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Letteratura italiana lezione 1

Studieremo due importanti concept album di Faber: “Non al denaro non all’amore né al cielo” del
1971; e l’altro pubblicato nel 1990. Dopodiché affronteremo Edoardo Bennato con un album degli anni
’70 che è “Burattino senza fili”; e infine Vinicio Caposerra, con un album decisamente molto più vicino
nel tempo. Il tratto che collega tutti gli album che andremo a vedere è il fatto che si tratta di concept
album (opera in cui le singole canzoni hanno la possibilità di essere ascoltate in maniera
autonoma, sono canzoni autoconclusive, ma allo stesso tempo ciascuna di queste è come se
fosse il tassello, che va comporre il
mosaico più ampio. Il concept album è dunque un’opera in cui c’è un filo narrativo e tematico che
collega tutte le canzoni dell’album).
Un’altra caratteristica fondamentale è che tutte queste opere trattengono uno stretto dialogo con
delle opere letterarie, in particolar modo lo vedremo con “Non al denaro non all’amore né al cielo”
di De André, che riprende alcune poesie dell’antologia di Spoon River, e anche per “Burattino senza
fili” di Bennato, che è un riadattamento delle avventure di Pinocchio, di Carlo Collodi.

A cosa serve la letteratura? Serve a confrontarsi con il diverso da sé, con il principio dell’alterità, per
avere una visione più profonda della realtà. Sostanzialmente la letteratura e l’arte, in generale, serve a
salvarsi la vita.
Il primo testimone che chiamiamo a deporre per sostenere questa tesi è un libro che noi
occidentali tendiamo ad associare all’Oriente: Le mille e una notte. Questo ha una storia molto
antica e curiosa, sicuramente fuori dall’ordinario, perché il primo corpus di storia che propone il
libro, ha origine ancor prima dell’anno 1000, nella penisola indiana. All’epoca era un testo molto
differente da quello che noi oggi possiamo trovare in libreria, ha la capacità di attraversare le epoche e
di muoversi nello spazio, dall’India alla Persia, dalla Persia ai paesi arabi che si affacciano sul bacino
del Mediterraneo. Questi paesi di cultura araba, trasmettono il libro fino all’Europa Cristiana, siamo
intorno al 1200/1300, ad esempio ciò avviene quando Boccaccio dopo il 1348, ebbe modo di
visionare “Le mille e una notte” e da qui trasse spunto per
ideare il Decameron, con quella sua particolare struttura (il Decameron ha un racconto di apertura a
partire dal quale si innescano tutte le singole novelle). Riprendendo il fatto che si muove nello spazio e
nel tempo, ogni popolo aggiunge al libro qualcosa di nuovo, nuovi personaggi, nuove saghe, fino a
quando esso non acquisisce le dimensioni che possiede attualmente.

Trama

La cornice de “Le mille e una notte” di cosa parla? È in qualche modo, una storia di corna, la
storia del Re Shahriyar che scopre che la regina lo tradisce con la servitù personale. Nel
momento in cui scopre il tradimento, stabilisce che la moglie debba essere affidata al boia e le
debba essere recisa la testa, non la prende bene. Ma quel che è peggio, è che il re stabilisce di
non voler più concedere fiducia al genere femminile, d’ora in avanti ogni volta avrebbe scelto una
nuova sposa, con cui avrebbe trascorso la prima notte di nozze e che successivamente avrebbe fatto
uccidere. Questo processo sarà portato avanti fino a quando la traiettoria del re non finirà per
incontrare la traiettoria della bellissima fanciulla Shahrazād, la quale possedeva una spettacolare
capacità che andava ben oltre l’aspetto esteriore, ciò consisteva nel saper raccontare storie e
dunque aveva grande fantasia e immaginazione, o perlomeno a capacità di attingere sapientemente
dal bacino di storie condivise. Dopo di che, sappiamo che non basta conoscere una bella storia, occorre
anche saperla narrare e nel caso specifico di Shahrazād, occorre anche saper farla durare il tempo
necessario, deve dunque conquistare l’attenzione dell’ascoltatore (il re), in maniera tale che non ci
si renda più conto del tempo che passa. Lo scopo di Shahrazād è quello di raggiungere l’alba, nel
momento in cui sta per accadere il momento decisivo della storia, la sospende. A quel punto il re è
di fronte a un dubbio amletico: se far recidere la testa anche a Shahrazād, oppure soddisfare la
propria curiosità di lettore/ascoltatore concedendole un nuovo giorno di vita, in maniera tale da
sapere come andrà a finire la storia. Opterà per la seconda opzione, così la vicenda andrà avanti
per mille e una notte (mille in senso iperbolico: una grande quantità di novelle, di cui è infatti
costituita l’opera). Shahrazād, infine, riuscirà ad
ottenere la fiducia del re. La vicenda ci dice dunque che la protagonista ha molta fantasia e
immaginazione e ha la capacità di gestire e raccontare la storia, in maniera tale che “possa
funzionare”.

Ciò che fa Shahrazād paradossalmente è quello che fa un nostro autore molto recente, Italo Calvino, in
un momento della letteratura del secondo 900. Secondo Calvino, l’autore ha la capacità di
accelerare o rallentare la velocità in cui scorre il tempo nell’arco di una narrazione. È un concetto
che può apparire astruso, poniamo una situazione più concreta così da riuscire a visualizzare meglio:
la Commedia di Dante e l’Odissea di Omero, hanno una quantità di versi omologabile. Tuttavia, questa,
serve ad Omero, per narrare i 10 anni delle peripezie di Ulisse, una volta terminata la guerra di Troia
prima di rientrare ad Itaca; la stessa quantità di versi serve invece a Dante per narrare un viaggio che
dura invece una settimana. Evidentemente il tempo, in queste due grandissime narrazioni scorre in
maniera differente. Ciò che diciamo per quanto riguarda il tempo, lo si può arguire anche per lo
spazio, contrarre o estendere lo spazio a seconda delle esigenze.
Potremmo, anche in questo contesto, fare diversi esempi letterari come L’Orlando Furioso di Ariosto,
dove abbiamo uno spazio in continua dilatazione fino al momento in cui Astolfo sbarca sulla luna.
Allo stesso modo, abbiamo esempi in cui lo spazio tende a diventare un buco nero che finisce per
inghiottire inesorabilmente tutti, come nel Palazzo di Atlante.
Ma anzi che parlare di esempi letterari, siccome la letteratura ha questa capacità magistrale di
insegnare tecniche narrative, facciamo due esempi a noi molto più vicini: due serie tv famosissime Lost
e Il Trono di Spade. La prima è un po' più antica ed è la storia di un gruppo di superstiti che
viaggiavano sopra un aereo, il quale precipita su un’isola, si salva un gruppo ristretto e ci si rende
immediatamente conto di stare su un’isola. Lo spazio è abbastanza circoscritto e limitato, misurabile
in un certo senso, eppure scaturiscono una quantità di vicende, personaggi e dimensioni alternativi, che
consentono alla narrazione di dilungarsi per diverse stagioni. Invece in maniera totalmente inversa,
funziona lo spazio nel Trono di Spade, si tratta di uno spazio estremamente vasto, praticamente un
continente che comprende tutta una serie di regni, eppure se uno dei protagonisti ha la necessità,
oppure il filo del proprio destino impone a lui di incontrare un altro personaggio, anche in uno
spazio così vasto, finirà inesorabilmente per incontrarlo in un punto specifico per indirizzarlo, è uno
di quei casi in cui si fa sì che lo spazio della narrazione si restringa.
Tornando all’opera di Mille e una notte, Shahrazād non soltanto inventa il principio stesso della
narrazione, del racconto ininterrotto che intriga l’uditore e lo mette in stato di attesa e curiosità, ma
apre le porte della fiction, anche quella delle serie tv, nel momento in cui interrompe il racconto e
obbliga l’ascoltatore/re ad aspettare il giorno successivo, innesca il meccanismo con cui le serie tv
obbligano gli spettatori, puntualmente, a sintonizzarsi per la puntata successiva perché vogliono vedere
come prosegue la storia.
Infine, la vicenda di Shahrazād diventa emblematica di un intero corpo sociale, una società senza
letteratura sarebbe una società in cui non si manifestano problemi, e dunque sarebbe senza
immaginazione. Di fronte a una crisi, una società che non è capace di immaginazione per studiare delle
soluzioni, e non ha la capacità razionale di gestirle, è un corpo sociale evidentemente destinato
all’estinzione.
C’è un altro esempio letterario che è in qualche modo associabile a quello de “Le mille e una
notte”, ossia Dante Alighieri, dunque un personaggio realmente esistito (a differenza di quanto
potremmo invece obbiettare con la vicenda di Shahrazād), parliamo di un autore con il preciso
intento di salvare la vita a sé stesso e possibilmente anche al prossimo. Dagli studi fatti, sappiamo
che Dante scrive la Commedia per salvare sé stesso in quanto si trova nella selva oscura, ossia
una condizione di crisi rispetto a quanto si prepara per lui a Firenze (esilio, etc.). all’inizio dell’opera
abbiamo “nel mezzo del cammin di nostra vita”, dunque il discorso di Dante riguarda tutti, compresi
anche gli autori del suo tempo, in quanto percepiva il suo periodo storico come un’età di crisi,
dipesa dalla corruzione dell’istituto ecclesiastico, sempre più intento a perseguire scopi terreni
rispetto a quella che dovrebbe essere la sua missione spirituale, crisi dell’istituto dell’Impero, in
quanto lui sogna la riunificazione dell’Impero Romano, ma nel frattempo la penisola è
frammentata. Inoltre, da un punto di vista economico, è un’epoca in cui i traffici e gli interessi
individuali finiscano per soverchiare il bene e l’interesse della collettività. A questa crisi Dante
risponde scrivendo un’opera che disegna proprio una mappa, che consente al lettore di portare
avanti un proprio percorso e di salvarsi. Percorso che parte dall’Inferno, non a caso in quanto per
approdare al bene è necessaria la conoscenza del male, e che può condurre a una salvezza,
contemplando quelle che sono le conseguenze del male prodotto sulla terra, ossia la condizione dei
dannati, e il vantaggio di operare il bene, condizione dei beati. Se restassimo solo a questo livello,
resteremmo solo in superficie, cogliendo solo una parte del poema, contrariamente ci sono concetti
ben più profondi. Dante autore (non personaggio che si muove all’interno del poema), ha concepito
un’opera che è essa stessa una misura assoluta di ordine, in effetti è edificata sul numero 3,
numero della perfezione, della trinità, ma anche il numero che concerne la maniera attraverso la
quale noi percepiamo il tempo e lo spazio (tempo -> passato, presente e futuro; spazio -> ha tre
dimensioni); inoltre le cantiche sono 3 e all’interno di ognuna troviamo 33 canti, più un canto
introduttivo, per un numero totale di 100 canti. Ogni regno, ultra-mondo, è diviso in 9 parti più una; il
metro con cui è composto il poema è la terzina dantesca. Questo mattone costitutivo serve a dare al
poema una misura di ordine e armonia, anche perché dante deve far credere ai lettori che l’opera
sia stata ispirata direttamente da Dio e che rifletta la perfezione della morte divina.
Conseguentemente anche l’universo descritto nell’opera è ordinato, descritto con la terra in mezzo,
e le 7 sfere dei pianeti intorno. Tutto è
misurato e armonico, perché l’opera deve rappresentare un’opposizione a quella che era la realtà
storica: se il mondo del tempo contemporaneo a Dante era costituito da una realtà di crisi, violenza
e morte, l’opera letteraria si pone come un baluardo contro la morte, proponendosi come misura
d’ordine. Sono altre però, le cose che colpiscono la mente del lettore anche dopo 700 anni, come ad
esempio i personaggi, il modo in cui sono concepiti, come Paolo e Francesca, Ulisse, il Conte
Ugolino, ma neanche al più significativo di questi, come potrebbe essere Ulisse, non viene
concesso neanche un canto per intero: ciascuno ha a disposizione uno spazio estremamente ristretto
per raccontare la propria vita, una manciata di terzine nel migliore dei casi. In uno spazio così
ristretto e sintetico è evidente che ciascuno non può raccontare tutto, deve distillare il ricordo
perfetto. A volte una singola azione è il momento che ha deciso la traiettoria del passaggio sulla
terra dei personaggi e conseguentemente anche la loro posizione nell’oltretomba. Questi
personaggi sono scolpiti nel modo in cui uno scultore concepisce la propria opera d’arte. Un blocco di
marmo viene trasformato dall’artista in materia, allo stesso modo Dante leva l’eccesso, riducendoli
all’osso, mantenendo dunque esclusivamente l’elemento connotante del personaggio in questione.
L’altro fattore che colpisce il lettore è il meccanismo del contrappasso. Che veniva assegnato per
contrasto o analogia: quelli che in vita vennero travolti da una passione amorosa, in morte vengono
invece travolti da una tempesta infernale, gli omicidi sulla terra invece vengono puniti essendo
immersi in fiumi di sangue ribollenti. Il meccanismo delle pene sembra il trionfo della fantasia dantesca
che agisce senza remore, in realtà non c’è luogo, all’interno della commedia, che richieda più
razionalità, misura ed ordine del meccanismo del contrappasso, nel senso che Dante deve dare al
lettore l’illusione ottica che quella pena sia stata assegnata da Dio, per questo si parla di precisione:
una pena deve corrispondere davvero in maniera perfetta al peccato commesso in vita.

Quello che affermiamo con Dante, in un certo senso vale anche per molte altre opere, ad
esempio col Decameron di Boccaccio, grande lettore e commentatore della Divina Commedia.
Notiamo delle somiglianze, in quanto anche il Decameron incomincia da una situazione di crisi, ossia
con l’arrivo della Peste Nera che afflisse Firenze nel 1348, peste che si era già diffusa in Oriente,
spargendosi poi anche in Europa, decimando la popolazione in tutto il mondo. Quando si parla del
Decameron, tutti sottolineano il fatto che i 10 protagonisti giovani che decidono di bardare la città,
dopo essersi riuniti a Firenze, lasciano il luogo per sfuggire alla peste, il che è vero fino a un certo
punto, in quanto il morbo si diffuse anche nelle campagne. Un indizio fondamentale ci deriva da
una delle protagoniste, che dice espressamente “noi abbandoniamo Firenze per sfuggire ai
disonesti esempi dei nostri concittadini”. Ciò mostra come quel che fa realmente paura è il modo in
cui la società dei lumi reagisce alla malattia. Quello che viene descritto da
Boccaccio nell’introduzione alla prima giornata è un mondo in preda al caos, alla follia, in cui non si
rispettano più le leggi dello stato, della religione, le leggi familiari, dell’etica, a causa del timore
della peste, la follia dilaga ovunque. Firenze: città di morte, per sfuggire a questo caos, i dieci
giovani decidono di rifugiarsi in una villa nel contado e costituiscono una specie di microcosmo
ideale dove la prima cosa che fanno è darsi delle regole, viene stabilito ogni giorno un nuovo re o una
nuova regina e si stabiliscono anche i vari rapporti. Le 100 novelle costituiscono il libro, si tratta di
raccontare e di commentare ciò che viene raccontato. È un percorso formativo in quanto alla fine
delle due settimane i ragazzi dovranno ritornare a Firenze. Possono tornare in quanto hanno
maturato gli strumenti che consentono loro di affrontare la realtà critica. Possiamo dunque
affermare che l’arte del narrare costituisce un bacino contro il dilagare della follia degli uomini, e lo
possiamo affermare da questi due esempi di uomini così distanti fra loro:
Boccaccio e Dante. L’ultimo ha una visione ancora elementare del mondo, certamente ci descrive
l’Inferno ma ci avvisa anche, di quelle che sono le conseguenze ultime del peccato, del rischio che
l’uomo si costruisca un inferno proprio. A proposito di questo, facciamo un salto temporale e
vediamo come concepisce l’inferno un autore molto più vicino a noi nel tempo e che soprattutto, ci
propone una prospettiva laica e non religiosa della vita: Italo Calvino. Costituì l’epilogo di un
capolavoro assoluto del
‘900, Le città invisibili, creando un dialogo fra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan. Marco
espone all’imperatore il racconto di tutta una serie di città che avrebbe visitato, ma che in realtà
potrebbe essersi semplicemente immaginato.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che
abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme”. Entriamo in una prospettiva prettamente
laica. Questo dovrebbe essere il primo motore metafisico che spinge la scrittura: la capacità di
riconoscere cosa nell’inferno quotidiano, vale la pena di mettere al riparo, al sicuro, ciò che vale la
pena salvare, e a cui dare voce. Quando dico che la letteratura ti salva la vita, non è una formula
in senso lato, ma si intende dire che la salva in quanto mostra quanto disgraziata o ingiusta possa
essere la vita, necessità di confrontarsi costantemente con la realtà e cercare in qualche modo di
superarla, più che cercare di evadere da essa, proponendo anche dei modelli alternativi sociali o
politici, rispetto a quelli che socialmente viviamo.
Un’altra interessante affermazione è data da Nabokov “La letteratura non è nata il giorno in cui un
ragazzino corse via dalla valle di Neanderthal, inseguito da un grande lupo grigio, gridando <Al
lupo! Al lupo!>, è nata il giorno in cui un ragazzino correndo gridò <Al lupo! Al lupo!> senza avere
alcun lupo alle calcagna.” Come se Nabokov volesse esporci uno dei miti fondativi della
letteratura, quando l’uomo è spinto a concepire la finzione narrativa, non corrisponde alla volontà di
aderire perfettamente al reale, ma semplicemente al limitarsi ad esprimere il reale, ma corrisponde
alla necessità di compiere uno scatto, rispetto al reale. La letteratura è in un certo senso menzogna, a
patto che sia una menzogna ragionevole in qualche modo, o addirittura costruttiva. In fondo, il punto
di vista di Nabokov non è poi così distante dal pensiero di molti secoli prima di Aristotele nella
Poetica dove sottolineava la differenza profonda che si interpone fra la poesia e la storia,
affermando che la differenza sta nel fatto che lo storico racconta i fatti per come sono accaduti,
invece il poeta per come sarebbero potuti accadere. Ciò, dice Aristotele, rende la poesia più seria e
filosofica della storia, in quanto quest’ultima si occupa del particolare e la poesia dell’universale. Il
punto è proprio questo: confrontarsi costantemente con la realtà, ma al contempo tendere a
superarla e migliorare la nostra condizione. Un po' in tutte le tradizioni culturali c’è stato un periodo
in cui è diventata una risorsa fondamentale la letteratura utopistica, pensiamo al capostipite
Thomas More, scrittore del famosissimo capolavoro “Utopia”, era un’isola, con una serie di città
che
vivevano in una condizione di infelicità e imperfezione e ciò è noto a tutti, meno noto è il fatto che in
realtà,
Utopia, si compone di due parti tra loro speculari: tutta la prima parte è dedicata alle condizioni reali
dell’Inghilterra del suo tempo (fine 1400- inizi 1500), ed è un’Inghilterra in cui la piramide sociale è
costituita da un vertice con un gruppo ristretto di persone dignitose, e una base costituita dalla gran parte
delle genti in condizioni di miseria, a causa delle quali anche semplicemente per campare è necessario
rubare. La seconda parte è dettata dall’utopia, si nutre del confronto costante con la realtà, pur tendendo
al superamento di esso. Si tratta di una situazione in cui si elimina la proprietà privata, tutto è di tutti,
esiste solo la proprietà collettiva; tutti lavorano, ma poco, così da procurarsi lo stretto indispensabile
per la sussistenza del gruppo sociale; è una società in cui oro e diamanti non valgono nulla; qui
esiste il principio della tolleranza religiosa, ognuno è libero di professare la propria religione. Utopia è un
genere che dal ‘500 all’800 è stato un genere fiorente e ricco di modelli, come Tommaso Campanella
con “Città del sole” che non a caso è blindata da un sistema di mura che proteggono Utopia
dall’irrompere della realtà storica. A partire da fine 1800 inizio 1900, l’utopia è andata un po' in crisi
e hanno prevalso le modalità del racconto dispotico, di moda anche adesso. Rimane tutt’ora qualche
autore che continua a coltivare utopia, tra questi Fabrizio de Andrè, che di utopia ci ha dato una delle
definizioni più suggestive. In una delle sue interviste
riguardo l’argomento Faber rispose “un’uomo senza utopia, senza sogni e senza ideali, vale a dire senza
passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di
raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura.” In sintesi, dice che muore l’utopia,
finisce la storia degli uomini. Andando ad analizzare tutto il canzoniere di De Andrè, noteremo che
la molla principale della sua scrittura è principalmente lo sforzo di superare la distanza che separa
il reale dall’ideale. Utopia: intesa come un autore metafisico che spinge costantemente ciascuno di noi
a migliorare la propria condizione di vita.
Nel suo canzoniere il personaggio che più di ogni altro incarna questo principio utopico è Bocca di
rosa.

La chiamavano bocca di rosa buoni consigli


Metteva l'amore, metteva l'amore Se non può più dare cattivo esempio
La chiamavano bocca di rosa
Metteva l'amore sopra ogni Così una vecchia mai stata moglie Senza
cosa mai figli, senza più voglie

Appena scese alla stazione


Nel paesino di Sant'Ilario
Tutti si accorsero con uno
sguardo Che non si trattava di un
missionario
C'è chi l'amore lo fa per noia
Chi se lo sceglie per
professione Bocca di rosa né
l'uno né l'altro Lei lo faceva
per passione
Ma la passione spesso conduce
A soddisfare le proprie voglie
Senza indagare se il concupito
Ha il cuore libero oppure ha
moglie
E fu così che da un giorno
all'altro Bocca di rosa si tirò
addosso
L'ira funesta delle cagnette
A cui aveva sottratto l'osso
Ma le comari d'un paesino
Non brillano certo in iniziativa
Le contromisure fino a quel punto
Si limitavano all'invettiva
Si sa che la gente dà buoni
consigli Sentendosi come Gesù
nel tempio Si sa che la gente dà
Si prese la briga Con una scritta nera
e di certo il gusto Diceva "addio bocca di rosa
Di dare a tutte il Con te se ne parte la primavera"
consiglio giusto
E rivolgendosi alle cornute
Le apostrofò
con parole
argute "Il furto
d'amore sarà
punito" Disse
"dall'ordine
costituito"
E quelle andarono
dal commissario E
dissero senza
parafrasare
"Quella schifosa ha
già troppi clienti Più
di un consorzio
alimentare"
Ed arrivarono
quattro gendarmi
Con i pennacchi,
con i pennacchi
Ed arrivarono
quattro gendarmi
Con i pennacchi
e con le armi
Spesso gli sbirri e i carabinieri
Al proprio dovere vengono meno
Ma non quando sono
in alta uniforme E
l'accompagnarono al
primo treno
Alla stazione c'erano tutti
Dal commissario al
sacrestano Alla
stazione c'erano
tutti
Con gli occhi rossi e il cappello in
mano
A salutare chi
per un poco
Senza pretese,
senza pretese
A salutare chi
per un poco
Portò l'amore
nel paese
C'era un
cartello
giallo
Ma una notizia un po' originale Persino il parroco che non disprezza
Non ha bisogno di alcun giornale Fra un miserere e un'estrema
Come una freccia dall'arco scocca unzione Il bene effimero della
Vola veloce di bocca in bocca bellezza
La vuole accanto in processione
E alla stazione successiva
Molta più gente di quando partiva E con la Vergine in prima
Chi mandò un bacio, chi gettò un fila E bocca di rosa poco
fiore Chi si prenota per due ore lontano Si porta a spasso
per il paese
L'amore sacro e l'amor profano

Ci sembra di conoscere tutto di Bocca di rosa, in realtà se si va a leggere il testo, ci si rende conto
che non si conosce neanche un mignolo. Sappiamo semplicemente che un bel giorno decide di
scendere dal treno della stazione di Sant’Ilario e che non assomiglia di certo a un missionario.
Sappiamo che mette l’amore sopra ogni cosa, ciò può essere inteso con un doppio significato: sopra
ogni cosa perché è il concetto che si impone sopra ogni altro, è il principale interesse; potremmo
anche intendere che Bocca di rosa sia una specie di Re mida, secondo cui qualsiasi cosa che tocca
si trasforma anziché in oro, in amore. Non sappiamo nemmeno quale sia la sua professione,
malgrado le apparenze, Bocca di rosa non rappresenta una prostituta, il testo ce lo dice
inequivocabilmente: il fatto che faccia l’amore per passione è da intendere in chiave allegorica, è il
principale rappresentante del concetto di utopia, ossia l’amore che trionfa sopra ogni cosa. Potremmo
addirittura considerarla come esponente di una nuova logica per cui l’economia del dono, si propone in
competizione rispetto alla classica economia di scambio. Che sia una professione con una
propensione all’amore lo capiamo se andiamo a ricercare l’antagonista di Bocca di rosa (bisogna
analizzare il testo come un’opera letteraria, con i vari personaggi del racconto). La protagonista è
Bocca di rosa, l’antagonista non è il popolo di Sant’Ilario con le mogli ingelosite del fatto che i loro
mariti guardino Bocca di rosa, bensì la vecchia mai stata moglie, senza mai figli, senza più voglie,
connotata con quelli che sono i tratti caratteristici della sterilità e dell’inverno, così come Bocca
rappresenti la rinascita e la giovinezza e di conseguenza sia facilmente riconducibile alla primavera, a
partire anche semplicemente dal nome “Rosa” = fiore primaverile, la vecchia invece si comporta
come una sorta di parodia grottesca di Gesù, poiché è connotata dal tratto della serenità e
soprattutto cerca di frenare le voglie di Bocca richiama l’ordine costituito. Se Bocca fosse stata un
maschietto sceso alla stazione capace di rubare il cuore alle fanciulle, sarebbe stato acclamato come
eroe nazionale, siccome però è una fanciulla, deve essere confinata nell’etichetta di prostituta, ma
la letteratura a questo serve: a combattere il pregiudizio.
Letteratura italiana 10/03/2021

Dalla lezione precedente:

Primo Levi, nel capitolo undicesimo di Se questo è un uomo, dedica la sua attenzione a un
episodio del canto di Ulisse: una mattina, con un compagno di prigionia, gli fu affidato il compito di
trasportare un pentolone da 50 chili contenente il cibo per i suoi compagni; era un compito
gravoso date le condizioni fisiche precarie, ma anche l’occasione di prendere una boccata d’aria e di
scambiare due chiacchere. Primo Levi scopre che il suo compagno è un amante del Bel Paese, della
cultura italiana, perciò Primo Levi si pone come precettore di italiano, facendo sentire al suo
compagno come suoni bene la lingua italiana, e ricorre alla Divina Commedia, che si studiava a
memoria. Primo Levi ricordava in particolare il canto di Ulisse, e si mise a ripetere quello, sbagliando
di tanto in tanto qualche terzina; c’è però un momento in particolare che rimase impresso nella
memoria di Primo Levi, quello in cui Ulisse deve convincere i suoi compagni a tentare l’impresa
impossibile, dove recita: “Considerate la vostra semenza: Fatti non foste a viver come bruti, ma
per seguire virtute e canoscenza”, su questo episodio Primo Levi tornerà in seguito per sottolineare il
fatto che per lui fu fondamentale recitare quei versi, là dove si trovava il luogo più basso della
storia dell’uomo,
come modo per ricordarsi di essere “uomo” e salvare la propria identità.

Nuovo argomento:

Prima di poter parlare di De André, è necessario porsi un quesito: la canzone d’autore è poesia?
La questione è stata riaperta clamorosamente dal fatto che qualche anno fa, un Bob Dylan sia stato
assegnato il Premio Nobel.
La canzone si esprime attraverso un doppio codice: la musica e il testo, con l’interferenza
dell’interpretazione canora. Ciò si distingue molto dall’attuale poesia, che è tendenzialmente da
leggere in silenzio, senza accompagnamento musicale. Su questo punto di vista ha ragione Francesco
De Gregori, che sottolinea che la canzone non è poesia. È però anche vero che esistono delle
zone di confine, in cui si incontrano canzoni e poesie. In realtà la poesia nasce per essere cantata:
non a caso i grandi poemi epici
esprimono nell’incipit con versi come “O Musa cantami..”, e che venisse utilizzata la Lira.

Alcuni studiosi della Divina Commedia hanno notato che nel momento in cui Dante ascende il
monte del Purgatorio, incontra tre personaggi con cui aveva intessuto delle relazioni: Casella, Belacqua
e Sordello. Con Casella, Dante allude a questioni che riguardano il canto, con Belacqua che
riguardano la musica e con Sordello che riguardano il testo. Nel momento in cui Dante riflette sulla
forma poetica medioevale, ha
necessariamente bisogno di ragionare sull’aspetto canoro, musicale e testuale; ciò perché nel Medioevo
le
poesie erano proviste di spartiti

musicali. Ascolto di Alabama Song di

David Bowie

David Bowie è uno dei più grandi poeti del ‘900, da quello che raccontano le cronache, era solito
accompagnare i suoi testi poetici con la chitarra, utilizzando la canzone come effetto estraniante
all’interno dei suoi spettacoli. L’esempio di questa canzone spiega quanto possono essere vicini i
confini fra poesia e
canzone. La canzone d’autore ha un testo con una sua profondità che funziona con una serie di
strategie
che sono solite dei testi letterari.

La posizione di De André in merito alla differenza fra canzone e poesia è esplicitata in una delle
rare interviste televisive che gli sono state poste: alla domanda se lui si definisse un poeta rispose
citando
Benedetto Croce: “Fino ai 18 anni tutti scrivono poesie, poi coloro che continuano a farlo o sono
poeti o sono cretini”; diceva De André “Io preferisco definirmi un cantautore”. In realtà se andiamo i
materiali di De André, si va a scoprire che si definiva una sorta di “cantastorie”, cioè un narratore in
versi. Noteremo come la dimensione narrativa, soprattutto nella prima parte della produzione
deandreiana, è una delle sue
caratteristiche compositive. È vero che De André spesso nei Concert Album tenda ad accompagnarsi di
altri collaboratori sia per quanto riguarda musica che testi.

Per quanto riguarda i generi, De André spiega di non commettere l’errore di giudicare i generi
come maggiori o minori: non esiste una gerarchia di questo tipo. Il romanzo non è assolutamente
migliore della poesia, si tratta esclusivamente di distinguere fra bravi autori e autori meno bravi,
per capire questa differenza è necessario studiare i codici e i linguaggi attraverso i quali si manifestano
queste diverse forme.

De André riteneva che la canzone potesse essere un efficace strumento per trasmettere una serie
di contenuti, a patto che i testi venissero scritti da una persona di spessore culturale che avesse la
capacità di esprimersi attraverso strumenti popolari.
Con De André, e altri personaggi si parla di una “scuola di Cantautori”, ma prima di questa generazione,
c’è stata la straordinaria seppur poco conosciuta esperienza dei “cantacronache”. In Italia, intorno agli
anni ’50 si aveva un problema generale: lo scollamento tra la cultura così detta alta e quella
popolare. Dall’altra parte per quanto riguarda i movimenti operai degli anni 20, si erano venuti a creare
una serie di canzonette popolari molto diffuse. Nel secondo dopoguerra troviamo invece la “canzonetta
alla maniera sanremese” (Canzonetta sanremese: prodotto tipico di San Remo: tipo di canzone che
deve suscitare facile consenso), una varietà di canzone che si fondava sostanzialmente sul tema
amoroso. Il tema amoroso era capace di nutrire gli stereotipi come il tradimento dell’uomo. Umberto
Eco, a quei tempi ancora giovanissimo, tendeva a separare le canzoni che riteneva colte, in cui le
parole avevano un peso importante, rispetto a una canzone che lui definiva “gastronomica”, usa e
getta, commerciale. La canzone colta è quella che risponde a un requisito fondamentale: il
riascolto. Il riuso è la categoria fondamentale all’interno della critica letteraria perché evidentemente
continua a essere fruibile a distanza di tempo. Questo è il discorso di Umberto Eco, negli Apocalittici e
integrati (1964), un testo dedicato a molti generi e forme d’arte che venivano considerato in maniera
negativa. Al tempo non si potevano erogare prodotti non consoni, infatti nel 1967 Luigi Tecno, durante
un festival di San Remo, la sua canzone “Ciao Amore Ciao” viene bocciata; il
testo originario della canzone aveva un forte significato antimilitarista, ma fu l’autore testo che
intervenne
sul testo con una forte autocensura perché è consapevole che per affrontare la manifestazione
sanremese doveva necessariamente cambiare il testo e orientarlo verso la sfera sentimentale, che
era la dinamica tipica delle canzoni di San Remo.
L’esperienza del cantacronache, è un’esperienza che risale nel 1957, con un gruppo di intellettuali di
varia estrazione di Torino, musicisti, etnomusicologi e scrittori come Umberto Eco, Pierpaolo Pasolini,
Gianni Rodari e Italo Calvino. La loro intenzione era quella di nobilitare la forma della canzone,
portandola ad un livello più alto, dandole la stessa dignità del componimento poetico, in modo da
ricostruire lo strappo fra cultura alta e bassa. Vogliono soprattutto ampliare la gamma di argomenti
di cui la canzone possa usufruire, non solo la tematica sentimentale ma la realtà.

I Cantacronache non sono definibili come dei cantautori, ma come degli intellettuali che preparano
il terreno alla prima generazione dei cantautori degli anni ‘60, di cui fa parte la scuola genovese,
leggermente più anziani di De André. La seconda generazione, successiva a De André e a Guccini, è
quella di De Gregori,
Bennato, Pino Daniele, Lucio Dalla. Il manifesto dei Cantacronache si fonda su tre slogan: la loro viene
definita un’avventura “politico-musicale” intendendo il fatto che le loro canzoni dovessero aprirsi a una
dimensione politica, mettendo in considerazione la società in cui vivevano. Un altro slogan era quello di
“aggredire la realtà”: non si doveva perdere contatto con la società in cui l’uomo vive, le relazioni
sociali e i modelli economici; l’ultimo slogan era “evadere dall’evasione” proponendo un modello di
canzone che non deve portare semplicemente a evadere i problemi reali, le sofferenze in cui
quotidianamente ogni individuo è imprigionato, ma deve farci riflettere sulla realtà. Questi intellettuali
erano consapevoli che a volte un semplice ritornello potesse essere molto più efficace e comunicativo
che non un intero comizio. Si ampliano quindi le tematiche: la politica, la società comunistica,
l’alienazione e la corruzione. Per quel che riguarda la musica, tendono a costruire canzoni su uno
schema ritmico melodico abbastanza usuale: i punti di
riferimento sono i Chansonnier francesi, più di ogni altro Bersan. In Francia già dall’Ottocento, si
affrontavano questioni politiche, contro l’ipocrisia, con anticonformismo.

I Cantacronache quindi da un lato si ispirano alla Francia ma da un lato guardano anche alla
Germania, i riferimenti in quel caso sono esperimenti di rappresentazione drammatica legata alla
canzone, ma accanto a questi modelli colti, si va a cercare di riattivare la carica di contestazione che
era presente nella canzone popolare italiana, come quelle degli operai italiani nelle fabbriche dei
primi anni del ‘900. Non dimentichiamo anche i canti partigiani. I luoghi dove si esibivano erano i
teatri.

Italo Calvino ci ha lasciato una sorta di piccolo canzoniere con una produzione narrative in forme brevi,
in questo suo dedicarsi alla forma breve, si è concentrato anche sulla canzone. L’intento era quello di
narrare una storia che stesse dentro una quantità definita. Tendenzialmente una canzone per il
passaggio in radio doveva durare non più di 3 minuti; Calvino deve quindi utilizzare la sintesi.
I temi del Canzoniere di Calvino, sono amore, guerra e morte, gli stessi che ritroviamo in De André.
Calvino era attratto dalla canzone perché in essa erano presenti tutte le varie forme di
contaminazione fra varie forme d’arte, la canzone corrisponde a uno dei criteri che Calvino celebra
nelle “Lezioni Americane”, la sintesi e l’evidenza, con una comunicazione immediata.

Ascolto di La Canzone triste – Margot Ascolto e commento


La canzone corrisponde a un racconto che Calvino elabora negli stessi anni, nel ’58, l’avventura di due
sposi, compresa nella raccolta “Amori difficili”. La canzone triste propone lo schema di vicenda del
celebre film “ladyhawke”: due amanti vengono separati da un incantesimo lanciato loro da un alto
prelato geloso; con questo sortilegio i due non possono più incrociarsi perché mentre lui di notte era
un lupo, lei di notte era un falco. Al sorgere del sole accade che i due riescano quasi a sfiorarsi,
ma non possono mai incontrarsi.
La trama di Ladyhawke e di Canzone triste procede con lo stesso schema narrativo; la differenza
sta nel fatto che nella Canzone triste i due non possano mai incontrarsi per la logica perversa
del mercato capitalistico: il marito è un operaio che passa tutta la notte a lavorare, quando
torna fa in tempo solo a prendersi un caffè con la sposa, che poi dovrà uscire per andare a
lavorare.
Testo

Erano sposi. Lei s'alzava all'alba


portano gente dagli sguardi tetri;
prendeva il tram, correva al suo lavoro.
fissar la nebbia non si stancan mai
Lui aveva il turno che finisce all'alba
cercando invano il sol, fuori dai vetri.
entrava in letto e lei n'era già fuori.
Soltanto un bacio ...
Soltanto un bacio in fretta posso darti
bere un caffè tenendoti per mano.

Il tuo cappotto è umido di nebbia.


Il nostro letto serba il tuo tepor.
Dopo il lavoro lei faceva spesa
-buio era già - le scale risaliva.
Lui in cucina con la stufa accesa,
fanno da cena e poi già lui partiva.
Soltanto un bacio ...

Mattina e sera i tram degli operai


Lo schema della canzone è molto semplice, ma non sempre i versi fluiscono in maniera musicale: ci
sono poche rime che non sono organizzate con uno schema ricorrente; la ricerca della musicalità è
perseguitata attraverso l’utilizzo di strategie testuali, come quella di ricorrere al troncamento di
alcune parole. Il
troncamento è una tecnica che negli anni ’50 si utilizzava frequentemente, perché rendeva le parole
molto più facili da utilizzare affiancate alla musica. Le parole tronche sono molto più facili da
utilizzare rispetto a quelle piane in italiano. La canzone si conclude con l’immagine degli operai che
caricano e scaricano, come se fossero condannati all’inferno dantesco e la nebbia sta a
rappresentare la condizione di vita degli
“ultimi” nel panorama torinese.

Ascolto di Dove vola l’avvoltoio di Yo Yo Mundi – Testo e commento


La canzone ha un chiaro contenuto antimilitaristico: Calvino non è stato semplicemente un intellettuale
e uno scrittore ma aveva vissuto sulla sua pelle la resistenza, perciò quando combatteva contro gli
ideali fascisti e nazisti, non lo faceva semplicemente con l’obiettivo di liberare l’Italia, ma lo faceva
immaginando di dare un contributo per un mondo migliore. Nelle sue canzoni mostra un impegno
totale, a 360 gradi, perché è perfettamente consapevole di quanto la canzone sia un mezzo
formidabile per far circolare una serie di temi e contenuti a un pubblico che non legge e non fluisce
dalla letteratura, ma che può essere abbordato da questo tipo di forma espressiva (la canzone).

Testo
Un giorno nel mondo finita fu l'ultima guerra L'avvoltoio andò alla madre e la madre disse: "No!
Il cupo cannone si tacque e più non sparò Avvoltoio vola via, avvoltoio vola via
E, privo del tristo suo cibo, dall'arida terra I miei figli li do solo a una bella fidanzata
Un branco di neri avvoltoi si levò Che li porti nel suo letto, non li mando più a
Dove vola l'avvoltoio? ammazzar"
Avvoltoio, vola via Dove vola l'avvoltoio?
Vola via dalla terra mia Avvoltoio, vola via
Che è la terra dell'amor Vola via dalla terra mia
L'avvoltoio andò dal fiume ed il fiume disse: "No! Che è la terra dell'amor
Avvoltoio vola via, avvoltoio vola via L'avvoltoio andò all'uranio e l'uranio disse: "No!
Nella limpida corrente ora scendon carpe e trote Avvoltoio vola via, avvoltoio vola via
Non più i corpi dei soldati che la fanno insanguinar" La mia forza nucleare farà andare sulla luna
Dove vola l'avvoltoio? Non deflagrerà infuocata distruggendo le città"
Avvoltoio, vola via Dove vola l'avvoltoio?
Vola via dalla terra mia Avvoltoio, vola via
Che è la terra dell'amor Vola via dalla terra mia
L'avvoltoio andò ai tedeschi e i tedeschi disser: "No! Che è la terra dell'amor
Avvoltoio vola via, avvoltoio vola via Ma chi delle guerre quel giorno aveva il rimpianto
Non vogliam mangiar più fango, odio e piombo nelle In un luogo deserto a complotto si radunò
guerre E vide nel cielo arrivare girando quel branco
Pane e case in terra altrui non vogliamo più rubar E scendere, scendere, finché qualcuno gridò:
Dove vola l'avvoltoio? Dove vola l'avvoltoio
Avvoltoio, vola via Avvoltoio vola via
Vola via dalla terra mia Vola via dalla testa mia...
Che è la terra dell'amor Ma il rapace li sbranò

In questa canzone è presente un pezzo di De André: la guerra di Piero, l’avvoltoio è simbolo, la


metonimia degli effetti della guerra. La canzone si apre con una visione decisamente utopica: un
giorno in cui finisce l’ultima guerra, per cui gli avvoltoi non hanno più cibo da consumare e si muovono
alla ricerca di qualcosa di cui nutrirsi. Acquistano poi voce una serie di elementi personificati: l’idea
della corrente che porta via i corpi dei soldati è ripresa nella Guerra di Piero, sempre nella
seconda strofa che recita:
Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente

De André omaggia spesso Calvino, e lo farà anche nella “Canzone di Marinella” quando dice che il linguaggio
favolistico, che non è il tipico modo di scrivere di De André, lo prende in prestito proprio da Calvino. Questa
canzone si pone come ponte fra l’esperienza dei Cantacronache e quella successiva della prima generazione
di cantautori.
Fabrizio de André 17/03/2021

Biografia:

Appartiene alla prima generazione di cantautori, alla cosiddetta scuola genovese. Fece di tutto per
non diventare un mito, si nascose molto sapientemente. Nasce a Genova, (possiamo dire che Genova
sta a De André, come Firenze sta a Dante, la città è una vera e propria protagonista nei testi di
Faber, soprattutto nella prima fase, ma anche nella seconda, dove deciderà di utilizzare il dialetto
ligure), da un lato è genovese, parliamo della città vecchia, ossia la zona del centro storico, fatta di
viuzze strettissime che diventano protagoniste nelle canzoni prettamente giovanili; allo stesso tempo,
ha fatto della Sardegna la sua patria elettiva, nel senso che decide di trasferirsi in terra sarda, dove
trascorrerà una parte significativa dell’anno, qui è importante ricordare che apre un’azienda agricola.
Dato geografico che ci interessa su un aspetto riguardante la sua produzione, in quanto deciderà di
aprire un’azienda per avere un mestiere di cui campare, con il quale mantenere la famiglia, così da
avere anche la possibilità di evitare le trappole del mercato discografico. Infatti, dalla fine degli anni
’70 in avanti, Faber pubblica dischi non per mantenersi, ma quando ha voglia lui e ha qualcosa di
significativo da dire. Dagli anni ’80 in poi, i suoi dischi verranno pubblicati anche a cinque o sei anni
di distanza l’uno dall’altro, dunque non seguendo quei ritmi ossessivi che vengono imposti dalle case
discografiche. Ha scelto di tirare su un’azienda in Sardegna perché, specialmente la Gallura,
presenta quel contrasto straordinario fra mare e montagna che probabilmente gli ricordava la Liguria.
Si trasferisce nelle campagne che aveva amato da bambino. Nasce nel 1940, fa in tempo a
conoscere le angosce del secondo conflitto mondiale, da più grande anche le macerie che
rimangono dalla guerra. Faceva parte di una famiglia alto borghese, che fugge da Genova per i
bombardamenti e si trasferisce in campagna. Quindi il rapporto diretto con la natura, che poi
ritroveremo anche nei suoi brani, è un qualcosa su cui riflette da quando era piccolo, e che riscopre da
grande nella vita in Gallura.

Canzoni: modalità operative della scrittura Deandreiana.

Nella prima fase, il giovane De André scrive seguendo una precisa modalità operativa: tendenzialmente
legge molto, fino a tre libri a notte, l’ispirazione per quasi tutte le sue canzoni deriva da testi
letterari, a volte neanche più riconoscibili in quanto venivano rimasticati e manipolati, oppure da
banali fatti di cronaca, a partire da uno spunto che, nella maggior parte dei casi aveva origine
letteraria.

1)Faber buttava giù una sorta di racconto, e ciò è molto significativo in quanto lui stesso si
definiva un narratore in versi, una sorta di cantastorie.

2)Il racconto che scriveva, gli suggeriva una serie di sensazioni ed emozioni, sulla base delle quali
andava poi a comporre la musica.

3)La terza operazione consisteva nel riadattare il racconto scritto in prosa, in musica.

Trasformava un racconto in prosa, in uno in versi, un’operazione che si compie levando materia,
dunque un lavoro di sintesi, poiché la canzone si compone di un numero limitato di versi e
oltretutto ha una durata di tre/quattro minuti, tempo in cui ci deve stare tutto ciò che aveva in
mente l’autore. Adatta il racconto alla musica, butta giù i versi e dopodiché passa una grande
quantità di tempo a perfezionare e limare continuamente (labor limes), con un risultato straordinario
in quanto ogni parola ha una precisa posizione, stabilità anche perché ha un preciso valore
etimologico. Porta avanti un lavoro sui testi che è simile in tutto e per tutto a quello di un poeta.
Faber però dichiara che non era esattamente sua intenzione assimilare la canzone alla poesia.
Obbiettivo: lavorare alla canzone fino a raggiungere una dignità artistica, simile a quella della poesia
in tutto e per tutto. Dunque, abbiamo due oggetti distinti che funzionano in maniera diversa poiché
la canzone si compone a sua volta di due codici: uno musicale e l’altro testuale, ma a partire da
questa profonda differenza, la sua ottica è quella di far si che la canzone assuma lo stesso valore
artistico della poesia. “Utilizza la musica come il pittore utilizza la tela”: un’affermazione di questo
tipo ci dice che il suo interesse primario è il testo, mentre la musica è in un certo senso accessoria
perché passi il testo. Questo fatto in qualche modo si percepisce nella prima produzione di De
André, lui stesso si trovava come un musicista inferiore rispetto a come percepiva sé stesso
come scrittore, sente come una ragione di debolezza. Tant’è vero che da un certo momento in poi si
circonda di collaboratori che lo supporteranno soprattutto sul piano musicale.
Altro elemento che riguarda l’allestimento dei versi è il fatto che Faber è anarchico, considera
l’anarchia più che come un’utopia, come un’ideale, una sorta di vicenda sentimentale. Vuole annullare la
differenza che intercorre fra l’ideale e il reale, partendo dalla rappresentazione del reale. Ci
racconta anche che lui, quando era molto giovane, era convinto di poter cambiare il mondo con una
canzone, e questa illusione poi è scemata, si rende conto che sperare di cambiare il mondo con una
canzone era un qualcosa di impossibile, ma continua a voler scrivere canzoni se non altro per
denunciare o limitare le ingiustizie e le disuguaglianze.
Le linee tematiche del suo canzoniere, dall’origine fino al suo ultimo album, sono: l’amore, la guerra e la
morte. L’amore rappresenta il potere di utopia dell’ideale, “l’ultima illusione” (come direbbe Leopardi); la
morte è quasi sempre un fatto sociale, introdotto dalla violenza degli uomini, dall’invidia, dalle
disuguaglianze e spesso e volentieri prodotto dalla guerra. Questi sono i tre filoni più importanti, vedremo
poi, di volta in volta, come vengono interpretati.

Le fonti letterarie, in quanto Faber era un gran lettore e abbiamo detto che traeva ispirazione dai
testi letterari. C’è anche chi lo accusò di essere un plagiario, qualcuno che probabilmente non ha
molto ben chiaro come funzionino i meccanismi della creazione letteraria, ossia il fatto che
tendenzialmente già i greci avevano esaurito il panorama di storie possibili da raccontare, dopo di
che non si è fatto altro che raccontare sempre le stesse cose, magari variandone qualche aspetto e
adeguandole a nuove forme espressive. È un tipo di critica a cui De André ha risposto quando era
ancora vivo. Nei suoi diari c’è un passaggio illuminante, dove dice di citare Dalì, (si sta ancora
cercando di capire dove realmente Dalì abbia affermato le cose che riporta De André).
Dice: “Dante, copiando dalle Apocalissi Apocrife, è diventato Dante Alighieri, Shakespeare, copiando
dal teatro inglese del ‘400, è diventato Shakespeare, Gianfranco Rossi, non copiando da nessuno, è
diventato un cazzo di nessuno”, grosso modo rende l’idea. Shakespeare è perfetto, non è il genio
nel senso romantico, come autore di una creazione che spicca per la sua originalità, Romeo e Giulietta
era già stata raccontata altre volte, l’autore è geniale nella capacità di riscrivere la storia in una maniera
che non era mai stata utilizzata da nessuno prima di allora. Il vero motore rigeneratore di storie è la
riscrittura, la risemantizzazione, ossia che la storia venga caricata di nuovi significati.
Vedremo un paio di esempi di come De André venisse definito un “vampiro” non solo perché
viveva di notte (passava le nottate a leggere un sacco di libri, rimanendo sveglio fino a tardi), ma
anche perché “succhia il sangue che scorre in una biblioteca universale”, si nutre di quel sangue
per creare delle opere che diventano originali nel momento in cui lui ci mette mano, ma non perché
non erano originali già in principio. Qualcuno in proposito ha tirato fuori un’altra metafora che
riprende da Seneca, la metafora dell’ape, che vola di fiore in fiore e che succhia il nettare dai fiori
più disparati, dopodiché produce il suo miele mescolando tutte queste diverse informazioni e in
qualche modo, il critico in questione, afferma che
Faber si comporta nello stesso modo: prendendo un po' di qua e un po' di là, rimescolando con un
risultato finale che pare straordinariamente originale.
Canzone di Marinella, 1964, nella versione cantata da Faber e Mina. È una delle sue prime canzoni e,
interpretata da Mina, assicurò a De André un certo successo a livello di vendite.
1. Questa di Marinella è la storia vera
Che scivolò nel fiume a primavera Furono baci e furono sorrisi
Ma il vento che la vide così bella Poi furono soltanto i fiordalisi
Dal fiume la portò sopra una stella Che videro con gli occhi delle stelle
Sola senza il ricordo di un dolore Fremere al vento e ai baci la tua pelle
Vivevi senza il sogno d'un amore Dicono poi che mentre ritornavi
7. Ma un re senza corona e senza scorta Nel fiume, chissà come, scivolavi
Bussò tre volte un giorno alla tua porta
Bianco come la luna il suo cappello 21. E lui che non ti volle creder
Come l'amore rosso il suo mantello morta Bussò cent'anni ancora alla
Tu lo seguisti senza una ragione tua porta
Come un ragazzo segue l'aquilone
Questa è la tua canzone, Marinella
13. E c'era il sole e avevi gli occhi belli
Che sei volata in cielo su una stella
Lui ti baciò le labbra ed i capelli
E come tutte le più belle cose
C'era la luna e avevi gli occhi stanchi
Vivesti solo un giorno, come le rose
Lui pose le sue mani sui tuoi fianchi
E come tutte le più belle cose
Vivesti solo un giorno, come le rose

La canzone deriva da un fatto di cronaca, il personaggio di Marinella è uno degli antieroi che
domina il canzoniere deandreiano. In un certo senso quella di De André è un anti-epopea, perché gli
eroi dell’epica si sostituiscono alle vittime di questo mondo, gli ultimi, il sottoproletariato. Alla base
del personaggio di
Marinella, c’è la vicenda reale di una prostituta morta, scaraventata in un fiume. A partire da un
trafiletto, Faber scrive la canzone ed è come se desse una seconda possibilità a Marinella,
trasformandola da prostituta ad una sorta di principessa. All’inizio dice che quello che viene riportato
nei giornali, nella fredda sintesi della cronaca quotidiana, non può dar conto nella realtà della persona
che è morta, dice che questa della canzone è la storia vera (v. 1), dove l’intento è quello di dare più
spessore al personaggio. Noi veniamo informati sin da subito di quello che è il finale della storia:
stessa fine della prostituta= caduta nel fiume, come se la capacità della canzone, dell’arte, fosse quella
di sublimare la sua esistenza, ma che al contempo non potesse negare la violenza nella realtà subita,
per cui Marinella fa la stessa fine della prostituta.
La capacità della poesia però consiste nel sollevarla dal fiume fino a una stella, nobilitandone la
figura.

Che effetto fa sapere già dal secondo verso della canzone, che la protagonista muore? È la stessa cosa
che capita nella Guerra di Piero, che appunto inizia annunciando la morte del protagonista, questo è il
primo punto di contatto. Non si parla di flashback, sarebbe un’analessi, (quando tu ripeschi dal
passato, delle informazioni che proietti in tempo reale), qui si parla invece di prolessi, nel senso che
abbiamo dei fatti che nella linea cronologica vengono dopo ma sono anticipati dal testo. Ciò accade
anche ad esempio nelle “Cronache di una morte annunciata” di Gabriel García Márquez, dove veniamo
informati sin dal titolo che il protagonista muore.
L’effetto è che noi leggiamo quel racconto come se il personaggio fosse predestinato alla morte, un
po' come l’effetto della tragedia greca: un eroe combatte contro il proprio fato, al quale nessuno può
sottrarsi, per cui seguiamo la vicenda sapendo che l’eroe combatterà contro il proprio destino, ma
necessariamente sarà sconfitto, lo si legge con coscienza e consapevolezza. La tragedia qua è doppia,
quando dice che scivola nel fiume in primavera (stessa cosa che capita a Piero quando dice “a
crepare di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio”), ci ricorda un’opera che De André conosceva
particolarmente bene, ossia “La terra desolata” di Elliot, che inizia con un detto proverbiale “aprile è
il più crudele dei mesi”, perché rispetto al risveglio della natura che metaforicamente è visto come il
trionfo della vita, quello spettacolo naturale contraddice la misera condizione dell’uomo (vittima
della guerra), soprattutto in alcuni momenti storici; come si fa riferimento nell’opera di Elliot, questa è
proprio la vicenda di Marinella, ma anche di Piero. È particolarmente tragico morire di maggio, nel bel
mezzo del trionfo della vita, in primavera. Il contrasto che viene portato avanti fra la stagione citata e
l’inverno accompagnerà tutto il canzoniere di De André (in
particolare modo quando affronteremo “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”). La primavera
quindi rappresenta la rinascita, la vita la scoperta dell’amore, e Marinella non si è potuta godere la
vita in quanto è morta proprio in primavera.

La canzone di Marinella, rispetto ad altre canzoni di Faber, è differente in quanto è scritta come una
fiaba, non in maniera realistica, a distanza di anni dichiara che questa gli è stata ispirata dal Calvino
più fiabesco, in effetti è la vicenda di una principessa, addirittura si cita un re “senza corona e
senza scorta”, quindi è stato scoronato, (sembra la parodia di un re che un re vero e proprio),
ciononostante rappresenta per Marinella la scoperta dell’amore. È comunque una sorta di principe
azzurro che bussa alla sua porta, gli unici versi meno eterei e cristallini sono quelli in cui si
percepisce che i due stanno facendo l’amore, sono quelli più sensuali.

La canzone può essere letta in un solo modo? Ossia che Marinella, conosce l’amore, torna a casa,
scivola nel fiume, e muore per un incidente. Potrebbe averla uccisa il re scoronato, quel “chissà come”
del v. 20 ci spalanca infinite possibilità. Come è possibile che sia accaduta una cosa tanto banale?
Normalmente non si scivola così come se niente fosse, certo si può pensare che sia caduta perché
era distratta dall’innamoramento, aveva la testa piena di pensieri, ma così la riconduciamo ad
un’interpretazione troppo realistica e sarebbe un modo per banalizzarla. La canzone in maniera
allusiva e non esplicita, potrebbe richiamare la violenza del fatto di cronaca e il femminicidio a tutti
gli effetti. Quando nel v.22 dice che bussò cent’anni ancora alla sua porta, può essere interpretato
come segno di disperazione di chi sa di averla fatta grossa. Non è del tutto convincente l’idea
dell’omicidio perché non notiamo un movente per cui questo re senza corona si debba disfare di
Marinella così frettolosamente. Un testo come questo, apparentemente semplice e lineare, ha un suo
spessore di significati che non si possono ricondurre ad un’unica lettura, com’è tipico dei testi
poetici, che sono polisemici ossia che si aprono ad una molteplicità di significati.
Che valore ha invece la duplicazione che chiude la canzone? Perché si ripete due volte l’ultima
frase? Se la cosa bella dura un attimo, la duplicazione dell’attimo è un artificio illusorio attraverso il
quale l’arte cerca di espandere la durata di quell’attimo, di quella bolla di bellezza che è
costantemente minacciata dall’incalzare della realtà. Vediamo dunque che nonostante sia un testo
molto semplice, ci dà la possibilità di porre moltissime domande, ha moltissimi strati e man mano che
noi scaviamo, saltano fuori una serie di informazioni che continuano a stupirci a distanza di più di
cinquant’anni.

Via del campo, 1967


Via del Campo, c'è una graziosa
Gli occhi grandi color di foglia E ti sembra di andar lontano
Tutta notte sta sulla soglia Lei ti guarda con un sorriso
Vende a tutti la stessa rosa Non credevi che il paradiso
Fosse solo lì al primo piano
Via del Campo, c'è una bambina
Con le labbra color rugiada Via del Campo, ci va un illuso
Gli occhi grigi come la strada A pregarla di maritare
Nascon fiori dove cammina A vederla salir le scale
Fino a quando il balcone è chiuso
Via del Campo, c'è una puttana
Gli occhi grandi color di foglia Ama e ridi se amor risponde
Se di amarla ti vien la voglia Piangi forte se non ti sente
Basta prenderla per la mano Dai diamanti non nasce niente
Dal letame nascono i fior
Dai diamanti non nasce niente
Dal letame nascono i fior

Ambientata in quella Genova vecchia, quella di caruggi. La prima domanda che ci potremmo porre è
quanti personaggi sono nella canzone? abbiamo uno o tre protagonisti? Facciamo riferimento alle prime
tre strofe dove vengono citate una graziosa, una bambina e una puttana, e dove ritroviamo l’anafora
“via del campo”,
il quale era un quartiere che pulsava di vita. La canzone in un certo senso riprende anche un
elemento dell’autobiografia di De André, in quanto la prostituta rappresenta, in quei tempi, uno dei
primi approcci alla sessualità e alla formazione sessuale per i giovani ragazzi. Tornando alla questione,
possiamo affermare che la stessa ragazza è sia graziosa, che bambina, che puttana.
Per quanto riguarda la questione del colore degli occhi, c’è un elemento che ricollega la prima alla
terza strofa, per cui verrebbe da dire che si tratta della stessa persona (occhi grandi, color di foglia);
nella seconda, pare che cambi la protagonista perché si parla di una ragazza con gli occhi grigi. In realtà
gli occhi sono grigi, perché stanno ad osservare il palcoscenico su cui la prostituta si muove, ossia la
strada, ovviamente è un grigio metaforico che fa riferimento anche alla tristezza di un’esperienza simile.
In realtà il fatto che gli occhi cambino colore, non determina che sia entrato in scena un personaggio
diverso da quello della prima strofa, in realtà è un mutamento di colore che dipende dallo stato
d’animo, da ciò che gli occhi riflettono. Molto probabilmente appunto la protagonista rimane la
stessa, sia bambina, poiché molto giovane, sia prostituta.
Le prime due strofe sono scritte ancora alla maniera di Marinella, dunque con un linguaggio etereo,
molto nobile, in quanto il fatto che si alluda alla sfera erotica utilizzando il termine rosa,
contraddistingue il poeta di una certa eleganza. Questo clima viene squarciato bruscamente, nella terza
strofa, dall’irrompere del termine puttana. Qua c’è il velo della metafora, che viene infranto
riportandoci alla dura realtà dei fatti.
Nella seconda parte, salta fuori la figura dell’illuso, dell’innamorato, convinto di aver trovato in Bocca
di Rosa una sorta di paradiso della carne, ma alla fine si innamora veramente. A un certo punto la
prega di sposarlo, Bocca di Rosa rifiuta, ciò ci riporta un po' al discorso secondo cui è difficile che
una prostituta si innamori. L’idea che la prostituta possa farsi una vita normale, come una donna
con condizioni simili a qualsiasi altra, sembra un’opzione scartata da lei, che si chiude una porta alle
spalle, e con questo gesto si chiude anche una prospettiva di vita normale.

Dopodiché arriviamo alla strofa finale, dove ci sono i versi forse più noti di tutto il canzoniere
deandreiano. I primi dicono “ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente” cioè cerca di
vivere una vita che batta all’unisono con le occasioni che la vita stessa ti propone. Poi abbiamo il suggello
finale dei versi, per cui si aveva definito De André una sorta di filosofo popolare, “dai diamanti non nasce
niente, dal letame nascono i fiori”, il significato più semplice è che il letame, è concime per far nascere
qualcosa di bello, come il fiore, mentre invece il diamante, che materialmente ha valore economico, è
quello e basta, non cresce niente da lui. Tutto ciò l’ha portato alla vicenda di Marinella, il letame della
società è ciò che produce qualcosa di positivo, l’aristocrazia della società, è qualcosa di sterile.

Ma è un concetto che si è inventato Faber o la grandezza di De André consiste nell’aver suggellato in


soli due versi quella che è una lunga tradizione filosofica? La seconda indubbiamente, ma di che tradizione si
parla? Dei miti della creazione, sia quelli greci che quelli biblici, perché sia la genesi che il mito di Prometeo,
ci raccontano che l’uomo è stato creato a partire dalla terra e dal fango, dunque da ciò che è più vile e
umile, il che serve ad esaltare ciò che è umile, ma al contempo mettere in guardia l’uomo: tu sei terra e
terra tornerai. Dunque, parliamo di miti cosmogonici e antrogonici, relativi alla creazione dell’uomo. Ne
possiamo citare molti altri, come quello di Re Mida, il quale acquisisce il dono straordinario secondo cui tutto
ciò che tocca si trasforma in oro, per poi scoprire che in realtà è una maledizione poiché anche il cibo che
tocca si trasforma in oro, di conseguenza gli viene negata la possibilità di vivere. È interessante perché in
Ovidio, nella Metamorfosi, troviamo Re Mida rappresentato nel gesto di maledire la ricchezza e benedire
i campi coltivati, il che è già qualcosa che ci riconduce al senso dei versi di Faber.
Il punto di partenza vero e proprio dei suoi versi, sono due testi che possiamo porre all’origine
dell’utopia moderna e all’origine della scienza moderna, in maniera del tutto inaspettata, in un caso si
tratta di Thomas More con “Utopia”, della quale abbiamo parlato a lungo nella prima lezione, la
descrizione di una società felice in cui si sono risolti i conflitti, in cui c’è la condivisione dei beni in una
società ideale così, che funzione avranno oro, argento e diamanti? Gli abitanti di utopia bevono da casse
pregiate realizzate con la terracotta, con l’oro si realizzano i vasi per metterci la spazzatura, e gli urinali,
dove si fanno i propri bisogni, sono fatte d’oro anche le
catene con cui si tengono avvinti i prigionieri. Mentre coi diamanti ci giocano i bambini, una volta
cresciuti, li buttano via come cose di poco conto. Per gli abitanti della cittadina, l’oro, l’argento e i
diamanti valgono anche meno del ferro, in quanto quest’ultimo serve per realizzare strumenti utili per
lavorare, con questi elementi pregiati invece no. La chiusa del ragionamento è questo: l’esaltazione del
progetto di madre natura, la quale è così saggia da averci fatto trovare in grande quantità ciò di cui
abbiamo bisogno, e ha nascosto sottoterra, ciò di cui non abbiamo nessun bisogno.
Oltre Utopia, è necessario associare a De André un altro testo, su cui si fonda la scienza moderna: Dialogo
sui due massimi sistemi di Galileo Galilei. Siamo in particolar modo nella prima giornata di quel dialogo,
nel quale Galilei va molto oltre all’adesione del Copernicanesimo, ossia proporre l’immagine di un universo in
cui il sole sta al centro al posto della terra. Va oltre Copernico in quanto sfascia il meccanismo delle
sfere concentriche entro le quali era rinchiuso non solo l’universo aristotelico tolemaico, ma anche
quello copernicano. Dunque, ci propone un universo senza limiti, rivoluzionario. Fa anche altro: nel
pensiero degli aristotelici, dei peripatetici, l’universo era organizzato in maniera gerarchica, in cima c’era la
purezza dei cieli cristallini, in basso la terra, soggetta al divenire e corruttibile, che era considerata una
sostanza inferiore rispetto alla purezza dei cieli.
Contro la gerarchizzazione dell’universo combattono i due esponenti del pensiero galileiano: Salviati e
Sagredo. In particolar modo quest’ultimo è più acceso, più polemico in quanto fa notare a Simplicio, il
peripatetico, che proprio il fatto che la Terra sia corruttibile, che rende possibile il generarsi della vita, che se
non fosse soggetta al divenire, e se avesse la perfezione del cristallo, non potrebbe ospitare la vita. Galileo
autore scrive una pagina in cui fa dire a Sagredo una serie di cose assai interessanti.
L’origine del pensiero deandreiano nasce dall’incontro fra utopia e scienza rivoluzionaria, agli albori della
scienza moderna. Il ragionamento che fa Sagredo in buona parte riprende quello visto in Utopia,
compreso il fatto che a rendere prezioso l’oro era la difficoltà di poterlo reperire. Fatto sta che De André, si
riallaccia a questa tradizione utopica e rivoluzionaria, dunque quei versi non sono straordinariamente belli
perché ci portano a un contenuto originale, ma perché in maniera levigata, sintetica e immediata,
racchiudono in così poco spazio tutta una tradizione di pensiero.

Il Pescatore, 1970, struttura circolare, tipica di De André


All'ombra dell'ultimo sole Davanti agli occhi ancora il sole
S'era assopito un pescatore Dietro alle spalle un pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso Dietro alle spalle un pescatore
E la memoria è già dolore
Venne alla spiaggia un assassino È già il rimpianto d'un aprile
Due occhi grandi da bambino Giocato all'ombra di un cortile
Due occhi enormi di paura
Eran gli specchi di un'avventura Vennero in sella due gendarmi
Vennero in sella con le armi
E chiese al vecchio dammi il pane Chiesero al vecchio se lì vicino
Ho poco tempo e troppa fame Fosse passato un assassino
E chiese al vecchio dammi il vino
Ho sete e sono un assassino Ma all'ombra dell'ultimo sole
S'era assopito il pescatore
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno E aveva un solco lungo il viso
Non si guardò neppure intorno Come una specie di sorriso
Ma versò il vino e spezzò il pane E aveva un solco lungo il viso
Per chi diceva ho sete e ho fame Come una specie di sorriso
E fu il calore di un momento
Poi via di nuovo verso il vento

Lettura evangelica, dice che dà da mangiare agli affamati spezza il pane, senza giudicare. È un
racconto costruito con una serie di tagli di informazioni, che sarebbero in realtà essenziali, non
sappiamo se l’assassino sia realmente tale, o se sia stato giudicato da un tribunale di uomini così
senza in realtà aver commesso il fatto, non sappiamo nulla, semplicemente che ha questa etichetta che
lui stesso si attribuisce,
come per incutere timore in chi lo sta ospitando, per farsi obbedire. Probabilmente è lui stesso
spaventato, in quanto ha “due occhi grandi da bambino, due occhi enormi di paura” esattamente come
era connotata la bambina in Via del Campo (occhi grandi color foglia, che incutono tenerezza),
richiamano la debolezza e soprattutto l’innocenza dell’infanzia.

Per quanto concerne l’atteggiamento del pescatore, notiamo che, come detto prima non giudica: uno
dei principi compositivi di Faber è che la proiezione dell’autore, ossia la voce narrante non giudica mai,
affida al lettore il compito di giudicare. Semplicemente l’autore pone una questione problematica, rispetto
la quale chiede l’intervento del lettore. Il pescatore è la proiezione perfetta dell’autore: soccorre ma
non giudica.
Nel 1970 avremo l’album della “buona novella”, dove riscrive la storia di Cristo, spiazzando i suoi
stessi amici/fan, che non capivano le ragioni per cui Faber se ne esce con una questione del tutto
anacronistica, in realtà il significato va inteso in senso allegorico. Cristo era una delle più grandi
figure rivoluzionarie della storia, in quanto uomo, a partire dal fatto che veniva negata la sua natura
divina, moriva in croce trasmettendo un insegnamento rivoluzionario. Se riconduciamo Cristo alla sua
natura umana senza dargli la “scappatoia” di risorgere, dunque se contempliamo tutto ciò che ha
fatto nell’ottica del percorso di vita di un uomo che ha un inizio e una fine, ci renderemo conto che
la sua opera, è stata veicolo di un messaggio rivoluzionario: amare comunque e in ogni caso, amare
a prescindere. Ciò ci aiuta a capire il personaggio del pescatore, perché non giudica e spezza il pane
(come Cristo nell’ultima cena) e dà da mangiare agli affamati.
Di questa canzone esiste una seconda interpretazione secondo la quale, l’assassino uccide il
pescatore. Come si può dedurre dall’immagine finale (ultimi versi), non risponde ai gendarmi che
inseguono l’assassino perché in realtà è morto. Nell’ultima cena c’è anche Giuda il traditore, che
proprio lì manifesta la sua intenzione di tradire, in un certo senso, dunque, questa seconda
interpretazione potrebbe starci. Però anche dal fatto che in nessuna parte del testo viene detto se
l’assassino sia un serial killer, non fa capire perché dovrebbe necessariamente aver ucciso anche
il pescatore, d’altra parte il movente ci starebbe perché ucciderebbe uno scomodo testimone, non
può avere la certezza che quando arrivano i gendarmi che lo inseguono, il pescatore stia silenzioso e
non sveli la strada presa dall’assassino. Che elementi troviamo a sostegno dell’una o dell’altra tesi?
Non si capisce a che cosa faccia riferimenti il fatto di sangue, per cui lui si è giocato la primavera,
nuovamente torna la contraddizione fra aprile, che dovrebbe essere associato ad una serie di
principi positivi ed è invece associata ad un momento drammatico nella vita del protagonista. <- in
questo caso sono evidentemente due: il pescatore e l’assassino.

Ci sono tre possibilità, per cui il pescatore si appisola o fa finta di addormentarsi perché non ha
alcuna intenzione di aiutare il gendarme; seconda idea non dice niente perché è morto, e qui anche
l’idea del tramonto potrebbe essere associata al tramonto della vita; terza opzione, non è risolvibile la
questione, in quanto anche questo testo che apparentemente sembra una canzonetta, è invece con
uno spessore letterario e non è risolvibile con una sola interpretazione. La seconda rende la lettura
suggestiva ma tradisce un po' lo spirito deandreiano.
Letteratura italiana del 22 – 03 – 21

Brunetto non è solo maestro di Dante nell’arte della politica, può essere considerato maestro di
Dante anche per ciò che concerne la creazione di un genere letterario, che avrà tanta fortuna da
essere uno dei generi letterari utilizzati nella stesura della commedia: il genere del viaggio
allegorico didattico, che fu inaugurato a Firenze, (nella letteratura francese era un genere piuttosto
frequentato), proprio dalla generazione precedente a Dante, due sono le opere che rappresentano
questo genere, una è in prosa, ed è il libro dei vizi e delle virtù di Giamboni; e una in poesia, ossia il
Tesoretto di Brunetto Latini. Cosa è un viaggio allegorico didattico? è un impianto doppio con un
racconto di viaggio, nella divina commedia Dante compie un viaggio nei tre regni oltre mortali, parte
dall’Inferno, percorre il Purgatorio, e continua il suo viaggio nel paradiso. Per la prima volta nella
storia della letteratura il personaggio ha lo stesso nome dell’autore dell’opera.
Dove sta l'allegoria? Nelle guide che costituiscono un'istruzione di ordine teorico del significato
complessivo del viaggio che egli compie, vi è sempre un magister, in questo consiste l’impianto didattico.
Quest’ultimo consiste anche nella presenza lungo il viaggio di immagini e costruzioni allegoriche
che il pellegrino osserva e dalle quali impara, traendone insegnamenti. Nel libro dei “Vizi e delle
virtù” il pellegrino viaggia guidato dalla filosofia e di tanto in tanto si ferma ad osservare una lotta fra
i vizi e le virtù (ciò è l’impianto allegorico). Brunetto, quindi, sarà maestro di Dante anche in questo: per
la retorica, per la politica, per la poesia, in un certo senso, siccome Dante in quel versante mostra di
non avere molta considerazione.
Mentre lo ammira per altri fattori come la forza morale, per la capacità politica, perché Brunetto
anche prima di lui visse l'esilio fuori dalla sua città, esattamente come accadde a Dante. Per tante cose
lo ammira, per altre no e lo sappiamo dalle opere che precedono la commedia, per esempio il De
Vulgari Eloquentia, dove Dante esamina la lingua e la letteratura per trovarne una che sia
qualitativamente alta e importante. C'è un passaggio nel capitolo 13, nel quale fa un passaggio
verso l’uso della lingua da parte dei toscani e verso la convinzione riguardo i loro usi linguistici,
tutt’altro che curiali secondo Dante.
“Dopo di che, veniamo ai Toscani i quali, rimbambiti per la loro follia, hanno l'aria di rivendicare a
sé l'onore del volgare illustre.”
A chiarire che non si tratta del toscano parlato, lui non si immagina il toscano che tutti parlano a
Firenze, ma il toscano portato ad un grado di raffinamento, illustre a livello qualitativo. Dice
appunto che i Toscani rivendicherebbero a sé l’onore del volgare illustre, in questo non è solo la plebe
a rivendicare il volgare, ma anche tanti personaggi famosi, ad esempio, Guitone d’Arezzo, il quale in
tutta la sua produzione prima e dopo la conversione da frate, con la sua poesia ad alta intensità morale,
“ad esempio Guittone Aretino, che non puntò mai al volgare curiale”, ossia ad utilizzare una lingua tale
da poter essere spesa in un’ampia curia (gruppo di persone). “Bonagiunta Orbiciani, Gallo Pisano, e
Brunetto Fiorentino, le poesie dei quali ad aver tempo e voglia di scrutarle attentamente, si
riveleranno non di livello curiale, ma soltanto municipale.” Dante ritiene di essere protagonista del
tentativo di creare una lingua che riguarda non solo la Toscana, ma tutta l'Italia. I personaggi nominati
dal punto di vista di Dante, usano una lingua che funziona solo in quel territorio, quindi sarebbe
municipale. Questo è il passaggio nel quale noi scopriamo che opinione aveva Dante della letteratura
di Brunetto, a un certo punto del canto dedicato a lui dice “se non fossi morto troppo presto, ti avrei
aiutato nella tua opera” (Brunetto è morto nel ’94, Dante nel ’95 assume incarichi rilevanti nel
comune di Firenze) intende che avrebbe voluto aiutarlo nell'opera politica. Un altro passaggio nel
convivio undicesimo capitolo primo libro, dante parla di cosa pensa di coloro che usano il volgare
straniero. C’è un altro passaggio nel quale non viene menzionato Brunetto, bensì una
consuetudine che infastidiva molto Dante, che troviamo nel Convivio, opera di Dante scritta in
volgare, nel primo libro, cap.11. Qui Dante dice cosa pensa di tutti coloro che usano un volgare
straniero “A perpetuale infamia e depressione de li malvagi uomini d’Italia che commendano
(raccomandano) lo volgare altrui e lo loro proprio dispregiano, dico che la loro mossa viene da cinque
abominevoli cagioni. “a tutti quelli che stimano il volgare degli altri e disprezzano il proprio volgare,
dico che la loro mossa viene da cinque principali
ragioni...”. Disprezza tutti quelli che in possesso di un volgare italiano, (con un concetto di Italia che non
è quello odierno) di alta qualità, disprezzano il proprio e ne raccomandano un altro. Detto ciò,
Dante non poteva avere grande considerazione di un'opera scritta in francese antico (di Brunetto). Ciò
rafforza l'idea che per aiutarlo Brunetto non intendesse l'opera letteraria.

CANTO XV
superata la selva dei suicidi, i due poeti stanno percorrendo un argine del fiume infuocato
Flegetonte.

Ora cen porta l'un de' duri margini;


e 'l fummo del ruscel di sopra aduggia,
sì che dal foco salva l'acqua e li argini. 3

Quali Fiamminghi tra Guizzante e


Bruggia, temendo 'l fiotto che 'nver' lor
s'avventa, fanno lo schermo perché 'l mar
si fuggia;

Operazione interessante che fa Dante, con molti personaggi che conosce bene, c’è un
riferimento interessante ad alcuni versi del Tesoretto, infatti dante imita lo stile dei personaggi che
sta ritraendo per renderli più verosimili, ma anche per mostrare quanto le apprezzasse anche per
onorare personaggi come Brunetto. Infatti, nel Tesoretto Brunetto parla del flusso delle onde oceaniche,
e pure Dante sta cercando di mostrarci quanto l’argine che stanno percorrendo sia imponente e
resistente, prende ad esempio le Fiandre, in particolare due argini di due città che hanno costruito
due argini per impedire all’acqua di arrivare: una è la città di Wissà e l’altra è la città di Bruges, che
Dante italianizza, cosa diffusa e che resiste in Italia fino all’Novecento. Shakespeare infatti veniva
chiamato Guglielmo. Wissà diventa guizzante, perché i termini di origine germanica che iniziano con
la W, in italiano, infatti le doppie lettere in germanico
diventano gu. “Waste” in inglese diventa vaste. Nell'italianizzazione questi termini fiamminghi, sono
evocativi dell'ambiente, del poeta e della sua guida. Per esempio, “Guizzante” ci fa pensare alle gocce
emanate dal flusso del fiume, e “Bruggia” a ciò che brucia, all’ardore di questo fiume infuocato.
L’italianizzazione doveva avere carattere evocativo dal punto di vista dei lettori. Per mostrare la
consistenza di questi argini, ricorre all'esperienza fiamminga di costruire argini per impedire
l'entrata dell'acqua.
Termine di paragone nordico, adesso ne vedremo uno più consueto per le genti della penisola
italiana.

Verrà evocata un'altra zona di confine. Così come hanno costruito i guizzanti e i bruges per evitare che i
flussi si scagliassero contro di loro, fanno lo schermo (riparano).

e quali Padoan lungo la e come i padovani lungo il fiume Brenta


Brenta, per difender lor ville e (costruiscono ripari simili), per difendere le loro
lor castelli, città e i loro borghi fortificati, prima che la
anzi che Carentana il caldo senta 9 Carinzia senta il caldo primaverile

Prima che le nevi si sciolgano e inondino il Brenta dilaghino nelle ville e i castelli, il fiume passa fra
Padova e Venezia e anche lì vennero costruiti degli argini alti, per evitare che le acque
distruggessero la città. Il paragone si conclude in questi versi.

a tale imagine eran fatti qual che si fosse, lo maestro félli. 12


quelli, tutto che né sì alti né
sì grossi,
A somiglianza di quelle dighe erano artefice, chiunque fosse virgola non li abbia
costruiti questi argini, benché il loro fatti né così alti né così grandi.

Ed erano fatti così grossi e così alti, chiunque sia il maestro che ha costruiti questi argini (in questo caso
ci immaginiamo un maestro infernale ad aver costruito gli argini, in quanto siamo nell’inferno).
Già eravam da la selva rimossi Ormai ci eravamo tanto allontanati dalla
tanto, ch'i' non avrei visto dov'era, selva che io non avrei potuto vedere dove
perch'io in dietro rivolto mi fossi, 15 fosse, per quanto mi fossi voltato indietro,
quando incontrammo d'anime una quando incontrammo un gruppo di anime
schiera che venian lungo l'argine, e che procedevano lungo l'argine, e ciascuna di
ciascuna loro ci guardava fissamente come di sera una
ci riguardava come suol da sera persona
guardare uno altro sotto nuova luna; è solita guardare un'altra nel buio del
novilunio;
Venian – ad sentiam, costruzione a senso, verbo usato al plurale. “Ci eravamo già allontanati dalla selva
dei suicidi tanto che io non avrei visto dov'era, quando incontrammo una schiera di anime che
veniva lungo l'argine, e ciascuna ci riguardava (esempio: strada con poca luce). La condizione di
poca luce è una condizione generale dell’inferno.

E sì ver’ noi aguzzavan le ciglia 20


E aguzza vano lo sguardo verso di noi come
come ‘l vecchio sartor fa ne la cruna
fa il vecchio sarto (quando guarda) verso la
cruna dell’ago.

Come il vecchio sarto fatica a vedere come infilare l'ago e deve strizzare gli occhi. Prima c’è una
condizione generale di poca luce, ci si vede poco quando c’è la nuova luna, quando c’è solo uno
spicchio di luna illuminata; adesso c’è un dettaglio, gli individui delle schiere guardavano verso di noi,
come fa un vecchio sarto, strizzando gli occhi per vedere bene cosa sta facendo. Questi individui,
che facevano parte delle schiere, guardavano i due personaggi (Dante e Virgilio) strizzando gli occhi,
facendo fatica per riconoscerli. Questa premessa e questi due paragoni servono a rendere emozionante
l'incontro tra due persone che si erano amate o volute bene e non si vedevano da un tempo.

Così adocchiato da cotal


Mentre ero così intensamente scrutato da questo
famiglia, fui conosciuto da un,
gruppo di dannati, fui riconosciuto da uno, che mi
che mi prese
prese per il lembo della veste e gridò “Quale
per lo lembo e gridò: “Qual
maraviglia!”. sorpresa!”

Dante e Virgilio che erano sopra questi due argini di cui abbiamo parlato, e le schiere delle anime
erano sotto di loro, l’unico modo che ha Brunetto per farsi notare, è prendere un lembo, è meravigliato
anche dal vedere un vivo aggirarsi da quelle parti. Che meraviglia significa “Che bello incontrarti”,
ma non solo, Brunetto è anche meravigliato dal fatto che Dante, essendo ancora vivo, sia lì
all’inferno.

E io, quando 'l suo braccio a me distese,


E io, quando tese il suo braccio verso di me,
25
fissai il mio sguardo sul suo volto bruciato,
ficcaï li occhi per lo cotto aspetto,
cosicché il viso sfigurato dal fuoco non
sì che 'l viso abbrusciato non
impedì
difese la conoscenza süa al mio
alla mia mente di riconoscerlo;
'ntelletto;
“E quando lo vidi ficcai gli occhi per l'aspetto cotto (in quanto i dannati erano bruciati) senza che il
viso cotto difendesse la sua conoscenza dal mio intelletto” ( nonostante il viso sia cotto, si
riconoscono). Questi dannati, che sono stati violenti contro la natura, corrono su una distesa
ardente, il fatto che corrano rende la loro pena inferiore rispetto a quei dannati che invece sono
seduti o sdraiati sul rovente.

e chinando la mano a la sua faccia,


E abbassando la mia mano verso la sua
rispuosi: “Siete voi qui, ser
Brunetto?”. faccia, risposi “Siete proprio voi qui ser
Brunetto?”

Può significare che lo stesse indicando, oppure l’istintivo gesto affettuoso secondo cui Dante avrebbe
voluto accarezzare Brunetto, cosa piuttosto difficile per le circostanze. I due paragoni servono a
spiegare meglio la scena del riconoscimento. Inoltre, non di rado avviene che Brunetto Latini, nelle
opere quando
parla di sé, utilizza l’appellativo di “ser”, oppure parla di sé in terza persona, infatti Dante qui lo
chiama ser in segno di reverenza, per il ruolo che ha avuto nella sua città e che ha avuto
soprattutto per Dante stesso. Una regola importante è che si deve far attenzione al significato
letterale.

E quelli: “O figliuol mio, non ti


dispiaccia Ed egli rispose: “Oh figliolo mio virgola
se Brunetto Latino un poco teco non ti dispiaccia se Brunetto Latini
ritorna 'n dietro e lascia andar la ritorna un po' indietro con te e
traccia” abbandona la sua schiera”

O mio figliuolo (atteggiamento paterno) non ti dispiaccia (formulazione garbata che denuncia il disagio
di Brunetto, per essere stato incontrato in questa parte dell'inferno in cui sono puniti i sodomiti).
Dante vuole fare due cose: intanto riconoscere la grandezza del suo predecessore e onorarlo,
ricordarlo come non solo un suo maestro, ma insegnate e grande esponente della cultura fiorentina
dell’epoca; ma non vuole nascondere la giustizia divina che colloca ciascuno nel suo posto,
dunque non nasconde la colpa che avrebbe caratterizzato l’esistenza di Brunetto. Non abbiamo altre
testimonianze sul peccato di sodomia di Brunetto, se non quello di Villani che lo definisce
“mondano uomo” e Brunetto che si autodefinisce ironicamente “noi siamo considerati un poco
mondanetti”, mondano non significa necessariamente sodomita. Dante fa una doppia operazione
in quanto non nasconde la sua gratitudine nei confronti del grande magister, non vuole evitare di
celebrarlo, tuttavia lo colloca ,per un senso di giustizia, nel posto che si è meritato per aver
commesso quella colpa, anche perché Brunetto è un modello di fermezza morale.
E quelli: “O figliuol mio, non ti dispiaccia
Ed egli rispose: “O figliolo mio, non ti dispiaccia
se Brunetto Latino un poco teco
se Brunetto Latini ritorna un po' indietro con
ritorna 'n dietro e lascia andar la traccia”.
33 te e abbandona la sua schiera”.

I' dissi lui: “Quanto posso, ven


Io gli dissi: “Anzi, per quanto mi è possibile,
preco; e se volete che con voi
io stesso ve ne prego; e se volete che io
m'asseggia, faròl, se piace a
faccia una sosta con voi, lo farò purché sia
costui che vo seco”.
gradito a costui (Virgilio) con il quale sto
andando”.

Asseggia vuol dire o sedersi oppure trattenersi (Brunetto non poteva sedersi e dunque fermarsi altrimenti
sarebbe rimasto in quella posizione per i prossimi cento anni a bruciarsi continuamente).

“O figliuol”, disse, “qual di questa “O figliolo”, egli disse, “chiunque di questo


greggia s'arresta punto, giace poi gruppo si ferma anche per un solo istante,
cent'anni sanz'arrostarsi quando 'l deve poi giacere a terra per cento anni
foco il feggia. senza potersi difendere con le mani quando il
fuoco lo colpisce.

Però va oltre: i' ti verrò a' Perciò prosegui: io ti camminerò accanto e


panni; e poi rigiugnerò la mia poi raggiungerò di nuovo la mia schiera,
masnada, che va piangendo le sue pene eterne.”
che va piangendo i suoi etterni
danni”

Venire ai panni vuol dire seguire, per cui dobbiamo immaginarci una situazione per cui qualcuno sta
avanti e qualcuno segue. Masnada= gruppo, è un francesismo.

Io non osava scender de la reverente vada.


strada per andar par di lui; ma 'l
capo chino tenea com'uom che
Io non osavo scendere dall’argine livello; ma tenevo il capo chino come uno che
per camminare al suo stesso cammini con atteggiamento di rispetto.

Siccome non potevo scendere e mi trovavo sopra, avevo il capo chino rivolto verso il basso, stessa
azione che si porta vanti quando si deve mostrare reverenza a qualcuno.

El cominciò: “Qual fortuna o destino Egli cominciò a dire: “quale caso o decreto
anzi l'ultimo dì qua giù ti mena? divino ti conduce quaggiù prima della morte?
e chi è questi che mostra 'l E chi è costui che ti indica la strada?”
cammino?”.
Finalmente si pongono le questioni, chiedendosi quale progetto divino o opera del caso, prima
dell'ultimo giorno di vita ti ha portato nell'inferno, e chi è colui che ti guida? Noi ci aspetteremmo
che Dante indugiasse sulla grandezza di Virgilio e sulle ragioni per cui lui è la sua guida in questa
parte del percorso oltremontano di Dante.

“Là sù di sopra, in la vita serena”,


Io gli risposi: “lassù nel mondo, nella vita
rispuos'io lui, “mi smarri' in una
serena, mi smarrii e in una valle prima che la
valle, avanti che l'età mia fosse
mia vita fosse giunta al culmine.
piena.

Lassù nella vita terrena (terrena rispetto al mondo in cui adesso viaggia l’autore) mi persi in una
valle (durante il periodo in cui viaggia, ossia l’equinozio primaverile del 1300, Dante non aveva ancora
compiuto 35 anni) prima che la mia età fosse piena (non ha ancora l’età piena, non ha ancora fatto
35 anni).

Pur ier mattina le volsi le spalle: Solo ieri mattina le volsi le spalle: costui
questi m'apparve, tornand'ïo in (Virgilio) mi apparve, mentre io stavo
quella, ricadendo in quella valle, e mi riconduce a
e reducemi a ca per questo calle”. casa, sulla via del bene, attraverso questa
strada.”

Qua Dante riprende molto brevemente la sua esperienza nella selva oscura, per raccontarlo a Brunetto,
quando stava per ricascarci dentro, dinnanzi alle tre fiere, è Virgilio che interviene ad impedire che egli
ricada. Virgilio venne infatti presentato così, con il compito di riportarlo a casa dopo il suo percorso.

Ed elli a me: “Se tu segui tua


stella, Ed egli mi disse: “se tu segui le tue
non puoi fallire a glorïoso predisposizioni naturali virgola non puoi
porto, se ben m'accorsi ne la mancare di giungere a una meta gloriosa, se
ho ben giudicato di te nella vita terrena;
vita bella;

Alcuni collegano il fattore della stella, alla costellazione dei gemelli sotto la quale è nato Dante, in
realtà vale un senso metaforico, si rivolge ai talenti: se segui i tuoi talenti non puoi fallire, avrai
sicuramente un glorioso destino, così come mi accorsi in vita, quando ti seguivo., mi ero
accorto del tuo talento.

e s'io non fossi sì per tempo


e se io non fossi morto così presto,
morto, veggendo il cielo a te così
vedendo il cielo tanto favorevole verso di
benigno, dato t'avrei a l'opera
te, ti avrei dato aiuto nella tua opera.
conforto.

Passaggio nominato prima: e se fossi morto dopo, ti avrei aiutato con la tua opera. Questa non è
solo una questione di cronologia, ma ci aiuta a capire in che cosa Dante ritenesse che Brunetto fosse
un maestro. In che cosa? Nella fermezza morale anche durante l’esilio, nella sua serietà politica,
nella sua attività di maestro di retorica e di costruzione di un trattato (Tesoretto, dedicato alla
politica) e nella sua opera da pedagogo, formatore delle nuove generazioni; più che per il suo uso di
volgare e di profezia, che si innesca in una catena di profezie, una parte delle quali è già avvenuta.

Ma quello ingrato popolo


Ma quell’ingrato e malvagio popolo (di
maligno che discese di Fiesole
Firenze) che discese da Fiesole nell'antichità, e
ab antico,*
mantiene ancora (nei suoi costumi) la rozzezza
e tiene ancor del monte e del macigno,
montanara e la durezza della pietra, ti
63 ti si farà, per tuo ben far, nimico; diventerà nemico proprio a causa della
rettitudine del tuo agire;
Attacco ai fiorentini, sempre in guerra fra di loro. Maestro di retorica, * si fa riferimento al mito della
fondazione di Firenze: sotto Cesare, Catilina avrebbe spinto i Fiesolani a rivoltarsi contro Roma, Cesare
sarebbe andato immediatamente con i suoi eserciti a radere al suolo Fiesole, e a fondare una nuova città
lì vicino, che è appunto Firenze, e popolarla dei migliori uomini di Roma, ma questi uomini
provenienti da Roma, avrebbero accolto alcuni esuli della città distrutta, i fiesolani. Proprio per la
presenza di questi,
Firenze sarebbe stata tormentata dal vizio, dalle continue guerre di fazione e di parte. Quel popolo che è
ancora grezzo, per via del bene che tenti di fare nella città, ti si farà nemico. L’argomento non è mai
letterario, ma sempre di ordine politico.

ed è ragion, ché tra li lazzi ed è giusto (che sia così), perché non è bene
sorbi per il dolce Fico produrre i suoi frutti tra gli
si disconvien fruttare al dolce aspri sorbi.
fico.

Tra i frutti acerbi (il sorbo è un frutto acerbo, infatti lazzi significa acerbi) è difficile che nasca un
frutto dolce come il fico. Non frutterebbe in mezzo ai rovi.

Vecchia fama nel mondo li chiama Un antico proverbio nel mondo li chiama ciechi;
orbi; gent' è avara, invidiosa e è gente avara invidiosa e superba: fai in
superba: modo di restare immune dai loro costumi.
dai lor costumi fa che tu ti forbi.

(i fiorentini erano detti orbi, nonostante ci siano diverse possibilità di interpretazione in questo
passaggio, possiamo affermare che si chiamano così poiché facili da ingannare), è gente avara,
invidiosa e superba, (fa parte di una catena di profezie, che arriverà sino a quella di Cacciaguida,
nel paradiso. In questo caso sta facendo un riferimento diretto alla profezia di Ciacco. Le tre faville
che hanno i cuori accesi: superbia, invidia e avarizia, i tre peccati capitali che caratterizzano il
popolo di Firenze. I fiorentini sono superbi (vizio che ti fa sentire superiore a tutti gli altri, la superbia
è la radice di ogni male) perché al tempo di Brunetto, la città conosce un'espansione economica e
prestigiosa enorme, arricchimento repentino che avrebbe causato negli animi dei fiorentini un senso
di superiorità. Invidiosi per le divisioni di parte, e avari perché accumulano ricchezze più degli altri.
Dai loro modi di fare, tieniti salvo.

La tua fortuna tanto onor ti serba, la tua sorte ti riserva, (per il futuro) tanto
che l'una parte e l'altra avranno onore che sia il partito dei Neri sia quello
fame di te; ma lungi fia dal becco dei Bianchi ti vorranno annientare; ma
l'erba. inutilmente, perché l'erba sarà lontana dal
caprone

Faccian le bestie fiesolane strame I bestiali abitanti di Firenze si distruggano


di lor medesme, e non tocchin la tra loro, e non tocchino quei cittadini
pianta, s'alcuna surge ancora in lor virtuosi, semmai qualcuno di loro nasce
letame, ancora nella loro corruzione,

Le bestie fiesolane sono il male penetrato a Firenze. E non tocchino la pianta buona (cittadini virtuosi),
se ne può ancora nascere qualcuna in tutto quel letame.

in cui riviva la sementa santa In cui rivive la sacra stirpe di quei romani
di que' Roman che vi rimaser che vi rimasero quando fu fondata la sede
quando fu fatto il nido di malizia di tanta malvagità”. (Firenze)
tanta”.

Ancora il mito della formazione: non tocchino la pianta nella quale possa rivivere il seme santo dei
romani santificati, che arrivarono a Firenze, quando fu costruita la nuova città, per ospitare gli
uomini buoni, diventata invece il nido di tanta malvagità. Dante rimane sconcertato della lode che ha
il suo maestro nei suoi confronti. È un canto che è stato definito “purgatoriale”, perché non c’è
accanimento verso la colpa di Brunetto, il dialogo fra i due risente di quel sentimento di gratitudine
che Dante ha per sé stesso e per la sua città. Anche Brunetto ricambia questo sentimento esprimendo
la massima lode nei confronti del suo discepolo ed immaginando per lui un futuro di grande successo
e fama, che potrebbe suscitare anche il desiderio di un suo ritorno in patria.
Se fosse tutto pieno il mio “Sei il mio desiderio fosse stato
dimando”, rispuos'io lui, “voi non interamente esaudito”, io gli risposi, “voi non
sareste ancora de l'umana natura sareste escluso dalla vita umana;
posto in bando;

se il mio desiderio fosse stato soddisfatto, voi non sareste ancora morto.

ché 'n la mente m'è fitta, e or Perché è dentista nella mia memoria, e ora
m'accora, la cara e buona imagine mi rattrista, la cara e buona immagine
paterna paterna di voi, quando nella vita terrena mi
di voi quando nel mondo ad ora ad ora insegnava te di tanto in tanto come l'uomo
84 m'insegnavate come l'uom possa acquistare l'immortalità della fama:

s'etterna:
Il mio desiderio sarebbe stato di vedervi ancora vivo, perché nella mente ho ancora viva l'immagine
cara e buona (e paterna di un amico, anagraficamente più anziano e così più esperto, appunto un
maestro), che ora mi spezza il cuore, di voi che di continuo mi insegnavate come l'uomo si eterna,
con le buone opere, con la buona azione non solo a beneficio di se stessi come individui, bensì a
beneficio di se stessi come una comunità che con noi migliora, ancora una volta con l’azione
pubblica, con il senso di bene che deve trasudare da ogni decisione politica, con la generosità.
Infatti, Dante farà questo canto per celebrare la grande figura di Latini, facendo riferimento al
trattato del Tesoretto, soprattutto con un importante passaggio sulle virtù.

Letteratura italiana del 23-03-21

e quant'io l'abbia in grado, mentr'io E quanto ciò mi sia gradito, finché io


vivo convien che ne la mia lingua si vivrò è giusto che si riconosca nelle mie
scerna. parole.

E voglio che sia chiaro quanto mi sia caro il vostro magistero ancora oggi.

Ciò che narrate di mio corso Ciò che voi dite sul corso della mia vita io
scrivo, e serbolo a chiosar con annoto (nella mia memoria), e lo conservo
altro testo perché mi sia spiegato insieme a un'altra
a donna che saprà, s'a lei arrivo. 90 predizione, da una donna (Beatrice) che ne
sarà capace se giungerò fino a lei.

Tanto vogl'io che vi sia Soltanto questo voglio che vi sia ben chiaro
manifesto, pur che mia coscïenza cioè che, purché la mia coscienza non mi
non mi garra, rimproveri, sono pronto ad affrontare la sorte
ch'a la Fortuna, come vuol, son qualunque sia la volontà.
presto.

Ciò che mi dite lo scrivo nel libro della mia memoria e lo conservo come grande magistero che mi
servirà nel mio percorso, son pronto a qualunque giro nella ruota della fortuna. Continua così il
discorso tra i due fino a quando Brunetto non avverte che arriva un'altra schiera, con la quale non si
può mescolare, dunque corre via, per raggiungere i suoi. Prima di ripartire, gli viene chiesto quali altre
persone compongono la sua schiera, Dante è curioso di sapere chi popola la schiera dei sodomiti.

Lo mio maestro allora in su la gota


Allora il mio maestro si girò indietro
destra si volse in dietro e
volgendo il viso verso destra e mi guardò
riguardommi;
poi disse: “è un buon ascoltatore chi annota
poi disse: “Bene ascolta chi la nota”. 99
nella mente ciò che ha udito.”

Né per tanto di men parlando vommi con ser Brunetto, e dimando chi sono li
suoi compagni più noti e più Nondimeno continuo ad andare mentre parlo
sommi. con ser Brunetto, e gli chiedo chi siano i suoi
compagni di pena più famosi e più
autorevoli.
Gli domanda chi sono i suoi compagni più noti e sommi, la risposta è anche una satira nei confronti della
Chiesa, ma anche nei confronti del mondo dei letterati.

Ed elli a me: “Saper d'alcuno è


Ed egli mi rispose: “è bene sapere il nome di
buono; de li altri fia laudabile
qualcuno; degli altri sarà meglio tacere, perché
tacerci,
il tempo sarebbe troppo breve per un così
ché 'l tempo saria corto a tanto
suono. lungo discorso.

E lui mi rispose: di alcuni è bene saperlo, di altri è meglio tacere, non abbiamo tempo di fare
l'elenco di tutti.

In somma sappi che tutti fur Sappi in breve che furono tutti ecclesiastici
cherci e litterati grandi e di gran e letterati grandi e di grande fama, ma in
fama, vita resi immondi dal medesimo peccato.
d'un peccato medesmo al mondo
lerci.

Ricordiamoci che Brunetto non si può trattenere in un posto a causa della regola del contrappasso,
quindi ha fretta. Insomma, sappi che tutti o furono uomini di chiesa, o appartenenti al mondo delle
lettere.
Quando si parla di letterati del tempo non parliamo solo di poeti, in generale di figure di intellettuali,
persone che trattavano poesia, trattatistica, persone di penna e dotte. Colpevoli del medesimo peccato.

Priscian sen va con quella turba


grama, e Francesco d'Accorso anche; e
vedervi, s'avessi avuto di tal tigna
brama,

Priscian era un grammatico, evidentissimo in tutta la storia della latinità, dal V sec. fino al tempo di
Brunetto, anche se la sua colpa non era nominata esplicitamente nel canto, né i personaggi evocati
sono noti per questo peccato. Si parla poi di un vescovo, servo dei servi, Francesco d’Accorso, che fu
mandato via da Firenze per le sue turpi colpe. Infine, Brunetto di allontana.

Facciamo ora un passo indietro per incontrare la figura di Pier delle Vigne, qualche canto indietro.
In due canti abbiamo una sorta di storia contemporanea della retorica di alto profilo, in quanto qui è
implicato Brunetto, altissimo esponente della burocrazia fiorentina, e lì due canti prima c’è il più
grande retore della storia contemporanea di Dante e di Brunetto. Pier delle vigne era noto non solo
per la bellezza delle sue epistole, ma anche perché occupava la massima posizione all’interno del
governo del mondo laico. Era accanto all’imperatore, ed era il più alto ministro di Federico II, ma
non solo. Fu anche incaricato come ambasciatore presso la Santa sede dell'imperatore: era colui che
mediava i rapporti fra i due grandi poteri universali, attraverso la diplomazia. Quel tipo di negoziazioni si
svolgevano attraverso colloqui, mediazioni e le scritture di epistole, infatti ancora oggi è noto come
uno dei più grandi maestri per il suo linguaggio e per il suo alto stile imperiale epistolare, talmente
alto da poter competere solamente con la cancelleria papale. Prima di Dante, è lo stesso Brunetto a
considerarlo un esempio, infatti nel primo capitolo della Retorica (opera di Brunetto), l'unico
personaggio contemporaneo è Pier delle vigne, mentre l'altro magister del primo capitolo è Cicerone,
da cui B. Latini prende le mosse per esporre ciò che Cicerone aveva detto nel De Inventione, per
riportare alcuni suoi brani. Brunetto, a petto in fuori, si confronta con il più grande retore e oratore
della latinità, attraverso il suo testo giovanile, testo che per gli uomini del Medioevo era centrale
anche per la didattica. Nel testo dice appunto che l’autore dell’opera è doppio: sia Cicerone che
Marco Tullio. Mettendosi alla pari con un certo orgoglio. Non abbiamo molte poesie di Pier delle
Vigne: due canzoni di livello alto (genere di poesia più alto sino all’epoca di Petrarca), e quel
sonetto di tenzone con Jacopo da Mostacci e Jacopo da Lentini, esponente della scuola siciliana,
in cui si discute della natura dell’amore. Ricordiamoci che Brunetto era il logoteta di Federico II, e
partecipava dell’attività politica resta un importante e interessante volume delle lettere politiche di Pier
delle vigne, probabilmente le conosceva anche Brunetto quando scrisse la Retorica del De
Inventione di Cicerone, probabilmente le conosceva, sennò non si spiega come mai sia stato citato
solo questo maestro fra i contemporanei della Rettorica (chi
sa parlare sa scrivere lettere, può reggere la politica di alti livelli e dunque lo stato, nel caso il
comune di Firenze.

CANTO XIII

Incipit ha funzione connettiva col testo precedente, poiché poco prima Nesso aveva accompagnato, su
ordine del suo capo, Dante e Virgilio sull'altra sponda del Flegetonte, dunque aveva fatto da
traghettatore.

Non era ancor di là Nesso arrivato, Nesso non era ancora giunto sull’opposta
quando noi ci mettemmo per un sponda (del Flegetonte), quando noi ci
bosco che da neun sentiero era addentrammo in un bosco che non era
segnato. attraversato da alcun sentiero.

Scenario particolare di questo settimo cerchio del secondo girone. Non era ancora arrivo nesso di là
che ci mettemmo per un bosco, senza sentieri. Qui sono puniti due tipi diversi di violenti: quelli
contro sé stessi (suicidi) e coloro che hanno violentemente alzato la mano contro i propri beni
(dilapidatori). Che differenza hanno questi ultimi con i prodighi, ossia con quelli che elargiscono
molto denaro? Il tratto distintivo è la violenza con cui lo si fa, un conto è spendere molto, più di
quello che si ha; un altro conto è distruggere ciò che si possiede, incendiando per il semplice gusto
(come vedremo in questo canto) di vedere un falò della propria casa. Il tratto distintivo è la violenza.
Questo scenario serve a combinare la punizione dei suicidi, i quali ovviamente hanno agito con
violenza contro un’unità (di corpo e anima), separando il corpo dall’anima, distruggendo dunque il
proprio corpo; questo fatto sul piano teologico, è una delle colpe meno accettabili (ci dobbiamo
aspettare un tono molto diverso per Pier delle Vigne, rispetto a quello purgatoriale che abbiamo visto
con Brunetto, anche perché questo che sta trattando Dante con il fine di risarcire la fama di Pier, di
perpetuare la fama di uomo onesto, il quale si era suicidato dopo essere stato accusato di
tradimento. Dante lo vuole comunque lodare. Non dimentichiamoci che Dante era guelfo come
Brunetto, e dunque i due avevano ammirazione particolare per la figura di Federico II, quindi per quel
mondo che aveva fatto iniziare la letteratura nella penisola, e che aveva originato poi ciò che i poeti
toscani metabolizzeranno.
Non fronda verde, ma di color
Non vi erano fronde verdi ma di colore scuro;
fosco; non rami schietti, ma nodosi
non rami diritti e lisci ma nodosi e contorti;
e 'nvolti; non pomi v'eran, ma
non vi erano frutti ma spine con veleno.
stecchi con tòsco.

Non vi era una fronda verde, ma di color scuro. Non rami dritti ma nodosi e involti, non crescevano
frutti ma spine avvelenate. Sembra l’immagine del ginepro, che non cresce in altezza ma si aggroviglia
con i suoi rami all’interno del cespuglio, non va bene però neanche questa immagine perché
questo è molto più spinoso, e con spine avvelenate. Tosco = veleno.

Non han sì aspri sterpi né sì folti Non hanno per dimora cespugli così intricati e
quelle fiere selvagge che 'n odio fitti quegli animali selvatici che evitano i
hanno tra Cecina e Corneto i luoghi luoghi coltivati tra Cecina e Corneto.
cólti.

Non hanno così aspri sterpi e così folti, quelle fiere selvagge che ricorrono tra Cecina e Corneto.
Dante ricorre sempre a supporto di un'immagine di luoghi concreti, di un mondo reale, anche per questo
bisogna fare attenzione al rapporto di primo grado che c’è fra immagini e parole (significato letterale).
Riferimento alla Maremma, che oggi però è bonificata e dunque non la vediamo con queste
caratteristiche, allora doveva apparire come un luogo molto selvatico.

Quivi le brutte Arpie lor nidi annunzio di futuro danno.


fanno, che cacciar de le
Strofade i Troiani con tristo
Là fanno i loro nidi le
ripugnanti Arpie, che
cacciarono i troiani dalle isole
Strofadi con una funesta
profezia di imminenti
sventure.
Qui inizia con una serie di riferimenti al terzo libro dell'Eneide, che serve a Dante per appoggiare la
sua narrazione ad un'altra molto nota. Le arpie sono animali mitologici, corpo rapaci e volto da
fanciulla, creature mitologiche vive nell’immaginario del Medioevo sino ad oggi, tant’è che molti
rilievi nelle chiese gotiche ritraggono queste figure. “Brutte” significa “sporche” perché le arpie nelle
isole Strofadi, quando vi si recano i Troiani, sporcano con le loro feci le mense del popolo, e li fanno
scappare. Fa riferimento ad un episodio dell'Eneide, che si ricollega a uno dei canti più importanti
della divina commedia: perché Dante incontra Virgilio? Anche perché è l’autore di quelle belle
pagine di cui Dante si servirà. Perché più avanti incontrerà Stazio? Perché è considerato il
continuatore, il ri-scrittore dell’Eneide, dunque un alter Virgilius. Virgilio è davvero importante anche per
la sua opera, oltre che come guida che rappresenta valori cristiani, teologici rilevanti. Infatti, la sua
opera la troveremo sempre nella Divina Commedia, è l’ipotesto (testo di riferimento forse più
importante). Qui le vecchie arpie fanno nidi, che cacciarono dalle isole Strofadi i troiani, anche con
la profezia di danni futuri per la popolazione.

Ali hanno late, e colli e visi umani,


Hanno larghe ali, colli e volti umani, zampe
piè con artigli, e pennuto 'l gran
con artigli e il grande ventre ricoperto di
ventre; fanno lamenti in su li alberi
penne; stando sugli alberi emettono lamenti
strani.
terrificanti.

La descrizione delle arpie assomiglia alla descrizione che ne fa Virgilio, e di più alle creature
mostruose mitologiche che compaiono sui rilievi delle chiese. Hanno ampie ali e colli e visi umani,
piedi con artigli, il ventre pennuto emettono lamento da alberi strani. Forse sono ancora più mostruose
per il contrasto fra la gradevolezza del viso e il disgusto del corpo da rapace.

E 'l buon maestro “Prima che più E il mio buon maestro (Virgilio) cominciò a
entre, sappi che se' nel secondo dirmi: “Prima che tu penetri ulteriormente
girone”, nella selva, sappi che sei nel secondo girone
mi cominciò a dire, “e sarai mentre e vi resterai fino a quando giungerai
che tu verrai ne l'orribil sabbione. nell’orribile e distesa di sabbia infuocata.

Virgilio poi, prende parola e aiuta a costruire il canto, e gli raccomanda di compiere un'azione senza la
quale non potrebbe incontrare i personaggi che vengono raccontati dopo. Ha anche una funzione
attiva estremamente importante. Gli annuncia quali sono le colpe che vengono punite in quella
zona, e gli preannuncia quello che accadrà nel girone seguente.

Però riguarda ben; sì vederai Perciò osserva attentamente; così vedrai cose
cose che torrien fede al mio tali che toglierebbero credibilità alle mie
sermone”. parole.”

Fai attenzione, vedrai cose talmente incredibili che non basterebbe la mia capacità di descrizione.

Io sentia d'ogne parte trarre Io sentivo da ogni parte emettere lamenti e


guai non vedevo alcuna persona che li facesse;
e non vedea persona che 'l per cui mi fermai tutto turbato.
facesse; per ch'io tutto smarrito
m'arrestai.

Si sente qualcosa e si vuole capire da dove proviene, per cui si mette in gioco il senso della vista.

Cred'ïo ch'ei credette ch'io Io credo che Virgilio credette che io credessi
credesse* che tante voci uscisser, tra che tanti lamenti provenissero, tra quei
quei bronchi, da gente che per noi si cespugli ramosi, da anime che erano
nascondesse. nascoste a noi.

*(poliptoto che ingarbuglia la narrazione, in quanto abbiamo la stessa radice, in questo cado credere, che
flessa in diversi modi e in diversi tempi). Io credo che Virgilio credesse che io credessi che quelle
voci uscissero da persone che si nascondevano da noi dietro i tronchi. Ci sta raccontando con questa
sintassi involuta, che anticipa anche una disposizione raffinata del discorso del grande retore che era
Pier delle Vigne, ma qui è Dante che parla e che usa lo stesso stile complicato. Ci sta anche
anticipando, oltre che
avere finalità mimetiche questa figura retorica, ha anche la finalità di anticipare i discorsi che fa Pier delle
Vigne, c’erano delle persone che si nascondevano dalla loro vista.

Però disse 'l maestro: “Se tu


Perciò il maestro disse: “Se tu spezzi
tronchi qualche fraschetta d'una
qualche ramoscello da una di queste piante, i
d'este piante, li pensier c'hai si faran
pensieri che hai ora si riveleranno tutti falsi.”
tutti monchi”.

Se tu tronchi qualche ramo, tutte le tue convinzioni cambieranno, succederà altro rispetto a ciò che ti
aspetti. Lo persuade a compiere un'azione dalla quale scaturisce la narrazione seguente.

Allor porsi la mano un poco Allora allungai la mano un po' in avanti e colsi
avante e colsi un ramicel da un un ramoscello da un grande cespuglio; e il suo
gran pruno; tronco gridò: “Perché mi spezzi?”.
e 'l tronco suo gridò: “Perché mi
schiante?”.

Porsi una mano avanti e il tronco gridò: perché mi spezzi? Anche questa raffigurazione proviene da
un racconto virgiliano, riferimento a Polidoro, principe che non fu sepolto, e che con le frecce che lo
avevano ucciso, si era trasformato in un cespuglio.

Da che fatto fu poi di sangue


Dopo che divenne scuro per il sangue,
bruno, ricominciò a dir: “Perché
ricominciò a dire: “Perché mi laceri? Non hai
mi scerpi? non hai tu spirto di
alcun sentimento di pietà?
pietade alcuno?

Anche qui c’è il sottotesto dell’Eneide dove si parla dell’episodio di pietas di Polidoro, ma ovviamente
qua non ha il senso religioso che aveva per Virgilio, pietas= volontà di assecondare il volere degli dèi,
qui ha un senso di pietade, utilizzato con un senso comune e più vicino a noi= pietà.

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: Noi fummo uomini, e ora siamo divenuti
cespugli:

Eravamo uomini, ora siamo sterpi. In un solo verso viene raccontata la regola del contrappasso, che
serve da punizione per questi peccatori. Prima essendo uomini avevano un certo grado di creature
dell’universo, adesso sono sterpi, scesi di grado a vegetali. Oltretutto sono un grado di vegetali
inferiori rispetto ad altri, perché non hanno il fusto alto, perché non producono frutti. Anche
rispetto al futuro estremo del giudizio universale, per questi dannati non vale la regola del
ricongiungimento col corpo, secondo il Giudizio universale, infatti noi sappiamo che anima e corpo
si ricomporranno come unità, per aggravare le pene di chi sarà dannato in eterno, e per migliorare la
condizione di chi sarà promosso a più alto destino. Sono gli unici ai quali il ricongiungimento non
sarà consentito, proprio perché hanno offeso con mano violenta il proprio corpo. Dopo il giudizio
universale andranno a cercare il loro corpo, quando accadrà dovranno ritrascinarlo in questa
selva, e appendere all’ombra del pruno che ha ospitato la loro anima.

ben dovrebb'esser la tua man più


La tua mano dovrebbe essere ben più
pia*, se state fossimo anime di
pietosa, anche se fossimo state anime di
serpi”.
serpenti.”

*Ancora una volta si usa un termine utilizzato da Virgilio, però in senso diverso rispetto a quello di
Dante, qui si tratta di umana pietà. Se fossimo state anime di serpenti avremmo avuto la
possibilità di mordere, a anche tu saresti stato più pio se avessi avuto a che fare con un serpente
invece che con una pianta.

Come d'un stizzo verde ch'arso sia da l'un de' capi, che da l'altro geme e
cigola per vento che va via, Come da un ramo ancora verde che sia
bruciato a una delle due estremità e che
dall'altra gocciola e sibila per l'aria che ne
esce fuori,

sì de la scheggia rotta usciva Così dal ramoscello spezzato uscivano insieme parole e
insieme parole e sangue; ond'io sangue; per cui io lasciai cadere il ramoscello e
lasciai la cima cadere, e stetti come restai immobile, come un uomo colto da timore.
l'uom che teme.
Paragone: se si brucia un rametto verde su una delle due cime, dall'altra parte esce del liquido
verde. In questo caso, spezzandolo, uscì un fiotto di sangue e insieme parole, il ramo parlava attraverso
questa ferita. Ed io come l'uomo che ha paura, lo lasciai cadere, in quanto non si aspettava che lo
stelo potesse parlare.

“S'elli avesse potuto creder “Se gli avesse potuto credere prima”, rispose
prima”, rispuose 'l savio mio, la mia saggia guida, “Oh anima ferita, ciò
“anima lesa, che ha conosciuto solo per mezzo del mio
ciò c'ha veduto pur con la mia rima*, 48 poema,

non averebbe in te la man distesa; Non avrebbe disteso la sua mano verso di te;

Virgilio interviene molto spesso, prima si è rivolto a Dante per raccomandarlo di fare questa esperienza,
ora si rivolge allo sterpo scusandosi per aver detto a Dante di compiere questa azione, perché ha
pietà della ferita causata al rovo. *la guida qui cita sé stesso e cita il passaggio del principe
Polidoro, libro terzo dell’Eneide, dove Didone riceve il racconto di Enea dell’incontro con Polidoro che
aveva la forma ramificata dalle frecce e attendeva di essere sepolto perché la sua anima non era
ancora arrivata a destinazione, cioè nell’Ade. Abbiamo un’opera letteraria del passato, che cresce
dentro all’opera letteraria di Dante= ipotesto. Se egli avesse potuto credere prima, anima spezzata, ciò
che avrebbe dovuto vedere leggendo la mia opera, non ti avrebbe causato questo dolore.

ma la cosa incredibile mi fece


Ma la cosa incredibile mi costrinse a
indurlo ad ovra ch'a me stesso
fargli compiere un atto che dispiace a
pesa.
me stesso.

Questa cosa incredibile, (che i suicidi si siano trasformati in sterpi), gliela feci sperimentare affinché
egli avesse esperienza. L'esperienza è necessaria per Dante personaggio, glielo dice Virgilio, devi
sperimentare, non ti si può raccontare tutto, devi fare esperienza delle cose, altrimenti quello non è
vivere. Virgilio si scusa perché è stato proprio lui ad indurlo a fare questa esperienza.

Ma dilli chi tu fosti, sì che 'n vece Ma digli chi tu fosti, cosicché in cambio di
d'alcun'ammenda tua fama una qualche riparazione egli rinnovi la tua fama
rinfreschi nel mondo sù, dove su nel mondo dei vivi, dove gli è concesso di
tornar li lece”. ritornare.”

Digli tu chi fosti, invitandolo a raccontare la sua grandezza di quando era uomo (con anima e corpo
saldate). In modo che lui possa raccontare quando tornerà nel mondo. Troveremo nella lettura
anche dei canti precedenti, spesso i dannati che hanno necessità di rinfrescare la loro fama o
aggiustare la loro credibilità nel mondo terreno. Dante vuole fare giustizia, rispetto a una
prevaricazione compiuta su un grand uomo, non per assolverlo dal peccato di suicidio, ma per fare
giustizia su una notizia storica di un uomo politico così rilevante come Pier delle Vigne, accusato di
tradimento, che secondo Dante non avrebbe commesso.

E 'l tronco: “Sì col dolce dir


E il tronco rispose: mi alletti con le tue
m'adeschi, ch'i' non posso tacere; e
cortesi parole tanto che io non posso tacere; e
voi non gravi perch'ïo un poco a
non vi sia di peso che io mi trattenga un po’
ragionar m'inveschi*.
a parlare.

*(catturare col vischio, che faceva da colla sui rami, quando un uccello si appoggiava, rimaneva
bloccato). Pier la “butta” su una poesia alta, ma che fa riferimento all'ambiente cortigiano dove era
di casa il personaggio, che usava metafore del mondo della caccia, in quando gli uomini delle corti si
dedicavano più volentieri alla caccia. Non dimentichiamoci che fra le varie attività di Federico II
letterato, vi era un trattato, arrivato sino a noi, sull’arte della caccia con gli uccelli. Con questa serie di
metafore c’è l’adesione alla vita di corte, la sua identificazione come uomo di palazzo. Ma c’è anche
la sua adesione a una passione dell’imperatore, il quale gli aveva dato fiducia, e a cui lui aveva
dato tutta la sua vita e la sua morte, il suo atto di suicidio, rivolto anche a comunicare qualcosa
all’imperatore. Pier delle Vigne aderisce ad una delle più grandi passioni dell'imperatore. “Il tuo
parlare cortese mi adesca tanto che io non posso tacere, e voi non sentiate il peso del mio
racconto nel quale vi catturerò.”
Io son colui che tenni ambo le Io sono colui che tenne entrambe le chiavi
chiavi del cor di Federigo*, e che del cuore dell'imperatore Federico, e che le
le volsi, girò chiudendo e aprendo, con tanta
serrando e diserrando, sì soavi, 60 delicatezza

che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi; che esclusi dalla sua confidenza quasi ogni
altro
uomo;

*Immagine evangelica delle due chiavi, che noi troveremo anche in Purgatorio 9, con l’angelo che
custodisce porte purgatorio. Lui era colui che tenne entrambe le chiavi del cuore di Federico, dunque
aveva la sua fiducia, poteva sia aprire che chiudere la sua volontà/il suo cuore. e che le usai in
modo così soave che tolsi qualunque cortigiano dalla sua confidenza. Era l'unico di cui Federico si
fidava, ciò fu anche la causa della sua rovina, questa esclusiva, gli causa l’invidia, uno dei peccati
peggiori secondo la prospettiva dei vizi e delle virtù del medioevo, ma anche secondo quella
prospettiva tripartita che abbiamo già visto indicata con superbia, invidia e avarizia come mali
supremi.

fede portai al glorïoso offizio, Mantenni fedeltà al mio prestigioso incarico,


tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' tanto che io a causa di ciò persi la tranquillità
polsi. e la vita.

Il termine fede viene ripetuto continuamente, ad accreditare quest’uomo come leale, che invece era
morto in incertezza di slealtà. Dice ha portato la sua azione al servizio di un ufficio che gli era stato
delegato, ha fatto il suo lavoro in buona fede, tanto che io persi il sonno e i polsi (che
rappresentano la vita). Non sappiamo molto sulla sua morte, forse fu accecato da dei ferri roventi
in una piazza pubblica, poi proprio per l'oltraggio subito, si suicida prendendo a testate le pareti
della prigione in cui era stato gettato. Si suicida anche per mostrare all’imperatore la sua buona
fede. Da tenere presente che Pier muore nel ’49, 26 anni prima della nascita di Dante, 50 anni prima
grossomodo dell’inizio di Dante personeggio, abbiamo a che fare, sia con lui che con Brunetto, con
un personaggio molto vicino alla cronologia della Commedia di Dante.
La meretrice* che mai da
La meretrice che non ha mai allontanato i
l'ospizio di Cesare non torse li
suoi occhi disonesti dal palazzo dell'imperatore,
occhi putti,
rovina di tutti e vizio particolare delle corti,
morte comune e de le corti vizio, 66

infiammò contra me li animi tutti; infiammò contro di me gli animi di


tutti i cortigiani;

*L'invidia che mai tolse gli occhi infidi dalla casa dell'imperatore, quel vizio che è comune a tutti
noi, ma soprattutto dell’ambiente cortigiano, (pieno di interessi), infiammò gli animi di tutti contro di
me, che avevo escluso, dalla consuetudine con l’imperatore, tutti gli altri che avevano ambizioni.

e li 'nfiammati infiammar sì E costoro accesi di invidia eccitarono


Augusto, che ' lieti onor tornaro in tanto l'imperatore, che i lieti onori si
tristi lutti. mutarono in dolorose sventure.

Nomina gli imperatori per antonomasia. E gli infiammati di invidia infiammarono così tanto augusto, (cioè
Federico) che tutti gli onori che avevo sparirono.

L'animo mio, per disdegnoso* gusto,


Il mio animo, per un amaro piacere,
credendo col morir fuggir
credendo di poter evitare con la morte il
disdegno**, ingiusto fece me
disprezzo altrui, mi spinse a essere ingiusto
contra me giusto.
contro me stesso, che ero privo di colpa.
*(aggettivo) **(sostantivo) Interessante anche l'incrocio chiastico delle due parole “ingiusto” e “giusto” in
terra perché è stato leale con l’imperatore, ma ingiusto nella vita ultraterrena perché ha separato ciò
che doveva restare unito, ossia corpo e anima.
LETT. ITALIANA DEL 24-03-21

Continuando il discorso riguardo la canzone del Pescatore della lezione precedente.

De André lascia volutamente aperta la decisione, il pescatore oltre che essere una proiezione dell’autore,
tendenzialmente non giudica. L’autore pone di fronte all’ascoltatore una situazione problematica, rispetto
alla quale è il lettore che deve sbilanciarsi e pronunciarsi: se gli spettatori stabiliscono che il delitto
si è consumato, nel senso che il pescatore ha ucciso ed è stato ucciso a sua volta dall’assassino,
che ha compiuto dunque un secondo delitto, allora non può emendarsi (una volta che ha
imboccato la via del male, percorrerà quella fino alle più estreme conseguenze). Se invece decidiamo il
contrario, concediamo all'assassino di redimersi, dandogli una seconda possibilità e sostenendo che se si
sceglie il male una volta, ciò non significa che sarà sempre così. Tutto spetta a noi. Una volta che
l'opera è consegnata al pubblico, non è più l’autore che decide dell’opera, bensì il lettore.
Chiudiamo il discorso riguardo i primi successi di De André, la cosiddetta produzione giovanile,
costellata da 45 giri, come si chiamavano all’epoca i dischi che contenevano due canzoni, una sul lato A
e un’altra sul lato B, che De André tende a raccogliere in volumi numerati a seconda della scansione nel
tempo, ma da un certo momento in poi invece, dal 1968, deciderà di concepire i suoi album in altra
maniera: non come raccolta di canzoni sparse, ma come veri e propri concept album.

Cosa è un concept album? In ambito anglosassone è un album in cui le canzoni hanno uno stesso filo e
legame musicale. Spesso, addirittura senza funzione di continuità tra un brano e l'altro.
In ambito italiano, il legame tra le canzoni dipende dall'ambito testuale, ovvero, le canzoni raccolte
nell'album sono autonome e indipendenti le une dalle altre, ma sono tutte collegate da un “filo rosso”,
che può essere lo sviluppo di una stessa narrazione, (come se fossero capitoli di un romanzo);
oppure c’è un collegamento tematico fra le canzoni, dunque viene sviluppato uno stesso argomento.
È possibile anche che troviamo, come nel primo album che abbiamo studiato nel dettaglio, un
insieme di personaggi che costituiscono una narrazione corale. Pur essendo ogni canzone del
concept album indipendente, è come
se fossero piccoli tasselli di un mosaico.

Dal 1968, questa sarà la forma privilegiata per De André, e lo vediamo con il suo primo concept
album: “Tutti morimmo a stento”. Nonostante su internet possiamo leggere che si tratta del primo
concept album di tutta la discografia italiana, sappiamo che non è vero, ma comunque è
certamente uno dei primi. Il fatto che diventi la forma privilegiata dell’espressione poetica, artistica
narrativa di Faber, ci dimostra che la singola canzone gli sta stretta, quei tre/quattro minuti che
dura una canzone, non sono più sufficienti per tutte le cose che ha da dire, vuole una forma più
ampia. È come se attraverso l'album, ci consegnasse un romanzo.

Noi andremo a studiarne due, il che significa che le canzoni al loro interno saranno collegate, e
oltretutto quegli album avranno una vera e propria struttura formale, la cui cerniera è la divisione classica
dei vecchi vinili da 33 giri. Il vinile ha due lati (A e B), e questa bipartizione De André la usa in
maniera funzionale, infatti vi sarà una biforcazione di temi fra le canzoni del lato A e quelle del lato
B.
A “Tutti morimmo a stento” segue un album abbastanza strano e particolare “La buona novella
(1970)”. Nel pieno della rivoluzione sessantottina, mentre gli amici di Faber protestavano e si
impegnavano per riuscire a realizzare un mondo più giusto, in parte riuscendoci e in parte meno,
De André crea un album 1970, nel quale descrive la storia di Cristo, spiazzando i suoi amici e i suoi
fan, che non capivano l’urgenza in una situazione storica come quella che stavano vivendo, di
scrivere una storia del tutto anacronistica, nessuno capiva cosa c'entrasse con i vari problemi di
quegli anni. Tempo dopo, lui precisò che l’album doveva essere inteso in senso allegorico. Il suo
lavoro era allegoricamente comparabile al discorso che gli studenti e gli operai portavano avanti nelle
piazze, nelle università e nelle fabbriche. Spiega come Cristo per lui rappresentasse una figura
rivoluzionaria, a partire dal fatto che gli venne negata la natura divina, e morendo in croce,
trasmetteva un insegnamento rivoluzionario, con un unico comandamento “ama il
prossimo come te stesso” rende inutili gli altri dieci, basta l'amore. Il discorso nell'album viene costruito
in maniera romanzesca, poiché si usano i vangeli apocrifi e non quelli canonici. Sviluppa personaggi
che solitamente nella narrazione ufficiali erano considerati minori. Nel lato A, si parte dall'infanzia di
Maria, dal momento in cui resta incinta e concepisce la figura di Cristo, qui c’è uno stacco temporale
drammatico e rilevante, nel lato B si inizia con l’annuncio della morte di Cristo sulla croce.

Ad appena un anno di distanza, nel 1971, segue il concept album che interessa a noi “Non al denaro,
non all’amore né al cielo”, uscito in autunno. Inizia con questo album la serie delle sue
collaborazioni. Per quel che riguarda la parte musicale dell’album, la realizza con un giovanissimo
Nicola Piovani. Con Giuseppe Bentivoglio per quel che riguarda i testi, collaborazione
problematica a causa delle loro diverse idee politiche (Bentivoglio è marxista e comunista), non è
sempre è facile tenere nella stessa stanza un anarchico e un comunista senza che si scannino
reciprocamente. Bentivoglio era propenso nel portare avanti, all’interno dell’album, il discorso
politico, che in parte comunque troviamo; mentre De André era più interessato a sviluppare il lato
umano e psicologico dei suoi personaggi, linea che prevale nella costruzione dell’album.

De André decide di riscrivere un gruppo di poesie di Edgar Lee Masters “Antologia di Spoon River”,
vista in un certo senso come la Bibbia laica per i ragazzi che protestavano nel ‘68. Questo libro è
una raccolta di poesie che contiene quasi 250 personaggi, ovviamente De André farà una selezione di
questi, e ciascuno di loro racconta la propria esistenza dal punto di vista di chi è morto, poiché sono
tutte anime di defunti. La forma di questi componimenti è l’epitaffio, normalmente sono scritti dai
parenti dei defunti, che li scrivono per celebrare il ricordo dei propri cari, qui invece sono scritti da
loro stessi. È una forma breve, quindi non c’è tempo di dare conto di tutta la loro esistenza, possono
rappresentare solo il centro della loro esistenza, l’essenza della loro personalità. Il fatto che siano
le anime a raccontare non implica il fatto che Masters spalanca una teoria ultraterrena
spiritualistica, non dobbiamo immaginarceli in una sorta di mondo ultraterreno paradisiaco o
infernale.
Quest’opera, inoltre, intrattiene una relazione intertestuale con l'Antologia Palatina, raccolta di
componimenti di varia forma e argomento, scritti da poeti greci fra il IV e il X sec. d.C. Lo spunto di
partenza lo desume Masters dall’Antologia Palatina, per dar poi vita a un’opera completamente nuova
che racconta la provincia americana di inizio secolo, libro pubblicato fra il 1914 e il 1915.
Due domande fondamentali:
Le ragioni per cui ha scelto questo libro? È un semplice adattamento o è una vera e propria
riscrittura? Per quel che riguarda la seconda domanda possiamo tranquillamente affermare che si tratti
di una riscrittura. Per la prima domanda: ci racconta che lesse il libro di Masters da giovanissimo, ci
tornò sopra anni dopo. Vi sono varie ragioni che lo portarono a scegliere il libro, in primo luogo
ideologiche. Infatti, era un libro modernissimo, che affronta temi importanti per la letteratura del
‘900, come ad esempio il tema dell’incomunicabilità fra gli individui e dunque della solitudine;
dopodiché perché è un libro libertario, di conseguenza, l’anarchico Faber lo sente molto vicino per
tutta una serie di aspetti come l’antimilitarismo, la critica al capitalismo con l’alienazione che
comporta nella vita dei singoli individui, la critica all’ipocrisia borghese del finto perbenismo, della
facciata. Il discorso interessante dell’Antologia di Spoon River, è che i personaggi sono morti, non
hanno più la necessità di indossare quella maschera. Cesare Pavese, paragona l’Antologia ai
personaggi danteschi, nel senso che sono personaggi più vivi da morti che in vita, conservano anche
nella loro morte, le passioni e le pulsioni, soprattutto sono sinceri (non come nella Divina commedia
perché la Giustizia divina impone che lo siano), perché non hanno più nulla da perdere. Questi
aspetti intrigano l'autore nella scelta del libro. Altro aspetto che interessa puramente tecnico: De
André è fondamentalmente un narratore in versi, e i testi di Masters erano già testi in versi pronti
ad essere trasformati in canzone, con verso libero, ossia che non c’è una struttura di rime o un
metro che vincola la costruzione del componimento poetico. De André interviene poiché la canzone ha
bisogno di una struttura rimica a cui appoggiarsi, perché il testo funzioni nel suo coniugarsi con la
melodia. Una delle prime grandi
differenze rispetto all’opera di Spoon River, è la struttura rimica molto più marcata rispetto all’ipotesto.
Quest’ultimo è il testo che ispira la riscrittura di De André. No, non è una traduzione.
Riassumendo le ragioni per cui sceglie l'antologia di Spoon River sono: l'affinità ideologica, politica e
ragioni tecniche.
Per quanto riguarda la seconda domanda, non è una traduzione. La prima trasformazione che
noteremo e la presenza di una struttura rimica, ma questo è il minimo. Banalmente potremmo anche
dire che cambiano i titoli. Quando andremo a vedere i testi originali da cui Faber prende spunto,
noteremo che nell'Antologia ogni componimento è marcato dal nome del personaggio, che
ovviamente un nome americano. Se De André usasse la stessa strategia, si avrebbe un effetto
straniante, per cui l'ascoltatore italiano si sente piombato in una realtà che non gli appartiene,
dunque lo sostituisce con un titolo che appartiene a una categoria sociale. Ciò fa capire che a De
André interessi il ruolo sociale dei personaggi, e la loro posizione rispetto alla sua comunità di
appartenenza. Oltre la questione dei titoli, chiunque confronti i testi, anche il lettore più
sprovveduto, si rende conto che le canzoni di Faber sono più lunghe dell'ipotesto, infatti il mondo
interiore del personaggio è molto più sviluppato, è come se si dilatasse la vita psicologica dei
personaggi. Infatti, Fernanda Pivano definirà le canzoni di Faber più belle dei testi originali. Non la
citiamo a caso, fu allieva di Cesare Pavese, ma soprattutto dietro l’istigazione del maestro, sarà la prima
a tradurre, nel 1943, per Einaudi, l'Antologia di Spoon River. Fu un'operazione complicata perché, non
solo siamo sotto il regime fascista, ma oltretutto siamo nel bel mezzo del conflitto mondiale,
dunque, tutto ciò che era di provenienza anglosassone veniva guardato con sospetto e
tendenzialmente censurato, per poterlo pubblicare lo intitolarono Antologia di S. River, come se
si trattasse di un santo, piccolo stratagemma grazie al quale il libro almeno inizialmente, supera la
censura. Paradossalmente però, nel 1971, un suo l'album sarebbe stato sottoposto a censura, nel
senso che avrebbe dovuto modificare alcune parti del testo e, anche una volta ottenute le
autorizzazioni per pubblicare il disco verrà di fatto censurato, ad esempio non sarà passato in
radio. Avrà un circuito d'ascolto in un certo senso semiclandestino. De André collaborerà con la
Pivano per la realizzazione dell’album, e tutti quelli che avevano intenzione di comprarsi il 33 giri “Non
al denaro, non all’amore né al cielo”, trovavano all’interno del disco un’intervista fatta a Faber, in
cui si spiega per bene la strategia compositiva dell’album, che, come abbiamo detto, non è una
traduzione, ma una vera e propria riscrittura dei testi di partenza.
Sulla collina fedele al testo originale – The Hills.

Dove se n'è andato Elmer Lontano, e


Che di febbre si lasciò
morire
Dov'è Herman bruciato in miniera
Dove sono Bert e Tom
Il primo ucciso in una rissa
E l'altro che uscì già morto di
galera E cosa ne sarà di Charlie
Che cadde mentre lavorava
E dal ponte volò, volò sulla
strada Dormono, dormono sulla
collina Dormono, dormono sulla
collina Dove sono Ella e Cat
Morte entrambe per errore
Una di aborto, l'altra
d'amore E Maggie uccisa in
un bordello Dalle carezze di
un animale
E Edith consumata da uno strano
male E Lizzie che inseguì la vita
dall'Inghilterra
Fu riportata in questo
palmo di terra
Dormono, dormono
sulla collina Dormono,
dormono sulla collina
Dove sono i generali
Che si fregiarono
nelle battaglie
Con cimiteri di
croci sul petto
Dove i figli della
guerra
Partiti per un ideale
Per una truffa, per un
amore finito male Hanno
rimandato a casa
Le loro spoglie nelle bandiere
Legate strette perché
sembrassero intere
Dormono, dormono sulla
collina Dormono, dormono
sulla collina
Dov'è Jones il suonatore
Che fu sorpreso dai
suoi novant'anni E con
la vita avrebbe ancora
giocato
Lui che offrì la faccia al vento Mangiate in strada nelle ore
La gola al vino e mai un pensiero sbagliate Sembra di sentirlo
Non al denaro, non all'amore né al ancora
cielo Dire al mercante di liquore
Lui sì sembra di sentirlo "Tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?"
Cianciare ancora delle porcate

Riprende la struttura della prima poesia dell'Antologia, che ha un andamento corale, laddove i
singoli componimenti considerabili come degli epitaffi ossia una sorta di concentrato della vita di
ogni personaggio, avevano un andamento individuale. Faber conferma la scelta strategica di apertura
corale, che aveva caratterizzato l’Antologia. La collina simboleggia il cimitero. Questo inizio assomiglia ai
primi canti della divina commedia, dove Dante indica una massa indistinta di anime, una panoramica
generale e solo dopo si concentra sulle figure singole. De André parla di uomini comuni, vittime di
questo mondo.
Nella prima strofa cosa hanno in comune i personaggi? Tutti sono morti di morte violenta, sono
tutti abbastanza giovani, di conseguenza si tratta di vite interrotte. Morte come morte sociale determinata
dalle precarie condizioni di vita, c’è addirittura un caso di morte bianca (sul lavoro).
Nella seconda strofa? Sono tutte donne, nella prima sono tutti uomini. Vale lo stesso discorso che
abbiamo fatto per la prima strofa, si tratta di morte violenta e sono quasi tutti femminicidi, vittime di
violenza con volto maschile. Anche la storia di Marinella ha un volto maschile sulla sua morte. Vi è
anche una figura di ripetizione, ovvero l’anafora, la parola “dove”, che riprende un topos tipico della
poesia latina, che i latini ereditano a loro volta dai greci: ubi sunt?= dove sono? È una figura topica che
introduce normalmente alla riflessione su quello che è la transitorietà della vita, in effetti anche qui è
di questo che si sta parlando.
“Il giorno del giudizio” di Satta, è stato detto che per certi versi ricorda l'Antologia di Spoon
River. Tema dell'antimilitarismo. Questa è la strofa nella quale De André interviene maggiormente
rispetto al punto di partenza. Questo tema sta particolarmente a cuore all’autore

Dove sono i generali


Che si fregiarono nelle
battaglie Con cimiteri di croci
sul petto Dove i figli della
guerra
Partiti per un ideale
Per una truffa, per un amore finito male

Strofa costruita su un’antitesi, ossia la contrapposizione di due concetti/situazioni che fra loro
sono totalmente opposte, in questo caso osserviamo il contrasto fra i generali e i soldati semplici;
c’è però un’altra figura retorica che serve a connotare la figura dei generali, ossia “i cimiteri di croci
sul petto”, abbiamo la metonimia, dunque la sostituzione tra due parole, in questo caso medaglie viene
sostituito da croce. Il rapporto è di causa effetto, infatti la medaglia è un effetto della croce, cioè
quelli che sono i meriti di cui possono vantarsi i generali, corrispondono ad altrettante croci di
persone morte, che sono ovviamente i semplici soldati battuti in prima linea.
La bandiera a sua volta può essere una metonimia, in quanto è simbolo di patria, quindi
rappresenta un'espressione figurata, rappresenta tutta una serie di cose nel quale il buon patriota e
soldato si identificano. Qui abbiamo la reificazione della figura retorica, nel senso che la bandiera è un
qualcosa di estremamente concreto perché serve ad avvolgere i corpi dei soldati fatti a pezzi.
Alla fine della canzone spicca un personaggio, diverso rispetto a tutti gli altri che sono stati citati
precedentemente: è l'unico che vive fino alla vecchiaia, nonostante faccia una dieta che non
consiglierebbe nessun cardiologo e beva (ricorda un aspetto biografico di De André, che ebbe un
problema di dipendenza con l’alcol) e traspare comunque felice, in quanto avrebbe ancora giocato con
la vita. Il suonatore Jones pare essere, fra tutti i personaggi che vengono citati, essere l’unico che si
possa prendere il lusso di giocare con la vita, forse questa è la miglior ricetta per garantirsi una vita
sia lunga che felice. Questo personaggio andremo a ritrovarlo in quanto è colui che chiude la
galleria delle canzoni, l’ultima è dedicata a Jones,
l'unico chiamato col nome originale e con articolo determinativo al posto di “un”, non più un medico,
un
chimico, ma il suonatore Jones, ciò indica che si tratti di un'eccezione.
“Mai un pensiero, non al denaro, non all'amore né al cielo” da qua deriva il titolo dell’album, è
rilevante anche perché gli viene dedicata un’intera strofa. Cosa vuol dire? Soprattutto la parte
dell’amore (che abbiamo visto essere la forza rivoluzionaria di cui Cristo è stato il grande predicatore)?
Capiamo la risposta andando a leggere l’ipotesto, la Collina di Masters, dove si fa specificamente
riferimento ai legami parentali e al matrimonio. Non avere un pensiero per il denaro, indica che Jones
suona non perché vincolato ad un contratto discografico, non suona perché costretto ma per divertirsi,
perché lui con la vita appunto ci gioca. Non un pensiero al cielo, indica che lui si concentra sulla vita e
non ha una visione ultraterrena, inseguendo la felicità in questa vita, non si pone limiti. Concepisce la
vita terrena come gioco perché ricerca l’utopia della felicità su questa terra. Non all'amore nel senso
non che detesti i suoi simili, come accade a molti altri personaggi che incontreremo per strada, ma
nel senso che rifiuta ogni forma di vincolo sociale.
Superata questa canzone, con funzione introduttiva, e che è portatrice di una visione corale e dunque
della comunità, abbiamo un elenco di personaggi che si dividono in due categorie, che ovviamente
corrispondono ai due lati dell’album: lato A, gruppo invidiosi, l’ultimo personaggio di questo gruppo
è il malato di cuore. A produrre l'invidia, è proprio il meccanismo di sfida creato dalla società capitalista,
che ci spinge a desiderare ciò che ti sembra che ti manchi (anche se non è necessario), per il semplice
fatto che lo hanno gli altri, o semplicemente mette in competizione la società in quanto tende a
premiare chi è più furbo e scaltro. Lato B costituito dai personaggi della scienza, chiuso con il
suonatore Jones. Scienza è intesa attraverso una lettura politica, infatti la scienza può costituire
un’idea di progresso, laddove ne beneficia tutta la collettività, ma la maggior parte delle volte è solo
a servizio dei ceti privilegiati, spesso e volentieri è a servizio del potere.
Incominciamo ad esplorare la galleria dei vari personaggi.

UN MATTO (dietro ogni scemo c'è un villaggio).

Tu prova ad avere un mondo nel E senza sapere a chi dovessi la


cuore E non riesci ad esprimerlo con vita In un manicomio io l'ho
le parole E la luce del giorno si restituita
divide la piazza Qui, sulla collina, dormo
Tra un villaggio che ride e te, lo scemo che malvolentieri Eppure c'è luce, ormai,
passa E neppure la notte ti lascia da solo nei miei pensieri Qui nella penombra
Gli altri sognan sé stessi e tu sogni di ora invento parole Ma rimpiango
loro E se anche tu andresti a cercare una luce, la luce del sole Le mie
Le parole sicure per farti ascoltare ossa regalano ancora alla vita
Per stupire mezz'ora basta un libro di Le regalano ancora erba fiorita
storia Io cercai di imparare la Treccani a Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
memoria E dopo maiale, Majakovskij, Di chi ha perso lo scemo e lo piange in
malfatto Continuarono gli altri fino a collina Di chi ancora bisbiglia con la
leggermi matto stessa ironia "Una morte pietosa lo
strappò alla pazzia"

Frank Drummer. Testo originale.

Out of a cell into this darkened my soul


space-- The end at twenty-five!
Which drove me on trying to memorize
My tongue could not speak what stirred
The Encyclopedia Britannica!
within me,
And the village thought me a fool.
Yet at the start there was a clear
vision, A high and urgent purpose in
Fuori di una cella in questo spazio
oscurato - La fine a 25 anni!
La mia lingua non poteva pronunciare ciò
che si agitava in me,
e il villaggio pensava che fossi un
idiota. Pure al principio v’era una
visione chiara,
un alto e urgente proposito nella mia anima
che

mi spingeva a cercare di imparare a


memoria l'Enciclopedia Britannica!
È evidente che il testo della canzone si espanda rispetto al testo di partenza, Frank Miller non
riesce a dar conto, attraverso la pochezza delle parole, dell’universo che c’è dentro di lui.
Enciclopedia Britannica= Treccani (versione italiana), c’è uno schema della storia che De André
però rende maggiormente significativo in direzione dell’universo interiore del personaggio. Lo schema
della storia comunque è quello: c’è un matto che non riesce a trovare le parole per esprimere
l’universo che gli si agita dentro, per cercare di eliminare questa difficoltà che lui vede come un
difetto, decide di studiare a memoria l'enciclopedia, sperando di trovare qui le parole che gli
mancavano per esprimersi. A questo punto, lo rinchiudono in un manicomio perché lo scambiano
per un pazzo. Ora torniamo al testo di De André, che a partire da un testo estremamente sintetico,
ricostruisce il momento in cui passa lo scemo e la gente intorno lo deride. La follia potrebbe essere
vista come un atteggiamento fuori dalla norma, un modo di essere diverso. Dietro ogni scemo c'è
un villaggio, nel senso che la maggioranza stabilisce le regole, nel momento in cui la minoranza non si
attiene alle regole stabilite, questa verrà catalogata, sulla base di un’impostazione di vita che è
assolutamente conformista, coloro che avranno atteggiamenti anticonformisti saranno in automatico
matti, blasfemi, caratteristiche di molti personaggi che incontreremo. La maggioranza che decide,
spesso e volentieri, definisce la follia non un grave comportamento pericoloso, ma semplicemente uno
scantonare rispetto a quelli che sono i binari stabiliti.
Viene visualizzata la piazza che deride lo scemo, che diventa matto solo quando percepito come
diverso. Questo avviene di giorno, quando tutti controllano il comportamento di tutti, la notte quella
folla divertita, diventa di solitudini e ciascuno pensa a sé stesso, paradossalmente lo scemo sogna gli
altri (incubo= essere oggetto di bullismo). La reazione del matto di Faber, corrisponde a quella del
testo iniziale di Masters, quindi studia l'enciclopedia, per poter imparare come parlare ed esprimere
ciò che ha dentro. Impara la Treccani a memoria, arrivando fino alla M, con maiale, Majakovskij, poeta
dell’avanguardia russa, pretesto per omaggiare un poeta che lui adorava; fino al momento in cui gli
altri lo vedono matto.
Viene visto come matto perché quando qualcuno è un diverso ma colto, diventa pericoloso, e per
questo emarginato (rinchiuso in un manicomio), classica figura dell'intellettuale che non si genuflette al
potere; se invece si ha a che fare con un diverso incolto ecco che suscita semplicemente il riso. Per
De André la funzione dell’intellettuale consiste nel muoversi controcorrente, muoversi in direzione
ostinata e contraria, dunque nel denunciare gli abusi al potere e non certo al genuflettersi, (visione
che combacia con ciò che abbiamo detto prima). Il matto, alla fine della vicenda muore senza più
uscire.
Sulla propria vita, il matto ci dice che nella collina (rappresenta il cimitero, e dunque in qualche
modo la comunità) dorme male, non ci sta bene in quanto è la stessa comunità che l’ha
perseguitato in vita; nonostante la luce (rappresenta la libertà che ha ottenuto attraverso lo studio)
che si contrappone per antitesi al buio del manicomio, la luce sarebbe la libertà acquisita con lo studio.
Tanta cultura e tanta libertà non bastano a restituirgli ciò che ha perso. Come fanno i personaggi
danteschi, dove molte anime quando si rivolgono a Dante fanno riferimento al mondo di sopra,
connotandolo in maniera specifica: “lo dolce lume” (Di Cavalcanti, che si ricollega alla luce del sole e
di conseguenza alla vita terrena); il matto ha capito quello che è il ciclo della vita, cosa che non tutti
colgono, il fatto che la fine della sua vita corrisponde in una prospettiva ciclica, alla nascita di altra
vita. La sua morte corrisponde all’annullarsi della sua identità individuale, che però attraverso la
materia di cui è fatto il suo corpo, darà un contributo alla circolarità della vita. Salta sempre fuori, in
tutte le sue canzoni, il riferimento al ciclo delle stagioni: primavera, rinascita, giovinezza, scoperta
dell’amore VS inverno. Ogni personaggio racconta della sua vita, dalla prospettiva invernale, partendo
da ciò che è l’inverno della loro esistenza, danno conto di ciò che era stata la primavera della loro vita,
la loro giovinezza. Come reagisce la comunità alla morte del matto? In maniera cinica attraverso
una metafora, tutto sommato è stato un bene che sia morto, perché sennò avrebbe vissuto come
un miserabile pazzo. L'altra metà piange per la sua perdita, si capisce il dolore di qualcosa quando ti
viene portato via.
Un giudice
Cosa vuol dire avere Perché ha il cuore troppo
Un metro e mezzo di statura Troppo vicino al buco del culo
Ve lo rivelan gli occhi
E le battute della gente Fu nelle notti insonni
O la curiosità Vegliate al lume del rancore
D'una ragazza irriverente Che preparai gli esami
Che vi avvicina solo Diventai procuratore
Per un suo dubbio impertinente Per imboccar la strada
Vuole scoprir se è vero Che dalle panche d'una cattedrale
Quanto si dice intorno ai nani Porta alla sacrestia
Che siano i più forniti Quindi alla cattedra d'un tribunale
Della virtù meno apparente Giudice finalmente
Fra tutte le virtù Arbitro in terra del bene e del male
La più indecente
E allora la mia statura
Passano gli anni, i mesi Non dispensò più buonumore
E se li conti anche i minuti A chi alla sbarra in piedi
È triste trovarsi adulti Mi diceva "Vostro Onore"
Senza essere cresciuti E di affidarli al boia
La maldicenza insiste Fu un piacere del tutto mio
Batte la lingua sul Prima di genuflettermi
tamburo Fino a dire che Nell'ora dell'addio
un nano Non conoscendo affatto
È una carogna di sicuro La statura di Dio
UN GIUDICE.

Ipotesto: The Judge Selah Lively, originale

Suppose you just stood five feet two, And had worked your way as a grocery
clerk, Studying law by candle light
Until you became an attorney at law?
And then suppose through your
diligence And regular church
attendance,
You became attorney for Thomas
Rhodes, Collecting notes and
mortgages,
And representing all the widows
In the Probate Court? And through it all They jeered at your size, and laughed at your
clothes And your polished boots? And then suppose
You became the County Judge?
And Jefferson Howard and Kinsey Keene,
And Harmon Whitney, and all the giants Who had sneered at you, were forced to stand
Before the bar and say "Your Honor 'lWell, don't you think it was natural That I made it hard for them?

Cosa ci dice?
"Immagina di essere alto un metro e 58 e di aver iniziato a lavorare come garzone in un drogheria". L’attacco ci
dice che il problema relativo alla statura, così come nella canzone di de André.
"Studiando legge a lume di candela fin quando non sei diventato avvocato. E poi immagina che con la tua
diligenza e la partecipazione regolare in chiesa tu sia diventato il legale di Thomas Rhodes".
Il nostro aspirante procuratore frequenta la chiesa allo scopo di costruire conoscenze sociali che gli permettano di far
carriera. Fino a diventare legale di Rhodes che presentava tutto alla corte.

"E che nessuno smettesse di burlarsi della vostra statura, e deridervi per gli abiti e gli stivali lucidi."
Il sentimento di rivalsa che motiva le sue azioni, dipende dal fatto di essere stato oggetto di scherno e bullismo e
per via delle sue umili origini.
"Infine, voi diventate il Giudice di contea.
Ora Jefferson Howard e Kinsey Keene e Harmon Whitney e tutti i pezzi grossi che vi avevano schernito sono
costretti a stare in piedi davanti alla sbarra e pronunciare "Vostro Onore". Bel, non vi par naturale che gliel'abbia
fatta pagare?”

La vicenda di Lively è una vicenda di rivalsa sociale come si evince, vedremo invece che l’approccio portato avanti fra
De André e Giuseppe Bentivoglio è più netta.

Possiamo individuare tutta una serie di relazioni simmetriche fra le varie canzoni che vanno a comporre l’album, il
matto ad esempio, aveva il problema di non riuscire a tenere conto delle emozioni che controllavano il suo animo, non
c’erano parole sufficienti per esprimere il suo stato interiore e per questo era stato emarginato; viceversa nel
caso del giudice abbiamo un difetto fisico, la bassa statura che viene subito utilizzata come un’arma da parte
della comunità che lo definisce un nano, facendo un uso non politicamente corretto del linguaggio.
La canzone rappresenta un’eccezione perché non abbiamo alcun riferimento diretto al ciclo delle stagioni, ma la
canzone è costruita in quattro strofe, le quali potrebbero corrispondere alle quattro stagioni, le quattro epoche
della vita del giudice che partono dall’adolescenza (primavera), lo capiamo dal fatto che c’è il primo approccio
con l’altro sesso; la giovinezza, l’estate che rappresenta il tempo che passa il giudice a studiare; dopodiché
potremmo dire l’autunno con il giudice che diventa un uomo a tutti gli effetti, fino all’ultima stagione, quella
dell’inverno, che precede immediatamente la morte. Dunque, la struttura in quattro strofe della canzone è una
sorta di mimesi, come se ogni stagione dell’individuo fosse sintetizzata in un’immagine.
Per quel che riguarda la prima strofa capiamo che il ragazzino è emarginato dalla comunità, che nei suoi confronti ha
un atteggiamento che va dall’ironico al caustico, tutto velato dall’eufemismo, dai giri di parole e dalle allusioni. In
questo primo momento la ragazza, che rappresenta l’amore e la scoperta dell’altro sesso, in qualche modo lo
schernisce perché vuole scoprire la leggenda metropolitana secondo cui bassa statura= cazzo grande. Tutto viene
ovviamente alluso, fino a quando non si arriva alla seconda strofa dove diviene tutto volgarità espressa. Quello che
esprime la voce narrante è la volgarità che appartiene alla comunità, che non ha niente a che fare con il pensiero
dell’autore.
L'aspetto triviale è espressione della voce narrante. Quello che esprime è un discorso indiretto libero, la volgarità
appartiene al pregiudizio. La parola "culo" rappresenta come la comunità aggredisce il diverso. ln questa
situazione possiamo immaginare quanto il tempo trascorra lento. "Passano gli anni, i mesi, e se li conti anche i minuti",
la solitudine dell'uomo ancora giovane che conta i minuti uno per uno, come se fosse sabbia che passa dalla clessidra.
È diventato adulto ma non sembra, fino a che non crescono le malelingue.
Nella terza strofa il giudice vuole dare una svolta alla sua vita, come quella che ha dato il matto, infatti pure lui
inizia a studiare. Stesso mezzo di riscatto, ma approdo finale diverso. Il matto vuole integrarsi attraverso lo
studio, mentre la finalità del giudice è vendicarsi, non solo integrarsi. Nella terza strofa parla di notti insonni, vegliate
dal rancore, che è la parola chiave. Rispetto all'ipotesto, si è espanso l'universo interiore, ed è più ricco di sfumature il
contesto sociale, quindi più forte il desiderio di rivalsa, il modo in cui il giudice reagisce alla violenza del contesto
sociale a cui appartiene.

Manca il riferimento alla chiesa come luogo di incontri sociali per garantirsi l’amicizia, si fa riferimento solo alle
panche delle cattedrali. Affiora la sacrestia, termine connesso ovviamente alla Chiesa, contiguo all'altare, ma è anche
il luogo nel quale di tengono documenti segreti, riservato a pochi eletti. De André allude al fatto che il giudice ha
iniziato a fare il so ingresso nelle stanze del potere. Ricordiamoci che siamo nel lato A, specificamente dedicato ai
personaggi accomunati dall'invidia (matto, giudice, blasfemo, malato di cuore). Invidiano chi ha tutti i requisiti
minimi per essere considerato normale dalla comunità.

Nell'ultima strofa vediamo che la statura fisica passa in secondo piano rispetto a quella sociale. Questa è diventato
un dato metaforico, diventa bassa statura morale. Non hanno rispetto di lui, piuttosto terrore. Il boia condanna a
morte per vendicarsi, errore denunciato anche da Beccaria, nei delitti e nelle pene, dove sanciva il fatto che la pena di
morte era non solo disumana ma anche controproducente, in quanto lui parlava di proporzionalità fra la pena e la
colpa. Soprattutto Beccaria insegna che uno stato che condanna a morte, insegna ai propri cittadini il sentimento
della vendetta. Il boia condanna a morte per vendicarsi, questo è l’errore madornale che aveva denunciato Cesare,
la giustizia deve aiutare a redimere. Nel testo di partenza questo argomento si sente poco, ma a de André è molto
caro, il boia richiama la morte, la pena di morte, infatti uscirà fuori in altre canzoni come "Il gorilla".

Nella chiusa dice "prima di genuflettermi nell'ora dell'addio non conoscendo affatto la statura di Dio.", il giudice
non si immagina Dio simile a sé, perché si sente inferiore, è partito dalla galera per cui sa molto bene che cosa
significhi salire quella scala sociale dal gradino più basso fino al più alto. Nella gerarchia del potere, Dio occupa
la posizione più alta, invece il giudice è destinato ad essere almeno un gradino sotto. Si genuflette sia perché deve
chiedere perdono, ha paura del giudizio di Dio, è costretto da tale gerarchia a farlo; ma soprattutto perché non
conoscendo la statura di Dio, vuole accorciare la sua statura in modo da non recare offesa all’eventuale statura di
Dio, non vuole scatenare il rancore di Dio (poiché così se lo immagina) presentandosi in tutta la sua statura, infatti
non è detto che Dio non sia un nano. Confine con la blasfemia, e non è casuale l'ordine dei brani potrebbe essere
stato studiato a tavolino. Dalla blasfemia annunciata si passa all'eresia evidente. Così come anche nella canzone
del matto c’era il sottotitolo, anche qui lo troviamo (dietro ogni giudice c'è un nano). La bassa statura diventa
metaforicamente la bassa statura morale.

Il blasfemo

Ci costringe a sognare in un giardino incantato Ci costringe a sognare in un giardino incantato


Con il blasfemo si polemizza il testo delle sacre scritture. Si arriva a pensare che il racconto delle sacre scritture sia un
imbroglio, ma dentro il testo di Masters la polemica è confinata dentro il testo sacro, differenza con De André
dove improvvisamente il discorso diventa politico.
Mai più mi chinai e nemmeno su un
fiore Più non arrossii nel rubare
l'amore
Dal momento che Inverno mi convinse che
Dio Non sarebbe arrossito rubandomi il
mio
Mi arrestarono un giorno per le donne ed il
vino Non avevano leggi per punire un
blasfemo
Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte
Mi cercarono l'anima a forza di botte Perché dissi che Dio imbrogliò il primo
uomo Lo costrinse a viaggiare una vita da scemo
Nel giardino incantato lo costrinse a sognare
A ignorare che al mondo de il bene e c'è il
male Quando vide che l'uomo allungava le
dita
A rubargli il mistero di una mela
proibita Per paura che ormai non
avesse padroni Lo fermò con la morte,
inventò le stagioni
Mi cercarono l'anima a forza di botte
E se furon due guardie a fermarmi la vita
È proprio qui sulla terra la mela proibita E non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato Ci costringe a sognare
in un giardino incantato
Testo originale inglese:
Wende// R B/oyd, originale
T hey first charged me with disorderly Cominciarono ad accusarmi di
conduct, There being no statute on libertinaggio, non essendoci leggi
blasphemy. antiblasfeme.
Later they locked me up as insane Poi mi rinchiusero per pazzo,
Where I was beaten to death by a Catholic e qui un infermiere cattolico mi uccise di botte.
guard. My offense was this: La mia colpa fu questa: dissi che Dio mentì ad
I said God lied to Adam, and destined Adamo, e gli assegnò
him To lead the life of a fool, di condurre una vita da scemo,
Ignorant that there is evil in the world as well as di ignorare che al mondo c'è il bene e il male.
good. And when Adam outwitted God by eating E quando Adamo imbrogliò Dio mangiando la
the apple And saw through the lie, mela e si rese conto della menzogna,
God drove him out of Eden to keep him from Dio lo scacciò dall'eden per impedirgli di
taking The fruit of immortal life. cogliere il frutto della vita immortale.
For Christ's sake, you sensible people, Here's what Santo cielo, voi gente assennata,
God Himself says about it in the book of Genesis: ecco ciò che Dio stesso ne dice nel
"And the Lord God said, behold the man Genesi: "E il Signore Iddio disse: ecco
Is become as one of us" (a little envy, you che l'uomo
see), "To know good and evil" è diventato come uno di noi" (un po' di invidia,
(The all-is-good lie exposed): vedete) " a conoscere il bene e il male" (la
"And now lest he put forth his hand and menzogna che tutto sia bene!);
take AISO of the tree of life and eat, and "e allora, perché non allungasse la mao a
live forever: prendere anche dell'albero della vita e mangiarne, e
Therefore the Lord God sent Him forth from the non vivesse eterno;
garden of Eden." per questo il Signore Iddio lo scacciò dal
(The reason I believe God crucified giardino dell'eden".
His Own Son (la ragione per cui io credo che Dio crocifiggesse
TO get out of the wretched tangle is, because it suo figlio,
sounds just like Him.) per uscire da quel brutto pasticcio, e che ciò è
proprio degno di Lui).

"Prima mi accusarono di condotta molesta, non essendoci leggi antiblasfeme." non vi erano leggi sulla blasfemia,
e dunque viene incarcerato con pretesto condotta immorale.
"Poi mi rinchiusero in manicomio, e fui ammazzato di botte da un sorvegliante cattolico." Non si capisce se fosse in
galera o in manicomio, vicenda richiama quella del matto.
"La mia colpa fu questa:
dissi che Dio mentì a Adamo, e lo destinò a vivere una vita da sciocco, ignaro del bene, come del male, di questo
mondo." Sappiamo il racconto di genesi, la civiltà a causa di quell'errore non può conoscere né il bene né il male.
"E quando Adamo gabbò Dio mangiando la mela e scoprendo la menzogna,
Dio lo scacciò dall’ Eden per impedirgli di cogliere il frutto della vita immortale." Secondo tradizione sono due gli
alberi: uno è quello della conoscenza immortale e l’altro e l’albero della vita. Adamo consuma uno e dio lo caccia via
prima che possa consumare anche altro.
"Ma Cristo! Voi gente assennata, ecco ciò che Dio stesso dice nel Genesi: "E i/ Signore /ddio disse: Ecco che l'uomo è
diventato come uno di noi" (un po’ d'invidia, filone che attraversa tutto il lato A di De André).
"a conoscere i/ bene e i/ male" anche qui vediamo immagine di invidia di dio, di una persona che ha acquistato le
sue stesse conoscenze. (smascherata la balla che tutto sia bene!);
"e allora per paura che allungasse la mano a prendere anche dall'albero della vita e ne mangiasse, e vivesse in
eterno, il Signore Iddio lo scacciò dal giardino dell’ Eden, La ragione per cui io credo che Dio crocifisse Suo Figlio, fu
per uscire da quel brutto pasticcio, e penso che ciò sia proprio degno di Lui). Quasi Dio fatto a immagine e
somiglianza dell'uomo, fondato sull'invidia.
Sottotitolo: dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato.
Ci fu una volta uno scambio di battute tra Voltaire e Diderout. "Se dio non di fosse bisognerebbe inventarlo" e D.
dirà "infatti se lo sono invetato." Il messaggio anticlericale è dalla poesia di masters, mentre su de André il
discorso si rifà politico. Il potere ha creato il bisogno di quell'illusione, in maniera tale che l'uomo si consoli con
una divinità ultraterrena. Se è il potere a creare l'illusione dell'eden, il blasfemo dipende solo da chi ha deciso
cosa è giusto dire e cosa no.
La prima strofa: torna l'antitesi tra le stagione, primavera e inverno. Non si genuflette allo spettacolo della natura
in quanto deriva da una creazione di Dio, l'inverno sia l'illusione, e dopo che essa termina non è più disposto a
celebrare la primavera e non si genuflette più. L'inverno lo si può anche intendere come la morte, che gli fa
capire che dio non si farebbe problemi a rubare la sua primavera. Tutto nuovo rispetto alla poesia di masters,
che invece inizia direttamente dalla seconda. Non essendoci leggi per punire un blasfemo lo arrestano per cattiva
condotta. Volendo applicare una sorta di contrappasso dantesco, le guardie lo applicano sul suo corpo, infatti lo
prendono a botte in modo da fargli uscire fuore l'anima. Terza strofa: rilettura sarcastica sacre scritture. Ultima
strofa: auspica l'ignoranza delle masse, qui il discorso assume connotazione politica. La mela proibita È qui sulla
terra, ci viene nascosta la realtà delle cose, e le masse sono costrette a sognare in una realtà fittizia per non
conoscere la verità.

Il senso del sottotitolo “dietro ogni blasfemo c`e` un giardino incantato”. Il giardino incantato in questo caso e`
l`Eden. Dal finale si puo` presumere che il giardino incantato sia un invenzione. Capiremo che il punto di vista
del blasfemo sia proprio quello dell`ateismo. Questo perche`?

Ci fu una volta un famoso scambio di battutute tra Voltaire,che si dice fosse agnostico, il quale disse : <<se Dio
non ci fosse bisognerebbe inventarlo>> ; e Diderot che rispose in maniera piu` cinica: <<infatti se lo sono
inventato>>.
Il blasfemo alludendo a quello scambio di battute “non dio ma chi per nome l`ha inventato’’, supera la visione
agnostica di Volter per approdare direttamente all`ateismo di Diderot, ossia alla negazione dell`esistenza di Dio.

Questo , a differenza del testo di masters che si puo` ritenere un discorso anticlericale, non si puo` ritenere tale
perche` superera` i confini religiosi per appodare ad argomenti politici.
E` il potere che ha creato la necessita` di credere in qualcosa per poter consolare l`uomo della sua infelicita`
sulla terra. L`uomo ha il bisogno di credere in qualcosa.
Il giardino incantato quindi e` un ilusione creata dal potere.

Analisi:
se e` il potere a creare l`illusione del giardino, il blasfemo dipende semplicemente dal fatto che qualcuno ha
stabilito che cosa sia ortodosso dire e di cosa non sia ortodosso dire. E` sostanzialmente lo stesso discorso
fatto per il matto, dove e` la maggioranza a stabilire cosa sia o non sia normale. Qua abbiamo il potere che in
questo caso stabilisce cosa vada contro i dogmi della fede e cosa invece sia da cosiderare eretico.
Prima strofa: qui ritorna l`antitesi tra le stagioni, dove la primavera e` rappresentata da un fiore e dall`inverno
che e` chiamato con il suo nome. Questa strofa ci fa capire che il blasfemo non si genuflette allo spettacolo della
natura, in quanto quest`ultima viene considerata un opera della creazione di Dio.
Si fa riferimento al passo di Leopardi “canto notturno di un pastore errante dell`Asia” dove il pastore all`inizio dice
che la vita non e` del tutto circolare in quanto non si rimane per sempre giovani, ma la figura che meglio
rappresenta il ciclo della vita e` la spirale; questo poiche` man mano che passano le primavere io non si rimane
eternamente giovani ma si e` destinati a precipitare nel gorgo della vecchiaia e poi della morte.
Grosso modo il brano vuole dire questo, assumento man mano un linguaggio sempre piu` lirico e, come tale,
automaticamente fa guadagnare al testo polisemia, aprendo una serie di possibili letture.
In linea di massima l`inverno stia a significare la fine delle illusioni e che sia lo stesso inverno ad avvertire che
non arrivera` la sua primavera. Nel momento in cui si scopre la realta` delle cose (togliendo il velo) e capisce
l`impossilita` del ritorno della primavera,decide di non volerla celebrare e non si genuflette a cogliere il fiore
(simbolo massimo della primavera).
Ovviemente si possono avere molte piu` interprestazioni:
si puo` pensare anche che l`inverno rappresenti la morte per qualcuno a lui caro,una persona che ha amato;
questo lo mise davanti alla consapevolezza che Dio non si sarebbe posto problemi a rubargli la sua primavere
(l`amore).
Tutto dipende da come si vuole intendere quell`inverno : se come stagione o come morte. Quindi la vecchiaia, il
disilludersi di un ritorno di una primavera o; piu` concretamente se si vuole intendere come morte , il fatto che il
ciclo della vita (Dio) non si pone problemi a portargli via le persone care e quindi non e` piu` dispsosto a
celebrarlo.
Questa prima strofa e` totalmente nuova rispetto alla poesia di partenza di Masters, la quale inziava direttamente
con la seconda strofa.
Seconda strofa: non essendoci una legge plausibile per poter coondannare un blasfemo, si decide di
imprigionarlo a causa della sua condotta immorale.
Viene ucciso non da una guardia cattolica ma probabilmente da due guardie bigotte che, desiderando di
applicare una sorta di contrappasso dantesco (canto dedicato al cerchio degli eretici,sesto cerchio, in particolare
dante sanziona anche coloro che negano l`immortalita` dell`anima e che pensano che la vita finisca con la morte
del corpo), visto che l`eretico non credeva nella spirituaita` della vita, lo prendono a botte quasi da fargli saltare
fuori l`anima alla quale lui non crede; massacrandolo e ammazzandolo.
Terza strofa: si ricollega alla lettura sarcastica delle sacre scritture. Dopo che dio concesse all`uomo il frutto della
conoscenza, Egli lo fermo` per impedirgli di diventare immortale e invento` la morte e i ciclo delle stagioni.
(riferimento alla lettura della Genesi: quando l`uomo viene cacciato perde diritto all`eterna giovinezza e tutto cio`
che consegue all`aver disobbidito a Dio)
De Andre` e Bentivoglio nella reinterpretazione fanno capire che il discorso diverge prendendo una piega politica,
sottolineando il fatto che la sottrazione della mela proibita e` qualcosa che riguarda tutti noi che viviamo sulla terra, in
quanto ci viene nascosta la realta` delle cose e le masse vengono costrette a sognare in una realta` fittizia e illusoria
per impedirci di cogliere il frutto della conoscenza.
Quindi questo diventa un discorso puramente poitico : il giardino incantato e` sulla terra, l`illusione e` creato dal potere
che non vuole che le masse abbiano accesso alla conoscenza.

UN MALATO Dl CUORE
Brano di Fabrizio De André
"Cominciai a sognare anch'io insieme a
loro Poi l'anima d'improvviso prese il
volo"
Da ragazzo spiare i ragazzi giocare
Al ritmo balordo del tuo cuore
malato E ti viene la voglia di uscire
e provare Che cosa ti manca per
correre al prato
E ti tieni la voglia, e rimani a pensare Come diavolo fanno a
riprendere fiato Da uomo avvertire il tempo sprecato
A farti narrare la vita dagli occhi
E mai poter bere alla coppa dun fiato ma A piccoli sorsi
interrotti E mai poter bere alla coppa dun fiato ma
A piccoli sorsi interrotti
Eppure un sorriso io l'ho regalato
E ancora ritorna in ogni sua estate Quando io la guidai o fui forse guidato A contarle i capelli con le
mani sudate Non credo che chiesi promesse al suo sguardo
Non mi sembra che scelsi il silenzio o la
voce Quando il cuore stordì e ora no,
non ricordo Se fu troppo sgomento o
troppo felice
E il cuore impazzì e ora no, non
ricordo Da quale orizzonte
sfumasse la luce
E fra lo spettacolo dolce
dell'erba Fra lunghe carezze
finite sul volto
Quelle sue cosce color madreperla Rimasero forse un fiore non colto
Ma che la baciai questo sì lo ricordo
Col cuore ormai sulle labbra
Ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo E il mio cuore le restò sulle
labbra "E l'anima d'improvviso prese il volo
Ma non mi sento di sognare con
loro No, non mi riesce di sognare
con loro" TESTO ORIGINALE
Francis Turner, originale
I could not run or play in boyhood. ln manhood I could only sip
the cup, Not drink-
For scarlet-fever left my heart
diseased. Yet I lie here
Soothed by a secret none but Mary knows:
There is a garden of acacia,
Catalpa trees, and arbors sweet with vines-There on that afternoon in
June By Maryls side-
Kissing her with my soul upon my lips It suddenly took
flight. Come vediamo è sintetico e corto.
TRADUZIONE:
Da ragazzo non potevo nè correre nè giocare.
Quando fui uomo, potevo solo sorseggiare alla coppa, non bere perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore
malato.
Eppure giaccio qui consoltato da un segreto che solo
Mary conosce:
c'è un giardino di acacie, di catalpe e di pergole addolcite da viti là, in quel pomeriggio di giugno al fianco di
Mary mentre la baciavo con l'anima sulle labbra, l'anima d'improvviso volò via.
Il testo di masters non ha uno schema di rime definite, al contrario di de André.
Le note finali di questa canzone viene da Antonio Vivaldi, ciclo delle stagione, con particolare riferimento
all'inverno.
I primi due versi sono marcati dalle virgolette, potrebbe essere un riferimento
dantesco, ma vi sono varie possibilità e idee. Potrebbe essere un refuso, ma è raro. Oppure potrebbe essere un
epitaffio del malato di cuore, che in sé è una prolessi. Cè stato un momento in cui il malato di cuore era
partecipe della vita come tutti, fino alla sua morte. Se fosse un epitaffio è come vuole presentare la sua vita al
mondo. La seconda strofa ci racconta tutte le fasi della vita. Era invidioso degli altri bambini che potevano correre,
mentre lui no. Così come da uomo avvertì il tempo sprecato a farsi narrare la vita dagli altri, è come se vivesse
dagli altri.
Immagine correre e immagine coppa: viene negata la vita.
ln una strofa è racchiuso un attimo, ovvero quello del bacio, fatale. Basta una strofa per la vita intera e anche ad
un singolo istante. Se la stessa quantità di parole racconta un singolo instante, significa che un singolo istante può
valere quanto tutta la vita. Il malato di cuore è un'eccezione tra tutti gli invidiosi, è morto giovane ma felice, una
cosa abbastanza rara. Infatti la sua felicità dura in eterno. Bacio, riferimento a paolo e francesca e poesia Orga.
L'estate racchiude evento decisivo. Il battito di cuore per lui avvicina la morte, lui sa che ogni accelerazione può
essere fatale, ma non se lo nega.
Non ricorda se "abbia colto il fiore" ma si ricorda il bacio, momento più importante. Finale: l'anima prese il volo, si
ricollega all'inizio. Vi è un refuso. Non se la sente di sognare con gli altri perché ha vinto il circolo vizioso
dall'invidia, ha superato le meschinità della vita con l'amore.
L`ipotesto non e` condizionato da uno schema di versi definito, ma e` uno schema libero mentre De Andre` gli
da una struttura.

Analisi:
-riprende una parte musicale di Vivaldi “ l`inverno”

il sottotitolo funge da prolessi( anticipazione degli avvenimenti che nello sviluppo narrativo di un testo
avvengono dopo ) : questo ci fa capire che c`e` stato un momento in cui il malato di cuore abbia potuto godere
della vita di tutti gli altri, fino al momento in cui la sua anima prende il volo. Questa modalita` fa capire come il
malato voglia presentare la propria vita al mondo.

Dopo di che si ha una strofa che sembra raccogliere tutto il repilogo della poesia di Masters, ma e` in sostanza
una strofa che fa capire in sostanza tutta la vita del malato di cuore. Abbiamo dunque un'unica strofa che ci dice
di quando e` stato ragazzo e di quando e` stato adulto. Ci racconta di quando era ragazzo e invidia la pienezza
della vita degli altri ragazzini; proprio come quando da uomo vive attraverso la vita degli altri, essendo stato
sottratto della possibilita`di viversi la sua vita, avvertendo lo scorrere del tempo come vita sprecata, dalla
fanciullezza all`eta` matura.
Tutta una vita contenuta in una strofa.

Se poi andiamo a vedere in una strofa viene raccolto un attimo, quello del bacio. Basta una strofa per narrare una
vita intera, mentre una sola strofa puo `dare conto a un singolo istante.

Questo sta a significare che un singolo istante puo` valere piu` di un’intera vita.

Lui non viene messo nel girone degli invidiosi perche` muore felice.
Risulta essere uno dei testi piu` ricco di riferimenti letterari : abbiamo il “trasumaner dell`anima che prende il volo”
e il topos letterario del ‘bacio che toglie la vita’ facendo riferimento a Dante. Inoltre c`e` anche un riferimento all
immagine di Garcia Lorca con il riferimento del cuore che rimane sulle labbra dell`innamorato dopo il bacio.

La stagione in cui avviene l`avviamento decisivo e` giugno (estate).

Abbiamo inoltre varie antitesi : come la carezza accompagnata dalla paura, l`audacia accompagnata al battito del
cuore forte che sta provando.
Il battito del cuore non e` il battito del cuore che tutti noi abbiamo provato, ma e` un battito di cuore di una persona
malata di cuore dove ogni accellerazione implica l`avvicinamento alla morte.
Il malato di cuore e` consapevole e sa che l`accelerazione del battito per lui e` fatale ma nonostante cio` non si
nega all`amore consegnandosi alla morte. Proprio per questo lui mostra la consapevolezza di sapere che un
istante vale piu` di una vita.
In questo testo non c`e` cattiveia o rabbia.
L`unica cosa che gli rimane e` il bacio, e risulta essere la cosa piu` importante. Momento di massima felicita` e
apice della sua vita.

Il finale: si ricollega alla parte iniziale dell`incipit. Non si sente di sognare con loro (con gli altri) perche ha vinto il
circolo vizioso della vita.
Lezione del 07.04.2021

Un medico
Stiamo sempre all’interno dell’album Non all’amore, non al denaro né al cielo. L’ultima volta
abbiamo parlato dei personaggi relativi al lato A, un malato di cuore e abbiamo visto in che senso
faccia accezione rispetto al gruppo dell’invidia e colui il quale in punto di morte è riuscito a liberarsi
dal sentimento
dell’invidia e a concedersi fatalmente all’amore, con un bacio che gli ha provocato il tumulto del
cuore e conseguentemente lo ha portato alla morte.

Con un medico iniziamo il gruppo dei personaggi legati alla tematica della scienza. La vicenda del
personaggio è già possibile coglierla dal testo di Masters.

“Io dissi, quando mi diedero in mano il E tu scopri troppo tardi che fare il
diploma, io dissi a me stesso: sarò buono dottore è solo un modo per guadagnarsi
e saggio e coraggioso e utile al mio da vivere.
prossimo; dissi: porterò il credo cristiano E quando sei povero e devi portare
nella pratica della medicina! il credo cristiano e una moglie e i
In qualche modo il mondo e gli altri medici figli tutto su di te, è troppo!
sanno cosa c'è nel tuo cuore non appena È per questo che inventai l'Elisir di
prendi questa nobile decisione. Giovinezza, che mi spedì nella prigione di
E il fatto è che ti fanno morire di Peoria
fame. E nessuno viene da te se bollato come imbroglione e truffatore
non i poveri. dall'integerrimo Giudice Federale!”

La vicenda del Dottor Iseman è un’aspirazione che nasce fin da quando era giovane e si fonda su
un’ispirazione cristiana. Spinto da un ideale cristiano, cioè compiere il bene per il prossimo, questo
medico decide di divenire medico. evidentemente il dottore vive all’interno di una società che abbraccia
la fede e la religione cristiana, che si tratti di protestantesimo o cattolicesimo, non fa grossa
differenza. Non di meno nel giro di breve tempo il dottore viene ghettizzato dai suoi colleghi,
poiché questi ultimi intendono la professione del medico come tutte le altre la cui finalità è trarre un
guadagno, mentre Iseman professa il suo mestiere in nome della solidarietà e quindi si preoccupa
di cercare di alleviare le sofferenze di tutti, sia che siano in grado di pagare sia che non lo siano (i
suoi colleghi solo se si guadagna). Incomincia un processo per cui vengono dirottati verso il dottor
Iseman tutti quei pazienti che non sono in grado di pagare e in breve tempo si trova ad operare
solo con questi.
De André tenderà a tuffarsi nel mondo interiore del su personaggio.

Da bambino volevo guarire i tornassero in fiore


ciliegi Quando rossi di frutti li Perché i ciliegi tornassero in fiore
credevo feriti La salute per me li
aveva lasciati
Coi fiori di neve che avevan perduti

Un sogno, fu un sogno, ma non durò


poco Per questo giurai che avrei fatto
il dottore E non per un dio, ma
nemmeno per gioco Perché i ciliegi
E quando dottore lo fui
finalmente Non volli tradire
il bambino per l'uomo
E vennero in tanti e si
chiamavano "gente" Ciliegi
malati in ogni stagione

E i colleghi d'accordo, i
colleghi contenti Nel leggermi
in cuore tanta voglia d'amare Mi
spedirono il meglio dei loro
clienti
Con la diagnosi in faccia e per
tutti era uguale Ammalato di
fame, incapace a pagare
E allora capii, fui costretto a capire Perciò chiusi in bottiglia, quei fiori di
Che fare il dottore è soltanto un neve L'etichetta diceva, elisir di
mestiere Che la scienza non puoi giovinezza
regalarla alla gente Se non vuoi
ammalarti dell'identico male Se non E un giudice, un giudice con la faccia da
vuoi che il sistema ti pigli per fame uomo Mi spedì a sfogliare i tramonti in
prigione Inutile al mondo ed alle mie dita
E il sistema sicuro è pigliarti per fame Bollato per sempre truffatore imbroglione
Nei tuoi figli, in tua moglie, che ormai ti Dottor professor truffatore imbroglione
disprezza

La parabola è rimasta la stessa, anche i passaggi. Ciò che cambia nel pensiero di De André è che la
Buona Novella era interamente dedicata alla figura rivoluzionaria di Cristo proprio in base alla legge
sull’amore, in questo caso non contempla l’ideologia cristiana come molla istigatrice della passione
medica del protagonista. Cosa è ciò che spinge secondo Faber ad intraprendere la professione
medica?

Prima strofa
La canzone rientra nel ciclo delle stagioni, d’altronde come tutti i brani che abbiamo incrociato fino
ad ora: nella prima strofa il fiorire dei ciliegi corrisponde all’arrivo della primavera e quindi all’infanzia
del medico. La serie di immagini, sono metaforiche fino a un certo punto poiché sono cose che il
bambino vede concretamente, il fiorire dei ciliegi è marcato dai fiori bianchi che stanno ad indicare la
purezza d’animo del bambino, ma anche in generale dell’età della fanciullezza; cui segue però
inesorabilmente lo spuntare dei frutti (ciliegie rosse), prima strofa costruita su un’antitesi: candido dei
fiori che indica purezza, e il rosso dei frutti che ci riporta all’immagine del sangue e dunque all’idea
che quelle piante siano malate. Queste immagini in qualche modo diventano per il bambino una
sorta di metafisica, è lui che li trasforma in concetti metaforici che ci introducono in una dimensione
metafisica.
Troviamo un altro elemento discordante fra Masters e Faber: il fatto che nel caso del medico di
Masters, la
scelta deriva dall’insegnamento cristiano, quindi dal fatto che comunque qualcuno gli abbia trasmesso
l’insegnamento della famiglia; nel caso del bambino di De André non c’è bisogno di alcuna forma di
educazione, è una propensione naturale e ciò è testimoniato dal fatto che il bambino rapportandosi
direttamente con la natura acquisisce questa visione del mondo, per cui è necessario fare del bene e
risanare le ferite le quali da bambino immagina essere le ferite dei ciliegi ma quando cresce diventano
le ferite dei suoi stessi simili.

Seconda strofa
Dice che non si tratta più di un gioco ma di una vera e propria missione affinché i ciliegi tornassero
in fiore (possiamo intendere i ciliegi ma anche estendere il significato metaforico alla saluta che rifiorisce
nei suoi simili.

Terza strofa
C’è un verso che potrebbe racchiudere tutta la poetica deandreiana, “non volli tradire il bambino per
l’uomo”, idea non di voler essere eternamente una sorta di Peter Pan, ma anche di tradire
l’innocenza e gli
ideali della purezza del bambino una volta che si diventa adulti.

Quarta strofa
Questa sua naturale tendenza alla solidarietà, determina il fatto che il medico con più pazienti torna
alla propria corte, il problema è che si tratta di una corte ampia e piena di pazienti, i quali avevano la
loro diagnosi “scritta in faccia”. “Ammalato di fame, incapace a pagare”, l’atteggiamento cinico dei suoi
colleghi, determina il fatto che i migliori partiti e portafogli se li tenessero ben stretti, questo è il modo
in cui funziona il sistema sanitario purtroppo non solo nell’America contemporanea.

Quinta strofa
L’altra tematica che viene trattata nella canzone è particolarmente attuale e non solo in America nel
primo
‘900 e gli anni ’70 in Italia: il problema del fatto che non tutti hanno accesso alla stessa qualità nelle
cure
sanitarie. Il dottore capisce che fare il medico è solamente un mestiere, inoltre la scienza non si
può regalare alla gente. Paradossalmente il medico si rende conto di quale sia stato il suo errore: che la
scienza la si potesse regalare a tutti, quando in realtà l’errore che avrebbe dovuto cogliere sta nel
significato della scienza, ossia che questa equivale al progresso nel momento in cui la si può
regalare alla gente. Nel momento in cui i risultati raggiunti dagli scienziati sono accessibili a tutti,
se non la si può regalare alla gente diventa uno dei tanti sistemi che ha il potere per creare
l’equazione, e serve per rinsaldare l’ordine gerarchico della società capitalistica. Il punto di vista di
De André quindi non si discosta molto da quello di Masters, lo rende semplicemente più esplicito, il
fulcro era presente già dall’ipotesto.

Sesta strofa
La prima contestazione al merito arriva dalla sua stessa famiglia, la moglie, la quale sosteneva che
sposando un medico avesse la possibilità di accedere a tutt’altro tenore di vita. Quando si rende conto
che non viene pagato, incomincia subito a contestarlo.
La reazione del medico invece, visto che il sistema lo vuole fregare è cercare a sua volta di fregare
il sistema, ovviamente è una lotta impari in quanto è il medico ad essere destinato a soccombere. Finge
di aver inventato un elisir di giovinezza che vorrebbe vendere e spacciare a quegli stessi ricconi che lo
scansavano come medico, ma che ovviamente sono sempre alla ricerca di un elisir, peccato che alla
fine viene colto con le mani nel sacco e viene arrestato.
Quando nomina nuovamente i fiori di neve notiamo una sorta di chiusura ad anello (aspetto formale),
tipica di De André, in quanto sono nominati anche nella strofa iniziale. Il fatto che vicenda si chiuda
con il tentativo di chiudere in bottiglia i fiori del ciliegio può indicare il fatto che lui sta mettendo da
parte la sua purezza giovanile, perdere il candore originale.
Settima strofa
Non è un caso a questo punto che il giudice si manifesti con la faccia da “uomo”, ossia una faccia che
non mostra alcun tipo di compassione e di empatia, valuta il percorso del medico per quel che riguarda
solo la parte finale della parabola; non giudica le buone motivazioni che stavano all’inizio del
percorso, ma esclusivamente sulla parte finale. Di conseguenza il fallimento del medico è duplice:
è il fallimento del bambino degli ideali e della professione medica, con quelle dita che diventano inutili,
la sua professione non è più in grado di mettersi a disposizione di nessuno. Fallimento globale della
società all’interno della quale il medico operava.

Un farmacista di Masters
Soltanto un chimico può dire, e non buoni in se stessi, ma cattivi l'un
sempre , che cosa uscirà dalla l'altro: ossigeno lui, lei idrogeno,
combinazione il figlio un fuoco devastatore.
di fluidi o di solidi. Io, Trainor, il farmacista, mescolatore di
E chi può dire elementi chimici,
come uomini e donne reagiranno morto mentre facevo un
fra loro, e quali bambini esperimento, vissi senza sposarmi.
nasceranno? C'erano Benjamin
Pantier e sua moglie ,

Qui, per dar conto del flusso di coscienza del chimico deandreiano, il testo si espande moltissimo.
Questa è la storia di un farmacista che evita di legarsi a qualcuno e di portare avanti relazioni
sentimentali in quanto ne aveva il terrore. Il farmacista di Masters si rifugia nelle formule come il
matematico di Faber si
rifugerebbe nell’aritmetica, sicuro quelle formule chimiche danno dei risultati prevedibili, e dunque
sicuro
di potersi rifugiare all’interno di una dimensione blindata. Mentre, lo dice chiaramente, che il figlio
generato dall’unione fra uomo e donna, può essere definito un fuoco devastatore. Possiamo affermare
che il farmacista di Masters rifiuti la vita in tutti quegli aspetti che non sono prevedibili. Dato
interessante che è quasi un inciso nel suo discorso: muore per un esperimento sbagliato.
Il chimico

Solo la morte m'ha portato in collina Ma è forse diverso il vostro morire


Un corpo fra I tanti a dar fosforo Voi che uscite all'amore che cedete
all'aria Per bivacchi di fuochi che all'aprile Cosa c'è di diverso nel vostro
dicono fatui morire
Che non lasciano cenere, non sciolgon la
brina Solo la morte m'ha portato in collina Primavera non bussa lei entra
sicura Come il fumo lei penetra in
Da chimico un giorno avevo il ogni fessura Ha le labbra di carne I
potere Di sposar gli elementi e capelli di grano
farli reagire Ma gli uomini mai mi Che paura, che voglia che ti prenda per
riuscì di capire mano Che paura, che voglia che ti porti
Perché si combinassero attraverso l'amore lontano
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore
Ma guardate l'idrogeno tacere nel
Guardate il sorriso guardate il colore mare Guardate l'ossigeno al suo fianco
Come giocan sul viso di chi cerca dormire Soltanto una legge che io
l'amore Ma lo stesso sorriso lo stesso riesco a capire Ha potuto sposarli
colore senza farli scoppiare Soltanto una
Dove sono sul viso di chi ha avuto legge che io riesco a capire
l'amore Dove sono sul viso di chi ha
avuto l'amore Fui chimico e, no, non mi volli
sposare Non sapevo con chi e chi
Che strano andarsene senza soffrire avrei generato Son morto in un
Senza un volto di donna da dover esperimento sbagliato
ricordare Proprio come gli idioti che muoion d'amore
E qualcuno dirà che c'è un modo
migliore

Rispetto al testo di Masters, nell’incipit il chimico si presenta in maniera molto differente, qui c’è
un’intera strofa che nel testo originale non c’era, il chimico entra in scena dichiarandosi come
quello che solo la morte ha portato in collina. Che significato ha? Perché ci tiene così tanto a
farcelo sapere? Cosa rappresenta la collina? Il cimitero, ci sta dicendo che è solo la morte che l’ha
portato al cimitero. Il testo lo possiamo leggere in molti modi, uno di questi è che non aveva mai
visitato alcun cimitero in quanto non aveva affetti, il chimico ha vissuto come una persona sola e
ciò rappresenta uno dei filoni che attraversa tutto l’album, così come l’Antologia di Spoon River: la
solitudine. Difficile però che per quanto fosse solo, per quanto abbia sempre rifiutato la voglia di
sposarsi e si sia sempre distaccato dalle donne, è difficile che non avesse almeno dei genitori da
andare a piangere in collina.
È possibile leggere anche che tutto dopo la morte non esiste più, per cui lui non si reca mai in
cimitero, il che rientrerebbe all’interno di una logica meccanicistica per cui nulla si crea nulla si
trasforma tutto si distrugge. Potremmo fare riferimento ai Sepolcri di Foscolo, la sua visione era
materialista, ossia seguiva una dottrina per la quale tutto ciò che va a comporre l’esistente è materia
e nient’atro, senza alcuna possibilità di affacciarsi a un aspetto spirituale. Foscolo si chiede se dentro
un sepolcro il sonno della morte è meno duro, la risposta è no. Dal punto di vista materialista il
sonno della morte non è meno duro, in quanto la morte implica la fine. Per Foscolo il sepolcro
serve ai vivi, in quanto rappresenta una serie di valori trasmessi da chi è morto a chi è vivo. Uno
dei valori sottolineati dalla presenza del sepolcro, è la capacità di eternare.

Il chimico è un materialista? Per lui la morte coincide con il disfacimento del corpo e dunque della
materia, la sua prospettiva è quindi quella materialistica, la medesima di Foscolo quando scrive i
sepolcri. In qualche modo il nostro chimico va oltre la prospettiva di Foscolo, poiché afferma anche
di non essere mai entrato in un cimitero e ci sta dicendo che non è neanche disposto a riconoscere
quei valori che gli vengono attribuiti da Foscolo.
La seconda strofa è quella in cui De André probabilmente si riconnette direttamente all’ipotesto. Il
chimico capisce perfettamente come funzionano le leggi della chimica, ma non avendo le stesse
capacità nel leggere le leggi fra gli uomini, non è disposto ad affidare gioia e dolore a un incontro
casuale, solo la formula chimica lo rassicura, nella misura in cui essa è prevedibile. Stesso punto
sottolineato da Masters.

La terza strofa ci dice qualcosa in più rispetto all’originale per quanto concerne la psicologia del nostro
chimico. Si ha una visione cinica, il chimico evita le relazioni umane ma si dimostra un ottimo
osservatore dei rapporti altrui, al punto che, come un pittore, riesce a cogliere il colore sul volto di
tutti quelli che riescono a viversi tutte le sensazioni preliminari, a una relazione di qualunque tipo.
Allo stesso con
l’atteggiamento del cinico sottolinea da osservatore che quel colore, quell’accendersi, quell’entusiasmo
sparisce dal volto di chi l’amore l’ha conosciuto. Chi l’amore l’ha conosciuto, dopo un tot quei
sentimenti, colori e palpitazioni vengono meno. Per chi lo vive in prima persona, l’amore risulta
essere imprevedibile fino a quando non si arriva alla reciprocità del sentimento. Per chi lo guarda da
fuori invece, il finale di una storia d’amore è sempre prevedibile e coincide con l’estinguersi del
desiderio. In qualche modo il malato di cuore è il contrastare del chimico, ma è anche quello che
dell’amore ha vissuto in momento
dell’entusiasmo iniziale, ed essendo morto nel momento del bacio non ha avuto tempo di provare
l’estinguersi del desiderio.

Nella quarta strofa, aprile ci riconduce nuovamente al ciclo delle stagioni. Nella quarta strofa,
aprile ci riconduce nuovamente al ciclo delle stagioni, come caratteristiche di tutti i brani del concept
album, lui dichiara che non ci sia un volto di donna da ricordare per lui, ma allo stesso tempo traccia
nella strofa successiva il ritratto di una figura femminile, una delle immagini più sensuali di tutto l’album,
ossia la strofa della primavera, (quinta strofa). La primavera va intesa sempre come giovinezza e
fanciullezza, ma soprattutto rappresenta l’amore che è inteso quasi come se fosse la grande forza
(in termini scientifici) della natura, alla quale sembra impossibile potersi sottrarre poiché entra in
ogni fessura. Il chimico ci da il ritratto della primavera d a immaginare poiché, così come il malato di
cuore guardava la vita degli altri (dato che non poteva correre né niente), doveva negarsi a tutto ciò
che fosse sforzo e sofferenza, così anche il chimico osserva la vita altrui e se ne sottrae, seguendo una
scelta totalmente opposta. L’immagine della primavera può essere intesa o come un ritratto
stereotipato di chi l’amore lo conosce solo
dall’esterno e dà un’immagine che potrebbe essere simile a quella della primavera di Botticelli:
classico stereotipo, capelli di grano e labbra di carne; oppure RIASCOLTA minuto 12 circa come un
ritratto intenso e sensuale ma anche prevedibile, quell’amore che era riuscito a entrare nella sua vita
alla fine non è riuscito a trascinarlo. Decide di non concedersi all’amore perché ha paura, l’amore
ha altre leggi rispetto alla materia, che sono più difficili da controllare.

Ultima strofa, perché il chimico muore come gli altri per un esperimento sbagliato? Alla fine nella vita
non tutto è prevedibile, non aveva calcolato che forse anche la chimica e il legame fra gli elementi
corrispondo all’orientamento della natura e questa non la si può dominare e tenere sotto
controllo, sia che si tratti di sentimenti umani sia che si tratti degli elementi. La natura in generale,
non sono l’amore, non la si può sempre tenere dentro una formula matematica o chimica, è
l’imprevedibilità della vita che alla fine ha fatto il suo corso. Il chimico si era illuso di aver trovato un
modo per poter dominare e prevedere Goni effetto delle leggi della natura, ma questa va oltre ogni
formula. L’idiozia è il modo attraverso cui lui cerca di
rintuzzare ciò che non capisce, che è relegato agli idioti. L’uomo di scienza è l’uomo che è in grado di
capire, non è idiota perché riesce a capire e a maneggiare ciò che opera quotidianamente. Alla fine
afferma lui stesso di essere idiota, perché non è in grado di comprendere fino in fondo ciò che sta
maneggiando, riconosce il suo stesso limite.
Dippold l’ottico. Masters
Che cosa vedete adesso? Bene, adesso!
Globi di rosso, giallo, Pini, un lago, un cielo
porpora. Un momento! E d'estate. Questa va meglio. E
adesso? adesso? Un libro.
Mio padre e mia madre e le mie Leggetemi una pagina.
sorelle. Sì. E adesso? Non posso. Gli occhi mi sfuggono di là dalla
Cavalieri in armi, belle donne, visi pagina.
gentili. Provate questa. Provate questa lente.
Un campo di grano — una Abissi d'aria.
città. Benissimo! E adesso? Ottima! E adesso?
Molte donne dagli occhi vivi e le labbra Luce, soltanto luce che trasforma tutto il
schiuse. Provate queste. mondo in un giocattolo.
Soltanto un bicchiere su un Benissimo, faremo gli occhiali così.
tavolo. Oh, capisco! Provate
questa lente!
Soltanto uno spazio vuoto — non vedo nulla
in particolare.

Testo poetico costruito in forma di dialogo fra l’ottico e il suo cliente. De André modifica totalmente
la struttura dall’ipotesto, in quanto nella canzone diventeranno quattro i clienti, con quattro diverse
visioni della realtà, qui abbiamo una sequenza di diverse versione generate però da un unico
cliente.

Un ottico
Daltonici, presbiti, mendicanti di Rompono gli argini
vista Il mercante di luce, il vostro Trovano cieli da fotografare
oculista Ora vuole soltanto clienti Sangue che scorre senza fantasia
speciali Porta tumori di malinconia
Che non sanno che farne di occhi
normali Vedo gendarmi
pascolare Donne chine
Non più ottico ma spacciatore di sulla rugiada
lenti Per improvvisare occhi Rosse le lingue al polline dei
contenti Perché le pupille abituate fiori Ma dov'è l'ape regina?
a copiare Inventino i mondi sui Forse è volata ai nidi
quali guardare Seguite con me dell'aurora Forse volata, forse
questi occhi sognare più non vola
Fuggire dall'orbita e non voler
ritornare Vedo gli amici ancora sulla
strada Loro non hanno fretta
Vedo che salgo a rubare il
Rubano ancora al sonno
sole Per non aver più notti
l'allegria All'alba un po' di notte
Perché non cada in reti di
E poi la luce, luce che
tramonto L'ho chiuso nei miei
trasforma Il mondo in un
occhi
giocattolo
E chi avrà freddo
Lungo il mio sguardo si dovrà Faremo gli occhiali
scaldare così! Faremo gli
occhiali così!
Vedo i fiumi dentro le mie
vene Cercano il loro mare

Per quel che riguarda le visioni è difficile venirne a capo. L’ottico di Faber è ben diverso da quello di
Masters, qui ha una finalità ultima:spacciare delle lenti che consentano di aver accesso ad altri
mondi. Spacciatore è un termine inequivocabile, il quale ci guida nel comprendere di chi stiamo
parlando: spacciatore di droghe. Anche la musica che diventa psichedelica, scelta consapevole,
quando supporta le visioni a cui hanno accesso i clienti, dal momento in cui entra in scena l’ottico è una
musica da baraccone e grande imbroglione. Non si tratta più di un semplice copiare, ossia le pupille che
riproducono fedelmente il
mondo, bensì inventare mondi su cui poi guardare. Che differenza c’è fra le varie visioni? Le allucinazioni
sono visive e perseguite anche a livello sonoro dalle scelte perseguite da Faber. Non è semplicemente
una realtà onirica quella che viene innescata dallo spacciatore, è ciò che si vede sotto effetto di droghe,
dunque bisogna cercare di condurlo a uno schema razionale, anche se difficile. Dice che c’è chi sostiene
che i clienti sono sotto quattro tipi di droghe differenti, ad esempio con il secondo cliente c’è un
riferimento a “fiumi dentro le vene”, potrebbe essere riferito all’eroina, siamo anche negli anni dell’SD, è
una canzone in tema. Possiamo poi soffermarci nell’osservazione il primo cliente che sembra in
preda a un’ansia di dilatare la misura del tempo, vuole rubare il sole per non aver più notti; il
secondo è preda di un’ansia che in qualche modo è assimilabile a quella del primo, ma sul piano delle
coordinate spaziali: entrambi parlano di cercare mari, corrompere i cieli, rompere gli argini. Si tratta di
ampliare sempre più i limiti del proprio orizzonte.
Aldilà di ciò, il linguaggio è polisemico, etereo, particolarmente difficile da comprendere.

Sono mondi alternativi prodotti sempre in maniera artificiosa, per cui hanno la durata di una droga.

Sono importanti più gli ultimi versi dove si dice “luce che trasforma il mondo in un giocattolo”, per
questo termine possiamo avere vari significati attribuibili: da un lato sembra la capacità di trasformare
la realtà ad un concetto ludico, dunque non più assoggettata alle regole de profitto ma alle regole
di uno spirito ludico, quasi infantile. Alla fine dei conti lo spacciatore ha introdotto i clienti a una
realtà piacevole. Però se noi facciamo riferimento alla canzone del Medico, c’è una parte in cui
dice che. Ispirato dai migliori principi diceva che voleva prendersi cura degli uomini non per un
Dio, ma nemmeno per gioco, qui non ha esattamente una funzione positiva. Ciò che adesso voleva
sottolineare De André è proprio la dipendenza dal giocattolaio, che li riduce ad essere bambini, e
dunque dipendenti da ciò che il gioco propone.

Mentre i primi due clienti parlano di loro stessi e della loro esperienza fatta in prima persona, ciò che
differenzia il quarto cliente da tutti è che è l’unico che guarda gli altri. Ogni cliente reagisce in
maniera differente alla droga, in linea di massima i quattro clienti o li consideriamo sotto l’effetto di
quattro droghe diverse, e in questo caso il quarto avrebbe usato droghe leggere che fanno una visione
meno distorta e più socialmente integrante; oppure potrebbe essere la stessa droga nei quattro stadi per
cui il quarto cliente dà conto del momento in cui gli effetti della droga cominciano a sparire e si
comincia a tappetare alla realtà che lo circonda. Entrambe le letture ci stanno.

13 Aprile Cannas
IL SUONATORE JHONS di Masters
In questo caso si tratta di un violinista; mentre nel testo di De Andrè il violino si trasforma in flauto
ma rimane abbastanza fedele al testo originale.
TESTO:
La terra ti suscita,
vibrazioni nel cuore: sei tu.  
E se la gente sa che sai suonare,
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Che cosa vedi, una messe di trifoglio?
O un largo prato tra te e il fiume?
Nella meliga è il vento; ti freghi le mani
perché i buoi saran pronti al mercato
o ti accade di udire un fuscìo di gonnelle
come al Boschetto quando ballano le ragazze.
Per Cooney Potter una pila di polvere
o un vortice di foglie volevan dire siccità;
a me pareva fosse Sammy Testa-rossa
quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor.
 Come potevo coltivare le mie terre,
— non parliamo di ingrandirle — 
con la ridda di corni, fagotti e ottavini
che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa,
e il cigolìo di un molino a vento — solo questo?
Mai una volta diedi mani all'aratro,
che qualcuno non si fermasse nella strada
e mi chiamasse per un ballo o una merenda.
Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato —
e un ridere rauco e ricordi,
e nemmeno un rimpianto.
ANALISI:
Gia’ in questo testo c’è una consonanza tra il battito del cuore e le vibrazioni che vengono emesse dalla
terra che produce un’idea di empatia tra il protagonista (quindi del suo stato d’animo) e la vita naturale;
questo riguardera’ anche il testo di De Andre’.
Il suonatore Jones eredita un ampio appezzamento di terra, ma decide di fronte a Dio (dopo aver pensato
se coltivare la terra come i suoi genitori o dedicarsi all’arte) di seguire il fruscio delle donne che ballano la
sua stessa musica piuttosto che coltivare la terra. La musica e’ quella del suono della natura, canto degli
uccelli, mettendosi in contatto e in armonia con la natura stessa.

IL SUONATORE JONES de Andre’

In un vortice di polvere 
Gli altri vedevan siccità 
A me ricordava 
La gonna di Jenny 
In un ballo di tanti anni fa
Sentivo la mia terra 
Vibrare di suoni, era il mio cuore 
E allora perché coltivarla ancora 
Come pensarla migliore 

Libertà l'ho vista dormire 


Nei campi coltivati 
A cielo e denaro
A cielo ed amore 
Protetta da un filo spinato 

Libertà l'ho vista svegliarsi 


Ogni volta che ho suonato 
Per un fruscio di ragazze 
A un ballo
Per un compagno ubriaco 
E poi se la gente sa 
E la gente lo sa che sai suonare 
Suonare ti tocca 
Per tutta la vita 
E ti piace lasciarti ascoltare 
Finii con i campi alle ortiche 
Finii con un flauto spezzato 
E un ridere rauco 
E ricordi tanti 
E nemmeno un rimpianto

ANALISI:
Come si puo’ notare in questo caso De Andre’ e’ molto fedele all’ipotesto.
L’immagine oltraggiosa e minacciosa del vortice di polvere che puo’provocare un cambiamento climatico (la sicita’)
viene sublimato dal musicista Jones .
Rimane inoltre la perfetta coincidenza del vibrare di suoni provenienti dalla terra e il cuore del protagonista; ragion
per cui il suonatore di De Andre’ riuscira’ ad abbandonare la terra e a mettersi in perfetto equilibrio con la terra
stessa.
Pur essendo molto fedele al testo originale, si nota come le strofe siano state rielaborate in maniera indipendente da
De Andre’.

Sono le strofe che vengono scandite dall’Anafora (liberta’): in cui canteggia da un lato l’immagine del filo spinato con
le ragazze che ballano. Queste due immagini sono sostanzialmente opposte, come se una strofa fosse l’antitesi
perfetta dell’altra. Da una parte vi e’ l’immagine di una liberta’ che dorme, che e’ spenta e che non e’ stimolante.
Dorme perché non ha un principio attivo dal momento in cui potersi esprimere liberamente… i campi sono chiusi
come a rappresentare l’individualismo, il concetto di proprietà privata. Rappresenta la societa’ che non permette
libertà di espressione.
Mentre la libertà inizia dal momento in cui si puo’ esercitare la propria professione in assoluta libertà senza essere
condizionati dal profitto. Soprattutto dall’immagine antitetica del filo spinato, dove è riuscito a condividere la sua arte
con i suoi compagni, ritornando al fruscio delle ragazze in un ballo.
Rispetto alle ultime strofe si aprono due questioni:
1.perchè la vicenda finisce con un flauto spezzato, che sembra in quale modo un’immagine di segno negativo e
sembrerebbe contraddire l’idea di una vita che finisce con un insieme di ricordi senza neanche un rimpianto ?
Si puo’ pensare che dopo aver raggiunto il totale assorbimento con la natura egli non abbia piu’ sentito la necessita’
di usufruire dell’utilizzo dello strumento musicale,nel senso che è arrivato a una piena armonia con il mondo della
natura che coincide con il momento della sua morte.
Un'altra lettura puo’ essere anche che dopo la sua morte qualcuno abbia spezzato il flauto, come se morendo lui
morisse contemporaneamente anche il flauto.
I campi alle ortiche sono finite alle ortiche sta a significare il momento in cui lui prese la decisone di non gestire le
terre famigliari ma decide di dedicarsi alla musica.

2.se si condivide la tesi che è stata data come lettura di questo componimento, ossia che il suonatore Jones
coincida in tutto e per tutto con la figura di De Andre’.
E’ piu’ corretto pensare al Suonatore Jones come una condizione ideale dell’artista.

14 Aprile Cannas

ALBUM LE NUVOLE (1990): viene ritenuto l’album piu’ importante. Questo per il suo riferimento politico. Risulta
essere abbastanza complesso ma estremamente importante.
Le due canzoni dell’album alle quali daremo maggiore rilevanza e attenzione, in quanto ritenuti i cardini, sono: LA
DOMENICA DELLE SALME e LA CANZONE 800.
Come si arriva a questo album?
Tra l’album del 1971 (non all amore, non al denaro e non al cielo) e questo del 1990 (le nuvole) intercorrono 19 anni, e
nel frattempo De Andrè pubblica altri album che possono essere considerati sempre dei concept album.

1. Nel 1973 pubblica STORIE DI UN IMPIEGATO con la partecipazione sempre di Piovani e Giuseppe
Bentivoglio per quel che riguarda i testi. Esso è il romanzo di una sorta di paradossale rivoluzionario: un
impiegato che decide di fare la rivoluzione da solo e che diventa bombarolo e che imparera’ la logica sociale
e comunitaria una volta che finira’ in carcere.

2. Nel 1974 segue l’album concepito insieme a Francesco De Gregori che è VOLUME 8

3. Per poi nel 1978 finire con l’album RIMINI

4. Nel 1979 avviene il sequestro in Sardegna insieme a sua moglie Dory e rimarra’ rinchiuso per diversi mesi:
dall’agosto del 79fino alla fine di dicembre. Questa esperienza lo segnera’ profondamente ma non destera’
nessun cambiamento con l’isola della Sardegna; tanto che quest’ultima sara’ la protagonista dell’album
successivo del 1981 intitolato FABRIZIO DE ANDRE’ ma conosciuto come l’album L’INDIANO.

5. Nel 1984 segue un album che per qualcuno poteva essere considerato sperimentale ma che si rivela un
successo anche per quanto riguarda i contenuti, scritto interamente in dialetto Genovese e che si pensava
sarebbe risultato un flop ma che in realta’ si rivelo’ un album di grande successo. Peter Gabriel lo considero’
uno dei 10 album migliori al mondo di tutta la discografia mondiale. La scelta paradossale del dialetto
Genovese, che non parlava nessuno e ricco di termini, ma che De Andrè utilizzo perché voleva ottenere il
risultato di far risuonare un eco mediterraneo; ossia un linguaggio di apertura, di comunicazione, di scambi,
di contaminazioni colturali.
Visto che l’utilizzo del dialetto verra’ ripreso anche nell’album Le nuvole, dobbiamo capire Perché il Dialetto?
La scelta del Dialetto corrisponde a una serie di specifiche esigenze: da un lato quella dell’Espressività, in quanto
il dialetto da conto di quella che è la quotidianità e l’immediatezza della vita concreta a differenza della lingua
istituzionale che per certi versi risulta essere artificiosa e ingessata da un uso conformistico; da un altro lato vi è
un esigenza puramente Tecnica, in quanto l’Italiano è una lingua formata da parole piane (con accento quasi
sempre sulla penultima), quindi una lingua molto musicale in sé ma che fa molta fatica a collaborare le partiture
con gli spartiti rispetto a delle lingue come il francese e all’inglese ad adattarsi alla veste musicale. Secondo De
Andrè il francese e l’inglese sono vantaggiate in quanto sono ricche di parole accentate sull’ultima. Da questo
punto di vista il Genovese risulta essere una lingua molto più fluida e fondata su grande quantità di termini
tronchi (accentati sull’ultima).
La terza ragione invece risulta essere puramente Politica, che tornerà particolarmente utile nell’Album LE
NUVOLE. De Andrè fa riferimento a Pasolini, il quale funge per De Andrè come una sorta di Sillogismo. De Andrè
pertanto afferma che : ‘Pasolini diceva che il petto è il popolo e il popolo è autenticità, attraverso una sorta di
sillogismo ne deduco che il dialetto è autenticità’

Il punto di riferimento per De Andrè è in questo caso una commedia di Aristofane che è per l’appunto LE
NUVOLE.
‘Per l’aristocratico Aristofane le Nuvole erano quei cattivi consiglieri che ,secondo lui, insegnavano ai giovani a
contestare. In particolare Aristofane prese di mira i Sofisti che indicavano alle nuove generazioni un nuovo tipo di
atteggiamento mentale e comportamentale; sicuramente innovativo e provocatorio nei confronti del governo
conservatore dell’Atene di quei tempi. La nuvola più pericolosa, sempre secondo Aristofane, era Socrate che, egli
ha la sfattagine di mettere in mezzo ai Sofisti.
Per De Andrè invece le sue nuvole sono da intendersi come quei personaggi ingombranti e incombenti nella
nostra vita sociale, politica ed economica, e sono tutti coloro che hanno terrore del Nuovo, perché il Nuovo tende
a sovvertire le loro posizioni di potere.
Nella seconda parte dell’album si muove il popolo, che quelle nuvole subisce senza dare quell’evidente segno di
protesta’.
Questo fa capire come le lingue siano di fondamentale importanza, perché nel lato A si muovono i potenti,i
servitori,collaborazionisti del potere la cui allegoria è rappresentata appunto dalle nuvole. Nel lato B si muove il
popolo e in questo caso De Andrè lo fa parlare con quella chè la sua lingua naturale (lingue minoritarie).
Quindi l’album riveste e ha una forte componente allegorica. Le Nuvole pertanto rappresentano i potenti che
sopra di noi,ci impediscono in quanto popolo di vedere la verità, la luce del sole.
L’album può essere letto come se avesse al suo interno una sorta di codice Binario: da una parte, la questione
delle lingue (italiano vs lingue minoritarie); mentre dall’altra parte il fatto che si presti una lettura allegorico.
Vi è inoltre un’altra terza questione che affronteremo nel momento in cui andremo ad ascoltare LA CANZONE
800 (nella seconda traccia dell’album).

primo brano. Brano di apertura, che sorprende chi aveva appena comprato l’album di De Andrè e lo sente per la
prima volta nel Settembre del 1990 e rimane subito spiazzato perché l’album di apertura non è cantato da De
Andrè ma è recitato dalla voce di due donne Sarde.
Le nuvole
Fabrizio De André
Vanno
Vengono
Ogni tanto si fermano
E quando si fermano
Sono nere come il corvo
Sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche


E corrono
E prendono la forma dell'airone
O della pecora
O di qualche altra bestia
Ma questo lo vedono meglio i bambini
Che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con un rumore


Prima di arrivare
E la terra si trema
E gli animali si stanno zitti
Certe volte ti avvisano con rumore

Vengono
Vanno
Ritornano
E magari si fermano tanti giorni
Che non vedi più il sole e le stelle
E ti sembra di non conoscere più
Il posto dove stai

Vengono
Per una vera
Mille sono finte e si mettono lì
Tra noi e il cielo
Per lasciarci soltanto una voglia di pioggia

ANALISI:
La cadenza delle voci recitanti è una cadenza Sarda. Anche i costrutti sintattici tradiscono il fatto che vi è una forma che
rappresenta una lingua minoritaria e non l’Italiano come per esempio la terra si trema e gli animali si stanno zitti. Questo sta
a indicare che chi parla è in qualche modo il rappresentante del popolo.
Di nuvole in questo testo ne vediamo transitare diverse,vanno e vengono. Se noi sappiamo che dietro le nuvole si
nasconde il concetto allegorico del potere, quelle nuvole che vanno e vengono indicano i politici che normalmente vanno e
vengono. Nel momento in cui si fermano e diventano nere come il corvo e sembra che guardino con malocchio (anche qui, la
mancanza del congiuntivo indica in maniera funzionale il parlato), indica poteri non democratici e non coronati dalla logica
della dialettica democratica ma , diventano quei totalitarismi che finiscono per sopprimere i diritti dei cittadini.
Gli animali che stanno zitti sono da intendere come predagio di temporale in senso allegorico.
Nonostante possano arrivare delle nuvole bianche, anche quest’ultime possono presentare delle insidie e solo un bambini
ingenuo può vedere in quelle forme qualcosa di piacevole.
Certe volte avvisano con il rumore, come per esempio la presa di potere da parte del fascismo fu preavvisata dalla marcia su
Roma o ad altre situazioni storiche.

Grosso modo tutto il resto della composizione segue la stessa linea logica.
La scelta delle due voci, una anziana e una più giovane, perché per lui dovevano essere e significare espressione della
madre terra che attende di essere in qualche modo dissetata: la voglia di pioggia che in qualche modo deve lavare via le
macerie depositate dai potenti. Ovviamente con l’augurio che la pioggia non si trasformi in un alluvione o temporale che
spazzi via tutto quanto, lasciando solo le vittime.

Quindi tutto il testo può essere letto con questa chiave allegorica che abbiamo descritto.

Il fatto che per una vera, tutte siano finte sembra quasi riconnettersi a un moto popolare cinese che poi è diventato uno
slogan di Mao e del Maomismo (la famosa immagine del potere che sembra terrificante e aggressivo ma che in realtà è una
tigre di cartone che si regge su delle gambe che sono estremamente fragili). Per cui il popolo ha paura di qualche cosa che
non ha una consistenza e una struttura che reggerebbe una grande d’onda d’urto se qualcuno decidesse di protestare.

La prospettiva che ci viene trasmessa da questo album è quella di una crisi rispetto alla quale il popolo ha smesso di
protestare.
LA CANZONE OTTOCENTO
Questo album in partenza si sarebbe dovuto chiamare Ottocento e non LeNuvole.
Perché Ottocento? Parlando di codice binario a proposito delle lingue e dell’allegoria, anche in questo caso De Andrè
propone un parallelismo tra l’Ottocento e gli anni 1980.
COSA HANNO IN COMUNE QUESTI DUE PERIODI? Attraverso una proporzione si nota quelle che saranno le intenzioni
dell’autore:

1. Prima proporzione: gli ideali della rivoluzione francese stanno all’impero napoleonico , come gli ideali del
comunismo stanno all’impero sovietico. Ambedue ne rappresentano il tradimento .

2. Seconda proporzione: l’impero napoleonico caduto sta alla restaurazione, come l’impero sovietico che sta per
giungere , sta al trionfo sovietico del capitalismo.

La restaurazione ha rappresentato , dopo la caduta di Napoleone, il trionfo delle vecchie aristocrazie e dei vecchi
poteri. Per comprendere la restaurazione basta prendersi un passo di leopardi per vedere gli effetti anche culturali,
di conformismo, di bigottismo nell’Ottocento. L’ effetto della restaurazione viene messo a paragone con la caduta
dell’impero sovietico (che sta per arrivare ) che aprirà la strada al trionfo del capitalismo indiscusso, che poi
arriverà ad essere Neoliberismo.

È come se De Andrè mettesse in piedi una macchina del tempo, dove il lettore/ascoltatore è costantemente proiettato dagli
avvenimenti ripresi in tempo reale negli anni 80 ad avvenimenti che hanno una portata di eventi molto molto più ampia e
che si sono sedimentati . per cui il lettore viene trasportato continuamente dal proprio tempo, a la prospettiva di una secolo
che è frutto degli ideali traditi, secolo della rivoluzione industriale,secolo dell’ascesa della borghesia ma è anche il secolo
del bigottismo. Tutto questo viene proiettato da De Andrè in quel crinale decisivo tra gli anni 80/90.

Potremo rendere il tutto con una formula ricavata da Marx : ‘ i fatti storici accadono sempre due volte, la prima volta si
manifestano nella forma della tragedia, la seconda volta si manifestano con le modalità della farsa’

In qualche modo capiamo ascoltando la canzone che il clima che vuole instaurare De Andrè con l’interpretazione di questo
brano tende decisamente alla satira/farsa.

Cantami di questo tempo


L'astio e il malcontento
Di chi è sottovento
E non vuol sentir l'odore
Di questo motore
Che ci porta avanti
Quasi tutti quanti
Maschi, femmine e cantanti
Su un tappeto di contanti
Nel cielo blu

Figlia della mia famiglia


Sei la meraviglia
Già matura e ancora pura
Come la verdura di papà

Figlio bello e audace


Bronzo di Versace
Figlio sempre più capace
Di giocare in borsa
Di stuprare in corsa
E tu, moglie
Dalle larghe maglie
Dalle molte voglie
Esperta di anticaglie
Scatole d'argento ti regalerò

Ottocento
Novecento
Millecinquecento scatole d'argento
Fine Settecento ti regalerò

Quanti pezzi di ricambio


Quante meraviglie
Quanti articoli di scambio
Quante belle figlie da sposar
E quante belle valvole e pistoni
Fegati e polmoni
E quante belle biglie a rotolar
E quante belle triglie nel mar

Figlio figlio
Povero figlio
Eri bello, bianco e vermiglio
Quale intruglio
Ti ha perduto
Nel Naviglio
Figlio figlio
Unico sbaglio
Annegato come un coniglio
Per ferirmi
Pugnalarmi nell'orgoglio
A me a me
Che ti trattavo
Come un figlio
Povero me
Domani andrà meglio

Eine kleine Pinzimonie


Wunder Matrimonie
Krauten und Erbeeren
Und Patellen und Arsellen
Fischen Zanzibar
Und einige Krapfen
Früer vor schlafen
Und erwachen mit der Walzer
Und Alka-Seltzer für
Dimenticar

Quanti pezzi di ricambio


Quante meraviglie
Quanti articoli di scambio
Quante belle figlie da giocar
E quante belle valvole e pistoni
Fegati e polmoni
E quante belle biglie a rotolar
E quante belle triglie nel mar

Analisi:
De Andrè fece delle scelte di autori di matrice ottocentesca che ci obbligano a oscillare contemporaneamente al nostro
tempo per poi andare all’ottocento. Il nostro tempo è tutti e due in quanto, il tempo è il nostro ma vi è una continua
interferenza di quella che è l’atmosfera ottocentesca
Come canta De Andrè? Canta facendo riferimento a un cantante lirico, facendo il verso. Mentre De Andrè canta
verseggiando l’opera lirica allo stesso tempo, Il testo a sua volta fa riferimento a un opera epica, con un attacco che è
degno dei poemi omerici (cantami o musa). Scopriremo ben presto che l’eroe di questo testo non è certamente l’eroe greco
ma è un miserabile galoppino del capitale.
De Andrè afferma in questo album che il capitalismo non è mai democratico.(a proposito della logica allegorica)
Da Samuel Bellamy (pirata delle Antille del 1775) riprende una citazione: ‘sono un principe libero e ho altrettanto diritto a
muovere guerra al mondo intero quanto colui che ha 100 navi in mare’ una frase che è in qualche modo sintesi del pensiero
libertario dell’anarchico De Andrè.
Prima strofa
Il protagonista di questa sorta di poemetto che non è piu’ epico ma è comico, è un borghese probabilmente in odore di
aristocrazia, che vuole tentare l’ascesa ultima e l’ultimo livello della società (vedremo come poi riuscirà a giungere a questo
salto). Un borghese che celebra la potenza di questo motore che porta avanti tutti, in quanto il motore del capitale tende a
trascinare tutti.
Chi si vuole opporre non lo fa concretamente nell’azione, più che altro tende a sistemarsi in un punto in cui non sente
l’odore di questo motore, senza però alla fine dei conti mettersi in gioco per cercare di sovvertirne la logica.
Ci racconta di chi non va contro il capitalismo, di chi ne sente l’odore ma e si fa trascinare.
Il protagonista è un borghese di cui l’autore presta una voce in falsetto.
Nelle strofe successive
Il borghese presenta semplicemente una serie di ritratti, tutti i membri della sua famiglia.
Parte dalla figlia, alla quale per ora non dedica grande attenzione. Figlia che viene definita matura ma ancora pura
(bigottismo) e che viene definita come un mezzo di scambio in quanto si deve mantenere vergine nell’ottica di una politica
di matrimonio di comodo che possono permettere un’ascesa. Ascesa che vedremo nel finale.
Appare invece molto più orgoglioso dalla figura del figlio, figlio che viene definito con un gioco di parole bronzo di Versace,
non ha niente di eroico come i bronzi di Riace ma è piuttosto un Bronzo di Versace, bello in quanto griffato e veste alla
moda con capi firmati. È chiaramente spregiudicato nel giocare in borsa (rampantismo di finanza) e di stuprare in corsa.
Dopo di che passa a presentare la moglie: moglie dalle maglie larghe, dalle molte voglie… scatola d’argento che rappresenta
una società voltata all’apparenza e che sostanzialmente non contiene nulla, quindi inconsistente.

Dopo la presentazione della famiglia segue il ritornello che raffigura la società in cui tutto gira intorno al soldo e allo
scambio.

Fino al momento in cui, per un attimo la voce dell’autore narrante pare farsi seria perché è il momento in cui quell’allegro
ritratto famigliare smette di essere tale, una crepa si apre nella tranquillità domestica e si consuma la tragedia del figlio:
Il figlio muore. Sicuramente si è suicidato annegato, con l’assunzione di droghe e alcol. Il figlio che quindi alla fine si rivela
essere in qualche modo una vittima dell’ educazione del padre. La sua morte ferisce l’orgoglio del padre.
La morte del figlio sottolinea la vita superficiale che veniva condotta in quegli anni.

Vi è la citazione di Yacopo da Todi : figlio bianco e vermiglio. Dove yacopone narrava il lamento di maria alla morte di cristo.
Vi è il parallelismo tra il figlio di maria, innocente e bravo e il figlio del borghese che lo piange, però fino a un certo punto.
Nella frase paradossale: ‘ti trattai come un figlio’ vi è l’indice di una incapacità educativa di quello che è il discendente,
quello che è il sangue del suo sangue.
Questa strofa oscilla tra la citazione di Yacopone e si chiude con una citazione abbastanza velata di VIA COL VENTO
‘domani sarà un giorno migliore’ ed è lo stesso finale del padre.

Questo brano può essere letto come l’800 che piange il 900.

Perché ad un certo punto questo padre, questo borghese arricchito in odore e in nobiltà si mette a cantare in Tedesco?
Il padre sta celebrando il matrimonio della figlia e si mette a cantare in tedesco perché la figlia si è maritata con un
Austriaco. In questi stessi anni vi è la presa Austrica.
Questo permetterà al padre di salire socialmente. Quindi possiamo pensare che la figlia vada in sposa a un potente
austriaco.

DON RAFFAE’
Pezzo che è tendenzialmente in Italiano ma è corroso dalla presenza in Dialetto.
Il protagonista è uno degli ultimi della gerarchia sociale ed è il secondino.
Don Raffaè si trova sospeso tra due grandi poteri, da un lato il potere dello stato(nuvola) dove viene rappresentato l’aspetto
più decadente e più corrotto, e l’altro è il Boss della Mafia (nuvola). Questi due rappresentano l’oscillazione tra le due
nuvole, il potere dello stato corrotto e il potere del Boss Mafioso. Tra questi due preferirà stare dalla parte del secondo di
cui diverrà il maggiordomo.

Io mi chiamo Pasquale Cafiero


E son brigadiero del carcere, oiné
Io mi chiamo Cafiero Pasquale
E sto a Poggio Reale dal '53
E al centesimo catenaccio
Alla sera mi sento uno straccio
Per fortuna che al braccio speciale
C'è un uomo geniale che parla co' me
Tutto il giorno con quattro infamoni
Briganti, papponi, cornuti e lacchè
Tutte l'ore co' 'sta fetenzia
Che sputa minaccia e s'a piglia co' me
Ma alla fine m'assetto papale
Mi sbottono e mi leggo 'o giornale
Mi consiglio con don Raffae'
Mi spiega che penso e bevimm' 'o café
Ah, che bell' 'o cafè
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta ch'a Ciccirinella
Compagno di cella, c'ha dato mammà
Prima pagina, venti notizie
Ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
Si costerna, s'indigna, s'impegna
Poi getta la spugna con gran dignità
Mi scervello e m'asciugo la fronte
Per fortuna c'è chi mi risponde
A quell'uomo sceltissimo immenso
Io chiedo consenso a don Raffae'
Un galantuomo che tiene sei figli
Ha chiesto una casa e ci danno consigli
Mentre 'o assessore, che Dio lo perdoni
'Ndrento a 'e roulotte ci alleva i visoni
Voi vi basta una mossa, una voce
C'ha 'sto Cristo ci levano 'a croce
Con rispetto, s'è fatto le tre
Volite 'a spremuta o volite 'o cafè?
Ah, che bell' 'o cafè
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta ch'a Ciccirinella
Compagno di cella, c'ha dato mammà
Ah, che bell' 'o café
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta di Ciccirinella
Compagno di cella, preciso a mammà
Ca' ci sta l'inflazione, la svalutazione
E la borsa ce l'ha chi ce l'ha
Io non tengo compendio che chillo stipendio
E un ambo se sogno 'a papà
Aggiungete mia figlia Innocenza
Vuo' 'o marito, non tiene pazienza
Non vi chiedo la grazia pe' me
Vi faccio la barba o la fate da sé?
Voi tenete un cappotto cammello
Che al maxi-processo eravate 'o cchiù bello
Un vestito gessato marrone
Così ci è sembrato alla televisione
Pe' 'ste nozze vi prego, Eccellenza
Mi prestasse pe' fare presenza
Io già tengo le scarpe e 'o gilley
Gradite 'o Campari o volite o cafè?
Ah, che bell' 'o café
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta ch'a Ciccirinella
Compagno di cella, cc'ha dato mammà
Ah, che bell' 'o café
Pure in carcere 'o sanno fa
Co' a ricetta di Ciccirinella
Compagno di cella, preciso a mammà
Qui non c'è più decoro, le carceri d'oro
Ma chi l'ha mai viste chissà
Chiste so' fatiscienti, pe' chisto i fetienti
Si tengono l'immunità
Don Raffae' voi politicamente
Io ve lo giuro, sarebbe 'nu santo
Ma 'ca dinto voi state a pagà
E fora chist'ati se stanno a spassa'
A proposito tengo 'nu frate
Che da quindici anni sta disoccupato
Che s'ha fatto cinquanta concorsi
Novanta domande e duecento ricorsi
Voi che date conforto e lavoro
Eminenza, vi bacio, v'imploro
Chillo duorme co' mamma e con me
Che crema d'Arabia ch'è chisto cafè

Monti di Mola-Fabrizio De Andrè


20/04/2021
In li Monti di Mola

la manzana

un’aina musteddina era pascendi

in li Monti di Mola

la manzana Sui Monti di Mola

un cioano vantarricciu e moru la mattina presto

era sfraschendi un’asina dal mantello chiaro stava pascolando

e l’occhi s’intuppesini cilchendi ea ea ea sui Monti di Mola

ea la mattina presto

e l’ea sguttesida li muccichili cù li bae ae un giovane bruno e aitante

ae stava tagliando rami

e l’occhi la burricca aia e gli occhi si incontrarono mentre cercavano

di lu mare acqua

e a iddu da le tive escia e l’acqua sgocciolò dai musi insieme alle bave

lu Maestrale e l’asina aveva gli occhi

e idda si tunchià abbeddulata ea ea ea color del mare

ea e a lui dalle narici usciva

iddu le rispundia linghitontu ae ae ae ae il Maestrale

-Oh bedda mea e lei ragliava incantata ea ea ea ea

l’aina luna lui le rispondeva pronunciando male ae ae ae ae

la bedda mea Oh bella mia

capitale di lana l’asina luna

oh bedda mea la bella mia

-Oh beddu meu cuscino di lana

L’occhi mi bruxi O bella mia

lu beddu meu bianca fortuna-O bello mio

carrasciale di baxi mi bruci gli occhi

Amori steddu il mio bello

di tutte l’ore carnevale di baci

di pretralana lu battadolu oh bello mio


mi cuci il cuore-
di chistu core Ma nudda si po’ fa nudda Amore grande
in Gaddura di prima volta
che no lu ènini a sapi l’ape ci succhia tutto il miele di questo
mirto
int’un’ora Amore bambino
e ‘unfattu una ‘ecchia infrasconata fea ea ea ea di tutte le ore
piangnendi e figgiulendi si dicia cù li bae ae ae di muschio il battacchio
-Beata idda da questo cuore
uai che bedd’omu Ma nulla si può fare nulla
beata idda in Gallura
cioanu e moru che non lo vengano a sapere
beata idda in un’ora
sola mi moru e sul posto una brutta vecchia nascosta tra
le frasche
beata idda piangendo e guardando diceva fra sé con le bave
alla bocca
ià ma l’ammentu Beata lei
beata idda mamma mia che bell’uomo
più d’una ‘olta beata lei
beata idda giovane e bruno
‘ezzaia tolta- beata lei
Amori mannu io muoio sola
Di prima ‘olta beata lei
l’aba si suggi tuttu lu meli di chista multa Amori steddu me lo ricordo bene
di tutte l’ore di petralana lu battadolu beata lei
di chistu core più d’una volta
E lu paese intreu s’agghindesi beata lei
Pa’ lu coiu vecchiaia storta-
lu parracu mattessi intresi Amore grande
in lu soiu di prima volta
ma a cuiuassi no riscisini l’ape ci succhia tutto il miele di questo
mirto
l’aina e l’omu Amore bambino
chè da li documenti escisini di tutte le ore di muschio il battacchio
fratili in primu di questo cuore
e idda si tunchià abbeddulata ea ea ea ea Il paese intero si agghindò
iddu le rispundia linghitontu ae ae ae ae. per il matrimonio
lo stesso parroco entrò
nel suo vestito
ma non riuscirono a sposarsi
l’asina e l’uomo
perché dai documenti risultarono
cugini primi
e lei ragliava incantata ea ea ea ea
lui le rispondeva pronunciando male ae ae
ae ae.

Prima dell’analisi della canzone, il professore, mostra una lunga intervista dell’Unione Sarda a De
André, del 1996. In questa intervista c’è un passaggio in cui viene ripescata la canzone Monti di
Mola: avendo De André pubblicato il romanzo “Un destino ridicolo”, gli viene chiesto se non avesse
oltrepassato i suoi limiti cimentandosi nella scrittura; De André risponde: “ma se a lei, giornalista,
andasse di scrivere dei racconti, la considererebbe un’ingerenza?”; a questo punto Faber, fa un
parallelo con il suo ruolo di gestore di
un’azienda agricola dicendo: “forse è stata un’invasione di campo, mettere in piedi un’azienda
agricola? Certo, qualunque tentativo di evadere da un’indentificazione precisa da fastidio.
Ricordate la canzone Monti di Mola? Significa esattamente questo: il giovane boscaiolo e l’asina
non possono sposarsi perché alla fine l’autorità tira fuori il codicillo inibente, la motivazione
frenante; il boscaiolo deve sposare la boscaiola e l’asina accoppiarsi con un asino, è evidente che
si tratti di una metafora, ma sono venti anni che fatico a farmi accettare come imprenditore
agricolo e come allevatore competente, ci mancherebbe altro che dovessi farmi accettare come
romanziere, fra l’altro a metà, è tutta la vita che scrivo romanzi in forma di Concept Album.

Il testo della canzone è in gallurese. Il fatto che De André, nel lato B delle Nuvole, usi una lingua
minoritaria non ci deve stupire, fa parte di un programma preciso, mostrando un interesse
significativo di De André per le lingue minoritarie. Un altro elemento molto evidente è il titolo:
Monti di Mola si tratta di un toponimo, il nome gallurese della località di Porto Cervo.

La trama è una favola pastorale, che vede come protagonisti due innamorati: il maschio è un
pastore, la femmina è un’asina. La canzone si apre con la descrizione del personaggio
femminile che una mattina pascolava; l’asina è descritta come “musteddina”, ovvero del colore
del mosto.

In questa zona di campagna è presente un giovane che lavora, fa il fieno e parlando con l’asina si
innamorano. Lui paragona l’asina alla Luna, facendo riferimento al suo manto candido; lei parla di
lui citando il carnevale, fa riferimento al cucire dicendo “il cuore mi cuci”. Ci sono due esiti narrativi
che riguardano l’esito di questo innamoramento: il primo è un episodio tipico di molta letteratura
economica: l’amore di questi due personaggi viene scoperto da una vecchia invidiosa (la vecchia
in De André rappresenta spesso il personaggio che viene escluso dalle vicende amorose. Es: la
vecchia di Bocca di Rosa). La comunità di pastori, che abita nel contesto di fabula nel quale è
ambientata la poesia (fabula perché si parla di un mondo in cui uomini e animali possono
incontrarsi e amarsi, e il luogo è la campagna e non la città) si mostrano capaci di accettare
questa unione, così singolare fra un uomo e un’asina, e si dispongono per il matrimonio; tutto il
paese si prepara per il matrimonio, ma all’ultimo momento questo amore non si può concludere
perché viene fuori, dai documenti, il fatto che l’asina e l’uomo risultano essere cugini di primo
grado. È questo che De André chiama “codicillo inibente” ovvero la legge che non guarda in faccia
le persone, non ascolta le loro singolari storie, ma guarda la verità ufficiale, impedendo ai due
sposi il matrimonio. Ciò che impedisce ai due giovani innamorati di sposarsi non è il fatto che i
due appartengano a due specie animali diverse, ma paradossalmente, di essere consaguinei.

L’ interpretazione che si da a questa vicenda, è quella che De André richiamava nell’ intervista: i
singoli, le persone vivono una vita condizionata dalla società, in particolare dalle strutture del
potere, dalla legge; la società esclude la possibilità di vicende che nella loro semplicità hanno
qualcosa di stravagante, di non conforme alla norma.

Un’ulteriore interpretazione è la seguente: nella poesia sono presenti molti elementi strutturali e
formali tipici della poesia bucolica; (la poesia bucolica è presente nell’ambiente greco e latino e in
epoca rinascimentale). Il principale elemento bucolico è quella dell’ambientazione lontana dalla
città, dove vive di antichi mestieri e il personaggio è un pastore; un elemento tipico della poesia
bucolica è il racconto
dell’innamoramento talvolta felice ma più spesso infelice dei pastori. La poesia bucolica presente
spesso un testo “a chiave” cioè un testo che è una trasposizione letteraria di qualcos’altro: i
personaggi ne rappresentano altri, i gesti che i personaggi compiono ne celano allusivamente altri.
Questo modo, era
utilizzato soprattutto nel Rinascimento, ai tempi delle corti, rappresentando aspetti della realtà del
tempo
delicati da trattare. Spesso i pastori erano un travestimento letterario dello stesso autore, che
poteva cosìle circostanze con i signori che non avrebbe potuto esprimere in maniera
protestare
esplicita.
Anche questo testo è passibile di una interpretazione a chiave: il primo aspetto da prendere in
considerazione sono il titolo e il fatto di essere scritta in dialetto. La scelta del titolo potrebbe
riferirsi al fenomeno di “ricolonizzazione denominativa”, ovvero il fatto che i toponimi dei luoghi
vengono modificati con nomi che si discostano dalle radici culturali di quel luogo, per risultare più
efficaci nel promuovere la nuova immagine turistica del luogo. Monti di Mola viene sostituito da
Porto Cervo. Il luogo bucolico, fantastico, dove i pastori vivono in armonia, sta in un luogo che
corrisponde a Porto Cervo, ma che la trasformazione in Porto Cervo ha compromesso per sempre.
Ecco che iniziano ad affiorare i riferimenti polemici, si ha un riferimento critico verso la
trasformazione della Gallura.

L’elemento dell’isolamento che contraddistingue la Sardegna, e quindi la Gallura, ha fatto sì che in


quei luoghi si parlasse una lingua minoritaria, diversa dal sardo. La scelta di usare questa lingua
per scrivere una canzone, dimostra l’interesse di De André rispetto alle cause delle lingue
minoritarie.

Un terzo elemento relativo al luogo, è una situazione che De André conosce in prima persona: il
rovesciamento della “crescita” della Gallura come luogo di turismo: mentre vediamo che negli
anni ’70, la Gallura passa da luogo prevalentemente agro-pastorale a meta di turismo, per De
André è il contrario, poiché visita le prime volte la Sardegna come turista poi invece conosce una
Gallura diversa e la sceglie, costruendo un’azienda agricola nelle campagne di Tempio. Già nel
riconoscere il luogo bucolico della poesia, ci aiuta a collocare il brano dentro un quadro di
riferimenti entro il quale si prende posizione critica nei confronti della recente trasformazione
della Gallura.

Per quanto riguarda le esperienze di De André in Gallura, ci sono sicuramente due luoghi della
produzione deandreiana che danno le misure del suo interesse per la Sardegna: una è la canzone
che ha dietro una vicenda personale di De André, dove racconta il colmo della sua insofferenza
per la cultura modaiola, balneare, l’ “Amico Fragile”; l’altra canzone che invece fa parte dell’album
Rimini, è “Zirichiltaggia” in gallurese.

Personaggi

Il primo personaggio è il pastore, il protagonista: è ipotizzabile che dietro questo personaggio si


celi De André stesso: entrambi sono mori, si reputano dei “bravi agricoltori” nonostante De André
fatichi ad aver riconosciuto questo suo ruolo; un altro elemento potrebbe derivare dall’uso di
“linghitontu” ovvero balbuziente, che quindi pronuncia male il verso dell’asina: si potrebbe rifare
alla figura di De André che utilizza male il dialetto gallurese. Essendo De André il pastore che
pronuncia male il dialetto gallurese,
l’asina deve rappresentare qualcuna che invece parla molto bene questo dialetto: l’asina potrebbe
rappresentare la Gallura, o forse l’intera Sardegna. Perché associare la Sardegna a un’asina?
L’asino è ricco di significati simbolici: è simbolo di cocciutaggine, di testardaggine, di brutalità
(anche connotato in ambito sessuale: es l’ “asino d’Oro” di Apuleio) ma allo stesso tempo di
mitezza, fedeltà, carattere docile e pacifico; non a caso Gesù, durante la Domenica delle Palme,
entra a Gerusalemme in groppa ad un asino; l’animale è perciò associato anche a un
rinnovamento, a un messaggio salvifico. In Sardegna, l’asino è un animale caratteristico, molto
presente; ci sono due razze endemiche: l’asino sardo e l’asino bianco dell’Asinara.
Il racconto di un amore fra un uomo e un’asina, potrebbe essere il racconto celato della vita di De
André in Sardegna: una storia d’amore fra il poeta e la terra in cui ha deciso di abitare. Il fatto che
De André non riesca a “sposarsi” con la Sardegna, per un eccesso di consanguineità, porta a
pensare che il poeta voglia dire che forse il suo modo di tendere una relazione con la Sardegna
non è una perfetta integrazione, ma quello di chi si incontra, si innamora, ma mantiene una certa
rispettosa distanza, che tiene salve le differenze identitarie.
21/04/2020

La domenica delle Salme

Tentò la fuga in Il gas esilarante Presidiava


tram Verso le sei le strade
del mattino Dalla
La domenica delle salme Si
bottiglia di orzata
portò via tutti i pensieri E le
Dove galleggia
regine del tua culpa Affollarono
Milano Non fu
i parrucchieri
difficile seguirlo
Nell'assolata galera patria Il
Il poeta della secondo secondino
Baggina La sua Disse a "Baffi di Sego" che era il primo Si
anima accesa può fare domani sul far del mattino E
Mandava luce di lampadina furono inviati messi
Fanti, cavalli, cani ed un somaro
Gli incendiarono
Ad annunciare l'amputazione della gamba
il letto Sulla
strada di Trento Di Renato Curcio Il
Riuscì a salvarsi dalla carbonaro
sua barba Un pettirosso Il ministro dei temporali
da combattimento

I Polacchi non morirono subito


E inginocchiati agli ultimi
semafori Rifacevano il trucco
alle troie di regime Lanciate
verso il mare

I trafficanti di
saponette Mettevano
pancia verso est Chi
si convertiva nel
novanta
Ne era dispensato nel novantuno

La scimmia del
quarto Reich Ballava
la polka sopra il muro
E mentre si
arrampicava
Le abbiamo visto tutti il culo

La piramide di Cheope
Volle essere ricostruita in quel
giorno di festa Masso per masso
Schiavo per
schiavo Comunista
per comunista

La domenica delle
salme Non si
udirono fucilate
In un defunto ideale
tripudi
La domenica delle
o di
salme Si sentiva
tromb
cantare Quant'è
oni
bella giovinezza
Auspic
Non vogliamo più invecchiare
ava
democ Gli ultimi viandanti
razia Si ritirarono nelle catacombe
Con la tovaglia sulle mani e le Accesero la televisione e ci
mani sui coglioni guardarono cantare Per una
mezz'oretta
Voglio Poi ci mandarono a cagare
vivere Voi che avete cantato sui trampoli e
in una in ginocchio Coi pianoforti a tracolla
città vestiti da Pinocchio
Dove Voi che avete cantato per i longobardi e
all'ora per i centralisti Per l'Amazzonia e per la
dell'ap pecunia
eritivo Nei palastilisti
Non ci siano E dai padri Maristi
spargimenti
di sangue O Voi avevate voci potenti
di detersivo Lingue allenate a battere il
tamburo Voi avevate voci
A tarda sera io e il mio potenti
illustre cugino De Adatte per il vaffanculo
Andrade Eravamo gli
ultimi cittadini liberi La domenica delle
salme Gli addetti
Di questa famosa città civile alla nostalgia
Perché avevamo Accompagnarono
un cannone nel tra i flauti Il cadavere
cortile Un di Utopia
cannone nel
cortile La domenica delle salme
Fu una domenica
La come tante Il giorno
dome dopo c'erano i segni
nica Di una pace
delle terrificante
salm
Mentre il cuore
e
d'Italia Da
Ness
Palermo ad
uno
Aosta Si
si
gonfiava in un
fece
coro Di vibrante
male
protesta
Tutti
a
segui
re il
feretr
o Del
La canzone “Domenica delle Salme” è considerata il capolavoro assoluto di De André e chiude il lato A
dell’Album “Le Nuvole”. È per certi versi una canzone “criptica”, in quanto cela molti messaggi.

La canzone si fonda su un paradosso: il ritornello della canzone mette in scena il funerale degli
ideali, di utopia; situazione paradossale perché De André in una sua intervista definisce l’utopia nel
seguente modo:
“un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci
sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale
laureato in matematica pura”: da questa affermazione e da tutta l’attività poetica di De André si
palesa che per il poeta l’utopia è il motore metafisico che spinge l’uomo a migliorare la propria
condizione esistenziale, è un autore le cui opere tendono a ridurre al minimo la distanza fra reale e
ideale.

Nella quarta di copertina del disco, riporta la citazione di Samuel Bellamy: “Io sono un principe
libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in
mare”, una sorta di elogio della vita libertaria.

Com’è possibile che un autore che mette al centro l’utopia, ne celebri il funerale?

Una delle interpretazioni possibili è quella storica, fornita da Mauro Pagani (collaboratore di de
André nella parte musicale): secondo Pagani la canzone rappresenta una sorte di strisciante e
silenzioso colpo di stato, che intorno agli anni ’80 e ‘90 ha decretato la morte della democrazia,
che già era in difficoltà per colpa del terrorismo. In tal senso, troveremo tracce nel testo.

Dall’altra parte, nel 1989 vediamo un avvenimento storico clamoroso: la caduta del muro di
Berlino, che preannuncia lo sgretolarsi dell’impero sovietico; alcuni all’epoca lessero la Domenica
delle Salme come la celebrazione della fine del comunismo. In realtà, essendo De André un
anarchico, la fine di un regime totalitario lo aggrada. Il timore di De André è che la caduta,
determinasse anche una sorta di caccia alle streghe nei confronti degli ideali: che l’uomo
smettesse di guardare agli ideali contemplando alle proprie spalle le macerie delle ideologie.

Un’ulteriore opzione, è quella secondo cui la Domenica delle Salme sarebbe da inserire all’interno
del genere della letteratura post apocalittica: se l’uomo ha bisogno di utopia, il momento in cui
l’utopia muore coincide con la fine della storia. Il momento in cui si dovesse celebrare il funerale di
utopia questo implicherebbe che l’uomo sia ridotto ad una condizione di salma. Le salme,
probabilmente, sono quegli uomini che hanno rinunciato agli ideali, che non hanno più una
prospettiva, un orizzonte degli eventi, per i quali si è esaurita la storia; possiamo considerare
questi come morti viventi che si muovono in città a Milano, intreccio di potere politico ed
economico; in realtà Milano è una sineddoche per indicare l’intera Italia e l’Europa occidentale. Se
dovessimo leggere la canzone come opera post apocalittica, questa potrebbe essere interpretata
come giorno del giudizio: il giorno che conferma causticamente che gli ultimi rimarranno tali e i
privilegiati ugualmente.

Analisi

Il titolo: la domenica delle Salme, richiama con evidenza in maniera parodica il concetto della
Domenica delle Palme: il trionfo di Cristo che poco dopo si ribalta nella passione e morte in croce.
Se tuttavia la Domenica delle Palme anticipa la settimana santa che è sia morte che risurrezione, la
Domenica delle Salme non concede una prospettiva di resurrezione ma segna uno sprofondo nella
storia dell’uomo. Il fatto che si utilizzi “salme” al plurale, mostra che non si sta celebrando solo un
semplice funerale simbolico ma piuttosto una condizione diffusa all’interno di tutti i personaggi
della città.
Prima strofa: la prima strofa è quella che conserva un andamento narrativo riconoscibile, una
storia in progress: si fa riferimento a un uomo anziano che sfugge dalla Baggina: il nome con cui i
milanesi chiamano il Pio Albergo Trivulzio, una casa di riposo per anziani. In questa fuga viene
intercettato, mentre dorme su
una panchina, da un gruppo di balordi, gli viene dato fuoco scambiandolo per un barbone. Attorno
a questa storia De André tesse una serie di immagini che vanno intese nel loro valore simbolico o
allegorico.

La Baggina è il luogo da cui scoppia lo scandalo di “mani pulite”, che riguardava le indagini del
corpo dei magistrati di Milano, a partire da un fatto di corruzione concreta. Da quel momento in
avanti, le indagini si estendono a macchia d’olio determinando la crisi dei partiti tradizionali come
Democrazia cristiana e Partito socialista in primo luogo, e il crollo della Prima Repubblica. Ciò però
accade dopo la stesura della canzone, infatti viene attribuito a De André l’epiteto di poeta.

La canzone è racchiusa in coordinate temporali molto precise, tutto ciò che accade è in meno di
24 ore, corrispondendo all’unità di tempo. L’immagine della bottiglia d’orzata fa riferimento alla
socialità allegra che caratterizzava le città negli ’80. Il fatto però di essere imprigionato in una
bottiglia d’orzata, fa riferimento alla nebbia che avvolge Milano, a maggior ragione in un album che
si chiama “Le Nuvole”, dove queste sono intese come simbolo di oppressione, la nebbia riproduce
lo stesso concetto.

Il vecchio è definito poeta, un intellettuale ed a lui è associata un’altra immagine fortemente


simbolica: quella di una luce di lampadina debole, ma ancora in grado di distinguerlo, rispetto al
grigiore dell’orzata; è proprio per questo che non fu difficile seguirlo e tendergli un attentato. C’è un
riferimento anche ai fratelli di Verona, della Verona bene dell’epoca, di ispirazione neonazista che
furono protagonisti di una serie di atti violenti. L’avventura, il tentativo di fuga del protagonista ha
breve durata, poiché viene bruciato sul suo letto mentre cerca di recarsi a Trento, che rappresenta
la polarità opposta rispetto a Milano, poiché negli anni’60, fu la prima città in cui si innescarono le
rivolte degli studenti o forse perché nell’ottica ottocentesca, Trento rappresenti per i carbonari e
per i patrioti, un simbolo di redenzione, anche una volta che si è compiuta l’unità d’Italia.

Per quanto riguarda il “pettirosso da combattimento” sono state date numerose interpretazioni,
ma quella più convincente è quella seconda la quale possiamo intendere il pettirosso come la
poesia, che deve denunciare le torture della realtà; il poeta si deve levare in volo per prendere
un’altra prospettiva attraverso la quale guardare le cose con il giusto distacco. Potremo
considerare quindi tutte le immagini che seguono nella canzone, come ciò che il pettirosso vede
levandosi in volo sulle macerie umane.

Seconda strofa: nella seconda strofa il primo riferimento va ai Polacchi, ricordiamoci che siamo
nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, iniziano i traffici incontrollati di esseri umani che si
spostano in massa verso l’Europa occidentale, convinti di poter fare fortuna. La Polonia a
quell’epoca non faceva parte della comunità europea, perciò i Polacchi erano considerati
extracomunitari.

Questo testo si regge sulla compresenza dell’alto e del basso: dal cortocircuito che nasce
dall’incontrarsi di elementi fra loro dissonanti; per quanto riguarda la parte musicale, la dissonanza
è data da due strumenti che fra loro creano un ossimoro: da una parte il violino, la voce angelica,
dall’altra il Kazoo, strumento a fiato che rappresenta la voce umana deformata. Per quanto
riguarda il testo si alternano citazioni letterarie preziose ed eleganti con un linguaggio che tende a
scadere verso il turpiloquio, lasciando intendere un corpo sociale nettamente diviso.

Le troie di regime, citate nel testo, sono le automobili: i Polacchi ai semafori rifanno il trucco alle
macchine. Le auto vengono definite in questo modo perché l’industria automobilistica è uno dei
simboli del capitalismo. Dopodiché le auto vengono lanciate verso il mare, in quanto i milanesi, nel
finesettimana, si lasciano alle spalle le loro preoccupazioni e si riversano nel mare della Liguria. A
questo proposito si può riprendere una citazione di De André: “Genova sta a Milano, come l’Italia
sta alla Germania: le popolazioni infreddolite hanno sempre fatto di tutto per venire a pisciare nei
nostri mari le loro nebbie invernali”.
Un’altra immagine è quella dei trafficanti di saponette, che mettevano pancia verso est: potremo
intenderli come gli industriali dell’Europa occidentale, che nel momento in cui sta crollando il
regime sovietico, si rendono conto che possono fare grandi affari nell’ Est Europa. L’immagine dei
trafficanti di saponette è
particolarmente inquietante, perché indica da una parte che questi possano lavarsi in fretta le
coscienze, ma potrebbe esserci celato un riferimento alla pratica nei campi di concentramento
nazisti, in cui il sapone si ricavava dal grasso dei corpi umani delle vittime dei campi.

“Chi si convertiva nel novanta, ne era dispensato nel novantuno” intende che nel momento in cui
crolla un regime, una grande massa di opinionisti, politici, intellettuali che si erano professati di
sinistra, o di ispirazione comunista o marxista, cambiano casacca, colore secondo la pratica molto
diffusa del trasformismo.

Un’altra immagine è quella della “scimmia del quarto reich”: fa riferimento al terzo reich, in quanto
una delle conseguenze della caduta del muro è che i neonazisti riprendano vigore in Europa; balla
la polka sul muro di Berlino. Per quanto riguarda il Quarto Reich, è bene ricordare una citazione di
Marx: “i fatti della storia si duplicano, la prima volta sono in veste di tragedia, la seconda di in
veste di farsa”, infatti di questo quarto Reich si sa tutto: le abbiamo visto tutti il culo.

Ultima immagine è quella della piramide di Cheope: classico esempio del monumento volto alla
celebrazione del capo, del faraone; la domanda è: quanti schiavi sono dovuti morire perché venisse
eretto questo monumento? La piramide nella sua stessa forma è sintomatica di come la società
organizzata, con al vertice poche persone che comandano, e alla base una massa di gente che vive
in miseria. La piramide è anche però un simbolo massonico: infatti la massoneria aveva fatto
grandi scandali negli anni ’80 e che sappiamo oggi, abbia avuto un ruolo importante anche nella
strategia stragista fra gli anni ’70 e ’80 in Italia.

Primo ritornello: nel ritornello si rende esplicito un colpo di stato, non messo a segno attraverso la
violenza ma attraverso il gas esilerante, che rappresenterebbe la massificazione della cultura
attraverso la televisione. Gli anni ’80 sono l’epoca in cui entra in pieno servizio la TV privata,
all’epoca “Fininvest” ora Mediaset.

Troviamo “le regine di tua culpa” intende il fatto che rispetto alla condizione opprimente dal punto
di vista della responsabilità civile, della libertà di espressione politica, che è assicurata solo su un
piano superficiale, nessuno si assume le proprie responsabilità. Il dibattito politico e intellettuale si
riduce a una chiacchera dal parrucchiere.

La strofa dopo il ritornello è ricca di significato, costruita attorno a tre segmenti principali: il primo
è l’assolata galera patria, dove assistiamo a un botta e risposta fra due secondini: il secondo
secondino dice al primo che l’indomani si sarebbe potuta fare l’amputazione della gamba di
Renato Curcio; Baffi di Sego è un riferimento di matrice letteraria a un testo poetico di un poeta
dell’800, Giuseppe Giusti: si tratta di una satira nota come Sant’Ambrogio, in cui il poeta si lascia
andare ad una sorta di presa in giro del gendarme austriaco, per i loro baffoni molto ottocenteschi
che riuscivano a tener dritti ungendoli con grasso animale. In questa strofa troviamo quindi
un’oscillazione temporale che ci riporta al secolo precedente.

I secondini sono evidentemente servi del potere, dall’altra parte, oggetto della loro tirannia è
Renato Curcio, uno dei carbonari che tramavano contro il potere austriaco, uno dei fondatori delle
Brigate Rosse. Con questo De André non vuole celebrare le Brigate Rosse, anche perché chi aveva
compiuto molti omicidi ma si era pentito era libero di girare nelle strade, mentre chi come Curcio
non si era reso responsabile in maniera diritta ma non aveva voluto sconfessare il proprio credo,
rimaneva a marcire nelle carceri.
L’amputazione della gamba è un riferimento a ciò che accadde al compagno di prigionia di
Silvio Pellico nello Spielberg, il carcere austriaco in cui furono rinchiusi; questo fatto viene
raccontato ne “Le mie prigioni” di Pellico.

All’immagine del carbonaro segue quella del tripudio del potere: il ministro dei temporali,
considerabile come l’uomo potente per eccellenza: si è cercato più volte di dare un nome con
Andreotti e Bettino Craxi, ma in realtà rappresenta una figura emblematica universale, uomo che
intrattiene rapporti con i poteri economici, massonici, mafiosi, una figura di corruzioni. Il tripudio di
tromboni sarebbe perciò la voce di coloro che vivono nelle corti, sempre pronti ad appoggiare il
potere universale. Mentre il ministro dei temporali parla di democrazia fa un gesto scaramantico
auspicando dentro se stesso che la democrazia non abbia mai spazio. Il ministro poi dice: se si
deve spargere del sangue, questo deve essere pulito, lavato, in
modo che all’ora dell’aperitivo delle eventuali gocce di sangue dell’opposizione, non debba
rimanere traccia. Anche questo è un riferimento al periodo delle grandi stragi, in cui apparati dello
stato coprirono o depistarono le indagini impedendo che si arrivasse a circoscrivere i mandanti.
L’ultima immagine di questa strofa è data dal gioco di parole fra il cognome di De André e quello
del poeta di inizio Novecento Oswald De Andrade; Oswald negli anni ’20 del Novecento aveva
elaborato un manifesto politico in cui si invitava tutti i sudamericani a tenere un cannone nel cortile
per difendersi dal fascismo che stava avanzando nel sud America.

Secondo ritornello: nel secondo ritornello c’è per la prima volta il feretro di utopia. Al funerale
partecipano coloro che cantano “quant’è bella giovinezza non vogliamo più invecchiare” un chiaro
riferimento a Lorenzo de Medici con il Trionfo di Bacco e Arianna, che in realtà recita: quant’è bella
giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza. Il canto di
Lorenzo celebra lo spirito del Carpe Diem, celebrando le gioie della vita ma mettendo in chiaro
quanto queste siano effimere. I versi di De André stravolgono il significato: coloro che la cantano
nel testo vogliono che tutto resti invariato nel tempo, soprattutto la loro condizione di privilegio.

Citazione di De André: “questa nostra società non è fatta per i giovani, e siccome i giovani
rappresentano la continuazione della nostra specie, bisogna trarne la dolorosa conseguenza che
questo nostro sistema è contrario alla sopravvivenza della nostra specie. Sembra soltanto un
sillogismo aristotelico, invece è la verità.” Prosegue De André: “questa società è fatta per i vecchi
benestanti e io lo sono ma come faccio a dimenticarmi di avere dei figli? E a questi due miei figli
cosa devo insegnare? Se dovessi seguire le regole del sistema dovrei insegnare loro a usare
l’inganno contro i loro simili, per riuscire ad accaparrarsi quella fettina di torta che permetta loro di
sopravvivere; questo è l’unico valore che il sistema politico si insegna ad accettare: la
sopraffazione”.

Questo testo denadreiano rientra in una lunga tradizione di canzoni che costituiscono dei lamenti
sulle macerie della povera patria: è una tradizione letteraria particolarmente illustre che va da
Dante a Leopardi passando per Petrarca; De André riesce a confrontarsi con una tradizione
letteraria indelebile.

Ultima strofa: anche gli ultimi viandanti si ritirarono nelle catacombe, probabilmente come i primi
cristiani: l’immagine delle catacombe è l’ennesima immagine sepolcrale che troviamo (piramide,
feretro etc). Come i primi cristiani perseguitati, anche gli ultimi viandanti che ancora volevano
scendere in piazza e protestare sono obbligati a ritirarsi, a intombarsi: in casa accendono la
televisione, ci guardano cantare (il fatto che usi il plurale di prima persona indica che sia compreso
anche lui). Qui inizia una lunga invettiva nei confronti dei suoi colleghi cantautori: nonostante i
cantautori rappresentino la figura dell’intellettuale, i suoi colleghi sono stati capaci di piegarsi al
nuovo spirito che domina la cultura nazionale. Gli ultimi viandanti, coloro che abbandonano l’idea
di persistere al colpo di stato, si rifugiano nelle catacombe e guardano i cantautori cantare, ma
solo per una mezz’ora perché poi, vedendo che questi non sono più credibili, li mandano a cagare.
Il virgolettato sta ad indicare il fatto che si da conto di quello che è il pensiero degli ultimi
viandanti: gli ultimi leggono le canzoni dei cantautori, che spesso erano i portavoce delle ribellioni
dei giovani: negli anni ’80 molti cantautori c’è una sorta di reflusso per cui molti cantautori
abbandono i testi impegnati, per mettersi a fare musica di intrattenimento. In realtà utilizzando la
particella “ci” anche De André si comprende fra questi.

In alcuni casi è chiaro chi siano i cantautori di cui si parla: “Voi che avete cantato sui trampoli e in
ginocchio Coi pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio” nella prima parte farebbe riferimento a
“Notte prima degli esami”, in particolare al verso che recita “e un pianoforte sulla spalla” quindi a
Venditti; nella seconda parte, quando parla di Pinocchio il riferimento va Edoardo Bennato e al suo
album degli anni ’70.

“Voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti”: ovvero coloro che hanno cantato alle
feste della Lega, e per i centralisti, ovvero la parte opposta che si opponeva ai partiti tradizionali,
riproponendo la dialettica lombardo-veneta contro Roma, che a quel tempo era particolarmente
accentuata.

Citazione di De André: “Raramente un artista è stato un eroe, gli artisti maledizione. Un


intellettuale integrato io lo capisco: è uno che legge dentro le righe e capisce quello che
succede molto più degli altri.
Capisco che se non è artista (l’intellettuale), se non riesce a trasformare quello che capisce in
qualcosa che arriva meglio, deve integrarsi, sennò muore di fame. Ma l’artista non deve integrarsi,
è un anticorpo che la società si crea contro il potere; se si integrano gli artisti ce l’abbiamo nel
culo”. Questo è il senso universale che esprime la strofa.

De André scrive un’altra canzone “Se ti tagliassero a pezzetti”, in cui la protagonista è l’utopia,
tant’è che nella stessa canzone viene definita “signora libertà”, “signorina fantasia” (nella versione
dal vivo fantasia diviene anarchia). L’incipit della canzone riporta le seguenti parole: se ti
tagliassero a pezzetti, il vento li raccoglierebbe, il regno dei ragni ricucirebbe la tua pelle”: ciò a
significare che se anche l’utopia morisse per mano di chi detiene il potere, è comunque destinata a
risorgere dalle sue ceneri. Quindi l’utopia muore solo dove realmente l’uomo decide di porre fine
alla sua storia, se l’uomo decide di conservare la propria umanità, il proprio senso civico, utopia è
comunque destinata a risorgere. Questo spirito deandreiano non viene meno nonostante la
“domenica delle salme”.

“La domenica delle salme, Fu una domenica come tante, Il giorno dopo c'erano i segni, Di una pace
terrificante”: la pace sociale è stata ottenuta ma a un prezzo altissimo: l’assenza di una voce di
opposizione, di ribellione. Ormai si ha la rassegnazione.

La chiusa, alla maniera di Petrarca con quattro versi, ci prospettano un’Italia finalmente unita da
Palermo ad Aosta, che si unisce in un coro di “vibrante protesta” che in realtà si rifà all’ultimo
suono della canzone: quello delle cicale; ciò per dire che quello che sembra un coro di vibrante
protesta non è niente di più che un cicaleccio.

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