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di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne
STUDIO PER IMMAGINI DEL CUORE E DEI VASI
STUDIO PER IMMAGINI DEL CUORE
La metodica di immagine impiegata in prima istanza per lo studio del cuore è rappresentata
dall’ecocardiografia.
Comunque, informazioni relative alla morfologia cardiaca possono anche esser fornite da un:
Esame radiografico standard del torace
Viene eseguito in:
Ortostatismo
Apnea inspiratoria
2 proiezioni
Postero‐anteriore, con la parete anteriore del torace rivolta cioè In questo modo, si limita
verso la pellicola l’ingrandimento proiettivo o
geometrico del cuore, dipendente
Latero‐laterale sin, rivolgendo, cioè, verso la pellicola, il lato sin
dalla forma a cono del fascio di
del torace raggi x
L’ingrandimento proiettivo o geometrico del cuore viene contrastato anche posizionando il pz ad distanza
dal tubo radiogeno di 1,8 m. Ciò consente, infatti, di sfruttare solo le componenti centrali del fascio,
parallele tra loro e perpendicolari al piano dell’oggetto.
Il tempo di esposizione deve essere molto breve per ridurre gli artefatti dovuti al movimento cardiaco.
In entrambe le proiezioni si visualizza l’ombra cardiovascolare: radiopacità che cuore e grossi vasi
producono in funzione della radiotrasparenza polmonare
Nella proiezione PA, lungo il margine dx dell’ombra cardiovascolare si riconoscono 2 archi (superiore ed
inferiore); lungo il margine sin, se ne riconoscono 3 (superiore, medio ed inferiore):
Arco superiore dx è formato dal contorno laterale della vena cava superiore ed ha un decorso lineare
verticale
Arco inferiore dx viene delineato dal contorno esterno dell’atrio dx.
Ha un andamento curvilineo con convessità esterna.
In basso, incontra l’emidiaframma dx, con cui forma l’angolo cardio‐frenico di dx, che risulta acuto.
Arco superiore sin corrisponde al profilo all’arco aortico
È breve e convesso verso l’esterno.
Arco medio sin, poco convesso verso l’eterno, è costituito superiormente, dalla porzione prossimale
dell’arteria polmonare di sinistra; inferiormente, dal tratto di efflusso del ventricolo dx, in condizioni
fisiologiche, dall’auricola dell’atrio sin, in condizioni patologiche (stenosi mitralica)
Arco inferiore sin viene delineato dal contorno esterno del ventricolo sin.
Appare più o meno marcatamente obliquo e convesso verso l’esterno.
La punta del cuore viene generalmente mascherata dall’opacità dell’emidiaframma sin, con cui forma
l’angolo cardio‐frenico di sin, che risulta ottuso
Nella proiezione laterale sin, il margine anteriore dell’ombra cardiovascolare è separato dalla faccia
posteriore dello sterno per mezzo del cdt spazio chiaro retro sternale.
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Procedendo dall’alto verso il basso, a definire il margine anteriore dell’ombra cardiovascolare sono:
Aorta ascendente
Infudibolo dell’arteria polmonare
Camera di afflusso del ventricolo destro che, nella sua parte inferiore, assume contatto con la parete
posteriore dello sterno
Il margine posteriore dell’ombra cardiovascolare viene delineato dal contorno anteriore dell’esofago,
riempito di bario, in caso di associato esofagogramma. È formato superiormente, dall’atrio sin;
inferiormente, dal ventricolo sin.
L’Rx standard del torace, nella proiezione PA, consente di VALUTARE I DIAMETRI CARDIACI,
LONGITUDINALE e TRASVERSALE, e L’INDICE CARDIO‐TORACICO, rendendo così possibile una stima delle
dimensioni del cuore.
Diametro longitudinale
È tracciato dal punto di unione dei 2 archi di dx (superiore ed inferiore) all’apice del cuore.
V.N.: 14 cm nel maschio adulto; 13 cm nella femmina adulta
Diametro trasversale
È costituito dalla somma dei due emidiametri dx e sin: linee orizzontali tracciate dalla parte più sporgente
dell’arco inferiore dx e sin, rispettivamente, alla linea mediana
V.N.: 13 cm nel maschio adulto; 12 cm nella femmina adulta
Indice cardio‐toracico
Consiste nel rapporto esistente tra il diametro trasversale del cuore e quello del torace: linea orizzontale
tracciata dal punto più alto della cupola diaframmatica dx fino al margine interno delle 2 emiarcate costali.
Valore max nell’adulto: 0,50. Il superamento di tale valore risulta espressione di cardiomegalia.
L’esame radiografico diretto del torace permette quindi di identificare l’ingrandimento delle singole
camere cardiache e del cuore in toto
Ingrandimento dell’atrio sin
È denunciato da:
‐ Comparsa dell’immagine dell’auricola atriale nella parte inferiore dell’arco medio sin, con il margine sin
dell’ombra cardiovascolare che diviene “a 4 archi”
‐ Doppio contorno dell’arco inferiore dx, per la sporgenza dell’atrio sin dilatato oltre il dx
Cause:
‐ Stenosi mitralica, in cui in ventricolo sin conserva dimensioni normali
‐ Insufficienza mitralica, in cui si associa un ingrandimento del ventricolo sin
‐ Cardiopatie congenite con shunt dx‐sin
Ingrandimento del ventricolo sin
È denunciato dall’accentuazione della convessità esterna e dall’allungamento dell’arco inferiore di sin, con
la punta del cuore che appare arrotondata e spinta verso il basso ed a sin.
Ciò comporta una spiccata prevalenza dell’emidiametro trasverso di sin, producendo la caratteristica
immagine del “cuore a scarpa”
Cause:
‐ Vizi valvolari aortici
‐ Coartazione aortica
‐ Cardiopatia ipertensiva
‐ Insufficienza mitralica
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Ingrandimento dell’atrio dx
È suggerito dall’evidenza di un arco inferiore dx allungato e prominente
Cause:
Stenosi tricuspidale, in cui il ventricolo dx conserva dimensioni normale
Insufficienza tricuspidale, in cui si associa un ingrandimento del ventricolo dx.
Cardiopatie congenite con shunt sin‐dx (caso di DIA)
Ingrandimento del ventricolo dx
Viene suggerito, in proiezione PA, dall’accentuazione della convessità esterna dell’arco inferiore di sin, con
la punta del cuore che si presenta sollevata. Ciò dipende dallo spostamento del ventricolo sin ad opera del
dx aumentato di volume.
In proiezione LL, segno di ingrandimento del ventricolo dx, è l’obliterazione della metà inferiore dello spazio
chiaro retro‐sternale.
Cause:
Valvulopatie polmonari
Stati ipertensivi del piccolo circolo, precapillari e, in fase tardiva, anche postcapillari.
Ingrandimento del cuore in toto
Si caratterizza per un ingrandimento di tutte le sezioni del cuore, con aumento dei 2 diametri cardiaci ed
indice cardio‐toracico maggiore di 0,5.
È riscontrabile, all’Rx standard del torace, nelle seguenti condizioni:
‐ Miocardiopatie acquisite
‐ Pericardite acuta essudativa
Nelle miocardiopatie acquisite si osserva, in proiezione PA:
‐ Ombra cardiaca ingrandita che, per prevalente accentuazione del diametro trasverso, assume un
aspetto pseudo‐triangolare “a tenda”, con margini rettilinei ed angoli cardio‐frenici ottusi
‐ Sono evidenti segni di congestione del piccolo circolo
Nella pericardite acuta essudativa si osserva, in proiezione PA:
‐ Ombra cardiaca ingrandita che assume un aspetto “a fiasco”, per accentuata convessità dei 2 archi
inferiori, con angoli cardio‐frenici acuti
Portando il pz in decubito supino, la dislocazione gravitazionale del versamento nelle parti più declivi,
induce uno slargamento del peduncolo vascolare.
‐ Mancano segni di congestione del piccolo circolo
All’esame radiografico standard del torace, il pericardio non è riconoscibile a meno che non presenti
calcificazioni. Le calcificazioni pericardiche tipicamente avvolgono “a guscio d’uovo” la superficie cardiaca,
per tratti più o meno estesi.
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Ecocardiografia
Costituisce l’indagine di I livello nello studio per immagini del cuore.
L’ecotomografia transtoracica rappresenta la tecnica di base.
Fornisce, in tempo reale, immagini bidimensionali di sezioni del cuore secondo i piani fondamentali di
scansione:
Apicale a quattro camere
Asse lungo parasternale
Asse corto a due camere
Tali immagini sono costituite da punti a diversa luminosità in una scala di grigi [B‐(brightness) mode]. La
luminosità di ciascun punto è proporzionale all’intensità dell’eco che rappresenta.
Sull’immagine bidimensionale è possibile selezionare linee di vista lungo cui ottenere un tracciato TM (Time
Motion)‐mode.
Il tracciato TM‐mode rappresenta, in linea (immagine monodimensionale), il movimento nel tempo delle
strutture (pareti cardiache e valvole) incontrate dal fascio di ultrasuoni lungo il suo tragitto.
Il ricorso al color‐Doppler rende possibile il riconoscimento e la caratterizzazione velocimetrica dei flussi
trans‐valvolari anterogradi e retrogradi (da insufficienza).
La tecnica Doppler può anche essere applicata al muscolo cardiaco (Doppler tissutale), permettendo una
più accurata valutazione dell’attività contrattile del miocardio.
L’ecocardiografia con color‐Doppler consente pertanto di ottenere, senza l’impiego di radiazione ionizzanti
ed in maniera non invasiva:
Informazioni morfologiche, quali:
1. Dimensioni delle camere cardiache
2. Spessore delle pareti miocardiche
3. Aspetto degli apparati valvolari
Informazioni funzionali, relative a:
1. Cinetica dei ventricolari, globale e regionale
2. Movimenti valvolari
3. Flussi transvalvolari ed intracardiaci
4. Frazione di eiezione del ventricolo sin, calcolata attraverso una formula matematica
5. Funzione diastolica del ventricolo sin, valutata sulla base di un Doppler trans‐mitralico
6. Pressione sistolica stimata dell’arteria polmonare, ottenibile quantificando, con color‐Doppler, il
rigurgito tricuspidalico
Limiti dell’ecocardiografia sono:
1. Dipendenza dall’abilità dell’operatore, con impossibilità di ottenere misure oggettive e riproducibili
2. Riduzione dell’accuratezza diagnostica in pz obesi
3. Necessità di praticare l’indagine secondo particolari finestre che permettano di evitare l’interposizione
di tessuto polmonare. Ciò rende il ventricolo dx difficilmente esplorabile.
4. Incapacità esaminare il circolo coronarico
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Ulteriori tecniche ecografiche impiegate in ambito cardiologico sono:
Ecostress
Si tratta di un’ecocardiografia effettuata sotto stress, ergometrico o farmacologico, con dipiridamolo o
dobutamina ad alte dosi, farmaci che aumentano il consumo miocardico di ossigeno.
È indicata per riconoscere un’ischemia miocardica da sforzo o inducibile, denunciata dalla comparsa, sotto
stress, di aree ipo/acinetiche, assenti in condizioni di riposo.
L’ecostress può essere inoltre impiegato per lo studio della vitalità miocardica mediante infusione di
dobutamina a basse e ad alte dosi.
Il razionale dell’esame consiste nel fatto che i segmenti acinetici, ma vitali, del miocardio, pur non
rispondendo a basse dosi di dobutamina, possono rispondere, in termini di motilità parietale, ad alte dosi.
I segmenti miocardici infartuati, invece, non rispondono ne a basse ne ad alte dosi di dobutamina.
Il riscontro di vitalità miocardica è predittivo di recupero funzionale dopo rivascolarizzazione mediante
angioplastica percutanea o by‐pass chirurgico.
Ecocardiografia transesofagea
Prevede l’introduzione in esofago di una sonda ecografica che viene portata all’altezza del cuore.
Tale modalità di esecuzione permette di:
evitare l’interposizione di strutture che ostacolano la propagazione degli US
impiegare frequenze più elevate, con conseguente aumento della risoluzione spaziale delle immagini.
È particolarmente indicata per la diagnosi di:
1. Trombosi atriale
2. Forame ovale pervio
3. DIA
4. Patologie del bulbo aortico
5. Dissezione aortica
Ecocardiografia con mdc
Prevede la somministrazione endovenosa di microbolle gassose legate a sostanze che ne permettano il
superamento del filtro polmonare.
Consente una migliore visualizzazione delle camere cardiache di sinistra
Ecografia endovascolare
Prevede l’impiego di sonde miniaturizzate introdotte nelle coronarie in corso di angiografia coronarica
convenzionale.
Garantisce:
Caratterizzazione della placca coronarica
Valutazione del corretto posizionamento di stent
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Indagini strumentali di livello successivo
sono:
TC
Può essere validamente impiegata per lo studio del cuore solo utilizzando apparecchiature multistrato, le
uniche dotate di una risoluzione spaziale e temporale sufficientemente elevata, con i migliori risultati che
vengono garantiti da quelle ad almeno 64 strati di detettori.
La TC a 64 strati presenta infatti una risoluzione spaziale tale – 0.5 mm – da garantire che la dimensione del
volume di acquisizione (voxel) sia pressoché identica nei 3 piani dello spazio (voxel isotropico). Il volume
anatomico acquisito può così essere visualizzato in tutti e tre i piani dello spazio, senza perdita di
informazioni, mediante MPR.
Ciò rappresenta un requisito necessario per uno studio accurato delle coronarie epicardiche, dato il loro
andamento tortuoso nelle tre dimensioni dello spazio ed il loro piccolo calibro.
La TC a 64 strati assicura inoltre un significativo accorciamento dei tempi di acquisizione rispetto ai
precedenti tomografi, riducendo così gli artefatti causati dai movimenti cardiaci.
Per evitare gli artefatti causati dai movimenti cardiaci è inoltre necessario sincronizzare le scansioni TC con
il tracciato ECGgrafico del pz (ECG‐gating) in maniera tale da poter acquisire immagini solo in fase tele‐
diastolica, quando i ventricoli sono fermi.
La TC, in ambito cardiologico, viene principalmente impiegata per lo studio del macrocircolo coronarico
(coronarie epicardiche).
Del macrocircolo coronarico è possibile 1. determinare esclusivamente il carico calcico, con tecnica diretta
oppure 2. effettuare una valutazione angiografica, mediante coronaro‐TC, che consiste nel adattare al
distretto coronarico la tecnica dell’angio‐TC.
1.
La determinazione del carico calcico coronarico, con tecnica diretta trova il suo razionale nel fatto che esso
si correla con la presenza di aterosclerosi coronarica. Il mancato riscontro di calcio nelle coronarie
permette, infatti, di escludere, con un alto VP, la presenza di una stenosi coronarica significativa. Al
contrario, la probabilità che sia presente almeno una stenosi coronarica significativa risulta elevata qualora
il carico calcio delle coronarie sia maggiore di 400 secondo lo score di Agatston.
Per il calcolo dello score vengono considerate solo le calcificazioni con densità >/= 130 HU e con un’area di
almeno 1 mm2.
La valutazione del carico calcico coronarico è stata proposta come procedura di screening per malattia
coronarica in soggetti ritenuti a rischio intermedio di coronaropatia, sulla base dei fattori di rischio
tradizionali (probabilità di eventi coronarici acuti nei successivi 10 anni del 10‐20%)
Tale indicazione è tuttavia controversa per l’alta dose di radiazioni ionizzanti, in una età relativamente
giovane.
La determinazione del carico calcico coronarico, inoltre, va necessariamente effettuata prima di praticare
una coronaro‐TC, in quanto l’identificazione di pazienti con elevato carico di calcio coronarico (indice di
Agatston > 1000) costituisce una controindicazione all’indagine (coronaro‐TC), per la prevedibile presenza
di artefatti limitanti la valutazione del lume coronarico.
2.
La coronaro‐TC consiste nell’adattare al distretto coronarico la tecnica dell’angio‐TC.
L’angio‐TC coronarica rende possibile una valutazione non invasiva delle coronarie epicardiche,
permettendo di stabilire il grado di eventuali stenosi e la composizione di placche aterosclerotiche,
deducibile dalla loro densità.
In particolare, si distinguono:
‐ Placche ad elevata componente lipidica (con densità < 50 HU)
‐ Placche a prevalente componente fibrosa (con densità compresa tra 50‐130 HU),o
‐ Placche a componente calcica (con densità >400 HU).
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La coronaro‐TC resta, tuttavia, un’indagine di seconda scelta per lo studio del macrocircolo coronarico,
poiché, rispetto alla coronarografia tradizionale,
‐ presenta una più bassa risoluzione spaziale (0,5 vs 0,3 mm)
‐ non permette di effettuare procedure terapeutiche
L’indicazione, oggi, maggiormente condivisa alla coronaro‐TC consiste nell’esclusione della malattia
coronarica in:
‐ Soggetti con probabilità pre‐test intermedia (compresa cioè tra il 30 ed 60%), caso di:
Soggetti asintomatici nei quali un ECG da sforzo abbia dato un esito positivo.
Soggetti con sintomatologia anginosa dubbia
In tali soggetti la coronaro‐TC ha, infatti, mostrato un VPN del 100%.
N.B. Il VPN della metodica nell’escludere la presenza di una stenosi coronarica è del 100% anche in pz con
un quadro clinico a bassa o intermedia probabilità di SCA (caso di pz con dolore toracico acuto, ECG dubbio
ed enzimi negati).
In tali pz è stato pertanto proposto l’impiego della coronaro‐TC al fine di ridurre i casi sottotrattati o
impropriamente ricoverati.
N.B. Nei pz con dolore toracico acuto, la coronaro‐TC sarebbe in grado di escludere non solo SCA ma, anche
TEP e dissezioni aortiche (cdt “triple rule out”).
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RM
Requisito necessario allo studio del cuore con RM è la sincronizzazione dell’invio degli impulsi di RF con
l’onda R del tracciato elettrocardiografico (ECG‐gating), per evitare artefatti dovuti ai movimenti cardiaci.
In particolare, è possibile correlare l’acquisizione a fasi definite del ciclo cardiaco – come quella telediastolica
in cui i ventricoli sono fermi – (sincronizzazione prospettica) oppure acquisire con modalità continua e
scartare a posteriori le informazioni ottenute in fasi non opportune (sincronizzazione retrospettiva).
Punti di forza della RM cardiaca
1. Assenza di radiazioni ionizzanti
2. Multiplanarietà, possibilità cioè di ottenere, direttamente – senza bisogno di ricostruzione – immagini
secondo piani di scansione individualmente mirati per lo studio del cuore e dei grossi vasi.
La RM garantisce, pertanto, un’accurata localizzazione del cuore, senza la necessità di doversi attenere
a determinate finestre, come nell’ecocardiografia. L’ecocardiografia va infatti obbligatoriamente
praticata secondo finestre acustiche che consentano di evitare l’interposizione del tessuto polmonare.
Ciò rende il ventricolo dx difficilmente valutabile in ecocardiografia.
3. Multiparametricità
Possibilità, cioè, di acquisire immagini “pesate” secondo differenti proprietà fisiche, caratteristiche dei
diversi tessuti, quali tempo di rilassamento T1 (tempo necessario al ripristino della magnetizzazione
longitudinale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF), tempo di rilassamento T2 (tempo necessario alla perdita
della magnetizzazione trasversale, dopo l’interruzione dell’impulso di RF), densità protonica (numero di protoni
risonanti per unità di volume), agendo su:
‐ Tempo di ripetizione (TR), intervallo di tempo tra l’inizio di una sequenza e l’inizio di quella successiva.
‐ Tempo di Echo (TE), intervallo di tempo tra l’inizio di una sequenza e la ricezione del segnale.
In particolare,
‐ la scelta di un TR breve e di un TE breve genera sequenze T1‐pesate, nelle quali il TR breve fa sì che soltanto i tessuti a T1
breve (come quello adiposo) possano recuperare la magnetizzazione longitudinale, prima del successivo impulso di RF,
mostrando, pertanto, un segnale elevato.
I tessuti dotati di un T1 lungo, invece, non riuscendo a recuperare la magnetizzazione longitudinale, subiscono un
processo di saturazione del segnale che quindi appare di intensità
bassa o del tutto assente. Ciò vale, ad esempio, per l’acqua. Nelle sequenze T1‐pesate,
Il TE breve, inoltre, rende nulle le influenze del defasamento degli ‐ il segnale più alto sarà presentato da:
spin sul piano trasversale. grasso
‐ La scelta di un TR lungo e di un TE lungo genera, invece, sequenze ‐ il segnale più basso da: acqua
T2‐pesate, nelle quali il TR viene scelto lungo in modo che tutti i
nuclei abbiano recuperato la magnetizzazione longitudinale tra un
impulso ed il successivo, rendendo nulla l’influenza del T1 sul Nelle sequenze T2‐pesate,
segnale RM. ‐ il segnale più alto sarà mostrato
Il valore lungo del TE, invece, fa sì che si osservino segnali elevati, da dall’acqua e, in generale, dai fluidi
tessuti con T2 lungo, per assenza di un defasamento significativo; stazionari
bassi, da tessuti con T2 breve, per eccessivo defasamento.
‐ La scelta di un TE breve e di un TR lungo annulla l’influenza sia del T1 che del T2 redendo predominante la dipendenza
dalla densità protonica, ossia dal numero di spin in risonanza per unità di volume.
La multiparametricità consente di:
1. Manipolare il contrasto delle immagini conferendo, alla RM, un’elevata risoluzione di contrasto
intrinseca.
All’elevata risoluzione di contrasto intrinseca della RM contribuisce anche la possibilità di
sopprimere selettivamente il segnale proveniente da determinate strutture come il tessuto
adiposo.
2. Distinguere tra grasso/miocardio/sangue/trombi/neoplasie, garantendo un’ottimale
caratterizzazione tissutale
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4. Risoluzione temporale divenuta, con le moderne apparecchiature, sufficientemente elevata per lo
studio di un organo, come il cuore, in rapido e continuo movimento, offrendo la possibilità di valutare
sia la cinetica cardiaca che la perfusione miocardica, dopo somministrazione e.v. di un mdc.
5. Possibilità di ottenere misure oggettive e riproducibili, non operatore‐dipendenti, come accade per
l’ecocardiografia.
Tra le misure oggettive ottenibili vi sono quelle relative ai volumi del cuore, la cui determinazione
consente di valutare la frazione di eiezione del ventricolo sin direttamente e non attraverso formule
matematiche, come nell’ecocardiografia.
6. Possibilità di valutare velocità e direzione del flusso ematico attraverso gli orifizi valvolari.
Ciò permette di:
Campionare insufficienze e stenosi
Stabilire i patterns di riempimento e di svuotamento ventricolare
7. Capacità di studiare il macro ed il microcircolo coronarico
Il macrocircolo coronarico può essere analizzato mediante un’angio‐RM delle coronarie epicardiche.
L’angio‐RM coronarica, tuttavia, non può esser proposta come alternativa alla coronarografia
tradizionale, per l’incapacità di quantificare in maniera accurata eventuali stenosi.
Le ragioni di ciò sono:
‐ Minore risoluzione spaziale (1‐1.2 mm vs 0.3 mm)
‐ Presenza di artefatti da movimento dovuti alla bassa velocità di acquisizione degli interi volumi
corporei in cui le coronarie decorrono.
L’angio‐RM coronarica può, comunque, essere impiegata per diagnosticare anomalie di origine delle
coronarie.
Un esempio è rappresentato dall’origine anomala della coronaria dx tra aorta e tronco dell’arteria
polmonare. In questo caso, la dilatazione dei grossi vasi durante la sistole può schiacciare la coronaria
tra essi compresa, determinando un ipoafflusso a valle, con possibilità di angina pectoris e morte
cardiaca improvvisa.
La RM, inoltre, è l’unica metodica di immagine che consenta una valutazione DIRETTA del microcircolo
coronarico, attraverso l’acquisizione dinamica di immagini, dopo iniezione endovenosa di un mdc
paramagnetico (chelato del gadolinio a distribuzione bicompartimentale, vascolare/interstiziale).
N.B. va detto, comunque, che informazioni relative allo stato del microcircolo coronarico sono ottenibili, in
maniera INDIRETTA, anche mediante altre tecniche come l’Eco‐stress. Segno indiretto di malattia del microcircolo
coronarico è infatti il riscontro, sotto stress, di aree ipo/acinetiche, assenti a riposo, in un pz con coronarie
indenni da lesioni alla coronarografia tradizionale.
Un requisito fondamentale consiste nel sincronizzare l’emissione degli impulsi di RF con l’onda R del
tracciato elettrocardiografico (ECG‐gating), al fine di poter acquisire immagini solo nella fase tele‐
diastolica, quando i ventricoli sono fermi (gating prospettico).
In particolare, lo studio RM del microcircolo coronarico prevede la valutazione non solo, della fase di
wash in, ma anche quella di wash out del mdc.
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Nella I fase, di wash in, il mdc, attraverso le coronarie epicardiche ed il microcircolo coronarico,
impregna il tessuto miocardico.
Man mano che il muscolo cardiaco s’impregna del mdc, il suo colore vira dal grigio scuro al grigio
chiaro: il picco del c.e. miocardico viene raggiunto circa 10 battiti cardiaci dopo l’opacizzazione del
ventricolo sin.
Ciò consente, innanzitutto, di effettuare una valutazione qualitativa della perfusione miocardica: le
zone con difetti di perfusione sono, infatti, riconoscibili perché restano scure (e cioè ipointense rispetto
al miocardio sano circostante).
La perfusione miocardica viene poi esaminata anche in termini quantitativi, mediante la costruzione di
curve intensità/tempo per ciascuno dei 17 settori in cui il miocardio ventricolare sinistro è stato
convenzionalmente suddiviso:
‐ 6 settori basali
‐ 6 settori intermedi
‐ 4 settori apicali
‐ 1 apice propriamente detto
Poiché ad ogni settore corrisponde un territorio di pertinenza di un’arteria coronarica, dal settore
ipoperfuso si può stabilire la coronaria interessata.
N.B. Lo studio RM della perfusione miocardica può essere effettuato sia a riposo che sotto stress
farmacologico.
L’esame prosegue quindi con la valutazione del tempo impiegato dal miocardio per eliminare il mdc
(wash out).
Tale valutazione si effettua a distanza di circa 10 min dall’iniezione endovenosa del mdc. Trascorso tale
intervallo di tempo,
‐ il tessuto miocardico sano e le zone ischemiche, NON manifestano un contrast enhancement
tardivo poiché, essendo vitali, hanno la capacità di eliminare rapidamente cataboliti e, con essi, il
mdc;
‐ le aree cicatriziali postinfartuali, invece, MANIFESTANO un contrast enhancement tardivo, poiché,
non essendo più vitali, mancano della capacità di eliminare cataboliti e, con essi, il mdc che,
pertanto, ristagna al loro interno.
Il riscontro di un contrast enhancement tardivo, quindi, deponendo per l’assenza di vitalità
miocardica, risulta predittivo di mancato recupero funzionale dopo rivascolarizzazione.
Esiste una corrispondenza molto accurata tra l’estensione dell’area di contrast enhancement
tardivo e quella della cicatrice post‐infartuale. Ciò permette di stabilire se l’infarto sia stato o meno
trasmurale.
La distinzione tra infarto transmurale ed infarto non transmurale è importante ai fini della prognosi
e della pianificazione terapeutica.
Le forme non transmurali, infatti, sono a più alto rischio di complicanze aritmiche, poiché la
porzione della parete miocardica rimasta vitale diviene frequentemente sede di focolai aritmogeni.
Le forme transmurali, invece, vanno più spesso incontro a degenerazione dilatativa.
N.B. Nello studio della perfusione del miocardio, la RM presenta sulla SPECT miocardica con
traccianti di perfusione una serie di vantaggi:
‐ Maggiore risoluzione spaziale, che permette di individuare piccoli infarti subendocardici e di
stabilire con accuratezza l’estensione transmurale dell’infarto
‐ Capacità di distinguere un miocardio ibernato – segmento miocardico vitale che si è adattato ad una
cronica ipoperfusione riducendo la sua attività contrattile e, quindi, le sue esigenze metaboliche – da
una cicatrice post‐infartuale.
Il miocardio ibernato, infatti, non presenta un contrast enhancement tardivo poiché, essendo
vitale, conserva la capacità di eliminare rapidamente cataboliti e, con essi, il mdc
Principale svantaggio
‐ Costo maggiore
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Indicazioni codificate della RM in ambito cardiologico
1. Valutazione della vitalità miocardica in pz con disfunzione contrattile di origine ischemica
2. Distinzione tra trombosi endocavitaria e massa neoplastica
3. Diagnosi di displasia aritmogena del ventricolo dx, caratterizzata dalla sostituzione fibro‐adiposa del
miocardio ventricolare
4. Caratterizzazione e follow‐up di cardiopatie congenite complesse
5. Diagnosi di anomala origine delle coronarie
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Metodiche angiografiche
Quelle impiegate in ambito cardiologico, prevedono l’introduzione, mediante catetere venoso o arterioso, di un mdc iodato nelle
camere cardiache, nei grossi vasi o nelle arterie coronarie al fine di consentirne la visualizzazione radiografica.
Attraverso il catetere, inoltre, è possibile effettuare procedure interventistiche.
Metodiche angiografiche effettuate in ambito cardiologico
Angiocardiografia e cardioangiografia
Nell’angiocardiografia, il mdc è iniettato in VCS, mediante accesso venoso dalla vena femorale, giugulare o brachiale.
Nella cardioangiografia, il mdc è selettivamente iniettato in atrio dx, attraverso gli stessi accessi venosi
Dopo introduzione del mdc, si acquisiscono radiogrammi seriati nel tempo, con tecnica tradizionale o digitale sottrattiva.
In particolare, si susseguono:
Destrocardiogramma (1‐2 sec dopo l’iniezione del mdc), nel quale sono visualizzati VCS, AD e VD
Angiopneumogramma (3‐5 sec dopo l’iniezione del mdc), nel quale viene evidenziato il circolo polmonare arterioso e venoso
Levocardiogramma (6‐7 sec dopo l’iniezione del mdc), nel quale sono visualizzati AS e VS
Aortogramma (8 sec dopo l’iniezione del mdc), nel si evidenziano aorta ascendente, arco ed aorta discendente.
Le cardiopatie congenite costituiscono l’indicazione più comune per questo tipo di indagine
Aortografia toracica sopravalvolare
Viene realizza mediante la tecnica di Seldinger che prevede il cateterismo selettivo di un’arteria periferica, in genere costituita
dall’arteria femorale.
La tecnica si articola nelle seguenti fasi:
Puntura, mediante apposito ago, del vaso prescelto ed inserimento, sotto controllo radioscopico di una guida metallica, che va
portata fino al distretto arterioso da esaminare.
Rimozione dell’ago ed introduzione, per scorrimento sulla guida metallica, di un catetere radiopaco premodellato e che
possiede memoria (conserva cioè la curvatura primitiva una volta liberata nel lume vascolare dalla guida metallica). In questo
caso generalmente ci si avvale di un catetere pig‐tail, con punta a ricciolo e multipli foro laterali
Posizionamento, sotto controllo radioscopico, dell’apice del catetere nella sede richiesta (in questo caso, circa 2 cm al di sopra
delle semilunari aortiche)
Somministrazione di 35‐70 ml di un mdc iodato idrosolubile con un flusso di 20 ml/sec mediante pompa di iniezione
elettronica
Assunzione di radiogrammi mirati a cadenza programmata
Indicazioni principali
1. Insufficienza valvolare aortica
2. Alcune cardiopatie congenite (tra cui pervietà del dotto di Botallo e fistole aorto‐polmonari)
3. Alterazioni acquisite dell’aorta, come aneurismi e dissezioni
4. Patologie dei TSA
Coronarografia selettiva
L’accesso è retrogrado e generalmente avviene dall’arteria femorale.
L’esame prevede l’incannulamento selettivo, sotto guida radioscopica, degli osti della coronaria sinistra e destra, situati subito al di
sopra delle semilunari aortiche, mediante l’utilizzo di cateteri dedicati.
Per ciascuna coronaria si procede ad iniezioni multiple di 4‐8 ml di mdc iodato, variando ogni volta il grado di obliquità sin‐dx e la
cranio‐caudalità delle acquisizioni, in modo da ottenere almeno 3 proiezioni per la coronaria di sin e 2 per quella di dx.
Ancora oggi la coronarografia selettiva costituisce l’indagine d’elezione per lo studio del macrocircolo coronarico. le ragioni di ciò
sono:
Elevata risoluzione spaziale, il cui limite è di 0,3 mm (contro gli 0,6 mm della TC ed il mm dell’angio‐RM coronarica)
Possibilità di effettuare procedure terapeutiche (angioplastica percutanea transluminale e posizionamento di stent)
La coronarografia selettiva, oltre che per la cardiopatia ischemica, è indicata per la valutazione preoperatoria di vizi valvolari e di
alcune cardiopatie congenite.
Ventricolografia sin
In essa, il catetere, solitamente un pig‐tail, viene spinto attraverso le semilunari aortiche nel ventricolo sin. Si procede quindi
all’iniezione di 30‐35 ml di un mdc iodato, con flusso di 10‐12 ml/sec.
Consente di identificare shunts settali e di determinare parametri funzionali del ventricolo sin (come pressioni, volumi, cinetica, FE)
Una ventricolografia sin viene spesso eseguita durante l’indagine coronarografica, soprattutto nei pz affetti da cardiopatia
ischemica post‐infartuale ed in quelli con CC (come DIV e canale atrio‐ventricolare)
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Tecniche di medicina nucleare
Miocardioscintigrafia con traccianti di perfusione (201Tallio‐cloruro, 99mTc‐sestamibi, 99mTc‐tetrofosmina)
I traccianti di perfusione sono molecole che vengono captate dalle cellule miocardiche proporzionalmente
al flusso ematico distrettuale.
L’esame è basato sul confronto tra studio sotto stress, ergometrico o farmacologico, e studio a riposo.
Lo studio sotto stress ha lo scopo di rendere palese la presenza di aree miocardiche con perfusione normale
a riposo, ma insufficiente in condizioni di stress (test di riserva coronarica).
La modalità di esecuzione dell’indagine varia in relazione al tracciante di perfusione impiegato:
Se si utilizza 201Tallio‐cloruro, viene effettuata un’iniezione al picco dello stress, seguita da una precoce
acquisizione scintigrafica planare o tomografica (SPECT), nei 10‐15 min successivi.
Un’area miocardica ipoperfusa presenterà un minore assorbimento del tallio (“area fredda”) rispetto ad
una con normale perfusione.
Durante le ore seguenti, si verifica un “processo di ridistribuzione” che consiste nell’apporto al miocardio di
tallio proveniente da compartimenti extra‐cardiaci (come il muscolo scheletrico). Per verificare l’esito del
processo di ridistribuzione, equivalente ad una captazione miocardica in condizioni di riposo, si esegue una
seconda acquisizione, tardiva, circa 4 h dopo la prima:
‐ Le aree di ischemia miocardica inducibile che, in condizioni di stress, apparivano ipoperfuse, divengono
“normali” in termini di captazione del tracciante, segno di vitalità miocardica.
‐ Le aree necrotiche, invece, conservano, anche a riposo, il difetto di captazione mostrato sotto stress.
Ciò depone per l’assenza di cellule e, quindi, di vitalità miocardica.
Pertanto, con il 201Tallio‐cloruro, è sufficiente una singola iniezione del radiofarmaco, con due acquisizioni
nello stesso giorno.
La ridistribuzione non si verifica per i traccianti di perfusione miocardica marcati con 99mTC poiché essi,
dopo penetrazione intracellulare, restano intrappolati a livello mitocondriale.
È pertanto richiesta una doppia iniezione del tracciante, rispettivamente in condizioni di stress e di riposo.
I traccianti di perfusione tecneziati vengono comunque preferiti al 201Tallio‐cloruro, perché permettono di:
‐ Ottenere immagini di migliore qualità, per la più alta energia di emissione del 99Tc che comporta una
minore attenuazione da parte dei tessuti molli
‐ Erogare al pz una più bassa dose di radiazioni ionizzanti
Avvalendosi dei traccianti di perfusione marcati con 99mTC e sincronizzando la SPECT al tracciato ECGgrafico
(ECG‐gating), è inoltre possibile valutare, non solo la perfusione, ma anche la funzione contrattile, regionale
e totale, del ventricolo sin, di cui sono calcolabili volumi e FE.
Una gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione è indicata per:
1. Porre diagnosi di malattia coronarica, in soggetti con probabilità pre‐test intermedia (compresa cioè tra
il 30 ed 60%) caso, ad esempio, di:
‐ Soggetti asintomatici, nei quali un ECG da sforzo abbia dato un esito positivo o non diagnostico
‐ Soggetti con sintomatologia anginosa dubbia
‐ Soggetti asintomatici con multipli fattori di rischio coronarico
In tali soggetti, una gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione positiva per ischemia
miocardica inducibile costituisce un’indicazione alla coronarografia.
N.B. la gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione si dimostra più sensibile di un ecostress, nel
dimostrare un’ischemia miocardica inducibile poiché il deficit perfusivo, causato da una stenosi
coronarica, precede quello cinetico, all’interno della cascata ischemica. Le alterazioni elettriche ed il
dolore anginoso sono manifestazioni ancora più tardive.
2. Esprimere un giudizio prognostico in pz con cardiopatia ischemica già nota, sulla base di perfusione e
cinetica miocardica
3. Accertare il significato funzionale di una stenosi coronarica borderline
4. Verificare la vitalità miocardica, prima di procedere ad un intervento di rivascolarizzazione
5. Valutare l’effetto di una rivascolarizzazione, percutanea o chirurgica, e della terapia farmacologica
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Angiocardioscintigrafia con traccianti vascolari (globuli rossi autologhi marcati con 99mTc)
Permette l’analisi della cinetica ventricolare, globale e distrettuale, attraverso la valutazione quantitativa
delle variazioni di volume e forma a cui le delle cavità cardiache vanno incontro in condizioni di riposo e di
stress.
Ciò consente un calcolo accurato e riproducibile dei più importanti parametri di funzione sistolica e
diastolica dei ventricoli.
PET
È stata a lungo considerata la tecnica d’elezione per lo studio della vitalità miocardica poiché consente
un’accurata distinzione tra le tre condizioni responsabili di disfunzione contrattile del miocardio su base
ischemica (miocardio infartuato, ibernato e stordito).
L’esame prevede la valutazione combinata della captazione, da parte del tessuto miocardico, di ammoniaca
marcata con 13N, che fornisce informazioni relative alla perfusione e di 18F‐FDG, che fornisce invece
informazioni relative all’attività metabolica cellulare.
Il miocardio stordito mostra una normale captazione sia dell’ammoniaca marcata che del 18F‐FDG.
Il miocardio ibernato mostra una ridotta captazione dell’ammoniaca marcata ma una captazione normale o
aumentata del 18F‐FDG (disaccoppiamento flusso/metabolismo)
In tali condizioni, il miocardio con disfunzione contrattile va ritenuto vitale. Le procedure di
rivascolarizzazione sono pertanto giustificate.
Il miocardio infartuato mostra, invece, una ridotta captazione di entrambi i radiofarmaci (accoppiamento
flusso/metabolismo). Ciò indica l’assenza di vitalità miocardica con le procedure di rivascolarizzazione che
pertanto non sono giustificate.
Se l’acquisizione delle immagini PET viene sincronizzata al tracciato ECGgrafico (gated‐PET) l’accuratezza
dell’indagine aumenta ulteriormente per l’integrazione dei dati perfusionali e metabolici con quelli della
cinetica miocardica e degli spessori parietali.
La PET presenta tuttavia una serie di svantaggi rispetto alla RM nello studio della vitalità miocardica:
‐ Impiego di radiazioni ionizzanti
‐ Risoluzione spaziale inferiore (6‐7 mm vs 1‐1.2 mm), che la rende meno sensibile nel riconoscere infarti
subendocardici di limitata estensione
Scintigrafia miocardica con traccianti recettoriali, in particolare con MIBG marcata mediante 123I
Permette di valutare l’innervazione simpatica del cuore.
La MIBG, infatti, essendo un analogo della noradrenalina, viene captata dalle terminazioni nervose
adrenergiche.
La valutazione medico‐nucleare dell’innervazione simpatica del cuore è stata impiegata per la
stratificazione prognostica di pz con scompenso cardiaco.
Una ridotta captazione della MIBG marcata, infatti, identifica quei pz con scompenso cardiaco a più alto
rischio di morte per eventi aritmici e che, quindi, beneficerebbero dell’impianto di un defibrillatore.
Ciò dipende dal fatto che il miocardio denervato è maggiormente sensibile alle catecolamine circolanti.
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SPECIFICHE CONDIZIONI
Cardiopatia ischemica
Comprende uno spettro di condizioni morbose dipendenti dal fatto che il miocardio riceve una quota di
ossigeno insufficiente a soddisfarne il fabbisogno.
La causa più frequente di cardiopatia ischemica è l’aterosclerosi coronarica che ha, come lesione
elementare, la placca aterosclerotica.
Le conseguenze clinica della malattia aterosclerotica coronarica sono condizionate dall’evoluzione
strutturale della placca.
‐ Qualora prevalgano gli espetti proliferativi, responsabili di un progressivo ingrandimento della lesione
all’interno del lume coronarico (placca stabile), la sofferenza ischemica del miocardio e la
sintomatologia dipendono dall’entità della stenosi.
Le stenosi delle coronarie epicardiche divengono emodinamicamente significative se = o > 50% del
lume. In tale circostanza si determina, infatti, una riduzione della pressione di perfusione a valle della
stenosi che viene tuttavia compensata dalla riduzione delle resistenze delle arteriole intramiocardiche.
Ciò consente il mantenimento, a riposo, di un flusso coronarico adeguato, nonostante la presenza di
una stenosi significativa.
La vasodilatazione delle arteriole intramiocardiche limita comunque la capacità di un’ulteriore
vasodilatazione con riduzione della riserva coronarica. Di conseguenza, quando si verifica un aumento
della domanda di ossigeno (classicamente in seguito a uno sforzo), il circolo coronarico può non essere
capace di aumentare il flusso in modo adeguato per soddisfare la maggiore richiesta metabolica del
miocardio irrorato dal vaso stenotico. Come risultato si avrà ischemia miocardica da sforzo.
‐ Qualora, invece, prevalga la componente infiammatoria (placca instabile), il cappuccio fibroso della
placca tende a rompersi, con attivazione del processo trombotico e conseguente ostruzione della
coronaria epicardica interessata.
Da ciò deriva una sindrome coronarica acuta
Cause meno comuni di cardiopatia ischemica sono:
‐ Spasmo di un grosso vaso coronarico
‐ Alterazioni del microcircolo coronarico
‐ Anomalie anatomiche di origine e decorso delle coronarie
‐ Embolia coronarica
‐ Coronarite ostiale da aortite luetica
‐ Arterite coronarica nell’ambito di una vasculite
‐ Notevole aumento della domanda di ossigeno del miocardio, come nella marcata ipertrofia ventricolare
‐ Riduzione della capacità di trasporto dell’ossigeno da parte del sangue, caso di gravi anemie,
carbossiemoglobinemia, ecc…
Relativamente alla cardiopatia ischemica, le metodiche d’immagine non invasive hanno come indicazioni:
1. Diagnosi di malattia coronarica, in soggetti con probabilità pre‐test intermedia (compresa cioè tra il
30% ed il 60%) caso di:
Soggetti asintomatici con multipli fattori di rischio coronarico
Soggetti asintomatici nei quali un ECG da sforzo abbia dato un esito positivo o non diagnostico
Soggetti con sintomatologia anginosa dubbia
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Per far ciò ci si può avvalere di:
‐ Metodiche di stress imaging, come
Gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione
Ecostress
‐ Coronaro‐TC
N.B. queste indagini non sono indicate
‐ nei soggetti con probabilità pre‐test di malattia coronarica alta poiché, in essi, un risultato positivo del test
aumenterebbe solo modestamente la già cospicua probabilità di malattia coronarica, mentre un risultato
negativo sarebbe gravato da un elevato rischio di essere un falso negativo.
‐ nei soggetti con probabilità pre‐test di malattia coronarica bassa, poiché in essi un risultato negativo
ridurrebbe solo di poco la già scarsa probabilità di malattia coronarica, mentre un risultato positivo sarebbe
gravato da un elevato rischio di essere un falso positivo.
Relativamente alle metodiche di “stress imaging”, va detto che la Gated‐SPECT miocardica con
traccianti di perfusione è più sensibile dell’ecostress nel
riconoscere aree miocardiche non sufficientemente irrorate in
condizioni di stress (ischemia miocardica inducibile).
Ciò dipende dal fatto che il deficit perfusivo costituisce la più
precoce manifestazione di un’ischemia miocardica inducibile
precedendo, nella cascata ischemica, quello cinetico ‐
documentabile mediante Ecostress ‐ per uno shift verso il
metabolismo anaerobico.
Le alterazioni elettriche, apprezzabili all’ECG da sforzo, ed il dolore
anginoso sono manifestazioni ancora più tardive e non sempre presenti.
Il riscontro, alle metodiche di “stress imaging”, di un’ischemia miocardica inducibile pone l’indicazione
ad una coronarografia.
Nei soggetti con probabilità pre‐test intermedia di malattia coronarica, come alternativa alle metodiche
di “stress imaging”, è stato proposto l’utilizzo di una coronaro‐TC
Caratteristica della coronaro‐TC è infatti l’accuratezza elevata nell’escludere la presenza di
coronaropatia, in tali soggetti, con un VPN compreso tra il 90 ed il 100%.
Rispetto ad una gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione, tuttavia, non fornisce
informazioni utili per la stratificazione prognostica, come quelle riguardanti la perfusione e la cinetica
miocardica.
Le metodiche di stress “imaging” e la coronaro‐TC sono anche indicate in pz con sintomatologia
anginosa tipica ed ECG da sforzo, non interpretabile o non eseguibile.
2. Stratificazione prognostica di pz con cardiopatia ischemica già nota
Ciò è reso possibile da:
‐ Gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione che consente di valutare i principali parametri
condizionanti la prognosi di un pz con cardiopatia ischemica, quali perfusione e funzione
ventricolare
N.B. tali parametri sarebbero valutabili anche mediante RM
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3. Studio della vitalità miocardica in pz con disfunzione contrattile di origine ischemica, per predire l’esito
di un intervento di rivascolarizzazione coronarica: non ha senso, infatti, rivascolarizzare un miocardio
non più vitale.
Cause di disfunzione contrattile di origine ischemica sono:
‐ Miocardio infartuato
‐ Miocardio stordito
‐ Miocardio ibernato
Per miocardio infartuato s’intende un tessuto miocardico non più vitale e, quindi, con disfunzione
contrattile irreversibile.
Per miocardio ibernato e stordito, s’intendono due distinte condizioni di miocardio vitale caratterizzate
da una disfunzione contrattile reversibile.
‐ Nello stordimento, la disfunzione contrattile reversibile è dovuta all’accumulo intracellulare di
calcio e radicali liberi che si verifica per la rapida riperfusione di un segmento miocardico
interessato da un’ischemia acuta di breve durata.
‐ Nell’ibernazione, la disfunzione contrattile reversibile viene indotta da uno stato di ischemia
cronica. È come se le cellule in sofferenza ischemica innescassero un meccanismo di risparmio
energetico per mantenere le loro funzioni vitali in attesa di una ripresa del flusso.
La vitalità miocardica può essere valutata mediante:
TECNICHE MEDICO‐NUCLEARI
Gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione (99mTc‐sestamibi, 99mTc‐tetrofosmina) che si
effettua sincronizzando l’acquisizione delle immagini al tracciato ECGgrafico.
Ciò consente di ottenere informazioni relative non solo alla perfusione ma anche contrattilità regionale
e globale del ventricolo sin, di cui è possibile calcolare volumi e FE.
L’esame è basato sul confronto tra studio sotto stress, ergometrico o farmacologico, e studio a
riposo:
‐ Le aree ischemiche che, sotto stress, appaiono ipoperfuse, divengono “normali”, in termini di
captazione del tracciante, a riposo, segno di vitalità miocardica.
‐ Le aree necrotiche, invece, conservano anche a riposo il difetto di captazione mostrato sotto
stress. Ciò depone per l’assenza di cellule e, quindi, di vitalità miocardica.
Limiti
‐ Bassa risoluzione spaziale che non le consente di riconoscere piccoli infarti subendocardici e di
stabilire con accuratezza l’estensione transmurale dell’infarto
‐ Incapacità di differenziare aree ipoperfuse a riposo, ma ancora vitali (miocardio ibernato) e che
quindi possono giovarsi di un intervento di rivascolarizzazione, da aree necrotiche, non
recuperabili, perché non più vitali
PET
È stata a lungo considerata la tecnica d’elezione per lo studio della vitalità miocardica poiché consente
un’accurata distinzione tra le tre condizioni responsabili di disfunzione contrattile del miocardio su
base ischemica (miocardio infartuato, ibernato e stordito).
L’esame prevede la valutazione combinata della captazione, da parte del tessuto miocardico, di
ammoniaca marcata con 13N, che fornisce informazioni relative alla perfusione del miocardio e di 18F‐
FDG, che fornisce informazioni relative all’attività metabolica cellulare.
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‐ Il miocardio stordito mostra una captazione nella norma sia dell’ammoniaca marcata che del 18F‐
FDG.
‐ Il miocardio ibernato presenta una ridotta captazione dell’ammoniaca marcata ma una captazione
normale o aumentata del 18F‐FDG (disaccoppiamento flusso/metabolismo)
In tali condizioni, il miocardio con disfunzione contrattile va ritenuto vitale. Le procedure di
rivascolarizzazione sono pertanto giustificate.
‐ Il miocardio infartuato mostra, invece, una ridotta captazione di entrambi i radiofarmaci
(accoppiamento flusso/metabolismo). Ciò indica l’assenza di vitalità miocardica, rendendo non
giustificate le procedure di rivascolarizzazione.
Se l’acquisizione delle immagini PET viene sincronizzata al tracciato ECGgrafico (gated‐PET)
l’accuratezza dell’indagine aumenta ulteriormente per l’integrazione dei dati perfusionali e metabolici
con quelli della cinetica miocardica e degli spessori parietali.
Il principale limite della PET nello studio della vitalità miocardica è costituito dalla bassa risoluzione
spaziale (6‐7 mm), che non le consente di riconoscere piccoli infarti subendocardici e di stabilire con
accuratezza l’estensione transmurale dell’infarto.
RM
Viene attualmente ritenuta l’indagine d’elezione per lo studio della vitalità miocardica.
La vitalità miocardica viene studiata, mediante RM, valutando il tempo impiegato dal miocardio per
eliminare (wash out) un mdc paramagnetico a distribuzione bicompartimentale, vascolare/interstiziale
(Gd‐DTPA).
Circa 10 min dopo l’iniezione endovenosa del mdc, infatti,
‐ il tessuto miocardico sano e le zone ischemiche, NON PRESENTANO un contrast enhancement
tardivo poiché, essendo vitali, hanno la capacità di eliminare rapidamente cataboliti e, con essi, il
mdc;
‐ le aree cicatriziali postinfartuali, invece, PRESENTANO un contrast enhancement tardivo, poiché,
non essendo più vitali, mancano della capacità di eliminare cataboliti e, con essi, il mdc che,
pertanto, ristagna al loro interno.
Il riscontro di un contrast enhancement tardivo, quindi, deponendo per l’assenza di vitalità
miocardica, risulta predittivo di mancato recupero funzionale dopo rivascolarizzazione.
Esiste una corrispondenza molto accurata tra l’estensione dell’area di contrast enhancement
tardivo e quella della cicatrice post‐infartuale. Ciò permette di stabilire se l’infarto sia stato
trasmurale (esteso, cioè, a più del 75% dello spessore ventricolare) o non trasmurale (esteso, cioè,
a meno del 75% dello spessore ventricolare).
La distinzione tra infarto transmurale ed infarto non transmurale è importante ai fini della prognosi
e della pianificazione terapeutica.
Le forme non transmurali, infatti, sono a più alto rischio di complicanze aritmiche, poiché la
porzione della parete miocardica rimasta vitale diviene frequentemente sede di focolai aritmogeni.
Le forme transmurali, invece, vanno più spesso incontro a degenerazione dilatativa.
Vantaggi della RM sulla gated‐SPECT miocardica con traccianti di perfusione
‐ Maggiore risoluzione spaziale, che permette di individuare piccoli infarti subendocardici e di
stabilire con accuratezza l’estensione transmurale dell’infarto
‐ Capacità di distinguere un miocardio ibernato – segmento miocardico vitale che si è adattato ad
una cronica ipoperfusione riducendo la sua attività contrattile e, quindi, le sue esigenze
metaboliche – da una cicatrice post‐infartuale. Il miocardio ibernato, infatti, non presenta un
contrast enhancement tardivo poiché, essendo vitale, conserva la capacità di eliminare
rapidamente cataboliti e, con essi, il mdc
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Ecostress mediante infusione di dobutamina a basse e ad alte dosi
Il razionale dell’esame consiste nell’assunzione che i segmenti acinetici ma vitali, pur non
rispondendo a basse dosi di dobutamina, possono rispondere, in termini di motilità parietale, ad
alte dosi.
I segmenti miocardici infartuati, invece, non rispondono alla dubutamina ne a basse ne ad alte dosi.
L’esame tuttavia
‐ Ha una scarsa risoluzione spaziale
‐ È spesso limitato dall’assenza di una finestra acustica adatta
‐ È fortemente operatore‐dipendente e, quindi, poco riproducibile
4. Valutazione di pz con probabilità bassa o intermedia che il dolore toracico acuto da essi denunciato sia
dovuto ad una SCA (per enzimi negativi ed elettrocardiogramma dubbio)
La valutazione viene effettuata mediante un’angio‐TC coronarica, capace di escludere con un VPN del
100% nell’escludere la presenza di stenosi coronariche in tali pz.
L’angio‐TC coronarica, in pz con dolore toracico acuto, si è dimostrata capace di escludere la presenza,
non solo, di stenosi delle coronarie ma anche di embolia polmonare e di dissezione aortica (cdt “triple
rule out”).
Pericarditi
Si distinguono:
‐ Forme acute essudative
‐ Forme croniche costrittive
Nella pericardite acuta essudativa, l’esame radiografico diretto del torace, in ortostatismo, può
evidenziare, un aspetto “a fiasco” dell’ombra cardiaca, per accentuata convessità dei 2 archi inferiori, con
angoli cardiofrenici acuti.
In decubito supino, la dislocazione gravitazionale del versamento nelle parti più declivi, induce uno
slargamento del peduncolo vascolare.
Mancano segni di congestione del piccolo circolo.
L’indagine di elezione è comunque rappresentata da un’ecocardiografia perché consente di:
Individuare anche piccole quantità di liquido pericardico
Riconoscere precocemente un tamponamento cardiaco, denunciato da:
Collasso diastolico del ventricolo dx
Nella pericardite cronica costrittiva, l’esame radiografico diretto del torace rivela:
Calcificazioni pericardiche, apprezzabili in circa il 50% dei casi
Segni di stasi del piccolo circolo e del grande circolo
L’ecocardiografia ha un ruolo limitato poiché consente di apprezzare solo segni indiretti
TC e RM sono fondamentali per individuare l’anomalo ispessimento del pericardio, la cui presenza consente
la DD con una cardiomiopatia restrittiva.
La RM, sebbene non permetta il riconoscimento di calcificazioni, risulta più specifica poiché capace di
dimostrare la natura fibrotica dell’ispessimento pericardico.
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Neoplasie
I tumori primitivi del cuore sono molto rari e di natura prevalentemente benigna.
Più frequenti sono le metastasi, solitamente a partenza da tumori polmonari e della mammella. Anche i
linfomi ed i melanomi possono metastatizzare al cuore in maniera significativa.
La disseminazione metastatica al miocardio interessa quasi sempre anche il pericardio, producendo un
versamento pericardico.
Tra i tumori primitivi del cuore, il più comune, è il mixoma.
‐ Nel 75% dei casi, ha origine dal setto interatriale, in prossimità del forame ovale, sviluppandosi
all’interno dell’atrio sin.
‐ Nel 10‐20% dei casi, interessa l’atrio dx
‐ Nel 5‐15% dei casi, le cavità ventricolari
Il tumore è per lo più peduncolato e, quando ha sede atriale, tende a prolassare, durante la diastole, nel
ventricolo sottostante, attraverso l’orifizio atrio‐ventricolare, la cui ostruzione può indurre sincope e morte
improvvisa.
L’ecocardiografia ha, nei confronti del mixoma atriale, una sensibilità prossima al 100% e fornisce adeguate
informazioni anche sulla mobilità della lesione.
Come indagine di II livello, ci si avvale, principalmente, di una RM che permette di valutare in maniera
accurata l’estensione locale della lesione e di ottenere indicazioni circa la sua natura.
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VASI SANGUIGNI
Aneurismi
Bisogna, innanzitutto, distinguere aneurismi veri da aneurismi falsi o pseudoaneurismi.
Gli aneurismi veri sono dilatazioni permanenti, segmentarie e progressive del lume di un’arteria – il cui
diametro supera di almeno il 50% la norma – correlate ad un sovvertimento strutturale delle tre tonache
parietali – in particolare della media – che vengono sostituite da fibre collagene ma che mantengono la
propria continuità.
Gli aneurismi falsi o pseudoaneurismi, invece, sono la conseguenza di una soluzione di continuo della
parete arteriosa, con stravaso ematico perivasale che viene delimitato da una reazione connettivale . Ne
deriva, pertanto, un ematoma capsulato in diretta comunicazione con il lume vasale.
Gli aneurismi veri, a loro volta, sulla base dell’aspetto morfologico, vengono classificati come:
‐ Fusiformi, in cui il processo dilatativo interessa tutta la circonferenza del vaso.
‐ Sacciformi, in cui il processo dilatativo interessa solo una parte limitata della sua circonferenza,
producendo una sacca che comunica con il lume vasale mediante un orifizio più o meno ristretto, detto
“colletto”.
‐ Crisoidei, in cui un lungo tratto del vaso va incontro ad una dilatazione serpiginosa. Tale aspetto è
pressoché esclusivo degli aneurismi veri che interessano l’arteria splenica.
Sotto il profilo eziologico, si riconoscono aneurismi congeniti ed aneurismi acquisiti.
Gli aneurismi congeniti sono aneurismi veri, raramente presenti già al momento della nascita, ma che si
formano più tardivamente per un difetto strutturale congenito della parete arteriosa, dipendente da
sindromi ereditarie, come Sindrome di Marfan, di Ehlers‐Danlos e di Turner.
Gli aneurismi acquisiti possono essere veri o falsi e tra essi rientrano:
‐ Aneurismi aterosclerotici, che rappresentano il 90% degli aneurismi acquisiti, si manifestano dopo i 50
anni, prediligono il sesso maschile
‐ Aneurismi traumatici
Sono, generalmente, pseudoaneurismi causati da un qualsiasi trauma capace di indebolire la parete
arteriosa fino ad indurne fissurazione.
‐ Aneurismi infiammatori, che complicano arteriti specifiche come la m. di Takayasu e l’arterite
temporale.
‐ Aneurismi infettivi, che si formano per la migrazione di emboli settici, batterici o fungini.
Da un punto di vista clinico, gli aneurismi sono generalmente asintomatici.
Manifestazioni cliniche, comunque, possono esser dovute a:
‐ Compressione esercitata sulle strutture circostanti
‐ Complicanze, quali:
Rottura, con emorragia
Trombosi, con possibile occlusione del vaso e distacco di emboli dalla lesione trombotica
L’aorta è la sede preferenziale della malattia aneurismatica.
Nell’ambito dell’aorta, il segmento più colpito è quello addominale.
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Aneurisma dell’aorta addominale
Rappresentano il 70‐80% di tutti gli aneurismi aortici.
Hanno un picco di incidenza tra la 6a e la 7a decade di vita, mostrando predilizione per il sesso maschile.
Più del 90% di essi ha sede sotto‐renale, coinvolgendo, in circa il 20% dei casi, le arterie iliache comuni ed
interne. Rara, ma possibile, è l’estensione sovra‐renale anche fino all’aorta toracica.
Per quanta riguarda l’eziologia, la maggior parte degli AAA sono di origine aterosclerotica. Molto meno
frequenti si dimostrano quelli di origine infiammatoria, infettiva e post‐traumatica.
Sono generalmente asintomatici e di riscontro occasionale durante indagini strumentali dell’addome – in
primis ecografia con color‐Doppler – effettuate per altri motivi.
Possono comunque manifestarsi anche sotto forma di una massa addominale pulsante.
In caso di rottura, inoltre, si hanno, per emoperitoneo, dolore addominale acuto con reazione peritoneale,
da peritonite chimica ed ipotensione arteriosa.
Per gli AAA è previsto uno screening, condotto in soggetti asintomatici di età compresa tra 65 e 75 anni,
mediante eco‐color‐Doppler che costituisce anche l’indagine strumentale di I livello, nei casi in cui la
presenza della malattia venga suggerita dal riscontro, all’E.O., di una massa pulsante dell’addome.
L’eco‐color‐Doppler consente di rappresentare “in tempo reale” sul monitor, sovrapposte all’immagine
ecotomografica, la velocità e la direzione del flusso ematico, codificate secondo una scala di colori.
Tale scala cromatica, per convenzione, rappresenta con il rosso, il flusso in avvicinamento e, con il blu,
quello in allontanamento, rispetto al trasduttore ecografico.
Le variazioni di luminosità del colore esprimono la velocità del flusso.
Eventuali turbolenze vengono raffigurate con colori addizionali rispetto ai due principali.
L’ECD permette inoltre di quantificare, posizionando un volume campione all’interno del vaso da
esaminare, la velocità del flusso ematico, attraverso l’analisi dello spettro di frequenze del segnale Doppler
(analisi spettrale).
In un sistema di assi cartesiani, viene cioè riportato un tracciato spettrale che documenta la variazione nel
tempo della frequenza dell’onda emessa rispetto a quella dell’onda ricevuta (Doppler shift).
Dal Doppler shift si risale, quindi, alla velocità del flusso ematico, conoscendo la frequenza dell’onda
incidente e l’angolo che il fascio incidente forma con l’asse del vaso.
La valutazione del tracciato spettrale consente anche di stabilire presenza, direzione e tipo di flusso
(arterioso, venoso, laminare, turbolento...)
L’indagine inizia con scansioni ecotomografiche (B‐mode) longitudinali e trasversali rispetto all’asse
maggiore del vaso che forniscono informazioni morfologiche, quali:
Sede, forma e dimensioni della sacca aneurismatica
Eventuale presenza di un trombo parietale
Il passo successivo consiste nell’applicazione del color‐Doppler che permette di apprezzare il flusso ematico
tipico dell’aneurisma, il cui lume residuo, in sezione trasversale, mostra un aspetto a “bandiera coreana”.
Ciò dipende dalla presenza nella sacca di un flusso vorticoso in contemporaneo avvicinamento ed
allontanamento rispetto alla sonda.
L’ECD è, tuttavia, poco efficace nello stabilire:
Limiti superiore e inferiore dell’aneurisma
Rapporti dell’aneurisma con le arterie renali ed iliache (per il meteorismo delle anse intestinali
interposte)
Rotture in fase iniziale
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L’ECD, quindi, pur essendo utile per la diagnosi ed il controllo evolutiva – con cadenza semestrale – degli
AAA, si dimostra inadeguato per:
‐ la selezionare dei pz candidati all’intervento, chirurgico o endovascolare
‐ la pianificazione della procedura
‐ la dimostrazione, in condizioni di urgenza, di un’eventuale rottura
La selezionare dei pz candidati all’intervento, chirurgico o endovascolare, e la pianificazione della procedura
richiedono infatti il ricorso ad indagini strumentali di II livello, quali:
‐ Angio‐TC spirale mono o multistrato
‐ Angio‐RM
Tecnica
L’angio‐TC spirale mono o multistrato si realizza sincronizzando l’inizio della scansione con l’arrivo
nell’albero vasale in studio di un mdc iodato idrosolubile, iniettato ad alta concentrazione ed a flusso
elevato (4‐5 ml/sec) in una vena periferica, da una pompa di infusione elettronica.
La tecnica di sincronizzazione attualmente più utilizzata è quella del cdt “bolus tracking” che prevede il
posizionamento di una regione di interesse (ROI) in corrispondenza del vaso da esaminare ed il
monitoraggio del transito del mdc mediante scansioni dinamiche a bassa dose radiante.
La scansione diagnostica parte quando, nella ROI, viene raggiunto un valore di densità soglia prestabilito,
espresso in unità Hounsfield. In particolare, per un enhancement vascolare ottimale, sono richiesti valori di
densità > 350 UH.
Ciò serve, non solo, per favorire il riconoscimento delle strutture vasali ma, anche, per differenziare il lume
pervio da eventuali trombi murali di cui è possibile stabilirne l’estensione.
Le moderne apparecchiature a scansione elicoidale consentono di acquisire in tempi brevi tutti i dati di
grossi volumi che vengono successivamente impiegati per effettuare ricostruzioni MPR, con algoritmo di
proiezione della massima intensità (MIP), tridimensionali, con algoritmo VR.
Le ricostruzioni MPR offrono il vantaggio di poter realizzare accurate misurazioni anche in corrispondenza
di segmenti vascolari il cui decorso non è perpendicolare al piano di scansione assiale.
Le ricostruzione con algoritmo di proiezione della massima intensità (MIP), rappresentando solo i voxel a
più alto valore di attenuazione, mettono ulteriormente in risalto le strutture vascolari opacizzate dal mdc
Le ricostruzioni tridimensionali, con algoritmo VR sono utili per il bilancio di estensione ed una
documentazione di sintesi.
N.B. È indicato far precedere una scansione TC diretta, senza mdc, per individuare calcificazioni e per
riconoscere il cdt “crescent sign”, segno di imminente rottura: iperdensità semilunare della parete
arteriosa, che esprime l’iniziale penetrazione in essa di sangue
RM
Nelle classiche sequenze RM, il sangue in movimento non dà segnale, con il lume vasale che appare nero.
Lo studio RM dei vasi richiede, pertanto, l’esecuzione un’angio‐RM
Si distinguono:
‐ Angio‐RM convenzionale, senza mdc
‐ Angio‐RM con mdc
L’angio‐RM convenzionale, senza mdc fornisce un’immagine non del vaso bensì del flusso nel suo contesto.
Le principali tecniche che consentono di dimostrare il flusso ematico sono:
Tecnica di afflusso o del tempo di volo
Tecnica a contrasto di fase
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Tecnica di afflusso
Utilizza sequenze caratterizzate da impulsi di RF molto rapidi e ripetuti che determinano la saturazione
dei tessuti stazionari. Ciò significa che, tra 2 impulsi successi, i tessuti stazionari non hanno il tempo di
recuperare la magnetizzazione longitudinale. Il loro segnale, pertanto, subisce un progressivo
decremento fino alla completa scomparsa.
I protoni del sangue in movimento, invece, raggiungono la regione di interesse nell’intervallo fra due
impulsi, con quelli saturati dal precedente impulso che si sono già allontanati.
I protoni del sangue in movimento, quindi, presentano una magnetizzazione longitudinale completa ed
un’intensità di segnale superiore a quella dei tessuti stazionari.
Tecnica a contrasto di fase
Sottopone i protoni del sangue in movimento ad un campo magnetico lievemente differente lungo il
decorso del vaso. Ciò è reso possibile dall’applicazione di un gradiente di campo magnetico durante
l’acquisizione.
Angio‐RM con mdc
Supera i limiti dell’angio‐RM diretta quali:
Ristretto campo di vista
Impossibilità di cancellare totalmente il segnale dei tessuti stazionari
Assenza di informazioni relative alla parete vasale
Si basa sull’accorciamento del tempo di rilassamento T1 del sangue da parte di un mdc paramagnetico (Gd‐
DTPA) in misura proporzionale alla sua concentrazione.
L’intensità di segnale del sangue pertanto aumenta nelle sequenze T1‐pesate.
_______________________________________________________________________________________
L’angio‐TC è capace di documentare:
Sede, morfologia e dimensioni dell’aneurisma
Calcificazioni, meglio apprezzabili alla scansione diretta, pre‐contrastografica
Grado di pervietà del lume
Trombi murali
Estensione longitudinale dell’aneurisma e suoi rapporti con le arterie renali ed iliache, la cui valutazione
richiede ricostruzioni MPR.
N.B. particolarmente rilevante per la selezione dei pz da poter sottoporre ad intervento endovascolare
mediante protesi è il calcolo della distanza esistente tra origine delle arterie renali ed estremità craniale
dell’aneurisma, cdt colletto prossimale o sotto‐renale. Quando, infatti, tale distanza è < 15 mm,
l’intervento endovascolare risulta controindicato.
L’angio‐TC, inoltre, costituisce la metodica di riferimento nelle condizioni di urgenza quando permette di
riconoscere, in tempi brevi:
Segni di imminente rottura, apprezzabili alla scansione diretta, pre‐contrastografica, quali
“Crescent sign”: iperdensità semilunare della parete arteriosa, che esprime l’iniziale penetrazione in
essa di sangue
Discontinuità delle calcificazioni parietali dell’aneurisma
Segni di rottura
Ematoma perivasale
Stravaso extraluminale di mdc
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L’angio‐RM ha performance diagnostiche sovrapponibili, mostrando come vantaggi:
‐ Assenza di radiazioni ionizzanti
‐ Multiplanarità
‐ Disponibilità di un mdc meno nefrotossico
Rispetto alla angio‐TC, tuttavia,
‐ non consente di visualizzare calcificazioni parietali
‐ ha tempi di espletamento più lunghi, che ne rendono difficoltoso l’utilizzo in urgenza, condizione nella
quale il suo impiego viene ulteriormente limitato dalla presenza di presidi di monitoraggio e di
rianimazione
Attualmente, l’angio‐RM è utilizzata come alternativa all’angio‐TC solo in soggetti giovani, data l’assenza di
radiazioni ionizzanti ed in quelli che non possono ricevere mdc iodati, per allergia ed insufficienza renale.
Un’aortografia è poco accurata nello stabilire le dimensioni di un aneurisma poiché visualizza solo il lume
pervio. Le reali dimensioni della sacca aneurismatica verrebbero pertanto sottostimate in presenza di un
trombo.
L’indagine sarebbe indicata solo in fase pre‐operatoria al fine di precisare i rapporti dell’aneurisma con le
arterie viscerali, renali ed iliache.
Anche per la valutazione pre‐operatoria, comunque, l’aortografia viene sempre più sostituita da angio‐TC
ed angio‐RM
La decisione per l’intervento correttivo di un AAA deve essere presa individualmente, caso per caso.
È stato dimostrato che il rischio di rottura per piccoli aneurismi (< 5 cm) è piuttosto basso ed un accurato
monitoraggio fino a 5,5 cm viene considerato sicuro, purché in assenza di sintomatologia o di rapida
espansione (> 1 cm/anno).
Qualora si propenda per trattamento correttivo, la scelta tra scelta tra intervento chirurgico tradizionale ed
intervento endovascolare mediante protesi è subordinata alla valutazione di diversi parametri. Il principale
è rappresentato dalla distanza esistente tra origine delle arterie renali ed estremità craniale dell’aneurisma,
cdt colletto prossimale o sotto‐renale. Quando, infatti, tale distanza è < 15 mm, l’intervento endovascolare
risulta controindicato.
Nei pz trattati per via endovascolare con protesi è richiesto un follow up per identificare eventuali
complicanze, in particolare, endoleaks: rifornimento della sacca aneurismatica da parte di sangue pulsante.
Per far ciò, ci si può avvalere di:
‐ US con mdc vascolare
‐ Angio‐TC
‐ Angio‐RM
L’angio‐RM sarebbe la metodica più accurata per riconoscere endoleaks ma si raccomanda di non eseguirla
nelle prime 6 settimane successive al posizionamento della protesi che, pur essendo costituita da materiale
amagnetico, potrebbe spostarsi prima della definitiva stabilizzazione.
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Aneurismi dell’aorta toracica
Sono meno frequenti di quelli dell’aorta addominale, costituendo il 20‐30% di tutti gli aneurismi aortici.
Interessano:
‐ Aorta ascendente, nel 50% dei casi
‐ Arco aortico, nel 10% dei casi
‐ Aorta discendente, nel restante 40% dei casi
Gli aneurismi dell’aorta ascendente e dell’arco aortico sono, in prevalenza, ad eziologia malformativa; più di
rado, ad eziologia infettiva o secondari a patologie valvolari aortiche.
Gli aneurismi dell’aorta discendente, invece, sono di solito ad eziologia aterosclerotica.
Relativamente frequenti, inoltre, si dimostrano pseudo‐aneurismi istimici, causati da incidenti stradali
responsabili di gravi traumi contusivi del torace.
Gli AAT sono generalmente asintomatici e di riscontro occasionale nel corso di indagini strumentali, come
un esame radiografico standard del torace, effettuate per altri motivi.
L’esame radiografico standard del torace può evidenziare l’aneurisma come una massa più o meno
debordante dall’ombra mediastinica. La massa appare non dissociabile dall’aorta in nessuna proiezione ed
è spesso ben delimitata rispetto al parenchima polmonare circostante, per la presenza di un orletto
calcifico.
Possono associarsi:
Dislocazione della trachea
Erosione dello sterno, nel caso di aneurismi dell’aorta ascendente
Erosione della superficie anteriore dei corpi vertebrali, nel caso di aneurismi dell’aorta discendente
Il riscontro occasionale di aneurisma dell’aorta ascendente, può inoltre avvenire mediante
un’ecocardiografia con color‐Doppler.
La conferma diagnostica e la caratterizzazione di un’AAT necessitano, in ogni caso, di:
‐ Angio‐TC spirale mono o multistrato
‐ Angio‐RM
L’angio‐TC è capace di documentare:
Sede, morfologia e dimensioni dell’aneurisma
Calcificazioni, meglio apprezzabili alla scansione diretta, pre‐contrastografica
Grado di pervietà del lume
Trombi murali
Estensione longitudinale dell’aneurisma e suoi rapporti con i tronchi arteriosi sovra‐aortici, la cui
valutazione richiede ricostruzioni MPR, con algoritmo di proiezione della massima intensità (MIP) e
tridimensionali, con algoritmo VR.
L’angio‐TC, inoltre, costituisce la metodica di riferimento nelle condizioni di urgenza quando permette di
riconoscere, in tempi brevi:
Segni di imminente rottura, apprezzabili alla scansione diretta, pre‐contrastografica, quali
“Crescent sign”: iperdensità semilunare della parete arteriosa, che esprime l’iniziale penetrazione in
essa di sangue
Discontinuità delle calcificazioni parietali dell’aneurisma
Segni di rottura
Ematoma perivasale
Stravaso extraluminale di mdc
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L’angio‐RM ha performance diagnostiche sovrapponibili, mostrando come vantaggi:
‐ Assenza di radiazioni ionizzanti
‐ Multiplanarità
‐ Disponibilità di un mdc meno nefrotossico
Rispetto alla angio‐TC, tuttavia,
‐ non consente di visualizzare calcificazioni parietali
‐ ha tempi di espletamento più lunghi, che ne rendono difficoltoso l’utilizzo in urgenza, condizione nella
quale il suo impiego viene ulteriormente limitato dalla presenza di presidi di monitoraggio e di
rianimazione
Attualmente, l’angio‐RM è utilizzata come alternativa all’angio‐TC solo in soggetti giovani, data l’assenza di
radiazioni ionizzanti ed in quelli che non possono ricevere mdc iodati, per allergia ed insufficienza renale.
Un aneurisma dell’aorta toracica può essere esaminato anche mediante eco‐color‐Doppler trans‐esofageo,
utile soprattutto in pz instabili perché rapidamente praticabile al letto del malato.
Un’aortografia è poco accurata nello stabilire le dimensioni di un aneurisma poiché visualizza solo il lume
pervio. Le reali dimensioni della sacca aneurismatica verrebbero pertanto sottostimate in presenza di un
trombo.
L’indagine sarebbe indicata solo in fase pre‐operatoria al fine di precisare rapporti dell’aneurisma con TSA
ed arterie coronariche
N.B. Anche per la valutazione pre‐operatoria, comunque, l’aortografia viene sempre più sostituita da angio‐
TC e angio‐RM con mdc
Il trattamento correttivo è indicato per:
‐ Aneurismi asintomatici di diametro > 6 cm
‐ Aneurismi sintomatici
‐ Aneurismi fissurati e rotti
‐ Aneurismi in rapida evoluzione (> 1 cm/anno)
Mentre gli aneurismi dell’aorta ascendente sono di pertinenza chirurgica, quelli dell’aorta discendente
possono essere trattati, sia in elezione che in urgenza, per via endovascolare con protesi.
Follow‐up
L’angio‐TC è l’indagine di scelta sia per il monitoraggio annuale della crescita degli ATT sia per il follow up
dei pz sottoposti a trattamento chirurgico o endovascolare.
Un’alternativa può essere costituita da un’angio‐RM. Si raccomanda, tuttavia, di non utilizzare quest’ultima
nelle prime 6 settimane successive al posizionamento della protesi che, pur essendo costituita da materiale
amagnetico, potrebbe spostarsi prima della definitiva stabilizzazione.
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Dissezione aortica
Consiste nello scollamento dell’intima dell’aorta dalla tonaca medica che si verifica per la penetrazione di
sangue pulsante attraverso una lacerazione intimale (flap). Il lume vasale viene pertanto suddiviso in un
lume vero ed in un lume falso.
Il lume falso può terminare a fondo cieco o ricongiungersi al lume vero, attraverso un flap di rientro.
Possibile è l’estensione del processo dissecante sia in senso anterogrado che retrogrado, con
coinvolgimento di diversi rami dell’aorta.
Secondo la classificazione di Stanford si distinguono due tipi di dissezione aortica:
‐ Tipo A, che interessa l’aorta ascendente, isolatamente o in associazione al tratto discendente
‐ Tipo B, che non interessa l’aorta ascendente, con la breccia intimale situata dopo l’origine dell’arteria
succlavia di sin
Tale classificazione ha importanza prognostica e terapeutica.
Le dissezioni aortiche di tipo A, infatti, se non trattate, comportano un’elevata mortalità, che raggiunge il
50% a distanza di 48 h. Necessitano, pertanto, di un intervento cardiochirurgico d’urgenza.
Per le dissezioni aortiche di tipo B, invece, è possibile effettuare una terapia conservativa o endovascolare
in elezione.
FATTORI PREDISPONENTI
1. Ipertensione arteriosa (presente nel 75‐90% dei casi)
2. Sindrome di Marfan
3. Malformazioni aortiche congenite (coartazione aortica ed aorta bicuspide)
4. Valvulopatie aortiche acquisite (post‐reumatiche e degenerative)
5. Gravidanza (III trimestre)
6. Cateterismi
7. Abuso di cocaina
QUADRO CLINICO
La dissezione aortica tipicamente esordisce con un dolore toracico, improvviso, intenso e lacerante,
avvertito in regione retrosternale o interscapolare.
La progressione dello scollamento lungo l’aorta discendente comporta la migrazione del dolore verso la
parte bassa del torace e l’addome (marcia del dolore).
Il dolore è accompagnato da una sintomatologia ischemica complessa e variabile a seconda dei distretti
vascolari coinvolti dal processo dissecante.
L’infiltrazione ematica dell’anello valvolare aortico provoca un’insufficienza aortica acuta a rapida
evoluzione verso lo scompenso.
Possibile è la rottura dell’aorta, che può avvenire a livello di:
Pericardio, con tamponamento cardiaco
Cavità pleurica sin, con emotorace
Cavità peritoneale, con emoperitoneo
Le dissezioni aortiche vengono definite:
‐ Acute, qualora siano insorte da meno di due settimane
‐ Subacute, qualora siano insorte da un tempo compreso tra due settimane e due mesi
‐ Croniche, qualora siano insorte da più di due mesi
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ITER DIAGNOSTICO
Nei pz con dolore toracico acuto, il sospetto di dissezione aortica può esser posto da un esame radiografico
standard del torace che, in circa il 90% dei casi, dimostra uno slargamento dell’ombra mediastinica.
L’indagine strumentale d’elezione per la diagnosi è comunque costituita da un’angio‐TC spirale mono o
multistrato effettuando ricostruzioni MPR, con algoritmo di proiezione della massima intensità (MIP) e
tridimensionali, con algoritmo VR.
Indicato è uno studio preliminare senza mdc, per dimostrare:
1. Medializzazione delle calcificazioni intimali
2. Ematoma intramurale, che si manifesta sotto forma di un ispessimento iperdenso, semilunare o
circonferenziale, della parete arteriosa
La successiva fase arteriografica evidenzia:
1. Doppio lume dell’aorta, per opacizzazione del lume vero e di quello falso
Il lume vero può essere distinto dal falso individuandone la continuità con una porzione di vaso non
dissecata e valutandone la morfologia: il lume vero, infatti, ha solitamente dimensioni minori di quelle
del falso. Quest’ultimo, inoltre, presenta angoli di raccordo acuti tra flap di dissezione e parete aortica,
cdt “beak sign”.
2. Flap o lembo intimale, che appare come un difetto di riempimento lineare all’interno del lume vero
dell’aorta, opacizzato dal mdc
3. Eventuale coinvolgimento di rami collaterali nel processo dissecante
N.B. L’utilizzo, in urgenza, di un’angio‐RM è limitato dai tempi di esecuzione, più lunghi di quelli dell’
angioTC, e dalla presenza dei presidi di monitoraggio e di rianimazione
Le dissezioni dell’aorta toracica possono esser studiate anche avvalendosi di un eco‐color‐Doppler trans‐
esofageo
‐ La componente ecotomografica dell’indagine rivela il flap di dissezione.
‐ La componente color‐Doppler dell’indagine evidenzia flusso ematico nel vero e nel falso lume
Consente inoltre di riconoscere l’eventuale presenza di:
‐ Rigurgito valvolare aortico
‐ Versamento pericardico
‐ Tamponamento cardiaco
Per il follow up dei pz trattati mediante intervento chirurgico o endovascolare ci si avvale di un’angio‐TC.
Per il controllo evolutivo delle forme croniche di tipo B è anche possibile effettuare angio‐RM.
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Malattia steno‐occlusiva arteriosa
Riconosce, come causa principale, l’aterosclerosi, al cui sviluppo concorrono diabete mellito, ipertensione
arteriosa, dislipidemia.
Altre cause sono:
Fibrodisplasia (tipica è quella delle arterie renali)
Arteriti
Sindromi compressive, tra cui sindrome dello stretto toracico e sindrome da intrappolamento
dell’arteria poplitea
La malattia steno‐occlusiva arteriosa si manifesta con un quadro di sofferenza ischemia cronica dei distretti
interessati.
Possibile è un’ischemia acuta per fenomeni trombo‐embolici che conseguono alla rottura del cappuccio
fibroso di una placca aterosclerotica.
L’ indagine di I livello per la diagnosi di malattia steno‐occlusiva arteriosa in pressoché tutti i distretti
corporei è l’eco‐color‐Doppler
L’esame inizia effettuando scansioni ecotomografiche [B(brightness)‐mode], trasversali e longitudinali,
rispetto all’asse maggiore del vaso. Si ottengono, così, immagini bidimensionali di sezioni del vaso, formate
da punti a diversa luminosità in una scala di grigi. La luminosità di ciascun punto è proporzionale
all’intensità dell’eco che rappresenta.
Le scansioni ecotomografiche consentono di valutare calibro, decorso e pareti del vaso, dimostrando
l’eventuale presenza di ispessimento dell’intima e di placche aterosclerotiche che, in base alle
caratteristiche ecostrutturali, possono essere classificate come:
‐ Calcifiche
‐ Fibrolipidiche
Si procede quindi all’applicazione del color‐Doppler che permette di rappresentare “in tempo reale” sul
monitor, sovrapposte all’immagine ecotomografica, la velocità e la direzione del flusso ematico, codificate
secondo una scala di colori.
Tale scala cromatica, per convenzione, rappresenta con il rosso, il flusso in avvicinamento e con il blu,
quello in allontanamento, rispetto al trasduttore ecografico.
Le variazioni di luminosità del colore esprimono la velocità del flusso.
La rappresentazione del flusso ematico mediante una scala di colori favorisce il riconoscimento del lume
pervio e fornisce segni “colorimetrici” di stenosi. In particolare, l’aumento di velocità del flusso a livello
della stenosi produce, per aliasing, un’inversione del colore; le turbolenze a valle, invece, generano un
mosaico cromatico, con comparsa di colori addizionali.
Con il color‐Doppler è anche possibile quantificare, posizionando un volume campione all’interno del vaso
da esaminare, la velocità del flusso ematico, attraverso l’analisi dello spettro di frequenze del segnale
Doppler (analisi spettrale).
In un sistema di assi cartesiani, viene cioè riportato un tracciato spettrale che documenta la variazione nel
tempo della frequenza dell’onda emessa rispetto a quella dell’onda ricevuta (Doppler shift).
Dal Doppler shift si risale, quindi, alla velocità del flusso ematico, conoscendo la frequenza dell’onda
incidente e l’angolo che il fascio incidente forma con l’asse del vaso.
L’analisi spettrale è particolarmente utile nello studio della malattia steno‐occlusiva arteriosa perché
consente di stabilire, in maniera precisa, l’entità della stenosi, attraverso il calcolo del rapporto tra velocità
di picco sistolico (PSV) a livello della stenosi ed a monte della stessa. Una stenosi viene definita
emodinamicamente significativa quando tale rapporto è maggiore di 2.
A valle della stenosi può inoltre essere riconoscibile un flusso post‐stenotico, definito “tardus‐parvus” per
indicare il rallentamento dell’accelerazione sistolica ed il decremento della velocità.
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Qualora l’ECD dimostri una stenosi arteriosa emodinamicamente significativa è indicato l’impiego di
indagini strumentali di II livello, come un’angio‐TC o un’angio‐RM con mdc, per confermare l’indicazione al
trattamento dis‐ostruttivo e per scegliere tra intervento chirurgico o endo‐vascolare, sulla base di entità ed
estensione della stenosi.
Con l’angio‐TC, il grading della stenosi viene effettuato misurando il diametro del lume opacizzato dal mdc.
Per far ciò, è molto utile avvalersi di ricostruzioni MPR curve che permettono di analizzare il vaso secondo
un piano esattamente perpendicolare al suo decorso.
Il principale limite è costituito dalla diffusa calcificazione di piccoli vasi che ne ostacola la visualizzazione del
lume e che porta a sovrastimare l’entità della stenosi.
L’angio‐RM con mdc ha performance diagnostiche sovrapponibili offrendo come vantaggi:
‐ Assenza di radiazioni ionizzanti
‐ Multiplanarità
‐ Disponibilità di un mdc meno nefrotossico
Il suo limite consiste nell’incapacità di dimostrate calcificazioni.
Tale limite, tuttavia, pur rivelarsi un vantaggio perché favorisce la valutazione della pervietà di piccoli vasi
diffusamente calcifici.
L’angio‐TC e l’angio‐RM consento, inoltre, di caratterizzare le placche aterosclerotiche e di identificare
quelle instabili o vulnerabili, dotate cioè di un elevato contenuto lipidico ed a maggior rischio di
ulcerazione, con conseguenti fenomeni tromboembolici.
Attualmente, l’arteriografia viene effettuata solo con finalità terapeutiche (angioplastica percutanea e
posizionamento di stent).
Sindrome della vena cava superiore
È definita dall’associazione tra:
Edema a martellina, riguardante parte alta del torace, collo e volto
Turgore delle giugulari
Cianosi ed edema congiuntivale
Vertigini, lipotimia, sincope
Si verifica per l’ostruzione della vena cava superiore da parte di:
Neoplasie maligne (carcinoma broncogeno primitivo, linfomi, metastasi a carico dei linfonodi
mediastinici)
Malattia granulomatosa o fibrosa del mediastino
Aneurismi dell’aorta
Diagnosi
TC del torace con mdc
Dimostra:
Dilatazione della vena cava superiore a monte della stenosi e dei suoi rami
Sede e causa dell’ostruzione
Eventuale trombosi cavale, denunciata da riscontro di un’ipodensità centrale
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Flebografia
È impiegata soprattutto a scopo terapeutico. È infatti possibile trattare con tecnica endovascolare le
ostruzioni neoplastiche ab estrinseco, mediante il posizionamento di stent metallici e l’eventuale trombosi,
mediante fibrinolisi trans‐catetere.
Sindrome dello stretto toracico superiore
Dipende dalla compressione del peduncolo neuro‐vascolare dell’arto superiore.
La compressione generalmente si verifica in determinate posizioni, quali:
Sollevamento a 90° e rotazione esterna del braccio
Iperestensione del collo e torsione del capo verso il lato colpito
In tali posizioni, pertanto, si hanno:
Parestesie, dolore, deficit motori e sensitivi a carico di spalla, braccio e mano da compressione o
stiramento del plesso brachiale
Segni di stasi venosa, da compressione della vena succlavia
Scomparsa del polso radiale dell’arto superiore, da compressione dell’arteria succlavia
Cause
Anomalie anatomiche congenite, quali:
Costa cervicale
Inserzione anomala del muscolo scaleno anteriore sulla prima costa
Riparazione esuberante di una frattura costale o della clavicola
Neoplasie, soprattutto quelle del solco polmonare superiore o di Pancoast
Iter diagnostico
La compressione vascolare è dimostrabile praticando un eco‐color‐Doppler di arteria e vena succlavia da
effettuare in posizione indifferente (braccia lungo i fianchi) ed in quella che produce la sintomatologia del
pz.
Per la diagnosi eziologica ci si avvale innanzitutto di un esame radiografico diretto del torace che permette
di:
‐ riconoscere la presenza di una costa cervicale e la riparazione esuberante di una frattura costale o della
clavicola
‐ sospettare l’esistenza di un tumore di Pancoast evidenziando un ispessimento monolaterale ed
asimmetrico della pleura apicale, talora associata all’osteolisi dell’arco posteriore delle prime tre coste
e dei corrispondenti peduncoli vertebrali.
L’indagine più accurata per lo studio dello stretto toracico superiore è la RM per la sua multiplanarità e
per la capacità di dimostrare il coinvolgimento di rami nervosi del plesso brachiale.
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Materiale di Diagnostica per Immagini elaborato da Luigi Aronne
Trombosi venosa profonda dell’arto inferiore
Ha come CONDIZIONI PREDISPONENTI:
Stasi venosa, per prolungata immobilizzazione post‐operatoria, post‐partum, da malattie cronico‐
degenerative
Gravidanza
Uso di contraccettivi orali
Obesità
Ipercoagulabilità neoplastica o da discrasia ematica
Danno dell’endotelio da catetere, iniezione di sostanze irritanti, flebiti settiche
Può essere asintomatica o manifestarsi con:
Combinazione variabile di dolore, edema, calore, chiazze cutanee e vene superficiali turgide, nell’area
coinvolta
Complicanze a distanza (TEP)
ITER DIAGNOSTICO
Indagine strumentale di I livello: eco‐color‐Doppler
Segni di TVP sono:
‐ Aumento di calibro e non comprimibilità del vaso venoso
‐ Contenuto endoluminale di ecogenicità variabile a seconda dell’età del trombo
‐ Assenza di flusso ematico o non fasicità dello stesso con gli atti del respiro, al CD
‐ Sviluppo di circoli collaterali di compenso, con eventuale inversione del flusso
Può associarsi un’incontinenza del sistema valvolare, con reflussi patologici, apprezzabili in ortostatismo
Fondamentale è lo studio della porzione prossimale del trombo. In particolare, bisogna stabilire se essa sia
completamente adesa alla parete venosa o se risulti flottante nel lume vasale.
N.B. L’accuratezza diagnostica dell’ECD si riduce a livello iliaco‐cavale. Pertanto la sospetta estensione del
trombo a tali distretti venosi deve essere confermata mediante una veno‐TC o una flebografia a RM.
L’impiego della flebografia convenzionale è attualmente limitato al trattamento endovasale della TVP.
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