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Un doppio nome espressivo: Debarîm, “Parole” – il libro si apre con “Tali sono le parole che parlò
Mosè” – e deuteronomion nella tradizione greca, “seconda legge”, sulla base di Dt 17,18 (“[il re]
scriverà lui stesso un doppio di questa torah su un libro”), che la LXX ha tradotto: “scriverà lui stesso
questa ‘seconda legge’ (deuteronomion) su un libro”; il Dt è infatti un fenomeno di “deutérose” (Cfr.
P. BEAUCHAMP, L’un et l’autre testament, Paris, Seuil, 1976, pp. 150-163).
Nella sua Dissertatio critica, qua Deuteronomium a prioribus Pentateuchi libris diversum, alius
cuiusdam recentionis opus esse monstratur (1805), W.M. DE WETTE ha messo in relazione la riforma
di Giosia (622/21 a.C.) e le prescrizioni del Dt, procurando all’indagine storico-critica il suo punto di
Archimede (rapporto già avvertito da Giovanni Crisostomo e Girolamo).
→ il “libro trovato” di Giosia è stato equiparato al nucleo legale del Dt, ed è stato considerato un testo
antesignano di Dt 5–28 (o almeno di Dt 12–26). L’ipotesi di una redazione all’epoca di Giosia (640-
609), e in ambito di corte, combacia con la presenza di echi letterali del documento assiro STE (672),
in Dt 13 e Dt 28,20-44 (STE § 56, 38A-42; 63-65). Attorno al nucleo giosiano, la cornice del Dt viene
attribuita alla redazione Dtr.
► Trattati ittiti. Nel 1954, G.E. MENDENHALL ha messo in luce le analogie fra la Bibbia ebraica e i
trattati di vassallaggio dell’impero Ittita (sugli altipiani d’Anatolia), fra 1450-1200 a.C. (pubblicati nel
1931).
Es 19–24 Gs 24 Deuteronomio
La stipulazione principale del giuramento recita: “Non istallate un altro re [diverso da mio figlio
Assurbanipale] o un altro signore su di voi” (STE II, 292-301) → la stipulazione principale del Dt nel
Decalogo e passim: “non avrai altri dei davanti alla mia faccia” (Dt 5,7).
La lealtà nei confronti del sovrano nei trattati e l’amore di Dio nel Deuteronomio
Nei trattati del Vicino-Oriente antico, il sovrano richiedeva da parte del vassallo un rapporto di lealtà
nei suoi confronti e nei confronti del principe erede, che era espresso mediante il verbo “amare” (acc.
râmu/ra’āmu):
Cfr. W.L. MORAN, “The Ancient Near Eastern Background of the Love of God in Deuteronomy”,
CBQ 25 (1963) 77-87.
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La Bibbia ha tuttavia il suo modo di adoperare e riformulare il concetto (si scopre, fra le altre cose, che
anche Dio è soggetto del verbo: Dt 4,37; 7,8; 10,18; 23,6). Cfr. l’apologia di B.T. ARNOLD’s a favore
della connotazione affettiva di “amare” nel Deuteronomio, accanto alla sua interpretazione cognitiva e
comportamentale: “The Love-Fear Antinomy in Deuteronomy 5-11”, VT 61 (2011) 551-569.
Maledizioni. I trattati neo-assiri sono segnati dalla scomparsa del prologo storico e dall’inflazione
delle maledizioni. Sono notevoli le corrispondenze fra Dt 28 e STE: Dt 28,26-33 segue la sequenza di
STE 39-42; combinazione di motivi analoga in Dt 28,23-24 e STE 63-64; ordine tematico comune in
Dt 28,20-44 e STE 56; cfr. H.U. STEYMANS, Deuteronomium 28 und die Adê zur Thronfolgeregelung
Asarhaddons: Segen und Fl uch im Alten orient und in Israel, OBO 145, Freiburg 1995.
→ La messa in scena del Deuteronomio appare come una risposta mimetica e polemica
all’imperialismo pagano neo-assiro (cfr. E. Otto). “Lo strumento dell’imperialismo neo-assiro,
trasformato dagli autori del Deuteronomio, divenne lo strumento di una liberazione dall’imperialismo
pagano” (B.M. Levinson, p. 342).
(B. Levinson)”, in T. Michel, ed., Friends on the Way: Jesuit Encounter Contemporary
Judaism, New York 2007, 128-141.
►Il canone
La dimensione canonica della Scrittura non concerne solo l’ultimo stadio della crescita della Scrittura;
concerne ugualmente le fasi intermedie del suo sviluppo. Il segno dell’antichità del “pensiero del
canone” si legge nella formula del canone (Dt 4,2; 5,22; 13,1: “non vi aggiungerai nulla e nulla vi
toglierai”). A un certo momento della storia dell’Israele biblico, il Codice dell’alleanza (Es 20–23) ha
rappresentato il corpus legale autorevole in Israele, normativo per la vita del popolo. Esso ripresenta il
punto di partenza della tradizione legale di Israele. Ma se il testo è fissato, come rispondere alle nuove
sfide che devono affrontare le generazioni che si susseguono? Come fare sì che l’antica Parola di Dio
non diventi desueta, e raggiunga ancora e sempre la vita del popolo?
Quando le determinazioni legali non sono ricevute come legge rivelata, ma come provvedimenti
umani, il cambiamento della legge non fa troppo problema. Nel 1906 è stato ritrovato a Boghazköy,
capitale dell’impero Ittita (Anatolia, 1700-1200 a.C.) un corpus (legale) di circa 200 paragrafi, in
diverse copie di epoche diverse. Senza prologo né quadro narrativo, le leggi ittite si enunciano in
modo impersonale:
Se qualcuno acceca un uomo libero o gli fa cadere un dente, una volta (karū) avrebbe pagato
una mina d’argento, ma ora ((kinuna) paga venti shekel d’argento; impegnerà la sua proprietà
come garanzia (§ 7)
H. HOFFNER, The Laws of the Hittites: A Critical Edition, Leiden 1997, 21.
Una formula analoga si legge in Rt 4,7, a proposito del dibattito giuridico fra Boaz e la sua parentela:
Anticamente in Israele vigeva quest’usanza riguardo al diritto di riscatto o alla permuta: per
convalidare un atto, uno si toglieva il sandalo e lo dava all’altro. Questa era la forma di
autenticazione in Israele.
Ma si tratta di una consuetudine che non dipende dal “diritto rivelato” del Sinai. Una legge di origine
divina, invece, non potrebbe essere dichiarata obsoleta, se non da Dio stesso.
Per introdurre cambiamenti legali (ed altri) nella rivelazione ricevuta e in quanto rivelazione, gli scribi
biblici hanno sviluppato le strategie e tecniche redazionali dell’“ermeneutica dell’innovazione” (B.
Levinson): diversi fenomeni di riscrittura (Fortschreibung) nello stesso tempo conservatrice e
innovatrice. Fishbane descrive fenomeni
- di restrizione di una legge anteriore, con l’uso delle parole ’akh (“tuttavia”) o raq (“soltanto”)
(cf. Dt 20,16.20);
- di espansione attraverso l’uso di ’o (“o”) e kol (“tutto, ogni”). Possono anche intervenire le
formule “lo stesso… così” (cf. Dt 22,26) e “così farai per...” (cf. Dt 22,1-3 che riscrive Es
23,4; Dt 15,17 che reinterpreta Es 21,2-11).
Tuttavia, la maggioranza delle reinterpretazioni si fanno sotto banco, senza formula esplicita, grazie a
fenomeni di conflazione, ricontestualizzazione, specializzazione semantica, ecc., di tipo lemmatico
(sulla base dei lemmi forniti dal testo-matrice).
►Dt 12 e Es 20,24
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“Farai per me un altare di terra e sopra di esso sacrificherai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di
comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni il-luogo (bekol hammaqôm*) dove io vorrò far
ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò” (Es 20,24).
La legge divina legittima una pluralità di altari attraverso il paese, “in ogni luogo”; l’altare fungeva
anche da macelleria locale: “sopra di esso sacrificherai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione,
le tue pecore e i tuoi buoi”. L’altare del villaggio permetteva non solo di offrire in sacrificio animali
alla divinità, ma anche di macellare ritualmente animali destinati al consumo. Le due attività erano
riunite sotto una sola parola; le due pratiche, erano ugualmente sacre: si facevano sull’altare.
“Guàrdati bene dall’offrire i tuoi olocausti in qualunque luogo (bekol maqôm) avrai visto. È
solo nel luogo (bammaqôm = be + ha + maqôm) che Yhwh avrà scelto in una delle tue tribù
che offrirai i tuoi olocausti: là farai quanto ti comando” (Dt 12,13-14).
Dio si sarebbe contraddetto, prescrivendo altari molteplici in Es 20,24 e un altare unico in Dt 12,13-
14? O sarebbe Mosè a mettere Dio in contraddizione? I redattori del Deuteronomio hanno infatti
approfittato della “provvidenziale” indeterminazione o eccedenza di senso del testo matrice “ in ogni
il-luogo (bekol hammaqôm) (Es 20,24):
- per riferirsi al senso distributivo (senza l’articolo definito): “in qualunque luogo (bekol
maqôm)”; Dt 12,15-16 aggiunge: in qualunque luogo sarà ormai permesso di abbattere animali
per il consumo;
- e per riferirsi al luogo (singolare): “nel luogo” (bammaqôm = be + ha + maqôm), l’unico in
cui ormai offrire sacrifici.
Dio quindi non si è contraddetto, e Mosè non lo ha messo in contraddizione: la “lettera” della prima
legge (Es) permetteva l’inserzione della “lettera”, e dello spirito, della seconda legge (Dt).
►Oltre alla legge dell’altare: “All the laws of the BC [Book of the Covenant in Exodus 20–23] were
interpreted in Deuteronomy under the aspect of cult-centralization except for the collections of the
compensation-laws and the laws of bodily injury in Exod. 21.18–22.14” (E. OTTO, “Aspects of Legal
Reforms and Reformulations in Ancient Cuneiform and Israelite Law”, in B.M. LEVINSON, ed.,
Theory and Method in Biblical and Cuneiform Law: Revision, Interpolation, and Development,
JSOTS 181, Sheffield 1994, 195).
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→M. Rose: “Nessun ‘formulario d’alleanza’ offre un modello soddisfacente per spiegare tutti gli
aspetti della forma attuale (canonica) del libro biblico; per certi elementi, gli accostamenti ipotizzati
sono molto ricercati e piuttosto problematici” (Guida di lettura dell’Antico Testament, Bologna 2007,
196).
I II III IV
1,1–4,40 + 4,41- 4,44–26,19 + 27–28 29,1–30,20 + 31–32 33 + 34
44
“Queste “E questa è “Queste sono le “E questa è la
sono le la parole benedizione”
parole” Torah” dell’alleanza”