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Mariologia – 2019 – Boccea

1. Introduzione: Maria icona della Chiesa

De Maria numquam satis – recita un ben noto adagio. Il mistero di Maria è così ricco, complesso e sofisticato, che sarebbe
ridicolo pretendere di offrirne una presentazione completa nello spazio di 6 mattinate. Di conseguenza, dobbiamo fare
una scelta, una selezione ragionata di temi. Il nostro corso, in altre parole, non ha l’ambizione di fornire una sommaria
panoramica storica della Mariologia né quella di proporre un trattato sistematico di Mariologia. Tenteremo piuttosto di
offrire alcune chiavi fondamentali, una certa visione dell’insieme, che io ritengo sia la più convincente.
Nel dire ciò abbiamo già messo a fuoco la prima grande problematica o domanda fondamentale che fa da sfondo o se si
vuole da perno unificante o fil rouge del nostro corso: la domanda circa il principio primo o meglio unificante del mistero
mariologico.

1.a. La questione del principio primo o unificante


Inserire una breve discussione sulla querelle circa il principio unificante della Mariologia. La Mariologia tradizionale – dove
con tradizionale intendo essenzialmente la presentazione del Mistero Mariano tipica dei manuali diffusi nei Seminari prima
del Vat II, si basava, in ossequio al metodo scolastico o neo-scolastico, sulla ricerca del cosiddetto principio primo della
Mariologia, per poi dedurre da esso tutti gli aspetti del mistero Mariano, essendo gli altri aspetti da leggersi come logica
conseguenza, necessaria o almeno conveniente, implicita nel ed implicata dal principio primo (Dire che darò da leggere un
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buon esempio di Mariologia manualistica2, anche per evitare una presentazione caricaturale di questo approccio, che invece
aveva a nostro avviso dei meriti indiscutibili, soprattutto nei suoi maggiori e prestigiosi esponenti, su tutti Scheeben, che non
a caso è anche molto biblico). Molti teologi cattolici, già prima del Concilio levarono nel XX secolo la loro voce sia contro
tale approccio deduttivo, sia addirittura contro la tesi secondo cui un tale principio primo o unificante della Mariologia
debba esistere e di fatto esista (Balthasar, Galot).

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Questo metodo rimane dominante più o meno fino al Concilio Vaticano II (ma anche oltre). La Mariologia manualistica, seguendo una impostazione
di tipo scolastico, è preoccupata di dare solidità scientifica al trattato di Mariologia – scientificità che si ritiene di poter garantire solo mettendo a fuoco
quel principio primo o fondamentale dal quale tutti gli altri aspetti del mistero possono essere dedotti o alla luce del quale trovano la propria organica
spiegazione “La preoccupazione dominante dei mariologi contemporanei si concentra sul principio primo di una teologia mariana organica”
(Dillenschneider, 1957). Prevalgono due posizioni: orientamento Cristologico (Maria Madre di Dio, che sottolinea il privilegio unico di Maria, la sua
eccezionale elevazione al di sopra di ogni altra persona ecclesiale – qui Maria è vista come madre della Chiesa, oltre che di Dio, più che come membro
eminente di essa e la sottolineatura è il rapporto unico che essa ha col Verbo e attraverso il Verbo con Dio; orientamento ecclesiologico (recupero
patristico), qui l’accento cade all’opposto sulla funzione archetipale e paradigmatica della Vergine, vista come icona personificata della Chiesa, come
prototipo dell’ecclesialità. Come evidente, i due accenti, se presi unilateralmente perdono entrambi qualcosa. L’orientamento cristologico, elevando Maria
nella sfera di un’esistenza talmente privilegiata da divenire stratosferica, sovra-umana, la allontana dalla Chiesa e da noi, in qualche modo eliminando sia
la solidarietà di Maria con noi sia e di conseguenza il valore paradigmatico ed imitabile di tale esistenza; l’orientamento ecclesiologico, ponendo
unilateralmente l’accento sulla somiglianza tra Maria e noi, e la Chiesa credente, perde di vista l’incomparabile unicità della persona di Maria (intreccio
di somiglianza e differenza, analogia è sempre la Chiave, vi torneremo). 3) orientamento antropologico (Maria modello di umanità ed in particolare di
femminilità (Boff)… Anche questo è valido, ma va integrato.
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Cfr. Comendio di Mariologia, Ludovico Ott.
1) Rifiuto del metodo scolastico deduttivo, per cui da un principio individuato come primario si deducono logicamente tutti
gli altri: il metodo venne contestato in quanto accusato di eccessivo razionalismo, cioè di un uso dell’intellectus fidei che
troppo poco spazio dà alla contemplazione della Historia Salutis, cioè di ciò che Dio ha concretamente fatto nella storia e
perciò alla testimonianza biblica, irrinunciabile punto di partenza per cercare di comprendere la logica profonda ed il senso
globale dell’agire di Dio; al metodo deduttivo, che pone l’accento primario sul fatto che il mistero deve avere una coerenza
interna ed una intelligibilità d’insieme, va preferito, si diceva, un approccio induttivo, che senza rinunciare alla razionalità,
dà il primato alla contemplazione dell’evento nella sua sorprendente ed indeducibile concretezza, per poi, a partire dai fatti,
cercare di risalire alla ratio profonda dei fatti stessi, mettendoli insieme in un mosaico saturo di armonia e bellezza. Possiamo
chiamare questo approccio, che sarà anche il nostro, induttivo, ma anche induttivo-estetico dove la specificazione estetico è
cruciale, come vedremo, perché in un certo senso recupera quanto vi è di irrinunciabile e permanentemente valido
nell’intentio profunda del metodo deduttivo: la ricerca di razionalità, di intelligibilità globale, di una sintesi capace di
abbracciare le parti inserendole in una totalità sensata
2. Su questo mi permetto di esprimere non dico una critica, ma una certa perplessità nei confronti di quello che non solo è
forse il più grande teologo (almeno a mio parere) del XX secolo ma certamente uno di coloro se non colui che più ha fatto
per approfondire teologicamente il mistero Mariano nel secolo scorso e cioè H. Von Balthasar. Von Balthasar, non si limita
a criticare l’approccio deduttivo, a suo parere (e molti, come ad esempio Galot, sono d’accordo con lui) bisogna dire che il
mistero mariano è talmente ricco e sublime – si direbbe straripante di significato o di significati – che è impossibile, anche
usando il metodo induttivo (cioè partendo dalla rivelazione) arrivare ad un centro unificante, attorno al quale tutti gli aspetti
o le parti del mistero si raccoglierebbero in unità, acquistando senso in quanto parti di un tutto. Come vedremo, c’è un
senso in cui Balthasar ha indubbiamente ragione – mai come nel caso del mistero abbagliante e sempre più grande della
vergine “vestita di sole”, occorre guardarsi dalla presuntuosa pretesa di aver tutto compreso, di aver esaurito il mistero; una
sana riserva apofatica deve sempre mitigare le nostre pretese di aver trovato la quadra del cerchio, la chiave che apre tutte
quante le porte. D’altra parte si può ed a mio avviso si deve opporre a quanto detto il seguente contro-argomento: non è
Maria l’epitome della bellezza? Tutta bella tu sei, tota pulchra… E non è la bellezza per sua natura armonia e cioè unità delle
parti, uni-totalità? Non c’è bellezza laddove è impossibile abbracciare la forma totale con un unico sguardo, e non c’è forma
se non c’è un’idea centrale, un centro che fa da principio unificante del pur sofisticata complessità delle parti! Questa è la
ragione per cui, pur concordando col Balthasar che abbiamo a che fare con un mistero talmente ricco e profondo che tutto
ciò che ne diciamo è sempre un balbettio rispetto alla realtà, riteniamo (e proveremo a mostrare) che un certo centro della
Mariologia esiste e la Scrittura, se letta con attenzione e rispetto dell’analogia fidei, ci aiuta a trovarlo; un centro che, senza
negare la complessità delle parti, permette tuttavia una certa semplificante reductio ad unum. Non è proprio in questo
paradossale convergere di unità e molteplicità, di semplicità e complessità, che consiste il fascinoso miracolo della bellezza?
Se così è, allora ciò deve realizzarsi all’ennesima potenza in colei che come abbiamo già detto è la tutta bella.
1.b. Maria ed il dramma dell’umanità del nostro tempo
Un altro filo rosso del nostro percorso, che il titolo stesso del corso suggerisce, è il seguente: come vedremo, una adeguata
comprensione del posto centrale di Maria nel mistero della fede ha ricadute avviso di incalcolabile portata non solo sulla
nostra comprensione di che cosa vuol veramente dire essere Chiesa (portata ecclesiologica), ma anche sulla nostra
comprensione del significato dell’esistenza umana in quanto tale (portata antropologica), dove con in quanto tale intendo
indicare l’esistenza umana nel suo distinguersi, in forza della propria creaturalità e finitudine, dal modo di esistere del Dio
Infinito e Creatore. Infatti, dicendo che Maria è icona della Chiesa (ecco il titolo del corso), noi diciamo proprio questo:
che in Maria si rende visibile - l’icona è una finestra visibile sull’invisibile – dice Florenskij – qualcosa che senza questa
immagine rimarrebbe invisibile, privo di una immagine sensibile: il mistero della Chiesa. Ma diciamo anche una cosa in più:
se è vero che il destino dell’umanità, in senso teologico (almeno come vocazione) è esattamente di divenire Chiesa, o più
precisamente regno di Dio; se è vero, come dicono i Russi, che Iìil destino del mondo è l’ecclesializzazione o deificazione
totale, allora dire che Maria è icona della Chiesa, vuole anche dire affermare che Maria è icona della verità della creazione,
cioè della vocazione o destinazione dell’intera creazione – vuol dire che in lei risplende, cioè si rende sensibilmente
trasparente il senso del mondo in quanto creazione, in quanto realtà posta da Dio di fronte a sé come altro da sé.
Che vuol dire infatti la parola icona? Icona vuol dire immagine: dire che Maria è icona della Chiesa (e perciò della creazione),
significa allora dire che in lei noi vediamo realizzata alla perfezione -anzi, ad un grado inimitabile, iperbolico di perfezione,
come vedremo - quel che la Chiesa ed il mondo sono chiamati ad essere, quindi non solo la verità della Chiesa ma anche il
senso ultimo del creato, considerato appunto in quanto realtà posta da Dio di fronte a sé come non divina, come altra da
Lui. Come abbiamo già detto più volte in altre classi, penso soprattutto al corso di Cristologia – per quelli che c’erano – in
Cristo Dio chiama l’uomo ad una vocazione altissima, lo chiama a partecipare alla Sua vita divina, lo chiama alla deificazione
(a divenire figlio nel figlio). Ebbene, come cercheremo di mostrare, io credo che in fondo solo alla luce della Mariologia
questa affermazione classica si chiarisca veramente, arrivando a riempirsi di un contenuto, di una “polpa”, per così dire, di
un “succo” capace di saziare davvero la sete di “uguaglianza” tipica dell’uomo (e soprattutto della donna) contemporanei,
correggendone però, in un modo che è al contempo sorprendente e pacificante, l’ambiguità.
Perché la donna non può fare il prete nella Chiesa Cattolica? Domanda che oggi risuona over and over again (le notizie che
giungono dal sinodo della Chiesa Tedesca essendo solo l’ultimo e più clamoroso esempio dello scandalo dell’uomo
contemporaneo di fronte a quella che sembra essere un inconcepibile attentato all’uguaglianza in dignità di ogni persona
umana). Ebbene, la Mariologia, come vedremo, ci aiuta (anche se indirettamente) a capire perché questo divieto, lungi
dall’implicare ingiustizia e deprezzamento della dignità della donna nella Chiesa, si radica invece in una precisa visione del
mistero della fede, che una volta compreso si rivela piena di bellezza ed appropriatezza, oltre che in nessun modo
disonorevole per la donna.
Ma c’è di più: lo scandalo di cui s’è detto, non è in fondo che il pallido riflesso ecclesiologico ed orizzontale, di uno scandalo
ben più profondo e radicale, sebbene forse anche più nascosto: lo scandalo di fronte al limite (finitudo) che la condizione
creaturale porta con sé. Perché dovrei amare questo Dio, il quale oltre a crearmi senza chiedermelo, mi pone in un rapporto
di inestirpabile subordinazione e sottomissione a Lui? In fondo, chi nella Chiesa porta avanti battaglie egualitariste, si
accontenta di combattere una guerra tra poveri. Più seria e fascinosa mi pare invece la provocazione che viene dalla posizione
anarchica, alla Nietzsche: perché devo accettare di non essere Dio?
Come ha ben intuito Ratzinger - si veda la sua insistenza sul tema nei suoi scritti - è in realtà questo il problema centrale
dell’uomo del nostro tempo: la riconciliazione con la sua creaturalità, cioè con il suo non essere Dio, e perciò con la sua
strutturale subordinazione e non autonomia. Tutte le altre questioni di carattere ecclesiologico, non sono che il riflesso di
una più basilare e fondamentale difficoltà a percepire la dipendenza e la subordinazione gerarchica come qualcosa di non
umiliante e deprezzante, squalificante. Orbene, come vedremo è proprio qui che la Mariologia (se compresa correttamente,
cioè come inseparabile dalla Cristologia ed anzi formante con essa una totalità a due centri, che chiameremo mistero nuziale)
offre le risposte più profonde, decisive ed importanti.
Comprendiamo così come lungi dall’essere un corso puramente devozionale – un corso cioè che interessa soprattutto quanti
nutrono (giustamente) una grande devozione per la persona della vergine Maria, la Mariologia merita al contrario oggi più
che mai, a differenza di quanto pensano bifolchi quali lo scudo Masai, giusto per non fare nomi, un posto oggi più che mai
centrale nella dogmatica Cattolica, se è vero che proprio nella contemplazione del Mistero Mariano - questa è perlomeno
la mia personale convinzione, maturatasi soprattutto negli anni di insegnamento a DC - si trovano le piste di risposta più
promettenti ai problemi più gravi che tormentano non solo la Chiesa ma l’uomo ed il mondo del nostro tempo.

1.c. Tre paradossi


Per essere almeno un poco meno generico, vorrei lumeggiare adesso brevemente tre paradossi che mi paiono intercettare
altrettanti punti nodali del dibattito culturale e teologico che agita il nostro tempo, dentro e fuori della Chiesa (nel corso non
vi torneremo in recto, ma tenerli presente, come nello specchietto retrovisore, ci aiuterà ad apprezzare il taglio che daremo
alla nostra sintesi mariologica).
Il primo, di sapore essenzialmente ecclesiologico, è questo: Maria è laica che più laica non si può – non ha nessuna autorità
istituzionale nella Chiesa, non è capo di alcunché, dal punto di vista ministeriale. Eppure ella è venerata dalla Chiesa come
Colei che co-media col Figlio la totalità delle grazie, così che si può senza tema di errore dire che ella supera
incalcolabilmente qualunque altra persona ecclesiale in auctoritas (augere = potere di far crescere altri). Mai come qui,
dunque si realizzano alla lettera le parole del loghion di Gesù forse più frequentemente citato dai vangeli: “gli ultimi saranno
i primi”.
Secondo paradosso, legato al primo, ma avente risonanze più vaste, ad un tempo ecclesiologiche ed antropologiche: Maria
è donna e in quanto tale non fa e non può far parte del collegio apostolico dei dodici (gli apostoli facendo le veci di Cristo
capo). La sua azione ed il suo influsso non si esercitano attraverso il governo di alcuna Chiesa. Allo stesso tempo, è proprio
e solo in quanto e non malgrado il suo essere donna, che Maria può essere scelta per essere madre di Dio e con ciò elevata
infinitamente al di sopra degli apostoli quanto a feconda mediazione di grazia. Quanto osservato a proposito della laicità del
suo stato di vita, riceve così qui una importante qualificazione, poiché tra umiltà ed esaltazione, c’è qui un rapporto di
paradossale causa-effetto. Detto in altre parole: proprio quella femminilità che la colloca in una posizione subordinata sul
piano naturale, è simultaneamente causa della sua incomparabile gloria sul piano della fecondità soprannaturale , così che
possiamo legittimamente dire che il suo primato sul piano della fecondità soprannaturale non solo non si oppone ma
dipende da quella caratteristica che la subordina, dal punto di vista naturale, al principio maschile (paradosso
dell’affidamento reciproco della madre al discepolo amato e viceversa: Eucaristia!).
Arriviamo così al terzo e più importante paradosso, questa volta di interesse squisitamente antropologico: in quanto creatura,
Maria non è che l’ancella del Signore, l’umile serva. E tuttavia, mediante il suo libero fiat, ella diviene concausa della salvezza
universale. Proprio perché più aperta a umilmente obbedire d’ogni altra creatura, ella diviene creativa e potente oltre ogni
dire – a tal punto che la Chiesa considera tranquillamente legittimo, lo vedremo, espressioni come “co-mediatrice” o
“mediatrice di tutte le grazie”. Proprio perché perfetta sposa – termine che, come vedremo, offre la chiave analogica che
unifica le tre polarità indicate3 - cioè spazio vuoto, interamente aperto ad accogliere il seme del Logos divino, ella può
divenire madre universale e godere di un potere salutifero coestensivo a quello di nostro Signore Gesù Cristo.
Fissare lo sguardo sul mistero di Maria, significa dunque anche guardare al luogo nel quale è lecito attendersi di trovare le
risposte più convincenti alle sopra accennate domande che lo zeit-geist, lo spirito del nostro tempo pone alla coscienza
ecclesiale – domande che in sintesi fanno capo a quello che, prendendo ispirazione da Ratzinger ma muovendomi ora in
una nuova direzione, proporrei di chiamare problema della differenza gerarchica. Se vi facciamo caso, infatti, è in fondo
questa la “questione” che attraversa trasversalmente rendendoli i tre esempi fatti, rendendoli l’uno speculare all’altro: il laico,
nella Chiesa, vive una certa relativa ma indiscutibile subordinazione all’autorità ministeriale; lo stesso, almeno nella Chiesa,
vale per la donna, che infatti, come sappiamo, non può ricevere il sacramento dell’ordine; last but not least, va da sé che la
creatura dipende dal Creatore in un senso ed in una misura assai più radicale (si direbbe iperbolica) di quanto accada nelle
altre due polarità.
Orbene, se ci pensiamo, il darsi di questa differenza che abbiamo chiamato gerarchica è un fatto che informa completamente
la nostra esistenza di esseri umani e di credenti, che lo accettiamo o no, che ci piaccia o no. Con un nota bene, però: quel
che nel passato era un semplice dato di fatto che potevamo permetterci di dare per scontato, richiede oggi una nuova e più
profonda giustificazione, proprio perché tale dato non è più così pacificamente accettabile dall’uomo d’oggi. Il che non deve
spaventarci, al contrario, deve intrigarci, cioè provocarci ad una più profonda riflessione, così che i colpi di martello
dell’egualitarismo post-moderno risultino a conti fatti un’arma di cui il Signore si serve per permettere a noi, cioè alla Sua
Chiesa di approfondire la conoscenza del Mistero della fede, della Sua nascosta bellezza. Perché è buono e bello che ci sia
il prete ed il laico, perché è giusto che ci sia questa differenza gerarchica? Quale è il senso profondo di tale differenza? Ed
ancora: perché è giusto, bello e giusto, che la donna non rivesta un ruolo di leadership nella Chiesa? Ma ancor più
profondamente e più radicalmente: perché è cosa buona e bella essere una creatura e non essere Dio? (in realtà le altre
domande non sono che corollari di quest’ultima).

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Esse sono, in sintesi: sacerdozio comune-sacerdozio ordinato; donna-uomo; creatura-Creatore
In Maria noi possiamo trovare la chiave per rispondere a queste domande e ad altre ancora non meno interessanti. In lei e
soltanto in lei, infatti, le tre figure che costituiscono altrettanti punti di sfida per la coscienza ecclesiale contemporanea –
l’essere creato, l’essere femminile e l’essere laico, vengono illuminati da una luce che, nel rivelarne il vero significato, ne fa
anche pienamente comprendere la dignità e la gloria. Perché o in che senso? Solo alla fine del corso, si spera, potremo dare
una risposta ben articolata a questa domanda, anche se qualcosa anticiperemo tra breve.

1.d. Uno o due mediatori? La problematica ecumenica


Prima di farlo, non possiamo tacere un’ultima problematica che non può che fare da sfondo al nostro corso – problematica
che possiamo chiamare ecumenica, in riferimento ai nostro fratelli separati protestanti, ma che in realtà ha una portata ed
un significato teologico che va oltre il solo dialogo con gli Evangelici, poiché tocca il vero e proprio cuore della rivelazione
dell’amore di Dio in Cristo. Come noto, il ruolo che la fede cattolica conferisce a Maria nel mistero della salvezza, è stato
ed è tutt’ora causa di scandalo presso molti dei nostri fratelli separati evangelici. Ne parleremo un po’ più nel dettaglio
entrando nel merito del cap. VIII di Lumen Gentium e delle ragioni che hanno portato i padri conciliari a dare alla
Mariologia del concilio la forma che gli hanno dato. Per intanto, basti ricordare il tema o meglio l’accusa centrale: la teologia
cattolica, conferendo un ruolo di co-mediazione – comunque lo si intenda – alla vergine Maria nel mistero della Salvezza,
attenterebbe all’unicità ed esclusività della mediazione Cristologica, aprendo così la porta vuoi all’idolatria, vuoi al semi-
pelagianesimo vuoi alla pura contraddizione. Come riconciliare convincentemente l’affermazione biblica e da sempre anche
per un Cattolico irrinunciabile dell’unica mediazione di Cristo – non c’è che un unico mediatore, dice la lettera a Timoteo
(1 Tim 2, 5 )4 con l’affermazione altrettanto irrinunciabile di una genuina associazione della vergine Maria (così come
analogicamente della Chiesa e dei santi) a Lui nella mediazione di tutte le grazie?

1.e. Il principio nuziale


Prima di cominciare il nostro percorso, a mo’ di conclusione di questa introduzione ed in un certo senso anticipando,
faccio uno spoiler, quanto dovremo guadagnare cammin facendo, mi pare di aiuto annunciare fin da subito quale è la
chiave centrale della sintesi Mariologica che proporremo – chiave nella quale è a nostro avviso possibile trovare non solo
il principio unificante della Mariologia (risposta alla problematica a) ma anche la via più promettente per illuminare con
l’aiuto della Mariologia le altre problematiche poste sul tavolo (b e d). Questa chiave si trova (ovviamente) in quello che a
partire da quest’anno mi sono deciso a chiamare principio nuziale – intendendo con ciò il fatto che proprio nella categoria
della nuzialità (o sponsalità) si può trovare, usando a dovere il metodo induttivo e non quello deduttivo, il punto di
convergenza di tutte le linee e cioè appunto il principio unificante della Mariologia. Avremo tempo di soffermarci sulle

Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto
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per tutti.
ragioni di tale tesi e sul significato di tale principio. In questa sede, mi interessa piuttosto, per concludere questa
introduzione, soffermarmi sulla sua importanza in merito alla seconda e alla terza problematica.

Mosaico di santa Maria Trastevere (spiegare: Cantico dei Cantici, da Ruperto di Deutz al secolo dell’amore) + Madonna
della tenerezza di Vladimir (Vladimirskaia)

6]La sua sinistra è sotto il mio capo


e la sua destra mi abbraccia.

Occhio: iconografia rara (ciò non è un caso…).

a) Problema della differenza gerarchica: innanzitutto il principio nuziale - nell’invitarci a comprendere che il mistero
dell’Incarnazione del Logos e della salvezza del mondo che ne consegue è di fatto il frutto dell’interazione drammatica tra
due libertà - la libertà di Dio (non specifichiamo per ora quale persona), che ha l’iniziativa, ed il libero e fecondo aprirsi
della Vergine a tale iniziativa, getta una luce nuova e risolutiva su quello che abbiamo chiamato problema della differenza
gerarchica. Perché? Perché permette di superare una visione dialettica o competitiva del rapporto tra il principio fontale
o maschile ed il principio che riceve o principio femminile, se è vero che la salvezza è frutto del libero sì del principio
femminile non meno che dell’azione fecondante dello Spirito. Pur nella perfetta conservazione della differenza del ruolo
di ciascuno, si dà infatti nella relazione nuziale una dipendenza di ciascuno dal libero dono di sì dell’altro, dono senza il
quale non c’è fecondità. Il principio nuziale permette così non solo di vedere come non opposti obbediente
subordinazione e fecondità nonché potere di influsso, ma addirittura radica questi in quella. In parole semplici, se Maria
è divenuta madre della Chiesa e co-mediatrice di tutte le grazie, ciò è proprio perché ella ha innanzitutto fatto di se stessa
il docile ricettacolo sponsale dell’Iniziativa d’amore di Dio nei suoi confronti. Il che ci porta a dire: ultimamente, le molte
polarità gerarchicamente strutturate che caratterizzano la vita e la struttura della Chiesa – pensiamo ad esempio al rapporto
istituzione e carismi, di cui molto si è parlato tra noi ultimamente - possono essere comprese nella loro intrinseca bellezza
ed appropriatezza, solo quando si arriva a vedere queste polarità attraverso la lente di quella asimmetrica e feconda
mutualità che caratterizza il principio nuziale – principio che a sua volta, come vedremo, riflette la gloria di ciò che è
principio nel senso ultimo e più proprio del termine, e cioè la vita del Dio Uno e Trino5.
b) Dall’altro versante, quello cioè della problematica ecumenica, il principio nuziale si rivela non meno risolutivo, se è vero
che esso non solo permette di superare una concezione concorrenziale o competitiva delle due mediazioni, quella di Cristo
e quella di Maria, mostrandone invece la mutua co-implicazione e reciproca immanenza; ma anche permette di
perfettamente valorizzare quanto di giusto vi è nella preoccupazione protestante: l’accento posto sulla sovrana gratuità

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Se nella Chiesa non ha o non dovrebbe avere senso parlare di un principio suppostamente più attivo e dominante, il principio maschile incarnate dalla
Gerarchia, ed un principio più passivo e sottomesso incarnato dal laicato ed in particolare dalle donne, ciò è perchè la Chiesa è il luogo in cui men and
women come to share in Trinitarian life, i.e. in a Life in which Giver and Receiver are equally glorious not in spite but precisely thanks to the respect of
their Hierarchical difference
dell’iniziativa salvifica di Dio. Infatti, il principio nuziale eleva sì la creatura a co-mediatrice della grazia, ma lo fa
preservando perfettamente ed anzi affermando come necessario l’assoluto rispetto dell’asimmetria dei ruoli: è Dio che dà
e fa tutto, mentre la creatura diventa mediatrice solo a condizione di accettare nella più radicale umiltà ed obbedienza
d’aprirsi all’azione della Sua grazia. (ci sarebbe molto di più da dire su questo, ma per ora mi fermo qui)
c) Last but not least, il principio nuziale consente di portare in modo mirabile ad unità i due orientamenti che i Mariologi
sempre sono tentati di sentire in opposizione, così che l’uno preferirà l’orientamento Cristologico, che tende ad esaltare i
privilegi di Maria e ad elevarla al di sopra della Chiesa fino a rischiare di disumanizzarla, l’altro preferirà l’orientamento
ecclesiologico o antropologico, che tende invece ad avvicinare Maria a noi ed a vederla come modello di discepolanza
ecclesiale, come icona della Chiesa, col rischio di sminuire l’eccezionalità di Maria. Il principio nuziale – sarà questo uno
dei cavalli di battaglia del corso – permette ancora una volta di superare questa dialettica o questa tensione, perché leggendo
il mistero Mariano attraverso il prisma unificante dell’analogia nuziale, riesce a valorizzare in eguale misura tanto la
somiglianza tra Maria ed ogni altra donna quanto la differenza radicale, la vocazione ad essere sposa e madre come ogni
donna, realizzandosi in Maria in un modo o ad un grado di eccellenza talmente iperbolico da essere unico ed inimitabile.
Potremmo dire che qui la Mariologia diventa il luogo in cui si gioca la comprensione che abbiamo o decidiamo di avere
del rapporto tra natura e grazia: è la grazia l’esaltazione della natura oppure la annichilisce? La grazia glorifica la natura
umana, il che significa ne afferma esponenzialmente la bontà e bellezza, oppure fa sì che essa perda i suoi connotati? Sono
domande importanti che parlando di Maria e dei meravigliosi misteri che la concernono, non potremo che farci e dovremo
affrontare. Si comincia così a capire meglio il titolo che abbiamo dato al corso, Maria icona della Chiesa. In un certo senso,
si deve a nostro avviso dire che la via regale per ottenere una Mariologia veramente profonda ed al contempo esteticamente
bella e giustamente dossologica, è quella di riuscire a pensare in modo ben calibrato proprio questo rapporto di analogia
o rispecchiamento iconico tra Maria e la Chiesa, dove per ben calibrato intendo: in un modo che rende altrettanto onore
alla reale umanità ed in particolare umanità femminile di Maria ed all’eccellenza imparagonabile con cui il mistero della
femminilità, della donna, in lei si realizza. Solo così otterremo una Mariologia che fa della vergine santissima al contempo
la stella polare cui guardare per capire noi stessi, in quanto chiamati ad essere Chiesa, ed insieme una stella la cui bellezza
è contemplata, gustata e celebrata per sé stessa, nella sua inimitabile ed incomparabile gloria.

2. La Mariologia di Lumen Gentium VIII

2.a. Giustificazione del titolo del corso in prospettiva storica: Lumen Gentium VIII
Da dove cominciare? Cominciamo col dire ancora qualcosa sul titolo: Maria icona della Chiesa. Questo titolo trae
ispirazione, come doveroso, dall’intuizione centrale che governa il capitolo VIII di Lumen Gentium, cioè l’unico testo
dogmatico che il concilio Vaticano II dedica alla Vergine Maria. Il fatto stesso che tale capitolo concluda la costituzione del
concilio sulla Chiesa, ci dice quale sia questa idea, che i padri conciliari non hanno inventato, bensì mutuato dalla tradizione
patristica e medievale: il mistero di Maria ed il mistero della Chiesa si illuminano e rispecchiano a vicenda. Da un alto, non
possiamo comprendere il mistero della Chiesa se non alla luce di Maria, archetipo e modello della Chiesa. Dall’altro,
l’opposto è non meno vero (accennare al dibattito: Hugo Rahner fu decisivo).

Va innanzitutto detto che, come spesso accade nella storia dei concili, la sezione mariologica della Lumen Gentium e’ frutto
di un compromesso tra due opposte fazioni: potremmo dire quella dei minimalisti, che mossi soprattutto da finalità
ecumeniche desideravano evitare ogni affermazione che elevasse Maria al di sopra della Chiesa (vedi, ad esempio,
l’omissione del titolo di corredentrice nel documento) e quella dei massimalisti, che forti del supporto della teologia
neoscolastica e del movimento Mariano, volevano una costituzione Mariologica distinta da quella sulla Chiesa e chiedevano
la proclamazione dogmatica di Maria corredentrice. La discussione fu tormentata – non entreremo in dettagli fasi (see
Philips). Ciò che conta è che il testo finale da una parte esalta lo speciale ruolo di Maria nella storia della salvezza, pur
usando espressioni sobrie ed anche vaghe abbastanza da lasciare spazio ad ulteriori riflessioni e chiarimenti. Dall’altra insiste
altrettanto fortemente sul fatto che Maria non è fuori dalla Chiesa, non è una sorta di eccezione sospesa tra cielo e terra,
bensì è della Chiesa il membro più eminente.
Orbene, indipendentemente dall’intenzione soggettiva dei padri conciliari, a me pare si possa e si debba dire (col Cardinal
scola) che la decisione dei padri di incorporare il mistero della Vergine Santa nella Chiesa fu non solo felice ma
provvidenziale, cioè davvero ispirata dallo Spirito, come sempre accade nei grandi concili: lo Spirito infatti ispira e guida la
Chiesa ben al di là della coscienza soggettiva delle sue membra, così che spesso certe affermazioni dogmatiche rivelano la
loro profondità solo molto tempo dopo essere state proclamate. Così a mio avviso è nel nostro caso.
Per capire cosa intendo, partiamo proprio dalla frase iniziale dell’introduzione di Lumen Gentium, che è come l’overture
di tutta la costituzione, e come tale ne indica l’idea unificante:

1. Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente,
annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che
risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno
e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei
precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e
la propria missione universale.

Qui il grande tema è quello della sacramentalità della Chiesa. Interessante è però un duplice fatto – da una parte si usa
veluti (in qualche modo, come)6, quasi a stemperare un po’ la forza dell’affermazione, invero nuova nel magistero, secondo
cui la Chiesa è sacramento. Dall’altra si dice, in Cristo, indissolubilmente negando la funzione mediatrice della Chiesa alla

6
It is interesting that what the Council says about the Church is very similar to what we can say about Jesus’ humanity: sacrament of union of man with
God. And yet there is a veluti ( = like a sacrament), which somehow qualifies and softens the affirmation. The Church mediates and yet not in the same
sense and way in which Jesus Christ does. He remains the only mediator, as the NT says. We are in this already put in front of one of the main
questions that run through our class, as mentioned above: in which sense the Church is Medium? Does not this affirmation put the Church almost in
competition with Christ’s exclusive mediation? From the opposite side: isn’t the Church an obstacle to our ‘direct’ relation with Christ? As De Lubac
insightfully pointed out, the scandal in front of the Catholic understanding of the mediation or co-mediation of the Church, is perfectly analogous to
the classical protestant objection to Catholic Mariology: in both cases, the scandal lies in the catholic claim that both Mary and the Church, despite
their created nature, co-mediate salvation/grace/divine life: see: splendor of the Church, 314.
unica mediazione di Cristo. Traluce dunque qui un “imbarazzo ecumenico” parallelo a quello di cui abbiamo parlato in
relazione alla Mariologia, essendo in effetti tanto il tema della mediazione sacramentale quanto quello della co-mediazione
Mariana altrettanti ostacoli all’unità coi fratelli separati. Si comincia così a capire dove sta il parallelismo tra Chiesa e Maria:
in entrambi i casi si ha a che fare con una mediazione della vita divina che va in qualche modo ad aggiungersi o ad associarsi
a quella del Verbo Incarnato. É lui il mediatore, l’Unico mediatore dice 1 Tim 2, 5. E tuttavia anche la Chiesa è mediatrice
- lo è in quanto, in Cristo, è strumento di intima unione con Dio e dell’unità del genere umano. Orbene, in che rapporto
stanno queste due mediazioni? La risposta che LG dà è che la Chiesa è mediatrice di grazia proprio in quanto mette in
contatto con Cristo: è lui la Luce delle genti, Lumen Gentium - non la Chiesa. Lo stesso accento o perlomeno la stessa
preoccupazione Cristocentrica sembra permeare in modo speculare il capitolo Mariologico che conclude la Costituzione
(non lo leggiamo ovviamente tutto, vi invito a farlo). Tuttavia, s’è con ciò detto abbastanza? In che rapporto esattamente
sta il Mistero mariano col mistero di Cristo? E in che modo o senso questo rapporto è immagine o icona del rapporto
della Chiesa con Cristo?
Come anticipato, la direzione migliore per rispondere a questo problema si trova in una attenta presa sul serio dell’analogia
nuziale, intesa come categoria che permette di comprendere la Chiesa come costituita o posta in essere non soltanto
dell’azione della grazia sacramentale ma anche dal libero fiat sponsale della donna, della figlia di Sion, che è ad un tempo
Maria e la Chiesa stessa, l’Israele che crede.
Partiamo dalla Chiesa, perché è proprio partendo da questo polo dell’analogia che, seguendo in fondo la logica di LG,
potremo poi meglio comprendere il posto speciale ed anzi necessario in essa di Maria.
Come noto, è la Scrittura stessa a parlare della Chiesa come della Sposa di Cristo (Paolo, Gv, Apoc.). Orbene, cosa
aggiunge il nome di sposa ad altri nomi biblici della Chiesa, in particolare a quello di Corpo di Cristo, ad esso affine? Qui
è cruciale un articolo di Balthasar che ha fatto epoca (Chi è la Chiesa?): Secondo Balthasar, quel che l’ecclesiologia nuziale
aggiunge ad una ecclesiologia sacramentale basata sul concetto paolino di corpo di Cristo, è l’idea che il costituirsi della
Chiesa, cioè la sua sussistenza, non dipende soltanto dalla Gratia capitis, dalla Grazia di Cristo e perciò dal sacramento,
ma anche dal libero assenso a ricevere della Chiesa, assicurato una volta per tutte dal fiat immacolato di Maria di Nazareth.
Voglio farvi notare che si tratta di una intuizione tanto semplice – in apparenza quasi elementare – quanto importante e di
fatto densa di implicazioni innovative nel modo di comprendere il mistero della Chiesa, implicazioni su cui non possiamo
soffermarci (non è un corso di ecclesiologia). A noi interessa la messa in valore dell’elemento potremmo dire personalistico
nel costituirsi della Chiesa: la Chiesa non è solo e nemmeno innanzitutto una istituzione. Al contrario, la Chiesa è prima
di tutto e soprattutto la sposa di Cristo, il che implica che non ci possa essere Chiesa senza la fede di chi si apre a ricevere
l’iniziativa del Signore.
Si comprende così il ruolo cruciale di Maria. Dire che la dimensione personale (il libero fiat delle persone) è costitutiva
della Chiesa non meno della grazia, significa dire ci deve essere nella Chiesa almeno una persona, la cui libertà è
perfettamente ed interamente aperta a Dio – significa cioè dire che la santità della Chiesa deve esistere in atto in almeno una
persona, perché Chiesa vi sia. Se l’elemento personale (potremmo chiamarlo anche: santità soggettiva, per distinguerlo dalla
santità oggettiva della Chiesa che è custodita nell’Eucaristia ed in generale nel sacramento) è ontologicamente essenziale al
costituirsi della Chiesa, allora bisogna dire che non vi può essere Chiesa, se non c’è qualcuno che è in persona già ora la
Chiesa santa e immacolata, la Sposa senza macchia, prima ed indipendentemente dall’imperfezione di tutte le altre persone
ecclesiali, che ancora aspettano di essere pienamente assunte in essa nell’Eschaton (e i beati? Domanda Milanesi:
interessante…).
É qui che la Mariologia entra in gioco.

2.b. Vergine Madre: il problema


Come anticipato, LG VIII propone dunque una Mariologia che è saldamente inostricata – per dire così –
nell’ecclesiologia. Il che significa: Maria è qui presentata come l’archetipo della Chiesa (direbbe Balthasar), ovvero sia
come primo esemplare o primizia della Chiesa che come modello ideale di essa, cioè come esemplare concreto in cui
l’ecclesialità si realizza al suo massimo grado di eccellenza7.
In particolare, per cominciare ad entrare in merito, il documento si sofferma con attenzione sul parallelismo tra due dei
titoli comuni a Maria ed alla Chiesa: quello di Vergine e quello di Madre.

LG, VIII, 3: De Beata Virgine et Ecclesia (60 ss.):

60. Uno solo è il nostro mediatore, secondo le parole dell'Apostolo: « Poiché non vi è che un solo Dio, uno
solo è anche il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che per tutti ha dato se stesso in riscatto
» (1 Tm 2,5-6). La funzione materna (MATERNUM MUNUS) di Maria verso gli uomini in nessun modo
oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. (Christi unicam mediationem
nullo modo obscurat nec minuit, sed virtutem eius ostendit). Ogni salutare influsso della beata Vergine verso
gli uomini:

a) non nasce da una necessità oggettiva, (non ex aliqua rei necessitate) ma da una disposizione puramente
gratuita di Dio (ex beneplacito divino)

b) e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; (ex superabundantia meritorum Christi profluit)

c) pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende (ab illa omnino dependet) e
attinge tutta la sua efficacia,(ex eademque totam virtutem haurit)

d) e non impedisce minimamente l'unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita. (unionem autem
immediatam credentium cum Christo nullo modo impedit sed fovet).

7
Due parole sul termine archetipo, giustamente prediletto da Balthasar, in quanto permette di tenere saldamente unite le due dimensioni della relazione
tra Maria e la Chiesa, la dimensione dell’interiorità e quella della eminenza, quella della imitabilità ed esemplarità di Maria e quella della inimitabilità. Il
termine è composto da due parti archè e typos. Da una parte abbiamo la parola archè, che in Greco ha due significati principali (in realtà più di due)
quello di principio o inizio in senso cronologico e quello di principio in senso filosofico, di causa prima. Dall’altra abbiamo la parola typos, che significa
esemplare, modello. Dire che Maria è l’archetipo della Chiesa significa così dire da una parte che ella è il primo esempio di Chiesa in senso temporale
e genetico –la Chiesa in senso pieno inizia in lei e con lei, dall’altra che ella è principio in senso potremmo dire ontologico e perciò assiologico: Maria è
cioè la fonte dell’ecclesialità, così che tutto ciò che è ecclesiale non è che partecipazione ad un modo di essere che in lei si è già realizzato ad un grado
sommo di eccellenza e perfezione (ella è Causa exemplaris, potremmo dire della Chiesa).
Primo commento: come evidente, l’enfasi centrale di questo paragrafo è sul fatto che la co-mediazione di Maria (o
funzione materna verso gli uomini) deve comprendersi in modo tale da non inficiare l’unica mediazione di Cristo ed in
nessun modo essere vista in competizione con essa.
Come abbiamo già sottolineato, quest’enfasi deve comprendersi innanzitutto a partire da o sullo sfondo dell’agenda
ecumenica del Concilio. Tuttavia, dobbiamo ora aggiungere, sarebbe a mio avviso miope limitarsi a dire ciò, quasi la
preoccupazione che giace dietro queste righe fosse – diciamo così – puramente politica. La preoccupazione ecumenica in
realtà si radica in e va di pari passo con una preoccupazione genuinamente o gratuitamente teologica, se è vero che nella
provocazione protestante c’è una particula veri che in effetti invita anche il cattolico a riflettere sul modo corretto di
comprendere e concepire la co-mediazione mariana (il che presuppone ve ne siano anche di scorretti).
Secondo commento: LG VIII, 60 non si spinge fino a spiegare positivamente (non è il compito di un documento
conciliare) quale sia o possa essere il modo migliore di conciliare e integrare senza cadere in contraddizione le due cose:
l’esclusiva mediazione del Verbo Incarnato – tutta la grazia viene da e per Gesù Cristo – e la materna co-mediazione di
tutta la grazia da parte di Maria – tutta la grazia passa attraverso Maria. Si limita a mettere dei paletti, alcuni negativi
(come spesso anche in passato hanno fatto le dichiarazioni dogmatiche conciliari) ed altri positivi. Quali sono questi
paletti?
Primo, si esclude che la co-mediazione Mariana dipenda da una necessità oggettiva, cioè una necessità dovuta ad una
legge che si imponga a Dio dall’esterno, quasi Egli fosse obbligato a servirsi dell’aiuto della Vergine8. In positivo,
qualcosa in questo caso lo si precisa: la mediazione materna nasce da una “disposizione puramente gratuita di Dio” - dove
nel termine gratuita mi pare si possa e debba dire che sono contenute almeno due affermazioni in una: si tratta di una
disposizione (i) libera, nel senso di non necessaria), ma non per questo (ii) priva di ragioni, se è vero che l’aggettivo ‘gratuito’
evoca, insieme all’idea di libertà, quella di liberalità o generosità. Si tratta dunque di un dono liberamente e liberalmente
elargito da Dio a Maria a manifestazione della sua generosità.
Secondo, si afferma che tale co-mediazione assolutamente dipende e trae tutta la sua efficacia dalla mediazione di Cristo
ed in particolare dalla “sovrabbondanza dei suoi meriti”. Sullo sfondo c’è qui probabilmente (anche) il dogma
dell’Immacolata concezione, nella cui formula di proclamazione si dice che Maria fu preservata da ogni macchia di peccato
in visu meritorum Christi (in vista dei meriti di Cristo). La santità di Maria, e perciò anche tutti gli atti meritori che le
hanno ottenuto il posto che ha nella storia della salvezza, si radicano infatti in un dono previo – il puro dono della perfetta
santità concessole fin dal momento del concepimento – senza il quale nulla di ciò che Maria è sarebbe possibile. D’altra
parte, va notato come il testo taccia completamente sui meriti della Vergine stessa, cioè sul ruolo della sua libertà nel
permettere alle grazie uniche di cui è stata oggetto di portare frutto in lei. Non se ne nega affatto l’importanza.
Semplicemente non se ne parla. Ancora una volta, la preoccupazione ecumenica è qui patente.

8
Torneremo più avanti su questo problema della necessitas – vedremo che c’è un senso diverso in cui la parola necessitas può invece essere genuinamente
usata, a patto di conciliarsi con la volontarietà ed anche una relativa contingenza della decisione.
Terzo, si esclude che il rapporto tra le due mediazioni sia da comprendersi nei termini di una sorta di sistema di vasi
comunicanti, quasi la grazia passasse dall’umanità di Cristo (Gratia Capitis) a Maria e da Maria alle altre membra della
Chiesa, così che Maria sarebbe una sorta di medium tra noi e Gesù. Questa interpretazione della co-mediazione Mariana,
secondo il Concilio (e ricordo che si tratta di una costituzione dogmatica e perciò cui si deve ossequio in materia di fede) è
erronea, perché farebbe di Maria una sorta di impedimento alla relazione immediata di ciascun fedele con Cristo, il che è
manifestamente irricevibile: “Ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini (d) non impedisce minimamente
l'unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita. La Vergine Santa, vuole dirci il Concilio, ci dà Cristo e ci porta
a Lui, non si interpone tra noi a Lui, quasi a “rubargli” lo spazio. Ciò è intuitivamente ovvio. E tuttavia lo è davvero?
Quando si tratta di spiegare con chiarezza perché o in che senso sia così, ci si accorge che forse il problema non è poi
così banale (tra parentesi: non si pone un problema analogo rispetto alla devozione nei confronti dei santi? Le recenti
vicende che hanno coinvolto anche il nostro movimento confermano che il problema è in realtà tutt’altro che banale: si
può dare una devozione disordinata o ambigua nei confronti di un santo e persino di Maria? Il concilio sembra dire: sì,
si può dare…).
Last but not least, nessuna allusione è qui fatta all’analogia nuziale o sponsale come ad una possibile modalità per rendere
intelligibile la ragione per cui o il senso in cui la co-mediazione non “oscura né diminuisce l’unica mediazione di Cristo”,
ma al contrario ne “mostra l’efficacia” (virtutem eius ostendit)9. Il che è strano, se è vero che proprio questa analogia, oltre
che ad accordarsi in modo facile ad intuirsi con l’espressione usata per indicare la co-mediazione Mariana (munus
maternum), stabilisce – come si è già sottolineato – una ovvia relazione di causa effetto tra il ruolo ricettivo e perciò
assolutamente dipendente (omnino dependens) della donna dal dono del principio maschile, e la fecondità -cioè il potere
di mediare vita ad altri – della donna medesima.
Se proseguiamo la lettura, concentrandoci in particolare sui numeri 64-65, ci accorgiamo di come questa omissione o
meglio reticenza è in effetti persistente e si direbbe quasi voluta. Mentre infatti, nello sviluppo dell’analogia tra Maria e
la Chiesa, si insiste sul fatto che entrambe sono vergini e madri, solo della Chiesa si dice che è sposa del Signore, mentre
il medesimo titolo non compare in relazione alla Vergine Maria:

a) Maria vergine e madre

63. La beata Vergine, per il dono e l'ufficio della divina maternità che la unisce col Figlio redentore e per le
sue singolari grazie e funzioni, è pure intimamente congiunta con la Chiesa: la madre di Dio è figura della
Chiesa, come già insegnava sant'Ambrogio, nell'ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con
Cristo (Deipara est Ecclesiae typus, ut iam docebat S. Ambrosius, in ordine scilicet fidei, caritatis et perfectae
cum Christo unionis)10. Infatti nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine,

9
Sebbene l’uso del termine munus maternum, sia detto per inciso, non solo non escluda, ma anzi invite, seppur in modo assai implicito, a muoversi in
questa direzione

10
Cf. S. AMBROGIO, Expos. Lc. II, 7: PL 15, 1555
la beata vergine Maria occupa il primo posto, presentandosi in modo eminente e singolare quale vergine e
quale madre (eminenter et singulariter tum virginis tum matris exemplar praebens) 11 [190].

Ciò perché per la sua fede ed obbedienza (Credens enim et oboediens)

generò sulla terra lo stesso Figlio di Dio,

e senza contatto con uomo, (et quidem viri nescia)

ma adombrata dallo Spirito Santo, come una nuova Eva credendo non all'antico serpente, ma, senza alcuna
esitazione, al messaggero di Dio, diede poi alla luce il Figlio, che Dio ha posto quale primogenito tra i molti
fratelli (cfr. Rm 8,29), cioè tra i credenti, alla rigenerazione e formazione dei quali essa coopera con amore
di madre.

b) La Chiesa vergine e madre

64. Orbene, la Chiesa contemplando la santità misteriosa della Vergine, imitandone la carità e adempiendo
fedelmente la volontà del Padre, per mezzo della parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre,
poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello
Spirito Santo e nati da Dio.

Essa pure è vergine, che custodisce integra e pura la fede data allo sposo; (Et ipsa est virgo, quae fidem Sponso
datam integre et pure custodit), ed imitando la madre del suo Signore,

con la virtù dello Spirito Santo, conserva verginalmente integra la fede, salda la speranza, sincera la carità
[191]. (virginaliter servat integram fidem, solidam spem, sinceram caritatem)

Qualche breve commento:


Primo, la maternità tanto di Maria quanto della Chiesa, è qui associata alla fede ed alla verginità delle due “donne”
12. Tra le due maternità esiste così quello che a buon diritto si può chiamare – sulla scorta della grande teologia
patristica (si cita Ambrogio) – una relazione figurale o tipologica (Deipara est ecclesiae typus). Infatti, come la vergine
Maria genera sulla terra lo stesso Figlio di Dio “per la sua fede nel ed obbedienza” al messaggero di Dio, “senza
contatto con uomo” (viri nescia) ma per potenza dello Spirito Santo (Spiritu Sancto adumbrata), così la Chiesa genera
a una “nuova vita e immortale i suoi figli”, custodendo “integra e pura”, “con la virtù dello Spirito Santo” (virtute
Spiritus Sancti), la fede data lo Sposo (fidem Sponso datam) – ciò in cui sembra consistere, due volte il testo torna sul
concetto, la sua spirituale verginità: (i) “Essa pure è vergine, che custodisce integra e pura la fede…” (Et ipsa est Virgo,

Cf. Ps. PIER DAM., Serm. 63: PL 144, 861AB. GOFFREDO DI S. VITTORE, In nat. B. M., Ms. Parigi, Mazarine, 1002, fol. 109r. GEROBO
11

DI REICH., De gloria et honore Filii hominis, 10: PL 194, 1105AB.

12
Verginità della carne (virginitas carnis) o del cuore (virginitas cordis o animae)? Se nel caso della Chiesa è chiaro si tratta di verginità spirituale – il che
rende facile legare la metaforica virginitas alla fede, diverso è il caso di Maria, rispetto alla cui verginità il testo rimane quodam modo ambiguo, alludendo
egualmente alla sua verginità fisica ed alla dedizione esclusiva del suo cuore a Dio, ma senza chiarire bene se ed in che modo la verginità fisica di Maria
gioca un ruolo nell’analogia Maria Chiesa.
quae (= perché?) integre et pure custodit fidem); “imitando la madre del Signore, con la virtù dello Spirito Santo,
conserva verginalmente (virginaliter) integra la fede…”.
Secondo, emergono però in tal modo alcune dissonanze o differenze, che suscitano importanti interrogativi. La
prima differenza, come già anticipato, sta nel fatto che mentre nel caso della Chiesa l’analogia è chiaramente il
principio di intelligibilità dell’immagine globalmente considerata, cioè del nesso che lega tra loro i tre elementi
costitutivi del mistero - verginità, fede e maternità spirituale - ciò non è affatto così chiaro nella presentazione
della maternità divina di Maria. Per essere più esplicito: nel caso della Chiesa, verginità (spirituale) e conservazione
della fede apostolica “pura ed integra”, possono essere comprese come un’unica ed indivisa realtà, proprio per il
fatto che la relazione tra la Chiesa e il Signore è compresa - in ossequio a ed in naturale continuità con l’uso
veterotestamentario di associare purità del culto e fedeltà coniugale – in termini sponsali. Il “conservare la fede
integra” – cioè non inquinata da false dottrine – diviene così fedeltà di una sposa al suo sposo (fidem Sponso datam),
allo stesso modo in cui già per Israele “non avere altri dei all’infuori del Signore” (Es 20) significava sfuggire la
tentazione dell’adulterio e persino, se si vuol vedere la cosa in prospettiva messianica, mantenersi “vergine” in
attesa dell’escatologica venuta del Suo unico Sposo (Is 62, 5)13. La verginità diviene così qui non già un concetto
semplicemente negativo (non conoscenza d’alcun uomo), bensì il rovescio negativo dell’adorazione esclusiva
riservata dalla Chiesa al Suo Signore e Sposo, cioè della purezza della fede stessa. Inoltre, è proprio o almeno
soprattutto mediante e grazie a tale “fedeltà” (cui vanno aggiunte speranza e carità), che la Chiesa genera al Suo
Sposo una moltitudine di Figli. Tra la sua indivisa auto-dedizione o verginale fedeltà spirituale e la sua maternità
c’è cioè un rapporto di causa-effetto, così che è giusto dire che la verginità della Chiesa (intesa nel senso indicato)
è sia il mezzo dell’unione spirituale di essa col Signore sia la causa della sua fecondità materna.
Diversamente le cose stanno nella presentazione della maternità verginale di Maria. Certamente anche qui il nesso
tra fede, intesa come incondizionatamente fiduciosa ed obbediente accoglienza della parola di Dio, e fecondità è
ben evidenziato (anzi, è ribadito due volte). Tuttavia, non si può fare a meno di notare come da una parte il nome
di sposa sia qui completamente assente; dall’altra, come tale fatto non possa che avere inevitabili ricadute nel
modo di concepire il significato della verginità di Maria nell’insieme del mistero. Svuotata del suo positivo
significato sponsale, cioè del suo indicare dono indiviso e totale di sé ad un unico Signore, la verginità non potrà
ovviamente più presentarsi come causa o con-causa della fecondità di Maria, bensì al contrario come un ostacolo ad
essa - sebbene un ostacolo che diviene occasione per un tanto più eroico atto di fede da parte della vergine.14
Di qui una almeno duplice conseguenza.

13
[5]Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.

Come vedremo, non c’è dubbio che c’è nella concezione verginale del Logos un elemento di assoluta soprannaturalità. E tuttavia, considerando le
14

cose ex parte Mariae, è rispettoso della natura della maternità, che una donna diventi madre senza essere sposa?
La prima è lo stabilirsi di un sottile contrasto, pur nella prevalente analogia, tra la Chiesa e la Vergine Maria: mentre
la Chiesa è madre in quanto vergine o grazie alla sua verginità, Maria sembra essere madre nonostante o
addirittura a dispetto della sua verginità – ciò che da una parte senz’altro corrisponde (comprensibilmente ed in
parte giustamente) ad una enfasi tipica della Mariologia tradizionale; dall’altra, rischia però di far collassare
l’analogia Maria-Chiesa dal di dentro.
La seconda conseguenza è, come già accennato, la perdita di intelligibilità del nesso che lega insieme verginità e
maternità. Senza il termine medio, cioè il nome di sposa - il quale, come vedremo nel prossimo capitolo, è
biblicamente assai più legato al nome di vergine di quanto si sia soliti rilevare - la relazione tra gli altri due (vergine
e madre) diviene invisibile.

2.c. Un doppio assioma fondamentale (ground axiom)


Prima di passare oltre ed entrare finalmente nel merito della nostra positiva proposta Mariologica, possiamo a questo
punto fissare due principi metodologici o ground axioms, che intendono fungere da bussola o criterio di orientamento
nel viaggio che percorreremo di qui in avanti.
Il primo lo vogliamo enunciare lasciandosi ispirare da un testo giustamente famoso e considerato un classico in materia
di analogia o tipologia Chiesa-Madre di Dio. Mi riferisco al sermone 51 (PL 194, 1862-1865) del beato abate
Cistercense Isacco della Stella (Cistercense, 1100-1169):

Il Cristo è unico, perché Capo e Corpo formano un tutt'uno. Il Cristo è unico perché è figlio di un unico Dio
in cielo e di un'unica madre in terra.
Si hanno insieme molti figli e un solo figlio. Come infatti Capo e membra sono insieme un solo figlio e
molti figli, così Maria e la Chiesa sono una sola e molte madri, una sola e molte vergini. Ambedue madri,
ambedue vergini, ambedue concepiscono per opera dello Spirito Santo senza concupiscenza, ambedue
danno al Padre figli senza peccato. Maria senza alcun peccato ha generato al corpo il Capo, la Chiesa nella
remissione di tutti i peccati ha partorito al Capo il corpo.
Tutt'e due sono madri di Cristo, ma nessuna delle due genera il tutto senza l'altra.
Perciò giustamente nelle Scritture divinamente ispirate quel ch'è detto in generale della vergine madre
Chiesa, s'intende singolarmente della vergine madre Maria; e quel che si dice in modo speciale della vergine
madre Maria, va riferito in generale alla vergine madre Chiesa; e quanto si dice d'una delle due, può essere
inteso indifferentemente dell'una e dell'altra.

Anche la singola anima fedele può essere considerata come Sposa del Verbo di Dio, madre figlia e sorella
di Cristo, vergine e feconda. Viene detto dunque in generale per la Chiesa, in modo speciale per Maria,
in particolare anche per l'anima fedele, dalla stessa Sapienza di Dio che è il Verbo del Padre: Fra tutti
questi cercai un luogo di riposo e nell'eredità del Signore mi stabilii (cfr. Sir 24, 12). Eredità del Signore in
modo universale è la Chiesa, in modo speciale Maria, in modo particolare ogni anima fedele. Nel
tabernacolo del grembo di Maria Cristo dimorò nove mesi, nel tabernacolo della fede della Chiesa sino alla
fine del mondo, nella conoscenza e nell'amore dell'anima fedele per l'eternità.

Questo splendido testo contiene in nuce perlomeno uno dei due principi assiomatici che ci guideranno nel nostro viaggio
attraverso le meraviglie del mistero Mariano: non c’è nulla di ciò che noi possiamo dire della Vergine Maria che non
si possa dire anche della Chiesa15 e vice versa. Ciò che è differente, come in ogni genuine analogia, è il modus significandi,
cioè il modo e la misura in cui un certo predicato si applica a ciascun membro dell’analogia.
Secondo assioma: per arrivare a contemplare insieme l’eccellenza ed unicità di Maria di Nazareth, senza sacrificarne
l’autentica umanità e perciò la paradigmatica esemplarità (sia in quanto credente che in quanto donna) – che è poi ciò
che il Concilio ci invita a fare – non possiamo che usare un approccio biblico ed in particolare tipologico – figurale,
come già facemmo nella parte sistematica del corso di Cristologia.
Infatti, come già s’è potuto constatare in relazione al mistero della persona divino-umana di Cristo, il modo migliore
per arrivare ad abbracciare in unico sguardo l’eccellenza suprema di Maria ed il suo essere donna reale, o se si vuole il
suo essere “beata”, ma beata “fra le donne”, come cioè “una di loro”, è quello di contemplarne il mistero tenendo sullo
sfondo, come una sorta di indispensabile background, le figure femminili che nella storia della salvezza a lei precedente
ne adombrano profeticamente la realtà. Nulla più del sublime gioco di somiglianze e differenze che lega Maria alle
donne che nella Scrittura la prefigurano, può infatti aiutarci a gustare e vedere in lei la realizzazione sovrabbondante
o iperbolica, come a noi piace dire, dell’essenza stessa della femminilità – realizzazione che, in analogia con ciò che si è
detto di Cristo, è ad un tempo imitabile ed inimitabile.

15
E persino di ogni singolo membro della Chiesa, se escatologicamente considerato.

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