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Lego – La crisi

Verso la fine del 2004, Jorgen Knudstorp affrontava la più complicata sfida della sua giovane carriera. A soli
36 anni era stato nominato CEO di Lego Group, per anni marchio di grande successo nella produzione di
giocattoli ora, improvvisamente, sull’orlo del baratro finanziario (Exhibit 1).

Le decisioni da prendere non erano semplici. Lego avrebbe dovuto tornare a concentrarsi sui mattoncini di
plastica della sua tradizione o avrebbe dovuto continuare a investire sulle nuove linee di prodotto che per
molti rappresentavano il suo futuro? Nell’ambito dei mattoncini di plastica, avrebbe dovuto continuare a
produrre direttamente la quasi totalità del prodotto o piuttosto rivolgersi a contract manufacturer esterni?
Perché l’azienda si trovava in scarsità di prodotto su alcune linee e invece piena di invenduto su altre? Perché
complessità e costi erano cresciuti in maniera così drammatica e tale da rendere alcune linee di prodotto non
più profittevoli? E per di più, perché Knudstorp doveva faticare così per riuscire a capire quali linee di
prodotto fossero profittevoli e quali invece no?

Il settore del giocattolo

Il settore, nel corso del 2004, aveva registrato un fatturato globale di circa 61 miliardi di $. Il mercato retail
per i giocattoli cresceva ad un tasso costante del 4% annuo, ma la domanda per alcuni giocattoli “di moda”
poteva crescere e calare con grande rapidità.

Migliaia di player operavano nel settore del giocattolo, ma con alcuni operatori di particolare peso. Mattel,
leader mondiale per fatturato (5,1 miliardi $ nel 2004) controllava marchi come Fisher-Price, Barbie, Hot
Wheels e le bambole American Girl. Hasbro, secondo player al mondo (3,0 miliardi $ di fatturato) controllava
Transformers, Monopoly, GI Joe, Playskool. Per vincere l’attenzione del consumatore, conquistare spazio a
scaffale e generare vendite, i produttori di giocattoli introducevano novità, tagliavano i prezzi,
sponsorizzavano campagne in collaborazione con i retailer, fornivano supporto in punto vendita e investivano
in pubblicità. L’impatto dell’introduzione di nuovi prodotti era però sempre più mitigato dalla velocità di
imitazione e dall’assenza di elevata protezione della proprietà intellettuale. Per spingere la diffusione di un
brand tra i consumatori, i produttori di giocattoli spesso prendevano in licenza soggetti dalle media
companies; Mattel, per esempio, era il creatore riconosciuto di prodotti basati sui personaggi Disney e Pixar.

Molti produttori (ma non Lego) sempre più producevano in Asia, dove il costo del lavoro era inferiore e c’era
disponibilità di subfornitori pronti ad esaudire le loro esigenze. La maggioranza dei giocattoli venduti negli
USA, per esempio, era prodotta in Cina da fornitori esterni, mentre i player come Hasbro si specializzavano
nello sviluppo nuovi prodotti, nella gestione delle reti commerciali e nel marketing.

I produttori raggiungevano il mercato attraverso canali retail differenti, inclusi negozi di giocattoli specialistici
indipendenti, catene di negozi come Toys’r Us, discount store e negozi online. Nello scegliere quali prodotti
mettere in assortimento, i retailer ponevano attenzione alla marginalità per metro quadro e
conseguentemente guardavano attentamente ai margini di prodotto, alla rotazione degli stessi e allo spazio
occupato dal prodotto. La competizione tra retailer andava aumentando nel corso degli ultimi anni.

La nascita del Gruppo Lego (1916-1992)

Le origini di Lego risalgono al 1916 quando Ole Kirk Kristiansen, un umile carpentiere, acquistò un piccolo
negozio di legnami nel villaggio rurale danese di Billund e iniziò a realizzare case e arredi per gli allevatori e
agricoltori della zona. Nel 1932 aggiunse alla sua produzione i giocattoli in legno e scelse il nome LEGO come
sintesi delle parole danesi “Leg Godt” (“gioca bene”). Solo successivamente imparò che la stessa parola in
latino significasse “io assemblo”. Particolarmente attento alla qualità, scrisse sul muro del negozio “Solo il
meglio è abbastanza buono”.

Il figlio di Ole, Godtfred, iniziò a lavorare nell’attività nel 1932 all’età di 12 anni. Nel 1947 l’azienda divenne
la prima in Danimarca ad acquistare una macchina per lo stampaggio ad iniezione della plastica. Già nel 1949
il catalogo comprendeva 200 giocattoli in legno o plastica, compreso il mattoncino ad aggancio automatico,
un precursore del futuro mattoncino classico. Quando un incendio distrusse il magazzino legnami di Lego nel
1960, Godtfred decise di interrompere la produzione di giocattoli in legno.

Nel 1963 Godtfred stabilì i 10 principi del “buon giocare” che dovevano ritrovarsi nei prodotti Lego (v. exhibit
2). Nel 1967 venivano prodotti mattoncini in 218 formati differenti. Nel 1977 il figlio di Godtfred, Kjeld
Kristian, entrò a far parte del management dell’azienda.

Fin dagli albori, una forte cultura della creatività in azienda favorì la continua introduzione di nuovi prodotti
e temi basati sul sistema dei mattoncini. L’alta qualità dei mattoni e lo spazio standard tra gli agganci garantì,
a partire dal 1958, la piena compatibilità di tutti gli elementi prodotti dall’azienda, generando così enormi
opportunità per la creatività. Il gruppo ampliò il proprio target di clientela a partire dal 1968 con la linea
“Duplo”, che prevedeva mattoni di dimensione maggiore e adatta a bambini di età inferiore ai 5 anni e, nel
1977, con la linea “Technics” per i maggiori di 10 anni. Nel 1980, circa il 70% delle famiglie in Europa
occidentale con bambini al di sotto dei 14 anni aveva acquistato prodotti Lego.

A quel tempo, il processo produttivo a 3 fasi era il cuore delle operations dell’azienda. Nella prima fase, quella
dello stampaggio, le macchine stampatrici a plastica iniettata producevano mattoncini in grandi quantità e
poiché la tolleranza nei mattoncini era fissata a 0,002 millimetri Godtfred pose da sempre grande attenzione
all’eccellenza nel processo produttivo di stampaggio. Nella seconda fase, quella di decorazione, alcune
componenti venivano dipinte. In ultimo, nella fase di impacchettamento, i tanti pezzi che compongono il
prodotto sono collocati in una scatola assieme al manuale di istruzioni.

Godtfred controllava attentamente le operations dell’azienda, e nessun nuovo prodotto, tipo di mattone o
colore poteva essere introdotto senza la sua approvazione. Fino all’inizio degli anni 80, i mattoncini Lego
erano disponibili in 5 colori: bianco, nero, rosso, blu e giallo. Kjeld sentiva che per sostenere la crescita
dell’azienda sarebbero serviti nuovi mattoncini, ma impiegò 10-15 anni per convincere suo padre ad
aggiungere il colore verde alla gamma. Kjeld aggiunse altri temi, iniziò a collaborare con l’MIT Media Lab per
lo sviluppo di robot, avviò l’espansione verso est Europa e Asia e mantenne una posizione forte in America e
la leadership in Europa occidentale.

Il Gruppo Lego registrò una crescita continua e stabile: nel 1992 era incluso nella lista dei top 10 manufacturer
nel settore giocattoli e, secondo quanto riportato dalla rivista Advertising Age, controllava circa l’80% del
mercato dei “giocattoli di costruzione” (che valeva alcuni punti percentuali del mercato totale del giocattolo).
Con i propri giocattoli così popolari, il management Lego vedeva i distributori come un “male necessario”.
Christian Iversen, VP del Lego Corporate Center, sottolineava:

“Eravamo abituati ad una crescita solida e stabile, alimentata dalla nostra pipeline di nuovi prodotti. Quando
entrai in azienda nel 1993, nella prima riunione affrontammo il tema del come accantonare il lancio di alcuni
nuovi prodotti per rimanere nei target di crescita dell’8-10% prefissati. Avevamo una tale presa sul mercato
e una tale domanda insoddisfatta che potevamo pianificare l’introduzione dei nuovi prodotti e decidere con
5 anni di anticipo quanto avremmo voluto vendere”.
Il periodo di crescita mancata (1993-1998)

Agli inizi degli anni ’90 numerosi cambiamenti nel settore del giocattolo colsero il Gruppo Lego di sorpresa.
Knudstorp ricordava:

“Il tasso di natalità nei nostri mercati core (Europa Ovest e Nord America) declinò a partire dagli anni ‘90, così
come la spesa famigliare in giocattoli. I negozi tradizionali di giocattoli iniziarono a scomparire. Le catene
specializzate si consolidarono e aumentò anche l’incidenza degli sconti sui giocattoli. Mattel, Hasbro e altri
spostarono la produzione nel Far East. Inoltre, le ricerche di mercato mostrarono che i bambini dedicavano
meno tempo al gioco non strutturato ed erano più attenti ad esperienze che dessero loro gratificazioni
rapide, come i videogame”.

Nel 1993, Kjeld Kirk Kristiansen si ammalò e dovette lasciare per un anno l’azienda. Al suo rientro, costituì un
team di 5 persone che lo aiutasse a condurre l’azienda e, progressivamente, aumentò la responsabilizzazione
dei manager per renderli più rapidi a reagire alle dinamiche del mercato. La crescita divenne il nuovo focus
dell’azienda. A spingere verso la crescita era il desiderio di migliorare la posizione di Lego tra i 10 top brand
nella percezione di famiglie e bambini.

Il Gruppo cominciò quindi ad espandersi oltre il mattoncino. Ispirata dal successo del suo parco tematico per
famiglie realizzato a Billund, aprì nel 1996 LEGOLAND Windsor (UK). Lo stesso anno, lanciò www.lego.com e
iniziò a sviluppare software per videogame legati ai propri prodotti. LEGO Media fu aperta a Londra per
sviluppare prodotti media che fossero riferibili ai temi Lego (film, libri, programmi tv). Nel 1993 vennero
introdotte delle linee di abbigliamento Lego per bambini e nel 1996 una linea di orologi. Knudstorp rifletteva
in merito alla strategia dell’azienda nel corso di quegli anni: “Tutti i nostri sforzi di superare il nostro
perimetro tradizionale di offerta erano coerenti e naturali nell’ottica della nostra strategia di ampliamento
dell’impiego del marchio Disney-like”. L’espansione fu governata internamente, non tramite partnership.
Mike Moynihan, VP del Marketing, osservava: “La mentalità di allora riteneva che solo internamente
avessimo l’adeguata conoscenza del nostro marchio e quindi non avremmo potuto esternalizzare la gestione
di linee di prodotto a terzi”.

All’interno della sua linea core di prodotto, i mattoncini, vennero effettuate ulteriori innovazioni: i designer
crearono prodotti più complessi e prodotti più rapidi da assemblare, così che i bambini potessero giungere
più rapidamente alla fase di gioco. Il numero di componenti differenti aumentò. In situazioni in cui la forma
del singolo era dedicata a una funzione specifica (es. le carrozzerie di un’automobile), diventava più
complicato garantirne la combinabilità con altri pezzi differenti.

Nonostante gli sforzi del management e gli investimenti effettuati, le vendite stagnavano. Nel 1998 Lego
registrò il suo primo esercizio in perdita nella storia.

La soluzione che non arrivò (1999-2004)

Per recuperare crescita e profittabilità Kjeld assunse un nuovo CFO, Poul Plougmann, che rapidamente
assunse anche il ruolo di COO con delega alla gestione del day-by-day dell’azienda. Le precedenti esperienze
di Plougmann nella gestione di turnaround di aziende danesi portò la stampa ad affidargli il soprannome di
“Mr Fix-it”. Un programma di ristrutturazione fu lanciato per tagliare i costi di circa 140 milioni di $ anche
attraverso il taglio del 10% del personale (circa 1.000 persone). Dei 100 top executive, circa 60 furono invitati
ad andarsene. Il “Fitness Program” di Plougmann includeva interventi per ottimizzare la produzione, ridurre
gli strati organizzativi, aumentare la responsabilizzazione e il focus sul cliente. Quando questo piano venne
presentato, i dipendenti lo accolsero con applausi.

Al fine di crescere leader più forti e in grado di portare l’azienda in nuove aree di mercato, Plougmann iniziò
un processo di rotazione degli stessi, che ogni 6-12 mesi venivano assegnati ad una nuova posizione. La
capacità di leadership in genere veniva valutata con maggiore interesse rispetto alla esperienza diretta sul
prodotto Lego.

Le responsabilità del design di prodotto furono spostate dalla piccola, rurale Billund ad una rete globale di
centri per lo sviluppo prodotto dislocati nelle aree più creative come Milano, Londra, San Francisco. Diversi
stabilimenti per la stampa della plastica furono ceduti e certi processi produttivi che risultavano difficili da
automatizzare furono trasferiti dagli stabilimenti produttivi di Billund ad un nuovo stabilimento in
costruzione nella Repubblica Ceca. In ambito commerciale, 25 società di vendita nazionali furono consolidate
in 5 entità di carattere regionale. Gli incentivi alla rete commerciale furono legati, in parte, alla capacità di
eccedere le previsioni di vendita. Le funzioni di back-office furono globalizzate.

Nel 1999 il management decise di vendere direttamente al cliente finale attraverso due iniziative: un negozio
online e una catena di negozi di proprietà Lego in Europa e Stati Uniti.

La linea di prodotti del Gruppo continuò ad evolvere: tra i lanci più promettenti del 1999 c’era la serie di
prodotti da costruire Lego Star Wars, la prima serie di costruibili con marchio gestito su licenza. La decisione
non fu facile, anche perchè il potenziale economico della partnership era difficile da determinare. Iversen
ricordava che “il dibattito sul rischio di erodere il nostro marchio si accese quando ponemmo il tema Star
Wars. Ma in questa partnership vedevamo l’opportunità di aggiungere l’elemento dello storytelling alla
semplice costruzione”. Altri prodotti in licenza seguirono, inclusi “Winnie the Pooh and Friends” nel 1999 e
“Harry Potter” nel 2001.

Nel 2002, l’azienda riposizionò la propria linea prescolastica, Duplo, sotto un nuovo marchio. Mads Nipper,
VP Markets&Products, dichiarò: “Volevamo fare breccia sull’interesse delle madri a sostenere lo sviluppo dei
propri figli e rendere quindi il prodotto più focalizzato sulla capacità di apprendimento”. L’espansione dei
parchi a tema continuò con l’apertura di LegoLand California nel 1999 e LegoLand Germany nel 2002. Progetti
come i videogame continuavano a nascere, ma alcune iniziative in ambito lifestyle, come gli orologi da polso,
furono abbandonate dopo il 2000.

Knudstorp ricordava le difficoltà in ambito operations:

“Quando entrai in azienda come consulente nel 2001 per analizzare la supply chain compresi che fino a quel
momento nessuno si era posto il problema di governare la crescente complessità. Potevi trovarti con un
prodotto non disponibile solo perché mancava uno dei 675 differenti pezzi che lo componevano, che potevi
non aver prodotto in quantità sufficienti per un banale errore di previsione. Il numero totale di componenti
non era esattamente determinabile, ma nel 2004 scoprimmo che era più che raddoppiato rispetto al 1993.
Avevamo 3.500 forme, 157 colori, 10.900 elementi in assortimento. Ogni forma richiedeva uno stampo, ogni
stampo costava 50.000 $ in media, con punte di 300.000 $ per le forme più complesse”.

Exhibit 3 mostra il numero di distinti componenti Lego nel tempo. Bali Padda, VP Global Supply Chain,
ricordava la complessità della situazione delle operations:

“Quando raggiunsi l’azienda nel 2002 vi trovai una mancanza di disciplina, una scarsa attenzione al controllo
dei costi. Non potevo determinare quali prodotti fossero profittevoli o come i prezzi fossero calcolati.
Cominciammo a controllare i costi, per esempio limitando il numero di ordini di stampi, ma ci trovammo così
nella situazione, a volte, di non stare al passo della domanda”.

I principali clienti dell’azienda (retailer) erano frustrati dai frequenti stock-out generati dall’azienda e dalla
scarsa rotazione del prodotto. Il tipico retailer dedicava mediamente circa tre metri lineari di spazio scaffale
ai prodotti Lego nel 2004, otteneva un margine lordo del 19% sulla vendita del prodotto e registrava una
rotazione del magazzino dei prodotti Lego pari a circa 2x nell’anno. Wal-Mart, Target e Toys R Us
registravano, come catene, margini lordi totali rispettivamente del 22,9%, 33,6%, 32,4%. I loro magazzini
ruotavano circa 7,5x, 6,0x e 2,1X rispettivamente. Padda disse: “Quando incontrai per la prima volta il buyer
di Wal-Mart nel 2004 mi chiese per quale motivo non avrebbe dovuto mettere del cibo per cani al posto del
prodotto Lego sui suoi scaffali”.

Rispetto ai nuovi prodotti lanciati, la serie Star Wars andava bene, arrivando a generare il 35% dei ricavi del
prodotto costruibile. Invece, il riposizionamento di Duplo fu meno di successo.

I risultati aziendali erano caratterizzati da una grande variabilità dei profitti: nel 1999 le vendite erano
aumentate del 28% e il risultato finale in utile, nel 2000 le vendite calarono e si tornò in perdita, nel 2001 il
risultato fu leggermente positivo, nel 2002 le vendite ripresero, stimolate dal lancio di nuovi prodotti, un
nuovo film di Star Wars, un rafforzamento del dollaro, ma i risultati di esercizio furono in contrazione.

Nel 2003 fu chiaro che la nuova strategia di Gruppo non funzionava. Le vendite calarono del 29% a 6,8 miliardi
di corone danesi e l’azienda registrò una perdita di 935 milioni di corone. Il management ammise che
l’aumento della gamma prodotti e i conseguenti investimenti non avevano creato i risultati attesi. Ancor
peggio, alcuni nuovi prodotti stavano cannibalizzando le vendite dei prodotti core ed erodendo i margini. In
un anno senza uscite di film di Star Wars ed Harry Potter i risultati deludenti delle linee di prodotto legate a
produzioni cinematografiche contribuirono per più del 50% al disavanzo di vendite rispetto all’esercizio
precedente. Iversen riassunse così: “Eravamo pieni di nuove iniziative e relativi costi quando il mercato si girò
contro di noi”. Nel dicembre 2003 Kjedl Kristiansen chiese a Plougmann e altri 4 top manager dell’azienda di
lasciare. Quando il 2004 registrò un’ulteriore perdita e portò il Gruppo sull’orlo della bancarotta, Kristiansen
investì nell’azienda, si ritirò dal ruolo di CEO e lasciò la posizione a Knudstorp.

Un neoarrivato e un’azienda sull’orlo del baratro

La nomina del 35enne Knudstorp a primo CEO dell’azienda non appartenente alla famiglia proprietaria
suscitò sorpresa negli osservatori. Nato vicino a Billund, Knudstorp aveva un PhD in Business Economics
all’Università di Aarhus e iniziò la sua carriera come consulente prima di entrare in Lego come Direttore
Sviluppo Strategico nel 2001. Iversen ricordava come la reazione del mondo economico danese fu “Come
possono mettere un rookie al comando quando sono in condizione così critica? Ma Kjeld conosceva bene la
persona e ne apprezzava fortemente i valori”.

Knudstorp e il suo management team sapevano che salvare l’azienda non sarebbe stato un compito facile.

Tra le “vacche sacre” che avrebbero potuto essere sacrificate c’era l’orientamento dell’azienda a produrre
internamente i propri prodotti. Knudstorp si chiedeva se avrebbe dovuto esternalizzare la produzione a un
terzo soggetto:

“Abbiamo perso smalto nella gestione della produzione e della supply chain negli anni 90, quando competitor
come Hasbro iniziarono a esternalizzare parti di produzione e i nostri costi, invece, sono andati fuori
controllo. Dovrebbe essere semplice individuare soggetti in grado di gestire gli impianti meglio di quanto noi
oggi sappiamo fare”.

Oltre ai temi della gestione della produzione, tutti gli elementi relativi alla strategia dell’azienda erano sul
tavolo per essere messi in discussione, inclusi le linee di prodotto, l’approccio ai clienti e distributori, i
processi di innovazione e pianificazione, tutto ciò in una situazione in cui la pressione finanziaria andava
aumentando.
Exhibit 1 – Sintesi risultati di Gruppo Lego, 1995-2004
(in milioni DKK) 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Conto Economico
Ricavi 6.844 7.534 7.616 7.680 9.808 9.467 9.000 9.601 6.792 6.315
Costi Na Na Na Na -8.615 -10.145 -8.142 -8.795 -7.902 -6.252
Risultato operativo pre voci straord. Na Na Na Na Na Na 858 806 -1.110 63
Voci straordinarie Na Na Na Na -555 -191 -122 0 -455 -1.225
Saldo gestione finanziaria Na Na Na Na -122 -201 -215 -189 67 -75
Risultato prima delle imposte 676 699 171 -282 516 -1.070 521 617 -1.498 -1.237
Risultato netto 431 470 62 -194 274 -831 366 326 -935 -1.931

Stato Patrimoniale
Totale attività 9.535 10.061 9.767 11.250 12.694 12.280 14.093 12.560 10.049 8.089
Patrimonio Netto 5.961 5.913 5.437 5.841 6.970 6.266 6.225 6.478 4.892 2.948
Passività 3.574 4.148 4.330 5.409 5.714 6.014 7.868 6.082 5.157 5.141

Flusso di cassa del periodo Na Na Na Na Na Na 771 -290 -215 538

Numero dipendenti 8.535 8.178 8.668 8.670 7.821 7.669 7.658 8.316 8.298 7.345

Financial ratios
Margine lordo Na Na Na Na Na Na 65,4 70,0 61,3 57,7
Margine operativo (Ros) Na Na Na Na Na Na 8,2 8,4 -23,0 -18,4

Exhibit 2 – Le 10 caratteristiche del prodotto definite nel 1963

1. Potenziale di gioco illimitato 6. Lunghe ore di gioco


2. Per maschi e femmine 7. Sviluppo, immaginazione, creatività
3. Divertimento per ogni età 8. Più prodotti Lego, più valore per il bambino
4. Giocabilità tutto l’anno 9. Disponibilità di accessori
5. Gioco sano e silenzioso 10. Qualità in ogni dettaglio
Exhibit 3 – Numero di componenti Lego distinte (forme, colori, decorazioni), 1980-2005

Numero di componenti
14000

12000

10000

8000

6000

4000

2000

0
1991

2004
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990

1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003

2005

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