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BRAND NARRATIVE STRATEGY - Il segreto dell’onda Alberto De Martini


1. Il brand come narrazione ideologica
Inizia facendo riferimento alla narrazione ideologia, ovvero, la capacità di saper narrare. GOTTSHALL parla di
ISTINTO in quanto il nostro talento alla NARRAZIONE sembra derivare dalla cultura e dall’età. È ciò che ci
distingue dagli animali. Ma la narrazione è funzionale al controllo della realtà circostante; la realtà è caotica e
disordinata, i fenomeni, se inseriti in una narrazione, acquisiscono un senso. Qua avviene un’inversione: non è la
cultura che genera narrazioni ma le narrazioni che generano cultura. Facendo riferimento al marketing, il BRAND
acquisisce senso, valore, solo quando riesce a costituirsi come narrazione. Un brand ambizioso può rappresentarsi
come una narrazione ideologica. L’ideologia marxista racconta di un mondo governato da leggi economiche, nel quale
l’avvento del CAPITALISMO avrebbe generato una grave ingiustizia: lo sfruttamento del proletariato finalizzato
all’arricchimento delle imprese mediante il plus-valore, cioè la differenza tra il salario corrisposto e il lavoro effettivo
del lavoro svolto.
 Le IDEOLOGIE sono un genere di narrazione. Esse prendono vita da un sistema di valori che genera una
visione critica della realtà. Questa visione produce quindi un’ambizione a cambiare la realtà in una direzione
che risulterà migliorativa per tutte le persone o per un gruppo di esse.
 Per esprimere sé stesse, le ideologie prendono la forma di narrazioni che cominciano con il racconto di un
PASSATO capace di spiegare un PRESENTE PROBLEMATICO, contrassegnato da disagi e che gettano lo
sguardo sul futuro, per raccontare una storia nuova in cui, grazie ad un cambiamento decisivo, i disagi
scompariranno per lasciare spazio alla soddisfazione.
 Il brand deve raccontare una storia in cui il suo pubblico agisce in una condizione dalla quale vuole
emanciparsi o in cui non riesce più a vivere in piena sintonia con i propri valori, trovando alla fine, grazie
all’azione del brand, una via di uscita.

2 Miti e valori
“Una sera di gennaio del 1982, il signor Walter ROHRL, di Regensburg, salì sulla sua Ascona 400, si presentò al
Rally di Montecarlo, e lo vinse”. Il direttore marketing della OPEL lesse questo titolo, che l’agenzia aveva montato
su una pagina di quotidiano. Vi furono altre alternative dove vi era una foto dell’auto impegnata in una curva, avvolta
da un polverone e collegata con un titolo: “La vostra Opel trionfa a Montecarlo”. Il cliente approvò la proposta SOLO
TESTO (COPY-AD). Quel titolo utilizzava per gioco una forma narrativa adatta ad eventi mitici, storie leggendarie.
Nel caso di Opel il gioco di imitazione dello stile narrativo proprio dei miti sembrava essere il più appropriato.

 Il MITO è il RACCONTO delle ORIGINI.


 Lo scopo è quello di stabilire i CONFINI IDEOLOGICI della civiltà a cui appartenere.
 Contengono un insegnamento: ovvero contenendo la MORALE della storia. Esempio di morale è la Chiesa
Cattolica che utilizza il termine “SCOMUNICA” per indicare separazione. Gli antichi greci avevano decine
di miti, collegati a numerosi dei ed eroi.
Lo stile Opel investì sullo stile narrativo dei grandi miti. Investito una grande somma affinché gli italiani
potessero leggerlo. Questo perché il MASSIMO OBIETTIVO raggiungibile da un BRAND è quello di
FONDARE una CIVILTA’. Esempio eclatante è STEVE JOBS un semi-dio per tutti i seguaci di Apple,
capace di sfidare i limiti delle possibilità umane fino a superarli. Nike stessa cosa “il mito Roger” che si
guadagna a fare degli dèi e si conquistano 17 titoli slam diventando i più grandi di sempre.
 La definizione di comunità relativa ai seguaci di un brand è stata da tempo sdoganata, (es. pagine Facebook di
Coca-cola, McDonald’s e Red Bull totalizzano insieme 189 milioni di fans) invitando a capire che il passo da
comunità a civiltà non è azzardato.

I brand, nella speranza di diventare civiltà, hanno bisogno di EROI; ecco perché spendono cifre esorbitanti nei loro
TESTIMONIAL. Ma non sempre ciò è stato a favore. Chanel N.5 nel 2012 chiama Brad Pitt per testimoniare questa
campagna, chi meglio di lui, figura amata dalle donne, non riesca a far vendere il prodotto. Ciò NON funzionò perché
Brad Pitt NON RAPPRESENTAVA per i clienti il prodotto e NON ebbero AUMENTI di vendita, fu un vero flop.
Allora per rifarsi la Maison Chanel ricorre al mito fondativo del brand, Marilyn Monroe.

 Il brand deve mantenersi COERENTE con i propri VALORI e con i miti che incarnano tali valori.

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 La CAPACITA’ di RACCONTARE una STORIA che funzioni dipende dunque dalla CONSAPEVOLEZZA
del brand dei propri valori. È IMPOSSIBILE concepire la STRATEGIA NARRATIVA di un brand, se prima non
si concepiscono i VALORI che guidano le SCELTE dei suoi leader.

2.1 Il mito del garage Silicon Valley


Area industriale degli USA, in California, in passato nota come SANTA CLARA VALLEY, specializzata nella
progettazione e nella produzione di microcircuiti (la cui tecnologia è basata sul silicio, ingl. silicon); le imprese della
zona impiegano altissima tecnologia resa possibile dal costante collegamento con centri di ricerca. Nel 1969 la
Stanford University (fondata a Palo Alto nel 1891) ha partecipato al progetto ARPANET (precursore di internet),
stabilendo la vocazione informatica della Silicon Valley. Il mito per eccellenza della Silicon Valley racconta di un
GARAGE, situato al 367 di Addison Avenue, Palo Alto, California, in cui, nel 1939, due amici occhialuti e geniali,
Bill e Dave, costruirono con un budget di 538 dollari, un audio oscillatore, ovvero un sistema per la riproduzione del
suono. La Walt Disney ne acquistò 8 esemplari, accelerando la nascita della prima azienda della Silicon Valley,
battezzata con i cognomi di Billy e Dave, rispettivamente Hewlett e Packard. Tra le aziende aventi sede nella Valley
si ricordano produttori di componentistica come Adobe Systems Inc., Cisco Systems Inc., Apple Computer Inc. e
Microsoft, nonché motori di ricerca e network quali Google, Yahoo, Facebook ed eBay.
Nonostante il crollo finanziario subito nel 2000 (quando il ritiro di molti investitori ha causato un drastico calo in
borsa e la chiusura di numerose imprese), la Silicon Valley rimane un importante polo di investimento in ambito
informatico ed elettronico e uno degli esempi di parco tecnologico e scientifico.
La Silicon Valley può essere considerata una OVER BRAND, capace di riversare DUE brand, miti, valori, attitudini e
stili comuni. Il garage per la Silicon Valley è un luogo reale e leggendario. Il mito del garage si è esteso alle altre
aziende della Silicon Valley come il caso della Apple, la cui nascita è da molti collocata nell’ennesimo garage
californiano, ma che invece il co-fondatore Stephen Wozniak assemblò i primi Mac proprio negli uffici della
Hewlett-Packard, dove Wozniak ancora lavorava.

2.2 Miti italiani


Tutte le aziende dotate di valori chiari e condivisi hanno all’origine racconti mitici esemplari:

- Alle origini del 900, sui colli di Imperia, Giovanni il figlio più intraprendente di un proprietario di ulivi che
fabbricava olio, salì sulla bicicletta, caricò sul portapacchi alcune latte di olio appena spremuto e partì in
cerca di clienti. Il ragazzo si chiamava Giovanni Carli e suo fratello si occupava di tipografia. Quando
capirono che olio, mezzi di trasporto e rotative potevano combinarsi in un unico business innovativo, nacque
la Fratelli Carli, che sarebbe stata la più grande azienda al mondo di vendita di olio a domicilio.

- Più o meno negli stessi anni, un giovanotto svizzero di grande personalità lasciò l’azienda di spedizioni per
cui lavorava e si mise in proprio. Fausto salì ogni mattina sulla sua fiat 1100 e si avventurò nella pianura
padana a caccia di possibili clienti. Finché durante una di queste avventure si imbatte nella più bella piazza del
nord Italia: la Piazza Ducale di Vigevano. Si fermò a prendere un caffè in piazza. Si accorse che tutti
parlavano di scarpe. Di lì a poco Fausto aveva trasformato Piazza Ducale nel proprio ufficio commerciale. La
Cippà trasporti è un'azienda che non si limita a trasportare merci, ma permette ai clienti di
internazionalizzare il proprio business.

- Una decina d’anni dopo la nascita di Cippà trasporti, un bancario di Tombolo, in provincia di Vicenza, andò da
un falegname che voleva affidargli i suoi risparmi. Dopo avergli consegnato 10 milioni di lire, il falegname
chiese al bancario: “lei sa che cosa le ho dato?” “certo 10 milioni” rispose. Allora il falegname aprì la mano e
la avvicinò agli occhi del suo interlocutore, mostrando i grossi calli formatosi dalla sua attività. L'incontro
indicò al giovane la strada da seguire. Avrebbe dedicato la vita a valorizzare i sacrifici dei suoi clienti. Quel
ragazzo si chiamava Ennio Doris, e la sua banca, Mediolanum, da più di vent’anni è il punto di riferimento
del marcato italiano per solidità, innovazioni e successo.

2.3 Motti
Per fare del brand una narrazione ideologica, il PRIMO COMPITO di un PUBBLICITARIO è quello di estrarre
l’ESSENZA di un BRAND da ogni singolo INDIZIO capace di ESPRIMERLO e RAPPRESENTARLO. Come i suoi
miti, ma anche i motti.
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La prima cosa che noti, arrivato in Facebook, è che non sai di essere in Facebook. Non c’è un’insegna Facebook
all’ingresso. Né fuori, né dentro. Il mito del garage qui resiste alla grande (Silicon Valley). Nessun interesse per la
forma, vietato prendersi sul serio. Poi quando sei dentro vedi un foglio appeso al muro con una frase: better done
than perfect, l’importante non è essere perfetti, ma fare il meglio che si può in fretta + connect the world è la
missione di Facebook e c’è solo un modo per connettere tutti, farlo prima degli altri!

Sul pianeta Silico Valley, Apple è situata nell’emisfero opposto. Anche se la sede Apple è concepita come un
villaggio; il villaggio di Apple è ordinato e preciso. A cominciare dalla facciata su cui campeggia una enorme mela.
Quando arrivi alla Apple lo sai. Apple: la parola chiave è perfect. Tim Cook dichiara in un’intervista: “We believe
in saying no to thousands of projects so that we can really focus on the few that are truly important and meaningful yo
us”. Principi: attenzione, cura, precisione.

Il primo passo verso la creazione di una BRAND NARRATIVE STRATEGY consiste nella INDIVIDUAZIONE dei
VALORI condivisi da coloro che l’hanno creata o da coloro che oggi si proponessero di riposizionarla. I miti e i motti
che si sono formati nel tempo, gli atti concreti di management e di comunicazione compiuti dall’azienda, le
dichiarazioni fornite dal gruppo dirigente, della forza lavoro, degli stakeholder, tutto ciò costituisce il TERRENO di
INDAGINE in cui calarsi per scoprire l'anima di un brand.

Valori e miti costituiscono il fondamento ed il primo passaggio nella costruzione di una strategia narrativa per la
marca, precursore di tutti i successivi passaggi. Tuttavia, definire le RADICI VALORIALI di un brand NON è così
FACILE: spesso i valori si disperdono negli anni, recuperarli è complesso. Bisogna renderli di nuovo
CONSAPEVOLI e vivi nella MENTE e nel cuore dei gestori del brand è una fase che DE MARTINI chiama
PSICOANALISI della MARCA e che rappresenta la parte più affascinante del lavoro.

Step 1: la STRUTTURA della NARRAZIONE di un grande brand è: poiché un brand crede in determinati valori,
confermati dai suoi motti, due sono gli esempi guida: Facebook ed Apple. Facebook ed Apple esistono già, quindi qui
il compito non è di inventare ma RICOSTRUIRE le loro strategie narrative. Facebook ha fondato la sua propria civiltà
su valori in parte connaturati alla tipologia del prodotto (like, condividere) e in parte alla personalità e alla visione del
fondatore (velocità, informalità, generosità). Facebook e Apple condividono l’AMBIZIONE. Apple si rifà alla
selezione rigorosa, alla cura attenta e maniacale del dettaglio: la bellezza. In Apple non c’è spazio per il compromesso,
la parola chiave è NO.

3 Empatia
La prima conseguenza generata da questo nucleo di partenza è l’EMPATIA che nasce verso un certo gruppo di
individui. Il tipo di empatia (INSIGHT) e i tipi di individui (TARGET) sono l’esito del set valorizzante e culturale
del brand. L’ideologia socialista scelse di porre al primo posto l’UGUAGLIANZA. Questa scelta era dovuta alla
convinzione che il sistema capitalista trovasse il proprio peggior DIFFETTO nella creazione di forti disuguaglianze
sociali. Fu questo che permise al socialismo di essere la prescelta perché avevano capito gli individui che il problema
stava nella disuguaglianza. Dall’altra parte l’ideologia liberale ha sempre posto al vertice del triangolo “libertà-
uguaglianza-fraternità” al punto corrispondente della libertà. Anche i brand sono ideologie. I valori fondativi
determinano direttamente ed inevitabilmente uno SPECIFICO TARGET con cui stabilire una SPECIFICA EMPATIA.

3.1 Sentirsi belli


David Mackenzy OGILVY entrò a lavorare per la Dove, i valori del brand si svilupparono in testa ad un ex venditore
scozzese, colui che nel giugno del 1958 si poneva domande su come fare successo. Anni prima scrisse un manuale del
perfetto venditore. Fu questo libro a convincere la prima agenzia di pubblicità ad ingaggialo come copywriter “il
consumatore non è un cretino, è vostra moglie”. Fece leva su due elementi:
- il primo: la QUALITA’ DEL PRODOTTO : la presenza di composizione di un quarto di crema idratante.
- E nel secondo la CARATTERISTICA nella storica headline “Dove win’t dry your skin like soap can”. Ovvero
l’EMPATIA. Dove si pone un target di donne non perfette ma bellezze naturali e vere, in modo che la donna
non si stanchi mai di confrontarsi con bellezze assolute. Questa connessione di valori ed empatia
dell’ideologia Dove non smette di generare straordinari risultati in termini di Marketing e di comunicazione.
Nel 2006 la Ogilvy & Mother di Toronto illustrava la manipolazione materiale ed elettronica del volto di una
donna a fini pubblicitari. Ma lo spot più bello venne creato nel 2013, in cui alcune donne descrivevano il
proprio viso a un disegnatore che non poteva vederle. Successivamente le stesse donne venivano descritte al
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disegnatore da persone che le avevano appena incontrate. Il confronta tra i ritratti generati dalle due
descrizioni dimostrava che le donne erano molto più belle di come loro stesse si vedevano e si descrivevano.
Il titolo è REAL BEAUTY SKETCHES.

3.2 Sentirsi in colpa. FIAT


L’appuntamento era fissato in un albergo a due passi dal Lingotto, sede della direzione Fiat, per le 22 con Martin
Sorrell. La cosa più importante era far piacere le campagne a Martin e a Marchionne (la mattina dopo). L’essenziale
era far sentire in colpa gli italiani per il preferire macchine straniere, specialmente tedesche, piuttosto che italiane. In
particolare, Marchionne ce l’aveva con i milanesi. I creativi del gruppo, titolari di Audi e BMW, rifiutavano
quell’accusa e sostenevano che il problema risiedeva nelle qualità estetiche e meccaniche delle Fiat. La campagna
vincente sarebbe stata quella capace di far sentire in colpa gli italiani. Riuscii ad ottenerla. Il team guidato da Roberto
Vella e Daniele Bufalini creò un format molto semplice, in cui individui e gruppi di persone straniere ringraziavano
sentitamente, ognuno nella sua lingua, le automobili italiane per sostenere la loro economia preferendo le auto dei loro
paesi.

3.3 Sentirsi importanti


Marc Pritchard doveva sponsorizzare le Olimpiadi con tutti i marchi P&G (Procter & Gamble), società nata nel
1837 da un produttore di candele e da uno di saponi (sig. Procter e sig. Gamble), diventarono un vero e proprio brand
con oltre 70 marche al suo interno: Gillette, Tide, Pampers, Pantène ecc… Un giorno era nel suo ufficio e guardando
fuori dalla sua finestra vide una donna tenere per mano suo figlio che attraversava la strada, e lì nacque l’idea che per
sponsorizzare i prodotti della P&G non dovevano riferirsi agli atleti, ma alle loro mamme: erano loro che portavano
agli allenamenti i figli, che compravano loro le tute e che le lavavano ed era grazie a loro che i figli diventavano
grandi atleti. La campagna si chiama “Proud Sponsor of Moms” che è già un pezzo di storia della comunicazione,
ma anche del marketing. Questa storytelling è basata sull’empatia. (tra Marc e la donna che passava con il bambino)
che in una frazione di secondi diventò l’empatia fra una delle più grandi aziende del mondo e l’universo delle sue
consumatrici.

3.4 Sentirsi leggeri


George Weissman fu nominato da Philip Morris tre anni prima come presidente, fece in modo di far diventare
l’azienda il primo esportatore di tabacco degli Stati Uniti. Credeva che vendere solo sigarette non bastasse perché
doveva essere accoppiata a qualcosa che si fa mentre si fuma... tipo bere birra. Weissman, cominciò col comprarsi la
Miller Brewing Company per 130 milioni di dollari. Miller nei primi anni 70, era la settima birra più venduta in
America. Ma era considerata una birra per fighetti. Un giorno Weissman, Howell e Brewery si incontrarono in una
steak-house, Weissman disse alla cameriera in modo carino che era a dieta e voleva qualcosa da bere. La cameriera
portò una lattina con scritto Diat Pilsner. Associò immediatamente il termine Diet. E si interessò a sapere chi la
bevesse. E la cameriera rispose solo diabetici e qualche donna.
Lavorarono per creare bene un prodotto che si coniasse alla loro identità, ma il problema non stava nella qualità ma
nel nome del prodotto perché, se veniva inserito il termine “lite” gli uomini avevano la sensazione di bere della birra
annacquata, allora Howell aggiunse Fine Pilsner Beer per togliere ogni riferimento all’annacquamento. Usò anche un
delicato giro di parole: evitò di dire loro che Miller Lite li faceva ingrassare di meno. Gli disse che li faceva sentire
meno pieni. Al resto pensò Pacy Markmann della Mc Cane Erickson, scrisse due frasi capaci di sintetizzare tutto
questo. Una headline “Great taste, less filling” (Ottimo gusto, meno abbondante) e un pay-off “EVERYTHING
YOU’RE ALWEYS WANTED IN A BEER. AND LESS” (tutto quello che hai sempre desiderato in una birra. e
meno).

3.5. Lasciarsi andare. Storia di Misura


Fra i molti modi possibili per intercettare un insight e stabilire empatia con il target di consumatori, c’è quello di
OSSERVARE i CAMBIAMENTI CULTURALI. L’accelerazione impressa dalle trasformazioni legate alla tecnologia
e alla globalizzazione fa sì che oggi i cambiamenti culturali siano più veloci e continui che mai. Questo comporta
rischi molto maggiori per le imprese e i paesi che non sanno adattarsi in tempi rapidi, ma genera straordinarie
possibilità per chi è in grado di farlo. Un esempio è Misura, paladina di una dietetica che significava rinuncia.
Tuttavia, con gli anni, è aumentata l’attenzione ad uno stile di vita sano e misurato e sempre più il termine dietetico è

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stato sostituito da salutistico. Per essere salutare deve farmi stare bene e questo significa che deve unire elementi
dietetici e edonistici: il DOVERE e il PIACERE, in un solo prodotto. O meglio, in un solo brand. Salutare non
significa rinuncia del buon gusto; Misura ha compreso questo cambio di paradigma e si è adattato: Il gusto di essere
leggeri.

3.6. Empatia connessa


La linea di partenza (valori e miti) va unita alla seconda tappa, cioè l’empatia: bisogna creare un nesso indispensabile
a trasformare un ELENCO di PUNTI in una NARRAZIONE. Anche in questo caso ci aiuta l’esempio dell’ideologia
illuminista. Ragione, conoscenza, autonomia e coraggio: i valori dell’illuminismo sono bellissimi e sempre attuali.
Affermare contenuti rilevanti e saldamente collegati tra di loro; i valori primari devono tradursi in empatia profonda
verso un target definito.

Step 2: Poiché un brand crede in determinati valori, confermati dai suoi miti, si pone in un rapporto di empatia
specifica con un UNIVERSO DEFINITO di PERSONE-TARGET.
Esempi in corso. La domanda giusta da porsi è: quali tipi di empatia e quali categorie di target sono determinati dai
valori in cui credono due brand? In una vera narrazione valori e miti sono collegati all’empatia, non possono essere
dissociati.

- Facebook: per sentirsi vivi, tutti gli esseri umani vorrebbero poter comunicare con chi vogliono, in ogni istante.
- Apple: ogni essere umano aspira alla bellezza e alla realizzazione dei propri desideri con il minimo sforzo; una
meravigliosa bacchetta magica con cui realizzare ogni desiderio.

4. Cambiamento
La cosa più importante per un prodotto, e quindi anche per un brand, in quanto portabandiera di un range di prodotti, è
il BENEFICIO che genera nella vita dei suoi consumatori. Ogni ideologia, politica o religiosa, trova il proprio senso
nella narrazione di un futuro migliore riservato ai propri fedeli. E così funziona per un brand essere grande, importante
o addirittura universale.
Come avviene per le ideologie “ufficiali”, la narrazione di un grande brand esige che l’individuazione del
cambiamento da perseguire derivi in modo diretto e immediato dal tipo di empatia, a sua volta conseguenza diretta di
un sistema originario di miti e valori. Ciò che assimila il brand sono le sue caratteristiche FUNZIONALI e
STRUTTURALI: cioè com’è fatto e come agisce.

4.1. Cambiare natura. Red Bull storia e trasformazione


Dal momento in cui gli uomini hanno inventato gli dèi, hanno cominciato ad invidiarli. Hanno desiderato godere dei
loro poteri assoluti e inaccessibili; da questo sogno sono nati i semidei, figure che si collocano a metà tra la condizione
umana e quella divina. Ibridi. I semidei sono il simbolo di insieme di una possibilità ed un peccato.
Ogni civiltà ha coniato i propri semidei. Quello più famoso nell'antica Grecia è Achille: l’eroe della guerra di Troia
nato da un umano, Peleo, e una Nereide, Teti, ninfa marina benevole e immortale. Teti aveva un'ossessione: rendere
IMMORTALE Achille; lo immerse appena nato nelle acque del fiume Stige, per immergere il corpo di Achille dovette
per forza afferrarlo in un punto del suo corpo. Scelse la caviglia. E così Achille rimase, per quella frazione di pelle,
mortale.
Ma c'è anche la storia di Icaro e Dedalo: i due malcapitati erano prigionieri sull'isola di Creta all'interno del labirinto
di Cnosso, realizzato proprio da Dedalo per ordine di Minosse per rinchiudervi il Minotauro, un mostro mezzo Toro e
mezzo uomo. Gli unici a conoscere la mappa del percorso erano proprio Dedalo e suo figlio Icaro e quindi minosse li
condannò a rimanere nel labirinto per evitare spiacevoli fughe di notizie. Dedalo, sfruttando il tempo a disposizione,
costruì delle ali per scappare insieme al figlio, raccomandandogli, una volta in cielo, di non avvicinarsi al sole che
avrebbe sciolto la cera con cui erano attaccate le piume. Icaro trasgredì, precipitò e annegò sotto gli occhi del padre.
Red Bull sfruttando le proprietà di un cocktail a base di caffeina che permette di restare svegli, ci promette di
trasformarci in SEMIDEI capaci di SUPERARE i LIMITI umani, sconfiggendo il sonno e apprezzando il sogno
dell’immortalità. Il claim “ti mette le ali” ripropone in poche sillabe il mito di Dedalo e Icaro: il brand è Dedalo,
progettista e creatore del dispositivo e noi siamo l'uno o l'altro, a seconda di quanto vogliamo spingerci in alto nella
sfida alle regole previste dalla società e dalla nostra natura: essere nati senza ali.

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Felix Baumgartner, detto Faerless, a causa del suo disprezzo per ogni tipo di pericolo, grazie ad un’organizzazione
tecnico-scientifica voluta e finanziata da Red Bull, è l’uomo che il 14 ottobre del 2012, si imbarcò su una capsula
spaziale appesa a un pallone pressostatico, in una radura nei pressi di Roswell, New Mexico. Al termine di una lenta
ascensione durata due ore e mezza, Felix, raggiunta la stratosfera a un'altitudine di 38.969 metri si affacciò al
portellone della sua capsula e si buttò nel vuoto. Pochi secondi dopo, a terra si udì il suono di un’ESPLOSIONE: il
corpo di Felix aveva rotto la barriera del suolo raggiungendo la velocità di 1341,13 km/h. L'altezza di lancio e la
velocità di caduta non furono gli unici record battuti da Felix e dalla Red Bull. L’evento fu seguito in Austria, paese
d'origine di Felix. YouTube totalizzò, con la trasmissione live del volo, il record di 8 milioni di spettatori. Sommati ai
telespettatori austriaci, fanno oltre 11 milioni di individui: 11 milioni di partecipanti alla più grande rappresentazione
del mito del semidio da quando esiste l’uomo.
Da qui scaturisce il grandioso impegno finanziario di Red Bull nel campo delle sponsorizzazioni degli sport estremi,
perché estremo è il livello oltre il quale la sconfitta coincide con la morte. Chiarito il genere di cambiamento che Red
Bull vuole portare nella nostra vita, si dà il via libera a tutte le sue possibili declinazioni. Ecco perché l'ingresso del
brand nel mondo dell'automobilismo, capace in pochi mesi di affermarsi come la migliore grazie a Sebastian Vettel,
un altro semidio.

4.2. Cambiare il futuro


A Jeff Raskin non piaceva la storia di computer con i nomi di donna. Lo considerava sessista. Il progetto a lui
assegnato si chiamava Annie, nome che era molto in voga sulle pagine di Playboy. L'ultima creatura “femminile”,
Lisa, era stata un flop. Jeff trasformò il nome Annie nella sua mela preferita, la Mcintosh. Aggiunse soltanto una “a”
(Macintosh), ponendo le basi della gloriosa dinastia dei Mac. Il progetto Lisa era inizialmente di Steve Jobs; poi fu
allontanato e Lisa fu un fiasco. Il progetto Macintosh era il test decisivo per la Apple: il bivio forse finale tra un
successo planetario e una rapida eclisse. Era lì che voleva essere Steve Jobs, per dimostrare a tutti che la sua visione
era giusta e la sua rotta vincente.
Nascita del Macintosh
La visione di Jobs NON era quella di PRODURRE un COMPUTER ma di CAMBIARE il MONDO. Voleva cambiare
il panorama della scrivania di ogni essere umano, togliendo tutte le scartoffie che ci stavano sopra e lasciando un solo
oggetto bellissimo e semplicissimo, un computer con il marchio della mela. Mela fa riferimento alla mela per togliere
di mezzo il modo sessista di chiamare ogni cosa con il nome di donne. Il nemico era la IBM. The Big Blue era la
numero uno.
Macintosh sarebbe stata l’arma in grado di sfidare IBM, grazie alla combinazione di un’estetica accattivante,
un’interfaccia grafica e l’utilizzo del mouse. Bill Gates gli diede una mano, sviluppando per lui due programmi:
Word e Excel.
Ci voleva una grande campagna, un'idea capace di cambiare il mondo, anche grazie alla tecnologia, capace di
controllare ogni nostro gesto, parola o pensiero. Pochi potenti come la IBM, una specie di Grande Fratello.
Lee stava riflettendo sul brief che Jobs gli aveva trasmesso. Macintosh sarebbe stato il primo computer a parlare
attraverso icone create da un designer e il primo a proporre un menù di font per scrivere i testi. Lee convocò Steve
Hayden, il miglior copywriter dell’agenzia, e gli raccontò la sua idea. Lee e Hayden si contrarono sulla
rappresentazione visiva della distopia immaginata da Orwell: figure grigie che camminano chine in file ordinate,
schermi da cui il Grande Fratello parla incessantemente celebrando l'unificazione del pensiero. In questa scena
irrompe una donna che corre in una tuta colorata da atleta sulla cui maglietta vi è il disegno stilizzato di un computer
semplice e bello. Ha in mano un grande martello. Le guardie del regime la inseguono, ma lei riesce ad avvicinarsi al
più grande degli schermi da cui sta parlando il dittatore: fa roteare il martello, infine, lo lancia verso il volto
bidimensionale del Grande Fratello, distruggendone l'immagine e simbolicamente il potere. Lo spot uscì una sola
volta.
L'unico che era convinto potesse funzionare fu Steve Jobs ed ebbe ragione.

4.3 Cambiare stato. (Pruf = Armando Testa) Racconto di De Martini all’interno dell’agenzia Armando Testa.
Chiamato per lavorare ad un progetto per la San Pellegrino (aranciata), è stato scelto da Armando Testa per la sua
descrizione in 150 parole di sé stesso. Come tema usò quello della precocità. In effetti De Martini aveva sempre
avuto un’inspiegabile fretta di fare tutto, di finire. La San Pellegrino li aveva chiamati in gara per il rilancio
dell’aranciata. Testa riassume il brief alla sua maniera. Bisognava dire che era sana, mediterranea e dissetante. Testa
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fece vedere il suo schizzo a De Martini: una ragazza che ballava, avvolta in un abito bianco. Teneva una mano davanti
alla fronte. Nella mano, rivolta verso di noi, una grande arancia. Naturalmente rossa (per lui il mondo era su uno
sfondo bianco con sopra qualcosa di rosso, come il suo manifesto per il Punt e Mes). De Martini aggiunse una frase di
due parole (buona sete!) e scelse una musica per lo spot. Gara vinta. Miglior poster dell’anno. Vincendo così un
viaggio a New York per l’art (Armando Testa) e il copy (Alberto De Martini). Per quanto riguarda la scelta di
Armando Testa: se il brief è “sano/mediterraneo/dissetante”, l’artista lascia che queste parole lavorino nella sua mente,
e camminino, finché si incontrano con un’altra parola, un’altra immagine, un’altra idea. Magari un ricordo: come
l’immagine di una ragazza con un abito bianco che balla (ricordo di Armando testa di una gara, di cui lui faceva parte
della giuria). L’immagine ritraeva una donna che danzava questo perché gli anni in questione sono quelli della disco-
dance e quindi venne così l’idea.

4.4 Cambiare per non cambiare


Non sempre il cambiamento vuol dire spostarsi da ciò che si fa ma anche RESTARE è un CAMBIAMENTO di non
discontinuità, come Barilla (dove ‘è Barilla c’è casa). All’epoca in Italia erano due i competitori di pasta (Buitoni e
Barilla) che si sfidavano quote percentuali inferiori al 10%. La Buitoni diceva che la sua pasta valorizzava il sugo per
la sua rugosità mentre Barilla diceva che era più resistente alla cottura e che si manteca al dente. Barilla incaricò
Marco Lombardi e Gavino Sanna di cambiare paradigma, adottando il pensiero laterale. Scoprirono che Barilla per
gli italiani era sinonimo di pasta e allora si posero la domanda successiva: di cosa era sinonimo pasta per gli italiani?
Tavola, famiglia, casa. Venne coniata allora la campagna dove c'è Barilla c'è casa. Così la Barilla sconfisse la Buitoni
superando di oltre il 35% del mercato. Ma ciò che permise questo successo furono tre cose:

- Spostare l’ASSE di COMUNICAZIONE dal PRODOTTO alla MARCA;


- Capire che una MARCA LEADER non deve e non può raccontare sé stessa come uno dei modi possibili di
interpretare la propria categoria merceologica ma come l’INCARNAZIONE AUTENTICA e quindi unica dello
spirito e dell’essenza della categoria stessa;
- Non avere paura di promettere un cambiamento che è una conservazione. Perché quegli anni 80/90, in bilico tra il
terrorismo delle Brigate Rosse, un’incosciente euforia consumistica, l'inizio della rivoluzione digitale e dell'ondata
migratoria, costituivano per molti italiani una minaccia alla possibilità di continuare a vivere la vita di sempre,
fatta di piccoli e grandi riti carichi di gratificazioni materiali, emotive e simboliche. In questo le persone possono
trovare in un marchio un'opzione di cambiamento atipica: quella verso una minore dose di ansia legata
all'incertezza del domani.

4.5. La dimensione di un brand


Per quanti sforzi si facciano, nessuno è riuscito a trovare un sistema scientifico per misurare l'EFFICACIA di una
campagna pubblicitaria. La PUBBLICITA’ è solo una componente del MARKETING MIX. Se nel tuo ristorante fai
un minestrone con 36 verdure, come fai a sapere quanti clienti vengono perché ci metti la verza? Tuttavia, l'esperienza
e il buon senso convergono sull’esistenza di una relazione diretta fra
- La GRANDEZZA di un BRAND da una parte
- La GRANDEZZA dei VALORI che riesce a rappresentare, l’empatia che riesce a trasmettere e la promessa di
cambiamento che riesce a comunicare dall'altra. E per grandezza di un brand non si intende soltanto la sua fama,
ma anche la sua capacità di generare vendite e fatturato.
Al vertice più alto di questa catena formata da tre anelli, si pone il CAMBIAMENTO . Non esiste alcuna certezza
riguardo allo spazio esistente nel mercato per un brand, questo spazio lo crea il brand stesso nella misura in cui si
impegna a determinare un vero cambiamento positivo nella vita delle persone a cui si rivolge.
I grandi brand come Apple, Red Bull, Facebook, Dove, hanno raggiunto tantissimi pezzi venduti ma questo è
possibile solo grazie alla PROFONDITA’ con cui il loro LINGUAGGIO riesce ad incrociare i nostri valori, le nostre
inquietudini (attraverso l’empatia) e soprattutto i nostri sogni, cioè cambiamenti che desidereremmo introdurre nella
nostra esistenza. Il SENSO di un brand è tutto nel CAMBIAMENTO che sa realizzare. Proprio come l'ideologia:
l'illuminismo risponde ad un obiettivo grandioso ossia l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità imputare a sé stesso
valore, empatia e cambiamento sono perciò decisivi per il successo di un brand in quanto ideologia, ma essi
costituiscono le premesse di un percorso che deve superare una propulsione visionaria. Un brand può diventare una
grande storia solo se le sue componenti ideali riescono ad andare di pari passo con quelle fattuali, trasformando
l'individuazione e l'ambizione di un cambiamento in un cambiamento reale.

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Step 3: Poiché un brand crede in determinati valori, testimoniati dai suoi miti, si pone in un rapporto di empatia
specifica con un universo definito di persone-target. Tale empatia lo induce a perseguire, nella vita di quelle persone,
un CAMBIAMENTO POSITIVO.

- Facebook ci propone una vita più viva;


- Apple promette di renderci magici.

5. Strumenti
Rosser REEVS non fu una cima a scuola ma era bravo a scrivere e fu così che vince un concorso della chimica: non
parlare della chimica, ma di come la chimica rendesse migliore la vita. Infatti, scelse il titolo “Better living through
chemistry”. La prima fortuna generata dal suo breve saggio fu la conquista del premio. La seconda fu che la
multinazionale chimica Du Pont convocò l’agenzia in cui lavorava Reevs per una gara. In palio c’era un budget da
alcuni milioni di dollari. La sua campagna è ancora oggi studiata come una case-history esemplare. Il pay-off che la
firmava era “DuPont. Better Living Through Chemistry”.
Reeves credeva che la pubblicità servisse a VENDERE il PRODOTTO e perciò che bisognasse trovare una cosa che
rendesse il prodotto UNICO e quindi DIVERSO da tutti gli altri e, una volta trovata, comunicarla in modo semplice e
chiaro. Ha completato questo ragionamento pragmatico assegnando alla sua formula una sigla che rimane ancora oggi:
Unique selling proposition (USP). Seppe mettere in pratica la sua brillante teoria, creando campagne di enorme
successo strettamente ancorate alla regola della USP. Una fra tutte, quella della M&M’s, basata su una USP e uno
slogan: si sciolgono in bocca, non in mano.
La teoria di Reevs NON prende in considerazione la questione del BRAND, che all'epoca non aveva il significato di
oggi; si parlava più che altro di TRADEMARK, MARCHIO : un nome o un segno che indica e al massimo
garantisce un prodotto. Per questo Reeves vende prodotti e la sua analisi si concentra sui modi più efficaci per
comunicare i BENEFICI FUNZIONALI del prodotto. Si tratta di un approccio non superato, ma limitato ad un
passaggio della narrazione di un brand. Il PRODOTTO è il MEZZO o uno dei mezzi con cui il brand realizza la
propria MISSIONE, di conseguenza, per una corretta strategia narrativa, la teoria di Reeves è essenziale: dopo avere
descritto il tipo di cambiamento che il brand intende suscitare nella vita delle persone target, è necessario trasmettere
al target come i prodotti o i servizi che agiscono in nome e per conto di quel brand siano in grado di realizzare
concretamente quel cambiamento, attraverso quali benefici funzionali e in virtù di quali caratteristiche distintive.
Quindi, mentre Reeves vedeva una geometria di relazioni a DUE DIMENSIONI, quella del PRODOTTO e quella
del CONSUMATORE , oggi sappiamo che sono almeno TRE DIMENSIONI: BRAND, PRODOTTO e
CONSUMATORI che ormai devono essere definite persone, non parlare di consumatori ma di persone permette di
capire meglio con chi le aziende e i brand hanno davvero a che fare: non semplici essere consumanti influenzabili con
tecniche di addestramento, ma esseri complessi dotati di un completo e articolato sistema di valori e aspettative.
“Per le persone, i veri brand sono PUNTI di RIFERIMENTO ai quali milioni di persone si rivolgono perché li
considerano attori sociali, in grado di proporre determinati valori e visioni della realtà in cui riconoscersi. Così i
prodotti di un brand non sono fenomeni isolati, ma sono saldamente collegati a valori che condivido, ad un’empatia
che valorizza i miei desideri, ad un cambiamento al quale ambisco e ai processi volti realizzarli. Al prodotto di un vero
brand le persone riconoscono una profondità narrativa che permette loro di vedere oltre la sua superficie fisica e
funzionale, l’anima del prodotto!”
In questa visione non esiste perciò una contrapposizione tra brand e prodotto perché la narrazione ideologica di un
brand include il prodotto come elemento essenziale alla propria completa espressione. Ci sono casi in cui questa
visione olistica e non dicotomica del rapporto fra marca e prodotto non ci impedisce di riconoscere che alcune volte,
nel corso della narrazione della marca, il passaggio rappresentato dal prodotto ne costituisce l'anello più forte.

5.1. Strumenti d’innovazione


Apple è una di queste. non solo la satira del brand ma anche quella dell’azienda è da sempre determinata da queste
alternante capacità: quella di superare con i prodotti un’asticella che proprio il brand, forte di una self-confidence
giustificata dalla propria storia iniziale aveva posto a un livello inaccessibile a tutti gli altri e persino a ste stesso. La
chiave infatti è questa. Nessun manager della satira ha mai saputo unificare in una sola mente la visione, il sistema di
valori di un brand e la capacità di immaginare prima e generare poi le sue incarnazioni materiali.
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5.2. Strumento di gratificazione


Un altro esempio di BRAND PRODUCT-DRIVER è Nutella. Una crema che è stata concepita nel 1964 da Michele
Ferrero. Almeno due generazioni di italiani sono cresciute con la certezza che in qualsiasi momento di ansia,
malinconia c’era lei. Nutella è così diventata simbolo dei piccoli-grandi piaceri quotidiani, perché capace di proiettarci
all’indietro nel tempo perduto dell’infanzia. Forte di tutto questo, Ferrero ha tentato varie volte il PASSAGGIO da
NOME di PRODOTTO a BRAND. Alla fine, la comunicazione di Nutella è tornata sempre a concentrarsi sul
PRODOTTO e sulle sue proprietà funzionali, in termini di gusto e di nutrizione. Questo perché Nutella ha la capacità
di colpire zone profonde della PERSONALITA’ dei suoi consumatori e di rappresentare sfere valoriali rilevanti: il
desidero di gioia ed energia a sé stessi ed ai propri figli. È come se tutti gli altri benefici ideali ed emozionali del brand
non trovassero spazio e legittimità, se non direttamente innescati dall’esperienza del prodotto. È impossibile conoscere
ed accedere all’anima di Nutella se non attraverso il contatto, visivo o materiale, con il suo corpo, ovvero
mangiandola.

5.3. Strumento di felicità?


Anche Coca-Cola compare tra i brand globali più conosciuti ed apprezzati. Il brand è una narrazione ideologica il cui
senso risiede in un cambiamento determinato nella vita di un determinato universo di persone. In questo sistema, il
prodotto gioca un ruolo determinante. Il suo effetto sulle persone (BENEFIT) è infatti il modo specifico in cui il
prodotto consente al brand di realizzare il cambiamento.

Coca-Cola è un brand? Bisogna osservare i suoi messaggi cominciando da “Enjoy” accompagnato da immagini
celebri delle bottigliette con le gocce finalizzate a trasferire un’idea di freschezza; focus sul benefit principale di un
prodotto: dissetarsi con piacere.
Successivamente venne trasferito tutto nella parola: FELICITA’. Fu la coppia formata dal CMO Joe Tripody e il
direttore marketing del Nord America Wendy Clarck a lanciare nel 2009 il concept “Open Happyness”. Coca-Cola
avrebbe continuato a generare piacere e dissetare ma grazie a questo si sarebbe spinta fino a generare o almeno ad
aumentare la felicità delle persone. Un’ambizione non da poco, che però funzionò: si era parlato troppo del brand e
troppo poco del prodotto. Nel gennaio 2016 il nuovo direttore marketing Marcos De Quinto ha abolito la campagna
“open happyness”, la grandezza di coca cola sta nella sua semplicità e umiltà, più abbiamo cercato di fare i
predicatori, più l’abbiamo resa piccola. Il fallimento della campagna come quelle istituzionali lanciate da Nutella,
confermano che la narrazione di un brand ha successo non solo se i suoi singoli passaggi appaiono tecnicamente
giustificati dalle teorie marketing, ma dalla forza delle connessioni tra un passaggio e l’altro.
5.4. Strumenti di identificazione Nike come è prevalsa su Reebok.
Non è facile affrontare una crisi. Soprattutto quando è la prima, dopo 23 anni di crescita ininterrotta. Il 1987 aveva
segnato il primo calo di fatturato a quando Phil e il suo allenatore avevano fondato la Blue Ribbon Sports. Phil e Bill
avevano dovuto licenziare il 20% del loro staff. Una beffa per un’azienda che nel frattempo aveva scelto un nome che
in greco significa vittoria: Nike. Per diventare LEADER del mercato, non bastava trovare un produttore più
economico o inventare un gadget per rendere un modello di scarpe diverso dagli altri; bisognava entrare nel CUORE
di milioni di americani che avevano deciso che non bisognava essere atleti professionisti per mettersi un paio di
sneakers. Phil, appena arrivato in sede, convocò il suo direttore marketing, Jerome Conlon, il capo della pubblicità
che aveva appena assunto, Scott Badbury, e il titolare della sua agenzia di comunicazione storica, Dan Wieden.
Spiegò loro come stavano le cose e li chiuse in una stanza, intimandogli di non tornare da lui senza un’idea capace di
rimettere le ali alla dea della vittoria. Nike non era solo una fabbrica di articoli sportivi, ma una comunità di uomini e
di donne che credevano nei valori dello sport. (Gary Gilmore, let’s do it).
Campagna Just do it
Il suo successo sta nella CHIAREZZA con cui dimostrò che ASSOCIARE un MARCHIO ad ELEMENTI puramente
IDEOLOGICI, senza alcun collegamento esplicito ad un prodotto o a una linea di prodotti, può cambiare il destino di
un’azienda fino a trasformarla da comprimaria di un mercato nazionale al leader del pianeta. Nike, grazie al sistema di
comunicazione “Just do it”, superò Rebook.
Le persone cominciarono a preferire i prodotti Nike non per la loro superiorità tecnica ma per il piacere di dire al
mondo, attraverso quel nome e quel segno: io amo lo sport e semplicemente lo faccio. Nike riuscì quindi a soddisfare
un bisogno profondo di milioni di persone: trasmettere un’IDENTITA’ e condividere una PASSIONE.
Anche nella strategia narrativa di Nike il PRODOTTO è lo strumento con cui il brand realizza la propria MISSIONE,
ma la differenza e che questa capacità ha poco a che fare con una prestazione del prodotto resa distintiva o superiore
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da una o più qualità intrinseche. I prodotti Nike cambiano la vita delle persone perché sono prodotti Nike e come tali
permettono alle persone di sentirsi iscritte e portavoce della grande e universale comunità di chi ama fare sport.
Prodotti molto simili ad altri vengono preferiti ai restanti e pagati molto di più in virtù della capacità del brand a cui
appartengono di segnalare al mondo l'identità, i gusti, i valori di chi li indossa.

5.5. Nike e Barilla: due lezioni di marketing


Sia Barilla che Nike smisero l’una di dire “io sono una pasta diversa” (dicendo: io sono la pasta) e l’altra di parlare di
suole rinforzate (dicendo: io sono lo sport).
Ciò, significa che le regole della USP è da considerarsi superata? No. Ci sono tanti case-history successive a Nike e
Barilla che testimoniano la POTENZIALITA’ della USP. Ciò che dimostrano Nike e Barilla è che la ricerca e la
rivendicazione di USP non è il solo modo per vincere e nemmeno per differenziarsi. Sono i LEADER a prendere sulle
spalle il gruppo a cui appartengono e far propri gli scopi e i valori di tutti. La domanda giusta per cui non è se sia
meglio attuare una strategia USP o una strategia che potremmo chiamare CVP (Category Value Proposition) ma
piuttosto in quali casi sia meglio adottare l’una o l’altra.
Dunque, se si è piccoli e meno forti dite che siete diversi. La USP è infatti un’opzione molto ragionevole per un
Challenger il cui obiettivo è guadagnare qualche punto di market-share. In questo caso bisogna evidenziare i propri
punti di forza e colpire il punto debole dell’avversario.
La CPV è invece una buona opzione da valutar per brand dotati di ambizione e risorse importanti: una strategia da
leader. L’importante è che si verifichino 4 condizioni:
1. la merceologia di appartenenza rappresenti davvero per le persone-target una categoria associata a valori
importanti e ben definiti;
2. che il brand sia CREDIBILE per recitare il ruolo;
3. che la scelta di occupare quei valori non si già stata effettuata da uno dei competitor;
4. che si disponga di un BUDGET largamente SUPERIORE a quello dei CONCORRENTI, affinchè
l’occupazione della categoria avvenga in modo rapido e inequivocabile.

Bisogna che la nuova narrazione riguardi un argomento rilevante, che l'attore protagonista abbia i requisiti per la parte,
che nessun altro personaggio sia già al centro della scena e che l'impresario abbia i mezzi per creare un blockbuster.

5.6. L’importanza di essere storia


Tutti i brand citati hanno cercato di iscrivere i propri prodotti all'interno di un FLUSSO NARRATIVO. Si tratta di uno
sforzo necessario: un prodotto che non sia l'anello di una catena narrativa efficace, coinvolgente e
Apple ci ha provato utilizzando il tema dell’INDIPENDENZA di PENSIERO. Il suo celebre claim, “Think
independent” è la sintesi di questa ambizione: fare di ogni prodotto Apple il punto di incontro tra un’azienda e una
persona.
Nutella ha compiuto diversi tentativi. Quello attuale riguarda l’ENTUSIASMO.
Coca-cola ha puntato molto in alto, probabilmente troppo. Nella narrazione immaginata dal precedente management
dell’azienda, il prodotto diventava il MEZZO PIU’ SEMPLICE per sostenere ognuno di noi nella quotidiana
RICERCA della FELICITA’.
Nike ci dice da quasi 30 anni che chi indossa un prodotto con il suo marchio, il celebre swoosh, appartiene a una
specie NOBILE.
Le persone non amano e non sanno dare valore a nulla che non abbia un senso, cioè una direzione ed un significato.

5.7. La comunicazione come strumento


Nella COMUNICAZIONE PEOPLE ORIENTED (CPO), la comunicazione di marca può assumere un ruolo
DIVERSO rispetto a quello che comunemente le viene attribuito.
In questa ottica, la comunicazione INFORMA e INDICA alle persone che quel prodotto è in grado di generare quel
particolare BENEFICIO. A volte si assume il compito di contribuire direttamente alla PRODUZIONE del
CAMBIAMENTO iscrivendosi alla categoria degli STRUMENTI e diventando così parte integrante del flusso
narrativo del brand.
Questo salto di livello e visibile grazie all' avvento del WEB: attraverso i propri siti e le proprie pagine social, i brand
hanno potuto disporre di piattaforme nuove di comunicazione capace non soltanto di moltiplicare il messaggio (il mio
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prodotto fa questo per te) ma anche di partecipare direttamente e immediatamente al cambiamento attraverso la brand
experience. Esempio Bonduelle, la multinazionale leader nel settore delle verdure confezionate.

5.8. Comprare o coltivare?


Inizialmente i prodotti Bonduelle venivano acquistati per evitare la noia di lavare la verdura, trovandola già pulita e
pronta per essere servita. Poi però arrivarono i COMPETITOR, che offrivano lo stesso servizio a prezzi più bassi.
Bisognava allora giustificare un differenziale di prezzo, per farlo, bisogna puntare su una USP alla Reeves (strategia di
CHALLENGER) oppure provare ad occupare il territorio della categoria, secondo lo stile Nike e Barilla (strategia di
LEADER).
Decisero di percorrere una via intermedia, che privilegiava l'uno o l'altro approccio a seconda del touchpoint
utilizzato: la TELEVISIONE avrebbe illustrato la qualità e la freschezza delle verdure (USP), mentre il WEB si
sarebbe incaricato di rendere Bonduelle la marca leader di un movimento di appassionati al mondo vegetale. Sul sito
web vi erano diverse sezioni, tra cui spiccava In Orto, un insieme di contenuti video e testuali volti a condividere e a
migliorare le tecniche di coltivazione delle verdure nel proprio podere personale. Non è più un mezzo per illustrare i
benefici del prodotto Bonduelle, ma uno strumento attraverso cui il brand Bonduelle realizza direttamente e
immediatamente la propria missione di cambiamento: diffondere e alimentare la passione per le verdure. Questo
esempio indica come la comunicazione possa assumere, nella strategia narrativa del brand, il ruolo di strumento grazie
alle straordinarie opportunità offerte dalle tecnologie digitali.

Affidarsi o fare da sé?


Eravamo intorno alla metà degli anni 90. La mia agenzia aveva ottenuto un incarico da parte della prima società
italiana di gestione del risparmio: Fideuram. Cominciammo da un lavoro di benchmarking: l’individuazione e
l’analisi dei casi più significativi del settore, in tutto il mondo. Una campagna mi colpì, al punto di non dimenticarla
mai più. Niente musica, niente immagini, nessuna voce, nessuna promessa. Si vedeva uno schermo nero, poi
cominciavano ad apparire delle scritte: una specie di presentazione Power Point ante-litteram. Ma le scritte non
dicevano quanto era bella e brava la Shearson Lehman Brothers. Davano informazioni sui mercati finanziari. La SBL,
a metà degli anni 90, fu il primo a trasformare un pezzo di comunicazione da indicatore delle performance di un
prodotto a strumento diretto di realizzazione della missione di un brand.

5.9. La comunicazione è un prodotto?


Almeno in alcuni casi, la COMUNICAZIONE è un PRODOTTO. Se infatti definiamo il prodotto come l'elemento
protagonista dello scambio di valore tra l'impresa e le persone non possiamo negare che la comunicazione sia in grado
di svolgere almeno una parte di quel ruolo entrando a far parte del sistema di offerta del brand. In Orto è un prodotto
editoriale dotato di valore, un prodotto della gamma Bonduelle gratuito. Non viene pagato nel momento in cui se ne
FRUISCE , ma si paga in termini di tempo personale e costi di connessione. È un servizio offerto al consumatore in
aggiunta alla gamma tradizionale di prodotti, con l'obiettivo di vedere riconosciuto il valore al momento del prossimo
acquisto. Questo farà sì che i consumatori sceglieranno il brand Bonduelle nonostante sia più caro.

5.10 Distinzione e relazione tra marca e prodotto


Un BRAND è una narrazione ideologica che trova il proprio senso nel mondo in funzione della rilevanza del
cambiamento promesso ad un certo universo di persone, detto TARGET . Ma per realizzare questo cambiamento,
l'ideologia ha bisogno di passare dalle INTENZIONI ai FATTI e per compiere questo passaggio deve introdurre nella
narrazione strumenti concreti, riconoscibili ed efficaci.

I prodotti, i servizi, gli output di comunicazione generati dal brand sono quindi non solo chiaramente distinguibili da
esso ma si pongono anche, rispetto ad esso, in una relazione subordinata, essendo i modi escogitati dal brand per
realizzare la propria missione di cambiamento.

A chiarire il concetto vengono in nostro soccorso i lumi di Denis Diderot e Jean Baptiste Le Rond D’Alemert. I due
intellettuali francesi furono i curatori della celebre Encyclopèdie o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei
mestieri (1751-1780). L’idea era quella di creare un’opera grandiosa che si occupasse solo di ciò che gli uomini
avevano scoperto, capito, pensato, creato e compiuto; e per quei tempi significava una sfida spavalda verso chi
professava il primato della fede. Per questo l’Encyclopédie fu proibita da nobili e religiosi, capeggiati dal re Luigi XV,

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dai Gesuiti e dal papa Clemente XIII. Perchè non era solo un prodotto editoriale, ma era il primo strumento ideato e
realizzato per tentare di portare a compimento gli ideali dell’Illuminismo.

Lo strumento a disposizione di un'idea non è solo il suo mezzo di attuazione, ma ne è anche la trasposizione materiale:
l'INCARNAZIONE. L'uomo ha sempre conosciuto il mondo attraverso due categorie: le IDEE e le COSE e ha sempre
avuto bisogno di metterle in CONNESSIONE, l’una per dare senso all' altra, un’idea resta soltanto un’idea finché è
soltanto un’astrazione.

5.11 Mettere in ordine le cose


Molte architetture strategiche di un brand sono destinate a FALLIRE perché non tengono conto della distinzione e
della relazione fondamentale che esiste tra idee e cose, tra marca e prodotto. In queste pseudo- strategie si selezionano
i benefici dei prodotti da comunicare in base ai gusti, opinioni, convinzioni dei pubblicitari o dei manager
dell'impresa: ma è davvero questo il beneficio che permette al prodotto di incarnare e realizzare l'idea- brand? Se la
risposta è no, i casi sono due:
- o il prodotto nel suo insieme (idea, qualità, pack, prezzo, beneficio) è straordinario e allora ce la farà malgrado
l'appropriazione indebita del nome del brand.
- oppure il prodotto è normale e allora fallirà a causa dell'abbinamento con un brand impossibilitato a
trasferirgli senso e valore, fallirà perché non tiene conto di ciò che lega e distingue un brand (idea) da un
prodotto (cosa). Il brand è un'ideologia che fissa valori, empatia e propositi di cambiamento; il prodotto è la
sua incarnazione materiale e lo strumento o uno degli strumenti di attuazione del cambiamento da essa
perseguito.
Esempio della Ciobar: Cameo ci chiamò per provare a superare un momento di crisi. Cominciando dalle ultime
ricerche; da queste ricerche si evinceva che gli user trovavano magnifico il prodotto e che lo consumavano nelle
giornate fredde e piovose. Mentre alcuni non user, dichiaravano di non comprare il prodotto per paura di assumere
tante calorie. Il brief del cliente suggeriva di utilizzare una SUPPORTING EVIDENCE: una dose di Ciobar apportava
le stesse calorie di una mela!
Il nuovo claim recitava “Ciobar: il gusto che scalda l’inverno” e/o script di un commercial in cui, in una giornata di
pioggia, un ragazzo rimaneva chiuso fuori di casa in cui i suoi amici stavano preparandosi e poi gustandosi Ciobar. Lo
spot finiva che si appoggiava zuppo e rassegnato alla porta d’ingresso che, non essendo chiusa a chiave, cedeva al suo
peso, facendolo precipitare al suo interno. Come hanno fatto? Semplicemente mettendo in ordine le cose (riordinando
la strategia narrativa da cui era nato il brand).
Step 4: Questo step si pone sotto il terzo e leggermente spostato verso destra: sotto perché dal punto di vista dei flussi
casuali, gli STRUMENTI sono il MODO in cui il brand realizza completamente il CAMBIAMENTO POSITIVO
nelle persone target e rappresentano perciò la base o premessa essenziale affinché il cambiamento si attui a destra
perché, da un punto di vista della cronologia ideale, gli strumenti vengono concepiti dopo la determinazione del fine
rappresentato dal cambiamento.
Poiché un brand crede in determinati valori, testimoniati dai suoi miti, si pone in rapporto di empatia specifica con un
universo definito di persone target. Tale empatia la induce a perseguire, nella vita di quelle persone, un cambiamento
positivo, per operare il quale utilizza strumenti quali prodotti, servizi e comunicazioni.

 Facebook: Una piattaforma digitale capace di connettere non solo le persone ma i loro sentimenti e le loro
emozioni e facendo questo di connettere ognuno, in qualsiasi istante lo desideri, alla parte più profonda e
importante di sé.
 Apple: oggetti perfetti per forma e dimensione in grado di esaudire in pochi attimi una straordinaria e sempre
crescente quantità dei nostri desideri.

6. Processi
Finora abbiamo visto:

- Un GRANDE BRAND , per essere tale, deve dotarsi di un set di VALORI, meglio se confermati dai suoi miti,
cioè i racconti delle origini del brand stesso o, più frequentemente, dell'azienda.
- Questi valori devono TRADURSI in un rapporto empatico con i gruppi di persone che il marketing definisce
come TARGET.
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- Questa empatia deve generare un progetto o meglio, un impegno a CAMBIARE di poco o di tanto virgola in
POSITIVO, la vita delle persone.
- Per realizzare questo cambiamento, il brand si deve servire di STRUMJENTI che assumono, a seconda dei
casi, le caratteristiche dei prodotti, servizi o addirittura di attività di comunicazione.

Per chiudere il cerchio bisogna COSTRUIRE gli STRUMENTI, per far questo il brand deve dotarsi di PROCESSI
produttivi, organizzativi, informatici logistici, che consentiranno agli strumenti del brand di esistere, di raggiungere le
persone e generare il cambiamento desiderato.
La realizzazione di questi processi implica una varietà di scelte che vanno dagli ingredienti utilizzati ai macchinari,
dei luoghi in cui produrre alla gestione del personale, dall’impatto ambientale al rapporto con il fornitore. Tutto questo
è cruciale ai fini del successo del brand stesso e del lieto fine della narrazione.
Per questo è importante che sia il brand il soggetto di questa delicatissima serie di scelte e non l'azienda: le persone
dell'azienda devono compiere tali scelte in nome e per conto del brand, realizzando gli strumenti funzionali alla
missione del cambiamento in armonia con i principi fissati dai valori.

6.1. Il paradosso della pasta. Pasta De Cecco


Dopo una mail, il cui soggetto era “L’ex-agenzia di De Cecco vi chiede un incontro”; l’unica risposta arriva da una
certa De Matteis Agroalimentare (attraverso il marchio Sainsbury è il primo esportatore di pasta italiana in Gran
Bretagna). Era una famiglia cresciuta a pane e mattoni, perchè il papà faceva il costruttore. Poi vi fu il terremoto che
distrusse tuto nel 1980. Un bicchiere da Aglianico fornì l’ispirazione; l’Aglianico era un vino del territorio, figlio di
un’uva del territorio. Così sarebbe stata la nuova pasta. Una pasta del territorio, figlia di un seme del territorio. Per
celebrare questa svolta fu coniato il nome del progetto: Campi di Pasta. Un modo per stabilire un legame tra la
materia naturale e il prodotto finito.
Per realizzare il sogno consapevole dell’azienda e quello latente dei consumatori (empatia) di poter mangiare
finalmente un cibo (cambiamento) che rispecchia fino in fondo la loro cultura (valori), attraverso una pasta di
altissima qualità (strumento), fatta con grano italiano, in quale modo la famiglia De Matteis aveva deciso di produrla?
(processo!). Pasta rigorosamente prodotta in Italia, con grano italiano, rispetto dei valori dei fondatori: lavoratori che,
anche di fronte ad una disgrazia come quella del terremoto che aveva distrutto la loro impresa, avevano trovato la
forza e la motivazione per ripartire, partendo dalla constatazione che anche sul terreno distrutto poteva nascere
qualcosa, il grano!

6.2. Venite a vedere


Barilla non produce solo pasta ma anche sughi pronti. L’unico problema è che le persone non si fidano dei sughi
pronti perché non si sa mai cosa possono metterci dentro. La Barilla fino al 2012 ha prodotto sughi di alta qualità,
Danilo Puricelli direttore creativo della divisione digital di Young&Rubicam ricevette il brief, gli sembrò fra i più
difficili della sua carriera, sapeva benissimo che cambiare atteggiamento è più difficile che incidere su un
comportamento.
Ma poi si ricordò che lui era il mago del digital; si sforzò di trovare un modo per far vedere agli italiani con i loro
occhi che ciò che veniva prodotto non era per niente di scarsa qualità, mettendo a disposizione l’industria Barilla: in
che modo? Creò una piattaforma Street View (google), dove chiunque, accedendovi, potesse vedere la filiera di
produzione dai campi di basilico alla produzione. National Geographic (National Geigraphic Magazine) realizzò i
video in cui i tecnici Barilla, ripresi nel loro ambiente di lavoro, illustrano i processi di lavoro. Vi aggiunsero anche un
concorso grazie al quale chiunque può ottenere un invito a recarsi di persona nei campi e nella fabbrica dei sughi
Barilla e chi volesse poteva trasmetterlo tramite una video-intervista con le proprie impressioni.

6.3. Processi circolari


L’ECONOMIA CIRCOLARE è un modello ideale di produzione che non prevede scarti da disperdere nell'ambiente
perché capace di riutilizzarli in una fase successiva. A differenza dunque del modello lineare, la fine di un ciclo
produttivo corrisponde ad un nuovo inizio e così via. Negli ultimi anni è cresciuta la sensibilità delle persone rispetto
ai temi del rispetto ambientale e i prodotti realizzati nel rispetto dei principi dell'economia circolare interessano e
addirittura sono preferiti da parte dei segmenti di target culturalmente più evoluti. Sono sempre più numerosi i casi in
cui la strategia narrativa di un prodotto si focalizza sulla sua derivazione da un processo di tipo circolare.
• Adriana, una ragazza Sicilia che va a vivere a Milano per motivi di studio, si trova davanti l’arancio delle arance,
la neve dell’Etna e il blu del cielo e pensa a quanto le mancherà tutto ciò. Un giorno durante l’assegnazione di un
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progetto venne chiesto di realizzare qualcosa per la moda che tenesse conto della sostenibilità ambientale; fu così
che lei, pensando alle arance della propria terra, ebbe l’idea di realizzare un tessuto con gli scarti delle arance.
Pochi anni dopo Adriana ricevette la telefonata che avrebbe cambiato la sua vita; la Global Change Award della
H&M Foundation aveva eletto lei tra le 5 vincitrici del premio da un milione di dollari, la sua start-up si
chiamava appunto Orange Fiber.
• 165 miliardi di dollari sono il valore del cibo che viene buttato annualmente in America e fu così che venne l’idea
a due persone in gamba: Dough Raugh e Birgitte Qvist Sorensen, di aprire un supermercato che vendesse cose
scadute, ovvero dalla data di scadenza fino alla data realmente dannosa per la salute delle persone. I due punti
vendita si chiamano Daily Table e Wefood offrendo appunto prodotti scaduti e a prezzi scontati. Questo perché
hanno tenuto conto della salvaguardia dell’ambiente, la convenienza del consumatore e il business.
Step 5: I PROCESSI costituiscono il QUINTO e provvisoriamente ultimo passaggio nella costruzione di una strategia
narrativa per la marca. Questa sezione si colloca sotto la quarta e leggermente spostata verso destra:
- sotto perché, dal punto di vista dei flussi causali, i processi sono il modo in cui il brand realizza gli strumenti
necessari a determinare il cambiamento;
- a destra perché, da un punto di vista della cronologia ideale, i processi vengono posti in essere dopo
l'individuazione da parte del brand degli strumenti di cui intende dotarsi.
Poiché un brand crede in determinati valori, testimoniati dai suoi miti, si pone in un rapporto di empatia specifica con
un universo definito di persone target. Tale empatia lo induce a perseguire, nella vita di quelle persone, un
cambiamento positivo, per operare il quale utilizza strumenti quali prodotti, servizi e comunicazione, per realizzare i
quali concepisce e mette in atto adeguati processi organizzativi e produttivi.

Esempi
- La modalità che informa i processi Facebook è influenzata dai valori dell’ambizione, della condivisione, della
quantità e della velocità, sintetizzati dal motto “Better done than pefect” assumendo la forma di una cooperazione
ispirata a criteri di massima fluidità, alta produttività e bassa selettività.
- Mentre Apple agisce attraverso processi di generazione creativa analoghi rispetto a quelli attuati da Facebook; la
natura dei processi si modifica quanto più ci si avvicina alla fase che decide sulla vita o la morte delle proposte di
prodotto. I processi assorbono come spugne vive i valori fondativi del brand, sintetizzati dalle due parole chiave “no”
e “perfect”. Apple compie questo passaggio sottoponendo i progetti candidati a diventare prodotti a una selezione
severissima, attraverso una verifica implacabile della loro adeguatezza rispetto all’onore e della loro dignità rispetto
all’onore di costituire un nuovo capitolo della storia del brand.

7. Il segreto dell’onda
La strategia narrativa di un grande brand può quindi strutturarsi in un percorso formato da 5 capitoli. Questa struttura,
per essere efficace, devi contare su alcune caratteristiche fondamentali:

- La COERENZA: la forza di un brand risiede nella sua capacità di accrescere l'energia generata della propria
storia, grazie ad un trasferimento diretto di senso da una fase all'altra del suo svolgimento. È questo
straordinario capitale di energia accumulato dal brand attraverso i passaggi della propria storia a scaricarsi sui
mercati e sulla società, producendo fenomeni economici e culturali importanti. Proprio questa riflessione
centrata sul concetto di energia, combinata con la forma assunta spontaneamente dal modello descritto, porta
Martini ad assegnare alla BNS la forma di un'ONDA.

La STRATEGIA NARRATIVA di un grande brand è molto simile ad un'onda, che trasferisce energia e produce
lavoro: anche l'onda è composta di parti: ha un ventre, un cavo e una crescita, un lato anteriore e posteriore in un'onda,
come in una storia, le parti si legano in un tutto nel quale finiscono per confondersi grazie alla loro fluidità e coesione.
Nel caso della BNS evidente che le varie sezioni, per poter stare insieme e permettere all’onda di produrre la massima
energia, devono parlarsi in modo armonico:

- i PROCESSI PRODUTTIVI e ORGANIZZATIVI , le materie prime utilizzate, gli ambienti fisici in cui
avviene la produzione, la gestione della forza lavoro in termini di remunerazione, orari, trasparenza, è
fortemente influenzato da tutto ciò che avviene sul lato sinistro vale a dire i valori e i miti fondativi del brand

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- allo stesso modo, al piano di mezzo dell'onda, le CARATTERISTICHE degli STRUMENTI prodotti per
realizzare il cambiamento dovranno non solo essere influenzate, ma determinate dall’empatia scaturita fra i
brand e le persone target.

I Biscotti Colussi. Ormai antichi un po’ invecchiati, nessun cambiamento avevano una quota di mercato dell’1,9%. Il
nuovo team di marketing dell’azienda voleva creare una linea d biscotti capaci di soddisfare le nuove richieste del
consumatore in ambito nutrizionale. Qui lavorarono sempre sulla BNS, in particolare ipotizzano di comunicare il
cambiamento che non fosse limitato alla semplice possibilità individuale di accedere a una prima colazione più sana
ma che si spingesse fino ad inaugurare una vera e propria NUOVA ERA della colazione degli italiani. Colussi era il
brand giusto per gli italiani, un nome conosciuto che si era perso un po’ strada facendo, ma che guardando gli altri
brand aveva capito, grazie alla propria saggezza, ciò di cui le persone avevano bisogno. L’azienda compì un grande
sforzo: produsse una linea di frollini senza olio di palma e con farine poco raffinate.

C’è un’altra caratteristica dell’onda, oltre alla funzione, alla forma, alla fluidità e alla coesione: La TRASPARENZA.
E lo è in 2 accezioni:
 Un brand non solo non deve aver nulla da nascondere riguardo alla propria narrazione e ai fatti concreti che essa
riferisce, ma deve esserne ORGOGLIOSO al punto da ESIBIRE ad ogni occasione OGNI singola PARTE di sé
 Proprietà di un oggetto di essere completamente ILLUMINATO da qualsiasi delle sue parti penetri la luce. L'onda
dimostrerà la propria coerenza nella misura in cui, illuminandone una sezione attraverso una specifica attività di
comunicazione, le persone TARGET potranno cogliere l’ESSENZA di tutte le altre e quindi dell’onda intera.

7.1 Onda a due vie


L’articolazione della BNS può essere percorsa attraverso diverse vie, di cui 2 sono le più facili da identificare e
interpretare:

 La prima scorre lungo il normale CRITERIO di LETTURA, da SINISTRA verso DESTRA. Questa direzione
considera la narrazione come il racconto del processo da cui prende vita la marca.
 La seconda via segue invece una cronologia fattuale e si svolge quindi scalando l'onda dal BASSO verso
l'ALTO. Questa lettura considera la narrazione come racconto della produzione del cambiamento, missione
ultima e senso del brand.

In quest’ottica, il percorso è suddiviso in DUE fasi:


 il VERSANTE SINISTRO a SINISTRA si ripercorre il tratto della prima via, poiché i valori, anche sul piano
fattuale, generano l'empatia e questa produce un proposito di cambiamento;
 il VERSANTE DESTRO a DESTRA, il cammino inizia dai processi poiché sono loro a generare gli strumenti
e sono questi ultimi a realizzare effettivamente il cambiamento.
La seconda via prevede perciò due linee di lettura convergenti, entrambe culminanti nel cambiamento che, raggiunto
da sinistra, assume una connotazione progettuale (valori-empatia-cambiamento), e raggiunto da destra acquisisce le
sembianze di un fatto compiuto (processi-prodotti-cambiamento).

7.2 La scoperta dei quadranti


Guardando il passaggio dalla fase in cui il cambiamento viene individuato in quanto conseguenza inevitabile
dell’empatia e quello in cui viene effettivamente realizzato grazie all' azione pratica degli strumenti, appare evidente
che esiste un momento in cui la STATEGIA NARRATIVA della MARCA transita dalla TEORIA alla PRASSI, dal
mondo delle idee a quello delle cose.
- Si può tracciare allora un asse MEDIANO VERTICALE rispetto all'onda: Valori, miti ed empatia attengono al
mondo delle idee essendo rispettivamente principi, racconti e sentimenti; La fase del cambiamento è invece il luogo
della TRANSIZIONE tra mondo delle idee e mondo delle cose, esso nasce infatti come BISOGNO INDIVIDUATO
(in quanto bisogno, ancora inerente al mondo delle idee) per essere solo in seguito REALMENTE
COMPIUTO(entrando così a far parte del mondo delle cose); Strumenti e processi invece appartengono al mondo
delle cose.
- Si può tracciare poi un'altra linea MEDIANA ORIZZONTALE, che definisce il confine tra altri due mondi: il
mondo dell’AZIENDA (sud-basso) e mondo delle PERSONE(nord-alto): Miti e processi nascono nell’azienda;
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Empatia e strumenti rappresentano le fasi di transizione tra azienda e mercato, tra brand e persone: L' empatia è un
fenomeno di condivisione: io azienda/brand sento un bisogno che è dentro di te mercato/persona; Gli strumenti,
ovvero i prodotti, i servizi e in alcuni casi la comunicazione passano dalle mani dell’azienda/brand a quella delle
persone/mercato per andare a svolgere il loro compito di cambiamento; Cambiamento effettivo opera nel mondo delle
persone.

8. Niente onda senza fondo


Non esiste un’onda senza il fondo del mare; metaforicamente: il fondo del mare corrisponde ad un PRESUPPOSTO,
senza il quale nessun Brand sarebbe in grado di creare energia e di trasferirla al mercato.
Oggi questo presupposto è costituito dalla CSR (CORPORATE SOCIAL RESPONSABILITY), intesa come
IMPEGNO dell'azienda titolare del brand a tenere conto, nelle proprie scelte, delle implicazioni di natura etica relative
al perseguimento dei propri obiettivi di business. Un comportamento privo di questa attenzione può
COMPROMETTERE, agli occhi del mercato, il SUCCESSOdi qualsiasi strategia narrativa.
Uno tra gli scandali è quello di Toshiba, il management truccò per ben 6 anni i bilanci al fine di mascherare i propri
insuccessi commerciali. Dal punto di vista ambientale anche la BP nel 2010 a causa di un’incidente, a una propria
piattaforma petrolifera in cui persero la vita 11 persone verso nel golfo del Messico, in 106 giorni l’incredibile
quantità di 800 milioni di litri di greggio. Il 15 novembre 2012 BP è stata condannata a pagare una multa di 4,5
miliardi di dollari alle autorità statunitensi.
Anche Nike, 1996, fu accusata di sfruttamento di mano d’opera minorile in Cambogia. Quando cominciarono queste
minacce essi non esitarono a trasferire la multinazionale; poi quando in Cambogia si iniziò a parlare di mancato lavoro
e disoccupazione i sindacati americani riuscirono a modificare le leggi locali, instaurando regimi di tutela per i diritti
dei lavoratori e la tutela dei minori.
Questi esempi consistono in comportamenti SCORRETTI, tuttavia il moderno concetto di CSR si spinge ben oltre,
introducendo l'idea che un’impresa non debba limitarsi ad evitare comportamenti negativi, ma debba adottare pratiche
attive, positive, per contribuire al MIGLIORAMENTO delle CONDIZIONI di VITA delle comunità in cui opera, se
non addirittura dell’intero pianeta.
Oggi, infatti, prevale l'idea che, a prescindere dalle diverse posizioni ideologiche, assumere pratiche di responsabilità
positiva sia conveniente per l'impresa stessa, per due motivi:

 il primo riguarda il TEMA della nostra INDAGINE. La CSR rappresenta una componente ormai essenziale
della strategia narrativa di un brand. Ciò è dovuto al fatto che le persone, gli individui, si sentono partecipi
delle SORTI dell’ambiente e della nostra specie, della generazione presente e di quelle future, molto più che in
passato. Se quindi il brand vuole porsi in una dimensione di beneficio nei confronti delle persone target, è nel
suo interesse rivolgersi a loro non solo come ad una somma di TU, ma anche come VOI, definito di volta in
volta, a seconda della visione del brand virgola in termini spaziali o temporali.
 La seconda ragione riguarda il fatto che l'ADOZIONE di PRATICHE SOSTENIBILI può rivelarsi
ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSA per l'impresa stessa, non solo in quanto generatrice di valore sul
brand e quindi di preferenza per i propri prodotti nel medio e lungo termine, ma anche in quanto motore di
efficienza sul piano dei processi.
Step 6: Con la componente rappresentata dalla corporate social responsability la strategia narrativa è la seguente:
Poiché un brand crede in determinati valori, testimoniati dai suoi miti, si pone in un rapporto di empatia specifica con
un universo definito di persone-target. Tale empatia la induce a perseguire, nella vita di quelle persone, un
cambiamento positivo, per operare il quale utilizza strumenti quali prodotti, servizi e comunicazione, per realizzare i
quali concepisce e mette in atto adeguati processi organizzativi e produttivi. Tutto ciò, nel pieno rispetto dell’ambiente
e nell’osservanza dei diritti delle persone alla dignità, alla sicurezza, e alla salute.

9. Le misure dell’onda
Nel corso degli anni sono tanti i MODELLI concepiti al fine di misurare lo STATO di SALUTE di un brand.

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1) Il primo si chiama Brand Z (Millward Brown) ed è basato sull’idea che il brand ideale sia quello che riesce a
TRASFORMARE in legami forti (BONDING) il maggior numero di RELAZIONI con le persone che la
conoscono. Questo difficile percorso di crescita della relazione fra brand e persone viene rappresentato come una
PIRAMIDE, partendo dal basso:
o PRESENCE: tutte le persone che CONOSCONO il brand;
o RELEVANCE: IMPORTANZA che il BRAND RIVESTE nelle VITE delle persone che lo conoscono;
o PERFORMANCE: PERSONE, tra quelle per cui il brand è rilevante, che ritengono EFFICACE il prodotto;
o ADVANTAGE: persone che reputano i prodotti non solo efficaci, ma MIGLIORI rispetto alla concorrenza;
o BONDING: persone che hanno stabilito un LEGAME FORTE con il brand, per via del processo attraverso i
precedenti livelli.

2) Un altro modo per misurare il brand è il BAV, Brand Asset Valuator (Young&Rubicam). L’assunto è che il
valore di un marchio si misura su DUE assi:
o Quello della FORZA (x): risultato dei tratti di diversità e rilevanza;
o Quello della STATURA (y): risultato dei tratti di stima e familiarità;

La frequenza e continuità della ricerca consente al BAV di fornire del brand una fotografia in movimento, a partire
dall’idea che l’evoluzione ideale prende il via nel quadrante Sud-Ovest (nuovo, sfuocato, sconosciuto) transita nella
regione Nord-Ovest (curiosità) per poi trionfare in quello di Nord-Est (leadership). Esistono altri modelli di
misurazione del valore di un brand, tutti hanno però in comune un obiettivo: superare la vecchia nozione di
AWARENESS e top of mind per fornire un’interpretazione più qualitativa, capace cioè di qualificare meglio un
concetto così generico come quello di conoscenza.

9.1 Un’entità a tre dimensioni. Conoscenza. Riconoscimento. Riconoscenza.


Sono queste le tre variabili fondamentali che determinano la quantità di energia contenuta in una BRAND WAVE.
Senza conoscenza non c’è relazione. Ma quando conoscere qualcuno/qualcosa va oltre l’apparenza e coglierne il
significato, il senso, il punto di vista, l’intenzione, allora la conoscenza diventa alto: non solo sapere che esisti, ma
anche sapere chi sei.
Per questo il RICONOSCERE è una parola profonda che contiene DUE significati vicini e diversi:

 riconoscere qualcosa in te o di te. Riconoscere che tu sei tutto questo: non un corpo ma una vita. Non un
marchio ma una storia. In questa eccezione il prefisso “ri” anteposto a conoscenza sta per restituzione: io
restituisco a te una percezione che tiene conto di ciò che hai fatto per essere quello che sei.
 Il secondo caso è quando il prefisso mantiene il tipico significato iterativo: ti conosco ancora, di nuovo, anche
se ti vedo accanto ad altri esseri della tua specie: assieme ad altri brand della tua spessa categoria.

La RICONOSCENZA è quel sentimento che permette al prodotto di RAGGIUNGERE gli OBIETTIVI prefissati.
Tecnicamente vuol dire take out, dovrebbe essere il vero obiettivo di una marca che voglia restare o diventare grande.
Ogni stakeholder della marca dovrebbe avvertire gratitudine verso un’entità che prende forma, attraverso una
narrazione coerente, affascinante e rassicurante. Un brand non abita nell’azienda che l’ha creato, né nei negozi che
ospitano i suoi prodotti, né nelle confezioni dei prodotti stessi, ma nella mente delle persone che hanno a che fare con
esso: i suoi STAKEHOLDERS.
Per essere davvero grande, quindi, il brand deve essere nella MENTE di queste persone in una triplice forma: quella
della conoscenza, del riconoscimento e della riconoscenza.
Dovendo sintetizzare questa idea in una figura, la più adeguata è quella di un SOLIDO, la cui TAGLIA dipende dalla
GRANDEZZA assoluta del BRAND e la cui FORMA dipende dal RAPPORTO più o meno equilibrato tra le sue TRE
DIMENSIONI.
- Così un brand con molta conoscenza, molto riconoscimento e poca riconoscenza apparirà come un solido
poco profondo, quasi bidimensionale.

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- Invece un brand che fosse conosciuto da molti, mentre pochi fra questi riconoscessero l’essenza e l'autenticità
della sua strategia narrativa, ma tutti questi ultimi provassero riconoscenza per il cambiamento che essa
imprime alla loro esistenza, avrà più o meno la forma di un portabottiglie.
Ma c'è un altro modo per definire le caratteristiche principali di un brand: le tre qualità rappresentano tre modi di
GUARDARE la MARCA, ogni volta ad un livello più alto.
Una persona conosce il brand, poi torna a considerarlo avendone conosciuto anche la complessità ed infine torna a
considerarla avendo avvertito gratitudine per l'esito finale del suo operato. Tutto ciò suggerisce l'idea di un percorso
CIRCOLARE che però si alza di un piano: una SPIRALE.
Solo la marca perfetta ovviamente avrà la forma di una spirale cilindrica, nella quale tutti i piani hanno lo stesso
diametro.

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