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2 Timberland: gli impatti competitivi della

sostenibilità

di Clodia Vurro

Introduzione

Il 13 giugno 2011, V.F. Corporation (VF) annunciava l’acquisto di Timber-


land per un valore di oltre 2,2 miliardi di dollari. Attiva dal 1899, VF si era
affermata come leader globale nell’abbigliamento informale, con un porta-
foglio di marchi nel jeanswear, abbigliamento, confezioni, calzature, abbi-
gliamento sportivo. Tra i marchi più noti al grande pubblico, capeggiavano
the North Face, Wrangler, e Lee. Eric Wiseman commentava l’operazione
di acquisizione con queste parole:

“Il brand Timberland è sinonimo di abbigliamento e calzature outdoor di alta qua-


lità. Crediamo che il solido posizionamento di cui Timberland gode oggi completerà
alla perfezione il posizionamento premium dei prodotti tecnici del brand The North
Face. Attraverso questa acquisizione, VF continuerà il processo di trasformazione
verso una maggiore presenza nel segmento dell’outdoor e dello sport fino a rappre-
sentare il 50% dei nostri ricavi totali”
Eric Wiseman, CEO di VF, Rassegna Stampa Timberland (13/6/2011)

L’offerta di acquisto di VF era di 43 dollari per azione, pari ad un pre-


mium price del 43% rispetto al closing price di Timberland il giorno prima
dell’offerta. Gli azionisti di maggioranza, inclusi l’allora presidente Sidney
Swartz e l’amministratore delegato Jeffrey Swartz sottoscrissero un patto di
sindacato di voto e fornirono il loro consenso scritto all’acquisizione il 26 lu-
glio.

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Casi di Management

L’annuncio portò un incremento del 10% nel prezzo delle azioni di VF,
consentendole di aggiungere 1 miliardo di dollari alla sua capitalizzazione di
borsa. Tale reazione era atipica rispetto a quanto era solito avvenire nei pro-
cessi di acquisizione. Con una certa regolarità, il valore delle azioni
dell’acquirente tendeva a scendere a causa delle aspettative conservative degli
investitori circa l’esito di un processo di acquisizione e le connesse complessità.
Nelle motivazioni dell’acquisizione, VF dichiarava di voler spingere sulle ven-
dite dei prodotti Timberland, migliorandone l’efficienza. Nel 2010, i margini
operativi di Timberland si aggiravano attorno al 9%, un valore considerevol-
mente inferiore al 20% di margine di cui vantava VF. 1
VF non era particolarmente nota per la sua strategia di responsabilità
sociale d’impresa (corporate social responsibility, CSR). L’avere in portafoglio
brand sensibili agli impatti ambientali quali The North Face aveva rappresen-
tato l’avvio di un percorso verso una maggiore sostenibilità, spingendo la mul-
tinazionale a misurare l’impronta ecologica di alcuni prodotti e adottare alcu-
ne misure per contrastare il cambiamento climatico. Tali iniziative, comunque,
non si integravano in modo rilevante con la strategia aziendale e soprattutto
non erano comunicate ai propri stakeholder.
Il 28 giugno 2011, dopo l’annuncio dell’operazione, Mark Newton veni-
va nominato nuovo vice presidente per la CSR di Timberland. Dopo otto anni
di direzione della funzione Global Sustainability in Dell, realizzando progetti
di sviluppo di politiche globali rispetto agli impatti ambientali, al coinvolgi-
mento degli stakeholder e ai diritti dei lavoratori lungo la filiera, Newton era
largamente riconosciuto come autorità nel campo della gestione strategica del-
la CSR. Nel suo curriculum aveva progetti di innovazione ambientale realizza-
ti in Apple e Motorola. All’epoca sedeva negli advisory board di organizzazio-
ni ambientali quali il Clean Production Action e Carbonfund.org.
In Timberland avrebbe dovuto gestire un team globale, riportando diret-
tamente al Direttore Finanziario (CFO) Carrie Teffner, con l’obiettivo di:

• Sostenere Timberland nel dimostrare la propria leadership ambientale, ri-


ducendone gli impatti a livello globale;
• Assicurare l’adesione e il rispetto del codice di condotta di Timberland
lungo l’intera filiera con riferimento ai diritti umani e dei lavoratori;
• Creare uno standard globale di servizio alla comunità, combinando inno-
vazione, rilevanza e coinvolgimento dei dipendenti;
• Supportare Timberland nell’impegno ad essere trasparente e comunicare
apertamente con i diversi stakeholder.

1
Marc Gunther, “Timberland’s Jeff Swartz: ‘This Is Hard,’” Marc Gunther (blog), June 14, 2011,
http://www.marcgunther.com/2011/06/14/timberlands-jeff-swartz-this-is-hard

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Timberland: gli impatti competitivi della sostenibilità

Era il 13 settembre 2011 quando Jeff Swartz scriveva il suo ultimo post
da amministratore delegato di Timberland:

“Recentemente, ho avuto l’occasione di ascoltare un discorso del CEO


dell’acquirente (VF, ndr) ai dipendenti di Timberland, in una sala all’aperto (pren-
diamo molto seriamente i 10 minuti di estate qui nel New England per incontrarci
all’aperto). Era una strana sensazione, essere li seduto tra gli altri per ascoltare, os-
servare lo sguardo fisso dei miei colleghi sul loro nuovo capo. Mi chiedevo quali
cambiamenti ci sarebbero stati di li a poco per il nostro brand, il nostro business, la
nostra comunità. All’improvviso, un attivista ambientale seduto non troppo distan-
te da me si alza in piedi e chiede a gran voce: “Ci dica per favore, perché crede che la
sostenibilità sia importante per lei?” E quell’uomo con cui avevo negoziato così tan-
to e così a lungo per spuntare il miglior accordo di vendita possibile per gli azionisti
risponde con tono risoluto, autentico, naturale: “La risposta è semplice, sono con-
vinto che la sostenibilità sia un bene per il nostro business e un bene per il Pianeta.”
Questa dichiarazione apparentemente semplice veniva supportata da dati e progetti
concreti. Ma già non ascoltavo più nulla. Per oltre 30 anni, ci eravamo impegnati,
avevamo combattuto le critiche, affrontato la difficoltà di bilanciare gli interessi dei
nostri azionisti, dei clienti e della società. Ne porto addosso le cicatrici, la lunga lista
di obiettivi non ancora raggiunti, risultati ancora da ottenere, sogni non ancora rea-
lizzati. E ora, in questo commovente momento di transizione, da un business guida-
to dalla mia famiglia per tre generazioni a un business che sarà guidato da estranei,
ecco che il CEO di un colosso di 10 miliardi di dollari parla di sostenibilità come se
fosse la cosa più naturale del mondo – good for business, good for the Earth. Con
quelle parole intende esattamente quello che dice. E mi colpisce, nel profondo, men-
tre son seduto qui – 30 anni dopo – il tema che ha rappresentato per me una que-
stione di vitale importanza non è più in discussione. Arriva per tutti il momento di
dire: il mio lavoro qui è finito.”
Jeffrey Swartz, Timberland Blog Post, 13/09/2011

Dopo un solo anno dall’acquisizione, VF guadagnava 13 punti nella va-


lutazione dell’organizzazione Climate Counts – The company scorecard report,
in risposta al più deciso impegno dimostrato nell’implementazione strategica
degli obiettivi di sostenibilità. Nell’ottenimento di tale risultato, l’acquisizione
di Timberland era stata decisiva. Cosa aveva contraddistinto Timberland al
punto da considerarne il valore intrinsecamente legato alla strategia di soste-
nibilità?

Gli inizi

La storia di Timberland risale al 1951, quando Nathan Swartz – un immigrato


russo – acquistò metà del capitale della Abington Shoe Company. Nell’unico
impianto nel sud di Boston (Massachussetts), Swartz produceva una linea di
scarpe e scarponcini in cuoio, cuciti a mano e venduti presso i discount locali
con il marchio dell’insegna (private label).

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Casi di Management

Nel 1955, Swartz riusciva ad acquistare la metà del capitale dal suo
partner. Da quel momento anche suo figlio sarebbe entrato nel business. Du-
rante i 10 anni successivi, la famiglia Swartz riuscì a sopravvivere nel competi-
tivo settore calzaturiero del New England, composto da centinaia di piccoli
produttori.
A partire dal 1965, Swartz avviò un processo di sperimentazione che lo
portò ad applicare la tecnologia di injection molding (modellatura a iniezione),
che consentiva alla suola di essere incollata alla tomaia senza cuciture, renden-
do la scarpa confortevole, resistente all’acqua, e soprattutto meno costosa. Nel
1969, Swartz decise di spostarsi a nord di Stratham nel New Hampshire, dove
il design di quelli che sarebbero stati gli iconici scarponcini gialli venne perfe-
zionato. Gli ordini raddoppiavano di anno in anno, in un periodo in cui molti
produttori erano costretti a chiudere le proprie aziende.
Succeduto al padre, Sidney Swartz decise di uscire dal segmento dei
marchi privati nel 1973 e di lanciare il primo stivaletto a marchio Timber-
land®. Il nuovo prodotto cambiava il proprio posizionamento, per indirizzarsi
a una clientela medio-alta e sensibile alla moda. A seguito del lancio di quello
che avrebbe rappresentato il simbolo dell’azienda, Swartz decise di cambiare
l’insegna aziendale in Timberland, estendendo sia la gamma di prodotti che
entrando nel settore dell’abbigliamento outdoor.
I 20 anni successivi si distinsero per un deciso impegno nel rafforzare
la visibilità e riconoscibilità del brand Timberland presso il mercato.
Investendo in campagne stampa, in-store merchandise, pubblicità
televisiva massiva, l’azienda si presentava come produttore di qualità, con
una forte specializzazione sull’outdoor ed enfasi sull’artigianalità del
processo. Il logo dell’albero racchiuso in un cerchio venne realizzato allora,
così come le campagne pubblicitarie che esaltavano il rapporto con la natura
e con l’ambiente. È in quegli anni che Swartz avviava il processo di
internazionalizzazione, distribuendo i prodotti Timberland prima in Italia,
poi nel resto d’Europa e in alcune regioni asiatiche.
Nel 1987, arrivò per Timberland la quotazione in borsa. Il prezzo delle
azioni era pari a 14 dollari, con una capitalizzazione di mercato all’incirca pari
a 150 milioni di dollari. I ricavi di vendita erano pari a 107 milioni nel 1987,
salendo a 156 milioni nel 1989, di cui una quota rilevante proveniente
dall’estero.
Jeffrey (Jeff) Swartz, nipote di Nathan e figlio di Sidney, era uno studen-
te della Brown University tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ot-
tanta. Il suo destino sarebbe dovuto essere diverso da quello dei suoi predeces-
sori, ma una vita spesa assieme al nonno che ammirava e rispettava, fece sì che
non solo entrasse in Timberland nel 1985, ma ne diventasse direttore operativo
nel 1991, a soli 31 anni. In quel periodo, l’azienda era in profonda crescita. Tra
il 1986 e il 1991, i ricavi di vendita erano più che raddoppiati.

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Timberland: gli impatti competitivi della sostenibilità

Dall’assunzione della posizione di Direttore Operativo, Jeff e il suo team


decisero di razionalizzare la produzione, dimezzando il numero di prodotti
della gamma Timberland e riducendo i tempi di evasione degli ordini, al fine di
rispondere più velocemente alla crescita della domanda internazionale. Tim-
berland era tra i brand più conosciuti negli Stati Uniti, sia come produttore di
calzature che di abbigliamento outdoor.
Qualche anno dopo, nonostante l’ottimismo degli analisti e dei vertici
aziendali, a fronte di una crescita dei ricavi di oltre il 50% tra il 1993 e il 1994,
l’utile netto registrò una caduta da 22,5 milioni di dollari a 17,7 milioni.
L’anno seguente, le vendite sarebbero rimaste stagnanti attorno ai 630 milioni
di dollari, determinando il primo risultato netto negativo della storia di Tim-
berland.
Da più parti si vociferava che Timberland fosse a rischio di un takeover
ostile. Alcuni sostenevano che fosse un target appetibile per concorrenti quali
Nike e Reebok. Il momento era delicato, e il management si trovò nella sco-
moda posizione di razionalizzare i costi, tagliando alcuni posti di lavoro e av-
viando un processo di ristrutturazione. I due impianti nel Tennessee e nel
North Carolina furono chiusi.

La rinascita responsabile

L’impegno sociale di Timberland per la propria comunità risaliva al 1989, par-


tito con una richiesta di stivali da parte della neo-fondata organizzazione
non-profit City Year. I 50 stivali Timberland richiesti sarebbero serviti per
equipaggiare altrettanti giovani cittadini impegnati a dedicare un anno della
propria vita al programma Urban Peace, volto a prestare servizio ai
bisognosi. Jeff Swartz non soltanto accettò la richiesta di donazione, ma con
12 collaboratori decise di prestare servizio per City Year per un giorno intero.
Quell’esperienza fece comprendere a Swartz come lavorare per la pro-
pria comunità rendesse non soltanto un notevole servizio cittadino, ma
miglio-rasse il morale dei propri dipendenti, trasformandone talvolta la
vita. Era quello un segno tangibile della capacità di Timberland di esercitare
un impatto positivo sulla comunità che ne accoglieva le attività
produttive. Fu l’avvio del programma di volontariato aziendale Path of
Service. Nel 1992, ai dipendenti veniva offerta l’opportunità di dedicare 16
ore di lavoro, regolarmente stipendiate, per svolgere attività di utilità sociale.
Le ore sarebbero salite a 40 nel 1995. Il programma Path of Service aveva il
chiaro obiettivo di coinvolgere competenze e talenti nella creazione di
soluzioni sostenibili per le criticità della propria comunità. Era questo il modo

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Casi di Management

ri sociali all’interno dell’anima del business, al


suono del motto “Boot, Brand, and Belief”.
La crisi del 1994 non frenò l’impegno e la collaborazione tra Timberland
e City Year. Swartz era convinto che gli impatti dei programmi di volontariato
aziendale di cui si era fatto promotore fossero tangibili, migliorando compe-
tenze, capacità e attaccamento all’azienda da parte dei dipendenti che vi parte-
cipavano. L’impegno sociale di Timberland era parte integrante delle strategie
di lungo termine, sia per gli obiettivi commerciali che per il valore sociale crea-
to.
Diversamente da quanto predetto dagli analisti, che ritenevano che
l’impegno sociale di Timberland stesse sottraendo risorse agli azionisti, i risul-
tati aziendali ritornarono incoraggianti a partire dal 1998, quando Jeff Swartz
venne nominato amministratore delegato. A quel tempo, la crisi economica del
1995 sembrava un ricordo. Gli utili erano tornati a crescere considerevolmen-
te, raggiungendo quota 59 milioni di dollari nel 1998 con ricavi di vendita pari
a 862 milioni di dollari.
Da un lato gli analisti premiavano la crescita di Timberland dal punto di
vista strettamente economico. Dall’altro la società ne riconosceva e sanciva
pubblicamente l’anima socialmente responsabile, con l’attribuzione del presti-
gioso Corporate Conscience Award da parte del Council on Economic Priori-
ties. Il mantra di Swartz – commerce and justice – era ormai entrato nel gergo
comune.
Gli obiettivi strategici cui le scelte aziendali si indirizzavano erano chiari,
e pur adeguandosi al passare del tempo, sarebbero rimasti punti saldi del per-
corso di crescita di Timberland per gli anni a venire. Si trattava di:

• ortare al mercato prodotti per l’outdoor innovativi e in grado di


su-perare le aspettative dei clienti per valore e valori;
• divenire il marchio di riferimento per le pratiche di responsabilità so-
ciale a livello globale;
• ottenere risultati finanziari eccezionali per la soddisfazione degli azio-
nisti;
• essere tra i 10 migliori datori di lavoro a livello globale.

Era la cultura aziendale stessa ad incarnare i valori comunicati in tutte le


occasioni, pubbliche o meno, da parte dei portavoce aziendali; una cultura
fondata su umanità, umiltà, integrità ed eccellenza. Questo era il modo con cui

2
Austin, J. Herman, B. L. Quinn, J.W. 2006, Timberland: Commerce and Justice, Harvard Business School
Cases

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Timberland: gli impatti competitivi della sostenibilità

Timberland si presentava ai propri interlocutori e giustificava le proprie scelte


nei diversi ambiti dell’agire aziendale.
Le opportunità di volontariato aziendale rappresentavano solo una delle
iniziative a favore dei propri dipendenti. Nel pacchetto offerto a chi decideva
di entrare nella famiglia Timberland, l’azienda assicurava, ad esempio, suppor-
to nell’eventuali adozioni a distanza, copertura delle spese sanitarie per pro-
blemi di infertilità, a prescindere dalla tipologia di contratto di lavoro ed
estendendo tali benefici anche ai familiari. Nelle diverse sedi, i dipendenti po-
tevano beneficiare di asili nido aziendali, centri fitness, caffetterie, stanze per
l’allattamento, e una serie di servizi a supporto: dalla lavanderia all’agenzia
viaggi. L’acquisto di stock option era offerto ai manager, mentre i dipendenti
potevano acquistare le azioni beneficiando di uno sconto del 15%.
I tempi erano maturi per estendere la propria strategia di responsabilità
sociale ad altri ambiti oltre quello del servizio alla comunità e dell’attenzione
ai propri dipendenti. Alla fine degli anni Novanta, il bilanciamento tra com-
merce e justice veniva promosso a tre livelli:

• Community building: che si traduceva nel rafforzamento delle relazioni


con la società civile, collaborando con le organizzazioni non profit per
stimolare l’innovazione nella ricerca di soluzioni a problemi sociali
complessi. Le iniziative di volontariato aziendale rientravano a pieno
titolo in tale ambito;
• Environment: l’ambiente naturale, fino ad allora trattato in maniera
marginale, divenne uno stakeholder rilevante a partire dall’autunno del
2000, con l’assunzione di Terry Kellogg, con l’obiettivo di costruire un
dettagliato programma ambientale. Fino ad allora, Timberland non si
era spostata oltre il rispetto delle norme ambientali, investendo in
compliance piuttosto che in iniziative a valore strategico. A fine 2001,
nel suo primo bilancio sociale, Timberland rendeva noto il suo impe-
gno per la riduzione degli impatti ambientali, dettagliando il percorso
che da quel momento avrebbe deciso di intraprendere.
• Global Business Alliance: l’ultimo aspetto riguardava la necessità di in-
nalzare gli standard di comportamento nell’intero settore, promuoven-
do pratiche etiche in filiere sempre più globali. L’alleanza tra Timber-
land e i suoi fornitori fu formalizzata nel 1998, al fine di solidificare gli
impegni e creare uno standard globale sulle pratiche di lavoro. Cheryl
Marihugh divenne leader di progetto. A partire dal 2001, numerose or-
ganizzazioni non profit, enti di ricerca e fondi di sviluppo furono coin-
volti nel processo di miglioramento e implementazione del codice di
condotta di Timberland a livello globale. La Global Business Alliance
divenne un network formale.

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Casi di Management

La sostenibilità come proposta di valore al mercato

Nell’estate del 2001, Carolyn Casey, l’allora direttore dell’Office of National


Affairs presso City Year, veniva assunta da Timberland come direttore degli
affari pubblici, al fine di supportare il processo di maggiore integrazione della
CSR nei dipartimenti e nelle attività d’impresa. Ben presto Casey passò alla
guida del dipartimento che fino ad allora si era occupato della responsabilità
sociale: il Social Enterprise Department.
Il primo passo verso una maggiore integrazione doveva necessariamente
essere organizzativo. A quel tempo, il dipartimento Social Enterprise riferiva
al direttore marketing. L’unità ambientale era spostata sotto la direzione sup-
ply chain, mentre la Global Business Alliance faceva parte del dipartimento
affari legali. Casey riuscì a mettere a sistema le tre unità operative che, a parti-
re da quell’anno, si consolidarono come think-tank trasversale rispetto alle di-
verse funzioni aziendali e divisioni geografiche, così da contribuire attivamente
alla pianificazione strategica.
Nel 2003, Timberland era un’azienda globale da 1,3 miliardi di dollari
attiva in 75 Paesi. I suoi prodotti includevano calzature, accessori e abbiglia-
mento, benché le calzature rappresentassero il 75% dei ricavi di vendita totali.
All’incirca un terzo del business era internazionale. L’impegno sociale era cre-
sciuto parallelamente e senza sosta, pur negli scetticismi di alcuni degli analisti
più critici. Era quello il periodo in cui le richieste di maggiore trasparenza di-
ventavano pressanti, così che Swartz si trovò ad avviare un nuovo progetto,
quello della misurazione dei risultati socio-ambientali, con il fine di allineare le
aspettative e le percezioni esterne e rafforzare i processi decisionali interni.
Al contempo, la comunicazione relativa agli impegni socio-ambientali
restava ancora ancorata all’azienda, anziché divenire parte integrante delle
strategie di commercializzazione. Nelle parole dell’allora vice presidente per le
Global Marketing Solutions, Claire Spofford 3:

“Il brand è passato dall’essere legato al prodotto – i nostri iconici scarponcini gialli
– al divenire simbolo di uno stile di vita libero, uno stile di vita che i nostri clienti
sognano di poter emulare. Ora il nostro compito è divenire un brand di valori, un
brand a cui la gente possa sentirsi vicina perché orgogliosa dei valori di cui si fa por-
tavoce”.

I punti vendita Timberland erano il posto ideale in cui avviare il proces-


so di connotazione sociale dei prodotti, raggiungendo in modo diretto i clienti.
Dal 2002, infatti, le aperture dei nuovi punti vendita avrebbero coinciso con il

3
Levye, D. 2006, Timberland: Leveraging a Values-Based Company, Arthur M. Blank Center for Entrepreneur-
ship, Babson College.

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Timberland: gli impatti competitivi della sostenibilità

lancio di un progetto sociale per la comunità di appartenenza, identificato as-


sieme al manager del punto vendita. In questo modo, gli addetti alla vendita
sarebbero stati coinvolti in prima persona nel trasferire il nuovo messaggio ai
clienti.
Dal 1998, Timberland partecipava attivamente alle celebrazioni per il
Giorno della Terra (Earth Day). Dal 2002, i punti vendita diventarono parte
attiva del programma, così come i consumatori attraverso messaggi promo-
zionali, prodotti celebrativi, e una serie di eventi locali di cui essere parte atti-
va.
Sei anni dopo, nel 2008, Timberland avrebbe inaugurato il primo punto
vendita sostenibile, ottenendo l’importante certificazione LEED (Leadership in
Energy and Environmental Design). Tra le caratteristiche più rilevanti cui
l’ottenimento della certificazione era legato, meritano menzione l’utilizzo di
legno riciclato o certificato, l’implementazione di un sistema di gestione dei ri-
fiuti in grado di massimizzarne la riciclabilità, l’utilizzo di vernici atossiche, la
predisposizione di sistemi per la riduzione del consumo dell’acqua e del con-
sumo energetico, un sistema di illuminazione efficiente e a basso impatto am-
bientale (ad esempio, luci al LED). Da quel momento, tutti i nuovi store Tim-
berland avrebbero dovuto essere costruiti in modo da essere certificabili come
punti vendita sostenibili.
All’inizio del 2005, Timberland rese noto un nuovo standard per la tra-
sparenza dei propri prodotti, incrementando l’impegno alla riduzione degli
impatti ecologici. Due iniziative di rilevo caratterizzarono l’implementazione
della strategia di sostenibilità in questa fase: l’introduzione di un packaging
eco-compatibile per le calzature e un nutritional label, ossia un’etichetta che,
apposta sul prodotto, dava ai clienti indicazioni sull’impronta ecologica di ciò
che si apprestavano ad acquistare. L’investimento in ricerca e sviluppo di pro-
dotti green avrebbe consentito a Timberland di essere riconosciuta come primo
produttore ad aver introdotto la gomma verde. La partnership con il produt-
tore Green Rubber Inc. consentì a Timberland di portare sul mercato la prima
collezione di calzature la cui suola derivava dal riciclo dei pneumatici di scarto.
Dello stesso tenore, il lancio nel 2008 della campagna Earthkeeper, che
segnava l’inizio di un movimento con l’obiettivo di coinvolgere oltre 1 milione
di persone in un network online finalizzato a ispirare cambiamenti concreti
nell’attitudine al rispetto dell’ambiente. 4 Oltre ad essere un movimento di opi-
nione, Earthkeeper divenne a partire dal 2010 una completa linea di abbiglia-
mento e calzature con una caratteristica comune: l’utilizzo di materiali riciclati
al 100% (ad esempio, gomma verde o plastica e PET). Il lancio dei prodotti
coincideva con l’avvio della campagna Nature Needs Heroes, una call-to-
action a compiere azioni memorabili per la salvaguardia del Pianeta, attraver-

4
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=zvgeO2j5dok

29
Casi di Management

so scelte consapevoli e consumi oculati. Oltre che rappresentare il brand icona


per intere generazioni, Timberland sanciva definitivamente il suo ingresso
nell’ancora ristretto gruppo degli innovatori ambientali.

Il consolidamento della strategia di sostenibilità

Nel 2011 a cavallo dell’annuncio di acquisizione da parte di VF, Timberland


rendeva noti aggressivi obiettivi di sostenibilità per il 2015, ripartendo i suoi
impegni negli ambiti del cambiamento climatico, del prodotto, dei processi
produttivi e dei servizi a favore della collettività (figura 1) 5.

Figura 1: I pilastri della strategia sostenibile di Timberland

Fonte: Timberland Responsibility Report 2014

La prima area strategica restava quella ambientale: a tale riguardo,


Timberland avrebbe continuato a mappare e valutare gli impatti ambientali
dei prodotti lungo l’intera filiera, dalla produzione delle materie prime
all’illuminazione dei punti vendita, fino ai servizi post-vendita, al fine di con-
sentire ai clienti di riciclare quanto acquistato. L’impegno di Timberland non
si sarebbe limitato a misurare e valutare, ma a puntare sullo sviluppo di pro-
dotti eco-efficaci in grado di essere reimmessi nel ciclo biologico al termine del-
la propria vita utile. I prodotti della linea Earthkeeper ne rappresentavano un
chiaro esempio. Poiché l’impatto diretto di Timberland sui prodotti era pari al
4% dell’impronta ecologica totale (figura 2), Timberland avrebbe lavorato

5
La strategia di sostenibilità di Timberland in sintesi: https://youtu.be/ijLAFkzZgpo

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Timberland: gli impatti competitivi della sostenibilità

sull’indurre un cambiamento nelle pratiche produttive dei propri partner


agendo da attivista ambientale.

Figura 2: L’impronta ecologica dello scarponcino Timberland

Fonte: Timberland Responsibility Report 2014

Il secondo pilastro della strategia di sostenibilità di Timberland avrebbe


riguardato il prodotto e l’innovazione sostenibile. Qualità ed eccellenza sareb-
bero state accompagnate da una ricerca costante di materiali e processi a mi-
nimo impatto ambientale, attraverso, ad esempio, il ricorso a energia da fonti
rinnovabili, cotone organico o materiali riciclati nella produzione di abbiglia-
mento e calzature.

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Casi di Management

Innovazione di prodotto e attitudine alla misurazione degli impatti am-


bientali sarebbero poi stati accompagnati da una strategia di gestione respon-
sabile della filiera, coinvolgendo i diversi impianti produttivi nella ricerca di
standard di produzione elevati e rispettosi dei diritti dei lavoratori. Questo
rappresentava il terzo pilastro della strategia di sostenibilità. In tale area, Tim-
berland avrebbe lanciato il programma Sustainable Living Environment (SLE),
in accordo con il quale un team di responsabili della sostenibilità di filiera
avrebbe lavorato a stretto contatto con i fornitori per costruire assieme il mi-
glior standard possibile. Controllo, collaborazione, sensibilizzazione sui temi
chiave contenuti nel codice di condotta, formazione specifica, accesso
all’educazione e trasparenza nel dare rilievo alle caratteristiche della propria
filiera avrebbero rappresentato gli ambiti prioritari del lavoro di Timberland
in quest’area.
Infine, Timberland non avrebbe smesso di coltivare lo spirito di servizio
per la comunità da cui la sua storia era partita, raggiungendo nel 2014 la mi-
lionesima ora di servizio in progetti di sviluppo locale. 6
Pur avendo registrato delle performance ammirevoli nel corso degli anni
e un incremento costante dei ricavi, l’acquisizione da parte di VF arrivava in
un momento di sofferenza delle azioni di Timberland. Nel maggio 2011, dopo
aver annunciato una riduzione dei profitti del 30%, il prezzo delle azioni era
sceso del 25%, rendendo la preda appetibile agli occhi della multinazionale
dell’abbigliamento. Così come altri brand nel settore, sulla performance di
Timberland aveva gravato un incremento rilevante dei costi delle materie pri-
me, del lavoro e dei trasporti.
L’acquisizione avrebbe consentito di migliorare l’efficienza della produ-
zione e i margini operativi. Per VF era l’opportunità di rafforzare la propria
presenza nel segmento outdoor, ampliando il suo outreach internazionale. Per
Timberland, oltre che ritornare a crescere e creare valore, l’acquisizione rap-
presentava l’occasione per amplificare gli impatti di quelle iniziative sostenibili
da sempre legate al suo DNA. Non era intenzione di VF snaturarne i valori
aziendali, così come il suo profondo radicamento nelle comunità di cui faceva
parte.
La lettera agli stakeholder con cui Swartz apriva il bilancio di sostenibi-
lità 2011 era chiara su questo punto:

“Alla luce del recente annuncio della probabile acquisizione di Timberland da parte
di VF, il nostro impegno nella sostenibilità resta fermo e si rafforza, più che in qual-
siasi momento della nostra storia passata. Nel caso in cui l’operazione si realizzi
come pensiamo, questa è per noi l’opportunità di far assumere ai nostri progetti più
innovativi una scala enormemente maggiore e di consentire che il programma Ear-

6
https://www.youtube.com/watch?v=RWHky4br3f8

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Timberland: gli impatti competitivi della sostenibilità

thkeeper ottenga impatti ancora più evidenti. Quello su cui tale annuncio ci fa riflet-
tere è qualcosa che Timberland ha sempre affermato: nonostante i più rosei risulta-
ti, Timberland non può farcela da sola. Collaborazione e scala sono quello a cui
abbiamo sempre puntato, collaborando con i nostri pari, concorrenti e stakeholder
diversi per creare uno standard comune di misurazione degli impatti ambientali
nell’industria di cui facciamo parte, informare i consumatori e renderli parte del
cambiamento indirizzandone le scelte d’acquisto in senso responsabile. Per Timber-
land, la responsabilità sociale non è un’opzione – è parte del nostro DNA e della
nostra competitività. Le nostre iniziative socio-ambientali ci consentono di rispar-
miare, operare in modo più sostenibile, produrre prodotti migliori e creare impatti
sociali positivi. Spero che voi tutti mi seguirete in questo viaggio”.

Jeff Swartz, 2010-2011 Executive Commitment

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