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ANALISI CHIMICA E FISICA DEGLI ALIMENTI (2° anno, 2° semestre) 6CFU orale

Prof.ssa Dinnella

MODULO 1 : LATTE ALIMENTARE


La ghiandola mammaria bovina

La mammella è una ghiandola tubulo alveolare composta a secrezione apocrina; è suddivisa in due metà
distinte, separate da tessuto connettivo e dai legamenti sospensori mediani. Tale separazione destra e
sinistra appare facilmente per la presenza di un solco intermammario, più evidente osservando il posteriore
della bovina. Ciascuna metà è costituita da due ghiandole, anteriore e posteriore, dette comunemente
quarti o quartieri.

Nella mammella si distinguono:

 La cute, delicata con peli radi e sottili e numerose ghiandole sebacee e sudoripare
 Il sottocute, ricco di vasi sanguigni
 Le fasce, sostengono le mammelle (sono 4: 2 laterali e 2 mediali)
 Il capezzolo, è una formazione conico-cilindrica che origina dal corpo ghiandolare
 Il corpo ghiandolare, costituito dalla componente secernente (o ghiandolare) e dai dotti escretori

La componente secernente è organizzata in lobi ghiandolari, ognuno dei quali contiene diversi lobuli
(gruppi di alveoli circondati da tessuto connettivale).

Gli alveoli mammari sono strutture a forma di sacco acinoso (0.1-0.3 mm) considerate le unità produttive
perché è dove il latte viene sintetizzato e secreto. La parete degli alveoli, delimitata da membrana basale, è
formata da 2 tipi di cellule:

 Le c. mioepiteliali, di forma irregolare con prolungamenti ramificati, che contraendosi consentono il


passaggio del latte dagli alveoli all’interno dei dotti (questo avviene grazie all’ormone ossitocina la cui
produzione è stimolata dall’attività di suzione)
 Le c. secernenti di forma cubica o cilindrica

Ogni lobo fa capo a un proprio dotto escretore (o galattoforo); ogni dotto galattoforo all’interno del lobo si
divide in più dotti lobulari che raggiungono i singoli lobuli; questi proseguono poi nei dotti alveolari. I dotti
galattofori sboccano nella cisterna del latte (o cisterna mammaria) dove il latte sosta fino alla mungitura,
questa continua con la cisterna capezzolare a cui segue il canale del capezzolo che termina e sfocia
esternamente con l’orifizio del capezzolo (regolato da uno sfintere) in corrispondenza del quale è presente
un tappo di cheratina.
Lattogenesi

Processo attraverso il quale le cellule alveolari acquistano la capacità di secernere latte.

L’attività secretiva della ghiandola mammaria è dovuta all’ormone prolattina (PRL) secreto dall’ipofisi
anteriore.

Durante la gravidanza la presenza di progesterone nel circolo ematico è il principale inibitore della
lattogenesi in quanto limita la secrezione di PRL da parte dell’ipofisi. Al parto, si ha una caduta dei livelli
ematici di progesterone, la PRL entra in circolo ed inizia la secrezione del latte (secreto subito dopo il parto:
colostro)

Il latte prodotto durante la lattazione è il risultato dei seguenti processi:

1. Sintesi dei componenti del latte: avviene nella ghiandola mammaria a partire da precursori captati dal
sangue (es. sintesi di proteine a partire da AA, lipidi a partire dagli A.G e glicerolo, lattosio a partire dal
glucosio) altri componenti saranno invece direttamente trasferiti dal sangue al latte (minerali, vitamine,
acqua, sost. Aromatiche..). Per questo la produzione di latte è legata al circolo sanguigno (per la
formazione di 1kg di latte debbono attraversare la mammella circa 400 lt di sangue)
2. Secrezione del latte: consiste nel riversamento dei composti di neosintesi mammaria e delle altre
sostanze provenienti dal sangue al lume dell’alveolo
3. Eiezione del latte: è il meccanismo di trasferimento progressivo del latte secreto dall'alveolo nei dotti
alveolari, nei dotti galattofori e nella cisterna della mammella. Avviene a partire dalla contrazione delle
c. mioepiteliali.

Cos’è il latte

Il latte è un liquido alimentare bianco secreto dalla ghiandola mammaria di femmine di mammiferi.

E’ una miscela complessa di molte sostanze diverse di notevole importanza nutrizionale (principi nutritivi:
proteine, vitamine, grassi e sali minerali) il cui valore alimentare dipende principalmente dal suo contenuto
di proteine: lattoalbumina, lattoglobulina e protidi complessi (caseinogeno, una fosfoproteina che,
coagulando, dà la caseina) importanti dal p.d.v della caseificazione. In particolare, la caseina e la
lattoalbumina sono proteine complete, cioè contengono tutti gli aminoacidi necessari per il fabbisogno del
nostro organismo.

COMPOSIZIONE: quali sono i


componenti del latte e in che
forma fisica sono presenti

Zuccheri (lattosio), Sali, vitamine idrosolubili, sostanze


azotate non proteichein soluzione

Proteinein fase colloidale

Caseine presenti sottoforma di micelle in sospensione

Lipidi presenti sottoforma di globuli ricoperti da una


membrana fosfolipidica, si tratta di goccioline disperse
nell’acqua e quindi si parla di emulsione (è un’emulsione
olio-acqua)
Cause di variazione della composizione del latte

 Fattori ereditari: attitudine soggettiva, razze


 Stato fisiologico:
stadio di lattazione: grasso e proteine raggiungono il minimo alla 10 settimana e quindi aumentano fino
alla fine della lattazione (45 settimana)
colostro: ricco di proteine (immunoglobuline), grasso anticorpi. Poco lattosio. Instabile ai trattamenti
termici e poco adatto alla trasformazione
malattie: fenomeni mastitici scarsa funzionalità della mammella.
 Fattori ambientali: stagione, clima, alimentazione

LA MATERIA GRASSA

La quantità di grasso nel latte è estremamente variabile (3-4.6%)

 Trigliceridi (molecole ottenute dall’unione di una molecola di glicerolo con 3 acidi grassi) 98-99%
 Fosfolipidi 0.01-0.03% (emulsionanti, componenti membrane)
 Steroli (colesterolo) 0.25-0.40
 Componenti minori: ac. grassi liberi (ac.butirrico), carotenoidi, Vit. Liposolubili (A,D,E,K)

Caratteristiche distintive: composizione acidica molto varia*

2/3 ac.grassi saturi

 Volatili: butirrico, caproico, caprilico, caprico, laurico


 Fissi: miristico, pentadecanoico, palmitico, stearico, arachico

1/3 ac.grassi insaturi essenziali elevata proporzione ac.grassi volatili

 Monoinsaturi: palmitoleico, vaccinico, stearico


 Polinsaturi: linoleico, linolenico, arachidonico

Nel latte i lipidi sono dispersi sotto forma di globuli di grasso (circa 1 miliardo per ml) di dimensioni molto
variabili (da 0,1 a oltre 10 μm) avvolti da una membrana. Per questo chimicamente il latte è definito come
un'emulsione di olio in acqua.

La membrana dei globuli di grasso

Composizione: fosfolipidi, lipoproteine, carotenoidi,


steroli

Funzioni: svolge l’importante ruolo di stabilizzazione del


globulo di grasso in emulsione; protettiva (per es contro
le lipasi); proprietà adsorbenti; proprietà agglutinanti
(affioramento)
Perché determinare il contenuto lipidico del latte?

 Valore nutrizionale
 Proprietà dei prodotti
 Conformità alle specifiche

Metodi per quantificare il contenuto lipidico (cioè la quantità di grasso) nel latte:

1. Metodi analitici basati sul carattere idrofobico di queste sostanze:


principio: estrazione in solventi organici
solubilità dei lipidi nel solvente scelto
capacità di dissociazione dei complessi lipidi/macromolecole
2. Metodi di estrazione senza solvente
3. Metodi strumentali basati sulle proprietà chimiche e fisiche

 ESTRAZIONE SENZA SOLVENTE (metodo ufficiale)

BABCOCK e GERBER : metodi ufficiali AOAC (Association of Official Analytical Chemists) per la determinazione del
contenuto lipidico del latte

Principio: H2SO4 (acido solforico) aggiunto al latte digerisce la frazione proteica e scompagina
l’organizzazione della fase lipidica permettendo la separazione dei lipidi dalla fase acquosa.

La quantità di grasso presente viene direttamente determinata sulla scala riportata sulla bottiglia di
Babcock e sul butirrometro di Gerber.

DETERMINAZIONE DELLA MATERIA GRASSA CON IL METODO GERBER

 SCOPO: determinazione del contenuto lipidico del latte


 PRINCIPIO: rottura dell’emulsione olio/acqua mediante l’uso di un acido forte e successiva separazione
di fase

Cioè si utilizza acido solforico per sciogliere tutti i componenti del latte ad eccezione dei grassi, che possono
essere separati per centrifugazione, in più sarà aggiunto alcol amilico per estrarre la materia grassa
impedendone la carbonizzazione.

 VETRERIA: butirrometro di Gerber per il latte vaccino (costituito da una speciale provetta da
centrifuga), pipetta a bolla da 11 mL, termometro, centrifuga riscaldata
 REAGENTI: H2SO4 90%, alcool isoamilico hanno la funzione di solubilizzare il grasso del latte e separare le fasi
 PROCEDIMENTO:
1. Porre 10 mL di H2SO4 90% nel butirrometro
2. Aggiungere lentamente 11 mL di latte tenendo la pipetta a leggero contatto con la superficie dell’acido
3. Aggiungere 1 ml di alcool isoamilico C5H11OH
4. Chiudere il butirrometro (contenente H2SO4, latte e alcool amilico) con l’apposito tappo di gomma
5. Capovolgere e agitare energicamente fino a consentire il completo mescolamento dei reagenti
6. Immergere il butirrometro in un bagno a 65°-70°C per 10-15 minuti (si scalda a bagnomaria)
7. Centrifugare a 65°C per 15 minuti (la centrifugazione ci consente di separare i grassi)
8. Estrarre il butirrometro dalla centrifuga e leggere direttamente il risultato sulla scala graduata
 RISULTATO: al termine delle precedenti operazioni si formano 3 strati:
1. in mezzo uno strato rosso scuro o violaceo, composto dalle sostanze organiche
demolite dall’acido solforico
2. sopra uno strato oleoso trasparente di colore giallastro composto dalla sostanza
grassa
3. sul fondo uno strato sottile biancastro, composto da sali minerali e sostanze
insolubili

Facendo coincidere lo zero della scala graduata con la linea di separazione degli strati rosso
scuro e giallastro (agendo sul tappo con lo spingitappo facendo pressione e depressione), si
legge il valore % di materia grassa (quindi sulla scala dello strumento si legge direttamente la
% di grasso (g/100ml)). E’ una % m/V.

 ESTRAZIONE CON SOLVENTE (estrazione liquido-liquido)

DETERMINAZIONE DELLA MATERIA GRASSA CON IL METODO GRAVIMETRICO SECONDO ROSE-GOTTLIEB

 SCOPO: determinazione del contenuto lipidico del latte


 PRINCIPIO: solubilizzazione della frazione proteica in soluzione ammoniacale e solubilizzazione della
sostanza grassa in solvente organico. Rimozione del solvente e determinazione della materia grassa per
via gravimetrica
 Campo di applicazione: latte liquido
 REAGENTI: ammoniaca al 25%, etanolo 95%, miscela etere etilico/etere di petrolio 1:1
 PROCEDIMENTO:
1. Pesare 10 gr di campione ed aggiungere 1.5 ml di soluzione di ammoniaca al 25% (fluidifica le proteine),
mescolare e aggiungere 10 ml di EtOH (determina la precipitazione delle proteine)
2. Trasferire la miscela (latte, sol. ammoniacale, etanolo) in imbuto separatore ed estrarre con tre
aliquote di etere etilico/etere di petrolio (1:1). Raccogliere le aliquote organiche in un pallone (cioè si
travasa lo strato superiode a < densità costituito da solvente,cioè la miscela etere et/etere di petr 1:1, e
prodotto, cioè il grasso, in un pallone)
3. Allontanare il solvente per evaporazione mediante distillazione e porre il pallone in stufa a 102°C per 1
ora. Raffreddare in essicattore e pesare su bilancia analitica. Ripetere fino a peso costante.

Sottoporre alla stessa procedura una prova in “bianco” (acqua al posto del campione)

 RISULTATO: rapporto tra differenza in peso fra il peso del pallone con la miscela organica e il peso del
pallone dopo allontanamento del solvente corretto per il peso determinato nella prova in bianco e i gr
di campione utilizzato, tutto moltiplicato per 100
%grasso= (g grasso/g campione utilizzato per l’analisi)x100

**RICORDA..

L’estrazione con solvente è una tecnica che viene utilizzata solitamente per separare da una miscela
acquosa un soluto, purché poco solubile in acqua. A tal fine si sceglie un solvente insolubile in acqua, ma
capace di sciogliere il soluto.

La miscela acquosa e il solvente vengono agitati insieme in un imbuto separatore e successivamente lasciati
a riposo per breve tempo. Si ottengono 2 strati: lo strato superiore (a minor densità) è costituito in genere
dal solvente, in cui è disciolta la maggior parte del prodotto; lo strato inferiore (a minor
densità) consiste nella miscela acquosa, da cui il solvente ha estratto il prodotto.

L’imbuto s. viene fissato a un sostegno e il rubinetto viene leggermente aperto. La miscela


acquosa viene raccolta all’interno di un contenitore. Raccolto tutto il liquido più denso, si
chiude il rubinetto e si cambia contenitore sotto l’imbuto. Si procede alla raccolta della
soluzione contenente solvente+prodotto. La soluzione acquosa viene sottoposta a ulteriore
estrazione usando altro solvente così da rimuovere quasi tot il prodotto.

Infine, si uniscono i diversi campioni della soluzione solvente+prodotto e si allontanano le


traccie di acqua mediante un agente disidratante. Si rimuove il disidratante tramite
filtrazione e si ottiene il prodotto della soluzione asportando il solvente tramite distillazione
(tecnica di separazione che consente di separare i componenti di una soluzione sfruttando
la loro diversa volatilità ossia la tendenza di una sostanza ad evaporare).

GLI ZUCCHERI

I glucidi del latte sono essenzialmente rappresentati dal lattosio (4,6%)

Caratteristiche del lattosio:

 E’ un disaccaride: glucosio + galattosio


Cioè la molecola del lattosio è costituita da una molecola di D-galattosio e da una di D-glucosio unite da
un legame con legame β(1−4) cioè tra il carbonio 1 del galattosio ed il carbonio 4 del glucosio;
 E’ presente solo nel latte in quanto viene sintetizzato per azione enzimatica della lattosio-sintetasi
dalle cellule alveolari della ghiandola mammaria (per questo è un indice di funzionalità della ghiandola
mammaria) a partire dal glucosio ematico (cioè il glucosio filtra dal sangue, a livello del citoplasma
delle cellule degli alveoli mammari viene isomerizzato a galattosio e infine grazie all’azione della
lattosio sintetasi, viene legato ad un residuo di glucosio e si forma così lattosio);
 Sapore dolce;
 E’ coinvolto in reazioni di modificazione di colore ed aroma a seguito di riscaldamento (imbrunimento
non enzimatico, Rx di Maillard);
 concentrazione costante per controbilanciare la pressione osmotica del
sangue;
 E’ un substrato per fermentazioni microbiche (è zucchero fermentescibile)
Fermentazione lattica: 1 molecola di lattosio  4 molecole di acido lattico
importante in molti processi di caseificazione ma da evitare nel latte
destinato all'alimentazione per ragioni di sicurezza (è un indice di mancato
controllo della microflora) per modificazione delle proprietà sensoriali, per
instabilità della frazione caseinica, aumento della concentrazione delle
sostanze in soluzione, aumento dell’ acidità (quindi abbass di pH);
 E’ uno zucchero riducente per la presenza di un gruppo aldeidico libero (è
l'unità del glucosio ad avere il gruppo aldeidico "libero" responsabile delle
proprietà riducenti del lattosio).

Uno zucchero riducente è uno zucchero qualsiasi che, in soluzione, possiede un gruppo aldeidico
(RCOH) o chetonico (RCOR’). Ciò consente allo zucchero di agire come agente riducente (specie chimica che
cede elettroni ad un'altra specie chimica) per esempio nella reazione di Maillard ecc;
 E’ una sostanza otticamente attiva (una sostanza è otticamente attiva o chirale quando, posta in
soluzione e attraversata da una luce polarizzata piana, è in grado di ruotare di un certo angolo la luce) e
destrogira perché capace di ruotare il piano della luce polarizzata in senso orario;
 Determinazione:
 basata sulle proprietà chimiche (determinazione zuccheri riducenti con il reattivo di
Fehling)
 basata sulle proprietà fisiche (polarimetria-polarimetro)
 metodo enzimatico (reazione accoppiata ad una reazione red-ox che genera un
segnale UV)

DETERMINAZIONE DEL LATTOSIO REATTIVO DI FEHLING

 SCOPO: determinazione del contenuto di lattosio del latte


 PRINCIPIO: riduzione del reattivo di Fehling (da un sale di Cu2+ blu ione rameico a Cu2O
ossido rameoso rosso)

La determinazione della quantità di lattosio presente nel latte si basa su una reazione di
ossidoriduzione. Il gruppo carbonilico degli zuccheri aldeidici o chetonici, si ossida per
trattamento a caldo con una soluzione di rame. A questo punto il rame, presente nel
reattivo di Fehling, si riduce e si forma l’ossido rameoso (Cu₂O) di colore rosso mattone. Il
Blu di metilene è un indicatore di ossidoriduzione: quando il rame (Cu2+) presente nel
reattivo di Fehling aggiunto è stato tutto ridotto e quindi consumato, il lattosio aggiunto in più, riduce il blu
di metilene e indica la fine della titolazione.

 VETRERIA: matraccio tarato da 100 mL, buretta, beuta da 200 ml


 REAGENTI: Ac. Acetico, Reattivo di Fehling A CuSO4 (solfato di rame), Reattivo di Fehling B (sodio
potassio tartrato in NaOH, cioè tartrato di sodio e potassio (sale di Seignette) + NaOH idrossido di
sodio), Blu di metilene (colore blu in ambiente ossidante che si converte in incolore in ambiente
riducente)
 PROCEDIMENTO:
1. Porre nel matraccio 5 g di latte e 50ml di acqua
2. Aggiungere qualche goccia di ac. acetico e scaldare a bagno maria (si immerge in acqua bollente) fino a
completa coagulazione (le caseine precipitano trascinando con loro i globuli di grasso, così si ha la
separazione delle proteine e della materia grassa dal siero contenente il lattosio)
3. Portare al volume di 100ml con acqua, agitare e filtrare tutto il contenuto del matraccio. Si ottiene così
come liquido filtrato, un siero limpido contenente il lattosio, che viene messo in una buretta sul quale
ora determiniamo il lattosio per via volumetrica con il reattivo di Fehling
4. Preparare il reattivo di Fehling: in una beuta si versano 5 ml di reattivo A, 5 ml di reattivo B e 40 ml di
acqua e dopo aver mescolato si ottiene una soluzione di colore blu-azzurro (contiene una
concentrazione di sale di rame che può essere ridotto da 0.0687 g di lattosio). Si aggiunge poi qualche
goccia di blu di metilene; si porta a ebollizione alla fiamma del bunsen e poi si titola con il siero fino allo
scoloramento del blu tipico del liquido di Fehling e la comparsa del colore rosso mattone;
5. Iniziare a far gocciolare nella beuta il siero dalla buretta. La soluzione nella beuta diventa verdastra
(Cu2+ e indicatore, Blu + CuO2 che si è formato, rosso  soluzione verde)
6. Quando è stato aggiunto tanto siero che tutto il rame Cu2+ è stato consumato-ridotto la prima goccia
aggiunta di siero (titolante) riduce l’indicatore (diventa incolore) e la soluzione vira blu-verdastro al
rosso vivo.
FATTORI che cambiano la [lattosio] e quali sono le conseguenze: 1)carica microbica (i batteri lattici consumano il lattosio che diminuisce e si produce acido
lattico a causa di una fermentazione incontrollataaumento acidità, abbassamento del pH). La legge fissa dei limiti di acidità e pH, il legislatore è così
stretto perché fa un assunto: se aumenta tanto la [acido lattico] e si sono sviluppati tanto i batteri lattici (che non sono un problema in sè) nulla toglie che
si siano sviluppati anche altri m. patogeni queste alterazioni sono indicatori di mancato controllo delle condizioni igeniche e soprattutto dello stoccaggio
(non ho rispettato la catena del freddo).. altri motivi che portano alla diminuzione di lattosio e ci mettono in allarme dal p.d.v
della sicurezza: fenomeni mastitici

7. Leggere sulla buretta la quantità di siero aggiunta necessaria per ridurre il reattivo (che
dunque contiene 0.0687 g di lattosio) .

 RISULTATO: I ml di siero utilizzati per ridurre il reattivo di Fehling rappresentano il


responso analitico, da questi risalgo alla quantità di lattosio presente

Siano n i ml aggiunti di siero per ridurre completamente il reattivo e 0,0678 i grammi di lattosio necessari a
ridurre i 10 mL del reattivo di Fehling (questi due dati li conosco)

n ml : 0.0687g lattosio = 100 ml (V tot di siero ottenuto da 5g di latte portato a volume con H2O) : x
x = gr di lattosio contenuti nel siero ottenuto da 5 g di latte
gr lattosio (x) : 5g latte = x : 100g latte
x = g lattosio % (p/p).

DETERMINAZIONE DEL LATTOSIO MEDIANTE POLARIMETRIA

La polarimetria è un metodo di analisi ottico basato sull'interazione radiazione-


materia, che si basa sulla capacità delle molecole chirali di deviare il piano della luce

polarizzata linearmente.

La luce è un'onda elettromagnetica che consiste in


un campo elettrico E e un campo
magnetico H oscillanti, che possono essere
rappresentati da vettori perpendicolari tra loro, e
perpendicolari alla direzione di propagazione.

La luce polarizzata linearmente (spesso chiamata


semplicemente luce polarizzata) è una radiazione elettromagnetica in cui il vettore E oscilla in un solo ben
preciso piano di polarizzazione, non è quindi un insieme di onde con tutte le possibili orientazioni del
vettore E. E’ottenuta dalla luce non polarizzata per mezzo dei filtri polarizzatori.

Il polarimetro è lo strumento che permette la misurazione del potere rotatorio di sostanze otticamente
attive. I suoi elementi costitutivi fondamentali sono:

 sorgente di luce (es. lampada al sodio)


 polarizzatore;
 tubo polarimetrico (contenente l'analita);
 analizzatore del fascio di luce (posto in uscita dal tubo polarimetrico) ;
 oculare (tramite il quale viene visualizzato l'angolo di rotazione tramite una scala) .

PROCEDIMENTO:

1. Prelevare 50 mL di latte e porli in un matraccio da 100 mL;


2. Si aggiungono alcuni ml di soluzione satura di acetato di piombo precedentemente preparata;
3. Riscaldare a bagnomaria favorendo la coagulazione e precipitazione di proteine e grassi;
4. Raffreddare a 20° sotto acqua corrente e portare a volume con acqua distillata;
5. Agitare e filtrare su filtro asciutto, scartando la prima porzione del filtrato;
6. Misurare con il polarimetro il grado di rotazione α del filtrato in tubo polarimetrico da 2 dm (l); dalla
rotazione letta sul polarimetro si può calcolare la concentrazione della soluzione analizzata.

Il numero di gradi di rotazione letto, moltiplicato per 0,952 fornisce la quantità di lattosio contenuta nei 50
mL di latte. Moltiplicando per 2 otteniamo perciò la quantità di lattosio su 100 mL di campione. Il fattore
0,909 è ricavato dalla formula:

Calcolo del RISULTATO:

A1: assorbanza a 340 nm determinata


nella miscela con tutti i reattivi tranne la
deidrogenasi

A2: assorbanza a 340 nm determinata


nella miscela dopo l’aggiunta della
deidrogenasi

1. Calcolo del DA

(A2-A1) campione - (A2-A1) bianco - (A2-A1)


bianco campione = DA

2. Concentrazione del lattosio nella provetta


LA FRAZIONE PROTEICA

Nel latte le sostanze azotate presenti ammontano al 3,5%, e sono: Caseine e siero proteine 95%, Sostanze
azotate non proteiche 5-7% (urea, creatina, creatinina, nucleotidi, aa liberi come la “taurina” ecc..). *Nel
latte mastitico il livello di siero proteine e NPN tende ad aumentare.

Contenuto medio 3.5%: classe di sostanze con proprietà differenti e differente composizione (il latte
contiene molte proteine diverse). Il tasso proteico è variabile in funzione di molti fattori (razza,stadio di
lattazione ecc..).

Mezzi di frazionamento-impiegati per la separazione dei principali gruppi di proteine del latte sono:
Acidificazione a pH 4.6, riscaldamento, Dissalazione per saturazione con solfato ammonico e di magnesio.
Con questi mezzi le sostanze azotate del latte vengono frazionate nei seguenti gruppi: •Caseine
•Lattoalbumine •Lattoglobuline •Proteoso-peptoni •Sostanze azotate non proteiche (o NPN).

Comprende:

 CASEINE (circa 74-78% delle proteine totali del latte, principali proteine sia per peso che per
importanza del latte)

Sono una famiglia di fosfoproteine perché sono legate al fosforo, cioè hanno un Acido fosforico esterificato
sulla serina.

 I gruppi fosforici sono importanti sia per la struttura della proteina, sia per la sua funzione. Infatti
questo gruppo, caricato negativamente, è in grado di legare ioni calcio e magnesio, da cui la supposta
funzione di questa proteina, cioè quella di carrier, di trasportatore di calcio minerale
 La struttura-conformazione delle caseine è simile a quella delle proteine denaturate a causa della
presenza di un alto numero di residui dell'aa prolina che impedisce alla proteina di ripiegarsi per
formare strutture più ordinate infatti ciò determina assenza di struttura
secondaria e terziaria; inoltre le caseine non possiedono ponti di solfuro in grado
anch'essi di conferire alla proteina una struttura più ordinata
 Sintetizzate nella ghiandola mammaria
 Sono proteine di elevatissimo valore biologico contenendo praticamente tutti gli
amminoacidi essenziali
 Distinte in diverse classi identificate per via elettroforetica (elettroforèsi: tecnica
analitica e separativa basata sul movimento di particelle elettricamente
cariche immerse in un fluido per effetto di un campo elettrico applicato mediante una coppia
di elettrodi al fluido stesso)
 α –caseina : fosfoproteina composta da una singola catena polipeptidica derivante da 199 aa e da 8
gruppi fosfatici legati ad altrettanti residui della serina. E’ estremamente instabile in presenza di Ca++
(insolubile 0.03M Ca++) e presenta numerose varianti dette s1,s2,s3, con numero diverso di gruppi P
legati ad aa diversi. Nei latti di specie diverse l’ α caseina presenta velocità elettroforetiche
caratteristiche e questa proprietà permette di differenziarli e di scoprire nei latti e latticini l’uso
fraudolento di latti di specie diverse.
 β –caseina :fosfoproteina composta da una singola catena polipeptidica derivante da 209 aa e da 5
gruppi P legati alla serina. E’ sensibile al Ca++ ma meno dell’ α –caseina ed estremamente idrofobica.
La caseina β presenta una velocità elettroforetica assai simile per i diversi latti.
 κ -caseina : è una fosfo-glicoproteina composta da una singola catena polipeptidica derivante da 169
aa, da un solo gruppo fosforico legato alla serina e da un numero variabile (di solito 5) di gruppi
glucidici. E’ insensibile al Ca (rimane solubile in presenza di Ca a tutte le T°) ed è l’unica delle caseine
ad essere idrofila (in quanto contiene zuccheri che sono idrofili) e glicosilata (contiene due catene
oligosaccaridiche su residui di Thr). Alla k caseina si attribuisce il compito di stabilizzare le micelle di
caseina presenti nel latte,mantenendole in sospensione e impedendone la precipitazione. Gli enzimi
del caglio rimuovendo lo zucchero (il caseinglicopeptide, che riunisce tutti i gruppi glucidici della k
caseina) fanno perdere alla k caseina la sua funzione di colloidal protettore delle micelle caseiniche e
lo stato di idratazione delle micelle decresce notevolmente, permettendo interazioni reciproche tra i
gruppi idrofobi che portano alla coagulazione del latte quindi le caseine precipitano.

La κ-caseina è costituita da due porzioni: C-terminale (idrofilia esterna,ha un alto contenuto di residui aa
idrofilici, glicosilata, ha un numero elevato di cariche negative e di residui glicosilati che sporgono verso
l’esterno come filamenti) a cui si deve l’azione colloidal-protettrice, N-terminale (detta paracaseina κ,
idrofobica interna, che gioca un ruolo fondamentale nella coagulazione presamica).

 Punto isoelettrico (pI) (valore di pH al quale una molecola presenta carica elettrica netta nulla; se il pH
è più acido del punto isoelettrico, la proteina reca una carica positiva, per pH più alcalini la carica della
proteina è negativa) = 4.6
 Sono presenti nel latte non allo stato di molecole libere ma sotto forma di micelle-aggregati molecolari,
cioè di proteine a struttura quaternaria, che possono essere separati mediante: Acidificazione,
Coagulazione, Coagulazione enzimatica
 Precipitano per azione di enzimi coagulanti (coagulazione enzimatica, che si ottiene tramite l’aggiunta
di caglio contenente l’enzima chimosina, toglie alla k caseina i gruppi idrofilici (zuccheri), per
acidificazione del mezzo al p.I. (coagulazione per acidificazione, si ottiene abbassando il pH del latte
fino al p.I. del latte) e mediante ultracentrifugazione (non coagulano con il calore!)

 PROTEINE DEL SIERO (o siero proteine o proteine solubili) (17-20% delle sostanze azotate)

Si dividono in: Albumine, costituite da: β lattoglobulina,α lattoalbumina, albumine del siero di sangue,
Globuline comprendono: euglobuline,pseudoglobuline,immunoglobuline(anticorpi, identificazione origine
del latte), Proteoso-peptoni, metalloproteine (lattoferrina, transferrina, ceruplasmina). Le α latt. e β latt.
sono di sintesi mammaria mentre albumina del siero e globuline sono filtrate direttamente dal sangue.

 Sono ricche di ponti disolfuro S-S


 Rispetto alle caseine: peso molecolare molto più basso, sono ricche di aa solforati (Cys, Met) il che le
rende altamente nutritive per l’uomo
 Sono presenti nel latte non sotto forma di aggregati ma sottoforma di dispersione colloidale molto
fine
 Precipitano in seguito a denaturazione termica-riscaldamento (100°C) ma non per effetto degli
enzimi, né per acidificazione; coagulano invece per azione del calore
 Restano nel siero dopo precipitazione delle caseine (per coagulazione di quel siero si ottiene la
ricotta)
LE MICELLE

Le micelle caseiniche sono associazioni colloidali che hanno


una struttura submicellare (cioè sono costituite da sub-
micelle, cioè particelle sferiche più piccole che sono
formate-contengono le diverse molecole di caseine (i
diversi monomeri caseinici) uniti da ponti H in proporzioni
variabili ma presentano sempre all’interno le molecole di
caseina alfa e beta (altamente idrofobe e sensibili al Ca)nucleo idrofobo, mentre le caseine k si
distribuiscono con la parte idrofobica verso l’interno e quella idrofilica verso l’esterno, rivestendo la sub-
micella e stabilizzando il complesso mantenendo le micelle in sospensione); la parte esterna essendo ad
alto contenuto di K-caseina forma un vero e proprio guscio idrofilico che permette di mantenere stabile il
complesso caseina-fosfato di Ca in soluzione senza precipitare.

Più sub-micelle (che formano una micella) sono tenute tenute assieme-associate da interazioni
idrofobiche, elettrostatiche (tra gruppi esteri fosforici delle
caseine ed il fosfato di calcio a formare dei ponti salini o ponti
di apatite) legami H-H instabili

 Aspetto poroso e spugnoso, trattengono acqua attraverso gli


zuccheri della k caseina
 Diametro 30-300 mm
 n° estremamente elevato 10^14/ml
 mw 10^7-10^8 Da
 Sono permeabili al siero
 La composizione della micella dipende dal tipo di latte
 Inglobano diverse sostanze tra cui Sali minerali (Ca++, Mg++..)
 disperdono la luce e conferiscono il colore bianco

Fattori che conferiscono stabilità alla micella:

 IDRATAZIONE e CARICA, impossibilità di collassamento perché tutte


le caseine portano carica negativa e quindi si respingono
 PONTI SALINI
 pH e T° del late appropriati e stabili

Fattori di instabilità che provocano la precipitazione:

 Abbassamento di pH fino al p.I. (quindi abbassamento dell’acidità, coagulazione per acidificazione)

L’acidificazione al p.I.: diminuzione del grado di idratazione delle micelle, viene meno la repulsione tra le
cariche negative, demineralizza le micelle, facendo passare in soluzione Ca e P inorganici e le micelle
caseiniche si disgregano in particelle alimentari che, perso lo stato di idratazione, interagiscono tra loro
determinando la flocculazione-precipitazione

 Innalzamento di temperatura
 Coagulazione enzimaticaenzimi del caglioallontanamento zuccheri dalla k caseina
DETERMINAZIONE DELLE PROTEINE

Le diverse frazioni possono essere separate in base alla


differente attitudine alla precipitazione.

Il contenuto proteico viene stimato attraverso la


determinazione del contenuto di azoto!

Supposto che tutto l’azoto sia di origine proteica e che il contenuto medio di azoto delle proteine sia pari al
16%

16 N : 100 proteine = 1 N : x

x (fattore di conversione) = 6.25

Carne 6,25-Latte 6,28 ecc…

6.25 x contenuto d’azoto determinato = CONTENUTO PROTEICO

Nel metodo KJELDAHL si distinguono le seguenti fasi:

1) Mineralizzazione dell’azoto organico ad azoto inorganico (o digestione della sostanza organica)


grazie all’aggiunta di acidi forti (acido solforico concentrato) (acidificazione) e un forte aumento
della T°, risultato: solfato di ammonio non volatile (tutto questo avviene nel pallone) N org
(proteine) + H2SO4 ----> (NH4)2SO4
2) La miscela ottenuta con la digestione viene raffreddata e alcalinizzata (resa alcalina) mediante
l’aggiunta di NaOH che trasforma lo ione ammonio in ammoniaca. Quindi : aggiunta di una base
forte per trasformare l’ammonio in ammoniaca NH3
3) Distillazione dell'ammoniaca in una soluzione ricevente acida quindi in acido borico a titolo noto
con formazione di ioni borato (oppure in acidi a titolo noto es. HCl). Quindi mediante la
distillazione l’NH3 viene separata, fatta fluire e raccolta in una quantità nota di acido in eccesso
4) Titolazione acido-base dell’acido borico (H3BO3) con HCl 0.1N o retrotitolazione dell’acido a titolo
noto (HCl) con una soluzione di NaOH 0.1N per determinazione quantitativa dell'ammoniaca
prodotta, cioè per quantificare la quantità di ammoniaca, cioè di N nella soluzione ricevente.
5) Il valore ottenuto (gr di N presenti) viene moltiplicato per 6,38

DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO PROTEICO CON IL METODO KJELDAHL

 SCOPO: determinazione del contenuto di proteico del latte


 PRINCIPIO: determinazione dell’azoto organico previa mineralizzazione
 VETRERIA: pallone da 1L, pipetta a bolla da 25 ml, imbutino con rubinetto, beuta da 300 ml, distillatore,
condensatore, buretta.
 REAGENTI: K2SO4 Solfato di K (innalza il p.to di ebollizione accelerando il processo), CuSO4 Solfato
rameico (catalizzatore di mineralizzazione), H2SO4 (acido forte), HCl 0.1N, soluzione di metilarancio,
NaOH 12.5N, NaOH 0.1N.
 PROCEDIMENTO:
1. Porre nel pallone 5 g di latte, 15 g di K2SO4 , 0.4 g di CuSO4 e 25 ml di H2SO4
2. Riscaldare il pallone fino a quando la miscela diventa trasparente (mineralizzazione completa: N
organico  (NH4 )2SO2
3. Lasciar raffreddare il pallone ed aggiungere 300 ml di acqua
4. Mettere nella beuta 25 ml di HCl 0.1 N e alcune gocce di indicatore e collegare la beuta al tubo di
condensa del distillatore.
5. Aggiungere al pallone 100 mL di NaOH 12.5 N (così NH4+ si convertirà i NH3 volatile) e collegare al
distillatore (porre all’estremità del tubo di scarico del refrigerante la beuta preparata al punto 4) e
riscaldare raccogliendo nella beuta il distillato (si ha ebollizione e condensazione di NH3)
6. Distillare circa 100 ml di liquido
7. recuperare la beuta e retrotitolare l’acido rimasto con NaOH 0.1 N
 CALCOLO DEL RISULTATO

Siano 10 i ml di NaOH 0.1N utilizzati (responso dell’analisi) per titolare l’HCl con titolo iniziale 0.1N

NaOH eq 0.1 : 1000 ml = xeq : 10 ml

0.001 eq utilizzati di NaOH ⇒ eq residui di HCl

HCl 0.1 eq :1000 = x eq : 25 ml (ml titolati di HCl 0.1N) ⇒ 0.0025 eq iniziali di HCl

0.0025 eqi – 0.001 eqr = 0.0015eq di N

0.0015 eq : 5 g di latte = x eq : 100 g ⇒ 0.03 eq N/100 g di latte

0.03 eq x 14 g/eq (peso equivalente dell’N) = 0.42 g N / 100 g latte

0.42 g x 6.38 = 2.67 g di proteine / 100 g latte

VANTAGGI-SVANTAGGI DEL METODO

 Versatile (tipo di campione e contenuto proteico): si può applicare


sempre su qualunque matrice
 Economico-Costo contenuto
 Accurato, approvato da AOAC
 Misura l’N totale non solo quello proteico (per es. ac.nucleici….)
 Tempi per ottenere il responso relativamente lunghi (almeno 2h), metodo non veloce, non adatto quando si vuole
il valore in tempo reale
 Reagenti corrosivi e pericolosi

METODO CON IL REATTIVO DI BIURETO

Il reattivo del Biureto consiste in una soluzione di solfato di rame contenente tartrato di sodio e potassio. In
ambiente basico si forma un complesso colorato (blu-violetto) grazie agli ioni rameici Cu2+ che
interagiscono con i legami peptidici delle proteine. L'intensità del colore sviluppato è proporzionale al
numero di legami peptidici interessati nella reazione ed è quindi utilizzabile come metodo particolarmente
rapido e semplice nella determinazione quali e quantitativa delle proteine. Per questo motivo andrò a fare
un analisi spettrofotometrica.

PRINCIPIO: determinazione del legame peptidico per via colorimetrica (+ legami peptidici ci sono+
intenso è il colore)

FASI:

1) Mescolare colorante e campione


2) Determinazione Abs assorbanza a 540nm
3) Calcolo del risultato (concentrazione proteica) utilizzando una retta di taratura in cui ho sull’ Asse x:
concentrazioni (C) crescenti di proteina, Asse y: valori di assorbanza (A), ottenuta dopo aver
sottoposto ad analisi diverse soluzioni proteiche standard a concentrazione nota (A1-C1,A2-C2 ecc..).

Sottoponendo ad analisi il mio campione di cui voglio calcolare la concentrazione (prendo il campione,
aggiungo acqua e reattivo, misuro l’assorbimento) riporto sull’asse il valore Ax ottenuto e per
interpolazione otteniamo il valore di Cx.

VANTAGGI E SVANTAGGI

 Accettato da AOAC
 Semplice esecuzione, relativamente veloce rispetto al Kjeldhal
 Non molto sensibile (limite di rilevabilità 2-4 mg), si usa solo quando la [ ] di proteine è molto alta
 Variazioni dello spettro di assorbimento con la composizione aa della proteina

METODO CON IL REATTIVO DI LOWRY

PRINCIPIO: alla complessazione di Cu2+ si affianca la riduzione del reattivo di Folin-Ciocalteau (reattivo
utilizzato per la determinazione dei fenoli e dei polifenoli, ma anche delle proteine in questo caso) da parte
degli aa aromatici (Tyr, Trypt). Quindi combina la reazione del biureto con la riduzione del reattivo di Folin
Ciocalteau.

Sviluppo di un addotto colorato: la riduzione in ambiente alcalino del reattivo porta alla formazione di
colore blu, la lettura avviene a 765 nm.

Semplice, più sensibile del Biureto, soggetto alla specifica composizione proteica

ASSORBIMENTO NELL’UV

PRINCIPIO: aa aromatici caratteristicamente assorbono nella


regione UV dello spettro (280nm).

Bassa specificità, campione limpido

Sarà particolarmente valido per quei prodotti che contengono


proteine con aa aromatici (es.vino)

METODO CON IL REATTIVO DI BRADFORD

PRINCIPIO: il colorante Coomassie


blu si lega alla catena peptidica
delle proteine mediante
interazioni idrofobiche e sviluppa
un addotto colorato (blu).

Rapido(2 min), sensibile, specifico


per le proteine (risente della
taglia)
GLI INDICI

Quando non posso misurare direttamente l’analita di interesse, misuro qualcosa che è ad esso associato-
collegato, cioè l’indice.

Gli indici chimico fisici che descrivono la composizione del latte rappresentano dei responsi strumentali che
indirettamente ci informano circa le caratteristiche e la sicurezza (ci dicono se la composizione del latte è
corretta o no) di questo prodotto.

Possiamo distinguere:

INDICI CHE DIPENDONO DALL’INSIEME DELLE SOSTANZE PRESENTI NEL LATTE

 Densità (rapporto m/V)  limiti di legge: 1.029-1.034 g/mL a 15°C (leggerm. +alta di quella dell’H2O)
 Acidità 7-8 SH°
 Residuo secco totale (RS) 12-13%
 Residuo secco magro (RSM) 8.5-8.7%
 Viscosità
 Calore specifico del latte
 Tensione superficiale

INDICI CHE DIPENDONO SOLO DALLE SOSTANZE IN SOLUZIONE

 Indice di rifrazione
 Punto di congelamento o crioscopico  limiti di legge -0.520 -0.550°C
 Punto di ebollizione

INDICI CHE DIPENDONO DAGLI IONI PRESENTI

 pH 6.5-6.8
 Conducibilità elettrica
 Potenziale redox

IL RESIDUO SECCO TOTALE

 E’ rappresentato da tutti i componenti del latte tranne l’acqua e si esprime in % (g di s.secca/100 g di


latte).
 Annacquamento e scrematura del latte comportano una diminuzione di RS, anche variazioni
fisiologiche del contenuto proteico e del contenuto di materia grassa comportano modificazioni di RS.
 L’analisi si basa sulla determinazione dell’umidità del latte mediante l’evaporazione in stufa
(lattebagnomariaevaporazione H2Osi pesa ciò che rimane) ma il RS si può anche ricavare
utilizzando una formula empirica (formula di Fleischmann) una volta effettuate le determinazioni del
peso specifico (ps) e del tenore in materia grassa (G).
RS=(1.2G+ 2.665) x [100 x (ps -100)]/ps
IL RESIDUO SECCO MAGRO

 E’ dato dall’insieme dei costituenti del latte ad esclusione dell’acqua e ad esclusione del grasso
 Si calcola sottraendo dal RS la materia grassa (che avremo determinato con un metodo indipendente)
ed’è un valore più costante e stabile del precedente poiché non risente della variabilità connessa al
tenore di materia grassa
RSM % = % materia secca - % materia grassa
 Il tenore in materia secca magra nel latte deve essere non inferiore all’8.70% (se il tenore in materia
grassa supera il 3.15% deve essere non inferiore all’8.50%).Valori inferiori all’8,50 % rendono il latte
sospetto di annacquamento.
 Un elevato valore del tenore in materia secca magra indica un’elevata percentuale di sostanze
proteiche e quindi una buona resa di trasformazione.
Sono due concetti concettualmente diversi a nella
LA DENSITA’ DEL LATTE (o meglio il suo PESO SPECIFICO) pratica si possono considerare equivalenti

 E’ definita come rapporto m/V ed’è collegato al corretto rapporto fra la Densità del plasma latteo (H2O
e R.S.M.) (D media di: 1.036-1.037 g/mL) e la densità della fase lipidica (0.930-0.950 g/mL)
 E’ influenzata dalla T°, dipende dalla ricchezz si misura per via aerometrica utilizzando i termo
lattodensimetri di Quèvenne normalmente tarati a 15°C o a 20°C
 E’ importante misurare la densità del latte perché può mettere in evidenza la frode per
annacquamento: in questo caso per diluizione il peso specifico del latte diminuirà; oppure la frode per
sottrazione di grasso: in questo caso con la sottrazione fraudolenta di grasso il peso specifico
aumenterà poiché è stata sottratta la fase che ha una densità più bassa

ATTENZIONE: Se la scrematura e l’annacquamento fraudolenti vengono effettuati sullo stesso campione la


densità potrà anche NON variare. Avremo bisogno in questo caso per
mettere in evidenza la frode delle analisi complementari come ad es. la
determinazione della % di materia grassa, dell’indice crioscopico e/o
della densità del siero (1.026 e 1.028 g/ ml).

DETERMINAZIONE DEL PESO


SPECIFICO DEL LATTE CON IL
LATTODENSIMETRO DI QUEVENNE (metodo semplice e + usato)

SCOPO: verifica della corretta composizione del latte

PRINCIPIO: questo parametro (DENSITA’) dipende dal corretto rapporto


fra 2 parametri: peso specifico del plasma latteo (parte acquosa) e p.s
della fase lipidica (parte grassa) che nel latte genuino è costante e stabile

Se tolgo grassod>; Se tolgo acquad<

VETRERIA: lattodensimetro di Quevenne (è costituito da un galleggiante


di vetro,zavorrato in basso e portante in alto una sottile asta con una
scala graduata che porta 2 cifre sole (non 1,.); in più incorpora anche un
termometro), cilindro da 100 ml

PROCEDIMENTO:

1. Porre il latte nel cilindro e termostatare a 15°C


2. Immergere il lattodensimetro nel latte
3. Si esegue la lettura: leggere sull’apposita scala, al pelo della superficie di galleggiamento, un valore in
due cifre che corrispondono alla 2a e 3a cifra decimale (a e b) della densità del campione, anteponendo
a tale numero il valore di “1,0” (es. per un latte di D 1.031, si leggeranno solo le ultime due cifre, 31)

RISULTATO: + affondalatte poco denso (d<) ; -affondalatte più denso (d>)+ il


latte è ricco di componenti (siccome la densità del latte dipende dalla
p.s. g/mL = 1.000 + 0.0 (a.b) ricchezza o povertà di tutti i componenti in soluzione e dispersione

Il risultato dell’analisi si legge direttamente sulla scala del densimetro che


fornisce la seconda e terza cifra decimale del valore di densità.
Formula correttiva:

p.s.15= p.s Tx + 0.0002 (Tx°C-15°C)

Il parametro più importante da tenere sotto controllo mentre si effettua quest’analisi è la temperatura:
variazioni di T° provocano variazioni di densità. Per convenzione ci riferiamo alla densità misurata a 15°C (se
però la determinazione è stata fatta ad una T° diversa è possibile applicare delle formule correttive che
riportano il valore a quello della T° standard di 15°C).

ACIDITA’ DEL LATTE

 Si determina per via volumetrica con una titolazione acido-base


utilizzando come indicatore la fenolftaleina
 Possiamo distinguere:
 Acidità NATURALE: dovuta ai gruppi carbossilici acidi della
caseina (principalmente) e a tracce di acidi organici (ac.citrico) >acidità di sviluppolatte acido
 Acidità DI SVILUPPO: dovuta all’acido lattico che deriva dalla fermentazione del lattosio ad opera di b.l
 Se cambia l’acidità nel latte, è successo qualcosa (es. se troppo bassalatte annacquato,poche
proteine indice di mastite) Quindi l’acidità dipende dal tenore proteico >prot>acidità

L’unità di misura più comunemente utilizzata per esprimere l’acidità titolabile è rappresentata dai gradi SH°
Soxhlet-Henkel  Questi si definiscono come i ml (V) di NaOH 0.25N necessari per neutralizzare (a titolare)
100ml di latte (6-8 SH°/100 ml in un latte normale-genuino). Altre unità di misura sono: i gradi D° Dornic
(ml di NaOH al 0.11 N necessari per neutralizzare 100 ml di latte) e i gradi T° Turner (decimi di ml di NaOH al
0,1 N necessari per neutralizzare 10 ml di latte).

DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’ titolabile del latte mediante TITOLAZIONE ACIDO-BASE

SCOPO: verifica della corretta composizione del latte e l’assenza di fenomeni fermentativi
Es. ho un latte con pH nella norma e
PRINCIPIO: titolazione acido-base acidità molto alta

MATERIALI: buretta, beuta da 300ml, pipetta a bolla da 50ml Si accetta il latte al conferimento? Si,
se è iperproteico va bene
REAGENTI: soluzione idroalcolica di fenolftaleina, soluzione titolante NaOH 0.25M
In un latte che non ha subito nessun
tipo di fermentazione la titolazione è a
PROCEDIMENTO:
carico dei gruppi carbossilici delle
proteine
1. Pipettare 50 ml di latte nella beuta ed aggiungere 100 mL di acqua e 10 gocce di indicatore
2. Titolare con NaOH fino al viraggio al rosa pallidoleggere sulla buretta i ml di soluz.titolante impiegata

Per una corretta valutazione del punto di viraggio è utile confrontare il colore del campione che si sta
titolando con quello di un campione di latte

RISULTATO: I mL di NaOH utilizzati moltiplicati per 2 sono i gradi Soxhlet-Henkel (SH°)

*DETERMINAZIONE DEL TENORE DI ACIDO LATTICO

L‘acido lattico è prodotto dalla fermentazione del lattosio ad opera dell'attività microbica la sua
concentrazione è correlata alla carica batterica totale e può essere utile determinare il tenore di acido
lattico come indicatore generale del buono stato di conservazione del latte. In questo caso la
determinazione può esser eseguita con un test enzimatico accoppiato che genera un
segnale colorato che andiamo a rilevare allo spettrofotometro. Maggiore sarà la
concentrazione di acido latticomaggiore è l’intensità del segnale.

Quando determino l’acido lattico? Quando ho valori di pH e acidità che mi insospettiscono!


IL PUNTO DI CONGELAMENTO (O PUNTO CRIOSCOPICO)

E’ un indice molto sensibile della corretta composizione del latte che dipende principalmente dal lattosio

Questo indice parte dal presupposto che una soluzione congela a una T° più bassa rispetto a quella del
solvente puro. T°cong solvente – T°cong soluzione = punto di cong (°C)
1 mole di una qualsiasi sostanza disciolta abbassa la temperatura di congelamento di 1.86°Cse cambia il
punto di congelamento significa che è cambiata la [sostanze] es.lattosio e/o sali in soluzione.

Nel latte la presenza di zuccheri e minerali in soluzione abbassa la T° di congelamento del latte rispetto a
quella dell’acqua pura. La concentrazione dei soluti nel latte è estremamente costante poiché deve
controbilanciare la pressione osmotica del sangue.

FATTORI CHE POSSONO MODIFICARE IL PUNTO CRIOSCOPICO

1) Frode per annacquamento: quando l’acqua è addizionata al latte la [ ] di Sali minerali e di zuccheri
viene diluita e quindi per diluizione il punto di congelamento diminuisce (diventa cioè più prossimo a
quello dell’acqua pura e si avvicina allo zero)

RICORDA: un’eventuale aggiunta fraudolenta di NaCl (sodio cloruro) può mascherare l’abbassamento
crioscopico indotto dalla diluizione!

2) Fermentazione del lattosio: in questo caso si ha un aumento


della concentrazione di sostanze in soluzione (>[soluti])
(dovuto appunto alla trasformazione di 1 molecola di lattosio
in 4 molecole di acido lattico) e questo provoca l’aumento
del punto di congelamento (cioè questo si allontana da
quello da quello dell’acqua pura)
3) Fenomeni mastitici: in questo caso si può verificare un calo
della concentrazione di lattosio che è dovuto all’alterata
funzionalità della ghiandola mammaria e questo provoca di
conseguenza un abbassamento delle sostanze in soluzione e
quindi un abbassamento del punto crioscopico (la mammella
funziona malei componenti sono presenti in < [])

IL CRIOSCOPIO DI BECKMANN

Funzionamento: si basa sul paragone della T° alla quale congela l’acqua pura e la T° alla quale
invece congela il campione di latte.

Il valore misurato sul campione di latte sarà quindi calcolato come segue:

Punto di congelamento (C°) = T-T1

T = temperatura di congelamento dell’acqua

T1 = temperatura di congelamento del latte


DETERMINAZIONE DEL PUNTO DI CONGELAMENTO

SCOPO: verifica della corretta composizione del latte (può servire a rilevare un’eventuale annacquamento)

PRINCIPIO: la T° di congelamento di una soluzione dipende dalla sua concentrazione di soluti

MATERIALI: Criostato, termometro per crioscopia, provette crioscopiche, soluzione di urea standard (1.77 g
in 100ml di acqua)
*E’ molto facile commettere errori in queste determinazioni (T° cong, T°eboll), si usano
PROCEDIMENTO: degli standard (soluzioni a [ ] nota di soluto di cui conosciamo il punto di congelamento)
standard)
1. Portare il criostato a 4°C
2. Riempire una provetta con acqua, una provetta con lo std di urea e una con il campione di latte
3. Mettere la provetta nel termostato munita di termometro, quando il termometro è sceso -0.5°C sotto il
punto di congelamento teorico inoculare con un granello di ghiaccio.
4. La T sale e quando si stabilizza per circa 1 min si considera raggiunto il p.to crioscopico

RISULTATO:

Calcolo del fattore di correzione del termometro (con il quale aggiusto il valore sperimentale del mio
campione)  f= 0.550/(e-h)

0.550= p.to di cong. teorico della soluzione di urea

e = p.to cong. sperimentale dell’acqua

h = p.to cong. sperimentale dell’urea

Calcolo del p.to congelamento del campione di latte  (e-l) x f

l = p.to cong. sperimentale del latte

IL pH

 E’ il più importante degli indici relativi agli ioni in soluzione e può essere det. con pHmetro Quindi acidità≠pH!!

 Indica lo stato di freschezza e l’acidità attuale (cioè il contenuto di ioni idrogeno disciolti, a differenza
dell’acidità titolabile che esprime un dato di acidità totale, in quanto tiene conto anche degli ioni
idrogeno non dissociati) del latte
 Nel latte genuino il valore di pH è molto prossimo alla neutralità. Dobbiamo considerare che il latte è
una soluzione tampone, quindi se si verificano piccoli spostamenti di pH questo vuol dire che sono
avvenuti dei grandi cambiamenti di concentrazione idrogenionica. Quindi dobbiamo considerare
anormale un campione di latte che presenta piccoli scostamenti di pH dal valore normale che è
compreso fra 6.6-6.8.

Il valore di pH del latte (vicino a 6.6) non deve cambiare mai siccome il
latte è un sistema tampone!

Per farlo cambiare deve avvenire una fermentazione che è andata molto
avanti (>[acido lattico] quindi si sono sviluppati troppo i batteri
lattici<ph). Infatti se il latte ha un’alta carica microbica abbassa il pH e
l’acidità aumenta. I batteri lattici in sé per sé non è un problema ma si
potrebbero essere sviluppati anche m.o patogeni, per questo il legislatore
fissa dei limiti piuttosto bassi!

In più, il latte mastitico risulta leggermente alcalino.


Acidità titolabile

Questo è un grafico molto importante che presenta le relazioni fra


le variazioni di pH e l’acidità titolabile. In pratica è un grafico che
presenta curve di titolazione di diverse tipologie di latte:

la curva 3 è quella relativa ad un latte standard-nella norma, la


curva 2 invece è relativa a un latte ricco di gruppi acidi portati dalla
caseina quindi possiamo definirlo latte “iperproteico” e in questo
caso l’acidità non è dovuta a un acidità di sviluppo e questo viene
indicato dal fatto che il valore di pH del latte della curva 2 è nella
norma.

Invece un latte con acidità di sviluppo come quello della curva 1


presenta sia un valore di acidità titolabile alto (dovuto in questo
caso alla presenza dell’acido lattico) ma presenta anche un valore
di pH inferiore alla norma.

La curva 4 è quella di un latte ipoproteico mentre la curva 5 è un


latte annacquato come indicato dall’acidità inferiore ai limiti di
legge e pH nella norma.

Il latte della curva 6 è un latte mastitico, questo è indicato dal


valore di pH superiore a 6.8

ALTRI INDICI della composizione del latte

ALCALINIZZAZIONE FRAUDOLENTA (frode)

Determinazione delle ceneri e della loro alcalinità (indice)

Ceneri: rappresentano la componente inorganica di una matrice alimentare;

 nelle ceneri rimangono i componenti minerali del latte


 mediamente si hanno 0.75% (g di ceneri/100g di latte)valori più
elevati fanno supporre una neutralizzazione fraudolenta del latte
(aggiunta di NaHCO3 sodio bicarbonato per alzare il pH allo scopo di
mascherare una diminuzione di pH dovuta alla fermentazione lattica) che provoca l'aumento della
quantità di minerali nel latte e quindi della quantità di ceneri.
 Delle ceneri può anche essere determinata:
 l’alcalinità (per legge ≤ 70meq milliequivalenti/L (V di latte))
 l’indice di alcalinità (meq/g di ceneri)

L’alcalinità e l'indice di alcalinità delle ceneri possono essere determinate mediante una retro titolazione: a
questo scopo, le ceneri ottenute da un V noto di latte (es.10ml) possono essere risospese (si sciolgono) in
H2SO4 acido solforico a titolo noto (10ml 0.1N); questa miscela,utilizzando come indicatore verde di bromo
cresolo e rosso di metile, si titola con NaOH 0.1N fino al viraggio al grigio (pH 4.5) e così viene rilevata
l’eventuale aggiunta fraudolenta di bicarbonato di sodio che avrà abbassato il titolo dell’acido.
DETERMINAZIONE DELL’INDICE DI ALCALINITA’ DELLE CENERI

 SCOPO: mettere in evidenza l’eventuale neutralizzazione fraudolenta del latte


 PRINCIPIO: l'aggiunta di NaHCO3 (sale aggiunto fraudolentemente) provocherà la diminuzione del
titolo di una soluzione di acido a titolo noto nel quale le ceneri sono state sospese
 MATERIALI: beuta da 250ml, buretta, pipetta da 10ml
 REAGENTI: H2SO4 0.1N, NaOH 0.1N ,soluzione idroalcolica di indicatore (blu di bromo
cresolo/metilarancio)
 PROCEDIMENTO:
1. Aggiungere alle ceneri ottenute da 10 ml di latte 10 ml di H2SO4 0.1N
2. Far bollire la miscela e dopo aver raffreddato aggiungere l'indicatore
3. Titolare con NaOH 0.1N fino al viraggio al grigio
 RISULTATO

Calcolo del titolo residuo dell' H2SO4

V*N = V'*N'

V = volume titolato (acido), N = eq/L di titolato (incognita ?), V = volume titolante (per es. 7ml), N = eq/L di
titolante (0.1)

titolo residuo N=V'N'/V (7ml*0.1eq/L)/10ml=0.07 eq/L

Alcalinità = 0.1 - 0.07 = 30 meq/L

Indice di alcalinità (meq/g ceneri)

Il contenuto medio di ceneri nel latte è 0.75% (7.5 g/L)


Indici che cambiano se aggiungo H2O:
0.03 eq/L / 7.5 g/L = 4 meq/g
densità (diminuisce) e punto di congelamento (se
DILUIZIONE CON H2O SALATA (frode) aggiungo solo acqua si alza, se aggiungo
DETERMINAZIONE DEI CLORURI (indice) acqua+soluti rimane più o meno costante)

Per mascherare la diminuzione del punto crioscopico indotta dalla diluizione del latte con acqua è possibile
utilizzare acqua addizionata con sale (sodio cloruro) che tenta di mantenere inalterata la [] dei soluti in
soluzione. L’annacquamento con aggiunta di NaCl non fa variare il punto crioscopico.

Per mettere in evidenza l’aggiunta fraudolenta di acqua salata si può effettuare una titolazione con un sale
d’argento. Il metodo si basa sulla reazione degli ioni cloruro Cl- con una soluzione di argento nitrato AgNO3.
Quest’ultimo, in presenza di cloruri forma argento cloruro AgCl, che precipita.

La modificazione del titolo della soluzione iniziale di argento nitrato consente di calcolare la quantità di
cloruri Cl- presenti nel campione di latte (quindi determino i cloruri!)

 Il latte a composizione normale contiene cloruri in una quantità compresa fra 90-110 mgCl-/100g che è
costante nel latte
 Un valore di cloruri più elevato della norma può essere associato:
 ad una alterata funzionalità delle mammelle legata a mastiti
 all’aggiunta fraudolenta di acqua salata
PRESENZA DI INFEZIONI DELLA GHIANDOLA MAMMARIA

INDICE CLORURI/LATTOSIO (indice)

Le infezioni della ghiandola mammaria possono essere messe in evidenza andando a valutare il rapporto fra
i cloruri e il lattosio, che normalmente è molto costante (normalmente il rapporto fra questi due
componenti è pari a circa 3).

In caso di mastiti: la quantità di cloruri Cl- aumenta e la quantità di lattosio diminuisce per abbassamento
della funzionalità delle ghiandole mammarie. Questo porta a considerevoli variazioni di questo indice. In
più il latte mastitico si riconosce perché: abbassamento % di grasso e di proteine (aumentano le
sieroproteine) il pH tende alla neutralità (si alza un pò).

TEST rapidi utili PER la VERIFICA DELLE CONDIZIONI IGENICHE e quindi della qualità microbiologica
(SCOPO: vedere se la quantità di m.o. è entro i limiti) del latte (al conferimento per esempio)INDICI
DELLA QUALITA’ MICROBIOLOGICA da utilizzare per stimare le condizioni igeniche del latte al conferimento

DETERMINAZIONE della reduttasimetria alla RESAZZURRINA TEST CON LA RESAZZURRINA

Il test con la resazzurrina provoca modificazioni del colore del latte (quindi un responso colorimetrico) per
reazione della resazzurrina con le reduttasi (quindi se sono presenti le redutt.), enzimi di origine microbica.

 SCOPO: verificare il grado di contaminazione microbica del latte per standardizzarne poi le condizioni
igieniche e le condizioni di trattamento termico
 PRINCIPIO: tale test si basa sulla modificazione del colore di questo composto indotto dalle reduttasi
microbiche. Il colore vira dal blu al rosa fino all'incolore in funzione del grado di riduzione.
(+scolorisce>è la contaminazione)
 MATERIALI: provette di vetro, pipette di vetro con bolla da 1 e da 10 ml, bagno termostatico
 REAGENTI: pasticche di resazzurrina
 PROCEDIMENTO:
1. mettere in una provetta 10 ml di latte e 1 ml i soluzione di resazzurrina
2. incubare a 37°C ed osservare il colore dopo 10 min, 1 ora e tre ore illuminando con una lampada
fluorescente sotto sfondo grigio utilizzando come riferimento il colore standard Malva Mussel 5P7/4 (Il
campione di latte viene confrontato con il colore di uno standard per verificare la sua qualità igenica).
 RISULTATO

Colore del test più pallido rispetto allo standard: latte rifiutato al conferimento per cattive condizioni
igieniche.

TEST CON L’ALCOOL-ALIZARINA

Fornisce informazioni sulla freschezza del latte in termini di pH e di stabilità della sospensione colloidale.

In questo caso: l'alizarina viene sciolta in etanolo e dà origine ad una soluzione rosso mattone; 2 ml di latte
si mescolano con 3 ml di soluzione di alizarina e a questo punto si osserva, sia la modificazione del colore
della alizarina ma anche la formazione di un flocculato di natura proteica che è dovuto alla precipitazione
delle caseine indotta dall’etanolo se il pH del campione di latte è inferiore alla neutralità.

 Ad esempio, il colore del campione rimane lilla e il flocculato non si forma quando il latte è in buone
condizioni igeniche.
 Nel caso invece di una
acidificazione che sta
progredendo il colore
virerà al bruno-rossastro
e si formeranno dei
flocculi.
 Se invece l’acidificazione
è avanzata il colore del
campione sarà giallo e si
ha la formazione di un
flocculato molto fine.

TRATTAMENTI TERMICI LATTE

Il latte crudo può trasmettere malattie endemiche (es. tubercolosi anni ‘70) per cui il latte deve essere
risanato per disattivare i m.o patogeni. Come?

La legge VIETA la stabilizzazione del latte mediante l’impiego di conservanti e additivi chimici.

Sono ammessi invece unicamente trattamenti fisici (es, filtrazione, trattamenti termici) con particolare
riferimento a quelli che prevedono la somministrazione di calore. Possiamo distinguere trattamenti di:

 Sterilizzazione, condotti a temperature > 100°C


 Pastorizzazione, condotti a temperature < 100°C

La somministrazione di calore induce reazioni indesiderate che


chiamiamo reazioni di danno termico che abbassano la qualità del
prodotto (le proteine si denaturano ecc..)

Le condizioni di trattamento possono essere selezionate per


opportune combinazioni di T° e tempo per le quali è possibile risanare
il latte senza che avvengano le reazioni di danno termico. Queste
combinazioni T°/t definiscono la cosiddetta “zona di selettività”.

Selettività del trattamentosignifica:

 conseguire il risultato (target): abbattimento della carica microbica ad un livello che comporta un
rischio accettabile per la salute del consumatore
Latte ricco di m.otratt termico fortescarsa qualità< valore commerciale

Latte povero di m.mtratt termico + blando> qualità> valore commerciale

 evitare rx di danno termico: salvaguardare le caratteristiche di freschezza del prodotto (colore,


aroma,potere nutrizionale) Elevate T°/poco t = raggiungo prima il target e non ho reazioni di danno termico

INDICATORI ENZIMATICI DEL TRATTAMENTO TERMICO

Si tratta di enzimi naturalmente presenti nel latte, che dunque definiamo endogeni, risentono dei
trattamenti termici: in determinate condizioni possono essere denaturati, in altre no. Dunque la presenza o
l’assenza di questi indicatori enzimatici consente di rilevare il trattamento termico che ha subito il latte: per
questo parliamo di indicatori enzimatici del trattamento termico.

Quali sono?

Lattoperossidasienzima più rappresentato nel latte, è associato alle proteine del siero e si denatura a
100°C, insieme appunto alle proteine del siero. E’ quindi resistente alle normali condizioni-procedure di
pastorizzazione, mentre verrà denaturata a T°>100°C (sterilizzazione).

Fosfatasi Alcalinaenzima associato ai globuli di grasso che viene inattivato alle stesse T° che comportano
l’inattivazione dei germi patogeni. Questo enzima quindi è denaturato nelle normali condizioni di
pastorizzazione e deve essere SEMPRE INATTIVO dopo il trattamento di risanamento. Se la fosfatasi
alcalina dopo il trattamento di risanamento termico è attiva, questo indica che il trattamento NON è
andato a buon fine e che quindi è possibile che ci siano dei germi patogeni NON disattivati (è un indice
indiretto). Nel latte crudo c’è.
Dal p.d.v analitico come si fa a distinguere le diverse tipologie di latte
pastorizzato? La F.A sarà negativa in tutte quindi non ci aiuta, si va a
LE CATEGORIE-CLASSI MERCEOLOGICHE DI LATTE
vedere la % di proteine del siero non denaturate (latte pastorizzato
 LATTI A BREVE CONSERVAZIONE: <11..)
 Latte PASTORIZZATO: sottoposto ad un trattamento di pastorizzazione (poco più di 70°C per 10s) e
confezionato in maniera asettica. F.A negativa/PEROSSIDASI attiva/ proteine del siero NON
denaturate (≥11% del totale). Scadenza: entro 6 gg dal trattamento.
 Latte PASTORIZZATO FRESCO: sottoposto ad un unico trattamento di pastorizzazione entro 48h dalla
mungitura. F.A negativa/PEROSSIDASI attiva/proteine del siero NON denaturate (≥14% del totale)
 Latte PASTORIZZATO FRESCO DI ALTA QUALITA’: proviene da stalle nelle quali particolari accortezze
nelle modalità di produzione permettono di ottenere un latte con una carica microbica di partenza
molto bassa. Questo consente di effettuare un trattamento di pastorizzazione blando meno invasivo
che altera solo in minima misura la struttura delle proteine del latte. Inoltre il tenore in proteine e
grassi è > a quello degli altri tipi di latte intero. F.A negativa/ PEROSSIDASI attiva/proteine del siero
NON denaturate (≥15.5% del totale, non inferiori al 15%)
 Latte MICROFILTRATO FRESCO: sottoposto prima ad una procedura di filtrazione che consente di
allontanare una parte di m.o e poi viene pastorizzato entro 48h dalla mungitura. Scadenza: entro 10gg
dal trattamento termico.
 Latte PASTORIZZATO A TEMPERATURA ELEVATA: sottoposto ad un trattamento di pastorizzazione
più drastico rispetto agli altri tipi di latte pastorizzato. Scadenza stabilita dal produttore.

Tutti questi tipi di latte necessitano della catena del freddo per rimanere stabili.

 LATTE A MEDIA CONSERVAZIONE


 Latte UHT: sottoposto ad un trattamento termico molto intenso (130-150°C) per pochi s e poi
confezionato in maniera asettica. Durabilità: 90gg dal confezionamento.
 LATTE A LUNGA CONSERVAZIONE
 Latte STERILIZZATO: sottoposto a un doppio trattamento termico, il primo quando è sfuso (130-150°C
per pochi s) e dopo che è stato confezionato in un contenitore sigillato (120°C per 20-30m). Vengono
disattivate anche le spore. Durabilità: 180gg dal confezionamento.

Possono essere conservati anche a T° ambiente e le condizioni di trattamento termico sono tali per cui in
nessuno di questi latti dovremo trovare gli indicatori enzimatici attivi.

DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITA’ DEGLI ENZIMI INDICATORI DEI TRATTAMENTI TERMICI DEL LATTE

PEROSSIDASI

Si denatura nelle condizioni che inducono la denaturazione delle proteine del siero.

E’ considerato un indice della qualità microbiologica del latte di partenza. Infatti, un latte crudo con una
carica microbica molto elevata dovrà subire dei trattamenti termici più severi per essere risanato e questi
trattamenti comporteranno la denaturazione delle proteine del siero e quindi della perossidasi.

L’attività di quest’enzima viene misurata attraverso


un test spettrofotometrico dove la perossidasi, in
presenza di acqua ossigenata, è in grado di ossidare
un cromogeno con conseguente sviluppo di colore.
Il donatore che riduce H2O2 presente nel complesso
attivato è il cromogeno che modifica le sue proprietà
FOSFATASI ALCALINA
a seconda del suo stato redox

E’ un enzima termolabile che si disattiva nelle stesse condizioni nelle quali


avviene la pastorizzazione.

Il saggio per rilevare la presenza di fosfatasi alcalina si basa sull’idrolisi di un substrato sintetico,
normalmente il fenilfosfato sodico. Da questa reazione si libera un fenolo, il quale è in grado di
complessarsi in un composto colorato, che viene dosato per via spettrofotometrica. Se utilizziamo questo
metodo un latte correttamente pastorizzato non libererà più di 4 microgrammi/ml di fenolo.

DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITA’ DELLA FOSFATASI ALCALINA METODO DI SANDERS E SAGER

 SCOPO: verifica della corretta pastorizzazione del latte e quindi la sua conformità ai limiti di legge
 PRINCIPIO: è che l’attività enzimatica è in grado di provocare l’idrolisi di un substrato sintetico con
conseguente sviluppo di colore
 MATERIALI: beuta, matracci, pipette, provette
 REAGENTI: tampone 1 barite/ac.borico, pH 10.6, tampone 2 NaCl/metaborato di Na pH 9.8, soluzione
di precipitazione delle proteine del latte, soluzione di fenilfosfato bisodico 0.1% in tampone 1,
soluzione idroalcolica per lo sviluppo del colore, fenolo standard
 PROCEDIMENTO:

Costruzione retta di taratura: preparare 6 soluzioni di fenolo standard a concentrazione diversa in


tampone 1, mescolare 5ml di ciascuna soluzione fenolica standard con 5ml di tampone ed aggiungere 2
gocce di colorante, mescolare ed incubare a T amb per 30m, determinare l’assorbanza a 612nm.

Saggio sul campione di latte: due provette con 1 ml di latte, porre la provetta da utilizzare come bianco B
(campione di riferimento) a bagnomaria per 1m (grazie a questo trattamento termico l’eventuale presenza
di F.A residua viene disattivata), aggiungere ad entrambe le provette 10ml di substrato ed incubare 1h a
37°C, riscaldare a 85°C per 1m e chiarificare aggiungendo 1ml di soluzione di precipitazione, filtrare e
raccogliere il Sn limpido, mescolare 5ml di Sn con 5ml di tampone 2 e 2 gocce di colorante, incubare a
T°amb per 30m, leggere l’abs a 612nm.

 RISULTATO

L’assorbanza derivante dall’idrolisi enzimatica del substrato sintetico viene


poi trasformata in concentrazione di fenolo. Come?

Per fare questo passaggio è necessario costruire una retta di taratura


utilizzando un fenolo standard in modo tale da descrivere gli incrementi di
assorbanza in funzione dell’aumento della concentrazione di fenolo standard.

Quindi l’abs determinata sul campione incognito di latte può essere sostituita
nell’equazione lineare che descrive la retta di taratura ottenuta con lo standard, permettendo così il calcolo
della concentrazione di fenolo che si è sviluppata nel campione incognito a seguito dell’azione della
fosfatasi.

Passaggi:

1. Calcolare l’equazione della retta assorbanza a 612nm vs concentrazione di fenolo standard


2. Sostituire alla y l’abs del campione sottratta da quella del bianco (lo sviluppo della reazione nel
campione di riferimento serve a mettere in evidenza se si sviluppa colore dovuto a interferenze, non
riferibile alla presenza della F.A attiva)
3. Risolvere per x
4. Esprimere il risultato, cioè la [fenolo] in microgrammi di fenolo per ml di latte

LA REAZIONE DI MAILLARD (O REAZIONE DI IMBRUNIMENTO NON ENZIMATICO)

 E’ la più comune reazione chimica di danno termico che si sviluppa nei prodotti alimentari sottoposti a
trattamenti termici o conservati per lunghi periodi di tempo. Viene indotta da T° elevate in presenza di
specifici reagenti, in particolare gruppi amminici liberi (NH2, possono essere di varia natura, cioè
possono derivare da: composti azotati presenti nel latte, gruppi terminali delle proteine, da aa:
gruppi R degli aa es.Lys) e zuccheri riducenti (lattosio nel latte) e influenza alcuni attributi di qualità dei
prodotti alimentari, rappresentati principalmente da aroma e colore.
 E’ una complessa rete di reazioni chimiche che può avere luogo sia durante il processo di produzione
che durante la conservazione dei prodotti.
 La v di reazione dipende da molti fattori: natura e [] dei reagenti, cioè di zuccheri (>[reag]>v reaz.), il
pH (pH elevati aumentano la v, se il pH è basso la rx di M. si blocca perché la base di S. viene
protonata), l’aw (valori intermedi di 0,6-0,7 corrispondono all’opt di v, la v reaz quindi aumenta con aw
ma fino a un certo limite oltre il quale la rx rallenta), T° elevate di riscaldamento (aumenti di T°
aumentano la v) e tempi protratti di trattamento termico.

Comunque è importante sottolineare che non sempre i prodotti della reazione di Maillard hanno una
valenza negativa e quindi vengono definiti di danno termico (pensiamo per es. ai prodotti della rx di
Maillard responsabili dell’aroma del caffè tostato oppure dell’aroma del pane appena sfornato).

I processi basati sullo sviluppo di questa reazione sono: tostatura caffè e cacao, caramellizzazione, cottura
della carne.
Quindi non sempre è considerata dannosa, dipende dal contesto in cui ci troviamo! Molti prodotti della reazione provocano danni ma in sé per
sé non costituiscono un rischio per la salute umana. Ad es. questa rx è desiderata e quindi indotta nei prodotti da forno, caffè, cacao, birra
(tostatura malto), prodotti carnei, patatine fritte poiché ne influenza positivamente le proprietà sensoriali mentre si cerca di evitarla o
minimizzarla nei processi di stabilizzazione, quali essiccamento, sterilizzazione, pastorizzazione ecc..
Ciascuna fase della rx di M. presenta un suo pH opt: la condensazione è favorita a pH tra 6-8, il riarrangiamento di Amdaori da
pH intorno a 7, l’enolizzazione da pH di 5,5. Come vediamo il progredire della rx di M. porta ad’una acidificazione del mezzo che
può risultare rilevante nei sistemi alimentari a bassa capacità tamponante.

In generale i prodotti della rx di Maillard sono indici della “storia tecnologica” del prodotto in termini di
trattamento termico.

RUOLO DEI PRODOTTI DELLA Rx DI M. NEI PRODOTTI ALIMENTARI

Nei prodotti alimentari i derivati della rx di M. possono avere diversi ruoli. Ad es. possono svolgere attività
antiossidante (proprietà attribuita princ. alle melanoidine) interrompendo reazioni radicaliche donando H
sequestrare metalli ecc.. la presenza di antiossidanti è imp. negli alimenti in quanto consente di rallentare
reazioni di OX princip a carico di lipidi e quindi di prolungare la shelf life, possono inibire l’attività di alcuni
enzimi digestivi (enzimi idrolitici delle proteine come tripsina, disaccaridasi come lattasi e maltasi) e in parte
anche l’attività di alcuni m.o (attività inibitoria), possono alterare il valore nutrizionale del prodotto del
quale diminuiscono la biodisponibilità della frazione proteica e degli aa essenziali (Lys), riducono la
[vitamine] come la Tiamina, riducono l’assorbimento intestinale di ioni metallici, ma possono anche portare
alla sintesi di composti policiclici per i quali in vitro è stata dimostrata un’attività cancerogena o mutagena
(es. ammine eterocicliche), in ogni caso dobbiamo considerare che questi ultimi prodotti non hanno molto
peso in una dieta normalmente variata.

La somministrazione di calore può indurre numerosi cambiamenti nei macrocostituenti dei prodotti
alimentari  EFFETTI della somministrazione di calore

PROTEINE: gli effetti della somministrazione di calore sulle proteine riguardano la modificazione della
conformazione proteica, la formazione di ponti disolfuro S-S fra caseine e proteine del siero (questi ponti
proteggono le caseine dall’azione degli enzimi del caglio e quindi si oppongono alla coagulazione
presamica), inoltre possiamo avere la denaturazione delle proteine del siero seguita da formazione di ponti
disolfuro (abbiamo visto che questo fenomeno è coinvolto nella produzione della ricotta).

CARBOIDRATI: sugli zuccheri la somministrazione di calore induce una serie di reazioni che chiamiamo
caramellizzazione responsabili della formazione di composti volatili dal tipico aroma e colore.

In particolare poi la rx di M. può coinvolgere la > parte dei componenti di un prodotto alimentare (ad es.
prodotti di ossidazione lipidica, prodotti che derivano dall’ox dei fenoli e come abbiamo detto zuccheri
riducenti e proteine con i loro gruppi amminici liberi).

SCHEMA DI REAZIONE

RX DI MAILLARD

-H2O

AMINOCHETOZUCCHERO
Inizia con la CONDENSAZIONE fra gruppi carbonilici liberi degli zuccheri riducenti e gruppi amminici liberi.

La reazione fra zuccheri e ammine libere (1° reazione) porta caratteristicamente alla formazione del cosiddetto composto di
Amadori che è il primo intermedio della rx di M.

Da questo poi, in funzione delle condizioni del mezzo di rx prenderanno origine diversi pattern di rx che hanno in comune la
formazione di composti carbonilici altamente reattivi i quali attraverso rx di condensazione, ciclizzazione, deidratazione e
isomerizzazione portano alla produzione di composti finali che sono le melanoidine e i composti aromatici.

La reazione di Maillard viene divisa in 3 FASI: INIZIALE, INTERMEDIA, FINALE.

La fase INIZIALE consiste nella reazione di CONDENSAZIONE tra il gruppo amminico libero (di un aa, di un
peptide o di una proteina) e il C del gruppo carbonilico di uno zucchero riducente. Il composto che si forma
perde una molecola di H2O per formare la base di Shiff che, per ciclizzazione, si trasforma nella
glicosilammina N-sostituita. Quest’ultima, essendo instabile, subisce un riarrangiamento a formare il
composto di Amadori (relativamente stabile, rappresenta il composto chiave dei primi stadi della rx, è
TRANSIENTE, cioè si perde!  Per cui, per capire se la rx è partita o no non possiamo basarci su questo
composto ma dovremo fare uso di indici-MARKERS* relativi ai derivati della rx).

FASE INTERMEDIA: durante questa fase si possono avere un gran numero di reazioni a catena influenzate
da fattori come la T° e il pH (quindi le reazioni a cui va incontro il composto di Amadori dipendono dalle
condizioni del mezzo di reazione) durante le quali si producono intermedi carbonilici altamente reattivi.
Quindi gli stadi successivi della rx, complessi e scarsamente conosciuti, implicano la trasformazione di
precursori a basso pm e rx di polimerizzazione con formazione di composti ad alto pm.

In particolare la rx può proseguire secondo diverse vie in funzione del pH del sistema (valori di pH acidi o
vicini alla neutralità il composto di Amadori viene decomposto attraverso la 1,2 enolizzazionequesta
porta alla formazione di 3-deossiglucosone,dalla cui succ degradazione si formano 2 composti, noti
MARKERS della fase intermedia, l’HMF (aldeide ciclica) e la pirralina; valori di pH neutri o alcalini
favoriscono la 2,3 enolizzazione con formazione dell’1-deossiglucosone che a sua volta è precursore di
composti che contribuiscono al “flavour” degli alimenti). Ruolo imp. nella fase intermedia è svolto dalla
degradazione di Strecker (non avviene a carico delle proteine in cui il gruppo alfa aminico dell’aa è
impiegnato nel leg. peptidico) avviata dalla condensazione tra alfa aa e composti alfa dicarbonilici e che
porta alla formazione di composti volatili come aldeidi e alfa amino-chetoni (particolarmente reattivi) di
Srecker con liberazione di CO2. Le aldeidi possono condensare con altre aldeidi,furfuroli e/o altri prodotti di
disidratazione e formare pigmenti bruni. Gli alfa amino-chetoni possono dimerizzare per formare pirazine.
Molti dei prodotti della degradazione di S. sono volatili e influenzano l’aroma degli alimenti.

Lo stadio finale della rx di M. porta alla formazione di composti eterociclici azotati, attraverso reazioni di
condensazione dei precursori a basso p.m. quali furfurale, prodotti di scissione e reduttoni (composti
policarbonilici).

FASE FINALE: si formano a questo stadio i prodotti finali della rx di Maillard, che sono: composti aromatici
(sono composti volatili, aciclici ed eterociclici contenenti N, O o S, come furani, pirroli, pirazine,tiazoli ecc.)
responsabili dell’aroma dei prodotti alimentari (carne cotta o arrostita, pane, caffè tostato) e composti
polimerici (polimeri) azotati ad alto p.m. e insolubili dal colore bruno chiamati melanoidine (studi hanno
dimostrato che le melanoidine possono esplicare capacità antiossidante e/o legante nei confronti di altri
composti responsabili dell’aroma di numerosi prodotti alimentari).
Questo schema illustra la diversità dei pattern di reazione a cui può andare incontro la rx di M. in funzione
delle caratteristiche del mezzo di reazione (ad es. il pH superiore o inferiore alla neutralità: pH>7 induce la
formazione di composti a elevata reattività quali sono i reduttoni oppure i composti di fissione sempre
caratterizzati dalla presenza di 1 o + gruppi carbonilici; per pH<neutralità la via preferenziale di
trasformazione del composto di Amadori è la formazione di idrossimetil furfurale o HMF.

Da questi punti in poi hanno luogo reazioni che portano a profonde trasformazioni della struttura dei
composti fino a dare luogo a composti sia di bassa taglia volatili che polimeri a cui si devono le
modificazioni delle proprietà sensoriali del prodotto con sviluppo di aromi particolari e cambi di colore.

I prodotti che derivano dai diversi pattern della rx di M sono difficili da rilevare per una serie di ragioni:

1. Molti dei dati disponibili derivano da studi su sistemi modello e non su matrici alimentari reali dove il
quadro è molto più complicatodifficoltà di applicazione nelle matrici complesse:
2. Quantità di analita molto basse: gli intermedi di reazione tendono a trasformarsi velocemente in altri
composti, dunque non si accumulano nel mezzo e sono presenti in basse quantità. Questo implica che
le procedure analitiche necessiteranno di lunghi passaggi di arricchimento dell’analita di interesse;
3. Mancanza di standard: data la grande varietà di composti, spesso non sono disponibili standard.

Comunque possiamo riferirci a 3 classi di INDICI-MARKERS* DELLA RX DI MAILLARD che denunciano lo


stato di avanzamento della reazione in funzione dell’entità del trattamento termico:
MARKERS DI REAZIONE DI
DANNO TERMICO

STADIO INIZIALE: prende avvio


dal composto di Amadori dal
quale derivano i seguenti
MARKERS di questa
faseFurosina, Piridosina, HMF,
Carbossimetil Lisina

Lo STADIO AVANZATO: è denunciato dalla presenza dei derivati dei riduttoni e dei composti di fissione che sono Lisil-pirralina,
Isomaltol-glicoside (anche in questo stadio avremo la presenza di HMF, specie in matrici a pH<neutralità)

Lo STADIO FINALE: vede soprattutto l’accumulo di polimeri scuri e composti fluorescenti

Il principio su cui si basano i metodi di determinazione di questi indici (es. det furosina, Lys..) è la CROMATOGRAFIA (GC o HPLC)
In particolare, la FUROSINA (derivato del composto di Amadori) rappresenta un’importante indice di danno
termico nel latte (>è la severità del trattamento termico> sarà la [Furosina]). Nel latte non trattato
termicamente e nel latte pastorizzato NON c’è.

La sua determinazione viene effettuata per via cromatografica e consente quindi di caratterizzare il
prodotto in funzione dell’entità del trattamento termico ma quest’analisi può anche essere utilizzata per
rilevare l’aggiunta di ingredienti non
consentiti, ad es. l’aggiunta di latte o siero in
polvere oppure di caseinati durante il
processo di caseificazione.

Questa tabella può essere un’utile esercizio per


contestualizzare le diverse analisi che abbiamo
affrontato per la verifica dell’idoneità del latte
alimentare.

In pratica, per ogni riga sono riportati i parametri


analitici che descrivono le caratteristiche del
prodotto; nelle colonne sono descritti 4 ambiti: I
Limiti di Legge (L), la Sicurezza per chi consuma
(S), le proprietà sensoriali (P.S.), le proprietà
nutrizionali (P.N.) e la stabilità (St, cioè la
conservabilità nel tempo del prodotto).

COME SI USA QUESTA TABELLA?

Es. partiamo dalla Fosfatasi Alcalina


-E’ direttamente legata alle proprietà sensoriali o nutrizionali del latte -Questo parametro ci informa se il prodotto
alimentare? NO (dev’essere sempre negativa in tutte le categorie rispetta i limiti di legge? SI (abbiamo visto che
merceologiche che certamente fra loro possono essere diverse per deve essere per legge negativa in tutte le classi
proprietà sensoriali o nutrizionali ma la F.A. rispetto a questo non ci aiuta, merceologiche di latte sottoposte a trattamento
non ha importanza) termico)
-Ci informa circa la stabilità del prodotto? SI (perché comunque è un indice -Ci informa circa la sicurezza del prodotto? SI
del corretto trattamento termico e quindi della possibilità di conservare il (perché se positiva vuol dire che potrebbero
latte più o meno a lungo, anche se non ci aiuta a distinguere fra i prodotti a essere presenti dei patogeni, pericolosi per la
diversa durabilità). salute)
Lo stesso esercizio fatelo anche con gli altri parametri analitici!
MODULO 2: ACQUA, CONTENUTO E DISPONIBILITA’
 Il contenuto d’acqua è un’importante parametro compositivo dei prodotti alimentari. Di solito è il
componente principale (e meno costoso!) di molti prodotti alimentari. +H2Oc’è+prodotto è fac deper
 La determinazione del suo contenuto è importante poiché determina diverse caratteristiche del
prodotto. Infatti, il contenuto d’acqua influenza la stabilità del prodotto poiché interviene nelle rx di
alterazione chimica e fisica degli alimenti oltre che influenzare la possibilità di crescita e sviluppo dei
m.o.
 Il contenuto max di acqua è un’importante limite di legge, specifico per i diversi prodotti (cioè il
contenuto max di acqua della stragrande maggioranza dei prodotti alimentari è FISSATO PER LEGGE).
Un contenuto di acqua superiore al limite consentito oltre a compromettere la stabilità chimico-fisica e
microbiologica dei prodotti ne impoverisce il potere nutrizionale poiché a parità di peso il tenore degli
altri macrocostituenti sarà minore. Dunque una frode per contenuto d’acqua superiore al consentito,
permette di immettere sul mercato prodotti più poveri di materie prime e quindi più economici per il
produttore fraudolento.

Dal p.d.v della definizione parleremo di solidi totali o di residuo secco intendendo tutto quello che rimane
una volta che l’acqua è stata allontanata per evaporazione.

La pratica dell’ALLONTANAMENTO dell’acqua viene utilizzata in molti processi produttivi perché consente
di: aumentare la stabilità chimico-fisica e microbiologica dei P.A. e quindi di ottenere prodotti molto più
stabili di quelli freschi (es. frutta e vegetali disidratati, latte o uova in polvere, spezie).

In alcuni prodotti, in particolare quelli molto ricchi di zuccheri (es. marmellate e gelatine), il ridotto tenore
di acqua consente di ridurre i fenomeni di cristallizzazione degli zuccheri. In altri casi, l’allontanamento di
buona parte dell’acqua è parte integrante del processo di produzione (es. cereali soffiati).

Allontanare buona parte dell’acqua significa anche ridurre il volume e questa è una strategia utilizzata per
esempio per facilitare la movimentazione di materie prime a contenuto d’acqua molto elevato (es. succhi di
frutta, che una volta ridotti a concentrati, possono essere movimentati più facilmente verso gli stabilimenti
di confezionamento dove il tenore di acqua viene ripristinato).

Qui vediamo il contenuto di


acqua di diversi prodotti.

In alcuni casi la % di acqua può


rapp la quasi totalità in peso del
prodotto (es. latte) e
raggiungere valori prossimi al
50% in peso ad es. nei formaggi
stagionati.

Altra categoria di prodotti ad elevato tenore d’acqua è rappresentata dai prodotti freschi come frutta,
vegetali, carne, uova fresche e anche in questo caso l’acqua è il componente più abbondante.

I derivati da cereali presentano un tenore di acqua decisamente più basso compreso fra il 4 e il 15%.

I prodotti a base lipidica presentano un tenore di acqua molto basso e si va da prodotti a base lipidica ricchi
di acqua come il burro a prodotti dove l’acqua è praticamente assente, come possono essere gli oli.
ALLONTANAMENTO ACQUA PER EVAPORAZIONE- ESSICCAMENTO IN STUFA

La quantità d’acqua presente in un prodotto si determina come differenza di peso previo allontanamento
dell’acqua per evaporazione si pesa il campione di prodotto, si allontana l’acqua per evaporazione, si
ripesa, si fa la differenza tra peso fresco pre-evaporazione e peso secco post-evaporazione, cioè il peso del
prodotto una volta che tutta l’acqua è evaporata). E’ imp ai fini della stabilità chimico fisica e microbiologica
del prodotto, poi perché è un limite di legge che va rispettato, può essere utile eliminarla per facilitare il
trasporto oppure ci sono degli alimenti che prevedono questa operazione nel loro ciclo produttivo.

L’evaporazione IN STUFA è uno dei metodi più semplici ed’è poco dispendioso poiché possono essere
analizzati + campioni contemporaneamente. Il t richiesto per il completo allontanamento dell’acqua è
molto variabile in funzione della tipologia di prodotto e può andare da pochi minuti a diverse ore in base
alla tecnica scelta e all’alimento trattato.

FATTORI CHE CONTROLLANO LA velocità DI ALLONTANAMENTO DELL’ACQUA

La v con la quale l’acqua viene allontanata dipende da diversi fattori:

1) Effetto concentrazione: via via che l’acqua evapora si verifica una concentrazione dei solidi totali,
questo comporta un aumento della T° di eb. dell’acqua per cui le ultime fasi dell’evaporazione sono
molto lunghe, mentre le prime fasi sono molto rapide, sarà più facile togliere l’acqua
2) Contenuto iniziale d’acqua del campione (>sarà il tenore di acqua iniziale+lungo sarà il tempo
richiesto per la completa evaporazione)
3) Taglia e forma del campione: l’allontanamento dell’acqua viene favorito aumentando la superficie di
scambio quindi normalmente i campioni solidi vengono previamente macinati
4) Fenomeni di decomposizione del campione: la T° alla quale viene allontanata l’acqua è molto imp.
poiché può generare dei fenomeni di decomposizione della materia organica incidendo così sul
responso dell’analisi dove, la differenza di peso fra il campione fresco e quello dopo evaporazione,
risentirà anche della perdita di sostanza organica.

Quindi un aumento corretto della T° dovrebbe portare al solo allontanamento


dell’acqua e quindi si potrebbe ipotizzare una relazione lineare tra l’aumento
della T e la % di umidità. Ma in realtà, oltre un certo limite, indicato sul grafico
dalla linea rossa verticale tratteggiata hanno luogo fenomeni di decomposizione
che portano non solo all’allontanamento dell’acqua ma anche all’allontanamento
della materia organica; quindi la linearità presunta si perde e si osserva un brusco
aumento della stima dell’umidità % (erronea sovrastima del contenuto di H2O).
La T° alla quale si generano questi fenomeni dipende dalla composizione
specifica del prodotto che da origine a specifiche reazioni di decomposizione e dunque è peculiare delle
diverse tipologie di prodotto.

Il RESPONSO analitico di questa analisi è il PESO del campione una volta che TUTTA l’acqua è stata
ALLONTANATA. Il RISULTATO si può esprimere esprime come :

 UMIDITA’ % = [(wt campione umido o fresco – wt campione secco) / wt campione umido fresco] x 100
DIFFERENZA DI PESO % FRA IL CAMPIONE FRESCO E QUELLO SECCO FRATTO IL PESO DEL CAMPIONE FRESCO
oppure come..

 SOLIDI TOTALI % = (wt campione secco/wt campione umido) x 100


RAPPORTO % FRA IL PESO SECCO E IL PESO FRESCO
Nonostante l’estrema semplicità del principio e della procedura è possibile incorrere in errori di sottostima
e sovrastima del contenuto d’acqua dovuti: alla possibilità di perdere o incorporare acqua nel campione
durante la manipolazione (per es. durante la macinatura necessaria abbiamo visto per favorire il veloce
allontanamento dell’acqua per aumento della superficie esposta, sono possibili surriscaldamenti del
campione che potrebbero provocare l’allontanamento di una parte dell’acqua compromettendo così
l’attendibilità del peso fresco) oppure possono verificarsi scambi di umidità fra il campione e l’atm (specie
se il campione è caldo), e in questo caso potranno verificarsi fenomeni di condensa sul campione che
falseranno il peso secco. Dunque è necessario adottare precauzioni che consentano il raffreddamento del
campione in atmosfera controllata.

5) Dispositivi di ricircolo di aria nel forno: l’uso di dispositivi per l’evaporazione dell’acqua dotati di
possibilità di ricircolo forzato dell’aria (forni a circolazione forzata) consentono di velocizzare la
procedura (>v), permettendo di rimuovere i gradienti di U e T° nelle vicinanze del campione, che
rallentano l’evaporazione.

La differenza sostanziale fra il forno statico e quello ventilato (quindi con la convezione forzata) consiste
nella presenza di una o più ventole che azionano un moto dell’aria all’interno della camera di
riscaldamento. L’aria, dinamicamente forzata, distribuisce meglio l’E termica all’interno del forno
provocando una > e + omogenea penetrazione nel campione. La convezione forzata porta sensibili vantaggi
rispetto ai dispositivi statici, permettendo una rimozione dell’acqua più veloce e uniforme. Normalmente
vengono impostati dei cicli di riscaldamento prefissati per portare a secco il campione; in alternativa, il
campione può essere pesato e quindi nuovamente posto nel forno fino a che il peso non rimane costante.
Con questa seconda alternativa è necessario fare attenzione che il campione non vada incontro a rx di
degradazione che si manifestano con cambi di colore e formazioni di croste.

Nei dispositivi detti “a vuoto” (forni a vuoto) l’allontanamento dell’acqua è condotto in condizioni di P
ridotta rispetto a quella atm. L’allontanamento dell’acqua in questo caso è particolarmente veloce (in
genere NON dura + di 6h).

Poiché l’evaporazione è un processo endotermico, si può assistere a una marcata diminuzione della T° del
dispositivo, specie nelle prime fasi. Sarà tanto + evidente quanto > è il n° dei campioni.

Particolare cura deve essere posta nei recipienti-vaschette nei quali viene posto il campione che devono
essere muniti di appositi coperchietti che evitano la dispersione del campione. Inoltre, è buona norma
procedere a un ciclo di riscaldamento e raffreddamento dei recipienti in condizioni controllate, allo scopo di
condizionarli prima dell’uso.
Contenitori per il campione da essiccare: vaschette di
DETERMINAZIONE DELL’UMIDITA’: TECNICHE VELOCI alluminio leggerissime

Nel corso degli anni, si sono sviluppate tecniche per la determinazione veloce del contenuto d’acqua.

Molto efficaci, in questo senso, sono i dispositivi A MICROONDE (analizzatore di umidità a microonde). La
rapidità della determinazione li rende adatti a un controllo online durante il processo. La limitazione +
importante è rappresentata dal fatto che si può analizzare un solo
campione per volta e dal costo dello strumento. Le precauzioni da
adottare durante la procedura non sono diverse da quelle per
l’evaporazione nei dispositivi convenzionali.
Il sistema è automatico, dotato di una bilancia interna (e quindi segue le perdite di peso durante il
riscaldamento e l’evaporazione dell’acqua del campione) restituendo direttamente il contenuto d’acqua.

ESSICCATORE A IR (INFRAROSSI): rappresenta un’altra possibilità per la determinazione rapida del


contenuto d’acqua.

Anche qui come negli essiccatori a microonde la limitazione + importante è rappresentata dal fatto che è
possibile analizzare un solo campione per volta.

Non ci sono precauzioni particolari rispetto alle altre determinazioni se non la regolazione della distanza
della lampada a IR dalla superficie del campione per evitare surriscaldamenti superficiali (sovra e sotto
esposizione).

Anche qui la determinazione è diretta, veloce (10-25m) e permette il calcolo del risultato grazie a una
bilancia incorporata nel dispositivo.

Dispositivi meno sofisticati consentono l’irraggiamento di + campioni per volta e non sono dotati di
bilancia. In questo caso per la determinazione del contenuto di acqua si procede come nel caso delle stufe
convenzionali determinando il peso del campione fresco e quello del campione secco.

TECNICHE MEDIANTE DISTILLAZIONE

Queste tecniche sono particolarmente adatte per la determinazione del contenuto di acqua in campioni
dove il tenore di acqua è relativamente basso (es. cioccolato, caffè tosato, spezie, grassi-matrici lipidiche o
frutta secca).

Il principio si basa sulla co-distillazione dell’acqua insieme ad un solvente immiscibile con un punto di
ebollizione + alto di quello dell’acqua. La quantità di acqua presente nel campione viene misurata
attraverso la determinazione del suo volume nel distillato.

Caratteristiche: metodo rapido e accurato (velocità 1 ora circa),non prevede riscaldamento del campione (a
differenza di tutti gli altri metodi visti), problemi di decomposizione limitati, determinazione diretta del
quantitativo di acqua presente per via volumetrica.

I metodi per distillazione prevengono in parte le reazioni di decomposizione del campione poiché la T° di
estrazione alla quale avviene l’allontanamento dell’acqua (115-130°C) è relativamente bassa. Queste rx
possono essere particolarmente contenute quando si usano solventi con un punto di ebollizione un po’ +
basso anche se questo aumenta i tempi di estrazione.

TITOLAZIONE CON IL REAGENTE DI KARL FISHER (KFR)

Principio: si basa sulla riduzione dello iodio molecolare I2 da parte dell’SO2 (anidride solforosa) in presenza
di acqua

La reazione prevede un rapporto stechiometrico 1:1 fra acqua e ioduro

Caratteristiche: adatto a matrici con contenuto di acqua molto basso (0.03%)-metodo accurato,semplice,
rapido (pochi min rispetto a quale ora della tecnica di essicc in stufa, partic lunga dovendo il campione
rimanere in stufa fino a costanza di peso) e specifico (solo l'H2O reagisce, non i comp. volatili ev. presenti nel campione)

Modalità: Il reagente, detto di Karl Fisher, è preparato con un titolo noto di iodio molecolare I2.
Il metodo di Karl Fischer, messo a punto dal chimico tedesco Karl Fischer, consiste in una titolazione ed’è una tecnica analitica molto sensibile utilizzata per
la misura di tracce di acqua in varie matrici. La procedura si basa sull'ossidazione dell'anidride solforosa SO2 ad opera dello iodio I2 in una soluzione di
metanoloI2 + SO2 + 2 H2O → 2 HI + H2SO4 (REAZIONE DI BUNSEN). La titolazione viene condotta in un solvente anidro, generalmente metanolo in presenza di
una base capace di neutralizzare l'acido solforico prodotto dalla reazione (es. priridina, imidazolo).

La determinazione viene in genere effettuata dopo aver estratto l’acqua dal campione (a questo scopo si
utilizza il metanolo MeOH). L’estratto metanolico viene titolato con il solvente-reagente di Karl Fisher (sol.
titolante). Lo iodio presente nel reagente viene ridotto dall’acqua presente nell’estratto. Quando tutta
l’acqua avrà reagito ed’è stata consumata la prima goccia di reagente provoca un cambio di colore
nell’estratto visto che lo iodio a questo punto non viene più ridotto. Dal Vol di reagente utilizzato si risale al
contenuto di acqua del campione, sapendo che in genere, il titolo del reagente è tale che 1 ml è
completamente ridotto da 3.5g di acqua.
Come si determina la quantità di acqua in una matrice alimentare e perché è importante:si determina per evaporazione (che può essere effett in modi diversi)
di questa dalla matrice, è importante perché dal contenuto di acqua dipende la stabilità c-f e microbiologica del prodotto e poi perché è stabilito per LEGGE

Essiccamento in stufa Dispositivi a circolazione forzata, dispositivi statici (stufe statiche classiche), dispositivi a vuoto (forni a vuoto), dispositivi a microonde
- dispositivi a IR (tecniche veloci, v di evap. elevata, svantaggio: si può trattare solo 1 campione per volta), tecniche mediante distillazione (quando il
contenuto di acqua è basso)

IGROSCOPICITA’ DEI PRODOTTI


ALIMENTARI

La conoscenza delle relazioni tra l’acqua e i


prodotti alimentari è imp. sia in molti processi di
trasformazione che di conservazione.

Dal contenuto e grado di disponibilità


dell’acqua in un alimento dipende: la sua
struttura (in termini di consistenza), la
possibilità che abbiano luogo rx di alterazione
dei prodotti di natura chimica ed enzimatica o
anche che possa aver luogo la crescita di m.o. e
anche la possibilità che possano aver luogo alterazioni fisiche spesso indesiderate come cristallizzazione
degli zuccheri o il rigonfiamento di sistemi colloidali.

L’impatto molto significativo del contenuto di acqua e della sua disponibilità sulla stabilità dei P.A ha fatto sì
che molte tecniche di conservazione si basino proprio sul controllo di questi parametri.

La quantità di acqua può essere ridotta (e quindi viene aumentata la stabilità del prodotto) per
allontanamento dalla matrice mediante diversi metodi (es. evaporazione) oppure può essere ridotto il suo
grado di disponibilità per aggiunta di soluti o comunque di ingredienti osmoticamente attivi (es. uso dello
zucchero e di biopolimeri).

ATTENZIONE** i prodotti tenderanno a riassorbire acqua dall’ambiente; dunque una volta che l’acqua è stata
allontanata per garantire la stabilità dei prodotti è necessario controllare le condizioni di stoccaggio e le tipologie di
imballaggio!

La caratteristica fisica che indica la capacità di un


prodotto di trattenere acqua si definisce
IGROSCOPICITA’.

L’igroscopicità e NON il contenuto di acqua definisce il


grado di disponibilità dell’acqua (Aw) in una data
matrice.

+ un prodotto è igroscopico+ trattiene acqua+ è stabile

- è igroscopico-trattiene acqua- è stabile


Quindi non il contenuto di acqua ma piuttosto la sua DISPONIBILITA’ definita
anche come ATTIVITA’ DELL’ACQUA Aw, regola tutti i fenomeni di scambio
dell’acqua fra la matrice e l’ambiente.

In linea di principio: < Aw  > è la stabilità del prodotto

In funzione dell’igroscopicità, matrici a uguale contenuto d’acqua possono


presentare aw differenti e dunque diverse stabilità!

> sarà l’igroscopicità (quindi la capacità di trattenere acqua)  < sarà Aw (quindi il grado di disponibilità
dell’acqua)  > sarà la stabilità del prodotto

La disponibilità dell’acqua (Aw) può essere misurata attraverso la misura della P di vapore (P che esercitano
le molecole d’acqua che si liberano-allontanano in fase di vapore dal prodotto).

> è il grado di affinità dell’acqua per i costituenti del prodotto  < sarà la P di vapore esercitata (quindi la
tendenza dell’acqua ad abbandonare il prodotto in fase di vapore)  < è aw (cioè la sua disponibilità)

QUINDI:

PRESSIONE DI VAPORE (P): pressione che esercitano le molecole d’acqua che si liberano dal prodotto in fase
di vapore

Il valore di P può variare da 0 (quando l’acqua presente nel prodotto è trattenuta con una tale forza che
impedisce il passaggio allo stato di vapore cioè che non si libera in fase di vapore) fino a un valore massimo
(max) che è pari alla P di vapore dell’acqua libera indicata con Pi (ossia la P che esercita l’acqua che passa in
fase vapore dall’acqua pura)

l’attività dell’acqua viene definita dal rapporto fra la P di vapore che si riscontra nella matrice (P) e la P di
vapore alla stessa T° che si riscontra nell’acqua pura (Pi).
Aw = P/Pi
 Più questo rapporto tende a 1  > sarà il valore di P  > sarà il grado di
disponibilità dell’acqua (quindi >aw)  - l’acqua interagisce con il prodotto
 Se aw=1 significa che P=Pi
 Più questo rapporto tende a 0  < sarà il valore di P  < sarà aw  + l’acqua interagisce con il
prodotto  + stabile è il prodotto
 Il rapporto P/Pi può essere definito in termini % e parliamo allora di UMIDITA’ RELATIVA (U.R), ma il
significato è IDENTICO!
U.R = P/Pi x100

RELAZIONI CHE INTERCORRONO TRA Aw E CONTENUTO D’ACQUA DI UN PRODOTTO

 Sono descritte dalle ISOTERME DI ASSORBIMENTO DI UMIDITA’


 Queste isoterme sono specifiche in funzione della composizione del prodotto: in pratica, per ogni
prodotto è possibile individuare quale sia il valore di contenuto di acqua massimo al quale l’attività
dell’acqua (Aw) è tale da garantire la stabilità e la sicurezza del prodotto nei confronti delle varie rx di
alterazione.
 Dal p.d.v pratico, durante il processo fornisce informazioni necessarie alle gestioni delle operazioni di
disidratazione ed idratazione

Le isoterme sono rappresentate portando l’U


assoluta (ns) in funzione dell’attività dell’acqua
(Aw o UR).
La figura riporta le isoterme di assorbimento di diverse matrici alimentari.

Si vede come la forma della relazione fra umidità assoluta e Aw sia specifica per le diverse matrici. Quindi
ogni prodotto ha una sua tipica isoterma di assorbimento.

Nel riquadro rosso si osserva che: a valori di Aw relativamente bassi, le matrici che contengono biopolimeri
a base di amido o di proteine, sono +igroscopiche delle matrici che contengono zuccheri semplici. Infatti,
osservando il grafico possiamo notare come per es.
un U assoluta nell’asse y intorno a 10 corrisponda a
un U relativa nelle x prossima a 40 nel caso
dell’amido di frumento. Lo stesso grado di
disponibilità, pari cioè circa a 40 è raggiunto dal
saccarosio già a un U assoluta pari a 6-7. Dunque,
ad attività dell’acqua, detta anche U relativa,
relativamente bassa, l’igroscopicità dell’amido è
maggiore rispetto a quella del saccarosio.

La situazione cambia per una UR alta. Per es. quelle


riportate nel riquadro in verde.

In questo caso, il saccarosio, con un contenuto


assoluto di U pari al 30%, mostra un U relativa di
poco inferiore all’80%. Nel caso dell’amido,
un’umidità relativa dell’80% è già raggiunta per un
U assoluta pari circa al 20%. Quindi per U relative
+alte gli zuccheri semplici risultano +igroscopici dei
polimeri.

Le isoterme si possono definire sia misurando la


relazione fra U assoluta e relativa per
assorbimento di acqua, oppure per desorbimento.
Quindi possiamo avere isoterma di assorbimento
(in cui parto dal prodotto secco senza acqua e aggiungo acqua, es. frutta secca) e/o di desorbimento (in cui
parto dal prodotto fresco con acqua e tolgo-sottraggo acqua, es. frutta fresca). Di conseguenza,
l’igroscopicità può essere diversa a seconda che si misuri per assorbimento di acqua o per desorbimento. In
genere si osserva una differenza nell’andamento delle isoterme (cioè una differenza tra le due curve, la
curva di desorb. Giace al disopra dell’altra), che è definita ISTERESI: si riscontra un igroscopicità > nell’
isoterma di desorbimento, a indicare che a parità di Aw l’acqua è trattenuta con > forza quando da un
alimento fresco si prova ad allontanarla, rispetto alla forza con la quale viene trattenuta l’acqua quando
viene riassorbita (il prodotto cioè a parità di Aw rilascia una quantità <di H2O rispetto a quella che assorbe
nelle medesime condizioni). Questo pone l’accento sul problema del riassorbimento di acqua dall’ambiente
su un alimento disidratato. Infatti, un U ass che corrisponde a un valore di Aw che garantisce la stabilità in
un alimento che viene disidratato può invece corrispondere a un valore di Aw più alto per una successiva
reidratazione e dunque, compromettere la stabilità del prodotto.
In funzione della loro composizione le matrici avranno igroscopicità diverse. A seconda di come una matrice è fatta avremo una relazione fra il contenuto di
acqua e l’Aw che definisce poi in realtà la sua igroscopicità. ES. abbiamo 2 matrici, il contenuto di acqua è lo stesso (es.30%), una matrice ha un Aw 0.3 e una
Aw 0.6, quale delle 2 è +igroscopica? Quella con Aw 0.3 perché significa che si è legata più acqua. E questo che conseguenze ha nella gestione della quantità
d’acqua ai fini della stabilità del profotto? Il prodotto più stabile è quello con Aw 0.3. Se dovessi gestire il contenuto di acqua all’interno di questi 2 prodotti che
ragionamento dovrei fare supponendo che li devo essiccare? Il contenuto di acqua del 30% è compatibile con la stabilità supponiamo dell’alimento che ha Aw
0.6? oppure devo arrivare a un contenuto di acqua + alto oppure + basso? Devo arrivare ad un contenuto di acqua +basso cercando di avere un Aw+bassa
possibile. Una matrice che ha Aw 0.6 nei confronti di che cosa può essere instabile? Quali rx di alterazione possono avvenire a 0.6? Rx di Maillard,
l’irrancidimento ox avviene ma in maniera rallentataperché? Perché la rx di irr. ha la sua max velocità quando Aw tende a zero?
Le isoterme sono divise in 3 zone: la zona A e la zona B sono dette dell’acqua legata o incongelabile, la
zona C è detta dell’acqua libera. Ad ognuna di queste zone è associata una certa stabilità del prodotto.

 La zona A o regione del “monostrato” corrisponde alla zona delle UR più basse (comprese fra 0 e 20%)
nella quale l’acqua è fortemente assorbita, cioè completamente legata alla matrice tramite legami a H
alle molecole che contengono gruppi polari come per esempio i colloidi macromolecolari come amido,
pectine e proteine) e poco mobile. In tali condizioni l’acqua non è disponibilex fav. lo sviluppo di m.o o
di rx di alt.
 La zona B è quella delle U relative
intermedie (tra 20 e 65%) nella quale
l’acqua è ancora fortemente legata. Detta Contenuto
anche regione del “multistrato” perché le di acqua %
singole molecole di acqua sono
ordinatamente orientate in strati
sovrapposti
 La zona C è quella delle U relative elevate
(tra il 65 e il 100%) nella quale l’acqua non è
legata, le molecole sono libere e disposte
disordinatamente. La diminuzione della P di
vapore è dovuta in genere a forze di
capillarità, tanto più forti quanto è minore il
diametro dei capillari. Ad alti livelli di U
alcuni componenti si sciolgono e la
diminuzione di P di vapore è dovuta
all’attività osmotica dei soluti.

UR elevate l’acqua è libera


Attività dell’acqua
UR bassel’acqua è legata

REAZIONI DI ALTERAZIONE A TEMPERATURA AMBIENTE

La stabilità dei prodotti a T°amb può essere compromessa non solo dalla crescita di m.o ma anche dal
verificarsi di rx di alterazione chimica e fisica tra cui su tutte abbiamo: la reazione di IRRANCIDIMENTO
OSSIDATIVO delle matrici ad elevato tenore lipidico e della reazione di IMBRUNIMENTO NON ENZIMATICO
(Rx di Maillard) che riguarda i prodotti ricchi di zuccheri riducenti e con composti che presentano gruppi
amminici liberi.

 Per quanto rig la Rx di Maillard le conseguenze riguardano in particolare le proprietà sensoriali dei P.A.
in termini di: cambio di colore (che diventa + scuro), diminuita solubilità delle proteine e formazione di
aromi e sapori particolari che in alcuni casi rappresentano una conseguenza sgradita e li definiamo Off-
Flavour (es. sapore di cotto del latte). In altri casi invece rappresentano aromi e sapori caratteristici del
prodotto (es. aroma del caffè tostato o del pane appena sfornato).
Le proprietà nutrizionali subiscono un decadimento proporzionale all’entità della reazione, dovuto a:
perdita di vitamine (che vengono denaturate per rx con gli intermedi di rx altamente reattivi) e alla perdita
di aa essenziali (infatti nelle proteine, la Lys che è un aa essenziale, viene coinvolta nella rx di Maillard
poiché presenta un gruppo amminico libero sul C in alfa). Inoltre la rx catalizza la formazione di leg.
Intramolecolari fra le proteine diminuendone l’accessibilità e la digeribilità.

Questa rx è favorita da aumenti di T° e l’altro parametro che regola la v di reaz è l’Aw. La v di questa rx è
max a valori di Aw intermedi (prossimi a 0.65-0.7).

 Per quanto riguarda la rx di IRRANCIDIMENTO OX o PEROSSIDAZIONE LIPIDICA la conseguenza sulla


matrice riguarda proprietà sensoriali con cambi di colore verso il giallo-bruno, lo sviluppo di aromi e
sapori sgradevoli che in alcuni casi (es. olio di oliva) rappresentano veri e propri difetti (es. rancido). A
diff della rx di M. genera sempre nella > parte dei casi un difetto!
Le perdite nutrizionali riguardano la diminuzione di vitamine che vengono coinvolte anche in questo
caso in rx con gli intermedi che alterano la struttura e la funzionalità della vitamina e perdite di acidi
grassi essenziali che, essendo polinsaturi, sono i più soggetti alle rx di ossidazione.
I parametri che controllano la v di reazione sono oltre alla T° (che la favorisce) anche l’Aw che ha un
effetto molto particolare (di cui parleremo); anche la presenza di O entra direttamente nel pattern di
reazione.

Altre reazioni minori che possono avvenire a T°amb sono rappresentate:

 dalla formazione di legami crociati fra i biopolimeri (CROSSLINKING FRA POLIMERI) che portano
all’indurimento del prodotto, a cambi di ritenzione idrica che inducono nel complesso modificazioni
della consistenza e della digeribilità. I fattori che intervengono su questa rx sono rappresentati dalla T°
e la presenza di O, entrambi con un effetto positivo sulla velocità.
 Dalle reazioni enzimatiche: gli enzimi ancora attivi nella matrice possono continuare a catalizzare delle
reazioni che in genere portano a cambi peggiorativi di sapore e colore. La v delle reazioni enzimatiche è
accelerata da aumenti di T°, dalla presenza di O nel caso di enzimi coinvolti in rx redox e hanno bisogno
di un certo grado di disponibilità di acqua (almeno a livello intermedio)
 Dalle reazioni di ossidazione dei pigmenti: causano perdite di colore e sviluppo di colori impropri.
Anche in questo caso, i fattori ambientali più imp. che accelerano la reazione sono: T° elevata, presenza
di O e Aw almeno a valori intermedi
REAZIONE DI MAILLARD E ATTIVITA’
DELL’ACQUA

Questo grafico evidenzia la zona di Aw dove


la rx di Maillard è favorita.

Fra valori compresi fra 0.4 e 0.7 la v aumenta


linearmente con l’aumentare di Aw e
presenta il suo valore massimo.

Nella zona 1 che corrisponde a valori di Aw


bassi (fra 0 e 0.2) la rx è inibita. Infatti, in
queste condizioni, l’acqua presente è in forma legata e non può svolgere funzione di solvente. Dunque
siamo in una zona dove le limitazioni di tipo diffusionale impediscono ai reagenti di incontrarsi inibendo
così quasi del tutto la reazione.

Nella zona 2, quella ad U intermedia, la rx accellera via via che la disponibilità di acqua aumenta. Infatti, con
l’aumento del grado di disponibilità dell’acqua, questa inizia a svolgere la funzione di solvente e consente il
superamento delle barriere diffusionali.

Nella zona 3, a valori di Aw alta, quando l’acqua è libera, si assiste a una flessione della velocità dovuta in
questo caso a una sorta di effetto di diluizione dell’acqua nei confronti dei reagenti e quindi all’instaurarsi
di nuovo di reazioni di limitazioni diffusionali, anche se per ragioni opposte a quelle della zona 1.

La posizione precisa dell’optimum di reazione dipende dalla composizione specifica del prodotto, che di per
sé può essere più o meno favorevole alla reazione.

I prodotti ad Aw intermedia, che possono essere soggetti a imbrunimento non enzimatico anche a T° amb
sono per es. uova, latte disidratati, farciture e frutta secca.

REAZIONE DI IRRANCIDIMENTO OSSIDATIVO E ATTIVITA’ DELL’ACQUA

Le relazioni fra v di irrancidimento ox e Aw hanno un andamento molto particolare: per Aw molto inferiori
allo strato monomolecolare nella zona 1 dunque, la reazione è accelerata dall’elevato potere dei
catalizzatori in forma disidratata che consente di superare le limitazioni diffusionali dovute all’assenza di
solvente e favoriscono la reazione. All’aumentare di Aw, per valori prossimi allo strato monomolecolare,
quindi al confine fra zona 1 e zona 2, la reazione rallenta poiché i radicali liberi formano complessi a bassa
reattività con l’acqua presente. I metalli come catalizzatori sono meno efficaci in forma idratata e gli
intermedi di reazione in forma idratata sono poco reattivi.

Quindi per valori prossimi allo strato monomolecolare la rx raggiunge la sua v minima poiché prevalgono le
limitazioni diffusionali dovute all’assenza di solvente, non più compensate da un’aumentata reattività del
sistema come avviene invece ad Aw più basse. Si parla di EFFETTO PROTETTIVO DELL’ACQUA, come a dire
che è necessaria una minima quantità di acqua, vicina a quello dello strato monomolecolare, per
proteggere la matrice dalle reazioni di irrancidimento ossidativo. Per aumenti di Aw oltre lo strato
monomolecolare l’acqua è mezzo solvente che riduce la viscosità e promuove la mobilità delle specie
reagenti. Quindi la v aumenta come abbiamo visto nel caso precedente. E ancora, come nel caso
precedente, valori molto elevati di Aw tendono a diminuire la v di reazione per un effetto di diluizione.
Dunque, caratteristicamente, la curva che descrive la v di irrancidimento ossidativo in funzione di Aw,
presenta un minimo, in corrispondenza dello strato monomolecolare. Per valori di Aw più alti, o più bassi, si
assiste invece a un aumento della velocità di reazione.
Le reazioni enzimatiche risultano completamente inibite nella zona 1 a causa delle limitazioni diffusionali
imputabili all’assenza di solvente. Quindi la v di rx aumenta regolarmente con l’aumentare di Aw.

La crescita di muffe e m.o può avvenire solo a valori di Aw alti, prossimi a quelli dell’acqua libera. Quindi in
alimenti con valori di Aw non superiori alla zona 2 in pratica siamo di fronte a alimenti stabili nei confronti
della contaminazione microbica.

L’effetto inibitorio di Aw sulla crescita dei m.o. è ben evidente in questa immagine che mette in evidenza
che già a valori di Aw relativamente alti (0.8) la crescita della microflora è completamente assente con
l’eccezione dei m.o osmofili ed alofili. A valori di Aw di circa 0.6 in pratica l’alimento non consente la
crescita di m.o di alcun tipo.

Quindi ci sono diverse tipologie di prodotti trasformati e conserve che grazie a una ridotta Aw sono stabili
nei confronti della contaminazione microbica.
*Trigliceridi= Triacilgliceroli = molecole composte da tre a.g
(R, R’, R’’) legati a una molecola di gliecerolo

MODULO 3: OLIO D’OLIVA


Matrice idrofobica a base lipidica liquida a T° amb

COMPOSIZIONE

La componente principale (95-98%) è rappresentata dai TRIGLICERIDI (costituiscono la frazione


SAPONIFICABILE) esterificati (sugli ossidrili) per lo più con acidi grassi C18. L’acido grasso più abbondante
(70-80%) è l’acido OLEICO, che è un C18 monoinsaturo, seguito da linoleico, palmitico e stearico.

Le caratteristiche degli acidi grassi naturali sono: n° pari di atomi di C, assenza di doppi leg. coniugati,
isomeria in cis sul doppio legame. Inoltre nei trigliceridi di origine naturale, che cioè sono stati prodotti
attraverso pattern biochimici in sistemi naturali (sintesi a carico degli enzimi), la posizione 2 sul glicerolo è
prevalentemente occupata da a.g insaturi. Se si tratta di trigliceridi di sintesi chimica, la pos.2 sul glicerolo
sarà occupata da a.g saturi (sono più facili da attaccare).

Inoltre nell’olio di oliva abbiamo una piccola frazione (1-1,5% del tot.)costituita da sostanze che non sono di
natura lipidica che definiamo INSAPONIFICABILE. Questa frazione:

 E’ rappresentata da ciò che si estrae in etere dopo saponificazione della sostanza grassa, è costituita da
sostanze di diversa natura importanti per caratterizzare la materia grassa in esame: idrocarburi insaturi
(terpeni e carotenoidi), polifenoli idrosolubili, clorofilla, vit. liposolubili, tocoferoli, tocotrienoli, steroli.
 Dal p.d.v analitico è di estrema imp. poiché dalle sue caratteristiche è possibile ottenere informazioni
molto imp. sia sul processo che ha portato alla produzione dell’olio ma anche sulla natura della
materia prima che è stata utilizzata (per es. se si tratta di olive o di altre fonti vegetali di < pregio)

CLASSI MERCEOLOGICHE DELL’OLIO DI OLIVA

La distinzione delle classi merceologiche dell’olio di oliva si basa sull’acidità titolabile della matrice.
Entrambi queste due classi di prodotto sono
OLIO EXTRAVERGINE (EVOO): avrà un’acidità titolabile NON superiore allo 0.8% ottenute UNICAMENTE mediante l’adozione di
Quindi ≤ 0.8% PROCESSI FISICI di estrazione dell’olio dal
OLIO VERGINE: presenta un’acidità max fino al 2% tessuto delle olive senza alcun trattamento
Quindi ≤ 2% chimico
OLIO LAMPANTE: acidità titolabile >2%, non può essere messo in commercio ma può essere sottoposto a
processi di rettifica, che in primo luogo abbattono l’acidità in eccesso e poi servono ad allontanare per
estrazione chimica impurezze e sostanze responsabili di sapori e colori impropri. L’olio rettificato può
essere MISCELATO con olio vergine e posto in vendita come OLIO D’OLIVA, con un’acidità titolabile
massima non superiore all’1% (≤1%). Usato per i sott’oli.

Dai residui della lavorazione dell’olio (la cosiddetta “sansa”) è


possibile estrarre sempre per via chimica, tramite estraz.
solido (sansa)-liquido(solvente organ.) l’olio residuo (OLIO DI
SANSA), che viene poi sottoposto a rettifica. L’olio di sansa,
mescolato con OLIO VERGINE, può essere messo in vendita
come OLIO DI SANSA D’OLIVA con un acidità titolabile
massima ammessa < o uguale all’1%.

EstrazioneIl livello di aciditàsititolabile


solido-liquido: aggiungedaunsolo NON organico, l’olio si
solvente
scioglie, recupero il solvente (che contiene l’olio), allontano il solvente
per evaporazione e mi rimane l’olio, che verrà corretto (passerà su
colonne che assorbono le sostanze interferenti)
Il livello di acidità titolabile da solo NON BASTA a distinguere le diverse classi merceologiche! Poiché il massimo consentito per legge per le
diverse classi è spesso sovrapponibile. Dunque, sono necessari metodi d’analisi a supporto per definire la classe merceologica dell’olio d’oliva.
Se ho un olio caratterizzato solo per il valore di acidità, non posso decidere la classe merceologica,il primo esame analitico di scelta che devo
fare che mi da una prima indicazione se sono di fronte a un olio vergine o a un mix di olio rettificato e olio vergine sarà l’esame
spettrofotometrico!!

Frodi: aggiunta di olio rettificato (per verificare la verginità in ordine di semplicità: analisi spettrofotometrica, indici di danno tecnologico),
aggiunta di oli di specie vegetali diverse (analisi profilo sterolico). Date queste due frodi il piano di analisi è lo stesso? NO

DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’ TITOLABILE DELL’OLIO

Si tratta di una semplice titolazione acido-base ed’è la PRIMA analisi che possiamo fare per avere
indicazione sulla classe merceologica del prodotto. In ogni caso, abbiamo detto che il risultato non è
ESAUSTIVO.

 SCOPO: valutazione del grado di alterazione idrolitica della componente glicerica, verifica della
conformità (se siamo conformi) ai limiti di legge della classe merceologica (NON SERVE A STABILIRE LA
CLASSE MERCEOLOGICA !!)
 PRINCIPIO: titolazione acido-base
 MATERIALI: buretta, beuta da 300ml, cilindro da 100ml
 REAGENTI: miscela alcol-etere neutralizzata, soluzione idroalcolica di fenolftaleina, soluzione titolante
NaOH 0.1M
 PROCEDIMENTO:
1. Pesare su bilancia analitica nella beuta 5gr di olio
2. Preparare nel cilindro da 100ml la miscela di alcool-etere (1:2), trasferirla in una beuta e titolarla
(poiché la miscela risulta debolmente acida occorre neutralizzare l’acidità) con NaOH fino alla
neutralità utilizzando fenolftaleina come indicatore (quindi si aggiunge qualche goccia di indicatore
e poi qualche goccia di NaOH)
3. Aggiungere la miscela alcool-etere all’olio (che si scioglie) e agitare (tutto in beuta, che
posizioniamo sotto la buretta di NaOH); possiamo ora procedere alla titolazione
4. Titolare la miscela con NaOH (soluzione titolante in buretta) fino al viraggio rosa pallido
5. Chiudere il rubinetto e prendere nota dei ml utilizzati di titolante (NaOH)
 RISULTATO: si esprime in gr di acido oleico/in 100gr di campione (%p) Vbase= ml NaOH usati

Mbase= molarità NaOH

M(gr)= massa del campione di olio


analizzato

282= peso molecolare (gr/mol) acido oleico

Numero di acidità= mg di NaOH


necessari a neutralizzare gli acidi liberi
presenti in 1g di olio
REAZIONE DI IRRANCIDIMENTO OSSIDATIVO O PEROSSIDAZIONE LIPIDICA

 E’ la più importante reazione di alterazione di tutte le matrici a base lipidica (e quindi degli oli di oliva)
 Ci sono una serie di analisi che possiamo effettuare sulla matrice per valutare lo stato del prodotto
rispetto a questa alterazione
 Le conseguenze dell’irrancidimento ox riguardano: sviluppo di odori e sapori sgradevoli indicati come
difetto di rancido e sono indotti dai prodotti terminali della reazione e perdita di a.g insaturi (<potere
nutrizionale), cambiamenti di colore. Questo fenomeno non provoca problemi di sicurezza, il legislatore
controlla l’irrancidimento per tutelare la qualità.
 Ha un’E di attivazione molto bassa, quindi una volta che si è innescata può procedere anche se la T° è
molto bassa (quindi può avvenire anche a T°<T°amb es. durante lo stoccaggio in frigorifero)
 I principali substrati di rx sono gli a.g liberi insaturi che si ossidano più facilmente e velocemente
rispetto a quando fanno parte di TG e fosfolipidi (nel primo caso) e rispetto ai saturi (nel secondo caso)
 Gli intermedi di rx sono composti radicalici altamente reattivi che oltre a reagire con altri a.g liberi
possono coinvolgere nella rx altri componenti della matrice per es. delle proteine oppure delle vitamine
 La reazione si divide in 3 FASI principali:
1) INIZIAZIONE: Questa è la fase limitante che avviene ad una bassa v di reazione.

Questa fase avviene a partire dall’IDROLISI per via enzimatica sui trigliceridi (fenomeni idrolitici sui TG
catalizzati da enzimi, es. lipasi) che scinde gli a.g dallo scheletro di glicerolo, con la conseguente liberazione
degli acidi grassi, in seguito si ha la formazione di radicali (composti ad elevatissima reattività, quindi è una
reazione radicalica) che avviene per distacco di un atomo di H da un gruppo RH posizionato a livello di un =
nella catena di un a.g e quindi dalla conseguente scissione di un legame C-H presente negli a.g. RH → R*
+ H* (*=elettrone spaiato). Tuttavia ancora la rx non è partita e se controlliamo questa fase possiamo
sempre bloccare o rimandare l’ossidazione ma se si continua a tenere il prodotto in
condizioni inadeguate ecc e questa fase non viene controllata..

Quando si raggiunge una [ ]critica di radicali liberi R* la rx parte definitivamente e


interviene l’O2, inizia così la 2) FASE DI PROPAGAZIONE e la v di rx accellera. I
radicali liberi (R*) formati reagiscono con O2 con formazione di radicali perossidi
(ROO*) molto instabili: R* + O2 → ROO* . E’ detta di propagazione perché si
propaga agli altri a.g presenti nel resto della matrice non coinvolti nella fase
precedente: cioè i radicali perossidi possono agire su altri a.g, cioè se incontrano un
acido grasso insaturo (RH) nelle vicinanze sfuggito alla fase di iniziazione, gli
sottraggono un atomo di H formando un idroperossido (ROOH) e un nuovo radicale
reattivo (R*) che può quindi reagire con molecole di O riattivando il ciclo prec.
descritto: ROO* + RH → ROOH + R* . Due idroperossidi reagendo tra loro
formano acqua, radicali perossidi (ROO*) e radicali alcossi (RO*): 2ROOH →
RO*+ROO*+H2O. Quindi la propagazione è un sistema complesso di reazioni cicliche. RH: acido grasso
idrogenato libero
Questa fase va avanti fino a che non sono terminati gli acidi grassi ed’è caratterizzata
CATALIZZATORI:
dall’accumulo di perossidi e idroperossidi e dalla produzione e consumo in uguale misura di
luce ecc..
radicali a scapito degli altri a.g liberi presenti nel mezzo.
R*: radicale
Quando si raggiunge una [] critica di perossidi e idroperossidi parte la cosiddetta iniziazione o
ROO*: radicale
ossidazione secondaria: fase molto rapida in cui i perossidi e gli idroperossidi iniziano loro stessi a
perossido formato
decomporsi dando origine a una serie di composti ancora altamente reattivi di natura carbonilica. dall’interazione tra
Dopodichè inizia la fase di 3) TERMINAZIONE: è caratterizzata dall’accumulo di composti molto + R* e O
stabili, infatti, i radicali provenienti dalla decomposizione di idroperossidi o comunque da sostanze
ROOH:
molto instabili si associano fra loro a dare composti “secondari” non radicalici. Si formano aldeidi
idroperossido,
e chetoni a basso pm volatili (responsabili dell’odore di rancidodifetto rancidità, esteri, acidi, deriva da proto
alcool ecc. nazione di ROO*

Alla fine della rx di irrancidimento abbiamo una grossa diminuzione del potere nutrizionale dell’olio, perché: 1)i composti
fenolici ossidano e quindi non sono disponibili (quindi abbiamo una diminuzione del potere antiossidante in termini di effetto
salutistico), 2) diminuzione di a.g insaturi (in particolare quelli polinsaturi con più di un doppio legame). Un’olio estremamente
ossidato sarà un olio difettato (che per legge NON può essere messo in vendita), presenterà un NP basso ma un numero alto di
p-anisidina. Indice di predisposizione all’irrancidimento ox in un olio: basso contenuto di antiossidanti (si determina il
contenuto fenolico e il potenziale antiossidante dei composti fenolici), l’acidità (oli +acidi saranno +propensi ad andare
incontro alla rx di irrancidimento).
 FATTORI CHE INFLUENZANO LA VELOCITA’ DELLA REAZIONE sono:
 Presenza di ossidanti (come metalli, il gruppo eme della mioglobina in matrici a base di carne, lipasi)
e presenza di antiossidanti (es. i fenoli endogeni nell’olio di oliva): questi composti intervengono
nella fase di iniziazione prolungandola e in quella di propagazione rallentandola mediante la
disattivazione dei radicali liberi o dei catalizzatori.
 Natura e grado di dispersione dei lipidi
 Grado di disponibilità dell’acqua (Aw): Quindi l’acqua ha un effetto protettivo!

-per valori di Aw prossimi a 0.2 (quindi allo strato monomolecolare) la v di reazione è minima
-per valori più bassi di 0.2 la reazione accelera poiché i catalizzatori di reazione e gli intermedi (es.
idroperossidi) sono estremamente reattivi in forma non complessata con l’acqua quindi non idratati
-per valori superiori a 0.2 la libera diffusione dei reagenti favorisce la reazione che riprende ad
accelerare

Il ruolo dell’attività dell’acqua sulla velocità dell’irrancidimento ossidativo può essere schematizzato in tre
zone:

La zona 1: parte da Aw prossimi a zero dove la rx è molto veloce fino ad arrivare a valori di Aw intorno allo
0.2. All’aumentare di Aw fino a 0.2 l’ossidazione via via rallenta a causa: dei legami dell’acqua con i radicali
liberi, dell’idratazione dei metalli e della formazione di
idrossidi insolubili

La zona 2: in questa zona l’acqua è mezzo solvente che


riduce la viscosità e promuove la mobilità delle specie
reagenti, quindi la v di rx aumenta in maniera regolare
via via che aumenta Aw

La zona 3: valori elevati di Aw rallentano la reazione di


irrancidimento per un effetto di diluizione dei reagenti
coinvolti

INDICI-MARKERS REAZIONE DI IRRANCIDIMENTO

Ognuna delle fasi di reazione, come nel caso della Rx di Maillard, presenta dei caratteristici MARKERS che ci
servono per capire se un olio è ossidato oppure no.

INIZIAZIONE: questa è denunciata dalla presenza di DIENI e TRIENI coniugati che in questa forma sono
assenti nelle matrici lipidiche naturali non ossidate CH=CH-CH2-CH=CH situaz normale  CH=CH-CH2=CH=CH DIENE

PROPAGAZIONE: è caratterizzata dalla presenza di PEROSSIDI (markers specifici dell’ox, sono indice che la
rx è in atto!)

TERMINAZIONE: possiamo determinare il valore di p-anisidina che rileva le aldeidi insature, possono essere
determinati i composti volatili organici oppure può essere determinato un indice generale di ox mediante la
determinazione delle sostanze reattive all’acido Tiobarbiturico

NOTA BENE**: Gli acidi grassi rappresentano i substrati di reazioneL'acidità di un olio (o di una sostanza grassa in
genere) esprime la percentuale di acidi grassi liberi (che si sono staccati dai TG per eventi idrolitici di varia natura) in
esso contenuti per cui la determinazione dell’acidità è indice della PREDISPOSIZIONE della matrice alla reazione di
ossidazione: >è l’acidità>è la probabilità che l’olio vada incontro a irrancidimento ox <sarà la qualità dell’olio
I perossidi sono composti chimici contenenti
il gruppo caratteristico formato da due atomi di ossigeno uniti
da un legame covalente semplice (legame O-O). Il più comune
di essi è il perossido di idrogeno, meglio noto come "acqua
ossigenata", di formula H2O2.
DETERMINAZIONE DEL NUMERO DEI PEROSSIDI (NP)

E’ un valore molto importante perché è fissato per legge! Un olio EVOO può presentare al max
20milliequivalenti/kg di perossidi.

 SCOPO: verificare la conformità ai limiti di legge, indicazioni sullo stato di ossidazione primaria di un
olio (per capire se c’è un’ossidazione in atto)
 PRINCIPIO: si basa sull’ossidazione dello ioduro di potassio KI da parte dei perossidi e successiva
determinazione dello iodio molecolare I2 (che si è prodotto-liberato da tale ox) mediante una
titolazione con tiosolfato di sodio e salda d’amido come indicatore
+perossidi ci sono+I2 C’è
 MATERIALI: buretta, beuta da 300ml, cilindro da 25ml, pipetta da 2ml
 REAGENTI: salda d’amido, tiosolfato di sodio 0.01N, soluzione satura di KI, miscela
ac.acetico/cloroformio (3:2) (miscela estraente)
 PROCEDIMENTO: L’ambiente è fortemente acido per favorire la rx
1. Pesare nella beuta 1gr di olio e 25ml della miscela di ac.acetico/cloroformio (x creare amb. acido)
2. Aggiungere 0.5ml di soluzione satura di KI (così sono sicuro che i per hanno a disposizione sempre
KI) agitare e lasciare a riposo per 5 minuti (se ci sono i per ossidano il KI e producono I2)
3. Aggiungere alla miscela 75ml di acqua distillata, 2ml di salda d’amido
4. Titolare (si titola lo iodio prodotto) con tiosolfato di sodio (Na2S2O3) fino a completa decolorazione
5. Prendere nota dei ml di titolante utilizzati
 RISULTATO: si esprime in meq di O2/su 1000gr cioè su 1kg di campione (olio)
 V x N x 1000 / m
V= ml di titolante (tiosolfato) usati , N= titolo([]) del titolante (tiosolfato), m= gr di campione (olio) utiliz.

POSSIBILI CAUSE DI ERRORE nelle conclusioni circa lo stato di ox di un olio in base alla determinazione del
numero dei perossidi possono dipendere:

 dal fatto che la [] dei perossidi NON è stabile nel tempo: i perossidi e gli idroperossidi tendono a
diminuire passando dalla propagazione alla terminazione. Quindi un olio che è completamente ossidato
potrebbe presentare un NP molto bassocome facciamo? Le condizioni di estrema ossidazione in
questo caso sarebbero denunciate dai difetti sensoriali della matrice (quindi dall’esame sensoriale)!
 Da Interferenze vere e proprie nella rx, che sono rappresentate dall’O atm che può contribuire-
provocare all’ox del KI, produrre I2 e dunque determinare una sovrastima dei perossidi
 Dal fatto che lo iodio molecolare I2 può legarsi ai doppi legami presenti sulle molecole di a.g e così non
si trova più in miscela, determinando in questo caso una sottostima del numero dei perossidi

Per contenere le ultime due cause di errore la procedura per la determinazione dei perossidi deve essere
condotta in t relativamente brevi e controllati  lavorare in condizioni standardizzate

DETERMINAZIONE DEL NUMERO DI para-ANISIDINA - NA

 SCOPO: mettere in evidenza l’ossidazione secondaria quindi indicazioni sullo stato di ox secondaria
 PRINCIPIO: i composti carbonilici (aldeidi) reagiscono con la p-anisidina e determinano lo sviluppo di
una colorazione gialla la cui intensità viene determinata per via spettrofotometrica

Queste rx non sono specifiche poiché anche altri intermedi carbonilici possono dare luogo a sviluppo di
colore quando reagiscono con la p-anisidina.

 MATERIALI: matraccio da 25ml, cuvette


 REAGENTI: iso-ottano grado spettrofotometrico, p-anisidina in acido acetico 2.5mg/L
 PROCEDIMENTO:
1. Pesare nella beuta 0.5-0.4gr di campione e portare a volume con iso-ottano
2. Leggere a 350nm l’assorbanza (Eb)  +è elevata,>è la [] dei prodotti terminali dell’ox
3. Prelevare 5ml di campione diluito e mescolarli con 1ml di p-anisidina, agitare e leggere l’Abs dopo
10 minuti (Ea)
4. Preparare un riferimento mescolando a 5ml di iso-ottano 1ml di p-anisidina, agitare e leggere l’Abs
dopo 10 minuti (Er)
 RISULTATO
Numero di p-anisidina/g (NA) = [(Ea - Er) - Eb] / m (NA < o uguali a 10 sono considerati ACCETTABILI,
comunque la legge non fissa valori per la p-anisidina a differenza del n° dei perossidi)
m= quantità di campione

Le aldeidi volatili (C3-C10) positive alla p-anisidina sono indicatori precoci dell’insorgenza del difetto di
rancido. Ma reagiscono anche composti carbonilici non volatili!

ALTRI INDICI-INDICATORI EMPIRICI DELLO STATO DI OSSIDAZIONE DI UN OLIO

 INDICE TOTALE di ossidazione (TOTox)  TOTox = NP + 2 NA (somma tra numero del n° dei perossidi e
del numero di p-anisidina), NA x 2 perché da 1 perossido si ottengono 2gruppi che reagiscono con la p-a
 Sostanze reattive all’acido tiobarbiturico – TBARS (Thiobarbituric Acid Reactive Substances)
Ossidazione dell’acido TBA da parte delle aldeidi presenti e sviluppo di colore (Abs 530nm)
Anche in questo caso la positività della rx è solo un indicazione poiché l’acido TBA può sviluppare colore
con molti altri composti (es. zuccheri, aa, acidi nucleici)
 Saggio di Krebs (in disuso, troppe interf.), che reagisce con i composti responsabili del difetto di rancido

ANALISI SPETTROFOTOMETRICA DEGLI OLI DI OLIVA

L’esame spettrofotometrico nella regione UV o IR, semplice e molto efficace, mette in evidenza la
presenza di oli rettificati (quindi non vergini) e prodotti di ossidazione che sono caratterizzati da sistemi
polienici coniugati

PRINCIPIO DEL METODO: è che i legami coniugati assorbono a lunghezze d’onda comprese fra 230 e
350nm; in particolare: dieni (-C=C-C=C-), perossidi, idroperossidi assorbono al max a 232nm; i trieni (-C=C-
C=C-C=C-) ass. al max a 268nm, chetoni e aldeidi ass. al max a 270nm.

La legge stabilisce-fissa dei valori massimi (limiti) di assorbanza a 232 e 270nm. Se un olio è vergine avrà in
corrispondenza di queste zone valori di A molto bassi.

L’esame spettrofotometrico viene effettuato su una soluzione all’1% di olio di oliva in iso-ottano (cioè 1g
di olio in 100g di solvente), registrando lo spettro di assorbimento nell’intervallo tra 200 e 300nm. Si
calcolano poi i valori di assorbanza specifica (K=costante specifica che rapp il valore di Abs ad una data
lunghezza d’onda di una soluz. di olio all’1%) a 232nm (un aumento del K232 evidenzia un’ox primaria) e in
corrispondenza dell’eventuale picco situato intorno a 270nm () in base alla relazione: Kλ = Aλ / c x I dove
Kλ=coefficiente di assorbimento specifico (cioè riferito alla soluz. All’1%) alla lunghezza d’onda λ, Aλ =
assorbanza alla lunghezza d’onda λ , c=concentrazione (1%), I=spessore della cuvetta-cella (1cm).

Possiamo anche calcolare il cosiddetto ΔK  ΔK = Km – [(Km-4 + Km+4)/ 2] dove Km= coefficiente di


assorbimento in corrispondenza del picco situato intorno a 270nm, alla lunghezza d’onda m
Nel caso di olio torbido l’A misurata è
sempre la stessa, non ci sono picchi

Il ΔK ha lo scopo di valutare l’assorbanza di fondo, non imputabile cioè a composti specifici. E’ un indice che
considera quanto è specifica l’assorbanza a 270 per es. oppure se è un A generica (se è torbido l’olio ecc..)

Quindi tale esame consente di: individuare se un olio di oliva sia vergine (cioè estratto mediante solo
processi fisici) o meno, perché in questo caso NON conterrà doppi legami coniugati e quindi presenterà
valori di assorbanza entro i limiti di legge e quindi di classificarlo commercialmente; consente poi di svelare
sofisticazioni, cioè consente di individuare se in una miscela sono presenti in maniera fraudolenta oli di
rettifica (quindi se un olio proviene da un processo di raffinazione, se un olio contiene oli rettificati o di
semi), poiché questo trattamento indurrà l’ossidazione e quindi la formazione di doppi legami coniugati ed
infine consente, in generale, di mettere in evidenza la presenza di fenomeni ossidativi in corso quindi
fornisce informazioni riguardo lo stato di alterazione ossidativa dell’olio.
Negli oli di oliva vergini in buono stato di cons. prodotti senza
alcun trattamento di rettificazione e raffinazione sono presenti
soltanto acidi grassi con doppi leg. Isolati (cioè separati da due o
Variazione del coefficiente K in
più leg. singoli) e sistemi di 2 o 3 doppi leg. non coniugati relativi
funzione della λ tra 200 e 300. La
agli a.g insaturi: acido oleico (= in pos.9),linoleico(2=in pos.9 e
curva A è relativa agli oli vergini e
12), linolenico (3= in pos. 9,12 e 15).
lampanti in buono stato di
conservazione. La curva B è quella In genere i doppi leg. degli a.g insaturi presenti nelle sost.grasse
tipica di un olio lampante o un olio di origine nat. manifestano un ass intorno a 210nm fino a
vergine irrancidito 300nm; quindi in un olio ben conservato avrò la presenza di una
sola banda di ass con un max intorno a 210 e non sono presenti
altri picchi di ass in quanto sono assenti sistemi coniugati.

Se abbiamo a che fare con un olio lampante o vergine ma comunque ossidato: i processi industriali di
rettificazione e il processo di ox comportano la formazione di doppi e tripli leg. coniugati (separati da un
solo leg.singolo) che manifestano assorbimento caratt rispettivamente a 230nm (dieni) e 270nm (trieni).
Quindi nel grafico dello spettro di assorbimento saranno presenti più bande di assorbimento con massimi
intorno a 210nm ma anche intorno a 232nm e 270nm.

ATTENZIONE** I processi di rettifica più avanzati


avvengono in maniera più “delicata” e quindi possono
M=valore max I valori dell’olio evoo sono sempre PIU’ BASSI DEGLI ALTRI!
evitare la formazione dei doppi legami coniugati.
Quindi, se c’è il sospetto che un olio, dichiarato
vergine, contenga in realtà anche oli di rettifica,
saranno necessarie altre analisi come per es. la
ricercare la presenza di a.g trans che denunciano un
danno tecnologico; inoltre possiamo effettuare delle
analisi sulla frazione in saponificabile per es. ricercare
la presenza di idrocarburi di neoformazione derivati
Ogni olio avrà 2 valori di K tipici e 1 valore di ΔK
della degradazione degli steroli e indotti dal processo
COMPOSTI ANTIOSSIDANTI DELL’OLIO di rettifica oppure con la caratterizzazione-
determinazione degli isomeri dello squalene.
L’olio di oliva vergine è naturalmente protetto dai fenomeni di
ossidazione grazie al suo patrimonio di antiossidanti endogeni (quindi +ci sono,+è protetto dalla rx di ox
lipidica,+ l’olio è stabile,>è l’effetto benefico sul nostro organismo) come ad esempio:

 I TOCOFEROLI: composti antiossidanti di struttura analoga alla Vit. E presenti in quasi


tutte le sostanze grasse.
Quantificazione ed analisi effettuata mediante HPLC
 I POLIFENOLI (oleuropeina, acido gallico..): molto abbondanti nell’olio di oliva
Quantificazione ed analisi effettuata mediante la spettrofotometria UV-VISIBILE (si utilizza il reattivo
di Folin-Ciocalteau e la colorazione blu sviluppata ha un massimo di assorbimento a 750nm)
Questi composti sono radical scavengers in grado di disattivare i radicali liberi che si formano durante le
prime fasi dell’ossidazione e dunque
rallentano o possono inibire del tutto la
reazione. Inoltre, contribuiscono al sapore
amaro, al piccante, all’astringente.

DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO FENOLICO CON IL REATTIVO DI FOLIN-CIOCALTEAU

 SCOPO: dosaggio del tenore fenolico in oli di oliva vergini e oli di semi grezzi estratti per pressione,
stimare la resistenza di un olio al danno ossidativo
*Il processo di raffinazione rimuove pressoché integralmente il patrimonio fenolico degli oli vegetali (in
generale perdono gran parte della loro fraz. insaponificabile)
 PRINCIPIO (uguale per tutte le matrici alimentari): riduzione da parte dei fenoli (riducenti che si ossidano)
del reattivo di Folin-Ciocalteau (ossidante che si riduce) in ambiente alcalino (pH intorno a 10) con
formazione di composti colorati (metalli ridotti) quantificabili per via spettrofotometrica

*Reattivo di Folin-Ciocalteau: è una miscela di color giallo in soluzione acquosa di fosfomolibdato (acido
fosfomolibdico, H3PMo12O40 acido a base di fosforo e molibdeno) e fosfotungstato (acido fosfotungstico, H3PW12O40
acido a base di fosforo e tungsteno) utilizzata in chimica analitica per la determinazione dei fenoli e dei polifenoli,
delle proteine (metodo di Lowry) e di composti contenenti azoto. La riduzione in ambiente alcalino del reattivo porta
alla formazione di una miscela colorata di blu (la cui int. è dirett prop al n° di fenoli pres.), la lettura avviene a 765nm.

 PROCEDIMENTO: nell’olio la [] dei fenoli è relativamente bassa, quindi il primo passaggio sarà
l’estrazione dei fenoli dalla fase lipidica e loro successiva concentrazione. Poi si portano a reazione
(redox) con il reattivo di FC in condizioni acquose e basiche, si sviluppa il colore blu, si misura
l’Assorbanza e per passare dal valore di Abs trovato alla [] fenolica si fa la retta di taratura con un
fenolo di riferimento (è lo standard) che può essere acido gallico, tirosolo ecc. Quindi le fasi sono:
1. Preparazione del campione  Estrazione dei fenoli
 Estrazione in miscela idroalcolica
Mescolare 2.5gr di olio con 2.5gr di esano. Dibattere la miscela con metanolo/acqua (80:20) e
recuperare la fase idroalcolica nella quale vengono estratti i fenoli polari. Ripetere l’estrazione
per almeno 3 volte. Riunire i lavaggi idroalcolici sui quali effettuare la reazione con il Folin-
Ciocalteau in un matraccio da 50ml.
 Estrazione su cartuccia SPE
Condizionare la cartuccia mediante passaggio di metanolo ed esano. Depositare l’olio sulla
cartuccia e eluire la frazione apolare con esano ed esano/acetato di etile.
Eluire i fenoli mediante lavaggio con metanolo. Portare a secco l’eluato e risospenderlo in un
piccolo V di metanolo/acqua (80:20) in un matraccio da 50ml.
2. Reazione colorimetrica

Aggiungere all’estratto idroalcolico di fenoli 2.5ml di reattivo di Folin e 2.5ml di Na2CO3 (grazie a lui si
ottiene la basicità) al 7.5% e portare a volume con acqua distillata.

Preparazione del bianco: preparare un riferimento nel quale al posto dell’estratto si utilizza il solo solvente
(quindi abbiamo acqua distillata + reattivo di FC)

Esame spettrofotometrico: misurare Abs a 765 nm (campione contro bianco)


A

C (mg di
acido
3. Calcolo del risultato gallico)

Costruzione retta o curva di taratura o di calibrazione utilizzando soluzioni fenoliche standard (cioè a titolo
noto) di acido gallico (si misurano le diverse assorbanze delle diverse soluzioni, ogni soluz avrà una certa
[acido gallico])

Calcolo del risultato sulla base della retta di taratura (si misura l’abs del nostro campione, lo riporto in
grafico e risalgo alla concentrazione di analita, acido gallico). Quindi il risultato dell’analisi si esprime in
mg/L di acido gallico.

Per det. i fenoli si utilizza il reattivo di FC  >sarà il tenore fenolico, >sarà la rx con il reattivo di FC, e quindi
> sarà lo sviluppo di colore blu.

DETERMINAZIONE DEL POTENZIALE ANTIOSSIDANTE (POX) DEI COMPOSTI FENOLICI di un olio

 PRINCIPIO: sbiancamento (per disattivazione) di un radicale cationico in funzione del potenziale-potere


antiossidante del campione
 REATTIVI: 2,2’-Azinobis (3-etilenbenzotiazoline-6-acido solfonico), SIGMA Codice A-1888 (ABTS),
Persolfato di potassio K2S2O8, SIGMA Codice P-9392, Antiossidante standard: 6-idrossi-2,5,7,8-
tetramethylchroman-2-carboxylic acid 97% (TROLOX)
 PROCEDIMENTO: In pratica, si fa avvenire una rx tra un radicale sintetico colorato di blu indicato
come ABTS (che presenta diversi massimi di assorbimento) e l’olio. In presenza di antiossidanti, questi
sono in grado di disattivare il radicale che quindi si scolora. Andrò poi a vedere il cambio-la variazione di
Abs, cioè a valutare la capacità antiossidante in base alla diminuzione di Abs che si osserva (se non ci
sono fenoli l’Abs rimane la stessa mentre se ci sono, questi disattivano il radicale e si avrà una
diminuzione di colore e quindi l’intensità dell’Abs diminuirà) ed il risultato si ottiene da una retta di
taratura costruita preparando soluz. standard di un antiossidante di riferimento a [] crescenti che in
genere è il TROLOX (>sarà la [TROLOX], <sarà Abs) che mette in relazione la perdita di segnale di Abs
con la [] di antiossidante. Quindi si paragona la capacità che l’olio ha di scolorire il radicale standard con
quella mostrata da soluzioni di TROLOX a [] nota.
1. Preparazione della soluzione di ABTS
-Preparare una soluzione acquosa di ABTS 7Mm (19,2mg in 5ml di H2O)e una soluzione acquosa di
persolfato di K 140mM (37,8mg in 1ml di H2O)
-Aggiungere alla soluzione di 5ml di ABTS 88microL della soluzione di persolfato di K e lasciare al buio
per una notte
-Diluire la soluzione con etanolo e portarla a 30°C. Determinare l’Abs a 734nm ed eventualmente
diluire fino ad avere un Abs di 0,70 (ABTS ws working solution)
2. Costruzione della retta di taratura con il Trolox
-Preparare 5 soluzioni di Trolox a []crescenti in EtOH a 250<[]<1500mM. Aggiungere 10ml di ogni
soluzione di Trolox a 1ml di ABTS ws.
-Preparare un campione di riferimento aggiungendo 10ml di EtOH a 1ml di ABTS ws
-Lasciare a reagire per 30min a 30°C e successivamente leggere l’Abs a 734nm
3. Determinazione del valore di TEAC dei campioni
4. Calcolo del risultato: Il risultato si esprime dopo aver calcolato la % di inibizione (I%), cioè l’entità
del calo di assorbanza indotto dal campione contenente l’antiossidante e l’assorbanza iniziale della
soluzione contenente il radicale. (quanto si scolorisce il radicale praticamente)

I% = (AbsR – AbsS / AbsR) x 100 dove AbsR= assorbanza a 734nm del campione di rif. e AbsS del campione

Se la differenza AbsR-AbsS è piccola, l’inibizione è stata piccola; se è grande l’inibizione è stata elevata e quindi ho tanto
antiossidante.
>è [trolox] o comunque
dell’antiossidante,+il radicale si
scolora,+l’abs diminuisce

Dalla I% delle soluz. standard di TROLOX si va a costruire una retta di taratura dove nell’asse delle x si
riporta la [] di antiossidante standard (TROLOX) e nell’asse delle y si riporta il valore di I% calcolato come
assorbanza residua di ogni campione ad una data [] di TROLOX e il valore iniziale di assorbanza della
soluzione di radicale. Calcolare poi l’equazione della retta, descritta da questi punti sperimentali.

Il valore di inibizione % riscontrato nel campione a [] incognita di antiossidanti (es. olio nel nostro caso),
viene sostituito nell’equazione della retta in modo da calcolare la [] di composto standard (TROLOX)
equivalente a quella I% del campione

Il risultato si esprime in TEAC (Trolox Equivalent Antioxidant Capacity): quantità in mg di TROLOX necessari
per avere la stessa capacità antiossidante di 1mg di fenolo in esame.

ATTENZIONE** Se io ho tanti fenoli questo NON vuol dire che ho un alto potere antiossidante! Perché il potere
antiossidante è specifico, cioè cambia a seconda del o dei tipo/i di fenoli che ho nel campione (es.fenoli molto
antiossidanti come oleuropeina, fenoli meno antiossidanti come il tirosolo)

ANALISI CHE POSSONO ESSERE EFFETTUATE SULLA FRAZIONE SAPONIFICABILE ED INSAPONIFICABILE-


INDICI CROMATOGRAFICI

 Consentono mettere in evidenza l’aggiunta all’olio vergine di oliva di oli meno pregiati quindi o oli di
oliva rettificati oppure oli ottenuti da altre matrici vegetali meno pregiate come possono essere per es.
oli di semi.
 Il primo passaggio di queste analisi, basate tutte su tecniche CROMATOGRAFICHE, è la separazione
della fase lipidica (quindi a.g e TG) dalla fase insaponificabile. A tal fine l’olio viene sottoposto a idrolisi
alcalina che determina una netta differenza di solubilità fra le due frazioni che ne rende possibile la
separazione mediante tecniche di separazione liquido-liquido, potranno essere poi recuperati i diversi
componenti e quindi poi avviati ad analisi specifiche.
Per es. dalla miscela mediante estrazione in etere possono essere recuperati gli a.g per la
determinazione successiva del profilo acidicoil profilo acidico di un olio può essere determinato per
avere informazioni sulla sua origine botanica.
La tabella mette a confronto la composizione
media in a.g di un olio di oliva con quella di oli di
altre specie botaniche. Caratteristicamente l’olio
di oliva contiene per lo più acido oleico, che
rapp. fino all’83% del totale. Questo a.g è invece
molto meno abbondante nelle altre specie
vegetali. Anche il contenuto di acido linoleico è
caratteristico dell’olio di oliva, che ne contiene
decisamente meno rispetto ad oli ottenuti per
es. da soia, mais, girasole.

Il contenuto degli altri a.g non è poi così diverso,


vediamo che i possibili range di variazione sono
spesso sovrapponibili. Inoltre dobbiamo
considerare che il profilo acidico di un olio di
oliva è variabile, in funzione per es. varietà,
condizioni climatiche, epoca raccolta olive.

Quindi l’analisi del profilo acidico DA SOLA NON


fornisce info sufficienti per definire l’origine
botanica di un olio.
Quando un olio è sottoposto a rettifica oppure comunque ad un estrazione chimica (olio di semi) la struttura
dell’a.g subisce una modifica, perché normalmente intorno ai = l’isomeria è Cis, ma in tal caso sarebbe trans

Comunque è possibile utilizzare il profilo acidico per rilevare l’origine botanica se vengono messi in
evidenza tracce di a.g considerati marcatori di specie vegetali meno pregiate. La selezione varietale ha però
consentito di produrre colture oleaginose con il profilo acidico molto vicino a quello dell’olio di oliva.
Inoltre, oli da alcune fonti come per es. le nocciole sono naturalmente simili a quello dell’olio di oliva.
Dunque, per rilevare queste frodi, il profilo acidico deve essere SUPPORTATO da alcune analisi come per es.
la caratterizzazione della frazione in saponificabile, con part. rif. agli steroli (determinazione del profilo
sterolico).

Invece il rilevamento-la det. degli isomeri in trans sugli a.g è un’affidabile marker degli interventi
tecnologici non consentiti diversi dalla semplice estrazione meccanica (es. intervento di raffinazione,
intervento di desterolizzazione di oli da specie oleaginose diverse dall’oliva effettuato per allontanare i
marker più affidabili dell’origine botanica) che va a supporto dell’esame spettrofot. e della det.del prof.ster.

DETERMINAZIONE-ANALISI DEL PROFILO ACIDICO MEDIANTE GC (specifico della materia prima)

 SCOPO: determinazione quantitativa e qualitativa di una miscela di esteri metilici degli a.g provenienti
da una determinata materia prima (per es. verifica della conformità all’origine botanica dichiarata;
ricerca degli isomeri in trans)
 PRINCIPIO: ANALISI GAS-CROMATOGRAFICA (GC)
 PROCEDIMENTO:
1. Saponificazione dei TG
2. Trasformazione degli a.g nei relativi derivati trans-esterificati (esteri metilici) VOLATILI e STABILI da
sottoporre a gas-cromatografia
 Trans-metilazione RAPIDA a freddo con KOH, se l’acidità libera del campione di olio è <3.3%.
Questa è una rx che consente di rispettare le caratteristiche strutturali degli a.g (configurazione e
posizione dei doppi legami). E’ il metodo di scelta quando per es. quando l’analisi è volta a
determinare l’eventuale presenza di isomeri trans.
 Trans-metilazione acida a caldo se l’acidità del campione è +alta, >3.3%
 Trans-metilazione con diazometano sugli a.g puri

Condizioni operative:

 il gas vettore è inerte, utilizzeremo He o Argon; come gas ausiliare H2 o aria


 La fase liquida stazionaria è polare
 La T° di analisi è intorno ai 250°C
 Si utilizza normalmente un rivelatore a ionizzazione di fiamma
 Quantità di campione 0.1-5 microlitri

La separazione lungo la colonna è guidata dal peso molecolare degli a.g. La presenza di doppi leg. coniugati
e l’isomeria cis diminuiscono il t di ritenzione (l’isomero cis viene eluito +veloc del corrispond is trans)

In genere la quantificazione di ogni componente viene effettuata con il metodo della normalizzazione
interna, quindi in termini di % rispetto al totale degli a.g eluiti.

 RISULTATO: il risultato di quest’analisi è un CROMATOGRAMMA in cui ogni picco corrisponde ad


un’acido grasso; in questo caso il cromatogramma si riferisce a un olio di oliva, dove naturalmente il
picco +abbondante è rappresentato da quello dell’acido oleico, seguito da acido palmitico e linoleico.

Il calcolo delle % dei singoli componenti viene effettuato col metodo della normalizzazione interna.
CROMATOGRAFIA: tecnica di separazione dei
componenti presenti in una miscela liquida o
gassosa, basata-che sfrutta la diversa distribuzione-
ripartizione dei suoi componenti tra 2 fasi immiscibili
fra loro, in funzione dell’affinità di ogni comp. Con la
fase staz. La f. stazionaria (o fissa) che può essere un
solido, un gel, un liquido supportato su un solido, e
quella mobile (o eluente: solvente usato x
trasportare i componenti della soluz. attraverso la
fase stazionaria) che può essere un gas o un liquido.

Quando il rivelatore posto in fondo all’apparecchio


registra il passaggio di una sostanza eluita, elabora i
dati su un cromatogramma, grafico che rapp. la
quantità di sost. rilevata in funzione del t. o del V di
eluizione. Ogni volta che una sost. viene rilevata, il
rilevatore registra un picco più o meno alto a
seconda della [] della sostanza.

Il cromatogramma viene utilizzato per analisi sia


quantitative (confrontando le altezze o le aree dei
picchi di un composto con quelli di uno o più
standardcurve di calibrazione asse x [analita], asse
y altezze o aree del picchi ottenuti) che qualitative
(identificazione dei componenti)

TIPI DI CROMATOGRAFIA

 In base alle caratt. delle due fasi:

*GAS cromatografia (GC), f.mobile:GAS inerte (He..)

 GAS (fm)-solido (fs)


 GAS (fm) -liquido (fs)

*Cromatografia LIQUIDA (LC), f.mobile:LIQUIDO

 cromatografia liquida AD ALTA PRESTAZIONE


(HPLC)utilizza impaccamenti costituiti da
particelle tra 5-10micron quindi molto piccole
 cromatografia liquida classica (usata in
passato, scopi preparativi)

La LC si distingue in diverse tipologie In base al


meccanismo di separazione:
Asse x= t (m), asse y=intensità del segnale (mVolt)
 cromatografia di affinità (f.s ligando
BASI PROCESSO CROMATOGRAFICO: biologico)
 c. di adsorbimento (f.s solido polare
il campione viene introdotto nella fase mobile, che viene fatta eluire in continuo attraverso la fase finemente suddiviso)
stazionaria; così i componenti del campione si distribuiranno in maniera diversa fra di esse  c. a scambio ionico (IEC) (f.s supporto
contenente cariche fisse)
APPARATO STRUMENTALE  c. di ripartizione (f.s liquido su supporto
solido)
1)CONTENITORE-SORGENTE fase mobile, 2)POMPA(SISTEMA DI POMPAGGIO), 3)INIETTORE
 c. di esclusione mol. o gel c. (EC) (f.s. solido
(SISTEMA DI INIEZIONE)posto prima della colonna consente l’introduzione del campione in essa,
poroso o gel con pori)
4)COLONNE, 5)RIVELATORI
 In base al tipo di supporto
GC: il campione, iniettato nella camera di iniezione riscaldata, viene introdotto nella colonna
*c. su colonna impaccata
cromatografica (formata gen. Da un sottile tubo capillare in vetro avvolto sulle cui pareti interne è
stato deposto un sottile strato della fase fissa, alloggiata all’interno di un forno) con un flusso *c. planare (pezzo di carta, vetro, plastica)
della fase mobile che è un gas carrier inerte (H2, He, Arg) (contenuto in bombole), viene separato
nei suoi componenti in funzione di quanto essi siano affini alla f.s. e dopo un certo t i componenti  C. su strato sottile (TLC) f.m liquido, f.s
separati fuoriescono col flusso di gas dall’estremità finale della colonna e vengono raccolti dal strato sottile di un materiale adsorbente
rilevatore in grado di segnalarli(a ionizzazione di fiamma FID ecc..) che traduce la registrazione di come gel di silice depositato sopra un
una sostanza in un segnale che serviranno per costruire il cromatogramma. supporto piano, rigido che fa da sostegno
 PC
DETERMINAZINE DEGLI ACIDI GRASSI IN POSIZIONE 2

La presenza di TG di origine sintetica, quindi NON naturali,


può essere messa in evidenza dall’analisi degli a.g che
occupano la posizione 2 sul glicerolo.

Infatti, la sintesi per via naturale, favorisce la presenza in posizione 2 di a.g insaturi. Invece, la sintesi
chimica, induce una distribuzione casuale degli a.g sul glicerolo e in pos.2 tendono a essere presenti a.g
saturi, che hanno un < ingombro sterico rispetto agli a.g insaturi.

Se gli a.g saturi in pos. 2 sono superiori > al 2% si può concludere che i TG NON sono di origine naturale ma
sono invece di origine sintetica.

 SCOPO: verificare l’origine naturale dell’olio e l’assenza di TG sintetici


 PRINCIPIO: nei TG naturali la posizione 2 del glicerolo è occupata preferenzialmente da a.g insaturi, i
saturi sono presenti in una []max del 2%.
 PROCEDIMENTO:
1. Separazione e recupero dei TG dal campione: il campione viene neutralizzato x trattamento con
alcali in presenza di esano. I saponi precipitano e vengono scartati (a.g. liberi), l’esano nel quale
sono rimasti i TG viene recuperato e purificato
2. Idrolisi parziale per via enzimatica (lipasi) dei TG
3. Recupero dei gliceridi residui dopo la rx enzimatica (la miscela di rx viene dibattuta con etere nel
quale vengono estratti i gliceridi residui)
4. Recupero selettivo (mediante una cromatografia su strato sottile, TLC) dalla miscela di gliceridi
residui e successiva purificazione dei 2-monogliceridi
5. Analisi degli a.g. che occupavano la pos. 2: i 2-monogliceridi recuperati vengono sottoposti ad
idrolisi e gli a.g liberi che ne derivano vengono recuperati, trasformati nei derivati volatili e
analizzati per gascromatografia per rilevare la % di a.g saturi
 RISULTATO: se la % di a.g saturi è >2% si conclude che i TG analizzati NON sono di origine naturale ma
sono di origine chimica

In funzione degli acidi grassi normalmente presenti nell’olio di oliva (palmitico P, stearico S, oleico O,
linoleico L, linolenico Ln) sarebbe possibile immaginare la presenza di circa 75 TG diversi in funzione della
posizione occupata dai diversi acidi grassi sul glicerolo. In realtà, non ci sono TG completamente saturi (per
es. PPP. SSS, PSP..) e circa il 40% dei TG porta 3 mol di acido oleico e circa il 21% del totale porta 1 mol di
acido palmitico e 2 di acido oleico. Dunque, alcuni TG specifici possono denunciare la presenza di oli da
specie oleaginose diverse dall’olio di oliva.

ANALISI SUI TG  DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO DI TRILINOLEINA

TRILINOLEINA: TG che porta 3 molecole di acido linoleico sul glicerolo, è assente nell’olio di oliva e
caratteristico dei cosiddetti oli “semiseccativi” (es. olio di lino, di ricino).

 SCOPO: rilevazione dell’aggiunta fraudolenta di oli semiseccativi (ricchi di acido linoleico) ad oli vegetali
con altri a.g insaturi prevalenti (es. olio di oliva)

L’analisi viene condotta per HPLC su un campione diluito al 5% utilizzando solventi come possono essere
l’acetone oppure miscele di acetone e cloroformio.
 PROCEDIMENTO:
1. Il campione viene solubilizzato in solventi a dare una concentrazione di circa 5%
2. 10 microlitri di campione vengono iniettati nella colonna per HPLC
-la colonna di acciaio è riempita di particelle di silice
-il solvente di eluizione con cui viene eluito il campione è acetone e aceto nitrile
-il rilevatore in fondo alla colonna è un rifrattometro

Per aiutare la lettura al cromatogramma come standard vengono utilizzati TG come ad es. tripalmitina,
trioleina.

 RISULTATO: Il risultato (cioè la quantità di trililoneina) viene calcolato dall’analisi del cromatogramma
con il metodo della normalizzazione interna.

ANALISI DELLA FRAZIONE INSAPONIFICABILE

 Idrocarburi: rappresentano fino al 40% della fr. insaponificabile e sono rappresentati principalmente da
squalene, beta carotene, licopene (quest’ultimi due sono pigmenti colorati)
 Esteri non glicerici (esteri di a.g su molecole diverse dal glicerolo): esteri di a.g con alcoli alifatici,
steroli, alcoli terpenici
 Tocoferoli: potenti antiossidanti
 Triterpenoli: contribuiscono alla formazione dell’aroma
 Triterpendioli (es. uvaolo, eritrodiolo: derivati dalla buccia delle olive, si trovano nell’olio di sansa):
importanti markers dei processi di rettifica (presenti in []+elevate negli oli di rettifica)
 Steroli: caratterizzano in maniera affidabile l’ORIGINE DELLA MATERIA GRASSA, in particolare delta5 e
delta7 avenasterolo sono caratteristici dell’olio di oliva vergine
 Pigmenti: carotenoidi e clorofille
 Fenoli: sono potenti antiossidanti e sono inoltre responsabili di importanti proprietà sensoriali, come
l’amaro e il piccante degli oli

FRAZIONAMENTO DELLA FRAZIONE INSAPONIFICABILE

I diversi componenti della fraz. insaponificabile possono essere separati per cromatografia su strato sottile
(TLC). Le diverse frazioni possono così essere recuperate e sottoposte alle analisi più opportune per la
successiva caratterizzazione.

La cromatografia TLC viene condotta deponendo sulla lastra (previamente alcalinizzata tramite immersione
in KOH in etanolo e succ asciugatura) la frazione insaponificabile, quindi la miscela di componenti, risospesa
in cloroformio a dare una soluzione circa al 5% ed effettuando l’eluizione con esano: etere etilico (65:35;
v/v). A fine corsa, asciugata la piastra, la posizione sulla lastra dei diversi componenti della frazione
insaponificabile può essere messa in
evidenza per es. con diclorofluoresceina
sotto illuminazione con una lampada UV
identificazione dei componenti

I composti, vengono estratti con un apposito


solvente ed avviate alle analisi successive.

La presenza di residui saponi nell’estratto può dare origine a


basse risoluzioni: lastre di gel di silice rese basiche per
impregnazione con KOH, permette di trattenere sulla linea di
deposizione i composti acidici e migliora l’efficacia della
separazione!
MARKERS DELL’ORIGINE BOTANICA

DETERMINAZIONE DEL PROFILO STEROLICO (ANALISI DEGLI STEROLI) MEDIANTE GC

 SCOPO: rilevare l’origine botanica dell’olio, rilevare la commistione con oli di origine botanica diversa
da quella dichiarata
 PRINCIPIO: il profilo sterolico è specifico per le diverse specie botaniche
 PROCEDIMENTO: preparazione del campione: l’olio viene sottoposto a saponificazione con KOH in
soluzione etanolica previa aggiunta di uno sterolo come standard interno (es. alfa-colestanolo);
l’insaponificabile viene estratto e da esso la frazione sterolica è separata dal resto mediante
separazione su TLC; successiva identificazione dei suoi componenti previamente resi volatili mediante
GC utilizzando un rivelatore a
ionizzazione di fiamma.

DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO E


DELLA COMPOSIZIONE IN TOCOFEROLI
(ANALISI DEI TOCOFEROLI) MEDIANTE
HPLC

Il cromatogramma relativo a un olio di oliva è


caratterizzato dal picco più abbondante del
SITOSTEROLO; inoltre, caratteristicamente,colesterolo,
brassicasterlo, delta 7-stigmasterolo sono presenti in []
comprese tra 0,1 e 0,5%. Inoltre, in genere, la
[Stigmasterolo] è < rispetto a quella del campesterolo

La tabella sottostante riassume le [] relative degli steroli


in diversi oli di origine vegetale. Vediamo che il
colesterolo è in pratica assente negli oli vegetali, con
l’unica eccezione dell’olio di palma. Il brassicasterolo è
caratteristico di oli da crucifere (es. colza); il
campesterolo in genere è meno abbondante nell’olio di
oliva rispetto ad oli di altre specie oleaginose.

Aumenti dello stigmasterolo sono rilevabili in oli di oliva


ottenuti mediante processi di rettifica.

L’addizione di olio di girasole innalza fortemente il tasso


di delta7 stigmasterolo

 SCOPO: rilevare la commistione con oli di origine botanica diversa da quella dichiarata (es. commistione
fraudolenta olio di nocciola e di oliva)
 PRINCIPIO: profilo specifico in specie botaniche diverse
 PROCEDIMENTO: l’olio opportunatamente diluito viene direttamente iniettato nel sistema HPLC che
separa e det. quantitativamente i tocoferoli nelle varie forme (condizioni di separazione isocratiche,
rilevatore fluorimetro)

Il potere diagnostico di quest’analisi è sminuito dalla possibilità di aggiungere tocoferoli in maniera fraudolenta a oli di specie meno pregiate.
MARKERS OLI DI RETTIFICA mettono in evidenza la commistione di oli raffinati con oli di oliva vergini

RICERCA-DETERMINAZIONE DEGLI ALCOOL ALIFATICI A LUNGA CATENA MEDIANTE GC

PRINCIPIO: gli alcoli alifatici a lunga catena (C24-C30) si trovano nei lipidi cuticolari prevalentemente
esterificati con a.g a dare le cere. L’estrazione con solvente delle sanse (fatta per recuperare l’olio residuo)
provoca la solubilizzazione delle cere e l’arricchimento dei relativi oli in termini di cere ed alcoli alifatici a
lunga catena. Quindi questi oli saranno più ricchi in cere ed alcoli alifatici rispetto agli oli di oliva lampanti.

PROCEDIMENTO: viene innanzitutto aggiunto al campione d’olio uno standard interno (1-eicoesanolo) e
viene divisa la parte saponificabile dall’insaponificabile. La parte insaponificabile viene sottoposta a TLC per
avere una separazione della frazione degli alcoli alifatici. Successivamente si fa una derivatizzazione nei
trimetilsilileteri volatili.

INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI: il tenore di alcoli alifatici distingue gli oli di sansa greggi (>350mg/Kg)
dagli oli di oliva lampanti (≤350mg/Kg).

*I rapporti fra gli alcoli C26, C28 e C30 forniscono informazioni utili a riconoscere la presenza di oli di sansa
sottoposti a decerazione a freddo con acetone.

DETERMINAZIONE DI ERITRODIOLO E UVAOLO MEDIANTE GC

PRINCIPIO: i dioli triterpenici (E+U) sono costituenti caratteristici dei lipidi dell’epicarpo. La loro [] è elevata
negli oli ottenuti mediante trattamenti di estrazione (chimica) con solvente mentre sono praticamente
assenti negli oli di pressione (oli vergini).

Il tenore di E+U distingue gli oli d’oliva lampanti (≤ 3.5%) mg/kg) dagli oli di sansa greggi (>3.50%). La % è
rispetto al tenore totale di dioli e steroli.

DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO DI CERE

SCOPO: distinguere oli vergini o raffinati da oli di sansa Le cere sono un marker dell’aggiunta di olio di
sansa ad olio d’oliva vergine o raffinato

PROCEDIMENTO: la sost. grassa viene frazionata su colonna e la frazione a polarità intermedia recuperata
ed analizzata mediante GC (olio di oliva
vergine o raffinato<350, olio di sansa
>350mg/Kg)

Il potere diagnostico di quest’analisi è stato


compromesso dalla decerazione a freddo con
acetone che può essere effettuata sugli oli di
sansa per allontanare questi marker
caratteristici.

CARATTERISTICHE CHIMICHE OLIO EVOO

La tabella riassume le caratt. chimiche


dell’olio EVOO in termini di legge; inoltre
riporta il significato di diversi parametri (per
es. l’acidità titolabile è indice delle diverse
caratt. della mat. prima, infatti l’acidità
sarà molto bassa in oli ottenuti da olive al
giusto grado di maturazione
correttamente raccolte e frante in modo
da minimizzare tutti i processi di idrolisi
enzimatica che porterebbero al rilascio dai
TG degli a.g liberi); il NP è indice di
corretta conservazione del prodotto in
modo da minimizzare le rx di
irrancidimento ox; le costanti
spettrofotometriche specifiche K definite per legge(a 232 e 270nm) quando superano i limiti di legge
denunciano uno stato di ossidazione dell’olio come pure la possibile commistione di oli vergini con oli
rettificati.

Sono poi riportati specifici a.g caratteristici di specie botaniche diverse dall’oliva. Quindi se presenti
rivelano l’aggiunta di altri oli all’olio di oliva.

Nell’ultima parte della tabella sono riportati i limiti dei componenti della frazione in saponificabile
caratteristici di un olio EVOO e le possibili cause fraudolente di alterazione di tali limiti.

RIASSUMENDO…
MODULO 4: I TEST ENZIMATICI ED IMMUNOCHIMICI
L’esigenza delle aziende che fanno controllo qualità è di realizzare un numero molto elevato di analisi in un tempo molto breve. Il mercato oggi presenta una

vasta offerta di kit basati su metodi rapidi perché è necessario dosare e tenere sotto controllo sempre più sostanze. Uno dei vantaggi è quello di poter

realizzare molte analisi in tempi rapidi e con una spesa contenuta. Il controllo di qualità classico ricerca contaminanti di natura chimica (micotossine, pesticidi

ecc.) e microbiologica (salmonella, listeria e altri patogeni), ma è molto importante anche la determinazione di sostanze caratterizzanti per poter dichiarare

in etichetta specifiche indicazioni nutrizionali e sulla salute (un claim come, ad esempio, "ad alto contenuto di fibre").

I metodi rapidi prevedono l’utilizzo di kit abbastanza semplici (come un lettore di piastre, ad esempio) che non richiedono personale altamente specializzato,

ma buona manualità ed esperienza.

Tra i metodi rapidi presenti sul mercato i più utilizzati sono le metodiche enzimatiche, immunochimiche (ELISA) e il lateral flow. Sia i metodi enzimatici, sia
gli immunochimici vengono comunemente applicati su piastre di plastica con tutti i reagenti pronti. I primi si basano su una reazione enzimatica, mentre i
secondi sul riconoscimento antigene-anticorpo.

TEST ENZIMATICI

Un metodo enzimatico si basa sull’utilizzo di enzimi. L’enzima ha un sito attivo che riconosce un substrato
specifico e lo trasforma nei prodotti. La metodica prevede il dosaggio, solitamente spettrofotometrico, di
uno dei prodotti della reazione enzimatica. Tra i kit più utilizzati ricordiamo il dosaggio del lattosio (la
metodica, infatti, si basa su una serie di reazioni per dosare o il glucosio o il galattosio. Come risultato della
serie di reazioni si forma un prodotto colorato o che comunque assorbe nell’UV. Dalla lettura con lo
spettofotometro è possibile avere una determinazione quantitativa del lattosio residuo) e dell’instamina
nelle conserve di pesce (Per dosare l’istamina si utilizza l’istamina deidrogenasi che catalizza una reazione a
seguito della quale si forma un prodotto di colore arancione che è possibile leggere con un lettore di
piastre).

Il valore di questi test è collegato all’elevata specificità delle molecole biologiche per gli analiti di nostro
interesse che evita la necessità di passaggi di purificazione, e al fatto che le condizioni di rx blade sono
adatte all’analisi di composti instabili.

La catalisi enzimatica può essere utilizzata sia per mettere in evidenza un composto per es. substrato di rx o
direttamente la presenza dell’enzima.

 Entità ed efficacia dei trattamenti termici (per ossidasi, F.A) o la non conformità (es. catalasi in latte
mastitico)
 [ ] di un componente specifico (glucosio rispetto agli altri monosaccaridi)
 [ ] di un componente specifico la cui presenza denuncia la non conformità del prodotto (ammine-
invecchiamento del pesce)
 [ ] di un componente specifico inibitore della rx (insetticidi organofosfati)

REAZIONI ACCOPPIATE

Utilizzano più di un enzima dove si formano prodotti di reazione che rappresentano l’analita da misurare e
indicatori della reazione che semplificano il
rilevamento del segnale dell’analita.
Diversi tipi di segnale possono essere utilizzati per seguire la reazione enzimatica:

 Modificazioni di Abs
 Emissioni di fluorescenza
 Modificazioni di viscosità del mezzo
 Modificazioni dell’acidità titolabile

TEST IMMUNOCHIMICI

PRINCIPIO GENERALE DEI TEST IMMUNOCHIMICI ANTIGENE-ANTICORPO: si basano


sull’interazione antigene-anticorpo che porta alla formazione di un responso. L’INTERAZIONE
tra AG e AB è di tipo secondario (si tratta di interazioni ioniche e idrofobiche, legami a H e
forze di Wan der Waals), selettiva e altamente specifica, simile a quella di una serratura con la
propria chiave (interazione chiave-serratura). La specificità di queste interazioni è stata
ulteriormente potenziata con l’impiego di anticorpi monoclonali.

L’interazione che si instaura tra antigene e corrispondente anticorpo porta alla formazione di
quello che viene definito come IMMUNOCOMPLESSO.

Sono caratterizzati da: elevata specificità, semplicità di esecuzione ed elevata sensibilità.

ANTIGENE (AG): è una molecola estranea all’organismo che induce la formazione di uno o più anticorpi
(AB). La specifica regione di AG riconosciuta da AB si chiama EPITOPO.

ANTICORPO (AB): è una proteina che gli animali producono in risposta alla presenza di un antigene.
L’anticorpo, una volta prodotto, tende a legarsi all’antigene che ne ha stimolato la produzione. Hanno una
caratteristica forma a Y e sono formati da 4 catene polipeptidiche. La sequenza degli aa ai siti di legame
garantisce una grande possibilità di variazione e dunque di specificità.

PREREQUISITI PER EFFETTUARE I TEST IMMUNOCHIMICI

1. Possibilità di separare gli AB legati agli AG (presenza di AG) da quelli liberi (assenza di AG) attraverso
assorbimento selettivo degli AB su matrici inorganiche
2. La presenza del complesso deve essere messa in evidenza anche a [] basse attraverso marcatura con
una sostanza tracciante che può essere un radioisotopo (marcatura con radioisotopi), un composto
fluorescente (marcatura di AB con composti fluorescenti) o un enzima (marcatura di AB con enzimi).
Per quanto riguarda gli enzimi traccianti, tra i più noti ritroviamo la PEROSSIDASI (si estrae dalla radice
delle piante di rafano) e la FOSFATASI ALCALINA.

REQUISITI degli ENZIMI da utilizzare nei test immunoenzimatici:

1. Stabilità (devono essere stabili)


2. Devono essere facilmente legati ad AG e AB
3. Catalisi rapida in condizioni semplici con un prodotto facilmente evidenziabile (per es. l’enzima
reagisce con un substrato e origina un composto colorato)
4. Entità del segnale (colore sviluppato)

ES. Perossidasi da rafano enzima di scelta Fosfatasi Alcalina


TEST ELISA (ENZYME-LINKED IMMUNOASDSORBENT ASSAY,
saggio immuno-assorbente legato ad un enzima)

 E’ un versatile metodo d’analisi immunoenzimatico usato per


rilevare la presenza di una sostanza (che può essere un
antigene appartenente ad un patogeno) usando uno o più
anticorpi ad uno dei quali è legato un enzima
 Si basa sul riconoscimento selettivo e specifico antigene-
anticorpo. Gli antigeni possono essere molecole proteiche
con funzione immunostimolante (es. allergeni, glutine) o
anche altre molecole (contaminanti chimici che si legano ad
un’altra molecola in grado di stimolare la reazione
antircorpale). Gli anticorpi possono essere monoclonali
(riconoscono solo uno specifico epitopo in un antigene)
oppure policlonali (riconoscono più epitopi o più antigeni). Se facciamo un ELISA l’antigene deve
portare almeno 2 punti per essere riconosciuto da 2 anticorpi diversi.
 Ha come scopo il rilevamento e l’identificazione (sia quali che quantitativa) di una sostanza specifica
all’interno di un campione (es. rilevare la presenza o di un antigene, generalmente appartenente a un
m.o patogenometodo diretto, o di un anticorpo presente nel plasma sanguigno contro un
antigenemetodo indiretto)
 Vantaggi: alta sensibilità, affidabilità e rapidità di esecuzione

Le tipologie-varianti principali comprendono: il metodo diretto (in cui viene determinata la presenza
dell'antigene, ha lo scopo di ricercare specifici antigeni in un dato liquido biologico avendo a
disposizione anticorpi marcati a cui questi possano legarsi) o indiretto (in cui viene determinata la presenza
di det. anticorpi contro un antigene noto) e il metodo competitivo (è un test quali-quantitativo: fornisce un
valore specifico con una deviazione standard) o non competitivo (è un test qualitativo e semi-quantitativo:
non fornisce un valore effettivo ma afferma la presenza o l'assenza dell'analita).

L’ELISA non competitivo diretto si effettua secondo diverse metodiche: semplice (in questo caso l'antigene
è assorbito sulla placca e rilevato con un anticorpo marcato da un enzima) e ELISA sandwich (qui invece
l'anticorpo che è usato per catturare l'antigene è assorbito sulla placca, gli anticorpi assorbiti sono in
seguito esposti al fluido che potrebbe contenere l'antigene ed un secondo anticorpo, marcato, viene
aggiunto per rilevare che l'antigene è stato catturato).

METODO SANDWICH (SANDWICH IMMUNOTEST)

Il metodo prevede la copertura del fondo del pozzetto con un anticorpo specifico per l’antigene che
vogliamo misurare. Si esegue un lavaggio. In seguito si introduce l’antigene, che si legherà all’anticorpo. Si
lava ulteriormente per togliere antigeni in eccesso o non legati. Si introduce un anticorpo specifico che
legherà il complesso anticorpo+antigene, formando un “terzo” strato o “sandwich” (c’è un anticorpo sotto
che chiamiamo di CATTURA e uno sopra che invece chiamiamo di DETECTION O RILEVAMENTO che
caratteristicamente è marcato con un enzima). All’ultimo anticorpo che abbiamo aggiunto è legato un
enzima specifico, e aggiungendo il suo substrato si formerà un prodotto colorato, che evidenzierà il
pozzetto nel caso in cui sia presente l’antigene di interesse.
1. Immissione di una soluzione dell’anticorpo primario, specifico per l’antigene da ricercare ed individuare
nel siero o in un certo liquido, nei pozzetti di una apposita piastra da saggio in polistirene. Il fondo del
pozzetto viene saturato con l’anticorpo che aderisce al fondo dei pozzetti. Il resto viene lavato via.

ANTICORPO PRIMARIO SPECIFICO PER L’ANTIGENE DA INDIVIDUARE E’ LEGATO-FISSATO AL FONDO DEL POZZETTO,
LAVAGGIO per eliminare l’eccesso di anticorpo

2. Aggiunta, in soluzioni con diverse [] non note, dei campioni dei quali bisogna saggiare la presenza o
meno dell’antigene e lavaggio con soluzione tampone; l’antigene se presente, si lega specificatamente
con l’anticorpo e l’eccesso viene lavato via

AGGIUNTA DEL CAMPIONE, CIOE’ DELLA SOLUZIONE IN CUI SI CERCA L’ANTIGENE, LEG. ANTIGENE-ANTICORPO1,
LAVAGGIO per eliminare antigeni in eccesso

3. Aggiunta dell’anticorpo secondario coniugato con un enzima che può essere per ossidasi o fosfatasi
alcalina. Questo si legherà al complesso anticorpo+antigene, formando un “terzo” strato o “sandwich”,
l’eccesso viene lavato via. L’assenza dell’antigene specifico per l’anticorpo comporta che l’anticorpo
secondario con il lavaggio, venga dilavato.

AGGIUNTA ANTICORPO SECONDARIO SPECIFICO CONIUGATO CON UN ENZIMA, LEG. ANTICORPO2-ANTIGENE,


LAVAGGIO con soluzione tampone dell’eccesso di anticorpo

4. Se l’enzima usato è la F.A si aggiunge un substrato che provoca una rx con la F.A coniugata all’anticorpo
producendo una sostanza di colore giallo. Se l’antigene è assente nel pozzetto, non vi sarà neanche
l’enzima coniugato all’anticorpo e quindi la rx non potrà avvenire.

AGGIUNTA SUBSTRATO SPECIFICO DELL’ENZIMA, L’ENZIMA CONVERTE IL SUB IN UN COMPOSTO COLORATOTEST


POSITIVO

5. Aggiunta di NaOH per bloccare la rx tra F.A e substrato ed esame spettrofotometrico (lo sviluppo di
colore è indicativo della presenza dell’antigene che si voleva saggiare nel campione e l’intensità della
colorazione misurabile grazie allo spettrofotometro è semi-quantitativa)
Quando la scelta di tecniche tipo il rilevamento immunochimico di un analita ha senso?

Quando c’è bisogno di rilevare un analita che è presente in piccole [] quindi per analisi selettive e specifiche
(es. i test immunoenzimatici indiretti è utile effettuarli per rilevare per es. la presenza di alcune sost.
tossiche, pesticidi o antibiotici: essendo l’antigene, cioè l’analita di nostro interesse, una molecola piccola
presente in piccola [], si procede a una derivatizzazione con struttura di dimensioni > (es. una proteina
carrier), si forma così un complesso proteina-antigene che è detto aptene, succ. si potrà effettuare test
immunoenzimatici indiretti che possono essere: anticorpo legato o ad aptene legato (in questo caso la
parte proteica si legherà al supporto inerte mentre l’altra parte dell’aptene resta disponibile per i legami,
viene messo poi messo il campione contenente l’antigene e l’anticorpo marcato, se è presente antigene
l’anticorpo marcato andrà a legarsi selettivamente con l’antigene e successivamente allontanato per
lavaggio; se invece l’antigene non è presente nel campione allora l’anticorpo marcato andrà a legarsi
direttamente sui siti dell’ aptene, successivamente l’enzima si legherà all’anticorpo marcato e si svilupperà
colore quindi nei test indiretti se si forma colore significa che l’antigene NON era presente nel campione.

mentre i test diretti: tra i test diretti abbiamo il sandwich immunotest

E’ un test nel quale sul supporto viene assorbito l’anticorpo, succ. viene messo il campione contenente
l’antigene, se l’antigene è presente si legherà con un epitopo all’anticorpo presente sul supporto, poi viene
effettuato il lavaggio per eliminare i residui, succ. si inserisce l’anticorpo marcato che riconoscerà il secondo
epitopo dell’antigene presente e poi andiamo a aggiungere l’enzima il quale si legherà all’anticorpo
marcato e svilupperà colore nel caso in cui l’antigene è presente. Quindi nei test diretti: +colore si formerà,
+antigene sarà stato trattenuto sul supporto.

esempi di applicazione dei test diretti nel campo della frode delle matrici alimentari: questi test vengono di
solito usati per andare a determinare le frazioni proteiche quindi si potrebbero utilizzare per rilevare la
presenza delle albumine nel latte (es. se un formaggio viene venduto e dichiarato di capra ma in realtà è
stato ottenuto da latte di vacca, che costa di meno!) oppure della friabilina, stiamo parlando degli sfarinati,
serve perché è presente solo nel grano tenero.

METODO INDIRETTO

Sul fondo del pozzetto sono legati antigeni ai quali un anticorpo si lega in modo specifico (anticorpo
primario). Questo viene quindi aggiunto al pozzetto e, dopo il lavaggio si aggiunge un altro anticorpo
(anticorpo secondario). I due anticorpi sono prodotti in specie diverse. Di norma l'anticorpo secondario è
coniugato ad un marcatore (tag) come la fosfatasi alcalina o perossidasi che producono da substrati
specifici prodotti colorati, per cui il metodo di rilevamento risulta analogo a quanto detto sopra. L'unica
differenza è che sul fondo del pozzetto non sono presenti anticorpi, ma l'antigene di interesse.

METODO COMPETITIVO (IMMUNOTEST COMPETITIVI)

- APTENE LEGATO

- ANTICORPO LEGATO
MODULO 5: SFARINATI E IMPASTI
LA CARIOSSIDE

DEFINIZIONE: chiamata “chicco” o “granella” è un frutto secco indeiscente monospermio tipico della
famiglia delle Graminacee;

ORGANIZZAZIONE: al suo interno si distinguono diverse regioni anatomiche ognuna delle quali ha una
struttura e una composizione chimica particolare in funzione della funzione biologica che svolgono:

 Lo strato più esterno è denominato complessivamente “CRUSCA” e viene allontanato con la


macinazione; lo strato più esterno della crusca è chiamato “PERICARPO” formato prevalentemente da
cellulosa poi abbiamo lo “SPERMODERMA” particolarmente ricco di sali minerali ed entrambi questi
strati svolgono principalmente una funzione protettiva; Immediatamente sottostante abbiamo lo
“STRATO ALEURONICO” che contiene una notevole quantità di proteine (20%) oltre che grassi,
minerali, vitamine ed enzimi ed’è caratterizzato da un elevato valore nutrizionale
 La maggior parte della cariosside (80%) è formata dall’ENDOSPERMA AMILIFERO che contiene in
grande maggioranza amido (per questo rappresenta la porzione +imp dal p.d.v del valore energetico) e
una contenuta quantità di proteine (frazione proteica è responsabile delle proprietà reologiche degli
impasti e riveste un ruolo molto imp. dal p.d.v tecnologico).
 Infine troviamo l’EMBRIONE, che per la sua elevata presenza di grassi insaturi rappresenta una frazione
interessante dal p.d.v nutrizionale ma allo stesso tempo è deteriorabile a causa delle reazioni di
ossidazione sui lipidi; in genere viene allontanato durante la macinazione per garantire una più elevata
stabilità degli sfarinati

COMPOSIZIONE CHIMICA:

1. Glucidi-zuccheri (max 72%): sono i principali componenti della cariosside. Distinguiamo:


 Amido: frazione più importante, si tratta di un polimero di glucosio costituito da amilosio (polimero
lineare con molecole di Glu legate mediante legami alfa 1-4) e amilopectina (polimero ramificato
dove sono presenti legami sia alfa 1-4 che alfa 1-6)
 Zuccheri riducenti a basso grado di polimerizzazione (es. destrine) e zuccheri semplici (es. glucosio):
derivano dall’idrolisi parziale dell’amido; gli zuccheri riducenti rivestono un ruolo molto imp.
durante la fermentazione degli impasti poiché costituiscono la fonte di C immediatamente
fermentescibile
 Cellulosa: polimero a base di glucosio con legami beta 1-4, caratteristicamente non è assimilabile e
va a costituire buona parte della fibra
 Pentosani non fermentescibili
2. Acqua (20%): in base al contenuto di acqua si modifica il peso specifico della cariosside che è un
importante parametro DI LEGGE, infatti dal tenore di acqua dipendono molte proprietà degli sfarinati:
resa di macinazione, stabilità alla conservazione degli sfarinati e di conseguenza le loro proprietà
tecnologiche
3. Proteine (contenuto medio 12%, Nx5.7): sono rappresentate da:
 Albumine e Globuline: proteine solubili in soluzione acquosa di NaCl, rivestono un imp. ruolo
analitico in quanto consentono di risalire all’origine degli sfarinati
 Gliadine e Glutenine: frazione proteica più imp. dal p.d.v tecnologico, sono proteine insolubili in
acqua (grazie alla loro insolubilità in acqua negli impasti formano un reticolo molto elastico e
resistente detto GLUTINE che definisce la qualità REOLOGICA degli impasti e la loro destinazione
d’uso) che hanno un valore biologico relativamente basso
 Enzimi (in grado di idrolizzare i polisaccaridi)
 Amido e suoi derivati Amilasi (molto importanti per rendere disponibili negli sfarinati una certa
quantità di zuccheri semplici fermentescibili), Maltasi
 Cellulosa Cellulasi
 Proteine Proteasi (agiscono sulle catene polipetidiche, una loro attività elevata e quindi un
idrolisi spinta di gliadine e glutenine può compromettere la qualità del glutine impedendo la
formazione di un reticolo proteico ben strutturato e quindi compromettendo la qualità reologica
degli impasti)
 Lipidi (max 2%): sono poco rappresentati nella cariosside e sono presenti principalmente nel germe.
Possono essere presenti sottoforma di:
 Gliceridi o fosfolipidi (gli a.g più rappresentati sono l’acido oleico e linoleico che sono insaturi, il
loro grado di insaturazione li rende particolarmente soggetti ai fenomeni di irrancidimento che
può compromettere la qualità sensoriale delle farine inducendo delle difettosità)
 Steroli (quelli più rappresentati sono sitosterolo e campesterolo)
 Tocoferoli
 Sali minerali & vitamine: presenti in maggior quantità nella crusca e quindi vengono per la maggior
parte allontanati-persi con la crusca durante la raffinazione degli sfarinati

ANALISI SULLA CARIOSSIDE

Sulla cariosside possono essere effettuate una serie di analisi che hanno lo SCOPO di verificarne l’idoneità
per la produzione di sfarinati. Operatori esperti in via preliminare possono:

 Valutare le proprietà sensoriali della cariosside: colore, forma, superficie di frattura (idoneità
dell’aspetto), aroma e sapore (assenza di difetti)
 Attraverso l’osservazione-l’ispezione visiva: valutare lo stato sanitario in termini di eventuali attacchi di
batteri, insetti, funghi (muffe) o roditori, individuare la presenza di eventuale materiale estraneo
(insetti, frammenti, semi estranei.. la presenza di materiale estraneo può essere quantificata “a mano”
separando il materiale estraneo dal resto mediante successive setacciature oppure le impurità solide
possono essere determinate dopo digestione chimica acetico-nitrica di tutta la porzione organica per
flottazione ed identificazione del materiale inorganico residuo al microscopio) o la presenza di chicchi
danneggiati, non completamente maturi, riscaldati-ribolliti (auto-riscaldamento) o germinati; queste
ispezioni visive possono essere accompagnate da esami più specifici per es. al microscopio oppure da
esami culturali o da esami radiografici (per mettere in evidenza per es. infestazioni latenti); Infine le
analisi preliminari visive sulla cariosside consentono di distinguere il grano TENERO (chicco
tondeggiante, si schiaccia facilmente, superficie di frattura bianca e opaca, ricco di amido e proteine e
utilizzato per ottenere sfarinati da utilizzare per la panificazione) dal grano DURO (più pregiato, chicco
oblungo, superficie di frattura gialla e vitrosa, peso specifico >, elevato contenuto di glutine per cui è
destinato principalmente alla pastificazione) la determinazione della % di VISTROSITA’ eseguita
manualmente su un campione rappresentativo di granella consente di definire la % di commistione di
grano duro con grano tenero separando le cariossidi vitree da quelle opache dopo frattura ed
esprimendo il risultato come % sul totale
 Determinare il PESO SPECIFICO detto anche PESO ETTOLITRICO espresso come rapporto Kg/hL (analisi
molto importante)

DETERMINAZIONE DEL PESO ETTOLITRICO

PESO ETTOLITRICO: rappresenta il rapporto fra la massa della granella di un cereale


ed il volume che essa occupa;

Nella pratica si utilizzano cilindri con capacità volumetrica predefinita che vengono
riempiti fino all’orlo con la granella del cereale da esaminare. Quindi si determina il
peso della quantità di granella contenuta nel cilindro e si esprime in Kg/hL. Qui è
riportato il più semplice dei dispositivi che possono essere utilizzati allo scopo.
Comunque sono disponibili anche strumenti che in via automatizzata sono in grado di
risalire al peso ettolitrico analizzando una piccola quantità di granella.

PROCEDURE ANALITICHE PER LA DETERMINAZIONE QUANTITATIVE DEI MACROCOSTITUENTI DELLA


CARIOSSIDE  sono già state in gran parte esposte nei moduli precedenti e nel caso dei cereali si applicano
mantenendo fisso il principio della determinazione che è già stata esposta con piccole modifiche della
procedura che viene adattata alla matrice specifica!

DETERMINAZIONE DEL TENORE DI GRASSI TOTALI

Il tenore di lipidi viene determinato mediante estrazione della fase grassa utilizzando un solvente organico
determinando successivamente il peso dell’estratto dopo che il solvente è stato allontanato. La procedura
prevede che la granella venga finemente macinata e sospesa in una miscela di etanolo-acido cloridrico e
acqua. L’estrazione del grasso dalla fase solida viene protratta per circa 30 min a caldo (70-80°C). La
sostanza grassa che è passata in soluzione viene poi separata dalla sospensione mediante estrazione con un
solvente organico (normalmente etere etilico e etere di petrolio). A questo punto il solvente viene
allontanato e il residuo pesato. Il risultato viene espresso in % come peso della fase grassa estratta sul peso
del campione di granella analizzato. SOSTANZA GRASSA % = [(peso del pallone con estratto – peso del pallone vuoto) / peso del campione]*100

L’intera procedura può essere condotta in maniera del tutto automatica utilizzando ad es. il SOXTEC (il
principio è analogo ma il sistema è automatico) nel quale l’estrazione avviene direttamente nel solvente
organico; in pratica, in appositi ditali di carta viene posta la granella e lasciata in estrazione immergendo il
ditale in apposite tazze di alluminio contenenti il solvente (l’estrazione viene protratta per un certo periodo
di t e T°prefissata), poi il contenuto del ditale viene lasciato sgocciolare nella tazza
che a questo punto contiene il solvente e la fase lipidica estratta dalla granella, il
solvente viene allontanato automaticamente dall’estratto e una volta che
l’estrazione è terminata viene determinato il peso della fase grassa estratta
avendo avuto cura di determinare il peso della tazza vuota prima dell’estrazione.
DETERMINAZIONE DELL’UMIDITA’ % O CONTENUTO DI ACQUA  allontanamento dalla granella macinata
dell’acqua mediante EVAPORAZIONE in stufa (la quantità di acqua viene determinata come differenza di
peso fra la granella fresca prima della permanenza in stufa e dopo la completa evaporazione dell’acqua
raggiunta quando il peso della granella dopo essiccazione rimane costante)

DETERMINAZIONE DELLE CENERI  completa combustione del materiale organico mediante


riscaldamento a T° di incenerimento (>550°C). La quantità di ceneri viene determinata come peso residuo
dopo la completa combustione e viene espresso in % sul peso del campione fresco

DETERMINAZIONE DELLE SOSTANZE AZOTATE  metodo Kjeldhal: 1)mineralizzazione in acido forte a


caldo con il passaggio dell’N organico ad ammoniaca, 2)distillazione dell’ammoniaca in una soluzione a
titolo noto di acido solforico, 3)determinazione dell’acido solforico residuo (la differenza tra il titolo iniziale
e quello finale rappresenta la quantità di N recuperato dalla matrice)

DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO DI AMIDO  avviene previa idrolisi acida a caldo che lo idrolizza a
glucosio, questo poi viene dosato sfruttando il potere riducente con il reattivo di Fehling. Dopo idrolisi la
soluzione viene filtrata, messa in una buretta e utilizzata per titolare (quindi viene fatta sgocciolare) la
miscela di reattivo di Fehling A e B a titolo noto preparata in modo da poter essere completamente ridotta
da 0.049 gr di destrosio. Molto utilizzati per la determinazione del contenuto di amido come glucosio al
posto del reattivo di Fehling sono anche i kit enzimatici che utilizzano amilasi per scindere l’amido e ossidasi
accoppiate a coenzimi la cui riduzione genera un segnale allo spettrofotometro proporzionale alla quantità
di glucosio presente.

PROCESSO DI PRODUZIONE DEGLI SFARINATI

Prevede diverse fasi, le operazioni iniziali hanno lo scopo di allontanare il materiale estraneo dalla granella
e predisporla alle fasi successive.

1) Raccolta, ricevimento, ispezioni e controlli (prelievo di campioni..),pulitura


2) Condizionamento o bagnatura o umidificazione (agg H2O serve a facilitare la successiva macinazione)
3) Allontanamento dell’embrione
4) Macinazione (molini a pietramacine a pietra/molini a cilindri)
5) Abburattamento (raffinazione): l’entità della raffinazione, quindi l’entità dell’allontanamento della
crusca viene espressa come  Grado di abburattamento kg farina/ kg di grano
6) Maturazione enzimatica delle farine, durante questa fase avvengono contenute reazioni idrolitiche sui
biopolimeri operate dagli enzimi endogeni della cariosside; normalmente la maturazione dura meno di
4 settimane durante le quali si assiste a una parziale idrolisi dell’amido e della frazione proteica;
entrambe queste rx sono imp. per garantire la corretta qualità tecnologica degli sfarinati. Durante la
maturazione svolge un ruolo molto imp. l’umidità, poiché deve attestarsi ad un livello tale da
consentire l’attività degli enzimi endogeni e allo stesso t essere sufficientemente bassa da inibire lo
sviluppo di m.o.

Gli sfarinati che si ottengono dal grano TENERO si classificano in funzione di un grado di raffinazione
decrescente (che va a diminuire) in:
L’umidità max non può superare il 14.5% per garantire la stabilità degli
sfarinati indipendentemente dal loro grado di raffinazione; il contenuto
di ceneri aumenta dalla farina 00 alla 1 come conseguenza
dell’aumento del contenuto di crusca e quindi di Sali minerali;
analogamente aumenta il tenore di cellulosa. Anche la quantità di
glutine espresso come glutine secco dopo l’estrazione in una soluzione
salina aumenta con l’aumentare del grado di abburattamento.
Gli sfarinati da grano DURO si classificano in funzione della granulometria del macinato in:

Semola (più fine), Semolato (di grana più grossa, rappresentato da ciò che
rimane dopo separazione per setacciamento dalla semola); la quantità di
cellulosa è > rispetto alla quantità che si riscontra nelle farine da grano
TENERO ed’è > nel semolato rispetto alla semola. Le sostanze azotate
comprese le proteine si esprimono in termini di tenore di N determinato
mediante il K.

La SEMOLA è perlopiù destinata alla PASTIFICAZIONE; requisiti


tecnologici della semola:

 Granulometria compresa fra 200 e 400 micron


 Colore giallo ambrato
 Luminosità: influenzata dal grado di raffinazione e quindi dal tenore di crusca (la luminosità diminuisce
se la crusca aumenta e quindi il grado di raffinazione diminuisce)
 Tenore di proteine >13%
 Glutine dà origine a un reticolo elastico e tenace

Il GLUTINE

E’ un reticolo proteico, associato ai lipidi, di consistenza elastica e tenace che garantisce la plasticità
necessaria ad una buona tenuta alla cottura e che si forma durante la lavorazione (miscelazione e
compressione) della semola con l’acqua (quindi durante la preparazione dell’impasto a seguito
dell’aggiunta di acqua) e deriva dall’interazioni tra Glutenine e Gliadine, proteine idrofobiche e altamente
insolubili che appunto in presenza di acqua si associano a dare un reticolo proteico stabile le cui maglie
imprigionano i granuli di amido (idrosolubili) la proprietà agglutinante e la formazione di un reticolo
tenace ed elastico è fondamentale sia per la formatura della pasta che per la sua tenuta alla cottura, perchè
consente di trattenere l’amido durante la cottura evitando che
venga rilasciato (evitando di avere una pasta collosa e acqua di
cottura torbida la torbidità dell’acqua di cottura è un indice
dell’entità del rilascio di amido dal reticolo, >sarà la capacità del
glutine di trattenere amido, migliore sarà la tenuta alla cottura
della pasta e <sarà la torbidità dell’acqua di cottura).

ANALISI che vengono eseguite SUGLI SFARINATI

SCOPO: stabilirne la macrocomposizione e verificare il rispetto di questa ai limiti di legge che definiscono le
diverse classi merceologiche; valutare il corretto stato di conservazione e infine verificare la presenza di
eventuali frodi per commistione con prodotti di macinazione meno pregiati.

Gli sfarinati di grano tenero e grano duro all’osservazione presentano caratteristiche fra loro molto diverse,
infatti gli sfarinati di grano TENERO: si presentano di colore BIANCO, hanno una consistenza soffice e
untuosa e si agglomerano facilmente a seguito di compressione; al contrario gli sfarinati da grano DURO si
presentano di colore giallo ambrato e hanno una caratteristica consistenza granulosa al tatto. Il colore si
presenterà con tonalità + scure all’aumentare del contenuto di crusca e quindi al diminuire del grado di
raffinazione. In entrambi i casi, non si devono riscontrare difettosità all’aroma e al sapore.
La presenza di prodotti di macinazione da sfarinati estranei può essere messa in evidenza mediante
l’esame microscopico dei granuli di amido, che a seconda dell’origine presentano forme caratteristiche e
riconoscibili.

L’analisi della frazione proteica è il metodo di scelta per verificare la commistione di sfarinati da grano
duro con sfarinati di grano tenero e anche per risalire alle diverse varietà di frumento. In questo senso sono
di particolare interesse le analisi elettroforetiche della frazione proteica e i test immuno-enzimatici che
rilevano la presenza di globuline estranee (es. frode per aggiunta di grano tenero in farine destinate alla
pastificazionetest immunoenzimatico “Duro-test”: Ab marcato con HPR per la friabilina, proteina
presente solo nel grano tenero)

Altre frodi possibili: aggiunta di agenti miglioranti (sbiancanti, acido ascorbico), aggiunta di talco o gesso
(solubilità delle ceneri)

Il grado di abburattamento-raffinazione viene stimato in determinando il contenuto di fibra.

La verifica del corretto stato di conservazione prevede analisi sul contenuto di acqua-umidità
(essiccamento a 130°C), la determinazione dell’acidità libera (titolazione acido base su estratto alcolico del
campione) e l’esame al microscopio per evidenziare l’eventuale presenza di infestanti (saggio di Peckar x
evidenziare la presenza di acari).

LA DETERMINAZIONE DELLA FIBRA

FIBRA = è definita come la frazione prevalentemente a base polisaccaridica commestibile ma non


assimilabile in quanto è resistente all’azione degli enzimi digestivi, dunque ci riferiamo in particolare alla
cellulosa.

 PRINCIPIO DEL METODO: si basa sulla separazione della frazione resistente all’azione di enzimi
amilasici e proteolitici seguita dalla sua determinazione gravimetrica sottratta del contenuto di ceneri
(che tengono conto dei Sali minerali) e del contenuto di proteine e sostanze azotate.
 PROCEDIMENTO:
1. Digestione enzimatica in sequenza con amilasi e proteasi effettuata a caldo in condizioni
ottimali per l’idrolisi enzimatica
2. Filtrazione e successiva essiccazione del residuo insolubile del quale alla fine viene
determinato il peso secco

*Per tenere conto della quantità di Sali e proteine presenti nel residuo, questi componenti vengono
determinati indipendentemente su frazioni del residuo, le proteine con il Kjeldhal e le ceneri mediante
combustione.

 RISULTATO: la fibra si stima sottraendo al peso totale del residuo quello delle ceneri e delle proteine

*E possibile eseguire quest’analisi in maniera parzialmente automatica mediante l’uso di strumenti che
consentono la filtrazione automatica del residuo e la sua essiccazione tipo il FIBROTEC.
LA DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’

 SCOPO: valutare la presenza di acidi grassi liberi che denuncia un cattivo stato di conservazione
 PRINCIPIO: si basa sull’estrazione degli a.g dagli sfarinati oppure dalla pasta mediante una soluzione
idroalcolica a caldo; successivamente l’estratto viene sottoposto ad una titolazione acido-base per
rilevare la presenza di a.g liberi
 RISULTATO: si esprime direttamente in % sul peso secco del campione

ANALISI DELLE GLIADINE mediante SEPARAZIONE ELETTROFORETICA

SCOPO: stimare la cosiddetta “purezza varietale” di uno sfarinato oppure di un prodotto di trasformazione
(definire il grado di purezza di varietà di grano duro o tenero)

PROCEDIMENTO: le gliadine vengono estratte con solvente dal campione di interesse e quindi separate
nelle diverse forme su un gel di poliacrilammide o di agarosio grazie all’applicazione di un campo elettrico.
Le gliadine migrano lungo il campo elettrico con una v che dipende dal loro peso e dalla loro carica. Al
termine della corsa elettroforetica si ottiene un tracciato caratteristico in funzione delle diverse gliadine
presenti nel campione e che consente di risalire alla varietà.

La tecnica elettroforetica più utilizzata è quella che prevede il pre-trattamento del campione con un
agente denaturante, il cosiddetto sodio dodicil solfato o SDS. Questo SDS si lega alle proteine e conferisce a
tutte indipendentemente dal loro punto isoelettrico, una carica negativa al pH al quale viene effettuata la
separazione elettroforetica. Le proteine trattate con SDS vengono collocate nei pozzetti in cima al gel,
questo viene collocato in un campo elettrico, dove il polo negativo è nella porzione superiore e quello
positivo nella porzione inferiore in basso; quindi, una volta applicato il voltaggio le proteine tenderanno a
muoversi più o meno velocemente verso il polo positivo (dunque verso l’estremità inferiore del gel).

La porzione superiore del gel è detta Stacking Gel e ha una porosità ridotta allo scopo di rallentare la
separazione iniziale delle proteine che nei primi momenti della separazione elettroforetica si concentrano
tutte all’interfaccia fra lo Stacking Gel e il Running Gel in cui la porosità è >, le proteine iniziano la loro corsa
verso il catodo in funzione principalmente della taglia e della carica (le proteine +leggere si muoveranno
lungo il gel +velocemente di quelle +pesanti).

Una volta terminata la corsa elettroforetica, il


voltaggio viene tolto e il gel rimosso e poi colorato
con uno specifico colorante che si lega alle proteine
quindi per mettere in evidenza sul gel le proteine.
Dunque, lungo il gel si osservano delle macchie
colorate che rappresentano le diverse gliadine che si
sono separate fra di loro in funzione del peso
molecolare. Le proteine dal p.m +basso si trovano
verso l’estremità inferiore perché sono migrate
+velocemente attraverso le maglie del gel; quelle di
p.m> sono trattenute +in alto poiché la loro corsa è stata rallentata dall’ingombro sterico nei pori del gel.

Il caratteristico bandeggio del campione può essere rilevato con appositi colorimetri detti DENSITOMETRI
che producono un caratteristico tracciato DENSITOMETRICO che riporta, per ogni macchia proteica, la
posizione sul gel che dunque riflette il p.m e l’intensità della colorazione che invece rifletterà la
concentrazione.
Il bandeggio, in termini di numero e posizione delle
bande, come abbiamo detto, sarà caratteristico
della varietà. E’ possibile confrontare i risultati
ottenuti con dei bandeggi standard che sono stati
ottenuti da varietà analizzate in purezza; oppure si
può verificare la purezza del campione effettuando
le corse elettroforetiche su un campione rappresentativo di singole cariossidi e quindi confrontare
l’omogeneità dei bandeggi ottenuti (+il numero dei bandeggi simili sarà alto, >sarà la purezza del campione
in termini varietali).

DETERMINAZIONE DELL PROPRIETA’ REOLOGICHE DELLE FARINE

Le proprietà viscoelastiche dell’impasto sono principalmente determinate-dipendono dalle proprietà-


qualità del glutine idratato: da un lato c’è la funzione plasticizzante delle gliadine sul reticolo del glutine che
consente la coesione del reticolo proteico; dall’altro c’è il contributo elastico delle glutenine legato alla
capacità del reticolo di deformarsi senza rompersi. Ad es. un buon reticolo glutinico deve essere
omogeneamente distribuito nell’impasto, avvolgere e trattenere gli altri componenti come ad es. l’amido e
le bolle d’aria che vengono intrappolate durante la lavorazione, deve resistere alla pressione esercitata
dalla CO2 che si libera durante la fermentazione e allo stesso tempo deve avere una buona elongazione
diassale che consente all’impasto di aumentare di V.

La qualità del glutine viene determinata ricorrendo alla valutazione delle proprietà reologiche degli impasti
con metodi che possiamo definire di tipo empirico e di tipo limitativo. Questi metodi consistono nella
determinazione di parametri come per es. l’estensibilità ossia la capacità di espansione dell’impasto
durante la lievitazione e durante le prime fasi della cottura, l’elasticità quindi la capacità di deformarsi
senza rompersi, molto imp. per la forma del prodotto, la resistenza a sollecitazioni meccaniche in termini
sia di entità che di tempo. Questi parametri predicono il
comportamento dell’impasto durante le varie fasi della lavorazione e
possono anche predire diverse proprietà del prodotto finito legate alla
sua stabilità e alla consistenza.

1) IL FARINOGRAFO DI BRABENDER

Consente lo studio dell’evoluzione delle caratteristiche di un impasto


nel tempo, tramite la registrazione della resistenza che l’impasto
oppone a una sollecitazione meccanica costante in condizioni
operative definite di velocità di mescolamento e T°.

In pratica, viene misurata la forza necessaria a mescolare un impasto a velocità costante e l’evoluzione della
resistenza che l’impasto oppone a questa sollecitazione meccanica.

Il RISULTATO della determinazione con il farinografo è il cosiddetto FARINOGRAMMA, che è un diagramma


che mette in relazione lo sforzo (che compiono le pale dell’impastatrice nel mescolare un impasto e che si
misura in unità Brabender UB asse y) VS tempo determinato (asse x)

Il farinografo si compone di: un impastatrice, un


dinamometro, un sistema di leve e un registratore dello
sforzo.
Si fanno delle prove preliminari per capire quanta acqua
aggiungere all’impasto per arrivare a una resistenza di
almeno 500UB (resistenza di riferimento); fatto questo
poi parte la prova farinografica vera e propria e la
FASI DELLA PROVA AL FARINOGRAFO resistenza potrà andare poi anche oltre le 500UB

Fase preliminare durante la quale si misura la quantità di acqua necessaria perché il campione di sfarinato
raggiunga una resistenza di 500 UB (questo valore è prossimo a quello ottimale per la panificazione). La
quantità di acqua necessaria per raggiungere questo valore dipende dal contenuto proteico, in generale
aumenta con la quantità di proteine presenti e con il grado di strutturazione dell’amido. Infatti se l’amido è
eccessivamente depolimerizzato la quantità di acqua necessaria per raggiungere questo valore ottimale
diminuisce.

I parametri che vengono determinati sul farinogramma sono in termini di tempo. In particolare si
determina:

− TEMPO DI ARRIVO: t necessario ad arrivare a 500 UB


− TEMPO DI SVILUPPO O DI PICCO: t necessario ad arrivare alla resistenza massima (cioè al picco di UB)
− TEMPO DI PARTENZA: t che intercorre tra il picco massimo e il ritorno a una resistenza < a 500 UB,
indica quando l’impasto tende a perdere consistenza a seguito della protratta sollecitazione meccanica
− PERIODO DI STABILITA’: t che intercorre fra arrivo e partenza, indica per quanto tempo l’impasto
mantiene la resistenza massima
− CADUTA AL 20ESIMO MINUTO O GRADO DI RAMMOLLIMENTO: dopo 10 e 20 minuti di mescolamento
(espresso in termini di UB)

*lo SPESSORE della banda del farinogramma dipende


dall’elasticità dell’impasto  >è lo spessore, >è l’elasticità

*La variazione del TEMPO DI PICCO MASSIMO e del TEMPO DI


STABILITA’ definiscono la FORZA della farina; una farina
DEBOLE raggiunge il massimo in poco tempo e per poco tempo
rimane stabile; una farina FORTE presenta un t di picco max e
un t di stabilità lunghi.

*Dal t di stabilità e dal grado di rammollimento dopo 20 minuti


si desume l’ATTITUDINE ALLA PANIFICAZIONE, un’attitudine
ottimale prevede un t di stabilità di 10min e un grado di rammollimento molto contenuto (non superiore a
una diminuzione di 30 UB). Via via che il t di stabilità cala e il grado di rammollimento sale, l’attitudine alla
panificazione diminuisce (es. un t di stabilità di 2 min e un calo di 130 UB a 20 minuti indica un’attitudine
scadente).
Supponiamo che io ho due impasti e tutte e due arrivano allo stesso valore massimo di unità farinografiche, uno con un t di stabilità di
10sec e uno con un t di stabilità di 30secondi QUALE E’ l’impasto +resistente? Quello che ha il t di stabilità di 30sec perché quell’impasto
ha una capacità > di resistere all’azione meccanica e questo vuold’ire anche che la forza del reticolo glutinico è >.

2) ALVEOGRAFO DI CHOPIN

Con l’alveografo si determina la FORZA e l’ESTENSIBILITA’ dell’impasto tramite la misura della P dell’aria
necessaria all’estensine biassiale di un campione che viene sottoposto a un rigonfiamento per azione di
un gas, quindi misura le proprietà PLASTICHE degli impasti (forza ed estensibilità) e indirettamente indica
la capacità di formare alveoli regolari nella mollica.

In pratica, > sarà l’estensibilità dell’impasto, > sarà il V che può raggiungere durante la fermentazione e la
cottura.

Una piattaforma rotante forma, utilizzando parti di un impasto preparato a parte, dei dischetti rotondi di
impasto il cui spessore può essere variato a scelta, questi dischetti vengono appoggiati e fissati su una
piastra fornita di un dispositivo che spinge a pressione l’aria contro i dischi formando una bolla che si
espande fino a rompersi. Il dispositivo è munito di un sensore che registra le variazioni di P mentre la bolla
si espande fino alla rottura. In pratica, all’inizio l’impasto oppone la mass resistenza all’espansione indotta
dall’aria e la P quindi è massima. Ad un certo punto la P inizia a diminuire (poiché si formano dei piccoli pori
nell’impasto) e questo accade quando l’impasto si deforma e forma la bolla; dopodiché la P cala
velocemente quando la bolla si rompe.

L’alveografo produce un diagramma Pressione (asse y) vs Tempo o lunghezza L (asse x) che è detto
ALVEOGRAMMA.

I parametri che si ricavano dall’alveogramma sono:

− P (INDICE DELLA TENACITA’ DELL’IMPASTO): indica la P max rilevata sull’ordinataquesto parametro


dipende dal tenore di proteine
− L (LUNGHEZZA O INDICE DI ESTENSIBILITA’): dipende dal tempo impiegato dalla bolla a rompersi
− W (INDICE DI FORZA DELLA FARINA): rappresenta l’area sottesa alla curva ed’è un indice globale di
tenacia ed elasticità

In generale, per definire la destinazione d’uso si considera W e il rapporto P/L (che indica
l’elasticità ed’è un indice molto significativo della qualità del glutine).
Quindi, in generale:

Una farina DI FORZA (adatta alla panificazione e alla pastificazione)presenterà un area sottesa
alla curva (W) NON inferiore a 250 e un rapporto P/L >0.80

Una farina DEBOLE (adatta per la preparazione di biscotti ad es.)presenterà un W<180 e


P/L<0.5

3) ESTENSOGRAFO

E’ uno strumento che misura l’ESTENSIBILITA’ di impasti standard sottoposti a sforzo. L’impasto standard
viene manipolato a formare una struttura cilindrica che viene poi estesa a un velocità costante.

Di solito è utilizzato per valutare il tempo ottimale di fermentazione di un impasto.

In pratica, lo strumento consente di registrare la resistenza di un impasto alla trazione e ne misura quindi
l’estensibilità fino alla rottura.

I cilindri di impasto vengono fatti lievitare e successivamente le estremità del cilindro si agganciano a due
morsetti e a questo punto il cilindro di impasto viene
sottoposto a stiramento fino a rottura. Il diagramma
che ne risulta è detto ESTENSOGRAMMA con in
ascisse la lunghezza raggiunta dall’impasto e in
ordinate la resistenza che oppone alla trazione. I due
parametri definiscono la FORZA DEL GLUTINE: >è sia
la resistenza che la lunghezza, >sarà la forza del
glutine.

Qui vediamo 3 esempi di estensogramma con le


relative destinazioni d’uso degli impasti.

1 caso) con un rapporto fra resistenza ed estensibilità


compreso fra 0.5 e 1 definiamo la farina FORTE,
l’impasto è sia estensibile che elastico ed’è adatto a
fermentazioni protratte.

2 caso) mette in evidenza un rapporto


resistenza/elasticità basso, si tratta di impasti poco
estensibili e rigidi che presenteranno uno scarso
aumento di volume

3 caso) estensibilità molto maggiore della resistenza,


questo denuncia un impasto poco strutturato che non
si presta alla lievitazione protratta e alla panificazione
Le prove con l’estensografo, possono
essere condotte sullo stesso impasto a
tempi successivi. L’andamento delle curve
mette in evidenza come evolvono le
proprietà dell’impasto durante la
lievitazione (ad es. il valore P aumenta con
il tempo mentre L rimane costante
indicando un impasto che nel tempo
indurisce con forza e tenacità che
aumentano; invece una diminuzione di P
con L costante indica una diminuzione di forza poiché l’area cala e anche una diminuzione di tenacità dato
che P scende).

DETERMINAZIONE DELLA QUALITA’ PANIFICABILE

Determinazione delle attività enzimatiche su amido e glutine

L’integrità della struttura dei biopolimeri degli sfarinati (quindi amido e proteine) è importante per definire
le proprietà degli impasti e le relative destinazioni d’uso. Dunque, possono essere condotte delle prove per
la determinazione di indici che riflettono lo stato strutturale dei biopolimeri. Nel caso dell’amido questo
può essere depolimerizzato per azione delle amilasi endogene, una certa quantità di prodotti di
depolimerizzazione dell’amido, in particolare zuccheri semplici, è importante come fonte di E prontamente
disponibile per i lieviti durante la fermentazione. Quindi il rilascio di zuccheri fermentescibili è dovuta
all’azione delle amilasi-->sull’amido agiscono l’alfa e la Beta amilasi: l’Alfa amilasi è relativamente
termostabile (è attiva fino a 80°C) e influenza la depolimerizzazione dell’amido in condizioni di lavorazione
dell’impasto; la Beta amilasi si disattiva a T° relativamente basse ed’è quindi poco rilevante durante la
cottura (non influenza la qualità del pane durante la cottura) mentre può avere qualche azione durante la
fermentazione concorrendo al rilascio di zuccheri liberi, soprattutto da granuli di amido che sono stati
danneggiati durante la macinazione.

1) IL VISCOAMILOGRAFO

Traccia l’evoluzione della viscosità dell’amido di una sospensione di sfarinato sottoposto ad un incremento
costante di T° compreso fra 30 e 95°C (quindi una sospensione di acqua e farina si pone nell’amilografo e si
imposta il costante aumento della T°). E’ un indice delle modificazioni che subisce l’amido durante la
cottura degli impasti. In pratica, l’aumento di T° provoca: da un lato la gelatinizzazione dell’amido e il
relativo aumento di viscosità e dall’altro favorisce l’azione delle amilasi quindi una diminuzione di viscosità.
La velocità di idrolisi a carico dell’amido aumenta con l’aumentare della T° fino a quando questi enzimi non
vengono denaturati termicamente. Quindi prima che gli enzimi vengano denaturati la viscosità che si rileva
deriva dal compromesso fra questi due processi con
effetti appunto contrastanti sulla viscosità: la
gelatinizzazione che ne provoca l’aumento e l’idrolisi
enzimatica che invece ne causa la diminuzione.

L’andamento che si rileva viscosità vs tempo è


caratteristico dello sfarinato. Il valore max di viscosità è
indicato come INDICE DI MALTO.
2) INDICE DI CADUTA

Rileva la gelatinizzazione dell’amido e la sua contemporanea depolimerizzazione da parte dell’ Alfa amilasi
misurando la resistenza che una sospensione di sfarinato oppone alla penetrazione di una sonda in termini
di tempo, cioè misurando il t che la sonda impiega ad attraversare la sospensione.

Una sospensione di acqua e farina viene posta nello strumento per la determinazione dell’indice di caduta e
quindi si imposta un ciclo di riscaldamento costante.

− Un t troppo basso di penetrazione indica un amido fortemente danneggiato con scarsa


gelatinizzazione ed attività amilasica molto elevata; probabilmente l’amido si presentava già molto
depolimerizzato per azione degli enzimi endogeni prima della macinazione (per es. nel caso di
presenza di chicchi germinati)
− Tempi troppo lunghi al contrario, indicano una scarsa attività amilasica e quindi una scarsa
disponibilità degli zuccheri fermentescibili durante la lievitazione

DETERMINAZIONE QUANTITA’ E QUALITA’ DEL GLUTINE

DETERMINAZIONE DEL CONTENUTO DI GLUTINE – QUANTITA’

PRINCIPIO: sfrutta l’insolubilità del glutine in acqua

L’analisi può essere condotta sia sulla granella (previa macinazione) o sugli sfarinati sia di grano tenero
(farine) che di grano duro (semole).

PROCEDIMENTO: il campione viene posto nella cosiddetta camera di lavaggio che è dotata di un setaccio a
maglie sottili (88 micron), quindi il campione viene lavato con un tampone che scioglie e allontana l’amido
attraverso le maglie del setaccio mentre il glutine rimane appunto sulle maglie del setaccio. A procedura
completata il glutine si recupera e si pesa.

RISULTATO: viene espresso in % di peso sul campione; eventualmente si può anche esprimere in termini di
glutine secco dopo aver evaporato l’acqua tramite essiccamento su piastra a 150°C.

DETERMINAZIONE DELL’INDICE DI GLUTINE – QUALITA’

La strutturazione del reticolo proteico può essere determinata attraverso l’INDICE DI GLUTINE. In questo
caso, il glutine estratto con la procedura precedente, viene posto in centrifuga e forzato a passare
attraverso una griglia a maglie strette. Al termine si determina la quantità di glutine in peso che non ha
attraversato le maglie e quella invece che ha attraversato le maglie del setaccio e si è depositata sul fondo
del contenitore.

RISULTATO: si esprime in termini % come rapporto fra il peso del glutine rimasto sul setaccio e quello del
glutine invece che lo ha attraversato.

− Un indice BASSO prossimo allo zero indica una scarsa tenacità del reticolo proteico quindi un glutine
MOLTO DEBOLE che in buona parte è passato attraverso le maglie del setaccio (scarsa qualità del
glutine)
− Un indice ELEVATO prossimo a 100 indica un glutine TENACE e di elevata qualità (rimane sul setaccio
e non ne attraversa le maglie)

La qualità del glutine è importante perché da essa dipende la qualità per es. di pastificazione, per quanto riguarda il grano duro, a
seconda della qualità del reticolo glutinico si determina anche la collosità della pasta in cottura (se il reticolo è ben strutturato la pasta
non risulterà collosa, non rilascerà amido in acqua e l’acqua di cottura non sarà torbida)
INDICE DI SEDIMENTAZIONE

Fornisce un informazione analoga all’indice precedente, ma basata questa volta sul volume occupato da
una sospensione di sfarinato in una soluzione di acido lattico.

PRINCIPIO: si basa sul fatto che il glutine in acido lattico rigonfia e sedimenta lentamente

PROCEDIMENTO: sospensione sfarinato/soluzione di acido lattico e propanolo o SDS in un cilindro da


100ml, dopo 15 min leggere il V occupato dal sedimento

RISULTATO: > è il V occupato dalla sospensione, migliore è la qualità del glutine

INDICE DI BERLINER

Secondo questo metodo la quantità di glutine si determina come torbidità di una sospensione di glutine in
(estratto da un impasto) in acido lattico.

Questo indice è collegato all’azione delle proteasi che agiscono sul glutine durante la
fermentazionequindi permette di evidenziare le attività protesiche.

CARATTERISTICHE CHIMICHE DELLE PASTE ALIMENTARI

La pasta alimentare PER LEGGE può essere ottenuta SOLO DA SEMOLA E SEMOLATO!

Il processo prevede: Impasti di semola o semolato e acqua trafilazione laminazione essiccamento

Le classi merceologiche che dipendono dal tipo di sfarinato, dall’eventuale aggiunta di uova nell’impasto o
allontanamento di acqua sono: pasta di semola, di semolato, all’uovo o pasta fresca.

La MACROCOMPOSIZIONE si esprime in termini di:

 Contenuto di acqua NON > 11% nella pasta secca


 Contenuto di ceneri e cellulosa (che dipende dal tipo
di sfarinato utilizzato)
 Tenore di proteine espresso in termini di N
 Acidità libera (indica la quantità di a.g liberi ed è
correlata allo stato di conservazione)

*(la determinazione dei macrocostituenti della pasta si effettua secondo le metodologie affrontate nei moduli precedenti)

Una breve precisazione per quanto riguarda la DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’ LIBERA..

Si determina mediante una titolazione acido-base (NaOH) su un estratto idroalcolico del campione previamente macinato e viene
espressa in termini di % sul peso secco del campione (acidità°/100gr di sostanza secca)

CARATTERISTICHE CHIMICHE DEL PANE

La produzione di pane prevede: la cottura di un impasto convenientemente lievitato preparato con sfarinati
di grano, acqua, lievito, con o senza sale.

I pani speciali invece prevedono l’utilizzo di ingredienti come burro, strutto, latte, frutta secca..

La legge FISSA il tenore massimo di ACQUA ammesso nel pane alla vendita in funzione della pezzatura (>è la
pezzatura, >è il contenuto di acqua consentito).
La corretta fermentazione (che dipende da T°, U, pH) dell’impasto influenza le proprietà del prodotto
(aroma, croccantezza della crosta, porosità) e il pH svolge un ruolo molto importante (all’inizio della
fermentazione è prossimo alla neutralità e si abbassa durante il processo stabilizzandosi a valori compresi
tra 4,2 e 5,7…pH opt 5) poiché la sua corretta evoluzione durante la fermentazione garantisce che gli enzimi
amilasici che agiscono sull’amido (invertasi, maltasi, amilasi) possano agire correttamente e favorisce
l’idratabilità e l’estensibilità del reticolo glutinico.

ANALISI SUL PANE

La macrocomposizione del pane deve riflettere fondamentalmente quella degli sfarinati utilizzati per la sua
produzione.

Analisi complementari possono riguardare il comportamento della mollica a seguito di sollecitazioni


meccaniche come l’estensione o la compressione. Altro parametro importante da controllare è
rappresentato dall’attività dell’acqua, cioè dal suo grado di disponibilità. Aw  influenza la velocità con la
quale la mollica modifica le sue proprietà strutturali (per es. i cambi di consistenza che avvengono durante
la conservazione nel processo che viene indicato come “raffermamento” del pane), influenza la stabilità
microbiologica del prodotto nei confronti della crescita microbica (principalmente nei confronti dell’attacco
da parte di muffe).

Su uno sfarinato posso chiedermi:

Quante proteine ci sono?  utilizzo il metodo Kjeldal con cui vado a stimare la quantità di proteine in base al contenuto di N

Quanto glutine c’è?  ci sono diverse analisi molto semplici (lavaggio, indice di glutine, indice di sedimentazione)

Analisi + complesse che ci consentono di capire il comportamento visco-elastico Farinografo (), Alveografo
MODULO 6: IL VINO
COMPOSIZIONE

Dipende: dalle caratteristiche della materia prima (che sono altamente variabili in funzione della varietà,
dell’annata, delle condizioni pedo-climatiche) e dalle condizioni nelle quali viene condotto il processo.

Dunque in linea generale è necessario distinguere fra:

− I composti pre-esistenti nel mosto, cioè che derivano dall’uva e che troveremo nel mosto in funzione
direttamente della materia prima (appunto, l’uva); fra questi composti ritroviamo:
 Acqua (80%)
 Acidi organici fissi (come acido malico, tartarico e citrico)
 Zuccheri semplici (fruttosio, glucosio, arabinosio)
 Sostanze azotate
 Composti fenolici (estratti principalmente dalla buccia dell’uva ma anche da altre parti solide come
per es. i vinaccioli)
 Pectine (polimeri complessi a base di acido galatturonico e zuccheri che derivano dalla parete
cellulare)
 Minerali (cationi, anioni, oligoelementi)
 Vitamine
 Enzimi
− I composti di neoformazione che si sviluppano nelle prime fasi del processo principalmente in
funzione del procedere della fermentazione alcolica; fra di essi ritroviamo:
 Alcoli (etanolo, gliceroloche derivano entrambi dalla fermentazione alcolica e metanolonon è
un alcool di origine fermentativa ma deriva invece dall’idrolisi enzimatica delle pectine)
 Acidi fissi e volatili (lattico, succinico, aceticovolatile)
 Aldeidi
 Chetoni
 Esteri
 Gas disciolti (CO2, O2) in tracce
 Anidride solforosa

Di conseguenza quindi nel MOSTO avremo:

 ACQUA 80%
 ACIDI ORGANICI 0.6%
 ZUCCHERI 20% se l’uva è stata raccolta al giusto grado di maturazione
 ALTRI COMPOSTI 0.5%
 MINERALI 0.2%

L’estratto secco totale ottenuto per allontanamento dell’acqua ci informa del contenuto medio di soluti, e
normalmente è:

≥ 14 g/L nei vini bianchi

≥ 18 g/L nei vini rossi


GLI ZUCCHERI SEMPLICI

Per quanto riguarda gli zuccheri semplici i più rappresentati sono: monosaccaridi a 6 atomi di C (glucosio,
fruttosio, ramnosio che è in misura molto minore e deriva dall’idrolisi delle pectine) e a 5 atomi di C
(arabinosio, xilosio), tracce di disaccaridi (saccarosio), polisaccaridi (rappresentati dalle pectine e dai loro
prodotti di degradazione)

La pectina è una famiglia di polimeri a base di acido galatturonico parzialmente esterificato (10-60%) con
metanolo. Dalla pectina derivano catene di polisaccaridi neutri a base di glucosio, arabinosio e altri zuccheri
e derivano anche le cosiddette “gomme” che sono polimeri neutri a base di arabinosio e galattosio.

Normalmente nel mosto la [Glucosio] e [Fruttosio] è molto simile e il loro rapporto è vicino a 1.

DETERMINAZIONE DEL TENORE ZUCCHERINO NEL MOSTO D’UVA

Nel mosto le tecniche più comuni per determinare il contenuto di zuccheri che è cruciale ai fini del corretto
svolgimento della fermentazione alcolica si basano sulla determinazione della Densità del mosto a 20°C (T°
di riferimento) utilizzando appostiti densimetri. Perché la densità? Perché gli zuccheri rappresentano il
principale soluto nel mosto e la densità del mosto dipende essenzialmente dalla [zuccheri].

Le unità di misura più comuni sono rappresentate:

 dai gradi Baume’ (Bè), indicano il probabile grado alcolico espresso come ml di alcool/100ml di vino

 dai gradi Brix (B°), indicano il contenuto di solidi solubili espresso come gr di soluti/100gr di mosto

dai gradi Babo (Ba), indicano invece direttamente il contenuto di zuccheri e si esprimono come gr di
zuccheri/100gr di mosto

DETERMINAZIONE DELLA DENSITA’ DI UN MOSTO O DI UN VINO

La determinazione della densità del mosto su base volumica (rapporto fra massa e Volume) serve come
abbiamo detto, a stimare il contenuto di zuccheri ma può anche essere utilizzata per stimare l’estratto
secco.

La densità viene rilevata con i densimetri e poi viene convertita nel responso di interesse utilizzando
apposite tabelle di conversione come queste riportate qui sotto a titolo di esempio.
GLI ACIDI ORGANICI

Svolgono un ruolo molto importante nel vino da diversi punti di vista: prima di tutto partecipano insieme
ad altre caratteristiche del vino alla stabilizzazione microbiologica del prodotto; inoltre sono coinvolti e
regolano il corretto svolgimento della fermentazione malolattica; sono coinvolti in tanti fenomeni che
regolano la stabilità chimico-fisica dei vini (ad es. sono coinvolti nella stabilità proteica e consentono il
veloce e rapido allontanamento della frazione sospesa instabile); sono coinvolti nella stabilità del colore
e partecipano alla definizione delle proprietà sensoriali dei vini (sia in termini di colore che di sapore).

Il patrimonio di acidi organici dipende da quelli derivati direttamente dall’uva, e in particolare,


caratteristicamente troveremo: oltre a acido malico e citrico, un’elevata quantità di acido tartarico che
rappresenta l’acido organico più caratteristico dell’uva e poi abbiamo
una serie di acidi organici di neoformazione nel mosto nel vino
(succinico, lattico, acetico).

In ogni caso, in generale si tratta di acidi organici abbastanza deboli e


solo parzialmente dissociati al pH del vino (che normalmente è
compreso fra 2.8 e 3.8). Gli acidi organici contribuiranno all’acidità
dunque al pH sia in funzione della loro [] ma soprattutto anche in
funzione delle loro costanti di
dissociazione.

Acidi organici derivanti dall’uva

Il loro tenore riflette il grado di


maturazione della materia prima;
infatti con il procedere della
maturazione si assiste: ad un calo
costante dell’acido malico che viene
consumato nei processi metabolici
del tessuto vegetale, invece l’acido
tartarico rimane costante.

Acidi organici di neoformazione

Acido succinico (0.5-1.5gr/L): è un prodotto secondario della fermentazione alcolica

Acido lattico: prodotto dai lieviti durante la fermentazione alcolica (0.2-0.4gr/L) oppure dai batteri lattici
durante la fermentazione malo lattica (0.5-3.0gr/L)

Acido acetico: acido organico volatile che può essere prodotto o durante la fermentazione alcolica per ox
dell’aldeide acetica a [] basse (0.2-0.4gr/L) oppure in [] relativamente elevate (>0.7gr/L) anche dai batteri
acetici per ox dell’etanolo in presenza di O e in condizioni elevate è responsabile del difetto di “acescenza”.

ACIDITA’ TOTALE DI UN MOSTO O DI UN VINO

Si determina mediante titolazione acido-base ponendo pH 7 come punto finale della titolazione.

Si esprime come gr di acido tartarico/L


Il pH e l’acidità totale di un mosto NON si riflettono esattamente nel vino!

Infatti normalmente il vino sarà caratterizzato da un valore di acidità leggermente superiore e un pH


leggermente inferiore a quello del relativo mosto. Questo dipende da molte ragioni:

− I valori delle costanti di dissociazione degli acidi organici CAMBIANO a seconda se il mezzo sia acquoso
(come il mosto) oppure idroalcolico (come il vino)
− Il patrimonio di acidi organici del mosto CAMBIA durante la fermentazione alcolica e malolattica
− La solubilità dei Sali degli acidi organici cambia anche lei in funzione del mezzo (acquoso o
idroalcolico) diminuisce con l’aumentare del grado alcolico della soluzione
− La presenza di CO2 oppure di SO2 che possono entrambe contribuire all’acidità totale dando origine
rispettivamente nel vino per es. ad acido carbonico o ad acido solforico.

A COSA SERVE MISURARE L’ACIDITA’ TOTALE?

Seguire l’andamento dell’acidità totale nel vino e nel


mosto è importante per tante ragioni: perché gli acidi
organici svolgono un imp ruolo nel processo di
stabilizzazione del vino e inoltre..

Nell’uva prima della vendemmia è imp. seguire


l’andamento dell’acidità totale perché ci aiuta ad avere
una stima del corretto grado di maturazione della
materia prima e quindi stabilire la data più opportuna
della vendemmia. Allo scopo viene utilizzato l’INDICE DI
MATURITA’ TECNICA. Questo indice si basa sul fatto che
durante la maturazione il tenore totale di acidi organici cala mentre quello degli zuccheri aumenta, dunque
il rapporto fra gli zuccheri totali e l’acidità totale viene utilizzato per seguire le ultime fasi della maturazione
dell’uva e stabilire la data più opportuna della vendemmia.

Una seconda fase in cui è importante seguire l’acidità totale è durante la vinificazione vera e propria. La
determinazione di questo parametro sul mosto serve a valutare la necessità di eventuali azioni correttive,
che possono essere sia un acidificazione oppure una disacidificazione.

**Dobbiamo considerare che nel VINO l’ACIDITA’ TOTALE nel tempo tende a DIMINUIRE in maniera
NATURALE:

− A seguito per es. della fermentazione malolattica che trasforma l’acido malico (biacido) in acido lattico
(monoacido)
− A seguito della precipitazione dei Sali dell’acido tartarico indotte dall’abbassamento delle T° durante il
processo (es. in inverno)

Quando misurare l’acidità totale? Prima e al termine della fermentazione alcolica, dopo la fermentazione
malolattica, alla fine dell’inverno.
DOSAGGIO DELL’ACIDITA’ TOTALE

− SCOPO: determinare il contenuto di acidi organici presenti in un vino


− PRINCIPIO: titolazione acido-base direttamente sul campione eventualmente diluito con acqua fino a
pH 7; a questo punto la titolazione si ritiene conclusa
− MATERIALE: buretta, beker, pipetta graduata, fenoftaleina (nel caso di vini bianchi) oppure si utilizza un
pHmetro per seguire la titolazione (vini rossi, in cui il viraggio della fenoftaleina è poco visibile)
− REATTIVI: NaOH 0.1N
− PROCEDIMENTO:
1. Allontanare l’eventuale CO2 presente nel vino (che può dar luogo a sovrastime dell’acidità titolabile)
mediante filtrazione su filtro a pieghe
2. Porre nel beker 25ml di campione e portarli a 100ml con acqua. Introdurre la sonda del pHmetro
3. Aggiungere il titolante fino a raggiungere pH 7.0
4. Annotare i ml di titolante utilizzato
− RISULTATO: si esprime in termini % di acido tartarico gr di acido tartarico/Lt (limiti di legge: 4.5gr/Lt)

L’ACIDITA’ VOLATILE

Rappresenta una porzione minima dell’acidità totale e influenza l’insorgenza di difetti nel vino.

E’ dovuta all’acido acetico e a pochi omologhi volatili che possono essere determinati previa estrazione per
distillazione dal vino.

Una piccola quantità di acidi volatili, in particolare acido acetico, può essere naturalmente prodotta da
parte dei lieviti durante la fermentazione alcolica e da parte dei batteri lattici durante la fermentazione
malo lattica.

L’acido acetico si forma per via fermentativa a partire dall’acetaldeide, in presenza di O2, a pH > 3.4 e a T°
elevate.

Se il processo di vinificazione avviene in maniera corretta, i valori di acidità volatile NON sono SUPERIORI a
0.5gr/Lt di acido acetico.

Comunque in alcune condizioni possono verificarsi produzioni ANOMALE di acido acetico, abbiamo le
cosiddette “MALATTIE DEL VINO” che causano la compromissione delle sue proprietà sensoriali. Il primo
problema può verificarsi se si hanno arresti della fermentazione alcolica dovuti per es. a T° troppo alte
oppure arresti della fermentazione malolattica dovuti per es. a pH troppo elevati, T° troppo elevate oppure
mancato controllo della flora microbica. In questo caso, gli zuccheri, l’acido tartarico, il glicerolo presenti
nel mezzo vengono metabolizzati dai batteri lattici anaerobi e producono sia acido lattico che acido
aceticosi verifica così lo SPUNTO LATTICO che sarà caratterizzato da un aumento anomalo sia di acidità
fissa (dovuta all’acido lattico) sia di acidità volatile (dovuta all’acido acetico).

Nel vino invece può verificarsi l’ossidazione dell’etanolo (EtOH) in presenza di O2 da parte dei batteri acetici
che producono diversi derivati volatili dell’acido acetico (etilacetato..) che danno origine al difetto di
acescenza. Questo problema denuncia scarse
condizioni igeniche della cantina e si traduce
specificatamente in un aumento selettivo della
sola acidità VOLATILE.
PERCHE’ MISURARE L’ACIDITA’ VOLATILE?

− Per valutare l’andamento della fermentazione alcolica e della fermentazione malolattica ed individuare
eventuali deviazioni di queste fermentazioni
− E’ un valore fissato per legge:
1.08 g acido acetico/L vini bianchi
1.20 g acido acetico/L vini rossi
Oltre questi limiti il vino NON E’ COMMERCIALIZZABILE!

L’importanza di questo parametro è dovuta al fatto che denuncia (quindi è un indice) lo stato sanitario del
vino ed’è in relazione al suo stato di conservazione.

Per determinare l’acidità volatile bisogna distillare il vino previamente aggiunto di acido tartarico in eccesso
allo scopo di spostare in forma volatile l’acido acetico altrimenti presente in forma salificata e dunque non
volatile. Sono disponibili diversi distillatori in corrente di vapore appositamente ottimizzati allo scopo.

Prima di effettuare questa determinazione è buona norma allontanare eventuali interferenti presenti come
può essere l’acido solforoso derivante da SO2 o l’acido carbonico che deriva dalla CO2eliminazione della
CO2 presente nel vino mediante una semplice filtrazione su filtro a pieghe.

DOSAGGIO DELL’ACIDITA’ VOLATILE IN CORRENTE DI VAPORE

− SCOPO: determinare il contenuto di acidi organici volatili presenti in un vino


− PRINCIPIO: titolazione acido-base
− MATERIALE: distillatore in corrente di vapore, buretta
− REATTIVI: acido tartarico, NaOH 0.1N, fenolftaleina, HCl, salda d’amido, iodio
0.01N, soluzione satura di borato di sodico
− PROCEDIMENTO:
1. Allontanare l’eventuale CO2 presente nel campione di vino mediante filtrazione
Se non aggiungo l’acido tartarico non
su filtro a pieghe riesco a distillare l’acido acetico che
2. Aggiungere a 20ml di vino acido tartarico in eccesso che sposta l’equilibrio di c’è! Perché? Perché l’acido acetico è
in forma salificata e quindi aggiungo
salificazione dell’acido acetico (che è un acido +debole dell’acido tartarico), così
un acido +forte
l’acido acetico passa in forma libera e può essere distillato
3. Raccogliere-recuperare 120ml di distillato
4. TITOLAZIONE DELL’ACIDITA’ VOLATILE: sul distillato si effettua una prima titolazione acido-base che
consente di determinare l’acidità totale (si aggiunge qualche goccia di indicatore e si titola con
NaOH)
5. TITOLAZIONE DELL’SO2 LIBERA: si effettua una seconda titolazione in ambiente acido (poiché si
aggiunge qualche goccia di HCl) utilizzando iodio e come indicatore la salda d’amido; quindi si titola
la SO2 libera con iodio 0.01Nquesto consente di dosare la SO2 libera
6. TITOLAZIONE DELL’SO2 LEGATA: infine il mezzo viene portato in condizioni neutre (neutralizzazione
con una soluzione di borato), questo causa la liberazione dell’SO2 legata che viene a sua volta
titolata come prima con lo iodio 0.01N
− RISULTATO:
Per il calcolo del risultato agli equivalenti di acido acetico stimati-rilevati con la 1a titolazione acido-
base, si sottraggono quelli relativi all’SO2 nelle sue diverse forme; gli equivalenti residui vengono usati
per il calcolo del risultato che viene espresso come gr di acido acetico/Lt.
IL pH DEL VINO

Normalmente è compreso fra 2.8 – 3.8

Il pH acido del vino è fondamentale per garantire la stabilità di questo prodotto; infatti insieme alla
presenza di etanolo contrasta la crescita dei m.o favorisce la presenza di SO2 in forma libera e quindi
ne esalta l’effetto stabilizzante nei confronti dei m.o favorisce la solubilità degli acidi organici ed infine
stabilizza il colore rosso brillante dei vini giovani.

La presenza di un ricco patrimonio di acidi organici in forma salificata fa sì che sia il mosto che il vino
abbiano un BUON POTERE TAMPONE.

In alcuni casi può essere necessario acidificare il vino per es. tramite l’aggiunta di acido citrico per
consentire il ripristino di un pH sufficientemente acido dopo la fermentazione malolattica visto che questo
pH acido è associato a proprietà sensoriali molto importanti soprattutto nei vini bianchi.

GLI ALCOLI

ETANOLO

Alcool di origine fermentativa, è il prodotto principale della fermentazione alcolica e si esprime in %


volumica cioè volume di alcool su volume di vino in % (v/v%).

La quantità di alcool prodotta dipende dalla quantità di zuccheri presenti, considerando che mediamente
da 1.8gr di zucchero/100ml si ottengono 0.79 gr di EtOH/100ml di vino normalmente il rapporto volumico si
aggira intorno all’1% (1ml=0.79gr di EtOH  1%v/v).

Il tenore alcolico medio del vino rosso da tavola è 12.5% e corrisponde circa a 230gr di zucchero per Lt di
mosto.

Il tenore alcolico è FISSATO PER LEGGE a seconda della categoria merceologica del vino (nel vino rosso da
tavola NON PUO’ ESSERE < 8.5%).

La quantità di alcool in un vino è ESTREMAMENTE IMPORTANTE perché: influenza l proprietà sensoriali (ad
es. quella che viene definita forza di un vino), favorisce sia la stabilità chimico-fisica che microbiologica del
prodotto.

Determinazione del contenuto alcolico di un vinoprincipio: si basa sul fatto che la densità (ml/gr) di una
soluzione idroalcolica cala regolarmente all’aumentare del tenore di alcool. *ricorda: in funzione del tenore
alcolico cambia anche la T° di ebollizione (diminuisce all’aumentare del tenore alcolico)

METANOLO

Alcool normalmente presente SOLO in tracce che NON è di origine fermentativa (ma deriva dall’idrolisi
enzimatica della pectina ad opera della pectinmetilesterasi) ed’è TOSSICO a [] relativamente elevate (limiti
di legge dovuti alla tossicità).

Si esprime in mg/L

La quantità di metanolo prodotta dipende: dalla durata della macerazione e dunque dal contatto con le
bucce e dall’uso di preparati pectolitici utilizzati durante le fasi della vinificazione per migliorare l’estrazione
dei componenti dell’uva nel mosto.
ALCOLI SUPERIORI (propanolo, isopropanolo, metilbutanolo, feniletanolo..)

Sono presenti in piccola quantità, derivano in genere da reazioni di trasformazione biochimica sugli
amminoacidi.

Un caso a parte è rappresentato dal GLICEROLO perché questo è un alcool di origine fermentativa prodotto
appunto come prodotto secondario durante la fermentazione alcolica.

DETERMINAZIONE DEL TITOLO ALCOLICO DI UN VINO CON L’EBULLIOMETRO DI MALLIGAND

− SCOPO: determinare il titolo alcolico


− PRINCIPIO: > sarà il tenore alcolico, < sarà la T° di ebollizione del vino

Sappiamo che la T° eb dell’acqua è 100°C e quella invece dell’ EtOh è 78.3°C

− PROCEDIMENTO:
1. Taratura dello strumento (lo strumento viene azzerato sulla T°eb dell’acqua
pura)
Mettere acqua nella caldaia, chiudere la caldaia avvitando la parte superiore
dell’ebulliometro, accendere il fornellino e quando l’acqua inizia a bollire il
menisco di mercurio del termometro si blocca. Su questo livello azzerare la
scala del termometro.
2. Analisi del campione (rilevamento della T°eb del campione di vino)
Sciacquare la caldaia con il vino e riempirla, avvitare la parte superiore,
accendere il fornellino e quando il vino inizia a bollire il menisco di mercurio
del termometro si blocca.

Leggere direttamente il grado alcolico sulla scala del termometro in


corrispondenza del menisco di mercurio.

In pratica, con questo metodo il vino viene assimilato ad una soluzione


idroalcolica senza soluti. Questo metodo NON è adatto a vini ricchi di solidi
solubili come possono essere per esempio i vini dolci o i passiti

Nei casi in cui la determinazione diretta della T° eb NON è possibile perché la sua
relazione con il tenore alcolico sarebbe “disturbata” dalla presenza elevata di
solidi solubili si procede alla DETERMINAZIONE DELLA DENSITA’ DEL DISTILLATO

− PRINCIPIO: si basa sul fatto che >è il tenore di alcool, <sarà la densità della
soluzione idroalcolica
− PROCEDIMENTO: una volta distillato l’alcool dal campione di vino viene
determinata la densità sul distillato riportato con acqua al V iniziale del campione. Allo scopo si
utilizzano o degli appositi DENSIMETRI oppure la bilancia IDROSTATICA.
Per convenzione la densità si rileva a 20°C e viene
convertita in tenore alcolico mediante apposite
tabelle di conversione.
DETERMINAZIONE DEGLI ZUCCHERI RIDUCENTI CON IL REATTIVO DI FEHLING

Per quanto riguarda gli zuccheri, abbiamo detto che per lo più si tratta di zuccheri riducenti. Al termine
della fermentazione alcolica, se non ci sono stati problemi, il tenore di zuccheri riducenti è molto basso,
dato che sono stati trasformati in etanolo e quindi rimarrà un piccolo residuo zuccherino (0.5-1.5%, 5-8%
nei vini dolci)

Come abbiamo già visto nel caso del LATTE, la determinazione degli zuccheri riducenti può essere
effettuata con il reattivo di Fehling.

PROCEDIMENTO:

1. Riduzione degli ioni rameici Cu2+ della soluzione di Fehlig A (con Cu2+ a titolo noto) da parte degli
zuccheri e formazione di ossido rameoso Cu2O rosso
2. Aggiunta di KI in eccesso con I che riduce gli ioni Cu2+ rimasti che diventano Cu+ e si ha la formazione
di I2 (perché I si ossida)
3. Determinazione degli ioni Cu2+ residui dopo la riduzione effettuata da parte degli zuccheri del
campione mediante titolazione con tiosolfato dell’I2 prodotto

RISULTATO: la quantità di zuccheri presenti si stima come differenza fra il titolo iniziale degli ioni rameici e
la quantità di ioni rameici residui

Zuccheri riducenti presenti = Cu2+ iniziali – Cu2+ residui

Il risultato in genere, si esprime non tanto in termini di zuccheri ma quanto in termini di TITOLO
ALCOLICO. Si può esprimere come:

 TITOLO ALCOLICO POTENZIALE = Zuccheri residui determinati * 0.6 (valore di conversione che in
pratica è la resa della fermentazione alcolica) oppure come..
 TITOLO ALCOLICO TOTALE = TITOLO ALCOLICO POTENZIALE + quantità di alcool presente nel
campione determinata per altra via
Qui vediamo nel dettaglio
la procedura per la
determinazione degli
zuccheri riducenti con il
reattivo di Fehling.

Rispetto a quanto detto si


può aggiungere che il
campione di vino da
analizzare viene
normalmente decolorato
mediante trattamento con
carbonio attivo per
rendere più evidenti i
passaggi di colore dei Sali
di rame dalla forma ridotta
alla forma ossidata.

Inoltre è utile una


determinazione diretta del
titolo dei Sali di rame del
reattivo di Fehling
mediante una prova in
bianco.
L’ANIDRIDE SOLFOROSA SO2

I processi di vinificazione prevedono l’aggiunta di anidride solforosa SO2 in diverse fasi poiché la
presenza di SO2 è ritenuta indispensabile per un regolare svolgimento del processo. Sono stati
tuttavia ottimizzati anche dei processi di vinificazione che riducono o evitano del tutto l’aggiunta
di questo composto.

PROPRIETA’
La sua presenza in generale
1. Antifermentativa: nella sua forma libera inibisce lo sviluppo dei lieviti
inibisce lo sviluppo di m.o
2. Antibatterica: i batteri sono sensibili sia alla forma che a quella combinate dell’SO2
3. Antiossidante: in pratica è in grado di disattivare i potenziali ossidanti del vino (es. O2 oppure i chinoni
che derivano dall’ox dei composti fenolici)dunque per azione dei potenziali ossidanti l’SO2 si ossida a
solfito e a solfato e impedisce così che gli ossidanti possano reagire con gli altri componenti del vino
provocando per es. indesiderati cambi di colore e di sapore
4. In altre matrici alimentari inibisce l’imbrunimento non enzimatico (cioè si oppone alla Rx di Maillard)
contrastando la reazione fra gli zuccheri riducenti e i gruppi amminici liberi
5. Antiossidasico: l’SO2 viene definita “antiossidasica” perché è in grado di disattivare gli enzimi ossidanti
presenti nel vino e anche in altre matrici vegetali; questi enzimi sono per es. la laccasi e la
tirosinasiquesto genere di enzimi è in grado di catalizzare reazioni ossidative fra i composti fenolici
provocando ad es. l’imbrunimento dei tessuti vegetali (è quello che accade ad una fetta di mela lasciata
esposta all’aria che velocemente imbrunisce appunto per azione di questi enzimi)
6. Stabilizzante: l’SO2 svolge un ruolo molto importante ai fini della stabilizzazione del vino favorendo
l’allontanamento per precipitazione dei composti in sospensione
7. Solubilizzante: a tale scopo può essere aggiunta anche durante la fase di macerazione poiché è in grado
di destrutturare parzialmente le strutture cellulari favorendo così il rilascio dei composti (es. antociani)
dai tessuti dell’uva (bucce) al mosto
8. Tossico: in [ ] elevate è TOSSICA e alcune persone sono sensibili alla presenza di solfiti nei viniLIMITI
DI LEGGE 166mg/L nei vini rossi, 200mg/L nei vini bianchi
9. Influenza il gusto e l’odore del vino: se l’SO2 è presente in quantità eccessiva è responsabile di
caratteristici odori e sapori molto sgradevoli (per questo motivo si dice che la quantità di SO2 che si può
aggiungere a un vino si “autolimita”)

EFFETTI NEL VINO in particolare

− ATTIVITA’ ANTIOSSIDANTE: grazie a questa attività è in grado di svolgere un azione di protezione sul
colore impedendo modificazioni di tonalità e di intensità, inoltre protegge dall’ossidazione i composti
responsabili dell’aroma del vino impedendo modificazioni indesiderate, evita fenomeni di
precipitazione spinta di polimeri che nel vino si potrebbero formare a seguito di reazioni di ossidazione
e che potrebbero portare alla precipitazione e perdita di composti colorati (si parlerebbe in questo caso
di “casse ossidasica”; quindi protegge contro la casse ossidasica)
− AZIONE STABILIZZANTE: evita fenomeni di rifermentazione nei vini dolci impedisce lo sviluppo di
batteri nei vini a bassa gradazione alcolica (evita difetti di spunto e di acescenza e lo sviluppo di
fioretta, grave malattia del vinoè un’alterazione del vino che si verifica in vini a basso tenore di alcool
lasciati a contatto con l’O, sulla superficie del vino si forma caratteristicamente un velo biancastro
prima molto sottile e poi sempre più spesso, responsabili di tale malattia sono i lieviti a metabolismo
aerobio che consumano alcool e zuccheri residui ed il vino risulta così soggetto all’azione di batteri

Per evitare che il vino venga attaccato da fioretta bisogna evitare il contatto prolungato con l’O, ma soprattutto utilizzare
appropriate quantità di anidride solforosa.
acetici che prendono il sopravvento e vanno a ossidare l’alcool etilico trasformandolo in acido acetico;
la malattia che subentra se il vino attaccato da fioretta non viene curato prende il nome di “spunto”
nella fase iniziale e di “acescenza” in quella finale),seleziona lieviti più efficaci durante la
fermentazione alcolica, impedisce la fermentazione malolattica se questa NON è desiderata
− SOLUBILIZZANTE: migliora l’estrazione delle sostanze presenti nelle bucce durante la macerazione
(tannini, antociani, aromi)
− NEUTRALIZZA L’ETANALE: contenute aggiunte di SO2 possono legare l’etanale che viene prodotto per
ossidazione dell’etanolo e correggere il cosiddetto difetto di “svanito”
− INFLUENZA GUSTO E ODORE

COSA SUCCEDE QUANDO L’SO2 VIENE AGGIUNTA AL


VINO?

L’SO2 una volta che è stata aggiunta al vino rimane


come tale solo in piccola parte, per il resto invece da
origine a SOLFITI e BISOLFITI secondo gli equilibri
schematizzati nella diapositiva.

SO2 LIBERA = si intende la sua forma NON legata in maniera irreversibile a un qualunque componente del
vino. In pratica, l’SO2 libera è pari alla [ ] di SO2 in quanto tale che chiameremo “MOLECOLARE” e di
BISOLFITI visto che i solfiti in realtà si formano a un pH troppo alto
rispetto a quello normale del vino.

SO2 LIBERA = [SO2] + [HSO3-]

Possiamo dire che dal 90 al 99% dell’SO2 è presente sottoforma di


ione BISOLFITO HSO3-, dall’1 al 7% è presente in forma molecolare
(SO2 in quanto tale) solfito in funzione delle caratteristiche del mezzo
(in particolare pH, T° e tenore di etanolo) e dallo 0.01 allo 0.1% è
presente sottoforma di solfito.

Osservando il grafico a destra, si può vedere


come l’SO2 molecolare diminuisca molto
velocemente quando si passa da pH molto acidi
verso il pH del vino mentre parallelamente
aumenta la [ ] di bisolfito che al pH del vino
rappresenta la forma decisamente più
abbondante.

Il solfito invece, inizia a formarsi quando il pH si


avvicina alla neutralità, quindi nel vino a pH
normale è praticamente ASSENTE.

ALTRI FATTORI CHE POSSONO INFLUENZARE


L’EQUILIBRIO DELLA SO2 MOLECOLARE E DEL
BISOLFITO sono rappresentati:

dal tenore di etanolo e dalle variazioni di T°: ad un pH costante (vicino a 3 come nel caso del vino) l’SO2
molecolare aumenta in funzione dell’aumentare dell’etanolo e della T°; a T° costante invece l’SO2
molecolare diminuisce
all’aumentare del pH nel
normale range di variazione del
vino a favore del bisolfito e
come prima l’SO2 molecolare
aumenta in funzione
dell’etanolo a parità del resto
delle altre condizioni.

Questo grafico riporta in proporzione le diverse forme nelle quali possiamo trovare l’SO2. Per convenzione
si definisce “libera” la somma della SO2 molecolare e del bisolfito non legato ad alcun componente del
vino. Abbiamo visto nelle diapositive precedenti che l’equilibrio fra queste forme è regolato dal pH, dalla T°
e dal tenore di etanolo. Aumenti di T° e di etanolo spostano l’equilibrio verso sinistra mentre aumenti di pH
lo spostano verso destra (dunque a favore del bisolfito libero). Il bisolfito a sua volta può legarsi in maniera
reversibile con altri componenti del mezzo (composti carbonilici, aa e proteine, composti fenolici ecc..)
l’equilibrio fra bisolfito libero e legato è regolato dalla T° e dalla [SO2]: aumenti di T°, favorendo il passaggio
di bisolfito libero a SO2 molecolare trascinano l’equilibrio verso sinistra mentre al contrario, aumenti di
[SO2 molecolare] indotti per es. dall’aggiunta di SO2 durante il processo, spingono l’equilibrio verso le
forme legate.

Il bisolfito legato è molto importante


perché rappresenta una specie di
riserva di SO2 libera. Infatti, quando le
forme libere diminuiscono per es. a
seguito di un evento ossidativo, il
bisolfito legato reversibilmente viene
rilasciato a dare le forme libere che
sono più attive. Infine, una certa quota
di SO2 si lega in maniera irreversibile ai
composti di ossidazione del vino, in
questo modo li disattiva svolgendo il
suo ruolo stabilizzante però NON sarà più
disponibile e viene definita “zavorra”.

In questa tabella invece sono riassunte le


caratteristiche dell’efficacia delle diverse forme
nelle quali possiamo trovare l’SO2 nel vino.

La FORMA MOLECOLARE è caratterizzata


dall’efficacia più elevata nei confronti della
stabilizzazione microbica ma anche nei confronti
degli eventi ossidanti e nella disattivazione degli enzimi ossidasici. Inoltre è in grado di disattivare l’etanale
che è il principale prodotto di ossidazione dell’etanolo. E’ inoltre caratterizzata da uno spiccato odore e
sapore pungente molto sgradevoli.

Il BISOLFITO è solo parzialmente efficace nella stabilizzazione microbica mentre mantiene pressoché
inalterata l’attività antiossidante e antiossidasica. Non ha odore ed è caratterizzato da gusto amaro.

Infine, il BISOLFITO LEGATO come tale è molto poco efficace e NON conferisce particolari odori e sapori al
prodotto.

QUINDI ABBIAMO VISTO CHE:

una parte dell’SO2 aggiunta si combina sempre con le altre sostanze presenti nel mosto e nel vino e che
le forme legate dell’SO2 sono sempre meno efficaci rispetto a quelle libere.

Il contenuto di SO2 libera cambia in tutte le condizioni che favoriscono l’ossidazione, quindi travasi,
filtrazione, conservazione, imbottigliamento. Il dosaggio dell’SO2 è quindi molto importante perché
consente di ripristinare la quantità necessaria ad una corretta protezione del vino.

DOSAGGIO DELL’SO2: METODI PER DETERMINARE LA QUANTITA’ DI SO2

Ne esistono diversi, noi ne prenderemo in considerazione solo due.


STRIPPAGGIO: l’SO2 viene estratta mediante un flusso di aria che viene fatta gorgogliare nella
1) STRIPPAGIO E TITOLAZIONE
matrice
Nel primo caso, per il dosaggio del contenuto di SO2, il vino viene sottoposto ad una estrazione sotto un
flusso di aria (processo che definiamo STRIPPAGGIO). L’SO2 così recuperata viene raccolta in un pallone che
contiene una soluzione di acqua ossigenata H2O2 (preventivamente neutralizzata), la quale in presenza di
SO2 dà origine ad acido solforico H2SO4. La quantità formata di acido solforico viene considerata
equivalente all’SO2 recuperata e viene determinata mediante una titolazione acido-base con NaOH.

Se lo strippaggio viene effettuato direttamente sul vino (STRIPPAGGIO DIRETTO) si riesce a recuperare (e
quindi a determinare) SOLO l’SO2 molecolare. Invece, se al vino si aggiunge a freddo un acido forte
(STRIPPAGGIO in ambiente ACIDO A FREDDO), lo strippaggio consente di recuperare le forme libere e
dunque SO2 molecolare e bisolfito libero. Da questa frazione è possibile desumere mediante apposite
tabelle il contenuto della sola SO2 molecolare presente nel vino noto il pH, il contenuto di etanolo e la T°
del campione.

Invece, possiamo decidere di eseguire una rottura a caldo sempre in ambiente acido dei legami con le altre
specie presenti nel vino, per recuperare con lo strippaggio (STRIPPAGGIO ACIDO A CALDO) anche la
porzione legata, cioè l’SO2 combinata.

Dunque, con lo STRIPPAGGIO ACIDO A CALDO si determina l’SO2 totale mentre con lo STRIPPAGGIO
ACIDO A FREDDO si recupera l’SO2 libera quindi l’SO2 molecolare e i bisolfiti liberi.

La porzione di SO2 legata-combinata sarà calcolata come differenza fra quella totale e quella libera.
SO2 COMBINATA = SO2 TOTALE – SO2 LIBERA
2) METODO RIPPER (IODIO)

Un’altra possibilità per la determinazione dell’SO2 è basata sul metodo RIPPER. Questo metodo prevede la
titolazione del vino con IODIO in presenza di salda d’amido e si basa sulla riduzione dello IODIO
MOLECOLARE I2 da parte dell’SO2. Via via che lo iodio viene aggiunto viene ridotto dall’SO2 e quando tutta
l’SO2 è stata consumata la prima goccia di titolante provoca il viraggio al bruno della salda d’amido.

Se la titolazione viene effettuata direttamente sul vino si determina SOLO l’SO2 molecolare; invece se si
procede prima ad una idrolisi basica a caldo si libereranno tutte le forme combinate e quindi si determinerà
l’SO2 TOTALE.

I COMPOSTI FENOLICI DEL VINO

I composti fenolici del vino sono determinanti per le proprietà sensoriali del prodotto. Definiscono infatti il
colore, il gusto AMARO, la sensazione tattile di ASTRINGENZA (per definire questa sensazione che induce
secchezza e rugosità del cavo orale e che concorre a definire il corpo e la persistenza del vino si usa la
parola “allappante”).

Dal p.d.v chimico la forma più semplice è il FENOLO, un derivato dal benzene che porta un gruppo ossidrile
direttamente legato all’anello.

Nel vino a seguito di naturali fenomeni di ossidazione mediati dall’O hanno origine i CHINONI, questi sono
composti che possono facilmente reagire con altri fenoli e con altri componenti del vino attraverso reazioni
di ossidoriduzione molto disparate che accompagnano tutta la vita del prodotto e ne modulano la stabilità
e le proprietà sensoriali. Per esempio le reazioni di condensazione dei tannini (altre molecole fenoliche di
struttura più complessa) mediate dai chinoni influiscono profondamente sul potenziale astringente di
queste molecole e anche sul gusto amaro indotto da fenoli a basso p.m.

Altre rx dei chinoni con i componenti del mezzo sono per es. quelle con gli aa e con componenti dell’aroma
varietale e concorrono a definire
l’aroma del vino.

Infine, l’acqua ossigenata che deriva


dall’ossidazione del fenolo a chinone
può a sua volta ossidare l’etanolo ad
acetaldeide, la quale oltre ad essere un
composto reattivo è anche
responsabile dell’aroma ossidato
definito come “mela tagliata”.

La CLASSIFICAZIONE DEI FENOLI nel


vino è MOLTO complessa. Qui di
seguito richiameremo SOLO le classi
principali:

 La classe dei NON FLAVONOIDI: è costituita da molecole di struttura semplice con unico anello.
Appartengono a questa classe gli ACIDI FENOLICI e fra questi ricordiamo:
 Gli acidi IDROSSIBENZOICI (come l’acido gallico, che è presente sottoforma di dimero a dare l’acido
ellagico ma anche in una forma polimerica a dare i cosiddetti tannini idrolizzabili); questa famiglia di
acidi è rilasciata anche dal legno delle botti con composti che sono responsabili dell’aroma peculiare
dei vini invecchiati nel legno (per es. l’acido vanillico e omologhi responsabili di aromi definiti come
tostato e vaniglia)
 Gli acidi CINNAMICI (acido cinnamico, cumarico, caffeico) che per ossidazione possono dare
facilmente origine a composti volatili dall’odore sgradevole

*Gli acidi fenolici NON hanno odore (ma possono essere precursori di composti fenolici volatili responsabili
di note sgradevoli) e NON sono colorati ma se vanno incontro a ossidazione danno origine a derivati di
colore giallo. Normalmente nel
vino sono presenti in gran parte
come esteri dell’acido tartarico.

Alla classe dei NON


FLAVONOIDI appartengono
anche gli STILBENI (in cui
troviamo 2 anelli benzenici) tra
i quali ricordiamo il resveratrolo
per la sua elevatissima attività
antiossidante ma data la sua
elevata reattività normalmente
nel vino è presente solo in
tracce.

 La classe dei FLAVONOIDI: a questa classe appartengono fenoli di natura più complessa. La loro
struttura chimica di base è rappresentata da due anelli fenolici con un eterociclo ossigenato. I diversi
flavonoidi si differenziano fra loro soprattutto in base alla struttura dell’eterociclo. Ai flavonoidi
appartengono:
 I FLAVONI (come per es. la quercetina e la miricetina)
 I FLAVONOLI (come per es. la di-diroquercetina)
 Le ANTOCIANINE: sono caratterizzate da uno zucchero in posizione 3 sull’eterociclo (la forma non
glicosilata è definita antocianidina); possono essere presenti anche delle forme acidate per esempio
con acidi fenolici portati dallo zucchero. Nel vino rivestono una grandissima importanza per la
definizione del colore rosso. Sono estratte dalla buccia dove normalmente sono racchiuse in
strutture vacuolari che le proteggono dai fenomeni di ossidazione. Infatti le antocianine sono
molecole molto reattive e la loro [ ] in forma libera dopo l’estrazione dall’uva nel mosto cambia
molto velocemente a seguito di fenomeni di strutturazione all’interno di polimeri più complessi
sempre a base fenolica, inoltre possono essere perse a causa di fenomeni di ossidazione che
portano all’alterazione della struttura molecolare delle antocianine e alla perdita di colore oppure
possono essere perse durante la stabilizzazione del vino perché vengono intrappolate e precipitano
con i colloidi instabili. Il colore delle antocianine dipende fortemente dalle condizioni del mezzo: in
particolare dal pH e dalla presenza di SO2.
**APPROFONDIMENTO: LE ANTOCIANINE

ANTOCIANI: sono i composti colorati estratti nel


mosto dalla buccia delle uve rosse.

Sono diversi in funzione: dei sostituenti


sull’anello fenolico B, dei gruppi ACILICI portati
dalla funzione glucidica.

I nomi derivano spesso dal loro colore (es.


malvidina, cianidina..) e dalle fonti dalle quali
sono stati isolati per la prima volta, spesso si
tratta di petali di fiore.

In generale coprono uno spettro di colore che va


dal rosso-arancio fino al blu-viola.

Il colore che sono in grado di imprimere al vino


dipende da molti fattoriFATTORI CHE INFLUENZANO L’INTENSITA’ DEL COLORE E LA STABILITA’ DELLE
ANTOCIANINE NEL VINO ROSSO:

− concentrazione (che è positivamente correlata all’intensità di colore)


− livello di SO2 e la presenza di O2: sono soggetti a reazioni di ossidazione soprattutto da parte dell’SO2 o
di altri agenti ossidanti che sono in grado di modificarne la struttura rendendoli incolori
− Reazioni chimiche con altri composti: come il resto dei composti fenolici sono facilmente soggetti a
interazioni con altri componenti del mezzo e danno origine a forme più strutturate che possono
rimanere colorate ed essere molto più resistenti nei confronti degli agenti ossidanti
− pH del mezzo, influenza la forma dei sostituenti e determina il colore di queste molecole

RUOLO DEL pH: Il pH svolge un ruolo molto importante nel determinare il COLORE di queste molecole. In
generale possiamo dire che il colore si modifica da rosso vivo in condizioni molto acide fino a blu-viola in
condizioni di neutralità, per diventare incolore e giallo quando il pH del mezzo è basico. A pH molto acido,
inferiore a 3, la forma prevalente è quella cationica, detta del catione FLAVILIO rosso vivo. Nel range di pH
del vino si crea un equilibrio fra 2 forme, una a seguito di una reazione di deidratazione che è quella del
CATIONE FLAVILIO che per deprotonazione da origine alla BASE CHINOIDALE di colore blu-viola e che per
idratazione da origine alla PSEUDOBASE CARBINOLO (B+) che è incolore, rappresenta la forma più
abbondante ed’è in equilibrio con una forma giallo pallido che viene definita CALCONE (C).
Questo diagramma riporta le diverse proporzioni delle diverse forme degli antociani in funzione del pH del
mezzo. Al pH del vino posto circa pari a 3 solo il 20-30% degli antociani è presente nella forma colorata in
rosso, dunque come catione FLAVILIO, che nel diagramma è indicata dalla sigla H+. Più del 60% è presente
come base carbinolo incolore indicata nella figura con B. La restante %, molto piccola è rappresentata dalla
base chinoidale dal colore blu-viola indicata con A e dal
calcole giallo indicato con C.

Si può notare come piccoli scostamenti di pH verso valori


superiori a 3.5 porteranno a un deciso scoloramento degli
antociani con il prevalere della pseudobase carbinolo.

Dunque gli antociani possono esser considerati veri e


propri INDICATORI di pH poiché il loro spettro di
assorbanza nel visibile si modifica profondamente a
seguito delle modificazioni sulla struttura della molecola.
Questo è un fenomeno che NON RIGUARDA solo il vino
ma moltissime altre matrici vegetali colorate (es. se tagli
sotto l’acqua un cavolo rosso noteremo che l’acqua
diventerà blu-viola al passaggio degli antociani dal mezzo
cellulare leggermente acido a quello neutro dell’acqua).

 I FLAVAN-3-OLI: i più comuni sono la catechina e l’epicatechina e la loro importanza risiede


principalmente nel fatto di essere i monomeri di base dei TANNINI CONDENSATI.

I TANNINI diversamente dal principio che si è utilizzato fin ora per classificare i fenoli utilizzando la loro
struttura chimica sono definiti invece come classe su base funzionale, cioè si definiscono TANNINI i
polimeri a base fenolica in grado di indurre la precipitazione delle proteine, infatti questi polimeri sono in
grado di formare aggregati di grandi dimensioni con le proteine a dare appunto degli aggregati
macromolecolari insolubili. Questo fenomeno è alla base del potenziale astringente dei tannini, infatti i
tannini sono in grado di reagire con le proteine salivari responsabili della lubrificazione del cavo orale, ne
provocano la precipitazione causando così la perdita di lubrificazione delle superfici del cavo orale e
dunque la percezione della sensazione di astringenza. Inoltre secondo lo stesso principio facilitano
l’insolubilizzazione dei colloidi del vino e ne provocano la precipitazione durante la chiarifica. Infine,
reagendo anche con proteine ad attività enzimatica sono in grado di inibirne l’attività.

I TANNINI CONDENSATI presentano un enorme diversità strutturale e un grado di polimerizzazione molto


variabile, si parla di PROCIANIDINE per definire dimeri e trimeri mentre si parla di veri e propri TANNINI
CONDENSATI quando il grado di polimerizzazione è superiore a 10.

La struttura chimica è molto variabile in funzione: del numero e della posizione degli OH, della
stereochimica dei carboni asimmetrici e del tipo di legame fra le diverse unità.

In funzione della struttura chimica presenteranno un potere più o meno spiccato di precipitazione delle
proteine e quindi anche un diverso potenziale astringente. Le forme a grado di polimerizzazione molto
basso sono caratterizzate dal gusto amaro.

Ai tannini appartiene anche un’altra classe di polimeri che però è a base di acido gallico e acido ellagico, tali
polimeri sono definiti TANNINI IDROLIZZABILI e sono di natura esogena (cioè non derivano dall’uva ma
piuttosto dal legno delle botti oppure da preparati commerciali appositamente aggiunti durante la
vinificazione per conferire note aromatiche particolari). Inoltre, poiché questi fenoli hanno un elevato
potere antiossidante, sono sfruttati per proteggere le molecole più sensibili del vino dai fenomeni ossidativi
e dunque svolgono anche un ruolo di stabilizzazzanti del colore.

DOSAGGIO DEI FENOLI TOTALI

Dosare il tenore fenolico di un vino oppure di un mosto è estremamente importante visto il ruolo
determinante che queste molecole hanno nel definire le proprietà del vino.

E’ possibile risalire al tenore fenolico 1) determinando l’assorbanza a 280nm di un campione di vino


appositamente diluito. Questo viene definito come INDICE DI POLIFENOLI TOTALI.

*Sappiamo che l’assorbanza a 280nm è ASPECIFICA e nel vino però si assume che siano i fenoli i composti
principalmente responsabili dell’assorbanza a questa lunghezza d’onda.

2) Il metodo di scelta per determinare i fenoli nel vino ma in qualunque altra matrice alimentare è il
METODO CON IL REATTIVO DI FOLIN CIOCALTEUPRINCIPIO: è basato su una reazione di ossidoriduzione
che porta allo sviluppo di un intenso colore blu nel reagente quando viene ridotto dai fenoli del mezzo. Nel
vino però possono essere presenti degli interferenti, quindi altre sostanze in grado di partecipare a questa
reazione di ossidoriduzione e dunque indurre lo sviluppo di colore NON dovuto alla presenza dei fenoli. In
particolare sono interferenti: gli zuccheri riducenti (molto abbondanti nel mosto, acido ascorbico e SO2).
Per questo motivo è necessario allontanare queste sostanze dal vino o dal mosto prima di effettuare il
dosaggio; a questo scopo il vino diluito in acido viene caricato su una colonnina contenente una resina in
grado di legare i fenoli mentre gli interferenti possono essere facilmente allontanati mediante eluizione con
acido solforico diluito. Una volta che gli interferenti sono stati allontanati, i fenoli vengono eluiti a loro volta
in maniera specifica con una soluzione contenente metanolo; i fenoli vengono a questo punto fatti reagire
con il colorante in ambiente basico per circa 90minuti e successivamente viene determinata l’assorbanza a
760nm. RISULTATO: viene espresso come gr di fenolo per L di vino (per ottenerlo è necessario realizzare
una retta di taratura utilizzando un fenolo di riferimento che può essere l’acido gallico oppure la catechina).
DOVE TROVO I COMPOSTI FENOLICI? I composti fenolici sono presenti in diverse parti dell’acino d’uva, la
BUCCIA in particolare abbiamo detto che contiene gli ANTOCIANI in strutture cellulari fortemente
compartimentate ma anche una certa quantità di flavonoidi, in particolare TANNINI e PROCIANIDINE.
Un’altra porzione ricca in particolare di tannini è rappresentata dai vinaccioli, i semi dell’uva.

INFLUENZA DELLA MATURAZIONE NEI CONFRONTI DEI COMPOSTI FENOLICI: i composti fenolici cambiano
molto durante la maturazione dell’acino, in particolare la [antociani] aumenta a partire dall’invaiatura
(quando l’uva cambia colore) e prosegue per tutta la maturazione attestandosi ad una [ ] stabile quando
l’uva è perfettamente matura. Anche la struttura dei fenoli cambia: in particolare le procianidine e i tannini
tendono ad organizzarsi in strutture più complesse con un grado di polimerizzazione più elevato.

Il punto chiave è la possibilità di estrarre al meglio i composti fenolici dall’uva durante la maturazione.

Le strutture cellulari dell’acino rappresentano una barriera diffusionale all’estrazione dei composti fenolici.
Durante i processi di maturazione, le strutture più resistenti della parete cellulare e della lamella mediana
vanno naturalmente incontro a un processo di destrutturazione.. i tessuti diventano più morbidi e la loro
coerenza diminuisce grazie all’azione degli enzimi endogeni. Dunque l’estrazione dei fenoli sarà molto più
facile in un uva perfettamente matura che in un uva ancora acerba dove la compattezza delle strutture
cellulari rappresenterà un significativo ostacolo all’estrazione dei fenoli.

Anche i vinaccioli cambiano durante la maturazione: in particolare lignificano e diventano meno propensi a
rilasciare il loro contenuto di tannini nel mezzo. Questo è un fatto importante poiché i tannini dei vinaccioli
sono particolarmente reattivi, hanno un elevato potenziale astringente e dunque la possibilità di limitarne
l’estrazione è un fattore importante per le proprietà finali del prodotto.

INDICI DI MATURITA’ FENOLICA

Si sono sviluppati e godono di un certo successo perché consentono di individuare il momento migliore per
effettuare la vendemmia, tenendo conto non solo del tenore di zuccheri e acidi (come abbiamo visto nella
maturità tecnica) ma anche della quantità di fenoli che sono presenti nell’uva e soprattutto della possibilità
di estrarli nel mosto.

Parametri che influenzano il rilascio di fenoli nel mezzo: concentrazione, struttura e coesione delle pareti
cellulari.

L’INDICE DI ESTRAIBILITA’ DEI FENOLI si determina sottoponendo un campione d’uva, diviso in due aliquote,
a due estrazioni su piccolissima scala. Un’estrazione viene condotta pigiando l’uva e lasciandola macerare al
suo pH naturale (quindi prossimo a 3.2). L’altra aliquota viene invece macerata a pH molto basso, vicino a 1,
condizione questa che minimizza le barriere diffusionali del tessuto vegetale. Dopo l’estrazione si
determina il contenuto di ANTOCIANI su entrambe le aliquote supponendo che la quantità estratta a pH 1
rappresenti tutti gli antociani presenti nell’uva e invece quelli estratti a pH 3.2 siano la frazione di antociani
che verrà effettivamente estratta in condizioni reali di macerazione.

Se i due valori sono prossimi, significa che l’uva è MATURA, ed’è in grado di rilasciare nel mezzo la maggior
parte degli antociani presenti nel tessuto.

L’indice viene espresso in % come rapporto fra: la differenza fra il totale estraibile a pH 1 e quello estratto a
pH 3.2, fratto la quantità totale estratta.

+ questo rapporto sarà basso > sarà la tendenza al rilascioe dunque l’uva può essere considerata
matura dal p.d.v fenolico!

LA COPIGMENTAZIONE DELLE ANTOCIANINE ED IL SUO RUOLO NEL COLORE DEL VINO ROSSO

La COPIGMENTAZIONE: ANTOCIANI + COFATTORI = COMPLESSI INSTABILI

− E’ un fenomeno che avviene in soluzione e che coinvolge la reazione degli antociani con altre molecole-
componenti organici o inorganici del mezzo che possono essere colorate/i o meno che vengono
definite/i COFATTORI
− Dà origine ad associazioni molecolari (complessi) instabili. Nel vino oltre il 50% degli antociani liberi
sono presenti sottoforma di co-pigmenti. La stabilità dei co-pigmenti dipende: dalla composizione del
mezzo e dalla [ ] relativa dei reagenti
− Influenza profondamente il colore del vino poiché le associazioni molecolari antociani-cofattori
presentano un colore diverso da quello dei reagenti di partenza..si parla di effetto IPERCROMICO
quando l’intensità di colore del co-pigmento è superiore a quella dell’antociano libero di partenza e/o
di effetto BATOCROMICO quando lo spettro si modifica con uno spostamento del picco di
assorbanza verso lunghezze d’onda più alte.

I cofattori e lo ione FLAVILIO sono tenuti insieme da interazioni elettrostatiche, queste impediscono
l’idratazione e dunque la formazione della pseudo base carbinolo incolore.. Dunque l’intensità di colore del
vino in presenza di cofattori aumenta. L’aumento di colore dipende: oltre che dalle condizioni del mezzo
(come la [etanolo], la T° e il pH) anche dalla natura e dalla [ ] dei reagenti, sia antociani che cofattori.

I COFATTORI spesso sono molecole di natura fenolica come per es. i flavan-3-oli e gli acidi fenolici; Anche le
antocianine stesse possono associarsi fra di loro a dare co-pigmenti. Altri cofattori NON di natura fenolica
possono essere per es. gli amminoacidi.

Una data coppia antociano-cofattore dà un colore del co-pigmento che dipende: dalla [reagenti], dal loro
rapporto molare e dalla loro affinità relativa oltre come si diceva dalla composizione del mezzo in termini di
[etanolo] e di pH.
Quindi questo fenomeno è responsabile della variazione di colore di vini con composizione di antociani e
cofattori diversi ed influenza profondamente l’evoluzione del colore del vino durante la maturazione e
l’invecchiamento.

La copigmentazione e i suoi effetti sul colore sono stati molto studiati in soluzioni modello mettendo a
reagire in condizioni standard un antociano e un cofattore e osservando le variazioni dello spettro del
relativo co-pigmento. Ad es. dalla reazione della cianidina in rapporto 3:1 con un dato cofattore a pH 3.5
risulta un effetto ipercromico quindi un aumento di Abs del 65% quando il cofattore è un acido fenolico;
quando invece il cofattore è un flavone (come può essere la quercetina), oltre a un effetto ipercromico del
200% si osserva anche uno shift batocromico di circa 20nm; nel caso della vitexina (un altro flavone)
l’effetto ipercromico arriva al 350% ed’è sempre accompagnato da uno shift batocromico di circa 20nm.

Gli antociani all’interno del co-pigmento sono protetti da reazioni di degradazione che porterebbero alla
perdita di colore della molecola quindi i co-pigmenti rappresentano una specie di “scorta” di antociani che
vengono gradualmente rilasciati nel vino durante la maturazione dove possono andare incontro a ulteriori
reazioni di associazione con molecole fenoliche a dare questa volta pigmenti associati stabilmente.

Il grafico qui sotto riporta un esempio delle conseguenze della copigmentazione antociani+procianidine sul
colore del vino durante la sua maturazione. In particolare mostra l’evoluzione della [antociani liberi] dopo 1
mese nelle barre viola chiaro e dopo 8 mesi nelle barre viola scuro nella maturazione di un vino che era
stato aggiunto di [ ] crescenti di procianidine.

Si osserva che dopo 1 mese la


[antociani liberi] nel mezzo
diminuisce linearmente con la
[procianidine] a indicare che > era
la [COFATTORE] > è la formazione
di complessi antociano-cofattore.

Quando la stessa determinazione


viene effettuata dopo 8 mesi quindi
seguendo l’andamento delle barre
viola scuro, in tutti i campioni la
[antociani] è molto bassa
indipendentemente dalla
[procianidine] aggiunte; se però
seguiamo l’andamento
dell’assorbanza a 520nm dopo 8
mesi guardando alla linea continua
in rosso si osserva che l’intensità di
colore è > nei campioni di vino che i valori di assorbanza relativi ai campioni che erano stati aggiunti con 1.5 o 2.0 gr/Lt di procianidine.
erano stati aggiunti con la [ ] + alta Questo indica che nei campioni a [ ] > di procianidine gli antociani sono stati PROTETTI dalle reazioni di
di procianidine…. guardiamo per es. degradazione perché erano complessati all’interno dei co-pigmenti antociani-procianidine e questo ha
permesso di ottenere al termine della maturazione un vino +colorato rispetto al colore che si osserva
nei vini nei quali la copigmentazione era stata molto + ridotta poiché la [ ] del cofattore era troppo
bassa.
EVOLUZIONE DELLE ANTOCIANINE DURANTE LA MATURAZIONE ED INVECCHIAMENTO DEL VINO

La [antocianine libere] diminuisce molto velocemente come abbiamo visto dal grafico precedente però
questo non comporta una modificazione altrettanto importante e significativa di intensità e tonalità del
colore.

Gli antociani liberi infatti reagiscono con altri composti fenolici del vino (reazioni di condensazione diretta,
o mediata da aldeidi, reazioni con composti a basso p.m come acido piruvico e acidi fenolici..) e danno
origine a pigmenti stabili molto più resistenti agli agenti che possono indurre perdite di colore. Le
conseguenze sul colore di queste reazioni sono state studiate in soluzioni modello nelle quali è stata
catalizzata la formazione di complessi stabili fra antociani e altri complessi fenolici e quindi sono state
osservate le conseguenze sullo spettro di assorbimento di questi complessi. Vediamo le conseguenze di
queste reazioni sulle proprietà delle antocianine e i vantaggi che gli derivano.

1) Il ruolo dei sostituenti

CONDENSAZIONE ANTOCIANINA-
FLAVANOLO

Possiamo osservare le modificazioni


dello spettro di un complesso
formato da malvidina e un flavan-3-
olo che presenta diversi sostituenti
in R.

Si osserva che, la malvidina da sola


presenta un Intensità di assorbanza
nel rosso > rispetto a quella dei
relativi complessi.

La condensazione con il flavan-3-olo provoca uno shift batocromico di circa 15nm con una modificazione
del colore dal rosso vivo al rosso-viola.

Vediamo che la natura dei sostituenti influenza l’INTENSITA’ del colore dei
relativi complessi!

2) Resistenza ai cambi di Ph (>resis a scoloramento indotto da innalz di pH)

I complessi antociano-flavan-3-olo risultano molto +resistenti alle


modificazioni di colore indotte da variazioni di pH. Infatti l’antociano libero
nel grafico sopra mostra importanti diminuzioni di colore in un intervallo di
pH compreso fra 2.2 e 4.6 che sono dovute allo spostamento degli equilibri
negli antociani liberi dalla forma del catione FLAVILIO verso la pseudo base
carbinolo incolore.

Questo invece non si verifica quando l’antociano è stabilmente legato a un


flavan-3-olo. Lo spettro visibile di questi complessi si modifica molto meno in
funzione del pH e si osserva una contenuta diminuzione dell’intensità di colore
accompagnata da uno shift batocromico più evidente ai valori di pH più alti.
3) Resistenza all’azione ossidante dell’SO2

Gli antociani liberi sono soggetti all’azione ossidante dell’SO2 che legandosi alla molecola di antociano ne
provoca la perdita di colore.

Quando l’antociano è legato in un


complesso con la catechina risulta molto
più stabile nei confronti dell’azione
ossidante dell’SO2. Il grafico a sinistra
mostra la decisa perdita di colore della
malvidina in presenza di [ ] crescenti di
SO2; invece il grafico a destra mostra
che l’SO2 a [ ] crescenti provoca solo
una contenuta diminuzione del colore
del complesso antociano-catechina.

DOSAGGIO-STIMA DEL
CONTENUTO DEGLI
ANTOCIANI LIBERI1) METODO DELLO SBIANCAMENTO CON SO2

La stabilità dei complessi antociano-fenoli nei confronti dell’SO2 è sfruttata nella determinazione del
contenuto di antociani liberi e degli antociani legati utilizzando un metodo che viene detto “dello
SBIANCAMENTO CON SO2”. Quindi:

− PRINCIPIO: si basa sulla stabilità dei complessi antociano-fenoli nei confronti dell’SO2; in particolare si
basa sulla suscettibilità degli antociani liberi all’azione sbiancante dell’SO2.
− MATERIALI E REAGENTI: Spettrofotometro, provette da 10ml, cuvette, Na2S2O5 30%, Hcl 0.1% in
EtOH, HCl 2%
− PROCEDIMENTO: per effettuare questa determinazione il vino viene prima diluito in un mezzo acido (a
0.5ml di campione di vino viene agg 0.5ml di EtOH acido e 10ml di HCl), questo sposta l’equilibrio degli
antociani liberi verso la forma cationica colorata in rosso. Il campione (cioè la soluzione ottenuta) viene
diviso in 2 aliquote da 1.6ml: alla prima viene aggiunta 0.6 ml acqua e viene determinata l’Abs a 520nm
(questo valore corrisponde agli antociani totali Atot presenti nel campione), alla seconda aliquota
invece viene aggiunta 0.6ml SO2 (che si lega e scolora gli antociani liberi presenti nel mezzo) e viene
determinata l’Abs a 520nm (che in questo caso corrisponde al contenuto di antociani legati-resistenti
Ar che appunto sottoforma di complessi stabili NON hanno risentito dell’azione ossidante dell’SO2).

− RISULTATO: la quantità di antociani liberi si calcola come differenza fra gli antociani totali e quelli
resistenti. Quindi si sottrae dal valore di Abs della 1 aliquota Atot quello della 2 aliquota Ar, ma il
risultato si esprime in mg (o gr) di antociani liberi/Lt (o ml) di campione! Quindi come si fa a
trasformare l’Abs in un valore di concentrazione?

Possiamo seguire 2 diverse procedure: o si va a costruire ed utilizzare una retta di taratura ottenuta con
un antociano standard (procedura + sicura, sempre applicabile) oppure si moltiplica il valore di Abs
calcolato per gli antociani liberi per 875 che è un fattore di conversione fisso (ma attenzione! questa
procedura è corretta solo se si rispettano rigorosamente tutti i fattori di diluizione dettagliati nella
procedura).
2) STIMA DEL CONTENUTO DI ANTOCIANI LIBERI MEDIANTE SEPARAZIONE SU Sep-PackC18

In alternativa, gli antociani liberi possono essere estratti dal vino in maniera selettiva utilizzando una
colonnina con una resina C18. Quindi:

PRINCIPIO: assorbimento ed eluizione selettiva degli antociani liberi sulla resina C18.

PROCEDIMENTO: In questo caso, il vino viene diluito con un acido e caricato sulla colonnina.. i fenoli sono
trattenuti sulla resina mentre gli interferenti possono essere eliminati per eluizione con un acido diluito.
Successivamente si procede a una seconda eluizione selettiva con una miscela acido solforico-acetonitrile
che è in grado di eluire in maniera selettiva rispetto agli altri fenoli solo gli antociani liberi. A questo punto
viene determinata l’assorbanza a 520nm della frazione eluita e la [ ] di antociani liberi può essere calcolata
facendo ricorso ai valori di una retta di taratura con un antociano standard.

3) STIMA DEL CONTRIBUTO DELLE DIVERSE FORME COLORATE

Una terza possibilità per stimare le varie forme libere e strutturate degli antociani consiste nella
determinazione dell’assorbanza su 3 aliquote di vino diversamente
trattate.

PRINCIPIO: diversa risposta delle diverse forme colorate al variare


delle condizioni del mezzo

PROCEDIMENTO:

− Nella prima aliquota di vino viene aggiunta Acetaldeide che catalizza la formazione di complessi stabili
fra gli antociani residui e gli altri composti fenolici e allo stesso tempo stabilizza i copigmenti. La
determinazione dell’assorbanza a 520nm in quest’aliquota corrisponde al contenuto totale dato da
antociani liberi, copigmenti e forme complessate polimeriche.
− La seconda aliquota invece viene diluita, questo provoca la dissociazione dei co-pigmenti e il
conseguente cambio di colore dovuto al ritorno degli antociani nella loro forma libera originale.
L’assorbanza misurata di questa frazione a 520nm quindi è dovuta a tutti gli antociani liberi (compresi
quelli inizialmente associati ai cofattori) e a quelli stabilmente complessati, quindi permette di avere un
idea del contributo al colore del vino imputabile ai copigmenti.
− Infine, alla terza aliquota si aggiunge SO2, l’assorbanza residua in questo caso è solo quella degli
antociani in forma stabilmente condesata.
LA DETERMINAZIONE DEL COLORE

Quando si vuole descrivere il colore di un vino in termini di assorbanza nel visibile è possibile determinare
la sua assorbanza a lunghezze d’onda specifiche.

Il campione di vino da analizzare però NON PUO’ essere diluito poiché questo provocherebbe la
dissociazione dei co-pigmenti quindi la perdita dei complessi instabili e dunque un cambio di colore. D’altro
canto non può essere eletto direttamente poiché la [ ] dei composti colorati è molto superiore alla
sensibilità dello spettrofotometro. Per ovviare a questa limitazione si utilizzano cuvette particolari dal
cammino ottico molto ridotto rispetto a quelle standard, infatti mentre quelle standard hanno un cammino
ottico di 1cm, quelle per la determinazione del colore del vino hanno un cammino ottico pari a 1mm.
Questo accorgimento permette di leggere direttamente il campione nello spettrofotometro senza diluire
riportando i valori di assorbanza a range di sensibilità dello strumento.

Le lunghezze d’onda che si considerano sono: 420nm nel giallo-arancio, 520nm nel rosso e 620nm nel blu-
viola.

L’intensità totale è calcolata come somma delle assorbanze alle tre lunghezze d’onda.

La tonalità, intesa come tendenza all’arancio, viene calcolata dal rapporto fra l’assorbanza a 420 e
l’assorbanza a 520.

Infine si può stimare il contributo % di ciascuna


assorbanza all’intensità totale osservata.

IDENTIFICAZIONE DEI COMPOSTI COLORATI MEDIANTE HPLC

Le tecniche cromatografiche possono essere di grande importanza per caratterizzare il patrimonio fenolico
di un vino o di un uva con riferimento particolare agli antociani. In genere, a tale scopo si utilizzano
separazioni mediante HPLC e i risultati di queste analisi consentono:

− Di seguire la modificazione del patrimonio di fenoli colorati nell’uva durante la maturazione oppure nel
vino durante la vinificazione o l’invecchiamento
− Di determinare il profilo dei composti colorati in
una data materia prima o prodotto
− Di valutare l’effetto di interventi sulle condizioni
di processo sul profilo fenolico
− Di studiare le relazioni fra la struttura e il colore

Questa diapositiva riporta a titolo di esempio i


cromatogrammi di confronto del profilo fenolico di
antociani provenienti da diverse varietà di uva.
Modificazione del profilo del vino con l’invecchiamento

Questa diapositiva riporta l’evoluzione della strutturazione degli antociani durante la maturazione
del vino. A sinistra abbiamo i cromatogrammi relativi a un vino giovane e a destra i
cromatogrammi relativi allo stesso vino dopo l’invecchiamento.

I cromatogrammi riportati in ALTO sono stati ottenuti mediante l’uso di un rivelatore a 520nm
mentre i cromatogrammi riportati in basso sono stati ottenuti utilizzando un rivelatore a 280nm.

Possiamo seguire la diminuzione durante la maturazione del vino della [antociani liberi]
confrontando il picco nel riquadro rosso nel vino giovane a sinistra e nel vino invecchiato a destra
che è accompagnata dall’aumento di composti colorati con un tempo di ritenzione > di quello degli
antociani liberi che si possono osservare nel riquadro in arancio. Questo picco, che aumenta con
l’invecchiamento corrisponde alla formazione di composti polimerici colorati fra antociani e altri
fenoli durante appunto la maturazione del vino come testimonia anche l’aumento dell’area del
picco nei cromatogrammi sottostanti rilevata con il rilevatore a 280nm.

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