Sei sulla pagina 1di 2

SEMINARIO DI DIRITTO PRIVATO

SENTENZA n.21726 del 27/08/2021


1. PARTE IN FATTO
La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21.726 depositata il 27 agosto 2019, si è pronunciata
sulla questione sottesa alla richiesta di restituzione di un immobile, ceduto mediante un contratto di
compravendita concluso verbalmente ed al quale le parti avevano poi dato esecuzione, senza però mai
stipularlo in via formale.

Accadde che nel marzo 2005 una società edile agiva in giudizio nei confronti di due coniugi per ottenerne la
condanna al rilascio di un appartamento che dichiarava occupassero senza titolo. I convenuti si costituivano in
giudizio sostenendo di aver acquistato l’appartamento dalla società attrice, cui avevano peraltro pagato il
prezzo e dalla quale erano stati immessi nel possesso del bene con consegna delle relative chiavi.
Inoltre, in via riconvenzionale, invocavano l’accertamento dell’intervenuto acquisto del bene in proprio favore
per usucapione.

Ø L’USUCAPIONE
L’art. 1158 c.c. disciplina in via generale l’istituto dell’usucapione prevedendo che la proprietà dei beni immobili
e gli altri diritti reali di godimento sui beni immobili si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni.
L’usucapione è, dunque, un modo di acquisto a titolo originario del diritto di proprietà e degli altri diritti reali che
si verifica per effetto del possesso continuo e ininterrotto per i periodi di tempo stabili dalla legge.
La dottrina individua tradizionalmente la ratio dell’istituto nella certezza del diritto: in altri termini, nel consentire
a colui che, a fronte dell’inerzia del titolare, ne gestisce economicamente i beni, di acquisire la loro proprietà, il
legislatore ha voluto convertire una situazione di mero fatto consolidatasi nel tempo in una situazione giuridica
piena e definitiva, che sia in quanto tale, certa stabile e, pertanto, opponibile erga omnes.
Il possesso utile ai fini dell’usucapione deve essere continuo, ininterrotto, pacifico, pubblico, e non equivoco.
Il legislatore chiarisce, però, che “Il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per
l’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata”, prevedendo, così, che il
possesso ad usucapionem debba essere tale da non ingenerare nei terzi il dubbio circa l’effettiva intenzione
dell’interessato.
Ad integrare il possesso utile all’usucapione è necessaria anche l’intenzione del possessore di comportarsi
come proprietario del bene e, dunque, quale titolare di quel diritto reale a cui corrisponde la concreta
attuazione del potere di fatto. Si tratta del c.d. animus possidendi, ovvero della componente soggettiva del
possesso intesa quale intenzione di esercitare sulla cosa una signoria corrispondente alla proprietà o ad altro
diritto reale. Ciò che rileva ai fini dell’usucapione, pertanto è la volontà di disporre del bene come se fosse
proprio.
L’accertamento dell’usucapione deve essere invocato dall’usucapiente e la sentenza è soggetta a trascrizione.
Dunque, il possesso connotato dai tali elementi, per il tempo previsto dalla legge in relazione alla diversa
tipologia del bene oggetto del possesso medesimo, determina l’acquisto a titolo originario del diritto di
proprietà o degli altri diritti reali.

Ø LA DETENZIONE
Per completare l’analisi relativa al possesso occorre analizzare l’istituto della detenzione per evidenziare le
differenze che intercorrono tra i due istituti.
Il principale carattere differenziale tra le due situazioni materiali di dominio è rappresentato dall’elemento
psicologico: il detentore esercita il potere di fatto sulla cosa in nome e per conto del possessore, senza
l’intento di esercitare un diritto reale proprio. Questi avrà, dunque, l’animus detinendi. Il detentore, quindi, non
ha affatto la volontà di esercitare poteri sulla res a nome proprio, poiché la sua relazione con il bene si fonda
sempre sulla titolarità di un diritto personale di godimento, nell’interesse proprio o altrui.
Tradizionalmente si distingue tra la detenzione non qualificata, se viene esercitata nell’interesse altrui o in
relazione all’adempimento di un obbligo verso terzi (si pensi, ad esempio, al depositario o al mandatario) e la
detenzione qualificata, se svolta nell’interesse proprio (come il conduttore o il comodatario); è detentore
qualificato, pertanto, il soggetto che detiene la cosa di cui ha conseguito il godimento in forza di un titolo
negoziale, nel proprio autonomo interesse.
Ne deriva che la detenzione, tanto qualificata, quanto non qualificata, è inidonea ai fini dell’usucapione e non
può in alcun modo determinare l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale sul bene.
Il legislatore ha previsto, comunque, che la detenzione possa evolversi in possesso solo quando il titolo della
detenzione viene ad essere mutato per fatto proveniente da un terzo o in forza di un’opposizione fatta dal
detentore contro il possessore. In altri termini, l’interversione del possesso deve estrinsecarsi in una
manifestazione esteriore dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il
potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio.

Il Tribunale di Bari respingeva la domanda principale dichiarando l’intervenuto acquisto da parte dei coniugi
per usucapione della proprietà dell’appartamento oggetto di causa e condannando la società attrice al
pagamento delle spese del giudizio.
La società ha interposto appello innanzi alla Corte d’Appello che ha confermato la decisione del primo giudice
osservando che il rapporto dei coniugi con l’immobile, risalente ad oltre trent’ anni prima, quando essi vi
avevano trasferito la residenza attivando a loro nome le utenze a servizio del bene, faceva desumere che i
coniugi avessero esercitato sull’immobile un possesso utile ai fini dell’usucapione.

La società ha proposto ricorso per la Cassazione della sentenza della Corte di Appello affidandolo a quattro
motivi con cui, in particolare, ha censurato la natura del rapporto tra i coniugi ed il bene come ricostruita nella
decisione impugnata, dal momento che l’immissione degli stessi nell’immobile in base pagamento del prezzo
di acquisto dell’appartamento era stata pattuita verbalmente tra le parti, facendo riferimento ad una fattispecie
di detenzione (rapporto di locazione) e non di possesso, dunque, una relazione di fatto con il bene non idonea
a consentire il maturare dell’usucapione (dal momento che non vi era stata alcuna interversione utile a mutarla
in possesso). La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso; vediamo in quali termini.

2. PARTE IN DIRITTO
La sentenza in commento muove dal presupposto che nel caso in questione ricorre un’ipotesi di
compravendita di bene immobile realizzata verbalmente e, quindi, nulla per difetto di forma scritta prevista
dalla legge come requisito imprescindibile. Per stessa ammissione dei coniugi questi avevano infatti
conseguito la materiale disponibilità dell’alloggio in esecuzione di un contratto di compravendita concluso
verbalmente tra le parti, cui le stesse avevano poi di fatto dato esecuzione ma che non avevano mai
formalizzato, decretandone così la nullità. Difatti, osserva la Corte, che l’accordo verbale non possa in alcun
modo sopperire al requisito della forma scritta prescritto a pena di nullità per la compravendita immobiliare.

La Corte di Cassazione richiama al riguardo il principio in tema di promessa di vendita con effetti anticipati,
secondo cui quando le parti convengono che un bene immobile sia consegnato prima della stipula del
contratto definitivo di compravendita non si assiste ad una anticipazione degli effetti traslativi del contratto ma
la disponibilità del bene da parte dell’acquirente si fonda su un contratto di comodato, funzionalmente collegato
alla compravendita e produttivo di meri effetti obbligatori.
Ne consegue che, pur immesso anticipatamente nella disponibilità del bene, il soggetto non ne è possessore
ma detentore qualificato. Per potersi configurare una situazione di possesso in capo al soggetto che acquisti
in base ad esso una relazione di fatto con la res non è sufficiente la materiale detenzione della stessa, ma
occorre un atto ulteriore di interversione, idoneo a manifestare all’esterno la volontà del predetto soggetto di
comportarsi come unico proprietario del bene. Tale atto è rappresentato dalla trascrizione del titolo nei registri
immobiliari oppure da un atto idoneo ad esprimere la volontà di realizzare una vera e propria inversione di
possesso.
Nel caso di specie i semplici elementi del trasferimento della residenza nell’immobile e dell’attivazione delle
relative utenze non possono costituire per la Corte Suprema idonei atti di interversione del possesso.

Sulla base di tali premesse, la Suprema Corte, in parziale accoglimento dei motivi di ricorso, rinvia la causa
alla Corte d’Appello di Bari affinchè proceda a valutare nuovamente il rapporto concretamente esistente tra le
parti al fine di determinare se, pur in presenza della evidente causa di nullità del contratto di compravendita tra
loro intercorso, possa configurarsi un possesso utile ad usucapionem e l’eventuale acquisto del diritto di
proprietà a tal titolo in capo ai cotroricorrenti.

Potrebbero piacerti anche