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Buon selvaggio

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Buon selvaggio è la denominazione di un mito basato sulla


convinzione che l'uomo in origine fosse un "animale" buono e
pacifico e che solo successivamente, corrotto dalla società e dal
progresso, diventasse malvagio.

Indice
Descrizione
Origini
Rousseau
Evoluzioni successive
Critiche Particolare della Morte del generale
Letteratura e cinema Wolfe di Benjamin West. Il ritratto di
questo indiano d'America creato da
Note
West è stato considerato
Bibliografia un'idealizzazione nella tradizione del
Collegamenti esterni "buon selvaggio"[1].

Descrizione
Nella cultura del Primitivismo del XVIII secolo, il "buon selvaggio" era considerato più lodevole, più
autenticamente nobile dei prodotti dell'educazione civilizzata. Nonostante l'espressione "buon selvaggio"
fosse già comparsa nel 1672 in La conquista di Granada di John Dryden (1672), la rappresentazione
idealizzata di un "gentiluomo della natura" fu un aspetto caratteristico del Sentimentalismo del secolo
successivo.

Il concetto di "buon selvaggio" si rifà a un'idea di umanità sgombra dalla civiltà: la normale essenza di
uomo senza impedimenti. Poiché tale concetto incarna la convinzione che senza i freni della civilizzazione
gli uomini siano essenzialmente buoni, le sue fondamenta giacciono nella dottrina della bontà degli esseri
umani, espressa nel primo decennio del Settecento da Anthony Shaftesbury, che incitava un aspirante
autore “a cercare quella semplicità dei modi, e quel comportamento innocente, che era spesso noto ai meri
selvaggi; prima che essi fossero corrotti dai nostri commerci” (Advice to an Author, Part III). La sua
opposizione alla dottrina del peccato originale, figlia dell'atmosfera ottimistica dell'Umanesimo
rinascimentale, venne raccolta da un suo coevo, il saggista Richard Steele, che attribuiva la corruzione dei
comportamenti contemporanei a un'educazione falsa.

Il concetto di buon selvaggio ha connessioni speciali in particolare con il Romanticismo e con la filosofia
romantica e illuminista di Jean-Jacques Rousseau.
Il mito del buon selvaggio ha origine nel tardo diciottesimo secolo, con la pubblicazione e la diffusione di
numerose relazioni sui viaggi d'esplorazione nelle terre australi (in particolare quelle di Bougainville e
James Cook), che parvero presentare un'intatta cultura edenica conservatasi nei Mari del Sud, dove né la
civiltà né la cristianizzazione erano ancora giunte (un esempio fatto spesso è quello dell'isola di Tahiti). A
partire dal 1784 tale opinione divenne un elemento così accettato nei discorsi correnti che Benjamin
Franklin ne derise alcune sue incoerenze in Remarks concerning the savages of North America (1784). Il
celebre romanzo Paul et Virginie, in cui Bernardin de Saint-Pierre racconta il destino di un "figlio della
natura" corrotto dal sentimentalismo falso e artificiale, apparve nel 1787 e Atala, storia d'amore di "due
selvaggi" di Chateaubriand, uscì nel 1801.

La stessa opinione comparve in molti altri libri all'inizio del XIX secolo. Per certi aspetti il celebre
Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Shelley (1818) può essere annoverato fra di essi: il suo
mostro infatti incarna l'ideale. Selvaggi buoni sono quelli del romanziere statunitense James Fenimore
Cooper (come in L'ultimo dei Mohicani, del 1826) o dell'autore tedesco Karl May (1842-1912) nelle sue
storie sul Selvaggio West. Aldous Huxley ne fornì un esempio moderno nel "selvaggio" John del suo
romanzo Il mondo nuovo (pubblicato nel 1932).

Origini
Intorno al quindicesimo secolo alcuni Stati europei iniziarono ad espandersi
oltremare, inizialmente in Africa ed in seguito in Asia e nelle Americhe.
Generalmente cercavano risorse minerarie (come l'argento e l'oro), terra (per
la coltivazione di raccolti da esportare come il riso e lo zucchero e per la
coltivazione di altri generi alimentari per sfamare le comunità minerarie) e
manodopera (per lavorare nelle miniere e nelle piantagioni). In qualche caso i
colonizzatori uccisero i popoli indigeni, in altri casi la gente veniva
incorporata in questi Stati in espansione fungendo da forza lavoro.

Sebbene gli Europei riconoscessero che queste popolazioni fossero esseri


umani, non avevano intenzione di trattarli come loro eguali politicamente o
economicamente, ed anzi iniziarono a riferirsi a loro come inferiori
socialmente e psicologicamente. Con questo ed altri pensieri similari, gli
Europei svilupparono una nozione de "il primitivo" e "il selvaggio" che da un Un ritratto del 1839 ad
opera di Nathaniel
lato legittimò il genocidio e l'etnocidio, e dall'altro la dominazione europea.
Jocelyn che raffigura
Questo ragionamento si estese ai popoli dell'Africa, dell'Asia e dell'Oceania
Joseph Cinque, leader
mentre il colonialismo europeo, il neocolonialismo e l'imperialismo si
della rivolta degli schiavi
espandevano.
sulla nave Amistad
L'idea del "buon selvaggio" può essere servita, in parte, come tentativo di
ristabilire il valore degli stili di vita indigeni e delegittimare gli eccessi
imperialistici, definendo gli uomini "esotici" come moralmente superiori, in modo da controbilanciare le
inferiorità politiche ed economiche percepite.

Le qualità del "buon selvaggio" spesso comprendono:

Vivere in armonia con la Natura


Generosità e altruismo
Innocenza
Incapacità di mentire, fedeltà
Salute fisica
Disdegno della lussuria
Coraggio morale
Intelligenza "naturale" o saggezza innata e spontanea

Rousseau
Jean-Jacques Rousseau è colui che ha contribuito più di altri a
creare la figura del buon selvaggio. La frase iniziale dell'Émile di
Rousseau (1762), che ha come sottotitolo "o dell'educazione" è:

(FR) (IT)

«Tout est bien sortant «Ogni cosa è buona


des mains de l'Auteur mentre lascia le mani
des choses, tout del Creatore delle cose;
dégénère entre les ogni cosa degenera
mains de l'homme.» nelle mani dell'uomo»

La concezione è esposta anche nel Contratto sociale, nel Discorso


sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini, nel
Discorso sulle scienze e le arti e in altre opere del filosofo svizzero.

In realtà per Rousseau, l'uomo non è propriamente un "buon Jean-Jacques Rousseau


selvaggio", né un "cattivo selvaggio" (si tratta di esemplificazioni
del suo pensiero), ma semplicemente un essere neutro "né buono né
cattivo, senza vizi né virtù".[2]
Per il pensatore ginevrino la descrizione di Hobbes della natura umana,
descritta come sostanzialmente competitiva ed egoista ed esemplificata dalle frasi Bellum omnium contra
omnes ("la guerra di tutti contro tutti" nello stato di natura), e Homo homini lupus ("ogni uomo è lupo per
l'altro uomo"), e che ha trovato riscontro nel campo dell'antropologia politica[3], è una descrizione che
raffigura l'uomo già degenerato a causa di cattive influenze, come la proprietà della terra, la religione
organizzata, l'organizzazione tribale[4], non l'uomo naturale, il quale mira solo alla conservazione di sé
("amor di sé", ovvero il sentimento assoluto che assicura l'autoconservazione dell'individuo, contrapposto
all'egoistico "amor proprio") ed è naturalmente empatico verso il proprio simile. Per Rousseau occorreva
conservare il buono della civiltà, ma riportare la bontà innata della natura nell'uomo, attraverso una
pedagogia apposita (in cui il bambino è visto come un buon selvaggio incontaminato dalle influenze
esterne), e con riforme politiche.[5]

Rousseau vedeva una divaricazione sostanziale tra la società e la natura umana, e affermava che l'uomo
venisse corrotto dalla società; vedeva questa come un prodotto artificiale nocivo per il benessere degli
individui. Nel Discorso sull'ineguaglianza, illustrò il progresso e la degenerazione dell'umanità da un
primitivo stato di natura sino alla società moderna. Rousseau suggeriva che gli uomini primordiali fossero
individui isolati, diversi dagli altri animali unicamente per il possesso del libero arbitrio e per la capacità di
perfezionarsi. Questi uomini primitivi erano dominati dall'impulso di autoconservazione ("amore di sé") e
da una disposizione naturale alla compassione e alla pietà verso i simili. Quando l'umanità, da piccoli
gruppi, fu costretta a vivere in comunità, a causa della crescita della popolazione, subì una trasformazione
psicologica, in seguito alla quale cominciò a considerare la buona opinione degli altri come un valore
indispensabile per il proprio benessere. Rousseau associava questa nuova forma di consapevolezza a un'età
dell'oro della prosperità umana.[6] Tuttavia, lo sviluppo dell'agricoltura e della metallurgia, e la conseguente
creazione della proprietà privata e della divisione del lavoro, portarono a una crescente dipendenza
reciproca degli individui e alla disuguaglianza tra gli uomini. La conseguente condizione di conflitto tra chi
aveva molto e chi poco o nulla, fece sì, secondo Rousseau, che il primo Stato fu inventato come una forma
di contratto sociale suggerito dai più ricchi e potenti. Difatti i ricchi e i potenti, tramite il contratto sociale,
sanzionarono la proprietà privata, lo stato di fatto e quindi istituzionalizzarono la diseguaglianza come se
fosse inerente alla società umana. Rousseau concepiva la propria proposta per un nuovo contratto sociale
come un'alternativa a questa forma fraudolenta. Al termine del Discorso sull'ineguaglianza, Rousseau
spiega come il desiderio di essere considerati dallo sguardo altrui, che si era generato durante l'età dell'oro,
aveva potuto, sul lungo periodo, corrompere l'integrità e l'autenticità degli individui all'interno di una
società, quella moderna, segnata dalla dipendenza reciproca, dalle gerarchie e dalle diseguaglianze sociali.[7]

Rousseau ribatteva alle critiche sottolineando come insidioso l'errore di Hobbes che – pur identificando
correttamente l'importanza di una ricostruzione filologica della storia dell'umanità come base della filosofia
politica – ha proiettato arbitrariamente sull'uomo di natura caratteristiche di malvagità proprie dell'uomo
civile, già corrotto dalla società.[8]; egli mette anche in evidenza il fatto che lo stato originario dell'uomo
selvaggio da lui teorizzato (l'état de nature, lo «stato di natura») è concepito più come un'ipotesi teorica
volta a comprendere i principi delle cose che come una fase storica realmente verificatasi in un passato più
o meno remoto:[8] si tratta di «conoscere bene uno stato che non esiste più, che forse non è mai esistito, che
probabilmente non esisterà mai, e di cui tuttavia bisogna avere nozioni giuste per giudicare bene del nostro
stato presente.»[9] Anche se a tratti sembra che la sua ricostruzione storica voglia essere molto realistica
(basandosi sulle opere di etnografi e geografi, su resoconti di viaggio e sull'Histoire naturelle di Buffon)[8]
Rousseau intende soprattutto produrre delle congetture,[8] «non [...] verità storiche, ma solo ragionamenti
ipotetici e condizionali, più adatti a chiarire la natura delle cose che non a svelarne la vera origine.»[9]

Rispondendo a Voltaire, Rousseau aggiunse poi che

«Poiché sono più di lui autorizzato a contare e pesare i mali della vita umana, ne feci
un esame equilibrato e gli provai come di tutti questi mali non ve ne sia uno solo
imputabile alla Provvidenza o che non abbia la sua matrice nell'abuso compiuto
dall'uomo delle sue facoltà anziché nella natura stessa.»

(J.-J. Rousseau, Le confessioni)

Evoluzioni successive
Giacomo Leopardi considera l'uomo felice nello stato di natura nella prima parte della sua speculazione
filosofica, per poi abbandonarla nella fase del cosiddetto pessimismo cosmico.

La caratterizzazione dell'uomo come animale sociale e sostanzialmente ben disposto verso i propri simili più
prossimi è stata fatta notare anche dalla biologia. Nelle scienze umane, l'empatia designa un atteggiamento
verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva
personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi
pionieristici di Charles Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi
recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l'empatia non nasce da
uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie. Si vedano al proposito anche gli
studi di Daniel Stern. La selezione naturale e l'evoluzione hanno rafforzato l'empatia, in quanto
conservativa del DNA e della specie, e presente quindi in un individuo sano. Molti studiosi e pensatori,
come il Mahatma Gandhi o l'antropologo Claude Lévi-Strauss, hanno condiviso l'idea che l'uomo possa
nascere buono ed empatico in uno stato di natura.

Tuttavia è stato anche dimostrato un fondo di aggressività innata e come persone comuni, in particolari
condizioni, possano diventare facilmente "malvagi" e obbedire a ordini sbagliati. Sperimentazioni di questo
tipo sono state effettuate nei cosiddetti esperimento di Milgram ed esperimento carcerario di Stanford, e
sono stati presi ad esempio dell'erroneità della teoria sulla natura buona dell'essere umano, anche se
potrebbero essere interpretati anche alla maniera opposta, ovvero che l'individuo umano sia sostanzialmente
neutro, e venga spinto a diventare buono o cattivo dall'ambiente, dagli impulsi che riceve (specie
dall'autorità) e dalla società (in quanto animale sociale), fino a degenerare irrimedialmente.[10][11][12]

Il mito del buon selvaggio ha ispirato anche movimenti come l'ecologia profonda.[13]

Critiche
Nel diciottesimo secolo si dibatté a lungo su questo concetto di potere tra Voltaire e Rousseau, presi spesso
a rappresentare la contrapposizione fra il romanticismo e la nuova era dei Lumi. Oltre a Hobbes, anche
Giambattista Vico aveva esposto precedentemente a Rousseau una concezione antitetica al buon selvaggio,
quella del "bestione".

Nel ventesimo secolo, il concetto del buon selvaggio arrivò ad essere visto come irreale e condiscendente.
Poiché era basato su certi stereotipi, venne considerato come una forma di razzismo, anche quando
rimpiazzava il precedente stereotipo del selvaggio sanguinario. È stato criticato da molti, per esempio Roger
Sandall, in campo accademico, antropologico, sociologico e religioso.

Per esempio nel cristianesimo si considera l'umanità intera, senza eccezione alcuna, soggetta al peccato
originale (che Rousseau negava esplicitamente), come è evidente nel romanzo di Eugenio Corti, La terra
dell'indio.

Altri critici furono lo scrittore William Golding e il padre della psicoanalisi Sigmund Freud. Fino a tempi
recenti una parte dell'antropologia culturale ha continuato a sostenere l'idea della fondamentale pacificità
delle popolazioni incontaminate, anche a dispetto dei resoconti degli esploratori europei, nel Sudamerica e
dell'Oceania a partire dal '600, che riferivano con una certa regolarità di pratiche violente (sacrifici umani o
cannibalismo, infanticidio e altro). L'idea prevalente era che gli scontri, nelle cosiddette tribù pre-statali,
siano solo una conseguenza estemporanea di crisi alimentari (scarsità di proteine).

Alcuni studi moderni tendono a demolire questa visione (Alice Dreger, Napoleon A. Chagnon); le
aggressioni inter tribali risultano essere prevalentemente incursioni per il rapimento di donne, o per il
recupero di donne rapite, o per vendette. Chignon, studioso degli Yanomamö dell'Amazzonia, stima che
circa una persona su tre muoia nel corso di raid o combattimenti, con una percentuale doppia negli uomini
rispetto alle donne.

Il regista Stanley Kubrick, il quale nutriva fortissimi dubbi sulla bontà della specie umana e sulla capacità di
autogovernarsi senza istituzioni, considerava ogni uomo come un essere aggressivo e violento per natura,
non un "buon selvaggio" ma un "cattivo selvaggio":

«L'uomo non è un nobile selvaggio, è piuttosto un ignobile selvaggio. È irrazionale,


brutale, debole, sciocco, incapace di essere obiettivo verso qualunque cosa che
coinvolga i propri interessi. Questo, riassumendo. Sono interessato alla brutale e
violenta natura dell'uomo perché è una sua vera rappresentazione. E ogni tentativo di
creare istituzioni sociali su una visione falsa della natura dell'uomo è probabilmente
condannato al fallimento.[14]»

Letteratura e cinema
Il buon selvaggio come protagonista o, più spesso, affiancato al protagonista, è stato per lungo tempo un
personaggio popolare tipico della letteratura. Forse il primo più notevole esempio è venerdì di Robinson
Crusoe (1719) di Daniel Defoe. Altri esempi includono Dirk Peters da Storia di Arthur Gordon Pym di
Edgar Allan Poe (1838), il Buon Selvaggio da Foglie d'erba di Walt Whitman, Chingachgook e Uncas dai
L'ultimo dei Mohicani di James Fenimore Cooper (1823), Dagoo da Moby Dick di Herman Melville
(1851).

La cultura popolare del ventesimo secolo ha inoltre espresso la propria ereditata visione del buon selvaggio
collocandolo in ambientazioni fantasy o di fantascienza. Un esempio per tutti, la figura di "Tarzan". Il
significato di "barbaro" nella cultura popolare contemporanea è diventato simpateticamente colorato da
simili fantasie.

Con la crescita della sensibilità relativa agli stereotipi razzisti, la fantascienza ha spesso posizionato gli alieni
nel ruolo di buon selvaggio (ad esempio E.T. l'extra-terrestre di Steven Spielberg o gli Ewok di Guerre
stellari).

I lettori del ventesimo secolo hanno ricollocato alcune figure letterarie (come la creatura del dottor
Frankenstein) nel ruolo di "buon selvaggio": il mostro del romanzo Frankenstein (1818) di Mary Shelley
infatti è originariamente buono e gentile, ma a causa del fatto che sia Frankenstein sia altre persone lo
respingono, in quanto spaventoso di aspetto, diventa aggressivo e lentamente malvagio, fino a uccidere il
suo creatore (nonché amici e famigliari dello scienziato) e infine suicidarsi per il senso di colpa. Ciò è in
linea con le idee politiche e filosofiche di Mary Shelley, tratte da quelle di suo padre William Godwin,
pensatore anarchico di formazione rousseauiana, e di suo marito Percy.

Ispirato una storia vera è Il ragazzo selvaggio di François Truffaut.

Note
1. ^ Vivien Green Fryd, "Rereading the Indian in Benjamin West's Death of General Wolfe", in
American Art, IX, 1 (spring 1995), p. 75.
2. ^ J.-J. Rousseau, Discorso sull'origine della diseguaglianza
3. ^ Thomas Hobbes, Dall'antropologia alla teoria politica in Treccani.it (http://www.treccani.it/s
cuola/lezioni/in_aula/scienze_umane_e_sociali/hobbes/mainArea.html) Archiviato (https://w
eb.archive.org/web/20151119172146/http://www.treccani.it/scuola/lezioni/in_aula/scienze_u
mane_e_sociali/hobbes/mainArea.html) il 19 novembre 2015 in Internet Archive.
4. ^ J.-J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti
5. ^ Ernst Cassirer, Il problema Gian Giacomo Rousseau, pag. 86-87. In Ernst Cassirer, Robert
Darnton, Jean Starobinski, Tre letture di Rousseau, a cura di Maria Albanese, Roma-Bari,
Laterza, 1994, ISBN 88-420-4402-4.
6. ^ J.-J. Rousseau, Discorso sull'origine della diseguaglianza, parte I
7. ^ J.-J. Rousseau, Discorso sull'origine della diseguaglianza, parte II
8. Emilio Zanette, Jean-Jacques Rousseau. In F. Cioffi, F. Gallo, G. Luppi, A. Vigorelli, E.
Zanette, Diálogos (volume secondo: La filosofia moderna), Edizioni Scolastiche Bruno
Mondadori, 2000, ISBN 88-424-5264-5., pag. 273-74
9. J.-J. Rousseau, Scritti politici, p. 131.
10. ^ Buoni o cattivi? Soprattutto conformisti (http://liberatutti.com/buoni-o-cattivi/)
11. ^ Gian Piero de Bellis, Dall'idiota di massa seriale all'essere umano singolare (http://www.po
lyarchy.org/paradigm/italiano/persona.html)
12. ^ L'essere umano è meno crudele di quanto si creda? L'esperimento Milgram riveduto e
corretto (http://www.repubblica.it/scienze/2015/01/26/news/l_essere_umano_meno_crudele
_di_quanto_sembri_l_esperimento_milgram_riveduto_e_corretto-105585710/)
13. ^ Devis Bonanni, Il buon selvaggio: Vivere secondo natura migliora la vita, capitolo "Il buon
selvaggio e l'ecologia profonda", Marsilio, 2015
14. ^ Dichiarazione di Kubrick al NY Times del 30 gennaio 1972

Bibliografia
Johannes Fabian, Time and the Other: How Anthropology Makes its Object
Eric R. Wolf, 1982. Europe and the People without History (Berkeley: University of California
Press)
Marianna Torgovnick, 1991. Gone Primitive: Savage Intellects, Modern Lives (Chicago)
Ter Ellingson, 2001. The Myth of the Noble Savage (Berkeley: University of California Press)
Roger Sandall 2001 The Culture Cult: Designer Tribalism and Other Essays ISBN 0-8133-
3863-8
Steven Pinker. 2002. The Blank Slate: The Modern Denial of Human Nature (Viking) ISBN
0-670-03151-8
Fergus M. Bordewich, "Killing the White Man's Indian: Reinventing Native Americans at the
End of the Twentieth Century"
Robert F. Berkhofer, "The White Man's Indian: Images of the American Indian from
Columbus to the Present"
Peter C Rollins, "Hollywood's Indian : the portrayal of the Native American in film"
Vine Deloria, Jr., "The Pretend Indian: Images of Native Americans in the Movies"
Constant battles: the myth of the peaceful, noble savage / Steven LeBlanc - New York: St
Martin's Press, 2003. ISBN 0-312-31089-7

Collegamenti esterni

(EN) Buon selvaggio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.


Dictionary of the History of Ideas (http://etext.lib.virginia.edu/cgi-local/DHI/dhi.cgi?id=dv3-
73); "Primitivism in the Eighteenth Century".
The Culture Cult (http://www.culturecult.com): The Culture Cult
Thesaurus BNCF 8775 (https://thes.bncf.firenze.sbn.it/termine.php?id=8775) ·
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