore illuminando con una lampada
fluorescente sotto sfondo grigio utilizzando come riferimento il colore standard Malva Mussel 5P7/4 (Il
campione di latte viene confrontato con il colore di uno standard per verificare la sua qualità igenica).
RISULTATO
Colore del test più pallido rispetto allo standard: latte rifiutato al conferimento per cattive condizioni
igieniche.
Fornisce informazioni sulla freschezza del latte in termini di pH e di stabilità della sospensione colloidale.
In questo caso: l'alizarina viene sciolta in etanolo e dà origine ad una soluzione rosso mattone; 2 ml di latte
si mescolano con 3 ml di soluzione di alizarina e a questo punto si osserva, sia la modificazione del colore
della alizarina ma anche la formazione di un flocculato di natura proteica che è dovuto alla precipitazione
delle caseine indotta dall’etanolo se il pH del campione di latte è inferiore alla neutralità.
Ad esempio, il colore del campione rimane lilla e il flocculato non si forma quando il latte è in buone
condizioni igeniche.
Nel caso invece di una
acidificazione che sta
progredendo il colore
virerà al bruno-rossastro
e si formeranno dei
flocculi.
Se invece l’acidificazione
è avanzata il colore del
campione sarà giallo e si
ha la formazione di un
flocculato molto fine.
Il latte crudo può trasmettere malattie endemiche (es. tubercolosi anni ‘70) per cui il latte deve essere
risanato per disattivare i m.o patogeni. Come?
La legge VIETA la stabilizzazione del latte mediante l’impiego di conservanti e additivi chimici.
Sono ammessi invece unicamente trattamenti fisici (es, filtrazione, trattamenti termici) con particolare
riferimento a quelli che prevedono la somministrazione di calore. Possiamo distinguere trattamenti di:
conseguire il risultato (target): abbattimento della carica microbica ad un livello che comporta un
rischio accettabile per la salute del consumatore
Latte ricco di m.otratt termico fortescarsa qualità< valore commerciale
Si tratta di enzimi naturalmente presenti nel latte, che dunque definiamo endogeni, risentono dei
trattamenti termici: in determinate condizioni possono essere denaturati, in altre no. Dunque la presenza o
l’assenza di questi indicatori enzimatici consente di rilevare il trattamento termico che ha subito il latte: per
questo parliamo di indicatori enzimatici del trattamento termico.
Quali sono?
Lattoperossidasienzima più rappresentato nel latte, è associato alle proteine del siero e si denatura a
100°C, insieme appunto alle proteine del siero. E’ quindi resistente alle normali condizioni-procedure di
pastorizzazione, mentre verrà denaturata a T°>100°C (sterilizzazione).
Fosfatasi Alcalinaenzima associato ai globuli di grasso che viene inattivato alle stesse T° che comportano
l’inattivazione dei germi patogeni. Questo enzima quindi è denaturato nelle normali condizioni di
pastorizzazione e deve essere SEMPRE INATTIVO dopo il trattamento di risanamento. Se la fosfatasi
alcalina dopo il trattamento di risanamento termico è attiva, questo indica che il trattamento NON è
andato a buon fine e che quindi è possibile che ci siano dei germi patogeni NON disattivati (è un indice
indiretto). Nel latte crudo c’è.
Dal p.d.v analitico come si fa a distinguere le diverse tipologie di latte
pastorizzato? La F.A sarà negativa in tutte quindi non ci aiuta, si va a
LE CATEGORIE-CLASSI MERCEOLOGICHE DI LATTE
vedere la % di proteine del siero non denaturate (latte pastorizzato
LATTI A BREVE CONSERVAZIONE: <11..)
Latte PASTORIZZATO: sottoposto ad un trattamento di pastorizzazione (poco più di 70°C per 10s) e
confezionato in maniera asettica. F.A negativa/PEROSSIDASI attiva/ proteine del siero NON
denaturate (≥11% del totale). Scadenza: entro 6 gg dal trattamento.
Latte PASTORIZZATO FRESCO: sottoposto ad un unico trattamento di pastorizzazione entro 48h dalla
mungitura. F.A negativa/PEROSSIDASI attiva/proteine del siero NON denaturate (≥14% del totale)
Latte PASTORIZZATO FRESCO DI ALTA QUALITA’: proviene da stalle nelle quali particolari accortezze
nelle modalità di produzione permettono di ottenere un latte con una carica microbica di partenza
molto bassa. Questo consente di effettuare un trattamento di pastorizzazione blando meno invasivo
che altera solo in minima misura la struttura delle proteine del latte. Inoltre il tenore in proteine e
grassi è > a quello degli altri tipi di latte intero. F.A negativa/ PEROSSIDASI attiva/proteine del siero
NON denaturate (≥15.5% del totale, non inferiori al 15%)
Latte MICROFILTRATO FRESCO: sottoposto prima ad una procedura di filtrazione che consente di
allontanare una parte di m.o e poi viene pastorizzato entro 48h dalla mungitura. Scadenza: entro 10gg
dal trattamento termico.
Latte PASTORIZZATO A TEMPERATURA ELEVATA: sottoposto ad un trattamento di pastorizzazione
più drastico rispetto agli altri tipi di latte pastorizzato. Scadenza stabilita dal produttore.
Tutti questi tipi di latte necessitano della catena del freddo per rimanere stabili.
Possono essere conservati anche a T° ambiente e le condizioni di trattamento termico sono tali per cui in
nessuno di questi latti dovremo trovare gli indicatori enzimatici attivi.
DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITA’ DEGLI ENZIMI INDICATORI DEI TRATTAMENTI TERMICI DEL LATTE
PEROSSIDASI
Si denatura nelle condizioni che inducono la denaturazione delle proteine del siero.
E’ considerato un indice della qualità microbiologica del latte di partenza. Infatti, un latte crudo con una
carica microbica molto elevata dovrà subire dei trattamenti termici più severi per essere risanato e questi
trattamenti comporteranno la denaturazione delle proteine del siero e quindi della perossidasi.
Il saggio per rilevare la presenza di fosfatasi alcalina si basa sull’idrolisi di un substrato sintetico,
normalmente il fenilfosfato sodico. Da questa reazione si libera un fenolo, il quale è in grado di
complessarsi in un composto colorato, che viene dosato per via spettrofotometrica. Se utilizziamo questo
metodo un latte correttamente pastorizzato non libererà più di 4 microgrammi/ml di fenolo.
SCOPO: verifica della corretta pastorizzazione del latte e quindi la sua conformità ai limiti di legge
PRINCIPIO: è che l’attività enzimatica è in grado di provocare l’idrolisi di un substrato sintetico con
conseguente sviluppo di colore
MATERIALI: beuta, matracci, pipette, provette
REAGENTI: tampone 1 barite/ac.borico, pH 10.6, tampone 2 NaCl/metaborato di Na pH 9.8, soluzione
di precipitazione delle proteine del latte, soluzione di fenilfosfato bisodico 0.1% in tampone 1,
soluzione idroalcolica per lo sviluppo del colore, fenolo standard
PROCEDIMENTO:
Saggio sul campione di latte: due provette con 1 ml di latte, porre la provetta da utilizzare come bianco B
(campione di riferimento) a bagnomaria per 1m (grazie a questo trattamento termico l’eventuale presenza
di F.A residua viene disattivata), aggiungere ad entrambe le provette 10ml di substrato ed incubare 1h a
37°C, riscaldare a 85°C per 1m e chiarificare aggiungendo 1ml di soluzione di precipitazione, filtrare e
raccogliere il Sn limpido, mescolare 5ml di Sn con 5ml di tampone 2 e 2 gocce di colorante, incubare a
T°amb per 30m, leggere l’abs a 612nm.
RISULTATO
Quindi l’abs determinata sul campione incognito di latte può essere sostituita
nell’equazione lineare che descrive la retta di taratura ottenuta con lo standard, permettendo così il calcolo
della concentrazione di fenolo che si è sviluppata nel campione incognito a seguito dell’azione della
fosfatasi.
Passaggi:
E’ la più comune reazione chimica di danno termico che si sviluppa nei prodotti alimentari sottoposti a
trattamenti termici o conservati per lunghi periodi di tempo. Viene indotta da T° elevate in presenza di
specifici reagenti, in particolare gruppi amminici liberi (NH2, possono essere di varia natura, cioè
possono derivare da: composti azotati presenti nel latte, gruppi terminali delle proteine, da aa:
gruppi R degli aa es.Lys) e zuccheri riducenti (lattosio nel latte) e influenza alcuni attributi di qualità dei
prodotti alimentari, rappresentati principalmente da aroma e colore.
E’ una complessa rete di reazioni chimiche che può avere luogo sia durante il processo di produzione
che durante la conservazione dei prodotti.
La v di reazione dipende da molti fattori: natura e [] dei reagenti, cioè di zuccheri (>[reag]>v reaz.), il
pH (pH elevati aumentano la v, se il pH è basso la rx di M. si blocca perché la base di S. viene
protonata), l’aw (valori intermedi di 0,6-0,7 corrispondono all’opt di v, la v reaz quindi aumenta con aw
ma fino a un certo limite oltre il quale la rx rallenta), T° elevate di riscaldamento (aumenti di T°
aumentano la v) e tempi protratti di trattamento termico.
Comunque è importante sottolineare che non sempre i prodotti della reazione di Maillard hanno una
valenza negativa e quindi vengono definiti di danno termico (pensiamo per es. ai prodotti della rx di
Maillard responsabili dell’aroma del caffè tostato oppure dell’aroma del pane appena sfornato).
I processi basati sullo sviluppo di questa reazione sono: tostatura caffè e cacao, caramellizzazione, cottura
della carne.
Quindi non sempre è considerata dannosa, dipende dal contesto in cui ci troviamo! Molti prodotti della reazione provocano danni ma in sé per
sé non costituiscono un rischio per la salute umana. Ad es. questa rx è desiderata e quindi indotta nei prodotti da forno, caffè, cacao, birra
(tostatura malto), prodotti carnei, patatine fritte poiché ne influenza positivamente le proprietà sensoriali mentre si cerca di evitarla o
minimizzarla nei processi di stabilizzazione, quali essiccamento, sterilizzazione, pastorizzazione ecc..
Ciascuna fase della rx di M. presenta un suo pH opt: la condensazione è favorita a pH tra 6-8, il riarrangiamento di Amdaori da
pH intorno a 7, l’enolizzazione da pH di 5,5. Come vediamo il progredire della rx di M. porta ad’una acidificazione del mezzo che
può risultare rilevante nei sistemi alimentari a bassa capacità tamponante.
In generale i prodotti della rx di Maillard sono indici della “storia tecnologica” del prodotto in termini di
trattamento termico.
Nei prodotti alimentari i derivati della rx di M. possono avere diversi ruoli. Ad es. possono svolgere attività
antiossidante (proprietà attribuita princ. alle melanoidine) interrompendo reazioni radicaliche donando H
sequestrare metalli ecc.. la presenza di antiossidanti è imp. negli alimenti in quanto consente di rallentare
reazioni di OX princip a carico di lipidi e quindi di prolungare la shelf life, possono inibire l’attività di alcuni
enzimi digestivi (enzimi idrolitici delle proteine come tripsina, disaccaridasi come lattasi e maltasi) e in parte
anche l’attività di alcuni m.o (attività inibitoria), possono alterare il valore nutrizionale del prodotto del
quale diminuiscono la biodisponibilità della frazione proteica e degli aa essenziali (Lys), riducono la
[vitamine] come la Tiamina, riducono l’assorbimento intestinale di ioni metallici, ma possono anche portare
alla sintesi di composti policiclici per i quali in vitro è stata dimostrata un’attività cancerogena o mutagena
(es. ammine eterocicliche), in ogni caso dobbiamo considerare che questi ultimi prodotti non hanno molto
peso in una dieta normalmente variata.
La somministrazione di calore può indurre numerosi cambiamenti nei macrocostituenti dei prodotti
alimentari EFFETTI della somministrazione di calore
PROTEINE: gli effetti della somministrazione di calore sulle proteine riguardano la modificazione della
conformazione proteica, la formazione di ponti disolfuro S-S fra caseine e proteine del siero (questi ponti
proteggono le caseine dall’azione degli enzimi del caglio e quindi si oppongono alla coagulazione
presamica), inoltre possiamo avere la denaturazione delle proteine del siero seguita da formazione di ponti
disolfuro (abbiamo visto che questo fenomeno è coinvolto nella produzione della ricotta).
CARBOIDRATI: sugli zuccheri la somministrazione di calore induce una serie di reazioni che chiamiamo
caramellizzazione responsabili della formazione di composti volatili dal tipico aroma e colore.
In particolare poi la rx di M. può coinvolgere la > parte dei componenti di un prodotto alimentare (ad es.
prodotti di ossidazione lipidica, prodotti che derivano dall’ox dei fenoli e come abbiamo detto zuccheri
riducenti e proteine con i loro gruppi amminici liberi).
SCHEMA DI REAZIONE
RX DI MAILLARD
-H2O
AMINOCHETOZUCCHERO
Inizia con la CONDENSAZIONE fra gruppi carbonilici liberi degli zuccheri riducenti e gruppi amminici liberi.
La reazione fra zuccheri e ammine libere (1° reazione) porta caratteristicamente alla formazione del cosiddetto composto di
Amadori che è il primo intermedio della rx di M.
Da questo poi, in funzione delle condizioni del mezzo di rx prenderanno origine diversi pattern di rx che hanno in comune la
formazione di composti carbonilici altamente reattivi i quali attraverso rx di condensazione, ciclizzazione, deidratazione e
isomerizzazione portano alla produzione di composti finali che sono le melanoidine e i composti aromatici.
La fase INIZIALE consiste nella reazione di CONDENSAZIONE tra il gruppo amminico libero (di un aa, di un
peptide o di una proteina) e il C del gruppo carbonilico di uno zucchero riducente. Il composto che si forma
perde una molecola di H2O per formare la base di Shiff che, per ciclizzazione, si trasforma nella
glicosilammina N-sostituita. Quest’ultima, essendo instabile, subisce un riarrangiamento a formare il
composto di Amadori (relativamente stabile, rappresenta il composto chiave dei primi stadi della rx, è
TRANSIENTE, cioè si perde! Per cui, per capire se la rx è partita o no non possiamo basarci su questo
composto ma dovremo fare uso di indici-MARKERS* relativi ai derivati della rx).
FASE INTERMEDIA: durante questa fase si possono avere un gran numero di reazioni a catena influenzate
da fattori come la T° e il pH (quindi le reazioni a cui va incontro il composto di Amadori dipendono dalle
condizioni del mezzo di reazione) durante le quali si producono intermedi carbonilici altamente reattivi.
Quindi gli stadi successivi della rx, complessi e scarsamente conosciuti, implicano la trasformazione di
precursori a basso pm e rx di polimerizzazione con formazione di composti ad alto pm.
In particolare la rx può proseguire secondo diverse vie in funzione del pH del sistema (valori di pH acidi o
vicini alla neutralità il composto di Amadori viene decomposto attraverso la 1,2 enolizzazionequesta
porta alla formazione di 3-deossiglucosone,dalla cui succ degradazione si formano 2 composti, noti
MARKERS della fase intermedia, l’HMF (aldeide ciclica) e la pirralina; valori di pH neutri o alcalini
favoriscono la 2,3 enolizzazione con formazione dell’1-deossiglucosone che a sua volta è precursore di
composti che contribuiscono al “flavour” degli alimenti). Ruolo imp. nella fase intermedia è svolto dalla
degradazione di Strecker (non avviene a carico delle proteine in cui il gruppo alfa aminico dell’aa è
impiegnato nel leg. peptidico) avviata dalla condensazione tra alfa aa e composti alfa dicarbonilici e che
porta alla formazione di composti volatili come aldeidi e alfa amino-chetoni (particolarmente reattivi) di
Srecker con liberazione di CO2. Le aldeidi possono condensare con altre aldeidi,furfuroli e/o altri prodotti di
disidratazione e formare pigmenti bruni. Gli alfa amino-chetoni possono dimerizzare per formare pirazine.
Molti dei prodotti della degradazione di S. sono volatili e influenzano l’aroma degli alimenti.
Lo stadio finale della rx di M. porta alla formazione di composti eterociclici azotati, attraverso reazioni di
condensazione dei precursori a basso p.m. quali furfurale, prodotti di scissione e reduttoni (composti
policarbonilici).
FASE FINALE: si formano a questo stadio i prodotti finali della rx di Maillard, che sono: composti aromatici
(sono composti volatili, aciclici ed eterociclici contenenti N, O o S, come furani, pirroli, pirazine,tiazoli ecc.)
responsabili dell’aroma dei prodotti alimentari (carne cotta o arrostita, pane, caffè tostato) e composti
polimerici (polimeri) azotati ad alto p.m. e insolubili dal colore bruno chiamati melanoidine (studi hanno
dimostrato che le melanoidine possono esplicare capacità antiossidante e/o legante nei confronti di altri
composti responsabili dell’aroma di numerosi prodotti alimentari).
Questo schema illustra la diversità dei pattern di reazione a cui può andare incontro la rx di M. in funzione
delle caratteristiche del mezzo di reazione (ad es. il pH superiore o inferiore alla neutralità: pH>7 induce la
formazione di composti a elevata reattività quali sono i reduttoni oppure i composti di fissione sempre
caratterizzati dalla presenza di 1 o + gruppi carbonilici; per pH<neutralità la via preferenziale di
trasformazione del composto di Amadori è la formazione di idrossimetil furfurale o HMF.
Da questi punti in poi hanno luogo reazioni che portano a profonde trasformazioni della struttura dei
composti fino a dare luogo a composti sia di bassa taglia volatili che polimeri a cui si devono le
modificazioni delle proprietà sensoriali del prodotto con sviluppo di aromi particolari e cambi di colore.
I prodotti che derivano dai diversi pattern della rx di M sono difficili da rilevare per una serie di ragioni:
1. Molti dei dati disponibili derivano da studi su sistemi modello e non su matrici alimentari reali dove il
quadro è molto più complicatodifficoltà di applicazione nelle matrici complesse:
2. Quantità di analita molto basse: gli intermedi di reazione tendono a trasformarsi velocemente in altri
composti, dunque non si accumulano nel mezzo e sono presenti in basse quantità. Questo implica che
le procedure analitiche necessiteranno di lunghi passaggi di arricchimento dell’analita di interesse;
3. Mancanza di standard: data la grande varietà di composti, spesso non sono disponibili standard.
Lo STADIO AVANZATO: è denunciato dalla presenza dei derivati dei riduttoni e dei composti di fissione che sono Lisil-pirralina,
Isomaltol-glicoside (anche in questo stadio avremo la presenza di HMF, specie in matrici a pH<neutralità)
Il principio su cui si basano i metodi di determinazione di questi indici (es. det furosina, Lys..) è la CROMATOGRAFIA (GC o HPLC)
In particolare, la FUROSINA (derivato del composto di Amadori) rappresenta un’importante indice di danno
termico nel latte (>è la severità del trattamento termico> sarà la [Furosina]). Nel latte non trattato
termicamente e nel latte pastorizzato NON c’è.
La sua determinazione viene effettuata per via cromatografica e consente quindi di caratterizzare il
prodotto in funzione dell’entità del trattamento termico ma quest’analisi può anche essere utilizzata per
rilevare l’aggiunta di ingredienti non
consentiti, ad es. l’aggiunta di latte o siero in
polvere oppure di caseinati durante il
processo di caseificazione.
Dal p.d.v della definizione parleremo di solidi totali o di residuo secco intendendo tutto quello che rimane
una volta che l’acqua è stata allontanata per evaporazione.
La pratica dell’ALLONTANAMENTO dell’acqua viene utilizzata in molti processi produttivi perché consente
di: aumentare la stabilità chimico-fisica e microbiologica dei P.A. e quindi di ottenere prodotti molto più
stabili di quelli freschi (es. frutta e vegetali disidratati, latte o uova in polvere, spezie).
In alcuni prodotti, in particolare quelli molto ricchi di zuccheri (es. marmellate e gelatine), il ridotto tenore
di acqua consente di ridurre i fenomeni di cristallizzazione degli zuccheri. In altri casi, l’allontanamento di
buona parte dell’acqua è parte integrante del processo di produzione (es. cereali soffiati).
Allontanare buona parte dell’acqua significa anche ridurre il volume e questa è una strategia utilizzata per
esempio per facilitare la movimentazione di materie prime a contenuto d’acqua molto elevato (es. succhi di
frutta, che una volta ridotti a concentrati, possono essere movimentati più facilmente verso gli stabilimenti
di confezionamento dove il tenore di acqua viene ripristinato).
Altra categoria di prodotti ad elevato tenore d’acqua è rappresentata dai prodotti freschi come frutta,
vegetali, carne, uova fresche e anche in questo caso l’acqua è il componente più abbondante.
I derivati da cereali presentano un tenore di acqua decisamente più basso compreso fra il 4 e il 15%.
I prodotti a base lipidica presentano un tenore di acqua molto basso e si va da prodotti a base lipidica ricchi
di acqua come il burro a prodotti dove l’acqua è praticamente assente, come possono essere gli oli.
ALLONTANAMENTO ACQUA PER EVAPORAZIONE- ESSICCAMENTO IN STUFA
La quantità d’acqua presente in un prodotto si determina come differenza di peso previo allontanamento
dell’acqua per evaporazione si pesa il campione di prodotto, si allontana l’acqua per evaporazione, si
ripesa, si fa la differenza tra peso fresco pre-evaporazione e peso secco post-evaporazione, cioè il peso del
prodotto una volta che tutta l’acqua è evaporata). E’ imp ai fini della stabilità chimico fisica e microbiologica
del prodotto, poi perché è un limite di legge che va rispettato, può essere utile eliminarla per facilitare il
trasporto oppure ci sono degli alimenti che prevedono questa operazione nel loro ciclo produttivo.
L’evaporazione IN STUFA è uno dei metodi più semplici ed’è poco dispendioso poiché possono essere
analizzati + campioni contemporaneamente. Il t richiesto per il completo allontanamento dell’acqua è
molto variabile in funzione della tipologia di prodotto e può andare da pochi minuti a diverse ore in base
alla tecnica scelta e all’alimento trattato.
1) Effetto concentrazione: via via che l’acqua evapora si verifica una concentrazione dei solidi totali,
questo comporta un aumento della T° di eb. dell’acqua per cui le ultime fasi dell’evaporazione sono
molto lunghe, mentre le prime fasi sono molto rapide, sarà più facile togliere l’acqua
2) Contenuto iniziale d’acqua del campione (>sarà il tenore di acqua iniziale+lungo sarà il tempo
richiesto per la completa evaporazione)
3) Taglia e forma del campione: l’allontanamento dell’acqua viene favorito aumentando la superficie di
scambio quindi normalmente i campioni solidi vengono previamente macinati
4) Fenomeni di decomposizione del campione: la T° alla quale viene allontanata l’acqua è molto imp.
poiché può generare dei fenomeni di decomposizione della materia organica incidendo così sul
responso dell’analisi dove, la differenza di peso fra il campione fresco e quello dopo evaporazione,
risentirà anche della perdita di sostanza organica.
Il RESPONSO analitico di questa analisi è il PESO del campione una volta che TUTTA l’acqua è stata
ALLONTANATA. Il RISULTATO si può esprimere esprime come :
UMIDITA’ % = [(wt campione umido o fresco – wt campione secco) / wt campione umido fresco] x 100
DIFFERENZA DI PESO % FRA IL CAMPIONE FRESCO E QUELLO SECCO FRATTO IL PESO DEL CAMPIONE FRESCO
oppure come..
5) Dispositivi di ricircolo di aria nel forno: l’uso di dispositivi per l’evaporazione dell’acqua dotati di
possibilità di ricircolo forzato dell’aria (forni a circolazione forzata) consentono di velocizzare la
procedura (>v), permettendo di rimuovere i gradienti di U e T° nelle vicinanze del campione, che
rallentano l’evaporazione.
La differenza sostanziale fra il forno statico e quello ventilato (quindi con la convezione forzata) consiste
nella presenza di una o più ventole che azionano un moto dell’aria all’interno della camera di
riscaldamento. L’aria, dinamicamente forzata, distribuisce meglio l’E termica all’interno del forno
provocando una > e + omogenea penetrazione nel campione. La convezione forzata porta sensibili vantaggi
rispetto ai dispositivi statici, permettendo una rimozione dell’acqua più veloce e uniforme. Normalmente
vengono impostati dei cicli di riscaldamento prefissati per portare a secco il campione; in alternativa, il
campione può essere pesato e quindi nuovamente posto nel forno fino a che il peso non rimane costante.
Con questa seconda alternativa è necessario fare attenzione che il campione non vada incontro a rx di
degradazione che si manifestano con cambi di colore e formazioni di croste.
Nei dispositivi detti “a vuoto” (forni a vuoto) l’allontanamento dell’acqua è condotto in condizioni di P
ridotta rispetto a quella atm. L’allontanamento dell’acqua in questo caso è particolarmente veloce (in
genere NON dura + di 6h).
Poiché l’evaporazione è un processo endotermico, si può assistere a una marcata diminuzione della T° del
dispositivo, specie nelle prime fasi. Sarà tanto + evidente quanto > è il n° dei campioni.
Particolare cura deve essere posta nei recipienti-vaschette nei quali viene posto il campione che devono
essere muniti di appositi coperchietti che evitano la dispersione del campione. Inoltre, è buona norma
procedere a un ciclo di riscaldamento e raffreddamento dei recipienti in condizioni controllate, allo scopo di
condizionarli prima dell’uso.
Contenitori per il campione da essiccare: vaschette di
DETERMINAZIONE DELL’UMIDITA’: TECNICHE VELOCI alluminio leggerissime
Nel corso degli anni, si sono sviluppate tecniche per la determinazione veloce del contenuto d’acqua.
Molto efficaci, in questo senso, sono i dispositivi A MICROONDE (analizzatore di umidità a microonde). La
rapidità della determinazione li rende adatti a un controllo online durante il processo. La limitazione +
importante è rappresentata dal fatto che si può analizzare un solo
campione per volta e dal costo dello strumento. Le precauzioni da
adottare durante la procedura non sono diverse da quelle per
l’evaporazione nei dispositivi convenzionali.
Il sistema è automatico, dotato di una bilancia interna (e quindi segue le perdite di peso durante il
riscaldamento e l’evaporazione dell’acqua del campione) restituendo direttamente il contenuto d’acqua.
Anche qui come negli essiccatori a microonde la limitazione + importante è rappresentata dal fatto che è
possibile analizzare un solo campione per volta.
Non ci sono precauzioni particolari rispetto alle altre determinazioni se non la regolazione della distanza
della lampada a IR dalla superficie del campione per evitare surriscaldamenti superficiali (sovra e sotto
esposizione).
Anche qui la determinazione è diretta, veloce (10-25m) e permette il calcolo del risultato grazie a una
bilancia incorporata nel dispositivo.
Dispositivi meno sofisticati consentono l’irraggiamento di + campioni per volta e non sono dotati di
bilancia. In questo caso per la determinazione del contenuto di acqua si procede come nel caso delle stufe
convenzionali determinando il peso del campione fresco e quello del campione secco.
Queste tecniche sono particolarmente adatte per la determinazione del contenuto di acqua in campioni
dove il tenore di acqua è relativamente basso (es. cioccolato, caffè tosato, spezie, grassi-matrici lipidiche o
frutta secca).
Il principio si basa sulla co-distillazione dell’acqua insieme ad un solvente immiscibile con un punto di
ebollizione + alto di quello dell’acqua. La quantità di acqua presente nel campione viene misurata
attraverso la determinazione del suo volume nel distillato.
Caratteristiche: metodo rapido e accurato (velocità 1 ora circa),non prevede riscaldamento del campione (a
differenza di tutti gli altri metodi visti), problemi di decomposizione limitati, determinazione diretta del
quantitativo di acqua presente per via volumetrica.
I metodi per distillazione prevengono in parte le reazioni di decomposizione del campione poiché la T° di
estrazione alla quale avviene l’allontanamento dell’acqua (115-130°C) è relativamente bassa. Queste rx
possono essere particolarmente contenute quando si usano solventi con un punto di ebollizione un po’ +
basso anche se questo aumenta i tempi di estrazione.
Principio: si basa sulla riduzione dello iodio molecolare I2 da parte dell’SO2 (anidride solforosa) in presenza
di acqua
Caratteristiche: adatto a matrici con contenuto di acqua molto basso (0.03%)-metodo accurato,semplice,
rapido (pochi min rispetto a quale ora della tecnica di essicc in stufa, partic lunga dovendo il campione
rimanere in stufa fino a costanza di peso) e specifico (solo l'H2O reagisce, non i comp. volatili ev. presenti nel campione)
Modalità: Il reagente, detto di Karl Fisher, è preparato con un titolo noto di iodio molecolare I2.
Il metodo di Karl Fischer, messo a punto dal chimico tedesco Karl Fischer, consiste in una titolazione ed’è una tecnica analitica molto sensibile utilizzata per
la misura di tracce di acqua in varie matrici. La procedura si basa sull'ossidazione dell'anidride solforosa SO2 ad opera dello iodio I2 in una soluzione di
metanoloI2 + SO2 + 2 H2O → 2 HI + H2SO4 (REAZIONE DI BUNSEN). La titolazione viene condotta in un solvente anidro, generalmente metanolo in presenza di
una base capace di neutralizzare l'acido solforico prodotto dalla reazione (es. priridina, imidazolo).
La determinazione viene in genere effettuata dopo aver estratto l’acqua dal campione (a questo scopo si
utilizza il metanolo MeOH). L’estratto metanolico viene titolato con il solvente-reagente di Karl Fisher (sol.
titolante). Lo iodio presente nel reagente viene ridotto dall’acqua presente nell’estratto. Quando tutta
l’acqua avrà reagito ed’è stata consumata la prima goccia di reagente provoca un cambio di colore
nell’estratto visto che lo iodio a questo punto non viene più ridotto. Dal Vol di reagente utilizzato si risale al
contenuto di acqua del campione, sapendo che in genere, il titolo del reagente è tale che 1 ml è
completamente ridotto da 3.5g di acqua.
Come si determina la quantità di acqua in una matrice alimentare e perché è importante:si determina per evaporazione (che può essere effett in modi diversi)
di questa dalla matrice, è importante perché dal contenuto di acqua dipende la stabilità c-f e microbiologica del prodotto e poi perché è stabilito per LEGGE
Essiccamento in stufa Dispositivi a circolazione forzata, dispositivi statici (stufe statiche classiche), dispositivi a vuoto (forni a vuoto), dispositivi a microonde
- dispositivi a IR (tecniche veloci, v di evap. elevata, svantaggio: si può trattare solo 1 campione per volta), tecniche mediante distillazione (quando il
contenuto di acqua è basso)
L’impatto molto significativo del contenuto di acqua e della sua disponibilità sulla stabilità dei P.A ha fatto sì
che molte tecniche di conservazione si basino proprio sul controllo di questi parametri.
La quantità di acqua può essere ridotta (e quindi viene aumentata la stabilità del prodotto) per
allontanamento dalla matrice mediante diversi metodi (es. evaporazione) oppure può essere ridotto il suo
grado di disponibilità per aggiunta di soluti o comunque di ingredienti osmoticamente attivi (es. uso dello
zucchero e di biopolimeri).
ATTENZIONE** i prodotti tenderanno a riassorbire acqua dall’ambiente; dunque una volta che l’acqua è stata
allontanata per garantire la stabilità dei prodotti è necessario controllare le condizioni di stoccaggio e le tipologie di
imballaggio!
> sarà l’igroscopicità (quindi la capacità di trattenere acqua) < sarà Aw (quindi il grado di disponibilità
dell’acqua) > sarà la stabilità del prodotto
La disponibilità dell’acqua (Aw) può essere misurata attraverso la misura della P di vapore (P che esercitano
le molecole d’acqua che si liberano-allontanano in fase di vapore dal prodotto).
> è il grado di affinità dell’acqua per i costituenti del prodotto < sarà la P di vapore esercitata (quindi la
tendenza dell’acqua ad abbandonare il prodotto in fase di vapore) < è aw (cioè la sua disponibilità)
QUINDI:
PRESSIONE DI VAPORE (P): pressione che esercitano le molecole d’acqua che si liberano dal prodotto in fase
di vapore
Il valore di P può variare da 0 (quando l’acqua presente nel prodotto è trattenuta con una tale forza che
impedisce il passaggio allo stato di vapore cioè che non si libera in fase di vapore) fino a un valore massimo
(max) che è pari alla P di vapore dell’acqua libera indicata con Pi (ossia la P che esercita l’acqua che passa in
fase vapore dall’acqua pura)
l’attività dell’acqua viene definita dal rapporto fra la P di vapore che si riscontra nella matrice (P) e la P di
vapore alla stessa T° che si riscontra nell’acqua pura (Pi).
Aw = P/Pi
Più questo rapporto tende a 1 > sarà il valore di P > sarà il grado di
disponibilità dell’acqua (quindi >aw) - l’acqua interagisce con il prodotto
Se aw=1 significa che P=Pi
Più questo rapporto tende a 0 < sarà il valore di P < sarà aw + l’acqua interagisce con il
prodotto + stabile è il prodotto
Il rapporto P/Pi può essere definito in termini % e parliamo allora di UMIDITA’ RELATIVA (U.R), ma il
significato è IDENTICO!
U.R = P/Pi x100
Si vede come la forma della relazione fra umidità assoluta e Aw sia specifica per le diverse matrici. Quindi
ogni prodotto ha una sua tipica isoterma di assorbimento.
Nel riquadro rosso si osserva che: a valori di Aw relativamente bassi, le matrici che contengono biopolimeri
a base di amido o di proteine, sono +igroscopiche delle matrici che contengono zuccheri semplici. Infatti,
osservando il grafico possiamo notare come per es.
un U assoluta nell’asse y intorno a 10 corrisponda a
un U relativa nelle x prossima a 40 nel caso
dell’amido di frumento. Lo stesso grado di
disponibilità, pari cioè circa a 40 è raggiunto dal
saccarosio già a un U assoluta pari a 6-7. Dunque,
ad attività dell’acqua, detta anche U relativa,
relativamente bassa, l’igroscopicità dell’amido è
maggiore rispetto a quella del saccarosio.
La zona A o regione del “monostrato” corrisponde alla zona delle UR più basse (comprese fra 0 e 20%)
nella quale l’acqua è fortemente assorbita, cioè completamente legata alla matrice tramite legami a H
alle molecole che contengono gruppi polari come per esempio i colloidi macromolecolari come amido,
pectine e proteine) e poco mobile. In tali condizioni l’acqua non è disponibilex fav. lo sviluppo di m.o o
di rx di alt.
La zona B è quella delle U relative
intermedie (tra 20 e 65%) nella quale
l’acqua è ancora fortemente legata. Detta Contenuto
anche regione del “multistrato” perché le di acqua %
singole molecole di acqua sono
ordinatamente orientate in strati
sovrapposti
La zona C è quella delle U relative elevate
(tra il 65 e il 100%) nella quale l’acqua non è
legata, le molecole sono libere e disposte
disordinatamente. La diminuzione della P di
vapore è dovuta in genere a forze di
capillarità, tanto più forti quanto è minore il
diametro dei capillari. Ad alti livelli di U
alcuni componenti si sciolgono e la
diminuzione di P di vapore è dovuta
all’attività osmotica dei soluti.
La stabilità dei prodotti a T°amb può essere compromessa non solo dalla crescita di m.o ma anche dal
verificarsi di rx di alterazione chimica e fisica tra cui su tutte abbiamo: la reazione di IRRANCIDIMENTO
OSSIDATIVO delle matrici ad elevato tenore lipidico e della reazione di IMBRUNIMENTO NON ENZIMATICO
(Rx di Maillard) che riguarda i prodotti ricchi di zuccheri riducenti e con composti che presentano gruppi
amminici liberi.
Per quanto rig la Rx di Maillard le conseguenze riguardano in particolare le proprietà sensoriali dei P.A.
in termini di: cambio di colore (che diventa + scuro), diminuita solubilità delle proteine e formazione di
aromi e sapori particolari che in alcuni casi rappresentano una conseguenza sgradita e li definiamo Off-
Flavour (es. sapore di cotto del latte). In altri casi invece rappresentano aromi e sapori caratteristici del
prodotto (es. aroma del caffè tostato o del pane appena sfornato).
Le proprietà nutrizionali subiscono un decadimento proporzionale all’entità della reazione, dovuto a:
perdita di vitamine (che vengono denaturate per rx con gli intermedi di rx altamente reattivi) e alla perdita
di aa essenziali (infatti nelle proteine, la Lys che è un aa essenziale, viene coinvolta nella rx di Maillard
poiché presenta un gruppo amminico libero sul C in alfa). Inoltre la rx catalizza la formazione di leg.
Intramolecolari fra le proteine diminuendone l’accessibilità e la digeribilità.
Questa rx è favorita da aumenti di T° e l’altro parametro che regola la v di reaz è l’Aw. La v di questa rx è
max a valori di Aw intermedi (prossimi a 0.65-0.7).
dalla formazione di legami crociati fra i biopolimeri (CROSSLINKING FRA POLIMERI) che portano
all’indurimento del prodotto, a cambi di ritenzione idrica che inducono nel complesso modificazioni
della consistenza e della digeribilità. I fattori che intervengono su questa rx sono rappresentati dalla T°
e la presenza di O, entrambi con un effetto positivo sulla velocità.
Dalle reazioni enzimatiche: gli enzimi ancora attivi nella matrice possono continuare a catalizzare delle
reazioni che in genere portano a cambi peggiorativi di sapore e colore. La v delle reazioni enzimatiche è
accelerata da aumenti di T°, dalla presenza di O nel caso di enzimi coinvolti in rx redox e hanno bisogno
di un certo grado di disponibilità di acqua (almeno a livello intermedio)
Dalle reazioni di ossidazione dei pigmenti: causano perdite di colore e sviluppo di colori impropri.
Anche in questo caso, i fattori ambientali più imp. che accelerano la reazione sono: T° elevata, presenza
di O e Aw almeno a valori intermedi
REAZIONE DI MAILLARD E ATTIVITA’
DELL’ACQUA
Nella zona 2, quella ad U intermedia, la rx accellera via via che la disponibilità di acqua aumenta. Infatti, con
l’aumento del grado di disponibilità dell’acqua, questa inizia a svolgere la funzione di solvente e consente il
superamento delle barriere diffusionali.
Nella zona 3, a valori di Aw alta, quando l’acqua è libera, si assiste a una flessione della velocità dovuta in
questo caso a una sorta di effetto di diluizione dell’acqua nei confronti dei reagenti e quindi all’instaurarsi
di nuovo di reazioni di limitazioni diffusionali, anche se per ragioni opposte a quelle della zona 1.
La posizione precisa dell’optimum di reazione dipende dalla composizione specifica del prodotto, che di per
sé può essere più o meno favorevole alla reazione.
I prodotti ad Aw intermedia, che possono essere soggetti a imbrunimento non enzimatico anche a T° amb
sono per es. uova, latte disidratati, farciture e frutta secca.
Le relazioni fra v di irrancidimento ox e Aw hanno un andamento molto particolare: per Aw molto inferiori
allo strato monomolecolare nella zona 1 dunque, la reazione è accelerata dall’elevato potere dei
catalizzatori in forma disidratata che consente di superare le limitazioni diffusionali dovute all’assenza di
solvente e favoriscono la reazione. All’aumentare di Aw, per valori prossimi allo strato monomolecolare,
quindi al confine fra zona 1 e zona 2, la reazione rallenta poiché i radicali liberi formano complessi a bassa
reattività con l’acqua presente. I metalli come catalizzatori sono meno efficaci in forma idratata e gli
intermedi di reazione in forma idratata sono poco reattivi.
Quindi per valori prossimi allo strato monomolecolare la rx raggiunge la sua v minima poiché prevalgono le
limitazioni diffusionali dovute all’assenza di solvente, non più compensate da un’aumentata reattività del
sistema come avviene invece ad Aw più basse. Si parla di EFFETTO PROTETTIVO DELL’ACQUA, come a dire
che è necessaria una minima quantità di acqua, vicina a quello dello strato monomolecolare, per
proteggere la matrice dalle reazioni di irrancidimento ossidativo. Per aumenti di Aw oltre lo strato
monomolecolare l’acqua è mezzo solvente che riduce la viscosità e promuove la mobilità delle specie
reagenti. Quindi la v aumenta come abbiamo visto nel caso precedente. E ancora, come nel caso
precedente, valori molto elevati di Aw tendono a diminuire la v di reazione per un effetto di diluizione.
Dunque, caratteristicamente, la curva che descrive la v di irrancidimento ossidativo in funzione di Aw,
presenta un minimo, in corrispondenza dello strato monomolecolare. Per valori di Aw più alti, o più bassi, si
assiste invece a un aumento della velocità di reazione.
Le reazioni enzimatiche risultano completamente inibite nella zona 1 a causa delle limitazioni diffusionali
imputabili all’assenza di solvente. Quindi la v di rx aumenta regolarmente con l’aumentare di Aw.
La crescita di muffe e m.o può avvenire solo a valori di Aw alti, prossimi a quelli dell’acqua libera. Quindi in
alimenti con valori di Aw non superiori alla zona 2 in pratica siamo di fronte a alimenti stabili nei confronti
della contaminazione microbica.
L’effetto inibitorio di Aw sulla crescita dei m.o. è ben evidente in questa immagine che mette in evidenza
che già a valori di Aw relativamente alti (0.8) la crescita della microflora è completamente assente con
l’eccezione dei m.o osmofili ed alofili. A valori di Aw di circa 0.6 in pratica l’alimento non consente la
crescita di m.o di alcun tipo.
Quindi ci sono diverse tipologie di prodotti trasformati e conserve che grazie a una ridotta Aw sono stabili
nei confronti della contaminazione microbica.
*Trigliceridi= Triacilgliceroli = molecole composte da tre a.g
(R, R’, R’’) legati a una molecola di gliecerolo
COMPOSIZIONE
Le caratteristiche degli acidi grassi naturali sono: n° pari di atomi di C, assenza di doppi leg. coniugati,
isomeria in cis sul doppio legame. Inoltre nei trigliceridi di origine naturale, che cioè sono stati prodotti
attraverso pattern biochimici in sistemi naturali (sintesi a carico degli enzimi), la posizione 2 sul glicerolo è
prevalentemente occupata da a.g insaturi. Se si tratta di trigliceridi di sintesi chimica, la pos.2 sul glicerolo
sarà occupata da a.g saturi (sono più facili da attaccare).
Inoltre nell’olio di oliva abbiamo una piccola frazione (1-1,5% del tot.)costituita da sostanze che non sono di
natura lipidica che definiamo INSAPONIFICABILE. Questa frazione:
E’ rappresentata da ciò che si estrae in etere dopo saponificazione della sostanza grassa, è costituita da
sostanze di diversa natura importanti per caratterizzare la materia grassa in esame: idrocarburi insaturi
(terpeni e carotenoidi), polifenoli idrosolubili, clorofilla, vit. liposolubili, tocoferoli, tocotrienoli, steroli.
Dal p.d.v analitico è di estrema imp. poiché dalle sue caratteristiche è possibile ottenere informazioni
molto imp. sia sul processo che ha portato alla produzione dell’olio ma anche sulla natura della
materia prima che è stata utilizzata (per es. se si tratta di olive o di altre fonti vegetali di < pregio)
La distinzione delle classi merceologiche dell’olio di oliva si basa sull’acidità titolabile della matrice.
Entrambi queste due classi di prodotto sono
OLIO EXTRAVERGINE (EVOO): avrà un’acidità titolabile NON superiore allo 0.8% ottenute UNICAMENTE mediante l’adozione di
Quindi ≤ 0.8% PROCESSI FISICI di estrazione dell’olio dal
OLIO VERGINE: presenta un’acidità max fino al 2% tessuto delle olive senza alcun trattamento
Quindi ≤ 2% chimico
OLIO LAMPANTE: acidità titolabile >2%, non può essere messo in commercio ma può essere sottoposto a
processi di rettifica, che in primo luogo abbattono l’acidità in eccesso e poi servono ad allontanare per
estrazione chimica impurezze e sostanze responsabili di sapori e colori impropri. L’olio rettificato può
essere MISCELATO con olio vergine e posto in vendita come OLIO D’OLIVA, con un’acidità titolabile
massima non superiore all’1% (≤1%). Usato per i sott’oli.
Frodi: aggiunta di olio rettificato (per verificare la verginità in ordine di semplicità: analisi spettrofotometrica, indici di danno tecnologico),
aggiunta di oli di specie vegetali diverse (analisi profilo sterolico). Date queste due frodi il piano di analisi è lo stesso? NO
Si tratta di una semplice titolazione acido-base ed’è la PRIMA analisi che possiamo fare per avere
indicazione sulla classe merceologica del prodotto. In ogni caso, abbiamo detto che il risultato non è
ESAUSTIVO.
SCOPO: valutazione del grado di alterazione idrolitica della componente glicerica, verifica della
conformità (se siamo conformi) ai limiti di legge della classe merceologica (NON SERVE A STABILIRE LA
CLASSE MERCEOLOGICA !!)
PRINCIPIO: titolazione acido-base
MATERIALI: buretta, beuta da 300ml, cilindro da 100ml
REAGENTI: miscela alcol-etere neutralizzata, soluzione idroalcolica di fenolftaleina, soluzione titolante
NaOH 0.1M
PROCEDIMENTO:
1. Pesare su bilancia analitica nella beuta 5gr di olio
2. Preparare nel cilindro da 100ml la miscela di alcool-etere (1:2), trasferirla in una beuta e titolarla
(poiché la miscela risulta debolmente acida occorre neutralizzare l’acidità) con NaOH fino alla
neutralità utilizzando fenolftaleina come indicatore (quindi si aggiunge qualche goccia di indicatore
e poi qualche goccia di NaOH)
3. Aggiungere la miscela alcool-etere all’olio (che si scioglie) e agitare (tutto in beuta, che
posizioniamo sotto la buretta di NaOH); possiamo ora procedere alla titolazione
4. Titolare la miscela con NaOH (soluzione titolante in buretta) fino al viraggio rosa pallido
5. Chiudere il rubinetto e prendere nota dei ml utilizzati di titolante (NaOH)
RISULTATO: si esprime in gr di acido oleico/in 100gr di campione (%p) Vbase= ml NaOH usati
E’ la più importante reazione di alterazione di tutte le matrici a base lipidica (e quindi degli oli di oliva)
Ci sono una serie di analisi che possiamo effettuare sulla matrice per valutare lo stato del prodotto
rispetto a questa alterazione
Le conseguenze dell’irrancidimento ox riguardano: sviluppo di odori e sapori sgradevoli indicati come
difetto di rancido e sono indotti dai prodotti terminali della reazione e perdita di a.g insaturi (<potere
nutrizionale), cambiamenti di colore. Questo fenomeno non provoca problemi di sicurezza, il legislatore
controlla l’irrancidimento per tutelare la qualità.
Ha un’E di attivazione molto bassa, quindi una volta che si è innescata può procedere anche se la T° è
molto bassa (quindi può avvenire anche a T°<T°amb es. durante lo stoccaggio in frigorifero)
I principali substrati di rx sono gli a.g liberi insaturi che si ossidano più facilmente e velocemente
rispetto a quando fanno parte di TG e fosfolipidi (nel primo caso) e rispetto ai saturi (nel secondo caso)
Gli intermedi di rx sono composti radicalici altamente reattivi che oltre a reagire con altri a.g liberi
possono coinvolgere nella rx altri componenti della matrice per es. delle proteine oppure delle vitamine
La reazione si divide in 3 FASI principali:
1) INIZIAZIONE: Questa è la fase limitante che avviene ad una bassa v di reazione.
Questa fase avviene a partire dall’IDROLISI per via enzimatica sui trigliceridi (fenomeni idrolitici sui TG
catalizzati da enzimi, es. lipasi) che scinde gli a.g dallo scheletro di glicerolo, con la conseguente liberazione
degli acidi grassi, in seguito si ha la formazione di radicali (composti ad elevatissima reattività, quindi è una
reazione radicalica) che avviene per distacco di un atomo di H da un gruppo RH posizionato a livello di un =
nella catena di un a.g e quindi dalla conseguente scissione di un legame C-H presente negli a.g. RH → R*
+ H* (*=elettrone spaiato). Tuttavia ancora la rx non è partita e se controlliamo questa fase possiamo
sempre bloccare o rimandare l’ossidazione ma se si continua a tenere il prodotto in
condizioni inadeguate ecc e questa fase non viene controllata..
Alla fine della rx di irrancidimento abbiamo una grossa diminuzione del potere nutrizionale dell’olio, perché: 1)i composti
fenolici ossidano e quindi non sono disponibili (quindi abbiamo una diminuzione del potere antiossidante in termini di effetto
salutistico), 2) diminuzione di a.g insaturi (in particolare quelli polinsaturi con più di un doppio legame). Un’olio estremamente
ossidato sarà un olio difettato (che per legge NON può essere messo in vendita), presenterà un NP basso ma un numero alto di
p-anisidina. Indice di predisposizione all’irrancidimento ox in un olio: basso contenuto di antiossidanti (si determina il
contenuto fenolico e il potenziale antiossidante dei composti fenolici), l’acidità (oli +acidi saranno +propensi ad andare
incontro alla rx di irrancidimento).
FATTORI CHE INFLUENZANO LA VELOCITA’ DELLA REAZIONE sono:
Presenza di ossidanti (come metalli, il gruppo eme della mioglobina in matrici a base di carne, lipasi)
e presenza di antiossidanti (es. i fenoli endogeni nell’olio di oliva): questi composti intervengono
nella fase di iniziazione prolungandola e in quella di propagazione rallentandola mediante la
disattivazione dei radicali liberi o dei catalizzatori.
Natura e grado di dispersione dei lipidi
Grado di disponibilità dell’acqua (Aw): Quindi l’acqua ha un effetto protettivo!
-per valori di Aw prossimi a 0.2 (quindi allo strato monomolecolare) la v di reazione è minima
-per valori più bassi di 0.2 la reazione accelera poiché i catalizzatori di reazione e gli intermedi (es.
idroperossidi) sono estremamente reattivi in forma non complessata con l’acqua quindi non idratati
-per valori superiori a 0.2 la libera diffusione dei reagenti favorisce la reazione che riprende ad
accelerare
Il ruolo dell’attività dell’acqua sulla velocità dell’irrancidimento ossidativo può essere schematizzato in tre
zone:
La zona 1: parte da Aw prossimi a zero dove la rx è molto veloce fino ad arrivare a valori di Aw intorno allo
0.2. All’aumentare di Aw fino a 0.2 l’ossidazione via via rallenta a causa: dei legami dell’acqua con i radicali
liberi, dell’idratazione dei metalli e della formazione di
idrossidi insolubili
Ognuna delle fasi di reazione, come nel caso della Rx di Maillard, presenta dei caratteristici MARKERS che ci
servono per capire se un olio è ossidato oppure no.
INIZIAZIONE: questa è denunciata dalla presenza di DIENI e TRIENI coniugati che in questa forma sono
assenti nelle matrici lipidiche naturali non ossidate CH=CH-CH2-CH=CH situaz normale CH=CH-CH2=CH=CH DIENE
PROPAGAZIONE: è caratterizzata dalla presenza di PEROSSIDI (markers specifici dell’ox, sono indice che la
rx è in atto!)
TERMINAZIONE: possiamo determinare il valore di p-anisidina che rileva le aldeidi insature, possono essere
determinati i composti volatili organici oppure può essere determinato un indice generale di ox mediante la
determinazione delle sostanze reattive all’acido Tiobarbiturico
NOTA BENE**: Gli acidi grassi rappresentano i substrati di reazioneL'acidità di un olio (o di una sostanza grassa in
genere) esprime la percentuale di acidi grassi liberi (che si sono staccati dai TG per eventi idrolitici di varia natura) in
esso contenuti per cui la determinazione dell’acidità è indice della PREDISPOSIZIONE della matrice alla reazione di
ossidazione: >è l’acidità>è la probabilità che l’olio vada incontro a irrancidimento ox <sarà la qualità dell’olio
I perossidi sono composti chimici contenenti
il gruppo caratteristico formato da due atomi di ossigeno uniti
da un legame covalente semplice (legame O-O). Il più comune
di essi è il perossido di idrogeno, meglio noto come "acqua
ossigenata", di formula H2O2.
DETERMINAZIONE DEL NUMERO DEI PEROSSIDI (NP)
E’ un valore molto importante perché è fissato per legge! Un olio EVOO può presentare al max
20milliequivalenti/kg di perossidi.
SCOPO: verificare la conformità ai limiti di legge, indicazioni sullo stato di ossidazione primaria di un
olio (per capire se c’è un’ossidazione in atto)
PRINCIPIO: si basa sull’ossidazione dello ioduro di potassio KI da parte dei perossidi e successiva
determinazione dello iodio molecolare I2 (che si è prodotto-liberato da tale ox) mediante una
titolazione con tiosolfato di sodio e salda d’amido come indicatore
+perossidi ci sono+I2 C’è
MATERIALI: buretta, beuta da 300ml, cilindro da 25ml, pipetta da 2ml
REAGENTI: salda d’amido, tiosolfato di sodio 0.01N, soluzione satura di KI, miscela
ac.acetico/cloroformio (3:2) (miscela estraente)
PROCEDIMENTO: L’ambiente è fortemente acido per favorire la rx
1. Pesare nella beuta 1gr di olio e 25ml della miscela di ac.acetico/cloroformio (x creare amb. acido)
2. Aggiungere 0.5ml di soluzione satura di KI (così sono sicuro che i per hanno a disposizione sempre
KI) agitare e lasciare a riposo per 5 minuti (se ci sono i per ossidano il KI e producono I2)
3. Aggiungere alla miscela 75ml di acqua distillata, 2ml di salda d’amido
4. Titolare (si titola lo iodio prodotto) con tiosolfato di sodio (Na2S2O3) fino a completa decolorazione
5. Prendere nota dei ml di titolante utilizzati
RISULTATO: si esprime in meq di O2/su 1000gr cioè su 1kg di campione (olio)
V x N x 1000 / m
V= ml di titolante (tiosolfato) usati , N= titolo([]) del titolante (tiosolfato), m= gr di campione (olio) utiliz.
POSSIBILI CAUSE DI ERRORE nelle conclusioni circa lo stato di ox di un olio in base alla determinazione del
numero dei perossidi possono dipendere:
dal fatto che la [] dei perossidi NON è stabile nel tempo: i perossidi e gli idroperossidi tendono a
diminuire passando dalla propagazione alla terminazione. Quindi un olio che è completamente ossidato
potrebbe presentare un NP molto bassocome facciamo? Le condizioni di estrema ossidazione in
questo caso sarebbero denunciate dai difetti sensoriali della matrice (quindi dall’esame sensoriale)!
Da Interferenze vere e proprie nella rx, che sono rappresentate dall’O atm che può contribuire-
provocare all’ox del KI, produrre I2 e dunque determinare una sovrastima dei perossidi
Dal fatto che lo iodio molecolare I2 può legarsi ai doppi legami presenti sulle molecole di a.g e così non
si trova più in miscela, determinando in questo caso una sottostima del numero dei perossidi
Per contenere le ultime due cause di errore la procedura per la determinazione dei perossidi deve essere
condotta in t relativamente brevi e controllati lavorare in condizioni standardizzate
SCOPO: mettere in evidenza l’ossidazione secondaria quindi indicazioni sullo stato di ox secondaria
PRINCIPIO: i composti carbonilici (aldeidi) reagiscono con la p-anisidina e determinano lo sviluppo di
una colorazione gialla la cui intensità viene determinata per via spettrofotometrica
Queste rx non sono specifiche poiché anche altri intermedi carbonilici possono dare luogo a sviluppo di
colore quando reagiscono con la p-anisidina.
Le aldeidi volatili (C3-C10) positive alla p-anisidina sono indicatori precoci dell’insorgenza del difetto di
rancido. Ma reagiscono anche composti carbonilici non volatili!
INDICE TOTALE di ossidazione (TOTox) TOTox = NP + 2 NA (somma tra numero del n° dei perossidi e
del numero di p-anisidina), NA x 2 perché da 1 perossido si ottengono 2gruppi che reagiscono con la p-a
Sostanze reattive all’acido tiobarbiturico – TBARS (Thiobarbituric Acid Reactive Substances)
Ossidazione dell’acido TBA da parte delle aldeidi presenti e sviluppo di colore (Abs 530nm)
Anche in questo caso la positività della rx è solo un indicazione poiché l’acido TBA può sviluppare colore
con molti altri composti (es. zuccheri, aa, acidi nucleici)
Saggio di Krebs (in disuso, troppe interf.), che reagisce con i composti responsabili del difetto di rancido
L’esame spettrofotometrico nella regione UV o IR, semplice e molto efficace, mette in evidenza la
presenza di oli rettificati (quindi non vergini) e prodotti di ossidazione che sono caratterizzati da sistemi
polienici coniugati
PRINCIPIO DEL METODO: è che i legami coniugati assorbono a lunghezze d’onda comprese fra 230 e
350nm; in particolare: dieni (-C=C-C=C-), perossidi, idroperossidi assorbono al max a 232nm; i trieni (-C=C-
C=C-C=C-) ass. al max a 268nm, chetoni e aldeidi ass. al max a 270nm.
La legge stabilisce-fissa dei valori massimi (limiti) di assorbanza a 232 e 270nm. Se un olio è vergine avrà in
corrispondenza di queste zone valori di A molto bassi.
L’esame spettrofotometrico viene effettuato su una soluzione all’1% di olio di oliva in iso-ottano (cioè 1g
di olio in 100g di solvente), registrando lo spettro di assorbimento nell’intervallo tra 200 e 300nm. Si
calcolano poi i valori di assorbanza specifica (K=costante specifica che rapp il valore di Abs ad una data
lunghezza d’onda di una soluz. di olio all’1%) a 232nm (un aumento del K232 evidenzia un’ox primaria) e in
corrispondenza dell’eventuale picco situato intorno a 270nm () in base alla relazione: Kλ = Aλ / c x I dove
Kλ=coefficiente di assorbimento specifico (cioè riferito alla soluz. All’1%) alla lunghezza d’onda λ, Aλ =
assorbanza alla lunghezza d’onda λ , c=concentrazione (1%), I=spessore della cuvetta-cella (1cm).
Il ΔK ha lo scopo di valutare l’assorbanza di fondo, non imputabile cioè a composti specifici. E’ un indice che
considera quanto è specifica l’assorbanza a 270 per es. oppure se è un A generica (se è torbido l’olio ecc..)
Quindi tale esame consente di: individuare se un olio di oliva sia vergine (cioè estratto mediante solo
processi fisici) o meno, perché in questo caso NON conterrà doppi legami coniugati e quindi presenterà
valori di assorbanza entro i limiti di legge e quindi di classificarlo commercialmente; consente poi di svelare
sofisticazioni, cioè consente di individuare se in una miscela sono presenti in maniera fraudolenta oli di
rettifica (quindi se un olio proviene da un processo di raffinazione, se un olio contiene oli rettificati o di
semi), poiché questo trattamento indurrà l’ossidazione e quindi la formazione di doppi legami coniugati ed
infine consente, in generale, di mettere in evidenza la presenza di fenomeni ossidativi in corso quindi
fornisce informazioni riguardo lo stato di alterazione ossidativa dell’olio.
Negli oli di oliva vergini in buono stato di cons. prodotti senza
alcun trattamento di rettificazione e raffinazione sono presenti
soltanto acidi grassi con doppi leg. Isolati (cioè separati da due o
Variazione del coefficiente K in
più leg. singoli) e sistemi di 2 o 3 doppi leg. non coniugati relativi
funzione della λ tra 200 e 300. La
agli a.g insaturi: acido oleico (= in pos.9),linoleico(2=in pos.9 e
curva A è relativa agli oli vergini e
12), linolenico (3= in pos. 9,12 e 15).
lampanti in buono stato di
conservazione. La curva B è quella In genere i doppi leg. degli a.g insaturi presenti nelle sost.grasse
tipica di un olio lampante o un olio di origine nat. manifestano un ass intorno a 210nm fino a
vergine irrancidito 300nm; quindi in un olio ben conservato avrò la presenza di una
sola banda di ass con un max intorno a 210 e non sono presenti
altri picchi di ass in quanto sono assenti sistemi coniugati.
Se abbiamo a che fare con un olio lampante o vergine ma comunque ossidato: i processi industriali di
rettificazione e il processo di ox comportano la formazione di doppi e tripli leg. coniugati (separati da un
solo leg.singolo) che manifestano assorbimento caratt rispettivamente a 230nm (dieni) e 270nm (trieni).
Quindi nel grafico dello spettro di assorbimento saranno presenti più bande di assorbimento con massimi
intorno a 210nm ma anche intorno a 232nm e 270nm.
SCOPO: dosaggio del tenore fenolico in oli di oliva vergini e oli di semi grezzi estratti per pressione,
stimare la resistenza di un olio al danno ossidativo
*Il processo di raffinazione rimuove pressoché integralmente il patrimonio fenolico degli oli vegetali (in
generale perdono gran parte della loro fraz. insaponificabile)
PRINCIPIO (uguale per tutte le matrici alimentari): riduzione da parte dei fenoli (riducenti che si ossidano)
del reattivo di Folin-Ciocalteau (ossidante che si riduce) in ambiente alcalino (pH intorno a 10) con
formazione di composti colorati (metalli ridotti) quantificabili per via spettrofotometrica
*Reattivo di Folin-Ciocalteau: è una miscela di color giallo in soluzione acquosa di fosfomolibdato (acido
fosfomolibdico, H3PMo12O40 acido a base di fosforo e molibdeno) e fosfotungstato (acido fosfotungstico, H3PW12O40
acido a base di fosforo e tungsteno) utilizzata in chimica analitica per la determinazione dei fenoli e dei polifenoli,
delle proteine (metodo di Lowry) e di composti contenenti azoto. La riduzione in ambiente alcalino del reattivo porta
alla formazione di una miscela colorata di blu (la cui int. è dirett prop al n° di fenoli pres.), la lettura avviene a 765nm.
PROCEDIMENTO: nell’olio la [] dei fenoli è relativamente bassa, quindi il primo passaggio sarà
l’estrazione dei fenoli dalla fase lipidica e loro successiva concentrazione. Poi si portano a reazione
(redox) con il reattivo di FC in condizioni acquose e basiche, si sviluppa il colore blu, si misura
l’Assorbanza e per passare dal valore di Abs trovato alla [] fenolica si fa la retta di taratura con un
fenolo di riferimento (è lo standard) che può essere acido gallico, tirosolo ecc. Quindi le fasi sono:
1. Preparazione del campione Estrazione dei fenoli
Estrazione in miscela idroalcolica
Mescolare 2.5gr di olio con 2.5gr di esano. Dibattere la miscela con metanolo/acqua (80:20) e
recuperare la fase idroalcolica nella quale vengono estratti i fenoli polari. Ripetere l’estrazione
per almeno 3 volte. Riunire i lavaggi idroalcolici sui quali effettuare la reazione con il Folin-
Ciocalteau in un matraccio da 50ml.
Estrazione su cartuccia SPE
Condizionare la cartuccia mediante passaggio di metanolo ed esano. Depositare l’olio sulla
cartuccia e eluire la frazione apolare con esano ed esano/acetato di etile.
Eluire i fenoli mediante lavaggio con metanolo. Portare a secco l’eluato e risospenderlo in un
piccolo V di metanolo/acqua (80:20) in un matraccio da 50ml.
2. Reazione colorimetrica
Aggiungere all’estratto idroalcolico di fenoli 2.5ml di reattivo di Folin e 2.5ml di Na2CO3 (grazie a lui si
ottiene la basicità) al 7.5% e portare a volume con acqua distillata.
Preparazione del bianco: preparare un riferimento nel quale al posto dell’estratto si utilizza il solo solvente
(quindi abbiamo acqua distillata + reattivo di FC)
C (mg di
acido
3. Calcolo del risultato gallico)
Costruzione retta o curva di taratura o di calibrazione utilizzando soluzioni fenoliche standard (cioè a titolo
noto) di acido gallico (si misurano le diverse assorbanze delle diverse soluzioni, ogni soluz avrà una certa
[acido gallico])
Calcolo del risultato sulla base della retta di taratura (si misura l’abs del nostro campione, lo riporto in
grafico e risalgo alla concentrazione di analita, acido gallico). Quindi il risultato dell’analisi si esprime in
mg/L di acido gallico.
Per det. i fenoli si utilizza il reattivo di FC >sarà il tenore fenolico, >sarà la rx con il reattivo di FC, e quindi
> sarà lo sviluppo di colore blu.
I% = (AbsR – AbsS / AbsR) x 100 dove AbsR= assorbanza a 734nm del campione di rif. e AbsS del campione
Se la differenza AbsR-AbsS è piccola, l’inibizione è stata piccola; se è grande l’inibizione è stata elevata e quindi ho tanto
antiossidante.
>è [trolox] o comunque
dell’antiossidante,+il radicale si
scolora,+l’abs diminuisce
Dalla I% delle soluz. standard di TROLOX si va a costruire una retta di taratura dove nell’asse delle x si
riporta la [] di antiossidante standard (TROLOX) e nell’asse delle y si riporta il valore di I% calcolato come
assorbanza residua di ogni campione ad una data [] di TROLOX e il valore iniziale di assorbanza della
soluzione di radicale. Calcolare poi l’equazione della retta, descritta da questi punti sperimentali.
Il valore di inibizione % riscontrato nel campione a [] incognita di antiossidanti (es. olio nel nostro caso),
viene sostituito nell’equazione della retta in modo da calcolare la [] di composto standard (TROLOX)
equivalente a quella I% del campione
Il risultato si esprime in TEAC (Trolox Equivalent Antioxidant Capacity): quantità in mg di TROLOX necessari
per avere la stessa capacità antiossidante di 1mg di fenolo in esame.
ATTENZIONE** Se io ho tanti fenoli questo NON vuol dire che ho un alto potere antiossidante! Perché il potere
antiossidante è specifico, cioè cambia a seconda del o dei tipo/i di fenoli che ho nel campione (es.fenoli molto
antiossidanti come oleuropeina, fenoli meno antiossidanti come il tirosolo)
Consentono mettere in evidenza l’aggiunta all’olio vergine di oliva di oli meno pregiati quindi o oli di
oliva rettificati oppure oli ottenuti da altre matrici vegetali meno pregiate come possono essere per es.
oli di semi.
Il primo passaggio di queste analisi, basate tutte su tecniche CROMATOGRAFICHE, è la separazione
della fase lipidica (quindi a.g e TG) dalla fase insaponificabile. A tal fine l’olio viene sottoposto a idrolisi
alcalina che determina una netta differenza di solubilità fra le due frazioni che ne rende possibile la
separazione mediante tecniche di separazione liquido-liquido, potranno essere poi recuperati i diversi
componenti e quindi poi avviati ad analisi specifiche.
Per es. dalla miscela mediante estrazione in etere possono essere recuperati gli a.g per la
determinazione successiva del profilo acidicoil profilo acidico di un olio può essere determinato per
avere informazioni sulla sua origine botanica.
La tabella mette a confronto la composizione
media in a.g di un olio di oliva con quella di oli di
altre specie botaniche. Caratteristicamente l’olio
di oliva contiene per lo più acido oleico, che
rapp. fino all’83% del totale. Questo a.g è invece
molto meno abbondante nelle altre specie
vegetali. Anche il contenuto di acido linoleico è
caratteristico dell’olio di oliva, che ne contiene
decisamente meno rispetto ad oli ottenuti per
es. da soia, mais, girasole.
Comunque è possibile utilizzare il profilo acidico per rilevare l’origine botanica se vengono messi in
evidenza tracce di a.g considerati marcatori di specie vegetali meno pregiate. La selezione varietale ha però
consentito di produrre colture oleaginose con il profilo acidico molto vicino a quello dell’olio di oliva.
Inoltre, oli da alcune fonti come per es. le nocciole sono naturalmente simili a quello dell’olio di oliva.
Dunque, per rilevare queste frodi, il profilo acidico deve essere SUPPORTATO da alcune analisi come per es.
la caratterizzazione della frazione in saponificabile, con part. rif. agli steroli (determinazione del profilo
sterolico).
Invece il rilevamento-la det. degli isomeri in trans sugli a.g è un’affidabile marker degli interventi
tecnologici non consentiti diversi dalla semplice estrazione meccanica (es. intervento di raffinazione,
intervento di desterolizzazione di oli da specie oleaginose diverse dall’oliva effettuato per allontanare i
marker più affidabili dell’origine botanica) che va a supporto dell’esame spettrofot. e della det.del prof.ster.
SCOPO: determinazione quantitativa e qualitativa di una miscela di esteri metilici degli a.g provenienti
da una determinata materia prima (per es. verifica della conformità all’origine botanica dichiarata;
ricerca degli isomeri in trans)
PRINCIPIO: ANALISI GAS-CROMATOGRAFICA (GC)
PROCEDIMENTO:
1. Saponificazione dei TG
2. Trasformazione degli a.g nei relativi derivati trans-esterificati (esteri metilici) VOLATILI e STABILI da
sottoporre a gas-cromatografia
Trans-metilazione RAPIDA a freddo con KOH, se l’acidità libera del campione di olio è <3.3%.
Questa è una rx che consente di rispettare le caratteristiche strutturali degli a.g (configurazione e
posizione dei doppi legami). E’ il metodo di scelta quando per es. quando l’analisi è volta a
determinare l’eventuale presenza di isomeri trans.
Trans-metilazione acida a caldo se l’acidità del campione è +alta, >3.3%
Trans-metilazione con diazometano sugli a.g puri
Condizioni operative:
La separazione lungo la colonna è guidata dal peso molecolare degli a.g. La presenza di doppi leg. coniugati
e l’isomeria cis diminuiscono il t di ritenzione (l’isomero cis viene eluito +veloc del corrispond is trans)
In genere la quantificazione di ogni componente viene effettuata con il metodo della normalizzazione
interna, quindi in termini di % rispetto al totale degli a.g eluiti.
Il calcolo delle % dei singoli componenti viene effettuato col metodo della normalizzazione interna.
CROMATOGRAFIA: tecnica di separazione dei
componenti presenti in una miscela liquida o
gassosa, basata-che sfrutta la diversa distribuzione-
ripartizione dei suoi componenti tra 2 fasi immiscibili
fra loro, in funzione dell’affinità di ogni comp. Con la
fase staz. La f. stazionaria (o fissa) che può essere un
solido, un gel, un liquido supportato su un solido, e
quella mobile (o eluente: solvente usato x
trasportare i componenti della soluz. attraverso la
fase stazionaria) che può essere un gas o un liquido.
TIPI DI CROMATOGRAFIA
Infatti, la sintesi per via naturale, favorisce la presenza in posizione 2 di a.g insaturi. Invece, la sintesi
chimica, induce una distribuzione casuale degli a.g sul glicerolo e in pos.2 tendono a essere presenti a.g
saturi, che hanno un < ingombro sterico rispetto agli a.g insaturi.
Se gli a.g saturi in pos. 2 sono superiori > al 2% si può concludere che i TG NON sono di origine naturale ma
sono invece di origine sintetica.
In funzione degli acidi grassi normalmente presenti nell’olio di oliva (palmitico P, stearico S, oleico O,
linoleico L, linolenico Ln) sarebbe possibile immaginare la presenza di circa 75 TG diversi in funzione della
posizione occupata dai diversi acidi grassi sul glicerolo. In realtà, non ci sono TG completamente saturi (per
es. PPP. SSS, PSP..) e circa il 40% dei TG porta 3 mol di acido oleico e circa il 21% del totale porta 1 mol di
acido palmitico e 2 di acido oleico. Dunque, alcuni TG specifici possono denunciare la presenza di oli da
specie oleaginose diverse dall’olio di oliva.
TRILINOLEINA: TG che porta 3 molecole di acido linoleico sul glicerolo, è assente nell’olio di oliva e
caratteristico dei cosiddetti oli “semiseccativi” (es. olio di lino, di ricino).
SCOPO: rilevazione dell’aggiunta fraudolenta di oli semiseccativi (ricchi di acido linoleico) ad oli vegetali
con altri a.g insaturi prevalenti (es. olio di oliva)
L’analisi viene condotta per HPLC su un campione diluito al 5% utilizzando solventi come possono essere
l’acetone oppure miscele di acetone e cloroformio.
PROCEDIMENTO:
1. Il campione viene solubilizzato in solventi a dare una concentrazione di circa 5%
2. 10 microlitri di campione vengono iniettati nella colonna per HPLC
-la colonna di acciaio è riempita di particelle di silice
-il solvente di eluizione con cui viene eluito il campione è acetone e aceto nitrile
-il rilevatore in fondo alla colonna è un rifrattometro
Per aiutare la lettura al cromatogramma come standard vengono utilizzati TG come ad es. tripalmitina,
trioleina.
RISULTATO: Il risultato (cioè la quantità di trililoneina) viene calcolato dall’analisi del cromatogramma
con il metodo della normalizzazione interna.
Idrocarburi: rappresentano fino al 40% della fr. insaponificabile e sono rappresentati principalmente da
squalene, beta carotene, licopene (quest’ultimi due sono pigmenti colorati)
Esteri non glicerici (esteri di a.g su molecole diverse dal glicerolo): esteri di a.g con alcoli alifatici,
steroli, alcoli terpenici
Tocoferoli: potenti antiossidanti
Triterpenoli: contribuiscono alla formazione dell’aroma
Triterpendioli (es. uvaolo, eritrodiolo: derivati dalla buccia delle olive, si trovano nell’olio di sansa):
importanti markers dei processi di rettifica (presenti in []+elevate negli oli di rettifica)
Steroli: caratterizzano in maniera affidabile l’ORIGINE DELLA MATERIA GRASSA, in particolare delta5 e
delta7 avenasterolo sono caratteristici dell’olio di oliva vergine
Pigmenti: carotenoidi e clorofille
Fenoli: sono potenti antiossidanti e sono inoltre responsabili di importanti proprietà sensoriali, come
l’amaro e il piccante degli oli
I diversi componenti della fraz. insaponificabile possono essere separati per cromatografia su strato sottile
(TLC). Le diverse frazioni possono così essere recuperate e sottoposte alle analisi più opportune per la
successiva caratterizzazione.
La cromatografia TLC viene condotta deponendo sulla lastra (previamente alcalinizzata tramite immersione
in KOH in etanolo e succ asciugatura) la frazione insaponificabile, quindi la miscela di componenti, risospesa
in cloroformio a dare una soluzione circa al 5% ed effettuando l’eluizione con esano: etere etilico (65:35;
v/v). A fine corsa, asciugata la piastra, la posizione sulla lastra dei diversi componenti della frazione
insaponificabile può essere messa in
evidenza per es. con diclorofluoresceina
sotto illuminazione con una lampada UV
identificazione dei componenti
SCOPO: rilevare l’origine botanica dell’olio, rilevare la commistione con oli di origine botanica diversa
da quella dichiarata
PRINCIPIO: il profilo sterolico è specifico per le diverse specie botaniche
PROCEDIMENTO: preparazione del campione: l’olio viene sottoposto a saponificazione con KOH in
soluzione etanolica previa aggiunta di uno sterolo come standard interno (es. alfa-colestanolo);
l’insaponificabile viene estratto e da esso la frazione sterolica è separata dal resto mediante
separazione su TLC; successiva identificazione dei suoi componenti previamente resi volatili mediante
GC utilizzando un rivelatore a
ionizzazione di fiamma.
SCOPO: rilevare la commistione con oli di origine botanica diversa da quella dichiarata (es. commistione
fraudolenta olio di nocciola e di oliva)
PRINCIPIO: profilo specifico in specie botaniche diverse
PROCEDIMENTO: l’olio opportunatamente diluito viene direttamente iniettato nel sistema HPLC che
separa e det. quantitativamente i tocoferoli nelle varie forme (condizioni di separazione isocratiche,
rilevatore fluorimetro)
Il potere diagnostico di quest’analisi è sminuito dalla possibilità di aggiungere tocoferoli in maniera fraudolenta a oli di specie meno pregiate.
MARKERS OLI DI RETTIFICA mettono in evidenza la commistione di oli raffinati con oli di oliva vergini
PRINCIPIO: gli alcoli alifatici a lunga catena (C24-C30) si trovano nei lipidi cuticolari prevalentemente
esterificati con a.g a dare le cere. L’estrazione con solvente delle sanse (fatta per recuperare l’olio residuo)
provoca la solubilizzazione delle cere e l’arricchimento dei relativi oli in termini di cere ed alcoli alifatici a
lunga catena. Quindi questi oli saranno più ricchi in cere ed alcoli alifatici rispetto agli oli di oliva lampanti.
PROCEDIMENTO: viene innanzitutto aggiunto al campione d’olio uno standard interno (1-eicoesanolo) e
viene divisa la parte saponificabile dall’insaponificabile. La parte insaponificabile viene sottoposta a TLC per
avere una separazione della frazione degli alcoli alifatici. Successivamente si fa una derivatizzazione nei
trimetilsilileteri volatili.
INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI: il tenore di alcoli alifatici distingue gli oli di sansa greggi (>350mg/Kg)
dagli oli di oliva lampanti (≤350mg/Kg).
*I rapporti fra gli alcoli C26, C28 e C30 forniscono informazioni utili a riconoscere la presenza di oli di sansa
sottoposti a decerazione a freddo con acetone.
PRINCIPIO: i dioli triterpenici (E+U) sono costituenti caratteristici dei lipidi dell’epicarpo. La loro [] è elevata
negli oli ottenuti mediante trattamenti di estrazione (chimica) con solvente mentre sono praticamente
assenti negli oli di pressione (oli vergini).
Il tenore di E+U distingue gli oli d’oliva lampanti (≤ 3.5%) mg/kg) dagli oli di sansa greggi (>3.50%). La % è
rispetto al tenore totale di dioli e steroli.
SCOPO: distinguere oli vergini o raffinati da oli di sansa Le cere sono un marker dell’aggiunta di olio di
sansa ad olio d’oliva vergine o raffinato
PROCEDIMENTO: la sost. grassa viene frazionata su colonna e la frazione a polarità intermedia recuperata
ed analizzata mediante GC (olio di oliva
vergine o raffinato<350, olio di sansa
>350mg/Kg)
Sono poi riportati specifici a.g caratteristici di specie botaniche diverse dall’oliva. Quindi se presenti
rivelano l’aggiunta di altri oli all’olio di oliva.
Nell’ultima parte della tabella sono riportati i limiti dei componenti della frazione in saponificabile
caratteristici di un olio EVOO e le possibili cause fraudolente di alterazione di tali limiti.
RIASSUMENDO…
MODULO 4: I TEST ENZIMATICI ED IMMUNOCHIMICI
L’esigenza delle aziende che fanno controllo qualità è di realizzare un numero molto elevato di analisi in un tempo molto breve. Il mercato oggi presenta una
vasta offerta di kit basati su metodi rapidi perché è necessario dosare e tenere sotto controllo sempre più sostanze. Uno dei vantaggi è quello di poter
realizzare molte analisi in tempi rapidi e con una spesa contenuta. Il controllo di qualità classico ricerca contaminanti di natura chimica (micotossine, pesticidi
ecc.) e microbiologica (salmonella, listeria e altri patogeni), ma è molto importante anche la determinazione di sostanze caratterizzanti per poter dichiarare
in etichetta specifiche indicazioni nutrizionali e sulla salute (un claim come, ad esempio, "ad alto contenuto di fibre").
I metodi rapidi prevedono l’utilizzo di kit abbastanza semplici (come un lettore di piastre, ad esempio) che non richiedono personale altamente specializzato,
Tra i metodi rapidi presenti sul mercato i più utilizzati sono le metodiche enzimatiche, immunochimiche (ELISA) e il lateral flow. Sia i metodi enzimatici, sia
gli immunochimici vengono comunemente applicati su piastre di plastica con tutti i reagenti pronti. I primi si basano su una reazione enzimatica, mentre i
secondi sul riconoscimento antigene-anticorpo.
TEST ENZIMATICI
Un metodo enzimatico si basa sull’utilizzo di enzimi. L’enzima ha un sito attivo che riconosce un substrato
specifico e lo trasforma nei prodotti. La metodica prevede il dosaggio, solitamente spettrofotometrico, di
uno dei prodotti della reazione enzimatica. Tra i kit più utilizzati ricordiamo il dosaggio del lattosio (la
metodica, infatti, si basa su una serie di reazioni per dosare o il glucosio o il galattosio. Come risultato della
serie di reazioni si forma un prodotto colorato o che comunque assorbe nell’UV. Dalla lettura con lo
spettofotometro è possibile avere una determinazione quantitativa del lattosio residuo) e dell’instamina
nelle conserve di pesce (Per dosare l’istamina si utilizza l’istamina deidrogenasi che catalizza una reazione a
seguito della quale si forma un prodotto di colore arancione che è possibile leggere con un lettore di
piastre).
Il valore di questi test è collegato all’elevata specificità delle molecole biologiche per gli analiti di nostro
interesse che evita la necessità di passaggi di purificazione, e al fatto che le condizioni di rx blade sono
adatte all’analisi di composti instabili.
La catalisi enzimatica può essere utilizzata sia per mettere in evidenza un composto per es. substrato di rx o
direttamente la presenza dell’enzima.
Entità ed efficacia dei trattamenti termici (per ossidasi, F.A) o la non conformità (es. catalasi in latte
mastitico)
[ ] di un componente specifico (glucosio rispetto agli altri monosaccaridi)
[ ] di un componente specifico la cui presenza denuncia la non conformità del prodotto (ammine-
invecchiamento del pesce)
[ ] di un componente specifico inibitore della rx (insetticidi organofosfati)
REAZIONI ACCOPPIATE
Utilizzano più di un enzima dove si formano prodotti di reazione che rappresentano l’analita da misurare e
indicatori della reazione che semplificano il
rilevamento del segnale dell’analita.
Diversi tipi di segnale possono essere utilizzati per seguire la reazione enzimatica:
Modificazioni di Abs
Emissioni di fluorescenza
Modificazioni di viscosità del mezzo
Modificazioni dell’acidità titolabile
TEST IMMUNOCHIMICI
L’interazione che si instaura tra antigene e corrispondente anticorpo porta alla formazione di
quello che viene definito come IMMUNOCOMPLESSO.
ANTIGENE (AG): è una molecola estranea all’organismo che induce la formazione di uno o più anticorpi
(AB). La specifica regione di AG riconosciuta da AB si chiama EPITOPO.
ANTICORPO (AB): è una proteina che gli animali producono in risposta alla presenza di un antigene.
L’anticorpo, una volta prodotto, tende a legarsi all’antigene che ne ha stimolato la produzione. Hanno una
caratteristica forma a Y e sono formati da 4 catene polipeptidiche. La sequenza degli aa ai siti di legame
garantisce una grande possibilità di variazione e dunque di specificità.
1. Possibilità di separare gli AB legati agli AG (presenza di AG) da quelli liberi (assenza di AG) attraverso
assorbimento selettivo degli AB su matrici inorganiche
2. La presenza del complesso deve essere messa in evidenza anche a [] basse attraverso marcatura con
una sostanza tracciante che può essere un radioisotopo (marcatura con radioisotopi), un composto
fluorescente (marcatura di AB con composti fluorescenti) o un enzima (marcatura di AB con enzimi).
Per quanto riguarda gli enzimi traccianti, tra i più noti ritroviamo la PEROSSIDASI (si estrae dalla radice
delle piante di rafano) e la FOSFATASI ALCALINA.
Le tipologie-varianti principali comprendono: il metodo diretto (in cui viene determinata la presenza
dell'antigene, ha lo scopo di ricercare specifici antigeni in un dato liquido biologico avendo a
disposizione anticorpi marcati a cui questi possano legarsi) o indiretto (in cui viene determinata la presenza
di det. anticorpi contro un antigene noto) e il metodo competitivo (è un test quali-quantitativo: fornisce un
valore specifico con una deviazione standard) o non competitivo (è un test qualitativo e semi-quantitativo:
non fornisce un valore effettivo ma afferma la presenza o l'assenza dell'analita).
L’ELISA non competitivo diretto si effettua secondo diverse metodiche: semplice (in questo caso l'antigene
è assorbito sulla placca e rilevato con un anticorpo marcato da un enzima) e ELISA sandwich (qui invece
l'anticorpo che è usato per catturare l'antigene è assorbito sulla placca, gli anticorpi assorbiti sono in
seguito esposti al fluido che potrebbe contenere l'antigene ed un secondo anticorpo, marcato, viene
aggiunto per rilevare che l'antigene è stato catturato).
Il metodo prevede la copertura del fondo del pozzetto con un anticorpo specifico per l’antigene che
vogliamo misurare. Si esegue un lavaggio. In seguito si introduce l’antigene, che si legherà all’anticorpo. Si
lava ulteriormente per togliere antigeni in eccesso o non legati. Si introduce un anticorpo specifico che
legherà il complesso anticorpo+antigene, formando un “terzo” strato o “sandwich” (c’è un anticorpo sotto
che chiamiamo di CATTURA e uno sopra che invece chiamiamo di DETECTION O RILEVAMENTO che
caratteristicamente è marcato con un enzima). All’ultimo anticorpo che abbiamo aggiunto è legato un
enzima specifico, e aggiungendo il suo substrato si formerà un prodotto colorato, che evidenzierà il
pozzetto nel caso in cui sia presente l’antigene di interesse.
1. Immissione di una soluzione dell’anticorpo primario, specifico per l’antigene da ricercare ed individuare
nel siero o in un certo liquido, nei pozzetti di una apposita piastra da saggio in polistirene. Il fondo del
pozzetto viene saturato con l’anticorpo che aderisce al fondo dei pozzetti. Il resto viene lavato via.
ANTICORPO PRIMARIO SPECIFICO PER L’ANTIGENE DA INDIVIDUARE E’ LEGATO-FISSATO AL FONDO DEL POZZETTO,
LAVAGGIO per eliminare l’eccesso di anticorpo
2. Aggiunta, in soluzioni con diverse [] non note, dei campioni dei quali bisogna saggiare la presenza o
meno dell’antigene e lavaggio con soluzione tampone; l’antigene se presente, si lega specificatamente
con l’anticorpo e l’eccesso viene lavato via
AGGIUNTA DEL CAMPIONE, CIOE’ DELLA SOLUZIONE IN CUI SI CERCA L’ANTIGENE, LEG. ANTIGENE-ANTICORPO1,
LAVAGGIO per eliminare antigeni in eccesso
3. Aggiunta dell’anticorpo secondario coniugato con un enzima che può essere per ossidasi o fosfatasi
alcalina. Questo si legherà al complesso anticorpo+antigene, formando un “terzo” strato o “sandwich”,
l’eccesso viene lavato via. L’assenza dell’antigene specifico per l’anticorpo comporta che l’anticorpo
secondario con il lavaggio, venga dilavato.
4. Se l’enzima usato è la F.A si aggiunge un substrato che provoca una rx con la F.A coniugata all’anticorpo
producendo una sostanza di colore giallo. Se l’antigene è assente nel pozzetto, non vi sarà neanche
l’enzima coniugato all’anticorpo e quindi la rx non potrà avvenire.
5. Aggiunta di NaOH per bloccare la rx tra F.A e substrato ed esame spettrofotometrico (lo sviluppo di
colore è indicativo della presenza dell’antigene che si voleva saggiare nel campione e l’intensità della
colorazione misurabile grazie allo spettrofotometro è semi-quantitativa)
Quando la scelta di tecniche tipo il rilevamento immunochimico di un analita ha senso?
Quando c’è bisogno di rilevare un analita che è presente in piccole [] quindi per analisi selettive e specifiche
(es. i test immunoenzimatici indiretti è utile effettuarli per rilevare per es. la presenza di alcune sost.
tossiche, pesticidi o antibiotici: essendo l’antigene, cioè l’analita di nostro interesse, una molecola piccola
presente in piccola [], si procede a una derivatizzazione con struttura di dimensioni > (es. una proteina
carrier), si forma così un complesso proteina-antigene che è detto aptene, succ. si potrà effettuare test
immunoenzimatici indiretti che possono essere: anticorpo legato o ad aptene legato (in questo caso la
parte proteica si legherà al supporto inerte mentre l’altra parte dell’aptene resta disponibile per i legami,
viene messo poi messo il campione contenente l’antigene e l’anticorpo marcato, se è presente antigene
l’anticorpo marcato andrà a legarsi selettivamente con l’antigene e successivamente allontanato per
lavaggio; se invece l’antigene non è presente nel campione allora l’anticorpo marcato andrà a legarsi
direttamente sui siti dell’ aptene, successivamente l’enzima si legherà all’anticorpo marcato e si svilupperà
colore quindi nei test indiretti se si forma colore significa che l’antigene NON era presente nel campione.
E’ un test nel quale sul supporto viene assorbito l’anticorpo, succ. viene messo il campione contenente
l’antigene, se l’antigene è presente si legherà con un epitopo all’anticorpo presente sul supporto, poi viene
effettuato il lavaggio per eliminare i residui, succ. si inserisce l’anticorpo marcato che riconoscerà il secondo
epitopo dell’antigene presente e poi andiamo a aggiungere l’enzima il quale si legherà all’anticorpo
marcato e svilupperà colore nel caso in cui l’antigene è presente. Quindi nei test diretti: +colore si formerà,
+antigene sarà stato trattenuto sul supporto.
esempi di applicazione dei test diretti nel campo della frode delle matrici alimentari: questi test vengono di
solito usati per andare a determinare le frazioni proteiche quindi si potrebbero utilizzare per rilevare la
presenza delle albumine nel latte (es. se un formaggio viene venduto e dichiarato di capra ma in realtà è
stato ottenuto da latte di vacca, che costa di meno!) oppure della friabilina, stiamo parlando degli sfarinati,
serve perché è presente solo nel grano tenero.
METODO INDIRETTO
Sul fondo del pozzetto sono legati antigeni ai quali un anticorpo si lega in modo specifico (anticorpo
primario). Questo viene quindi aggiunto al pozzetto e, dopo il lavaggio si aggiunge un altro anticorpo
(anticorpo secondario). I due anticorpi sono prodotti in specie diverse. Di norma l'anticorpo secondario è
coniugato ad un marcatore (tag) come la fosfatasi alcalina o perossidasi che producono da substrati
specifici prodotti colorati, per cui il metodo di rilevamento risulta analogo a quanto detto sopra. L'unica
differenza è che sul fondo del pozzetto non sono presenti anticorpi, ma l'antigene di interesse.
- APTENE LEGATO
- ANTICORPO LEGATO
MODULO 5: SFARINATI E IMPASTI
LA CARIOSSIDE
DEFINIZIONE: chiamata “chicco” o “granella” è un frutto secco indeiscente monospermio tipico della
famiglia delle Graminacee;
ORGANIZZAZIONE: al suo interno si distinguono diverse regioni anatomiche ognuna delle quali ha una
struttura e una composizione chimica particolare in funzione della funzione biologica che svolgono:
COMPOSIZIONE CHIMICA:
Sulla cariosside possono essere effettuate una serie di analisi che hanno lo SCOPO di verificarne l’idoneità
per la produzione di sfarinati. Operatori esperti in via preliminare possono:
Valutare le proprietà sensoriali della cariosside: colore, forma, superficie di frattura (idoneità
dell’aspetto), aroma e sapore (assenza di difetti)
Attraverso l’osservazione-l’ispezione visiva: valutare lo stato sanitario in termini di eventuali attacchi di
batteri, insetti, funghi (muffe) o roditori, individuare la presenza di eventuale materiale estraneo
(insetti, frammenti, semi estranei.. la presenza di materiale estraneo può essere quantificata “a mano”
separando il materiale estraneo dal resto mediante successive setacciature oppure le impurità solide
possono essere determinate dopo digestione chimica acetico-nitrica di tutta la porzione organica per
flottazione ed identificazione del materiale inorganico residuo al microscopio) o la presenza di chicchi
danneggiati, non completamente maturi, riscaldati-ribolliti (auto-riscaldamento) o germinati; queste
ispezioni visive possono essere accompagnate da esami più specifici per es. al microscopio oppure da
esami culturali o da esami radiografici (per mettere in evidenza per es. infestazioni latenti); Infine le
analisi preliminari visive sulla cariosside consentono di distinguere il grano TENERO (chicco
tondeggiante, si schiaccia facilmente, superficie di frattura bianca e opaca, ricco di amido e proteine e
utilizzato per ottenere sfarinati da utilizzare per la panificazione) dal grano DURO (più pregiato, chicco
oblungo, superficie di frattura gialla e vitrosa, peso specifico >, elevato contenuto di glutine per cui è
destinato principalmente alla pastificazione) la determinazione della % di VISTROSITA’ eseguita
manualmente su un campione rappresentativo di granella consente di definire la % di commistione di
grano duro con grano tenero separando le cariossidi vitree da quelle opache dopo frattura ed
esprimendo il risultato come % sul totale
Determinare il PESO SPECIFICO detto anche PESO ETTOLITRICO espresso come rapporto Kg/hL (analisi
molto importante)
Nella pratica si utilizzano cilindri con capacità volumetrica predefinita che vengono
riempiti fino all’orlo con la granella del cereale da esaminare. Quindi si determina il
peso della quantità di granella contenuta nel cilindro e si esprime in Kg/hL. Qui è
riportato il più semplice dei dispositivi che possono essere utilizzati allo scopo.
Comunque sono disponibili anche strumenti che in via automatizzata sono in grado di
risalire al peso ettolitrico analizzando una piccola quantità di granella.
Il tenore di lipidi viene determinato mediante estrazione della fase grassa utilizzando un solvente organico
determinando successivamente il peso dell’estratto dopo che il solvente è stato allontanato. La procedura
prevede che la granella venga finemente macinata e sospesa in una miscela di etanolo-acido cloridrico e
acqua. L’estrazione del grasso dalla fase solida viene protratta per circa 30 min a caldo (70-80°C). La
sostanza grassa che è passata in soluzione viene poi separata dalla sospensione mediante estrazione con un
solvente organico (normalmente etere etilico e etere di petrolio). A questo punto il solvente viene
allontanato e il residuo pesato. Il risultato viene espresso in % come peso della fase grassa estratta sul peso
del campione di granella analizzato. SOSTANZA GRASSA % = [(peso del pallone con estratto – peso del pallone vuoto) / peso del campione]*100
L’intera procedura può essere condotta in maniera del tutto automatica utilizzando ad es. il SOXTEC (il
principio è analogo ma il sistema è automatico) nel quale l’estrazione avviene direttamente nel solvente
organico; in pratica, in appositi ditali di carta viene posta la granella e lasciata in estrazione immergendo il
ditale in apposite tazze di alluminio contenenti il solvente (l’estrazione viene protratta per un certo periodo
di t e T°prefissata), poi il contenuto del ditale viene lasciato sgocciolare nella tazza
che a questo punto contiene il solvente e la fase lipidica estratta dalla granella, il
solvente viene allontanato automaticamente dall’estratto e una volta che
l’estrazione è terminata viene determinato il peso della fase grassa estratta
avendo avuto cura di determinare il peso della tazza vuota prima dell’estrazione.
DETERMINAZIONE DELL’UMIDITA’ % O CONTENUTO DI ACQUA allontanamento dalla granella macinata
dell’acqua mediante EVAPORAZIONE in stufa (la quantità di acqua viene determinata come differenza di
peso fra la granella fresca prima della permanenza in stufa e dopo la completa evaporazione dell’acqua
raggiunta quando il peso della granella dopo essiccazione rimane costante)
DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO DI AMIDO avviene previa idrolisi acida a caldo che lo idrolizza a
glucosio, questo poi viene dosato sfruttando il potere riducente con il reattivo di Fehling. Dopo idrolisi la
soluzione viene filtrata, messa in una buretta e utilizzata per titolare (quindi viene fatta sgocciolare) la
miscela di reattivo di Fehling A e B a titolo noto preparata in modo da poter essere completamente ridotta
da 0.049 gr di destrosio. Molto utilizzati per la determinazione del contenuto di amido come glucosio al
posto del reattivo di Fehling sono anche i kit enzimatici che utilizzano amilasi per scindere l’amido e ossidasi
accoppiate a coenzimi la cui riduzione genera un segnale allo spettrofotometro proporzionale alla quantità
di glucosio presente.
Prevede diverse fasi, le operazioni iniziali hanno lo scopo di allontanare il materiale estraneo dalla granella
e predisporla alle fasi successive.
Gli sfarinati che si ottengono dal grano TENERO si classificano in funzione di un grado di raffinazione
decrescente (che va a diminuire) in:
L’umidità max non può superare il 14.5% per garantire la stabilità degli
sfarinati indipendentemente dal loro grado di raffinazione; il contenuto
di ceneri aumenta dalla farina 00 alla 1 come conseguenza
dell’aumento del contenuto di crusca e quindi di Sali minerali;
analogamente aumenta il tenore di cellulosa. Anche la quantità di
glutine espresso come glutine secco dopo l’estrazione in una soluzione
salina aumenta con l’aumentare del grado di abburattamento.
Gli sfarinati da grano DURO si classificano in funzione della granulometria del macinato in:
Semola (più fine), Semolato (di grana più grossa, rappresentato da ciò che
rimane dopo separazione per setacciamento dalla semola); la quantità di
cellulosa è > rispetto alla quantità che si riscontra nelle farine da grano
TENERO ed’è > nel semolato rispetto alla semola. Le sostanze azotate
comprese le proteine si esprimono in termini di tenore di N determinato
mediante il K.
Il GLUTINE
E’ un reticolo proteico, associato ai lipidi, di consistenza elastica e tenace che garantisce la plasticità
necessaria ad una buona tenuta alla cottura e che si forma durante la lavorazione (miscelazione e
compressione) della semola con l’acqua (quindi durante la preparazione dell’impasto a seguito
dell’aggiunta di acqua) e deriva dall’interazioni tra Glutenine e Gliadine, proteine idrofobiche e altamente
insolubili che appunto in presenza di acqua si associano a dare un reticolo proteico stabile le cui maglie
imprigionano i granuli di amido (idrosolubili) la proprietà agglutinante e la formazione di un reticolo
tenace ed elastico è fondamentale sia per la formatura della pasta che per la sua tenuta alla cottura, perchè
consente di trattenere l’amido durante la cottura evitando che
venga rilasciato (evitando di avere una pasta collosa e acqua di
cottura torbida la torbidità dell’acqua di cottura è un indice
dell’entità del rilascio di amido dal reticolo, >sarà la capacità del
glutine di trattenere amido, migliore sarà la tenuta alla cottura
della pasta e <sarà la torbidità dell’acqua di cottura).
SCOPO: stabilirne la macrocomposizione e verificare il rispetto di questa ai limiti di legge che definiscono le
diverse classi merceologiche; valutare il corretto stato di conservazione e infine verificare la presenza di
eventuali frodi per commistione con prodotti di macinazione meno pregiati.
Gli sfarinati di grano tenero e grano duro all’osservazione presentano caratteristiche fra loro molto diverse,
infatti gli sfarinati di grano TENERO: si presentano di colore BIANCO, hanno una consistenza soffice e
untuosa e si agglomerano facilmente a seguito di compressione; al contrario gli sfarinati da grano DURO si
presentano di colore giallo ambrato e hanno una caratteristica consistenza granulosa al tatto. Il colore si
presenterà con tonalità + scure all’aumentare del contenuto di crusca e quindi al diminuire del grado di
raffinazione. In entrambi i casi, non si devono riscontrare difettosità all’aroma e al sapore.
La presenza di prodotti di macinazione da sfarinati estranei può essere messa in evidenza mediante
l’esame microscopico dei granuli di amido, che a seconda dell’origine presentano forme caratteristiche e
riconoscibili.
L’analisi della frazione proteica è il metodo di scelta per verificare la commistione di sfarinati da grano
duro con sfarinati di grano tenero e anche per risalire alle diverse varietà di frumento. In questo senso sono
di particolare interesse le analisi elettroforetiche della frazione proteica e i test immuno-enzimatici che
rilevano la presenza di globuline estranee (es. frode per aggiunta di grano tenero in farine destinate alla
pastificazionetest immunoenzimatico “Duro-test”: Ab marcato con HPR per la friabilina, proteina
presente solo nel grano tenero)
Altre frodi possibili: aggiunta di agenti miglioranti (sbiancanti, acido ascorbico), aggiunta di talco o gesso
(solubilità delle ceneri)
La verifica del corretto stato di conservazione prevede analisi sul contenuto di acqua-umidità
(essiccamento a 130°C), la determinazione dell’acidità libera (titolazione acido base su estratto alcolico del
campione) e l’esame al microscopio per evidenziare l’eventuale presenza di infestanti (saggio di Peckar x
evidenziare la presenza di acari).
PRINCIPIO DEL METODO: si basa sulla separazione della frazione resistente all’azione di enzimi
amilasici e proteolitici seguita dalla sua determinazione gravimetrica sottratta del contenuto di ceneri
(che tengono conto dei Sali minerali) e del contenuto di proteine e sostanze azotate.
PROCEDIMENTO:
1. Digestione enzimatica in sequenza con amilasi e proteasi effettuata a caldo in condizioni
ottimali per l’idrolisi enzimatica
2. Filtrazione e successiva essiccazione del residuo insolubile del quale alla fine viene
determinato il peso secco
*Per tenere conto della quantità di Sali e proteine presenti nel residuo, questi componenti vengono
determinati indipendentemente su frazioni del residuo, le proteine con il Kjeldhal e le ceneri mediante
combustione.
RISULTATO: la fibra si stima sottraendo al peso totale del residuo quello delle ceneri e delle proteine
*E possibile eseguire quest’analisi in maniera parzialmente automatica mediante l’uso di strumenti che
consentono la filtrazione automatica del residuo e la sua essiccazione tipo il FIBROTEC.
LA DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’
SCOPO: valutare la presenza di acidi grassi liberi che denuncia un cattivo stato di conservazione
PRINCIPIO: si basa sull’estrazione degli a.g dagli sfarinati oppure dalla pasta mediante una soluzione
idroalcolica a caldo; successivamente l’estratto viene sottoposto ad una titolazione acido-base per
rilevare la presenza di a.g liberi
RISULTATO: si esprime direttamente in % sul peso secco del campione
SCOPO: stimare la cosiddetta “purezza varietale” di uno sfarinato oppure di un prodotto di trasformazione
(definire il grado di purezza di varietà di grano duro o tenero)
PROCEDIMENTO: le gliadine vengono estratte con solvente dal campione di interesse e quindi separate
nelle diverse forme su un gel di poliacrilammide o di agarosio grazie all’applicazione di un campo elettrico.
Le gliadine migrano lungo il campo elettrico con una v che dipende dal loro peso e dalla loro carica. Al
termine della corsa elettroforetica si ottiene un tracciato caratteristico in funzione delle diverse gliadine
presenti nel campione e che consente di risalire alla varietà.
La tecnica elettroforetica più utilizzata è quella che prevede il pre-trattamento del campione con un
agente denaturante, il cosiddetto sodio dodicil solfato o SDS. Questo SDS si lega alle proteine e conferisce a
tutte indipendentemente dal loro punto isoelettrico, una carica negativa al pH al quale viene effettuata la
separazione elettroforetica. Le proteine trattate con SDS vengono collocate nei pozzetti in cima al gel,
questo viene collocato in un campo elettrico, dove il polo negativo è nella porzione superiore e quello
positivo nella porzione inferiore in basso; quindi, una volta applicato il voltaggio le proteine tenderanno a
muoversi più o meno velocemente verso il polo positivo (dunque verso l’estremità inferiore del gel).
La porzione superiore del gel è detta Stacking Gel e ha una porosità ridotta allo scopo di rallentare la
separazione iniziale delle proteine che nei primi momenti della separazione elettroforetica si concentrano
tutte all’interfaccia fra lo Stacking Gel e il Running Gel in cui la porosità è >, le proteine iniziano la loro corsa
verso il catodo in funzione principalmente della taglia e della carica (le proteine +leggere si muoveranno
lungo il gel +velocemente di quelle +pesanti).
Il caratteristico bandeggio del campione può essere rilevato con appositi colorimetri detti DENSITOMETRI
che producono un caratteristico tracciato DENSITOMETRICO che riporta, per ogni macchia proteica, la
posizione sul gel che dunque riflette il p.m e l’intensità della colorazione che invece rifletterà la
concentrazione.
Il bandeggio, in termini di numero e posizione delle
bande, come abbiamo detto, sarà caratteristico
della varietà. E’ possibile confrontare i risultati
ottenuti con dei bandeggi standard che sono stati
ottenuti da varietà analizzate in purezza; oppure si
può verificare la purezza del campione effettuando
le corse elettroforetiche su un campione rappresentativo di singole cariossidi e quindi confrontare
l’omogeneità dei bandeggi ottenuti (+il numero dei bandeggi simili sarà alto, >sarà la purezza del campione
in termini varietali).
La qualità del glutine viene determinata ricorrendo alla valutazione delle proprietà reologiche degli impasti
con metodi che possiamo definire di tipo empirico e di tipo limitativo. Questi metodi consistono nella
determinazione di parametri come per es. l’estensibilità ossia la capacità di espansione dell’impasto
durante la lievitazione e durante le prime fasi della cottura, l’elasticità quindi la capacità di deformarsi
senza rompersi, molto imp. per la forma del prodotto, la resistenza a sollecitazioni meccaniche in termini
sia di entità che di tempo. Questi parametri predicono il
comportamento dell’impasto durante le varie fasi della lavorazione e
possono anche predire diverse proprietà del prodotto finito legate alla
sua stabilità e alla consistenza.
1) IL FARINOGRAFO DI BRABENDER
In pratica, viene misurata la forza necessaria a mescolare un impasto a velocità costante e l’evoluzione della
resistenza che l’impasto oppone a questa sollecitazione meccanica.
Fase preliminare durante la quale si misura la quantità di acqua necessaria perché il campione di sfarinato
raggiunga una resistenza di 500 UB (questo valore è prossimo a quello ottimale per la panificazione). La
quantità di acqua necessaria per raggiungere questo valore dipende dal contenuto proteico, in generale
aumenta con la quantità di proteine presenti e con il grado di strutturazione dell’amido. Infatti se l’amido è
eccessivamente depolimerizzato la quantità di acqua necessaria per raggiungere questo valore ottimale
diminuisce.
I parametri che vengono determinati sul farinogramma sono in termini di tempo. In particolare si
determina:
2) ALVEOGRAFO DI CHOPIN
Con l’alveografo si determina la FORZA e l’ESTENSIBILITA’ dell’impasto tramite la misura della P dell’aria
necessaria all’estensine biassiale di un campione che viene sottoposto a un rigonfiamento per azione di
un gas, quindi misura le proprietà PLASTICHE degli impasti (forza ed estensibilità) e indirettamente indica
la capacità di formare alveoli regolari nella mollica.
In pratica, > sarà l’estensibilità dell’impasto, > sarà il V che può raggiungere durante la fermentazione e la
cottura.
Una piattaforma rotante forma, utilizzando parti di un impasto preparato a parte, dei dischetti rotondi di
impasto il cui spessore può essere variato a scelta, questi dischetti vengono appoggiati e fissati su una
piastra fornita di un dispositivo che spinge a pressione l’aria contro i dischi formando una bolla che si
espande fino a rompersi. Il dispositivo è munito di un sensore che registra le variazioni di P mentre la bolla
si espande fino alla rottura. In pratica, all’inizio l’impasto oppone la mass resistenza all’espansione indotta
dall’aria e la P quindi è massima. Ad un certo punto la P inizia a diminuire (poiché si formano dei piccoli pori
nell’impasto) e questo accade quando l’impasto si deforma e forma la bolla; dopodiché la P cala
velocemente quando la bolla si rompe.
L’alveografo produce un diagramma Pressione (asse y) vs Tempo o lunghezza L (asse x) che è detto
ALVEOGRAMMA.
In generale, per definire la destinazione d’uso si considera W e il rapporto P/L (che indica
l’elasticità ed’è un indice molto significativo della qualità del glutine).
Quindi, in generale:
Una farina DI FORZA (adatta alla panificazione e alla pastificazione)presenterà un area sottesa
alla curva (W) NON inferiore a 250 e un rapporto P/L >0.80
3) ESTENSOGRAFO
E’ uno strumento che misura l’ESTENSIBILITA’ di impasti standard sottoposti a sforzo. L’impasto standard
viene manipolato a formare una struttura cilindrica che viene poi estesa a un velocità costante.
In pratica, lo strumento consente di registrare la resistenza di un impasto alla trazione e ne misura quindi
l’estensibilità fino alla rottura.
I cilindri di impasto vengono fatti lievitare e successivamente le estremità del cilindro si agganciano a due
morsetti e a questo punto il cilindro di impasto viene
sottoposto a stiramento fino a rottura. Il diagramma
che ne risulta è detto ESTENSOGRAMMA con in
ascisse la lunghezza raggiunta dall’impasto e in
ordinate la resistenza che oppone alla trazione. I due
parametri definiscono la FORZA DEL GLUTINE: >è sia
la resistenza che la lunghezza, >sarà la forza del
glutine.
L’integrità della struttura dei biopolimeri degli sfarinati (quindi amido e proteine) è importante per definire
le proprietà degli impasti e le relative destinazioni d’uso. Dunque, possono essere condotte delle prove per
la determinazione di indici che riflettono lo stato strutturale dei biopolimeri. Nel caso dell’amido questo
può essere depolimerizzato per azione delle amilasi endogene, una certa quantità di prodotti di
depolimerizzazione dell’amido, in particolare zuccheri semplici, è importante come fonte di E prontamente
disponibile per i lieviti durante la fermentazione. Quindi il rilascio di zuccheri fermentescibili è dovuta
all’azione delle amilasi-->sull’amido agiscono l’alfa e la Beta amilasi: l’Alfa amilasi è relativamente
termostabile (è attiva fino a 80°C) e influenza la depolimerizzazione dell’amido in condizioni di lavorazione
dell’impasto; la Beta amilasi si disattiva a T° relativamente basse ed’è quindi poco rilevante durante la
cottura (non influenza la qualità del pane durante la cottura) mentre può avere qualche azione durante la
fermentazione concorrendo al rilascio di zuccheri liberi, soprattutto da granuli di amido che sono stati
danneggiati durante la macinazione.
1) IL VISCOAMILOGRAFO
Traccia l’evoluzione della viscosità dell’amido di una sospensione di sfarinato sottoposto ad un incremento
costante di T° compreso fra 30 e 95°C (quindi una sospensione di acqua e farina si pone nell’amilografo e si
imposta il costante aumento della T°). E’ un indice delle modificazioni che subisce l’amido durante la
cottura degli impasti. In pratica, l’aumento di T° provoca: da un lato la gelatinizzazione dell’amido e il
relativo aumento di viscosità e dall’altro favorisce l’azione delle amilasi quindi una diminuzione di viscosità.
La velocità di idrolisi a carico dell’amido aumenta con l’aumentare della T° fino a quando questi enzimi non
vengono denaturati termicamente. Quindi prima che gli enzimi vengano denaturati la viscosità che si rileva
deriva dal compromesso fra questi due processi con
effetti appunto contrastanti sulla viscosità: la
gelatinizzazione che ne provoca l’aumento e l’idrolisi
enzimatica che invece ne causa la diminuzione.
Rileva la gelatinizzazione dell’amido e la sua contemporanea depolimerizzazione da parte dell’ Alfa amilasi
misurando la resistenza che una sospensione di sfarinato oppone alla penetrazione di una sonda in termini
di tempo, cioè misurando il t che la sonda impiega ad attraversare la sospensione.
Una sospensione di acqua e farina viene posta nello strumento per la determinazione dell’indice di caduta e
quindi si imposta un ciclo di riscaldamento costante.
L’analisi può essere condotta sia sulla granella (previa macinazione) o sugli sfarinati sia di grano tenero
(farine) che di grano duro (semole).
PROCEDIMENTO: il campione viene posto nella cosiddetta camera di lavaggio che è dotata di un setaccio a
maglie sottili (88 micron), quindi il campione viene lavato con un tampone che scioglie e allontana l’amido
attraverso le maglie del setaccio mentre il glutine rimane appunto sulle maglie del setaccio. A procedura
completata il glutine si recupera e si pesa.
RISULTATO: viene espresso in % di peso sul campione; eventualmente si può anche esprimere in termini di
glutine secco dopo aver evaporato l’acqua tramite essiccamento su piastra a 150°C.
La strutturazione del reticolo proteico può essere determinata attraverso l’INDICE DI GLUTINE. In questo
caso, il glutine estratto con la procedura precedente, viene posto in centrifuga e forzato a passare
attraverso una griglia a maglie strette. Al termine si determina la quantità di glutine in peso che non ha
attraversato le maglie e quella invece che ha attraversato le maglie del setaccio e si è depositata sul fondo
del contenitore.
RISULTATO: si esprime in termini % come rapporto fra il peso del glutine rimasto sul setaccio e quello del
glutine invece che lo ha attraversato.
− Un indice BASSO prossimo allo zero indica una scarsa tenacità del reticolo proteico quindi un glutine
MOLTO DEBOLE che in buona parte è passato attraverso le maglie del setaccio (scarsa qualità del
glutine)
− Un indice ELEVATO prossimo a 100 indica un glutine TENACE e di elevata qualità (rimane sul setaccio
e non ne attraversa le maglie)
La qualità del glutine è importante perché da essa dipende la qualità per es. di pastificazione, per quanto riguarda il grano duro, a
seconda della qualità del reticolo glutinico si determina anche la collosità della pasta in cottura (se il reticolo è ben strutturato la pasta
non risulterà collosa, non rilascerà amido in acqua e l’acqua di cottura non sarà torbida)
INDICE DI SEDIMENTAZIONE
Fornisce un informazione analoga all’indice precedente, ma basata questa volta sul volume occupato da
una sospensione di sfarinato in una soluzione di acido lattico.
PRINCIPIO: si basa sul fatto che il glutine in acido lattico rigonfia e sedimenta lentamente
INDICE DI BERLINER
Secondo questo metodo la quantità di glutine si determina come torbidità di una sospensione di glutine in
(estratto da un impasto) in acido lattico.
Questo indice è collegato all’azione delle proteasi che agiscono sul glutine durante la
fermentazionequindi permette di evidenziare le attività protesiche.
La pasta alimentare PER LEGGE può essere ottenuta SOLO DA SEMOLA E SEMOLATO!
Le classi merceologiche che dipendono dal tipo di sfarinato, dall’eventuale aggiunta di uova nell’impasto o
allontanamento di acqua sono: pasta di semola, di semolato, all’uovo o pasta fresca.
*(la determinazione dei macrocostituenti della pasta si effettua secondo le metodologie affrontate nei moduli precedenti)
Si determina mediante una titolazione acido-base (NaOH) su un estratto idroalcolico del campione previamente macinato e viene
espressa in termini di % sul peso secco del campione (acidità°/100gr di sostanza secca)
La produzione di pane prevede: la cottura di un impasto convenientemente lievitato preparato con sfarinati
di grano, acqua, lievito, con o senza sale.
I pani speciali invece prevedono l’utilizzo di ingredienti come burro, strutto, latte, frutta secca..
La legge FISSA il tenore massimo di ACQUA ammesso nel pane alla vendita in funzione della pezzatura (>è la
pezzatura, >è il contenuto di acqua consentito).
La corretta fermentazione (che dipende da T°, U, pH) dell’impasto influenza le proprietà del prodotto
(aroma, croccantezza della crosta, porosità) e il pH svolge un ruolo molto importante (all’inizio della
fermentazione è prossimo alla neutralità e si abbassa durante il processo stabilizzandosi a valori compresi
tra 4,2 e 5,7…pH opt 5) poiché la sua corretta evoluzione durante la fermentazione garantisce che gli enzimi
amilasici che agiscono sull’amido (invertasi, maltasi, amilasi) possano agire correttamente e favorisce
l’idratabilità e l’estensibilità del reticolo glutinico.
La macrocomposizione del pane deve riflettere fondamentalmente quella degli sfarinati utilizzati per la sua
produzione.
Quante proteine ci sono? utilizzo il metodo Kjeldal con cui vado a stimare la quantità di proteine in base al contenuto di N
Quanto glutine c’è? ci sono diverse analisi molto semplici (lavaggio, indice di glutine, indice di sedimentazione)
Analisi + complesse che ci consentono di capire il comportamento visco-elastico Farinografo (), Alveografo
MODULO 6: IL VINO
COMPOSIZIONE
Dipende: dalle caratteristiche della materia prima (che sono altamente variabili in funzione della varietà,
dell’annata, delle condizioni pedo-climatiche) e dalle condizioni nelle quali viene condotto il processo.
− I composti pre-esistenti nel mosto, cioè che derivano dall’uva e che troveremo nel mosto in funzione
direttamente della materia prima (appunto, l’uva); fra questi composti ritroviamo:
Acqua (80%)
Acidi organici fissi (come acido malico, tartarico e citrico)
Zuccheri semplici (fruttosio, glucosio, arabinosio)
Sostanze azotate
Composti fenolici (estratti principalmente dalla buccia dell’uva ma anche da altre parti solide come
per es. i vinaccioli)
Pectine (polimeri complessi a base di acido galatturonico e zuccheri che derivano dalla parete
cellulare)
Minerali (cationi, anioni, oligoelementi)
Vitamine
Enzimi
− I composti di neoformazione che si sviluppano nelle prime fasi del processo principalmente in
funzione del procedere della fermentazione alcolica; fra di essi ritroviamo:
Alcoli (etanolo, gliceroloche derivano entrambi dalla fermentazione alcolica e metanolonon è
un alcool di origine fermentativa ma deriva invece dall’idrolisi enzimatica delle pectine)
Acidi fissi e volatili (lattico, succinico, aceticovolatile)
Aldeidi
Chetoni
Esteri
Gas disciolti (CO2, O2) in tracce
Anidride solforosa
ACQUA 80%
ACIDI ORGANICI 0.6%
ZUCCHERI 20% se l’uva è stata raccolta al giusto grado di maturazione
ALTRI COMPOSTI 0.5%
MINERALI 0.2%
L’estratto secco totale ottenuto per allontanamento dell’acqua ci informa del contenuto medio di soluti, e
normalmente è:
Per quanto riguarda gli zuccheri semplici i più rappresentati sono: monosaccaridi a 6 atomi di C (glucosio,
fruttosio, ramnosio che è in misura molto minore e deriva dall’idrolisi delle pectine) e a 5 atomi di C
(arabinosio, xilosio), tracce di disaccaridi (saccarosio), polisaccaridi (rappresentati dalle pectine e dai loro
prodotti di degradazione)
La pectina è una famiglia di polimeri a base di acido galatturonico parzialmente esterificato (10-60%) con
metanolo. Dalla pectina derivano catene di polisaccaridi neutri a base di glucosio, arabinosio e altri zuccheri
e derivano anche le cosiddette “gomme” che sono polimeri neutri a base di arabinosio e galattosio.
Normalmente nel mosto la [Glucosio] e [Fruttosio] è molto simile e il loro rapporto è vicino a 1.
Nel mosto le tecniche più comuni per determinare il contenuto di zuccheri che è cruciale ai fini del corretto
svolgimento della fermentazione alcolica si basano sulla determinazione della Densità del mosto a 20°C (T°
di riferimento) utilizzando appostiti densimetri. Perché la densità? Perché gli zuccheri rappresentano il
principale soluto nel mosto e la densità del mosto dipende essenzialmente dalla [zuccheri].
dai gradi Baume’ (Bè), indicano il probabile grado alcolico espresso come ml di alcool/100ml di vino
dai gradi Brix (B°), indicano il contenuto di solidi solubili espresso come gr di soluti/100gr di mosto
dai gradi Babo (Ba), indicano invece direttamente il contenuto di zuccheri e si esprimono come gr di
zuccheri/100gr di mosto
La determinazione della densità del mosto su base volumica (rapporto fra massa e Volume) serve come
abbiamo detto, a stimare il contenuto di zuccheri ma può anche essere utilizzata per stimare l’estratto
secco.
La densità viene rilevata con i densimetri e poi viene convertita nel responso di interesse utilizzando
apposite tabelle di conversione come queste riportate qui sotto a titolo di esempio.
GLI ACIDI ORGANICI
Svolgono un ruolo molto importante nel vino da diversi punti di vista: prima di tutto partecipano insieme
ad altre caratteristiche del vino alla stabilizzazione microbiologica del prodotto; inoltre sono coinvolti e
regolano il corretto svolgimento della fermentazione malolattica; sono coinvolti in tanti fenomeni che
regolano la stabilità chimico-fisica dei vini (ad es. sono coinvolti nella stabilità proteica e consentono il
veloce e rapido allontanamento della frazione sospesa instabile); sono coinvolti nella stabilità del colore
e partecipano alla definizione delle proprietà sensoriali dei vini (sia in termini di colore che di sapore).
Acido lattico: prodotto dai lieviti durante la fermentazione alcolica (0.2-0.4gr/L) oppure dai batteri lattici
durante la fermentazione malo lattica (0.5-3.0gr/L)
Acido acetico: acido organico volatile che può essere prodotto o durante la fermentazione alcolica per ox
dell’aldeide acetica a [] basse (0.2-0.4gr/L) oppure in [] relativamente elevate (>0.7gr/L) anche dai batteri
acetici per ox dell’etanolo in presenza di O e in condizioni elevate è responsabile del difetto di “acescenza”.
Si determina mediante titolazione acido-base ponendo pH 7 come punto finale della titolazione.
− I valori delle costanti di dissociazione degli acidi organici CAMBIANO a seconda se il mezzo sia acquoso
(come il mosto) oppure idroalcolico (come il vino)
− Il patrimonio di acidi organici del mosto CAMBIA durante la fermentazione alcolica e malolattica
− La solubilità dei Sali degli acidi organici cambia anche lei in funzione del mezzo (acquoso o
idroalcolico) diminuisce con l’aumentare del grado alcolico della soluzione
− La presenza di CO2 oppure di SO2 che possono entrambe contribuire all’acidità totale dando origine
rispettivamente nel vino per es. ad acido carbonico o ad acido solforico.
Una seconda fase in cui è importante seguire l’acidità totale è durante la vinificazione vera e propria. La
determinazione di questo parametro sul mosto serve a valutare la necessità di eventuali azioni correttive,
che possono essere sia un acidificazione oppure una disacidificazione.
**Dobbiamo considerare che nel VINO l’ACIDITA’ TOTALE nel tempo tende a DIMINUIRE in maniera
NATURALE:
− A seguito per es. della fermentazione malolattica che trasforma l’acido malico (biacido) in acido lattico
(monoacido)
− A seguito della precipitazione dei Sali dell’acido tartarico indotte dall’abbassamento delle T° durante il
processo (es. in inverno)
Quando misurare l’acidità totale? Prima e al termine della fermentazione alcolica, dopo la fermentazione
malolattica, alla fine dell’inverno.
DOSAGGIO DELL’ACIDITA’ TOTALE
L’ACIDITA’ VOLATILE
Rappresenta una porzione minima dell’acidità totale e influenza l’insorgenza di difetti nel vino.
E’ dovuta all’acido acetico e a pochi omologhi volatili che possono essere determinati previa estrazione per
distillazione dal vino.
Una piccola quantità di acidi volatili, in particolare acido acetico, può essere naturalmente prodotta da
parte dei lieviti durante la fermentazione alcolica e da parte dei batteri lattici durante la fermentazione
malo lattica.
L’acido acetico si forma per via fermentativa a partire dall’acetaldeide, in presenza di O2, a pH > 3.4 e a T°
elevate.
Se il processo di vinificazione avviene in maniera corretta, i valori di acidità volatile NON sono SUPERIORI a
0.5gr/Lt di acido acetico.
Comunque in alcune condizioni possono verificarsi produzioni ANOMALE di acido acetico, abbiamo le
cosiddette “MALATTIE DEL VINO” che causano la compromissione delle sue proprietà sensoriali. Il primo
problema può verificarsi se si hanno arresti della fermentazione alcolica dovuti per es. a T° troppo alte
oppure arresti della fermentazione malolattica dovuti per es. a pH troppo elevati, T° troppo elevate oppure
mancato controllo della flora microbica. In questo caso, gli zuccheri, l’acido tartarico, il glicerolo presenti
nel mezzo vengono metabolizzati dai batteri lattici anaerobi e producono sia acido lattico che acido
aceticosi verifica così lo SPUNTO LATTICO che sarà caratterizzato da un aumento anomalo sia di acidità
fissa (dovuta all’acido lattico) sia di acidità volatile (dovuta all’acido acetico).
Nel vino invece può verificarsi l’ossidazione dell’etanolo (EtOH) in presenza di O2 da parte dei batteri acetici
che producono diversi derivati volatili dell’acido acetico (etilacetato..) che danno origine al difetto di
acescenza. Questo problema denuncia scarse
condizioni igeniche della cantina e si traduce
specificatamente in un aumento selettivo della
sola acidità VOLATILE.
PERCHE’ MISURARE L’ACIDITA’ VOLATILE?
− Per valutare l’andamento della fermentazione alcolica e della fermentazione malolattica ed individuare
eventuali deviazioni di queste fermentazioni
− E’ un valore fissato per legge:
1.08 g acido acetico/L vini bianchi
1.20 g acido acetico/L vini rossi
Oltre questi limiti il vino NON E’ COMMERCIALIZZABILE!
L’importanza di questo parametro è dovuta al fatto che denuncia (quindi è un indice) lo stato sanitario del
vino ed’è in relazione al suo stato di conservazione.
Per determinare l’acidità volatile bisogna distillare il vino previamente aggiunto di acido tartarico in eccesso
allo scopo di spostare in forma volatile l’acido acetico altrimenti presente in forma salificata e dunque non
volatile. Sono disponibili diversi distillatori in corrente di vapore appositamente ottimizzati allo scopo.
Prima di effettuare questa determinazione è buona norma allontanare eventuali interferenti presenti come
può essere l’acido solforoso derivante da SO2 o l’acido carbonico che deriva dalla CO2eliminazione della
CO2 presente nel vino mediante una semplice filtrazione su filtro a pieghe.
Il pH acido del vino è fondamentale per garantire la stabilità di questo prodotto; infatti insieme alla
presenza di etanolo contrasta la crescita dei m.o favorisce la presenza di SO2 in forma libera e quindi
ne esalta l’effetto stabilizzante nei confronti dei m.o favorisce la solubilità degli acidi organici ed infine
stabilizza il colore rosso brillante dei vini giovani.
La presenza di un ricco patrimonio di acidi organici in forma salificata fa sì che sia il mosto che il vino
abbiano un BUON POTERE TAMPONE.
In alcuni casi può essere necessario acidificare il vino per es. tramite l’aggiunta di acido citrico per
consentire il ripristino di un pH sufficientemente acido dopo la fermentazione malolattica visto che questo
pH acido è associato a proprietà sensoriali molto importanti soprattutto nei vini bianchi.
GLI ALCOLI
ETANOLO
La quantità di alcool prodotta dipende dalla quantità di zuccheri presenti, considerando che mediamente
da 1.8gr di zucchero/100ml si ottengono 0.79 gr di EtOH/100ml di vino normalmente il rapporto volumico si
aggira intorno all’1% (1ml=0.79gr di EtOH 1%v/v).
Il tenore alcolico medio del vino rosso da tavola è 12.5% e corrisponde circa a 230gr di zucchero per Lt di
mosto.
Il tenore alcolico è FISSATO PER LEGGE a seconda della categoria merceologica del vino (nel vino rosso da
tavola NON PUO’ ESSERE < 8.5%).
La quantità di alcool in un vino è ESTREMAMENTE IMPORTANTE perché: influenza l proprietà sensoriali (ad
es. quella che viene definita forza di un vino), favorisce sia la stabilità chimico-fisica che microbiologica del
prodotto.
Determinazione del contenuto alcolico di un vinoprincipio: si basa sul fatto che la densità (ml/gr) di una
soluzione idroalcolica cala regolarmente all’aumentare del tenore di alcool. *ricorda: in funzione del tenore
alcolico cambia anche la T° di ebollizione (diminuisce all’aumentare del tenore alcolico)
METANOLO
Alcool normalmente presente SOLO in tracce che NON è di origine fermentativa (ma deriva dall’idrolisi
enzimatica della pectina ad opera della pectinmetilesterasi) ed’è TOSSICO a [] relativamente elevate (limiti
di legge dovuti alla tossicità).
Si esprime in mg/L
La quantità di metanolo prodotta dipende: dalla durata della macerazione e dunque dal contatto con le
bucce e dall’uso di preparati pectolitici utilizzati durante le fasi della vinificazione per migliorare l’estrazione
dei componenti dell’uva nel mosto.
ALCOLI SUPERIORI (propanolo, isopropanolo, metilbutanolo, feniletanolo..)
Sono presenti in piccola quantità, derivano in genere da reazioni di trasformazione biochimica sugli
amminoacidi.
Un caso a parte è rappresentato dal GLICEROLO perché questo è un alcool di origine fermentativa prodotto
appunto come prodotto secondario durante la fermentazione alcolica.
− PROCEDIMENTO:
1. Taratura dello strumento (lo strumento viene azzerato sulla T°eb dell’acqua
pura)
Mettere acqua nella caldaia, chiudere la caldaia avvitando la parte superiore
dell’ebulliometro, accendere il fornellino e quando l’acqua inizia a bollire il
menisco di mercurio del termometro si blocca. Su questo livello azzerare la
scala del termometro.
2. Analisi del campione (rilevamento della T°eb del campione di vino)
Sciacquare la caldaia con il vino e riempirla, avvitare la parte superiore,
accendere il fornellino e quando il vino inizia a bollire il menisco di mercurio
del termometro si blocca.
Nei casi in cui la determinazione diretta della T° eb NON è possibile perché la sua
relazione con il tenore alcolico sarebbe “disturbata” dalla presenza elevata di
solidi solubili si procede alla DETERMINAZIONE DELLA DENSITA’ DEL DISTILLATO
− PRINCIPIO: si basa sul fatto che >è il tenore di alcool, <sarà la densità della
soluzione idroalcolica
− PROCEDIMENTO: una volta distillato l’alcool dal campione di vino viene
determinata la densità sul distillato riportato con acqua al V iniziale del campione. Allo scopo si
utilizzano o degli appositi DENSIMETRI oppure la bilancia IDROSTATICA.
Per convenzione la densità si rileva a 20°C e viene
convertita in tenore alcolico mediante apposite
tabelle di conversione.
DETERMINAZIONE DEGLI ZUCCHERI RIDUCENTI CON IL REATTIVO DI FEHLING
Per quanto riguarda gli zuccheri, abbiamo detto che per lo più si tratta di zuccheri riducenti. Al termine
della fermentazione alcolica, se non ci sono stati problemi, il tenore di zuccheri riducenti è molto basso,
dato che sono stati trasformati in etanolo e quindi rimarrà un piccolo residuo zuccherino (0.5-1.5%, 5-8%
nei vini dolci)
Come abbiamo già visto nel caso del LATTE, la determinazione degli zuccheri riducenti può essere
effettuata con il reattivo di Fehling.
PROCEDIMENTO:
1. Riduzione degli ioni rameici Cu2+ della soluzione di Fehlig A (con Cu2+ a titolo noto) da parte degli
zuccheri e formazione di ossido rameoso Cu2O rosso
2. Aggiunta di KI in eccesso con I che riduce gli ioni Cu2+ rimasti che diventano Cu+ e si ha la formazione
di I2 (perché I si ossida)
3. Determinazione degli ioni Cu2+ residui dopo la riduzione effettuata da parte degli zuccheri del
campione mediante titolazione con tiosolfato dell’I2 prodotto
RISULTATO: la quantità di zuccheri presenti si stima come differenza fra il titolo iniziale degli ioni rameici e
la quantità di ioni rameici residui
Il risultato in genere, si esprime non tanto in termini di zuccheri ma quanto in termini di TITOLO
ALCOLICO. Si può esprimere come:
TITOLO ALCOLICO POTENZIALE = Zuccheri residui determinati * 0.6 (valore di conversione che in
pratica è la resa della fermentazione alcolica) oppure come..
TITOLO ALCOLICO TOTALE = TITOLO ALCOLICO POTENZIALE + quantità di alcool presente nel
campione determinata per altra via
Qui vediamo nel dettaglio
la procedura per la
determinazione degli
zuccheri riducenti con il
reattivo di Fehling.
I processi di vinificazione prevedono l’aggiunta di anidride solforosa SO2 in diverse fasi poiché la
presenza di SO2 è ritenuta indispensabile per un regolare svolgimento del processo. Sono stati
tuttavia ottimizzati anche dei processi di vinificazione che riducono o evitano del tutto l’aggiunta
di questo composto.
PROPRIETA’
La sua presenza in generale
1. Antifermentativa: nella sua forma libera inibisce lo sviluppo dei lieviti
inibisce lo sviluppo di m.o
2. Antibatterica: i batteri sono sensibili sia alla forma che a quella combinate dell’SO2
3. Antiossidante: in pratica è in grado di disattivare i potenziali ossidanti del vino (es. O2 oppure i chinoni
che derivano dall’ox dei composti fenolici)dunque per azione dei potenziali ossidanti l’SO2 si ossida a
solfito e a solfato e impedisce così che gli ossidanti possano reagire con gli altri componenti del vino
provocando per es. indesiderati cambi di colore e di sapore
4. In altre matrici alimentari inibisce l’imbrunimento non enzimatico (cioè si oppone alla Rx di Maillard)
contrastando la reazione fra gli zuccheri riducenti e i gruppi amminici liberi
5. Antiossidasico: l’SO2 viene definita “antiossidasica” perché è in grado di disattivare gli enzimi ossidanti
presenti nel vino e anche in altre matrici vegetali; questi enzimi sono per es. la laccasi e la
tirosinasiquesto genere di enzimi è in grado di catalizzare reazioni ossidative fra i composti fenolici
provocando ad es. l’imbrunimento dei tessuti vegetali (è quello che accade ad una fetta di mela lasciata
esposta all’aria che velocemente imbrunisce appunto per azione di questi enzimi)
6. Stabilizzante: l’SO2 svolge un ruolo molto importante ai fini della stabilizzazione del vino favorendo
l’allontanamento per precipitazione dei composti in sospensione
7. Solubilizzante: a tale scopo può essere aggiunta anche durante la fase di macerazione poiché è in grado
di destrutturare parzialmente le strutture cellulari favorendo così il rilascio dei composti (es. antociani)
dai tessuti dell’uva (bucce) al mosto
8. Tossico: in [ ] elevate è TOSSICA e alcune persone sono sensibili alla presenza di solfiti nei viniLIMITI
DI LEGGE 166mg/L nei vini rossi, 200mg/L nei vini bianchi
9. Influenza il gusto e l’odore del vino: se l’SO2 è presente in quantità eccessiva è responsabile di
caratteristici odori e sapori molto sgradevoli (per questo motivo si dice che la quantità di SO2 che si può
aggiungere a un vino si “autolimita”)
− ATTIVITA’ ANTIOSSIDANTE: grazie a questa attività è in grado di svolgere un azione di protezione sul
colore impedendo modificazioni di tonalità e di intensità, inoltre protegge dall’ossidazione i composti
responsabili dell’aroma del vino impedendo modificazioni indesiderate, evita fenomeni di
precipitazione spinta di polimeri che nel vino si potrebbero formare a seguito di reazioni di ossidazione
e che potrebbero portare alla precipitazione e perdita di composti colorati (si parlerebbe in questo caso
di “casse ossidasica”; quindi protegge contro la casse ossidasica)
− AZIONE STABILIZZANTE: evita fenomeni di rifermentazione nei vini dolci impedisce lo sviluppo di
batteri nei vini a bassa gradazione alcolica (evita difetti di spunto e di acescenza e lo sviluppo di
fioretta, grave malattia del vinoè un’alterazione del vino che si verifica in vini a basso tenore di alcool
lasciati a contatto con l’O, sulla superficie del vino si forma caratteristicamente un velo biancastro
prima molto sottile e poi sempre più spesso, responsabili di tale malattia sono i lieviti a metabolismo
aerobio che consumano alcool e zuccheri residui ed il vino risulta così soggetto all’azione di batteri
Per evitare che il vino venga attaccato da fioretta bisogna evitare il contatto prolungato con l’O, ma soprattutto utilizzare
appropriate quantità di anidride solforosa.
acetici che prendono il sopravvento e vanno a ossidare l’alcool etilico trasformandolo in acido acetico;
la malattia che subentra se il vino attaccato da fioretta non viene curato prende il nome di “spunto”
nella fase iniziale e di “acescenza” in quella finale),seleziona lieviti più efficaci durante la
fermentazione alcolica, impedisce la fermentazione malolattica se questa NON è desiderata
− SOLUBILIZZANTE: migliora l’estrazione delle sostanze presenti nelle bucce durante la macerazione
(tannini, antociani, aromi)
− NEUTRALIZZA L’ETANALE: contenute aggiunte di SO2 possono legare l’etanale che viene prodotto per
ossidazione dell’etanolo e correggere il cosiddetto difetto di “svanito”
− INFLUENZA GUSTO E ODORE
SO2 LIBERA = si intende la sua forma NON legata in maniera irreversibile a un qualunque componente del
vino. In pratica, l’SO2 libera è pari alla [ ] di SO2 in quanto tale che chiameremo “MOLECOLARE” e di
BISOLFITI visto che i solfiti in realtà si formano a un pH troppo alto
rispetto a quello normale del vino.
dal tenore di etanolo e dalle variazioni di T°: ad un pH costante (vicino a 3 come nel caso del vino) l’SO2
molecolare aumenta in funzione dell’aumentare dell’etanolo e della T°; a T° costante invece l’SO2
molecolare diminuisce
all’aumentare del pH nel
normale range di variazione del
vino a favore del bisolfito e
come prima l’SO2 molecolare
aumenta in funzione
dell’etanolo a parità del resto
delle altre condizioni.
Questo grafico riporta in proporzione le diverse forme nelle quali possiamo trovare l’SO2. Per convenzione
si definisce “libera” la somma della SO2 molecolare e del bisolfito non legato ad alcun componente del
vino. Abbiamo visto nelle diapositive precedenti che l’equilibrio fra queste forme è regolato dal pH, dalla T°
e dal tenore di etanolo. Aumenti di T° e di etanolo spostano l’equilibrio verso sinistra mentre aumenti di pH
lo spostano verso destra (dunque a favore del bisolfito libero). Il bisolfito a sua volta può legarsi in maniera
reversibile con altri componenti del mezzo (composti carbonilici, aa e proteine, composti fenolici ecc..)
l’equilibrio fra bisolfito libero e legato è regolato dalla T° e dalla [SO2]: aumenti di T°, favorendo il passaggio
di bisolfito libero a SO2 molecolare trascinano l’equilibrio verso sinistra mentre al contrario, aumenti di
[SO2 molecolare] indotti per es. dall’aggiunta di SO2 durante il processo, spingono l’equilibrio verso le
forme legate.
Il BISOLFITO è solo parzialmente efficace nella stabilizzazione microbica mentre mantiene pressoché
inalterata l’attività antiossidante e antiossidasica. Non ha odore ed è caratterizzato da gusto amaro.
Infine, il BISOLFITO LEGATO come tale è molto poco efficace e NON conferisce particolari odori e sapori al
prodotto.
una parte dell’SO2 aggiunta si combina sempre con le altre sostanze presenti nel mosto e nel vino e che
le forme legate dell’SO2 sono sempre meno efficaci rispetto a quelle libere.
Il contenuto di SO2 libera cambia in tutte le condizioni che favoriscono l’ossidazione, quindi travasi,
filtrazione, conservazione, imbottigliamento. Il dosaggio dell’SO2 è quindi molto importante perché
consente di ripristinare la quantità necessaria ad una corretta protezione del vino.
Se lo strippaggio viene effettuato direttamente sul vino (STRIPPAGGIO DIRETTO) si riesce a recuperare (e
quindi a determinare) SOLO l’SO2 molecolare. Invece, se al vino si aggiunge a freddo un acido forte
(STRIPPAGGIO in ambiente ACIDO A FREDDO), lo strippaggio consente di recuperare le forme libere e
dunque SO2 molecolare e bisolfito libero. Da questa frazione è possibile desumere mediante apposite
tabelle il contenuto della sola SO2 molecolare presente nel vino noto il pH, il contenuto di etanolo e la T°
del campione.
Invece, possiamo decidere di eseguire una rottura a caldo sempre in ambiente acido dei legami con le altre
specie presenti nel vino, per recuperare con lo strippaggio (STRIPPAGGIO ACIDO A CALDO) anche la
porzione legata, cioè l’SO2 combinata.
Dunque, con lo STRIPPAGGIO ACIDO A CALDO si determina l’SO2 totale mentre con lo STRIPPAGGIO
ACIDO A FREDDO si recupera l’SO2 libera quindi l’SO2 molecolare e i bisolfiti liberi.
La porzione di SO2 legata-combinata sarà calcolata come differenza fra quella totale e quella libera.
SO2 COMBINATA = SO2 TOTALE – SO2 LIBERA
2) METODO RIPPER (IODIO)
Un’altra possibilità per la determinazione dell’SO2 è basata sul metodo RIPPER. Questo metodo prevede la
titolazione del vino con IODIO in presenza di salda d’amido e si basa sulla riduzione dello IODIO
MOLECOLARE I2 da parte dell’SO2. Via via che lo iodio viene aggiunto viene ridotto dall’SO2 e quando tutta
l’SO2 è stata consumata la prima goccia di titolante provoca il viraggio al bruno della salda d’amido.
Se la titolazione viene effettuata direttamente sul vino si determina SOLO l’SO2 molecolare; invece se si
procede prima ad una idrolisi basica a caldo si libereranno tutte le forme combinate e quindi si determinerà
l’SO2 TOTALE.
I composti fenolici del vino sono determinanti per le proprietà sensoriali del prodotto. Definiscono infatti il
colore, il gusto AMARO, la sensazione tattile di ASTRINGENZA (per definire questa sensazione che induce
secchezza e rugosità del cavo orale e che concorre a definire il corpo e la persistenza del vino si usa la
parola “allappante”).
Dal p.d.v chimico la forma più semplice è il FENOLO, un derivato dal benzene che porta un gruppo ossidrile
direttamente legato all’anello.
Nel vino a seguito di naturali fenomeni di ossidazione mediati dall’O hanno origine i CHINONI, questi sono
composti che possono facilmente reagire con altri fenoli e con altri componenti del vino attraverso reazioni
di ossidoriduzione molto disparate che accompagnano tutta la vita del prodotto e ne modulano la stabilità
e le proprietà sensoriali. Per esempio le reazioni di condensazione dei tannini (altre molecole fenoliche di
struttura più complessa) mediate dai chinoni influiscono profondamente sul potenziale astringente di
queste molecole e anche sul gusto amaro indotto da fenoli a basso p.m.
Altre rx dei chinoni con i componenti del mezzo sono per es. quelle con gli aa e con componenti dell’aroma
varietale e concorrono a definire
l’aroma del vino.
La classe dei NON FLAVONOIDI: è costituita da molecole di struttura semplice con unico anello.
Appartengono a questa classe gli ACIDI FENOLICI e fra questi ricordiamo:
Gli acidi IDROSSIBENZOICI (come l’acido gallico, che è presente sottoforma di dimero a dare l’acido
ellagico ma anche in una forma polimerica a dare i cosiddetti tannini idrolizzabili); questa famiglia di
acidi è rilasciata anche dal legno delle botti con composti che sono responsabili dell’aroma peculiare
dei vini invecchiati nel legno (per es. l’acido vanillico e omologhi responsabili di aromi definiti come
tostato e vaniglia)
Gli acidi CINNAMICI (acido cinnamico, cumarico, caffeico) che per ossidazione possono dare
facilmente origine a composti volatili dall’odore sgradevole
*Gli acidi fenolici NON hanno odore (ma possono essere precursori di composti fenolici volatili responsabili
di note sgradevoli) e NON sono colorati ma se vanno incontro a ossidazione danno origine a derivati di
colore giallo. Normalmente nel
vino sono presenti in gran parte
come esteri dell’acido tartarico.
La classe dei FLAVONOIDI: a questa classe appartengono fenoli di natura più complessa. La loro
struttura chimica di base è rappresentata da due anelli fenolici con un eterociclo ossigenato. I diversi
flavonoidi si differenziano fra loro soprattutto in base alla struttura dell’eterociclo. Ai flavonoidi
appartengono:
I FLAVONI (come per es. la quercetina e la miricetina)
I FLAVONOLI (come per es. la di-diroquercetina)
Le ANTOCIANINE: sono caratterizzate da uno zucchero in posizione 3 sull’eterociclo (la forma non
glicosilata è definita antocianidina); possono essere presenti anche delle forme acidate per esempio
con acidi fenolici portati dallo zucchero. Nel vino rivestono una grandissima importanza per la
definizione del colore rosso. Sono estratte dalla buccia dove normalmente sono racchiuse in
strutture vacuolari che le proteggono dai fenomeni di ossidazione. Infatti le antocianine sono
molecole molto reattive e la loro [ ] in forma libera dopo l’estrazione dall’uva nel mosto cambia
molto velocemente a seguito di fenomeni di strutturazione all’interno di polimeri più complessi
sempre a base fenolica, inoltre possono essere perse a causa di fenomeni di ossidazione che
portano all’alterazione della struttura molecolare delle antocianine e alla perdita di colore oppure
possono essere perse durante la stabilizzazione del vino perché vengono intrappolate e precipitano
con i colloidi instabili. Il colore delle antocianine dipende fortemente dalle condizioni del mezzo: in
particolare dal pH e dalla presenza di SO2.
**APPROFONDIMENTO: LE ANTOCIANINE
RUOLO DEL pH: Il pH svolge un ruolo molto importante nel determinare il COLORE di queste molecole. In
generale possiamo dire che il colore si modifica da rosso vivo in condizioni molto acide fino a blu-viola in
condizioni di neutralità, per diventare incolore e giallo quando il pH del mezzo è basico. A pH molto acido,
inferiore a 3, la forma prevalente è quella cationica, detta del catione FLAVILIO rosso vivo. Nel range di pH
del vino si crea un equilibrio fra 2 forme, una a seguito di una reazione di deidratazione che è quella del
CATIONE FLAVILIO che per deprotonazione da origine alla BASE CHINOIDALE di colore blu-viola e che per
idratazione da origine alla PSEUDOBASE CARBINOLO (B+) che è incolore, rappresenta la forma più
abbondante ed’è in equilibrio con una forma giallo pallido che viene definita CALCONE (C).
Questo diagramma riporta le diverse proporzioni delle diverse forme degli antociani in funzione del pH del
mezzo. Al pH del vino posto circa pari a 3 solo il 20-30% degli antociani è presente nella forma colorata in
rosso, dunque come catione FLAVILIO, che nel diagramma è indicata dalla sigla H+. Più del 60% è presente
come base carbinolo incolore indicata nella figura con B. La restante %, molto piccola è rappresentata dalla
base chinoidale dal colore blu-viola indicata con A e dal
calcole giallo indicato con C.
I TANNINI diversamente dal principio che si è utilizzato fin ora per classificare i fenoli utilizzando la loro
struttura chimica sono definiti invece come classe su base funzionale, cioè si definiscono TANNINI i
polimeri a base fenolica in grado di indurre la precipitazione delle proteine, infatti questi polimeri sono in
grado di formare aggregati di grandi dimensioni con le proteine a dare appunto degli aggregati
macromolecolari insolubili. Questo fenomeno è alla base del potenziale astringente dei tannini, infatti i
tannini sono in grado di reagire con le proteine salivari responsabili della lubrificazione del cavo orale, ne
provocano la precipitazione causando così la perdita di lubrificazione delle superfici del cavo orale e
dunque la percezione della sensazione di astringenza. Inoltre secondo lo stesso principio facilitano
l’insolubilizzazione dei colloidi del vino e ne provocano la precipitazione durante la chiarifica. Infine,
reagendo anche con proteine ad attività enzimatica sono in grado di inibirne l’attività.
La struttura chimica è molto variabile in funzione: del numero e della posizione degli OH, della
stereochimica dei carboni asimmetrici e del tipo di legame fra le diverse unità.
In funzione della struttura chimica presenteranno un potere più o meno spiccato di precipitazione delle
proteine e quindi anche un diverso potenziale astringente. Le forme a grado di polimerizzazione molto
basso sono caratterizzate dal gusto amaro.
Ai tannini appartiene anche un’altra classe di polimeri che però è a base di acido gallico e acido ellagico, tali
polimeri sono definiti TANNINI IDROLIZZABILI e sono di natura esogena (cioè non derivano dall’uva ma
piuttosto dal legno delle botti oppure da preparati commerciali appositamente aggiunti durante la
vinificazione per conferire note aromatiche particolari). Inoltre, poiché questi fenoli hanno un elevato
potere antiossidante, sono sfruttati per proteggere le molecole più sensibili del vino dai fenomeni ossidativi
e dunque svolgono anche un ruolo di stabilizzazzanti del colore.
Dosare il tenore fenolico di un vino oppure di un mosto è estremamente importante visto il ruolo
determinante che queste molecole hanno nel definire le proprietà del vino.
*Sappiamo che l’assorbanza a 280nm è ASPECIFICA e nel vino però si assume che siano i fenoli i composti
principalmente responsabili dell’assorbanza a questa lunghezza d’onda.
2) Il metodo di scelta per determinare i fenoli nel vino ma in qualunque altra matrice alimentare è il
METODO CON IL REATTIVO DI FOLIN CIOCALTEUPRINCIPIO: è basato su una reazione di ossidoriduzione
che porta allo sviluppo di un intenso colore blu nel reagente quando viene ridotto dai fenoli del mezzo. Nel
vino però possono essere presenti degli interferenti, quindi altre sostanze in grado di partecipare a questa
reazione di ossidoriduzione e dunque indurre lo sviluppo di colore NON dovuto alla presenza dei fenoli. In
particolare sono interferenti: gli zuccheri riducenti (molto abbondanti nel mosto, acido ascorbico e SO2).
Per questo motivo è necessario allontanare queste sostanze dal vino o dal mosto prima di effettuare il
dosaggio; a questo scopo il vino diluito in acido viene caricato su una colonnina contenente una resina in
grado di legare i fenoli mentre gli interferenti possono essere facilmente allontanati mediante eluizione con
acido solforico diluito. Una volta che gli interferenti sono stati allontanati, i fenoli vengono eluiti a loro volta
in maniera specifica con una soluzione contenente metanolo; i fenoli vengono a questo punto fatti reagire
con il colorante in ambiente basico per circa 90minuti e successivamente viene determinata l’assorbanza a
760nm. RISULTATO: viene espresso come gr di fenolo per L di vino (per ottenerlo è necessario realizzare
una retta di taratura utilizzando un fenolo di riferimento che può essere l’acido gallico oppure la catechina).
DOVE TROVO I COMPOSTI FENOLICI? I composti fenolici sono presenti in diverse parti dell’acino d’uva, la
BUCCIA in particolare abbiamo detto che contiene gli ANTOCIANI in strutture cellulari fortemente
compartimentate ma anche una certa quantità di flavonoidi, in particolare TANNINI e PROCIANIDINE.
Un’altra porzione ricca in particolare di tannini è rappresentata dai vinaccioli, i semi dell’uva.
INFLUENZA DELLA MATURAZIONE NEI CONFRONTI DEI COMPOSTI FENOLICI: i composti fenolici cambiano
molto durante la maturazione dell’acino, in particolare la [antociani] aumenta a partire dall’invaiatura
(quando l’uva cambia colore) e prosegue per tutta la maturazione attestandosi ad una [ ] stabile quando
l’uva è perfettamente matura. Anche la struttura dei fenoli cambia: in particolare le procianidine e i tannini
tendono ad organizzarsi in strutture più complesse con un grado di polimerizzazione più elevato.
Il punto chiave è la possibilità di estrarre al meglio i composti fenolici dall’uva durante la maturazione.
Le strutture cellulari dell’acino rappresentano una barriera diffusionale all’estrazione dei composti fenolici.
Durante i processi di maturazione, le strutture più resistenti della parete cellulare e della lamella mediana
vanno naturalmente incontro a un processo di destrutturazione.. i tessuti diventano più morbidi e la loro
coerenza diminuisce grazie all’azione degli enzimi endogeni. Dunque l’estrazione dei fenoli sarà molto più
facile in un uva perfettamente matura che in un uva ancora acerba dove la compattezza delle strutture
cellulari rappresenterà un significativo ostacolo all’estrazione dei fenoli.
Anche i vinaccioli cambiano durante la maturazione: in particolare lignificano e diventano meno propensi a
rilasciare il loro contenuto di tannini nel mezzo. Questo è un fatto importante poiché i tannini dei vinaccioli
sono particolarmente reattivi, hanno un elevato potenziale astringente e dunque la possibilità di limitarne
l’estrazione è un fattore importante per le proprietà finali del prodotto.
Si sono sviluppati e godono di un certo successo perché consentono di individuare il momento migliore per
effettuare la vendemmia, tenendo conto non solo del tenore di zuccheri e acidi (come abbiamo visto nella
maturità tecnica) ma anche della quantità di fenoli che sono presenti nell’uva e soprattutto della possibilità
di estrarli nel mosto.
Parametri che influenzano il rilascio di fenoli nel mezzo: concentrazione, struttura e coesione delle pareti
cellulari.
L’INDICE DI ESTRAIBILITA’ DEI FENOLI si determina sottoponendo un campione d’uva, diviso in due aliquote,
a due estrazioni su piccolissima scala. Un’estrazione viene condotta pigiando l’uva e lasciandola macerare al
suo pH naturale (quindi prossimo a 3.2). L’altra aliquota viene invece macerata a pH molto basso, vicino a 1,
condizione questa che minimizza le barriere diffusionali del tessuto vegetale. Dopo l’estrazione si
determina il contenuto di ANTOCIANI su entrambe le aliquote supponendo che la quantità estratta a pH 1
rappresenti tutti gli antociani presenti nell’uva e invece quelli estratti a pH 3.2 siano la frazione di antociani
che verrà effettivamente estratta in condizioni reali di macerazione.
Se i due valori sono prossimi, significa che l’uva è MATURA, ed’è in grado di rilasciare nel mezzo la maggior
parte degli antociani presenti nel tessuto.
L’indice viene espresso in % come rapporto fra: la differenza fra il totale estraibile a pH 1 e quello estratto a
pH 3.2, fratto la quantità totale estratta.
+ questo rapporto sarà basso > sarà la tendenza al rilascioe dunque l’uva può essere considerata
matura dal p.d.v fenolico!
LA COPIGMENTAZIONE DELLE ANTOCIANINE ED IL SUO RUOLO NEL COLORE DEL VINO ROSSO
− E’ un fenomeno che avviene in soluzione e che coinvolge la reazione degli antociani con altre molecole-
componenti organici o inorganici del mezzo che possono essere colorate/i o meno che vengono
definite/i COFATTORI
− Dà origine ad associazioni molecolari (complessi) instabili. Nel vino oltre il 50% degli antociani liberi
sono presenti sottoforma di co-pigmenti. La stabilità dei co-pigmenti dipende: dalla composizione del
mezzo e dalla [ ] relativa dei reagenti
− Influenza profondamente il colore del vino poiché le associazioni molecolari antociani-cofattori
presentano un colore diverso da quello dei reagenti di partenza..si parla di effetto IPERCROMICO
quando l’intensità di colore del co-pigmento è superiore a quella dell’antociano libero di partenza e/o
di effetto BATOCROMICO quando lo spettro si modifica con uno spostamento del picco di
assorbanza verso lunghezze d’onda più alte.
I cofattori e lo ione FLAVILIO sono tenuti insieme da interazioni elettrostatiche, queste impediscono
l’idratazione e dunque la formazione della pseudo base carbinolo incolore.. Dunque l’intensità di colore del
vino in presenza di cofattori aumenta. L’aumento di colore dipende: oltre che dalle condizioni del mezzo
(come la [etanolo], la T° e il pH) anche dalla natura e dalla [ ] dei reagenti, sia antociani che cofattori.
I COFATTORI spesso sono molecole di natura fenolica come per es. i flavan-3-oli e gli acidi fenolici; Anche le
antocianine stesse possono associarsi fra di loro a dare co-pigmenti. Altri cofattori NON di natura fenolica
possono essere per es. gli amminoacidi.
Una data coppia antociano-cofattore dà un colore del co-pigmento che dipende: dalla [reagenti], dal loro
rapporto molare e dalla loro affinità relativa oltre come si diceva dalla composizione del mezzo in termini di
[etanolo] e di pH.
Quindi questo fenomeno è responsabile della variazione di colore di vini con composizione di antociani e
cofattori diversi ed influenza profondamente l’evoluzione del colore del vino durante la maturazione e
l’invecchiamento.
La copigmentazione e i suoi effetti sul colore sono stati molto studiati in soluzioni modello mettendo a
reagire in condizioni standard un antociano e un cofattore e osservando le variazioni dello spettro del
relativo co-pigmento. Ad es. dalla reazione della cianidina in rapporto 3:1 con un dato cofattore a pH 3.5
risulta un effetto ipercromico quindi un aumento di Abs del 65% quando il cofattore è un acido fenolico;
quando invece il cofattore è un flavone (come può essere la quercetina), oltre a un effetto ipercromico del
200% si osserva anche uno shift batocromico di circa 20nm; nel caso della vitexina (un altro flavone)
l’effetto ipercromico arriva al 350% ed’è sempre accompagnato da uno shift batocromico di circa 20nm.
Gli antociani all’interno del co-pigmento sono protetti da reazioni di degradazione che porterebbero alla
perdita di colore della molecola quindi i co-pigmenti rappresentano una specie di “scorta” di antociani che
vengono gradualmente rilasciati nel vino durante la maturazione dove possono andare incontro a ulteriori
reazioni di associazione con molecole fenoliche a dare questa volta pigmenti associati stabilmente.
Il grafico qui sotto riporta un esempio delle conseguenze della copigmentazione antociani+procianidine sul
colore del vino durante la sua maturazione. In particolare mostra l’evoluzione della [antociani liberi] dopo 1
mese nelle barre viola chiaro e dopo 8 mesi nelle barre viola scuro nella maturazione di un vino che era
stato aggiunto di [ ] crescenti di procianidine.
La [antocianine libere] diminuisce molto velocemente come abbiamo visto dal grafico precedente però
questo non comporta una modificazione altrettanto importante e significativa di intensità e tonalità del
colore.
Gli antociani liberi infatti reagiscono con altri composti fenolici del vino (reazioni di condensazione diretta,
o mediata da aldeidi, reazioni con composti a basso p.m come acido piruvico e acidi fenolici..) e danno
origine a pigmenti stabili molto più resistenti agli agenti che possono indurre perdite di colore. Le
conseguenze sul colore di queste reazioni sono state studiate in soluzioni modello nelle quali è stata
catalizzata la formazione di complessi stabili fra antociani e altri complessi fenolici e quindi sono state
osservate le conseguenze sullo spettro di assorbimento di questi complessi. Vediamo le conseguenze di
queste reazioni sulle proprietà delle antocianine e i vantaggi che gli derivano.
CONDENSAZIONE ANTOCIANINA-
FLAVANOLO
La condensazione con il flavan-3-olo provoca uno shift batocromico di circa 15nm con una modificazione
del colore dal rosso vivo al rosso-viola.
Vediamo che la natura dei sostituenti influenza l’INTENSITA’ del colore dei
relativi complessi!
Gli antociani liberi sono soggetti all’azione ossidante dell’SO2 che legandosi alla molecola di antociano ne
provoca la perdita di colore.
DOSAGGIO-STIMA DEL
CONTENUTO DEGLI
ANTOCIANI LIBERI1) METODO DELLO SBIANCAMENTO CON SO2
La stabilità dei complessi antociano-fenoli nei confronti dell’SO2 è sfruttata nella determinazione del
contenuto di antociani liberi e degli antociani legati utilizzando un metodo che viene detto “dello
SBIANCAMENTO CON SO2”. Quindi:
− PRINCIPIO: si basa sulla stabilità dei complessi antociano-fenoli nei confronti dell’SO2; in particolare si
basa sulla suscettibilità degli antociani liberi all’azione sbiancante dell’SO2.
− MATERIALI E REAGENTI: Spettrofotometro, provette da 10ml, cuvette, Na2S2O5 30%, Hcl 0.1% in
EtOH, HCl 2%
− PROCEDIMENTO: per effettuare questa determinazione il vino viene prima diluito in un mezzo acido (a
0.5ml di campione di vino viene agg 0.5ml di EtOH acido e 10ml di HCl), questo sposta l’equilibrio degli
antociani liberi verso la forma cationica colorata in rosso. Il campione (cioè la soluzione ottenuta) viene
diviso in 2 aliquote da 1.6ml: alla prima viene aggiunta 0.6 ml acqua e viene determinata l’Abs a 520nm
(questo valore corrisponde agli antociani totali Atot presenti nel campione), alla seconda aliquota
invece viene aggiunta 0.6ml SO2 (che si lega e scolora gli antociani liberi presenti nel mezzo) e viene
determinata l’Abs a 520nm (che in questo caso corrisponde al contenuto di antociani legati-resistenti
Ar che appunto sottoforma di complessi stabili NON hanno risentito dell’azione ossidante dell’SO2).
− RISULTATO: la quantità di antociani liberi si calcola come differenza fra gli antociani totali e quelli
resistenti. Quindi si sottrae dal valore di Abs della 1 aliquota Atot quello della 2 aliquota Ar, ma il
risultato si esprime in mg (o gr) di antociani liberi/Lt (o ml) di campione! Quindi come si fa a
trasformare l’Abs in un valore di concentrazione?
Possiamo seguire 2 diverse procedure: o si va a costruire ed utilizzare una retta di taratura ottenuta con
un antociano standard (procedura + sicura, sempre applicabile) oppure si moltiplica il valore di Abs
calcolato per gli antociani liberi per 875 che è un fattore di conversione fisso (ma attenzione! questa
procedura è corretta solo se si rispettano rigorosamente tutti i fattori di diluizione dettagliati nella
procedura).
2) STIMA DEL CONTENUTO DI ANTOCIANI LIBERI MEDIANTE SEPARAZIONE SU Sep-PackC18
In alternativa, gli antociani liberi possono essere estratti dal vino in maniera selettiva utilizzando una
colonnina con una resina C18. Quindi:
PRINCIPIO: assorbimento ed eluizione selettiva degli antociani liberi sulla resina C18.
PROCEDIMENTO: In questo caso, il vino viene diluito con un acido e caricato sulla colonnina.. i fenoli sono
trattenuti sulla resina mentre gli interferenti possono essere eliminati per eluizione con un acido diluito.
Successivamente si procede a una seconda eluizione selettiva con una miscela acido solforico-acetonitrile
che è in grado di eluire in maniera selettiva rispetto agli altri fenoli solo gli antociani liberi. A questo punto
viene determinata l’assorbanza a 520nm della frazione eluita e la [ ] di antociani liberi può essere calcolata
facendo ricorso ai valori di una retta di taratura con un antociano standard.
Una terza possibilità per stimare le varie forme libere e strutturate degli antociani consiste nella
determinazione dell’assorbanza su 3 aliquote di vino diversamente
trattate.
PROCEDIMENTO:
− Nella prima aliquota di vino viene aggiunta Acetaldeide che catalizza la formazione di complessi stabili
fra gli antociani residui e gli altri composti fenolici e allo stesso tempo stabilizza i copigmenti. La
determinazione dell’assorbanza a 520nm in quest’aliquota corrisponde al contenuto totale dato da
antociani liberi, copigmenti e forme complessate polimeriche.
− La seconda aliquota invece viene diluita, questo provoca la dissociazione dei co-pigmenti e il
conseguente cambio di colore dovuto al ritorno degli antociani nella loro forma libera originale.
L’assorbanza misurata di questa frazione a 520nm quindi è dovuta a tutti gli antociani liberi (compresi
quelli inizialmente associati ai cofattori) e a quelli stabilmente complessati, quindi permette di avere un
idea del contributo al colore del vino imputabile ai copigmenti.
− Infine, alla terza aliquota si aggiunge SO2, l’assorbanza residua in questo caso è solo quella degli
antociani in forma stabilmente condesata.
LA DETERMINAZIONE DEL COLORE
Quando si vuole descrivere il colore di un vino in termini di assorbanza nel visibile è possibile determinare
la sua assorbanza a lunghezze d’onda specifiche.
Il campione di vino da analizzare però NON PUO’ essere diluito poiché questo provocherebbe la
dissociazione dei co-pigmenti quindi la perdita dei complessi instabili e dunque un cambio di colore. D’altro
canto non può essere eletto direttamente poiché la [ ] dei composti colorati è molto superiore alla
sensibilità dello spettrofotometro. Per ovviare a questa limitazione si utilizzano cuvette particolari dal
cammino ottico molto ridotto rispetto a quelle standard, infatti mentre quelle standard hanno un cammino
ottico di 1cm, quelle per la determinazione del colore del vino hanno un cammino ottico pari a 1mm.
Questo accorgimento permette di leggere direttamente il campione nello spettrofotometro senza diluire
riportando i valori di assorbanza a range di sensibilità dello strumento.
Le lunghezze d’onda che si considerano sono: 420nm nel giallo-arancio, 520nm nel rosso e 620nm nel blu-
viola.
L’intensità totale è calcolata come somma delle assorbanze alle tre lunghezze d’onda.
La tonalità, intesa come tendenza all’arancio, viene calcolata dal rapporto fra l’assorbanza a 420 e
l’assorbanza a 520.
Le tecniche cromatografiche possono essere di grande importanza per caratterizzare il patrimonio fenolico
di un vino o di un uva con riferimento particolare agli antociani. In genere, a tale scopo si utilizzano
separazioni mediante HPLC e i risultati di queste analisi consentono:
− Di seguire la modificazione del patrimonio di fenoli colorati nell’uva durante la maturazione oppure nel
vino durante la vinificazione o l’invecchiamento
− Di determinare il profilo dei composti colorati in
una data materia prima o prodotto
− Di valutare l’effetto di interventi sulle condizioni
di processo sul profilo fenolico
− Di studiare le relazioni fra la struttura e il colore
Questa diapositiva riporta l’evoluzione della strutturazione degli antociani durante la maturazione
del vino. A sinistra abbiamo i cromatogrammi relativi a un vino giovane e a destra i
cromatogrammi relativi allo stesso vino dopo l’invecchiamento.
I cromatogrammi riportati in ALTO sono stati ottenuti mediante l’uso di un rivelatore a 520nm
mentre i cromatogrammi riportati in basso sono stati ottenuti utilizzando un rivelatore a 280nm.
Possiamo seguire la diminuzione durante la maturazione del vino della [antociani liberi]
confrontando il picco nel riquadro rosso nel vino giovane a sinistra e nel vino invecchiato a destra
che è accompagnata dall’aumento di composti colorati con un tempo di ritenzione > di quello degli
antociani liberi che si possono osservare nel riquadro in arancio. Questo picco, che aumenta con
l’invecchiamento corrisponde alla formazione di composti polimerici colorati fra antociani e altri
fenoli durante appunto la maturazione del vino come testimonia anche l’aumento dell’area del
picco nei cromatogrammi sottostanti rilevata con il rilevatore a 280nm.