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Tre pomodori, tre peperoni, tre cetrioli, tre cespi di insalata, tre broccoli, tre cavolfiori, tre
lamponi. Non è una lista della spesa. È la quantità massima di ortaggi e verdure acquistabile dai
consumatori inglesi nella terza catena di supermercati del Regno Unito. Scarseggiano. E costano
di più: una cassetta di pomodori è passata da 8 a 14 sterline, una di peperoni da 9 a 22 sterline.
Ma questi fenomeni colpiscono tanti paesi, europei e non solo. Certe immagini, però, non si
vedono altrove. C’è dunque un fenomeno, interno al Regno Unito, capace di rendere tutto più
complesso: Brexit. Che divide — il recente neologismo “Bregret” abbina Brexit a “regret”,
rimpianto, e si basa su sondaggi secondo cui oltre il 50 per cento degli inglesi intervistati si è
pentito dell’uscita dall’Unione europea — e complica – secondo i dati diffusi dal Fondo monetario
internazionale, nel 2023 quella britannica resterà l’unica economia del G 20 in recessione, con
una contrazione del pil pari allo 0,6%.
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19/03/23, 20:51 print - Crisi interne, certezze esterne: la dimensione dell’anglosfera - L'Osservatore Romano
«La Brexit dimostra come i veri problemi dell’ordine internazionale, a differenza del passato,
oggi scaturiscano dalle crisi interne agli Stati»: esordisce così il professor Giulio Sapelli, che ha
insegnato Storia economica ed Economia politica in università italiane, europee e americane,
parlando al nostro giornale. «Il rapporto fra Europa e Regno Unito è in questo senso esemplare —
prosegue —, le radici storiche dell’ingresso dell’Inghilterra nell’Unione europea sono tutte
internazionali. Questa aderì alla Comunità economica europea nel 1973. Essendo il principale
alleato degli Stati Uniti, in quel periodo Londra non se ne faceva nulla dell’Europa. Invece, proprio
in quanto alleato di Washington, il Regno Unito serviva a bilanciare gli equilibri di un’Europa a
metà fra il protagonismo francese e la minaccia sovietica. Gli Stati Uniti avevano bisogno di
esercitare una leadership nel mondo occidentale. Non a caso, l’ingresso di Londra si compie nel
momento in cui il generale francese De Gaulle si dimette, lasciando il posto a George Pompidou,
mentre con Mosca si avvia una fase di apparente distensione».
Se l’adesione alla comunità europea è avvenuta per motivi internazionali, oggi «l’uscita
dall’Unione europea è dovuta esclusivamente a ragioni interne al Regno Unito — prosegue Sapelli
—, dalla sterlina ai conservatori fino al referendum e al rapporto campagna-città. Brexit è l’evento
che restituisce l’Inghilterra all’anglosfera». Cambio di equilibri, cambio d’epoca. Entrare per
uscire. Dal passato al presente. La complessità interna come motore dell’agenda globale. Una
lettura secondo cui Brexit serve a spiegare le dimensioni della storia.
Ma l’indebolimento del Regno Unito fa parte di una percezione o è la realtà? «Credo sia una
percezione che noi europei vogliamo raccontarci», chiarisce al nostro giornale Lucio Caracciolo,
direttore della rivista di geopolitica «Limes». «Certo — prosegue —, una crisi interna è evidente,
ma la dimensione internazionale inglese non è cambiata dopo l’uscita dall’Unione europea. Anche
perché il Regno Unito non è mai entrato davvero nell’Unione europea. Lo ha fatto formalmente,
sì, ma ha usato un certo giudizio, un distacco nei confronti di Bruxelles. Si è trattato e si tratta di
un’isola affacciata sull’Europa con forti legami sul piano economico e storico. Piuttosto, con la
Brexit è stata Washington a perdere la sua pedina più forte all’interno dell’Ue».
A quale dimensione strategica appartiene Londra? «È su binari che non la porteranno molto
lontano — osserva Caracciolo — eppure, fa parte dell’unica vera alleanza realmente esistente.
Quella dei Five Eyes: Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda. Se Washington è
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la Roma dell’anglosfera, Londra è Atene. E ha fatto una scelta strategica ben chiara: stare dove
stanno gli americani. Possibilmente un passo avanti. Per indicare loro la strada».
«Dipenderà dalla politica interna britannica — risponde Giulio Sapelli — i conservatori hanno
fatto della Brexit la loro battaglia. Peserà il ruolo dei laburisti così come quello del nuovo leader
scozzese, del Galles, di Irlanda e Irlanda del Nord. Un ritorno del Regno Unito in Unione europea,
personalmente, non lo escludo. Ma dobbiamo essere consapevoli di una cosa. La distensione tra
Bruxelles e Londra, che stiamo vedendo in questi giorni con l’accordo sull’Irlanda del Nord,
dev’essere intesa come dialogo non solo economico, ma soprattutto sociale. Come apertura
mentale. La common law britannica e la civil law romano-germanica s’incontrano. E, in un’Europa
senza costituzione, la civiltà giuridica deve essere sopra a tutto».
di GUGLIELMO GALLONE
Internazionale
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