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1) Introduzione: la portata esatta dei discorsi dogmatici, svelata dal loro risvolto spirituale
La portata spirituale della confessione dogmatica aiuta a precisare il senso dei termini utilizzati
Esempio: Nel dialogo ecumenico: ci può essere verbalmente la stessa confessione di fede, ma non vengono
tratte le stesse conseguenze pratiche.
Lutero: spiritualità Cristocentrica ma separazione totale tra sequela Christi (obbedienza nella fede)
e imitatio Christi (illusione cattolica: l’uomo peccatore non può imitare Dio). Si accetta Cristo ma un
Cristo che non vive in noi e la vita di Cristo rischia di non aver alcun vincolo con la nostra.
Bonhöffer: vuole recuperare la sequela, imparare da Cristo ad essere “ un uomo per gli altri”.
Rischio di ridurre il Cristianesimo all’impegno etico, imitazione di Cristo semplicemente umana ( ex.
Teologia della liberazione).
La sola confessione di fede dogmatica è dunque insufficiente: bisogna verificarne il contenuto nella
coerenza delle sue conseguenze pratiche.
2) come l’imitazione di Cristo è la chiave della Bibbia: la vita del verbo incarnato, annunciata nelle scritture,
continuata nella storia dai cristiani.
Cristo al cuore di tutta la storia della salvezza: Bibbia ( molti libri distinti ) non ha altro tema che Cristo, in
Lui trova la sua unità ( questo è il messaggio della Tradizione) ex Nella continuità di AT eNT , si giunge ad
un’altra tappa, l’oggi della Chiesa, dove si ripropongono i misteri di Cristo nella vita del popolo di Dio e dei
cristiani.
3)Tipologia: Cristo, annunciato nelle Scritture, viene continuato nella storia de cristiani
La tipologia “ realtà che fa parte del deposito della tradizione”, è uno degli strumenti che esprime come
Cristo sia il centro della storia della salvezza ( prefigurazioni di ciò che Dio ha compiuto nella Persona del
suo figlio incarnato). Tipo= adombramento del futuro/ antitipo= forma realizzata nel tipo
Esempio: Tempio. Centro della teologia della SScr: manifesta la vicinanza divina( Dio in mezzo al suo
popolo), vicinanza realizzata nel sacrificio cultuale ( riconciliazione tra CREATORE e CREATURA).
Nell’Antico Testamento
il Paradiso terrestre, l’Eden è come il Sancta Sanctorum, Adamo ed Eva vi offrono sacerdotalmente
sacrifici e si sottomono a regole di purità rituale come farà dopo il clero di Gerusalemme;
il tempio della creazione, dove i patriarchi offrono sacrifici in mezzo alla natura;
la tenda del deserto, che mostra tra l’altro quanto la presenza di Dio in mezzo al popolo sfugge al
controllo umano: è la Shekinah, la gloria divina
il tempio di Salomone;
l’Esilio dove si vive nel desiderio del tempio
il secondo tempio, di Zorobabele e di Erode, colui che conobbe Cristo.
al centro di tutta la storia, il tempio è il corpo del Verbo incarnato, la cui presenza segna che la
gloria divina non abbandona più il suo popolo e la cui distruzione sulla Croce dichiara la fine del
tempio veterotestamentario di pietra e la definitiva riconciliazione dell’uomo con Dio (cfr. Gv 2,19);
il tempio è la Chiesa( continuità con Cristo) che offre quotidianamente questo sacrificio perfetto
della Croce;
è il cristiano che presenta se stesso in oblazione in unione con Cristo;
è la nuova Gerusalemme, nella qua- le non si vede alcun tempio, perché “il Signore Dio,
l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio” (Ap 21,22).
Il NT ci rivela Cristo come Figlio e Pontefice, dandoci una chiave del suo mistero e di ciò che il Padre intende
riprodurre in noi: collaborazione affinché anche noi siamo costituiti figli e sacerdoti in Cristo. Ogni cristiano
come figlio è chiamato ad entrare nel tempio della propria vocazione per compiervi l’oblazione della sua
esistenza, per la gloria di Dio e la salvezza degli uomini.
NT: ricorda che la nostra filiazione divina in Cristo sta al cuore del disegno di Dio sul mondo: “Quelli
che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio
suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29);(Ef 1,4-6).
I Padri hanno amato vedere questa filiazione come il fine stesso dell’incarnazione. Sant’Ireneo di
Lione († 202) scrive così: “Per questo appunto il Verbo si fece uomo e il Figlio di Dio si fece figlio
dell’uomo, affinché l’uomo, mescolandosi a Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi figlio di Dio”.
Funzione unica di Cristo nella storia delle religioni: l’essenza del Cristianesimo è Cristo, continuato
nella Chiesa, Egli non è un semplice annunciatore come Buddha o Maometto.
Adolf von Harnack († 1930) cercò nella Sacra Scrittura l’essenza del cristianesimo e crederà di
trovarla nella paternità divina. Ma esclude, in certo qual senso, Dio Figlio: si riduce
all’interiorizzazione psicologica della misericordia del Padre, non è la vita nuova in Cristo come la
concepisce la tradizione ecclesiale.
Karl Adam († 1966), così come Michael Schmaus († 1993) e Romano Guardini († 1968):
risposta cattolica: Cristo è l’essenza del cristianesimo, Cristo oggi presente nella Chiesa(
specialmente nell’eucarestia) dove riceviamo la sua vita.
santità:(compimento della volontà divina sugli uomini) “la pienezza della filiazione divina”,
dell’introduzione del cristiano come figlio nella vita della Trinità.
La vita filiale del Verbo incarnato e dei cristiani è una vita di amore per il Padre e per gli uomini fino alla
Croce, al sacrificio
I santi vivono e trasmettono questa esperienza filiale e sacerdotaleLa dimensione filiale e sacerdotale sta al
cuore dell’esperienza dei santi, di ciò che il Padre realizza in loro. Alcuni ne ebbero una profonda coscienza
teologica.
Teresa Benedetta della Croce-Edith Stein († 1942), in una sua riflessione sulla spiritualità
carmelitana, esprime in termini sacerdotali e filiali, quando l’eterna filiazione del Verbo sbocca
sull’eterno suo atto di offrirsi al Padre e si riverbera nella vita dei cristiani.
“L’anima vive la sua vita di grazia in virtù dello Spirito Santo, amando in Lui il Padre con l’amore del
figlio e il Figlio con l’amore del Padre”. Nello Spirito, come Cristo, ogni fedele impara a ridare tutto
al Padre in un atto sacerdotale.
San Josemaría coglie il vincolo tra filiazione e sacerdozio, il senso corredentore dell’esistenza del
cristiano, figlio e sacerdote per partecipazione, che legge la propria vita alla luce di quella del suo
Signore incarnato: “Il cristiano è chiamato ad essere alter Christus, ipse Christus…” (È Gesù che
passa, n. 96).
Il cristiano impara così nella Scrittura letta dai santi, a compiere il senso della storia, riportando
tutto al Padre, offrendo il cosmo sacerdotalmente al Lui: cooperando cioè alla ricapitolazione, per
“ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose” (Ef 1,10).
Proporre l’identificazione con Cristo è possibile all’uomo nel dono dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia, riceviamo
una vita per il dono
L’imitazione è possibile perché riceviamo la vita divina nella fede e nei sacramenti, specialmente
l’Eucaristia. Ricevere la vita di Cristo in noi ci impulsa a offrire la propria esistenza come Gesù e in
Lui in un servizio degli altri abnegato e gioioso: “solo dando la vita per gli altri viviamo la vita di
Gesù Cristo e diventiamo una sola cosa con Lui”(Escrivà, Via crucis XIV).
Soltanto l’Eucaristia ci permette l’identificazione con Cristo, la partecipazione al grande movimento
di oblazione del cosmo per la gloria del Padre che riassume la storia della salvezza.
Benedetto XVI: “ L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo
statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione”.
S. Giovanni Paolo II: “La partecipazione all’Eucaristia […] è vertice dell’assimilazione a Cristo, […]
principio e forza del dono totale di sé”.
“Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce
la sete di cercarti” (in CCC, n. 260) B. Elisabetta della Trinità
Si costata fenomenologicamente che la realtà trinitaria sembra poco presente nel descrivere ciò che vivono
quotidianamente molti fedeli.
La tradizione riconosce che siamo qui nel cuore del mistero e che le nostre parole umane sono
superate dalla realtà divina. S. Agostino poté così scrivere: “Raramente l’anima che parla [della
Trinità] sa di cosa parla”. Questa frase agostiniana risuona come un invito all’umiltà, a riconoscere
che il nostro discorso non descrive adeguatamente la Trinità né in sé, evidentemente, ma
nemmeno in noi.
Immanuel Kant († 1804): la confessione trinitaria sarebbe una verità senza portata pratica, il nostro
discorso sarebbe soltanto un flatus vocis: “ Dal dogma della Trinità, preso alla lettera, non si
potrebbe assolutamente cavarne nulla per la prassi… esso supera ogni nostro concetto”.
Come pensare dunque questa verità centrale? Come riconoscere l’insufficienza del nostro discorso senza
vanificare l’opportunità della rive lazione e la presenza della vita trinitaria in noi?
Tre tappe:
1) vedremo come si possono anche valutare le diverse teorie trinitarie apprezzandone le conseguenze
spirituali;
2) si esamineranno le teologie politiche pensate a partire della Trinità e i loro limiti, come un esempio
di discorso trinitario ‘pratico’
3) si terminerà costatando che al cuore della praticità della dottrina trinitaria, si deve riscoprire che in
noi, il Dio vivente ama e conosce.
2)Le polemiche teologiche trinitarie hanno una portata spirituale pratica: cercano di capire in che misura
Dio ci è vicino
Le teorie trinitarie hanno una portata pratica, perché cercano di capire quanto Dio sia vicino all’uomo
(teologia contemporanea).
Il vero Dio non è come gli dèi dell’Olimpo omerico o come il Klamm nel Castello di Franz Kafka (†
1924), un dio del quale nessuno è sicuro di averlo veramente visto(capriccioso, incomprensibile,
che si nasconde ingannando), il vero Dio si rivela nella verità della sua intimità per essere
conosciuto ed amato tale come Egli è.
b) Il Dio “troppo vicino” di alcune teologie della Trinità nella storia della salvezza
Intento rahneriano di contemplare la Trinità nella storia come rimedio ad una considerazione soltanto
intellettuale di essa
La teologia del Novecento è contro una certa manualistica di convertire la riflessione trinitaria in
una speculazione senza portata spirituale, pastorale e pratica vissuta.
È questo pericolo intellettualizzante che esprimono alcune celebri frasi di Karl Rahner († 1984): “I
cristiani, nonostante la loro esatta professione della Trinità, sono quasi solo dei ‘monoteisti’ nella
pratica della loro vita religiosa. [...]”.
Rahner propone di tornare alla Trinità economica, tale come si è fatta conoscere nella storia,
perché non ha avuto paura di incontrare l’uomo concretamente per salvarlo. La distinzione tra il
mistero e l’economia rappresenta una intuizione certamente tradizionale.
N.b: cfr CCC, n. 236.
Ma Rahner tende a confondere l’economia col mistero immanente, e definisce come assioma di
base (Grundaxiom), che: “La Trinità ‘economica’ è la Trinità ‘immanente’ e viceversa”. Il problema
risiedendo nel ‘viceversa’ (umgekehrt). L’economica è veramente l’immanente, cioè la Trinità si
manifesta nella storia come è; ma l’immanente non si riduce all’economica, la manifestazione
storica di Dio non dice tutto ciò che la Divinità è. La Trinità immanen- te è molto più che
l’economica, non è soltanto ciò che manifesta di sé nella storia.
Il pericolo pratico, spirituale, dell’umgekehrt è che uccide la tensione vitale verso la Trinità
immanente, che è sempre al di là di ciò che possiamo pensare e dire. Riduce la Trinità al nostro
discorso, toglie ogni apofatismo (sancta sanctorum), ingabbia Dio nell’economia e rischia di
nascondere il vero Dio.
Jürgen Moltmann, nato nel 1926. Per lui, il velo tra Trinità immanente ed economica scompare in
un altro senso: la Trinità si realizzerebbe nella storia, non esisterebbe una Divinità immanente,
diventa divinità nell’economia, sulla croce. Non esiste più il velo apofatico, perché non c’è niente
dietro106.
3)Il Dio trino è vicino ma rimane Dio: non è alla mia portata, non è soltanto un modello per capire l’umanità
Come afferma Gaudium et spes: “il Signore Gesù, quando prega il Padre perché ‘tutti siano una cosa sola,
come io e tu siamo una cosa sola’ (Gv 17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha
suggerito una certa similitudine tra l’unione delle Persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e
nell’amore” (GS, n. 24).
La riflessione trinitaria ha certamente un aggancio politico, sociale: conoscere che la coesistenza dell’uno e
del molteplice apre sicuramente orizzonti pratici alla riflessione sull’unità e la pluralità del corpo sociale.
Ma la troppa accentuazione di questo carattere politico potrebbe far perdere di vista che la rivelazione
trinitaria parla di Dio, non dell’uomo e della società umana,non noi stessi(non ridurre la Trinità ad un
modello sociale) = atteggiamento spirituale di adorazione davanti al mistero.
Analisi di Erik Peterson († 1960) sulla teologia trinitaria come rifiuto del totalitarismo e di ogni teologia
politica.
L’analisi di Erik Peterson sull’arianesimo della corte costantiniana (un solo Dio, senza Trinità),
d’accordo col modello politico imperiale (un solo monarca, senza competitore):per lo storico della
corte imperiale Eusebio di Cesarea († ca. 340), Costantino “ha imitato la divina monarchia: l’unico
re rappresenta l’unico Dio, l’unico Re del cielo, l’unica legge e verità” (Laus Constantini, I, 10). In
questo senso l’arianesimo della corte trova una certa logica nel parallelismo tra uno solo Dio e un
solo imperatore.
Per Peterson, la verità trinitaria esclude non soltanto la monarchia divina ma anche quella umana, quando
viene capita come tentazione di divinizzare il potere: la rivelazione trinitaria esclude la teologia politica
Peterson, tedesco e antinazista, scrive nel 1935, la verità trinitaria realizza “la rottura con ogni
teologia politica, che abusa dell’annuncio cristiano per una certa situazione politica. Soltanto sul
terreno del giudaismo e del paganesimo può esistere qualcosa come una teologia politica. Nessun
potere dovrebbe osare rivendicare la rappresentazione dell’essere infinitamente ricco, plurale,
trino, trascendente, di Dio. Con il pensiero trinitario, “finisce la teologia politica nel cristianesimo
ortodosso. Il destino spirituale dell’uomo nel senso cristiano non può essere rappresentato sulla
terra dall’organizzazione di potere d’una società politica; esso può essere rappresentato solo dalla
Chiesa”.
Si voleva far scendere la confessione trinitaria dalla riflessione strettamente metafisica considerata come
troppo fredda, razionale e senza vincolo con la vita, si voleva far scendere la dogmatica dall’astrazione e
trasformarla in spiritualità.
Tuttavia il risultato può essere una proposta pratica certamente interessante ma i cui legami con la
dogmatica, con la verità rivelata, s’indeboliscono. La Trinità si riduce a modello d’intesa sociale e politica
(già Feuerbach) († 1872).
In alcuni autori, è persino la politica che sembra dettare le ragioni della teologia trinitaria, e non già
l’inverso.
Leonardo Boff (rappresentante di una certa teologia della liberazione) volendo assicurare
l’uguaglianza politica fra i cittadini, la fonda sulle relazioni trinitarie, e finisce per affermare che la
perichoresis è sempre perfettamente reciproca: il Padre è nel Figlio come il Figlio nel Padre, una
posizione teologica scelta perché gli permette di traslatare questa uguaglianza in Dio alla po- litica
umana.
Applicazione di questo anche alla Chiesa. Ratzinger propone l’esempio delle conclusioni anti-
pontificali della riflessione sull’arianesimo politico. Alcuni deducono infatti: se l’arianesimo di corte
aveva come causa la volontà di difendere l’unicità del potere imperiale, il pontificato monarchico
romano è analogicamente ariano nella sua riduzione del potere all’uno, e bisognerebbe dunque
4)Al cuore della praticità della dottrina trinitaria: in noi, il Dio vivente ama e conosce
Queste proposte teologiche ci incoraggiano a chiederci cosa facciamo della confessione trinitaria, in che
senso una professione di fede dogmaticamente esatta ci incoraggia veramente a cercare Dio, ad entrare nel
tempio della nostra anima dove ci aspetta la Trinità.
Ora pars construens: uno degli effetti più pratici di questa rivelazione trinitaria è che scopriamo che in noi
lo stesso Dio conosce e ama. La Trinità non si rivela a noi come un modello esteriore da imitare, ma in
Cristo ella viene a vivere in noi, stabilisce in noi la sua dimora come in un tempio. È qui l’imago Dei nel
senso più forte: si verificano nell’uomo degli atti di conoscenza e amore in Dio, Dio cioè non è soltanto
l’oggetto di questi atti ma ne è il soggetto.
Per essere conosciuto/amato dall’uomo, ne Dio eleva le capacità conoscitive con l’inabitazione trinitaria.
“È Dio stesso che entra in contatto con l’uomo e lo fa partecipe della propria vita”. Il fedele in grazia
conosce ed ama perché Dio si conosce e si ama in lui (cfr. S.Th. I, q. 93, art. 5-8).
Conosciamo il Padre nel Figlio per lo Spirito. Il Verbo e lo Spirito sono presenti in noi secondo le modalità
delle loro processioni, cioè secondo la conoscenza e l’amore, che manifestano in noi il Padre che ama e
conosce. Il Figlio comunica al giusto una somiglianza del suo modo di rapportarsi al Padre, cioè nella
sapienza, e lo Spirito comunica al giusto una somiglianza del suo modo di procedere, cioè nell’amore. Con
queste processioni nel giusto si manifesta il Padre, termine del reditus.
Il reditus si realizza “in una specie di rappresentazione del dinamismo delle processioni: torniamo al
Padre come al principio dal quale vengono il Figlio e lo Spirito Santo”, torniamo sulla strada
disegnata dalle processioni del Figlio e dello Spirito, nella conoscenza e nell’amore. Esiste dunque
un parallelismo tra le processioni (cioè l’exitus) e il reditus, tra la teologia e l’economia.Le persone
divine realizzano nei fedeli in stato di grazia ciò che esse sono dall’eternità.
San Giovanni della Croce († 1591): (Cantico (A), str. 38, n. 3).
San Tommaso, afferma che l’anima santa partecipa delle processioni, si unisce al Padre e genera il
Figlio, si unisce al Padre e al Figlio per spirare lo Spirito (nella linea della manifestazione dell’amore
divino col suo dinamismo trinitario, al quale si apre l’anima in grazia). L’amore e la conoscenza non
sono ‘soltanto’ somiglianza, ma ci permettono di sperimentare in noi le Persone divine, come
presenti e operanti. “L’inabitazione di Dio nei santi si realizza per mezzo di un attività amorosa e
conoscitiva” (Com. Col., cap. 2, lect. 2.).
La cooperazione libera, filiale, è voluta da Dio. Questo include una dimensione di purificazione attiva.
San Giovanni della Croce descrive così questo processo di collaborazione ‘negativa’, che sopprime
gli ostacoli all’agire divino: “Quando l’anima cancella in sé tutto ciò che ripugna o non è conforme
alla volontà divina, allora è trasformata in Dio per amore” (Salita al monte Carmelo, II, 5, 3).
La collaborazione con Dio include anche positivamente gli atti di amore e conoscenza per le persone divine
presenti nell’anima.
Chardon († 1651): “Questa dottrina delle missioni invisibili delle divine persone in noi è uno dei
motivi più potenti di progresso spirituale, perché mantiene l’anima nel desiderio del suo progresso,
attenta a produrre senza cessare atti più forti e ferventi di tutte le virtù, affinché, crescendo nella
grazia, questa nuova crescita porti di nuovo Dio in lei, [...] tramite un’unione [...] che avrà più
intimità, più purezza e più vigore”.In questo senso, è vitale per l’anima intensificare il contatto
intimo con le Persone divine che inabitano in lei.
Questa necessità degli atti d’amore e di conoscenza mostra l’utilità della risposta libera dell’uomo
Questa presenza del Figlio e dello Spirito in noi per una conoscenza quasi sperimentale rientra nel
movimento del reditus della creazione verso il Padre, un reditus libero, soprannaturale, a
differenza dell’exitus naturale, istituendo le creature nel loro essere proprio.
Conseguenze: bisogna cercare la presenza di Dio e fare atti delle virtù teologali, ma non cerca re in sé una
coscienza riflessa dell’esperienza, della conoscenza di Dio
L’essenziale nella nostra relazione con la Trinità non è la nostra consapevolezza di conoscerla ed
amar- la. Gli effetti della grazia nel giusto non sono infatti sempre consapevoli.
Sant’Antonio diceva: ‘Colui che sa che prega non ha ancora iniziato a pregare”. Questa
preoccupazione del ‘sentire’ spirituale è al cuore delle preoccupazioni ‘moderniste’ della cultura
dominante, e rischia sempre di oscurare in noi il primato del primo comandamento.
Posso conoscere qualcosa della Trinità e questa conoscenza ha un influsso tangibile sulla mia vita.
Conoscere la Trinità non è il frutto di una semplice speculazione intellettuale: la conoscenza sperimentale di
Dio è perfettamente accessibile alle persone semplici, come lo ricorda l’esempio della vetula in san
Tommaso, che può conoscere Iddio meglio del dotto.
Non si conosce mai totalmente Iddio. Il nostro spirito è giunto all’estremo della sua conoscenza di Dio
quando sa finalmente che l’essenza divina è al di sopra di tutto ciò che si può conoscere quaggiù. ‘‘Quid
vero sit [Deus] penitus manet ignotum”.
Ratzinger: “In questo campo solo l’umile ammissione della propria ignoranza può essere vera
sapienza e solo l’attonito arresto di fronte all’ineffabile mistero può costituire la giusta modalità di
credere in Dio. L’amore è sempre un mysterium: è un mistero più profondo di quanto si riesca a
scandagliare e a comprendere quando se ne discute in teoria. Di conseguenza, l’Amore per
È esempio di fedeltà nel tempo, risposta perfetta alla chiamata divina, non ha mai cessato di credere nell’
adempimento della Parola di Dio (CCC 149). Stefano de Fiores: Maria è microstoria della salvezza
1. Maria ascolta la Parola diventa madre del Dio vivente
Maria ascolta accoglie in sé il Verbo di Vita
o B XVI: Maria è la figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio, che in lei si fa carne
o Conceptio per aurem: pensiero della tradizione mariana per cui il concepimento è
avvenuto proprio per l’aver ascoltato.
Maria è tempio del Dio vivente = viene abitata dal Verbo della Vita.
o “Tempio” riassume la storia della salvezza: tempio della natura, Eden, di pietra, di
Cristo (cioè la Chiesa)
Il Verbo usato nell’Annunciazione in riferimento alla azione dello Spirito che la
coprirà con la sua ombra è lo stesso usato nella LXX in riferimento alla gloria
divina che riempie la tenda dell’incontro
Visitazione letta in parallelo con la traslazione dell’arca da Abinadaba a
Gerusalemme e lo stupore del re Davide (cfr, corso di Mariologia al primo cap.,
parallelismi con AT)
o Ma è anche icona del creato che torna verso Dio (reditus), perché attira nel suo
movimento verso il Padre
La teologia della vocazione è in fase di sviluppo, il Vat II con la chiamata universale alla santità e il
messaggio trasmesso da San Josè Maria svolgono un ruolo rinnovatore. Ogni vocazione ha una dimensione
trinitaria che viene dal battesimo e si rinnova nell’Eucarestia. In questa vocazione trinitaria distinguiamo 4
aspetti:
Spesso nella Bibbia le vocazioni sono già predestinate “ab utero” e non sempre corrispondono ai talenti di
una persona(Mosè, Gedeone, Davide)
-La parola vocazionale è efficace come la parola creatrice: da klesis, kaleo=chiamare, ma è un termine
riservato ad un’azione divina efficace paragonabile alla creazione. Come la parola creatrice chiama il creato,
così il Verbo divino affida un compito ad ogni essere. La risposta eccomi è la eco che trova la parola divina
nella creazione. (ex. Mosè, Geremia, Samuele, Isaia)
-La chiamata e divinamente efficace perché comunica la capacità di rispondervi: come la parola creatrice
non torna al Creatore senza effetto, così la “chiamata”(vocazione) porta in se, quando tocca una persona, la
capacità di rispondere affermativamente ad essa.
Di fatto nella Bibbia non esiste una vocazione senza una missione e quindi senza riferimento al popolo
-I profeti sono i migliori esempi di vocazioni individuali nell’AT: senza i profeti non esisterebbe una teologia
della vocazione. Essi parlano perché chiamati da Dio.
-un esempio: la vocazione di Isaia(640 a.C.): nella descrizione della prima visione di Isaia, del l’uomo dalle
labbra impure e dell’eccomi manda me, si scopre un disegno divino articolato, di cui Isaia diventa
messaggero perché ha visto e che è destinato ad essere conosciuto da tutti. C’è un richiamo a Giovanni “noi
abbiamo visto e ne siamo testimoni”.
-la vocazione di Maria alla luce di quella dei grandi profeti e dell’AT in generale: nel regno davidico del sud
(Giuda) solo la regina madre veniva chiamata appunto “Grande Signora”in ebraico Gebirà, come Betsabea
mamma di Salomone. Quando essa chiese una grazia a suo figlio, egli disse inizialmente ce non l’avrebbe
respinta come di fatto fece; ecco che Gesù e Maria sono il nuovo Signore e la nuova Gebirà, a cui Gesù non
ha mai negato e non negherà mai nulla. San L.M.G. de Montfort arriva a dire che perfino Dio stesso è
sottomesso alla Santissima Vergine, perché ella è sempre umile e conforme alla sua volontà. Anche qui
troviamo la stessa iniziativa di Dio nell’Annunciazione come fu per i profeti e il servizio per il popolo che, nel
suo caso, si svela ai piedi della Croce.
Nel NT si introduce una novità centrale che è la chiamata generale ad illuminare il senso delle chiamate
individuali.
- ci sono diverse chiamate generali nel Vangelo, in cui ognuna riceve l’essenziale vocazione alla santità:
innanzitutto la chiamta di gesù è una chiamata alla conversione di tutti. Poi è un invito generale al
banchetto messianico. Inoltre Israele prima della chiamata esisteva già come società, mentre i cristiani sono
i “santi per chiamata” o i “chiamati in un solo corpo”.
- le chiamate generali del NT inducono a non confondere le scene di vocazione e l’esperienza psicologica
della vocazione, con la vocazione stessa: non è necessaria la consapevolezza personale della vocazione
perché questa esista realmente, altrimenti la chiata universale alla santità del CVII non avrebbe senso. C’è
una priorità dell’elemento teologico sull’elemento psicologico.
- le scene di vocazione nel NT sono soltanto paradigmatiche: la Madonna, gli apostoli, le conversioni parlano
di noi. Nessuno è escluso, qualsiasi sia la condizione sociale o la professione, tutti chiamati! Non è
necessario lasciare tutto per cercare Dio, Lui è presente nel nostro quotidiano. È fondamentale che tutti
capiscano che c’è una iniziativa divina che chiama tutti personalmente alla vocazione alla santità. Questa
santità è servizio al popolo (apostolato e missione) e la Chiesa Sposa di Cristo ricorda a tutti questa
vocazione. Dio chima tutti alla santità ma ha una strada per ognuno.
La vocazione non è qualcosa che accade in un momento ma si articola nel tempo, nella dimensione storica.
C’è una cooperazione continua tra Dio e l’uomo;“Totus effectus ab utroque” si applica anche alla vocazione.
- la scoperta della vocazione, dove gioca una dinamica tra interiorità (il battezzato scopre la sua chiamata)
ed esteriore (l’intervento ecclesiale): la voce di Dio si esprime in 2 modi diversi, uno interiore che è quello
della grazia, dello SS e uno esteriore, umano, sensibile, sociale etc..quello della Gerarchia incaricato a
tradurre il messaggio del Verbo in linguaggio sperimentabile.
- la fedeltà alla chiamata: dal punto di vista della teologia, capire la vocazione è capire il senso vitale forte
della fede, ma fede nel dono di Dio. risposta alla vocazione è l’obbedienza della fede. quindi fede alla
vocazione è fede nell’Incarnazione, nella decisione di Dio in Cristo a favore degli uomini.
B. È vero che il cattolicesimo, all’inverso del protestantesimo, non ha un concetto di vocazione che
includa la vita sociale?
Adesso passiamo al momento storico, vedremo che questa critica è sbagliata.
1.La riflessione di Max Weber(1920) sulla paternità protestante del capitalismo, secondo la quale i
protestanti hanno una concezione vocazionale dell’attività secolare (libro – L’etica protestante e..)
La tesi di questo libro è la relazione di causa effetto tra spirito protestante e l’economia capitalista e si
appoggia sul fatto che Lutero avrebbe capito che secondo il Vangelo le attività secolari hanno carattere
vocazionale. Le sue idee sarebbero una reazione all’idea medievale dell’unicità della vita religiosa come
unica via di vera santità.
2.Pensatori come Weber interpretano il protestantesimo come il padre dello sviluppo capitalista occident.
3.Le tesi di Weber sono fondate? Ci sono testi protestanti che appoggiano le sue opinioni
Due citazione usate: anche il più umile servizio, come zappare, se fatto in spirito di obbedienza sarà
ampiamente ricompensato, mentre anche i lavori migliori come predicare e pregare, se fatti senza il
rispetto che si deve, saranno severamente puniti. Non gli interessa che tu faccia grandi cose, ma che le
faccia bene. Seconda citazione: c’è differenza tra lavare i piatti e predicare la Parola di Dio, ma Dio li guarda
con lo stesso favore. Tutto ciò che si fa nel rispetto delle leggi di Dio, anche se è opera del corpo è
nondimeno santificato.
- Critica economica e storica: il capitalismo è solo protestante? Amintore fantini critica Weber dicendo che
la nascita storica del capitalismo non si verifica in zone riformate, ma cattoliche. Leo XIII vide
personalmente come nunzio in Belgio (cattolico) lo sviluppo capitalista della rivoluzione industriale. Inoltre
Un certo Robert Bellah studia questo sviluppo anche in paesi con minoranze cristiane come in Giappone.
- critica teologica: il rischio della secolarizzazione: teologo protestante E. Troeltsch scrive che l’influsso di
Lutero ha fatto sì che si è identificato il lavoro col dovere religioso. Questo limita lo spazio religioso e
favorisce la secolarizzazione. La santità si riduce alla banalità del lavorare bene nel mondo. K.Barth ha
mostrato quanto l’identificazione tra vocazione professione può portare alla secolarizzazione.
- La riuscita professionale non è obbligatoriamente vincolata con la salvezza: ST dice addirittura che una
certa riuscita temporale potrebbe essere un segno di riprovazione
- La vita quotidiana per il cattolico è aperta all’eroismo, non alla banalità: la differenza sostanziale tra lo
spirito riformato e quello cattolico è che il primo, riservando completamente a Dio la salvezza senza
collaborazione, con la secolarizzazione del lavoro si riduce l’attività umana alla banalità dell’orizzontalità, in
cui nulla ha portata salvifica. Quella cattolica invece propone di compiere ogni azione (lavoro compreso)
eroicamente e con perfezione umana, in quanto che anche se il lavoro è povero o nascosto, è l’amore che
primeggia. E quando primeggia l’amore tutto trabocca della trascendenza di Dio. trasformare in
endecasillabi la prosa quotidiana. Questo è quanto affermava San Josè Maria e quanto ha affermato il CVII
dicendo che tutte le attività secolari se compiute nello Spirito, diventano offerte spirituali gradite a Dio per
mezzo di Gesù Cristo. Così anche i laici come veri adoratori, laddove operano santificano e consacrano il
mondo a Dio.
Riscoperta conciliare della chiamata universale alla santità come dimensione essenziale della nuova
evangelizzazione.
San Giovanni Paolo II: “Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno… È
ora di riproporre a tutti con convinzione questa «misura alta» della vita cristiana ordinaria: tutta la
vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (Let. Ap.
Novo millennio ineunte, n. 31)
Trattiamo della santità laicale- la vocazione secolare- essendo quella che Dio dà alla maggioranza
dei suoi figli.
a) Introduzione: uno strumento per dire che tutta la vita si apre alla santità, la di- stinzione tra le
dimensioni soggettiva ed oggettiva della chiamata universale
Distinzione tra le dimensioni soggettiva ed oggettiva della chiamata universale alla santità
La dimensione soggettiva: tutti sono chiamati alla santità. Dimensione sempre stata implicita nella
pratica pastorale della Chiesa: si annuncia il Vangelo, si propongono i sacramenti che salvano e
attraverso cui Dio santifica e chiama alla vita beata.
Questa dimensione è veramente e completamente vivibile se si riconosce anche la dimensione
oggettiva.
La dimensione oggettiva: tutte le circostanze possono contribuire alla santità
San Josemaría :“Il Signore ci chiama tutti, [...] da tutti aspetta Amore: da tutti, ovunque si trovino; da tutti, qualunque
sia il loro stato, la loro professione o il loro mestiere [ la dimensione soggettiva]. Perché questa vita normale, ordinaria,
senza spettacolo, può essere mezzo di santità: non è necessario abbandonare il proprio stato nel mondo per cercare
Dio [dimensione oggettiva]”.
I fedeli sono chiamati a santificare tutte le cose, a riportarle al Padre: è ciò che indica la dimensione se-
colare della Chiesa, dove svolgono un ruolo specifico i laici( Lumen Gentium, Apostolicam Actuositatem).
Lumen Gentium: “Tutti quelli che credono in Cristo [si indica la dimensione soggettiva] saranno quindi ogni giorno più santificati
nelle condizioni, nei doveri o circostanze che so- no quelle della loro vita, e per mezzo di tutte queste cose [dove si indica la
dimensione oggettiva]” (n. 41).
1)Lo sviluppo dello stato di perfezione e la difficoltà di pensare la santità secolare: l’oscuramento della
dimensione soggettiva
A livello teorico, la riflessione ha rapidamente fatto fatica a render conto della possibilità della santità
secolare.
Anche lì, è un discorso in certo qual senso normale: ogni vocazione si ritrova legittimamente in Gesù, unico
modello di tutti i fedeli perché Egli è la loro vita. Il problema nasce se questa vocazione tende, di fatto o
teoricamente, a pensarsi come l’unica forma di imitare Cristo e Maria o di essere Chiesa.
2) Esempi di riconciliazione parziale tra santità e secolarità: San Francesco di Sales e Sant’Alfonso Maria di
Liguori. La difficile spiegazione della dimensione oggettiva
San Francesco de Sales († 1622): la santità dipende dallo stato sociale, e può essere presente in
tutti gli stati di vita. “Se la devozione è autentica non rovina proprio niente, anzi perfeziona tutto; e
quando va contro la vocazione legittima, sen- za esitazione, è indubbiamente falsa”.
Ma di fatto concepisce la vita di perfezione – di devozione come dice lui – come parallela
all’esistenza quotidiana, non riconosce una consistenza teologica – di santità – alla differenza tra
stati, non ricompone la santità con la vita.
L’ultimo articolo di Giovanni Paolo I († 1978) prima della sua elezione al pontificato: “Escrivá de
Balaguer sorpassa però sotto più aspetti Francesco di Sales. Anche questi propugna la santità per tutti, ma sembra
insegnare solo una spiritualità dei laici, mentre Escrivá vuole una spiritualità laicale. Francesco cioè suggerisce quasi
sempre ai laici gli stessi mezzi praticati dai religiosi con opportuni adattamenti. Escrivá è più radicale. [...] Per lui, è lo
stesso lavoro materiale che deve trasformarsi in preghiera e santità”.
S. Francesco contribuisce a risvegliare la dimensione soggettiva della chiamata universale, S.
Josemaría contribuisce a far riscoprire la dimensione oggettiva, specialmente attraverso il
sacerdozio comune vissuto dal laico.
Sant’Alfonso Maria di Liguori († 1787):Una chiara proposta di santità per tutti.”Iddio vuol tutti santi,
ed ognuno nello stato suo, il religioso da religioso, il secolare da secolare, il maritato da maritato, il
mercadante da mercadante, il soldato da soldato…”. La conseguenza pastoraleè che bisogna
facilitare l’accesso ai sacramenti.
Ma in S. Alfonso, la secolarità continua ad essere pensata negativamente. Vi si vede come il Santo
considera che le occupazioni secolari sono di ostacolo alla ricerca della santità. “ Il fedele continua a
tenere il suo rango, ma l’abitudine acquista nell’adempiere il proprio ruolo sociale gli permette una
distanza critica, di pensare a Dio, di essere povero di sé e del suo stato” . La società moderna invece
obbliga all’inventività, al cambiamento, all’adattamento nel lavoro, e si spiega meglio che lo Spirito
Santo abbia suscitato nuove proposte di santità.
c) La soluzione della Bibbia. La santità dall’Antico Testamento al Nuovo Testa- mento: un processo
di apertura a tutti e a tutto
La migliore risposta si trova nella Bibbia. Essa fa infatti scoprire quanto la santità sia aperta a tutti e a tutto,
quanto si uniscono le dimensioni soggettiva e oggettiva.
“La santità appartiene a Dio solo. Essa disegna lo splendore della sua potenza, la perfezione del suo es-
sere”. Nel l’A.T. è santo ciò che è consacrato al culto, ciò che viene introdotto nel grande movimento del
ritorno liturgico di tutto e di tutti verso Dio. Egli guida l’uomo facendo evolvere pedagogicamente
l’accezione della santità.
Universalismo premosaico: la santità prima della Legge non è rinchiusa in posti chiusi o riservata ad
alcuni. Tutti possono far entrare ovunque tutto il cosmo nel ritorno a Dio (Così i patriarchi offrono
A.T. solo apparentemente è una riduzione della dimensione soggetti va: soltanto i separati, disegnati da Dio
come tali, entrano nella santità. Ma vi entrano da una parte a favore di tutti, e questo ristabilisce la
dimensione soggettiva, e dall’altra parte per offrire cultualmente il creato, e questo illustra la dimensione
oggettiva.
La santità è separazione ma in vista della salvezza di tutti. Dio separa – un popolo, una terra, ecc. –
in vista della salvezza di tutti i popoli, di tutte le terre. Israele è scelto affinché in lui siano salvate
tutte le tribù della terra (cfr. Gn 12,3).
Santità dinamica come lo sono la salvezza, la storia, il culto perché Dio salva e santifica in una
storia: rivela all’uomo il suo peccato e gliene libera, secondo un processo storico, specialmente
cultuale. La santità qadosh è separa- zione per il culto. Israele è separato per che riceva il dono del
culto, della liturgia, del tempio. La santità è l’introduzione nel movimento del culto. La santità è
dinamica in quanto è essenzialmente vincolata al culto, inserto nel tempo: è santo il Tempio (Sal
5,8); il sabato (Es 35,2); i sacerdoti (Es 19,6)388.
d) Questo ritorno all’universalismo della santità è un dono di Dio in Cristo: l’insostituibile ruolo della
Messa
Se tutti i battezzati offrono la loro vita e tutte le sue circostanze, la loro oblazione si associa
all’unico sacrificio accettabile dal Padre, quello di Cristo: la loro oblazione non ha senso senza
Cristo, e dunque senza la Messa, senza la Chiesa, senza il ministero. I cristiani sono “santificati in
Cristo Gesù” (1 Co 1,2), non si santificano pelagianamente da soli. Come insegna Vaticano II, la
santità è “unione perfetta con Cristo” (Lumen gentium, n. 50), unione all’unico sacerdote della
nuova Alleanza, nel quale viene offerto il cosmo e l’umanità al Padre.
L’imprescindibilità della Messa e del sacerdozio ministeriale ricorda che la salvezza è sempre divina,
do- no di Dio: tutti sono sacerdoti, ma non si auto-salvano, solo Dio è Salvatore.
La preghiera esprime in modo dialogico (sottoforma di dialogo) il rapporto tra Dio e l’uomo. Se da una parte
questo i sembra ovvio, dall’altra dobbiamo ammettere che spesso abbiamo l’impressione che la nostra
preghiera sia un monologo. Vedremo ora delle tendenze culturali più o meno moderne che rifiutano questo
approccio della preghiera come dialogo:
- la meditazione (New Age, preghiera orientale, yoga) la preghiera è un mezzo di rilassamento, Dio non
c’entra.
- Friedrich Nietzsche, per lui la preghiera è un umiliazione, come un tradimento alla dignità dell’uomo
libero. Il superuomo è colui che non prega, quello forte che non cerca consolazioni e conforti come fanno i
deboli, la pace che deriva da questo è fasulla, lontana dalla cruda realtà.
B. La logica biblica della preghiera: Dio vuol dialogare con gli uomini, la Scrittura ce lo rivela
Si studia come dialogo perché è Dio che prende l’iniziativa, vuole parlare con l’uomo.
Heidegger, identificando Dio come causa sui, nega che ci si possa davanti a lui inginocchiare riverente,
tantomeno “far danzare” il cuore. Al contrario la Bibbia infonde nel cuore dell’uomo sentimenti di
Alleanza, Dio dialoga con Abramo, poi col popolo. In altre parole, Dio si rivela per parlare. Quindi esiste uno
stretto rapporto fra rivelazione e preghiera. Dio parla agli uomini per invitarli alla comunione con lui.
2.L’esempio dei Salmi, introduzione nel dialogo della salvezza e preghiera in Cristo
- riassumono la Bibbia: Dio offre nel salterio le parole per parlare con lui. I salmi riassumono tutta la
Scrittura.
- riassumono la Parola divina: è come la celebrazione di una relazione tra Dio e popolo, Dio e uomo.
Dandoci i salmi Dio ci da le parole per rispondere alla sua parola.
- descrivono e alimentano un dialogo liturgico: il salterio ha questo carattere liturgico perché spiegano
all’uomo la sua chiamata a partecipare alla liturgia divina. Inoltre sono a preghiera liturgica ufficiale del
tempio.
- i salmi oggi: Cristo al cuore della preghiera e della Bibbia. Ci aiutano a capire la vita di Cristo, infatti il
Vangelo vi fa ricorso frequentemente mettendoli in bocca a Gesù (ex Sal 22 Eloì, Eloì…). Così oggi i Salmi
vengono letti nella Chiesa sempre in riferimento a Cristo.
Il Verbo è la parola perfetta indirizzata all’uomo dal Padre e dall’uomo al Padre. Siamo per grazia chiamati a
conformarci a Cristo.
- prega in modo proprio adeguato alla sua missione come Figlio, in dialogo personale col Padre davanti agli
uomini: in tutti i momenti salienti della sua vita (miracoli, chiamata dei 12, battesimo, tentazioni) Gesù
prega più intensamente.
- la sua orazione è essenzialmente un dialogo filiale: Gesù chiama Dio sempre Padre con l’eccezione del
Salmo 22 sulla Croce. È presente il valore di mediazione, in quanto Cristo parla al Padre degli uomini (vedi
Gv 17 la preghiera sacerdotale).
2. La nostra preghiera in Cristo: L’umanità del Verbo incarnato al cuore di ogni preghiera cristiana
- il carattere trinitario della preghiera che si inserisce nel reditus: la preghiera di Gesù al Padre continua nei
cristiani. Il Figlio incarnato ritorna al Padre (reditus) compiendo la sua volontà, in questo modo avviene la
riconciliazione. Così la preghiera vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua umanità continua nel
battezzato (ipse christus) e nella Chiesa (Christus totius).
- conseguenza: la risposta passa per l’umanità di Cristo. Questo perché è sempre Gesù che prega in noi
mediante lo SS.
3. il dialogo teologale della preghiera in Cristo: sono le 3 vitù teologali che strutturano il dialogo della Pr.
- la preghiera è un dialogo di carità: l’amore è la sorgente della preghiera. La preghiera è una relazione viva
e personale con il Dio vivo e vero. Le virtù teologali solo Dio le può dare, non ci si può impossessare
dell’Amore di Dio con qualche tecnica. Questo dialogo di amore è essenzialmente incontro di 2 libertà.
- un dialogo che si fonda sulla fede: noi crediamo che Dio ci vede e ci ascolta. L’aridità nella preghiera, da
non confondere con la distrazione, è un dono che Do ci fa affinché possiamo vivere di fede e di abbandono
a lui, così da non credere ce il dialogo con Dio o la santità siano frutto della volontà umana. La fede ci fa
andare oltre a ciò che sentiamo e comprendiamo. Il silenzio fa parte di questo dialogo. Il silenzio è lode
scriveva Girolamo. Non dobbiamo identificare pregare e parlare, spesso la preghiera è contemplazione e
non richiede parole. Si comincia con le parole finché esse ci sembreranno insufficienti e subentrerà
l’intimità divina, lo sguardo fisso in Dio senza soste e senza stancarsi mai… dirà san Josè Maria.
- un dialogo nella speranza: ST parla della preghiera in riferimento alla speranza, la definisce proprio
“interprete della speranza”. Nella preghiera si mostra a fiducia in Dio, che è l’effetto della speranza.
La mortificazione è un mezzo ascetico di penitenza volto a far morire la concupiscenza della carne,
radice del peccato.
È una forma meno perfetta della mortificazione interiore.
Oggi parlare di questa mortificazione è culturalmente difficile.
Vedremo come la m.c. è al tempo stesso un allenamento per acquisire le virtù e imitazione di Cristo
crocefisso, ma tra due significati è più importante il secondo!
Gesù nel NT insiste su una necessaria violenza con se stessi (cf. Mt 11,12), Paolo paragona la vita
cristiana all’atletismo e alla guerra (cf. 1Cor 9,24ss.; Ef 6,13-17 e 2Tm 4,6-8): vale a dire, si deve
lottare quaggiù per una vita nell’aldilà. È una costanza nella tensione escatologica.
La m.c. è parte della vita cristiana, non un aggiunta grecizzante di filosofie “stoicheggianti”:
o B. Paolo VI: la m.c. non implica condanna della carne, mira invece alla liberazione dell’uomo
dalla concupiscenza.
o In Platone (e neoplatonismo in genere) l’anima si deve liberare dal corpo-materialità; a
questo si aggiunge il concetto di apatheia della stoa: l’assenza di passioni.
o Questi concetti greci hanno sicuramente influenzato, ma esiste un proprium nel
cristianesimo:
Con la m.c. il nostro corpo è unito con quello di Cristo nel reditus verso il Padre. È la logica del caro
cardis salutis. Perché come ha fatto Cristo così anche noi!
La nostra modalità di partecipazione all’offerta di Cristo stesso, come d’altra parte l’offerta della
Croce, è fonte di merito.
Il mondo protestante cancellando questa nozione rifiuta l’ascesi:
o KANT: accetta la m.c. come allenamento, ma parlare di senso espiatorio sarebbe puro
fanatismo cattolico: anziché cambiare moralmente ipocritamente ci si nasconde dietro a
false ambizioni che come effetto hanno solamente il rendere sgradevoli le virtù! Per questo
la m.c. va a maggior ragione evitata. L’unica m.c. accettata è quella definita “dietetica” per
virilizzare la propria volontà.
o NIETZSCHE: qualifica la m.c. come “il delirio collettivo dei fanatici della morte”, il
cristianesimo è quindi la religione della morte, rifiuto della gioia. Di più. Davanti
all’oggettiva miseria della vita umana la morale dei preti rivolgerebbe il risentimento
dell’uomo verso se stesso, convincendolo della propria colpevolezza. Senza dire che il voler
espiare è solamente un peccato d’orgoglio dei deboli che vittime dalla loro stessa
debolezza si credono migliori dei forti, consolati dalle loro fatiche e inferiorità! A questo N.
risponde col suo ubermensch che preferisce voler il nulla piuttosto che non volere.
Cogliamo positivamente queste provocazioni: tutti e due sottolineano il pericolo di
una vanità spirituale per la persona che fa tanta m.c.
o SCHOPENHAUER: si pone davanti al problema criticamente e dice: il protestantesimo
avendo eliminato il concetto di meritori età del sacrificio ha rigettato il nocciolo del
cristianesimo (es. il celibato sacerdotale). A questa buona intuizione avvicina però il
concetto di ascetismo a quello di noluntas: il non volere della volontà.
o KIERKEGAARD: parlare di espiazione è una blasfemia, solo Cristo espia, ma perché l’uomo
non cada nella tiepidezza preannuncia all’uomo che mettendosi in rapporto con Cristo, si
deve aspettare sofferenza. Senza però dargli un orizzonte di speranza.
Al contrario la autentica cattolicità sa trovare una logica battesimale e sacramentale della m.c.:
o Nella sua vita Gesù predica e pratica penitenza (cf. Mt 4,2; 17).
o Nel battesimo questa m.c. coincide con l’immersione nella morte di Cristo non solo nel
momento preciso del sacramento ma anima tutta la vita cristiana.
o S. Pietro annuncia a Pentecoste: “fate penitenza e battezzatevi” (cf. At 2,38) ma a questo,
nel racconto degli Atti, non segue una m.c.
o Perché il battezzato, attraverso il rito battesimale è associato alla passione di Cristo come
l’avesse subita lui stesso.
Questo non vuol dire che il cristiano dopo il battesimo non debba vivere una m.c.
ma renderlo cosciente che nella dinamica sacramentale è già inserita questa
profonda realtà di mortificazione!
o La logica della mortificazione è dunque battesimale e sacramentale: specialmente
Eucaristica. Il battezzato deve incarnare la logica oblativa che passa nel suo corpo nella
quotidianità.
La tradizione spirituale sottolinea la necessità della d.s. per crescere nella via della santità.
La d.s. non è un’imposizione di condotta ma un’indicazione di senso, un accompagnamento.
Qui si tratterà della d.s. di un padre e una madre, ma è utile ricordare che in questo contesto è
importante il concetto di fraternità. La comunione – fratelli! – è il campo privilegiato
dell’accompagnamento spirituale di un’anima.
Maternità e paternità spirituale saranno trattati come concetti interscambiabili. Infatti, sebbene in
qualche modo qualifichino differentemente la d.s. il campo dello spirito si trova al di fuori del sesso
e la paternità e maternità spirituale si trovano più vicino di quanto lo siano fisicamente.
o Quando di seguito si leggerà: “paternità” si potrà scambiare con “maternità”.
Il direttore cerca di essere una presenza del Padre rispecchiando quello che conosciamo in Gesù.
Al giorno d’oggi c’è la visione della modernità che caratterizza negativamente la figura del padre:
o C’è il rigetto sessantottino della famiglia e , il fascino dell’autonomia.1
Cogliamo positivamente questa critica sottolineando come la d.s. debba formare
persone veramente libere.
Il padre spirituale non deve applicare un sistema elaborato a tavolino ma prendere in
considerazione le circostanze del diretto.
o Non esiste solo un modello di santità che va imposto, è l’ermeneutica della santità: Cristo è
la pienezza e ogni cristiano ne manifesta parzialmente le perfezioni.
Concetto del piano inclinato di San Josemaria
o Ogni persona ha delle specifiche circostanze che sono il suo cammino di santità.
Non vuol dire che ciascuno debba vivere schiacciato da situazioni difficili di vita con
titanico eroismo ma capire che anche nell’accettazione filiale, libera e gioiosa della
volontà di Dio ci si santifica.
Al padre sono richiese alcune virtù:
1 L’autore di confronto in negativo è Kafka, sono riportati una serie di testi che non ritengo necessari …
La visione classica della vita spirituale è quella della successione di tre tappe:
o Purificazione
o Illuminazione
o Unione
Questa trilogia è presente in Plotino, Origene, S. Gregorio di Nissa, pseudo – Dionigi, Bonaventura
che aggiunge l’intuizione che le tappe non sono successive ma parallele, sempre presenti in tutta la
vita spirituale nei tre gradi (incipienti, proficenti, perfetti) ma con una dominante (purificazione,
illuminazione, unione) per ogni grado.
Lo schema classico sottolinea la gradualità della vita interiore.
Ma non è esente da critiche:
o I tre momenti (come già detto) devono essere uniti.
o Rahner: questo schema non mostra come lo stesso atto morale possa avere diverso valore
di perfezione nei diversi momenti della vita. Per un principiante un atto di virtù può essere
eroico mentre per uno avanti nel cammino no!
o È impossibile ridurre ad un unico schema la varietà degli itinerari spirituali.
o Ma la più grande critica è che l’uomo non si deve credere padrone del proprio cammino
spirituale, concependolo come un meccanicismo.
I f.s. non sono il coronamento della perfezione della vita spirituale, non dipendono dallo stato di
grazia tantomeno lo indicano.
Il primo criterio è non ammettere i f. s., la prima tappa perciò è il rifiuto (S. Giovanni della Croce):
o Questo vale sia per i protagonisti che i suoi superiori chiamati a giudicarli.
o Se essi provenissero da Dio agiranno nell’anima nonostante il rifiuto.
o Come critica von Balthasar, questo può apparire un comportamento anticarismatico. È vero
che S. Giovanni pensa in modo individuale, cioè più preoccupato dalla dimensione di
accompagnamento spirituale e non è attento alla dimensione ecclesiale del dono; perciò
non ci si può fermare alla prima tappa del rifiuto e considerarne la veridicità.
Tutta questa prudenza sta nel fatto che la persona può sbagliare:
Il demonio inganna.
Anche visioni di santi si sono rivelate erronee. Questi ci sono per due
possibilità:
o l’interpretazione erronea di una rivelazione vera.
Esempio: S. Giovanna d’Arco in carcere aveva mal
interpretato le voci che le profetizzavano una grande
vittoria, le aveva intese come la scarcerazione!
o le involontarie aggiunte umane.
Esempio: esistono visioni di fatti storici che non
combaciano, specie su particolari della Passione. Chi vede 3
chiodi, chi 4…
Questi dettagli e diversità potrebbero venire dallo
spirito umano che in qualche modo rimane attivo
durante la visone aggiungendo contenuti del
proprio sapere, memoria o vissuto.
In questi casi non si può attribuire tutto a Dio
perché qui si frammischiano alla rivelazione propri
condizionamenti culturali, opinioni, condizioni.
o Esempio: anche alcune profezie di santi
non si sono avverate, come S. Caterina
Laburé che parlò di un tesoro nel giardino
– mai trovato!
Perfino per i santi ci sono rivelazioni che non
provengono dallo Spirito Santo ma dal proprio
giudizio (papa Benedetto XIV, esperto delle cause
dei santi).
Una persona buona può ricevere autentiche
rivelazioni e in buona fede pensar di averne
ricevute altre autentiche che però non lo sono.
I- Il segno della vita religiosa, necessario per la vita e la santità della Chiesa
Il Vaticano II: “Lo stato di vita costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non costituendo la
struttura gerarchica, appartiene tuttavia indiscutibilmente alla vita e alla santità della Chiesa” -LG 44-
Dietro a questo numero della Lumen gentium, si ritrova il dibattito conciliare sulla vita consacrata
come struttura di diritto divino cioè sacramentale (è ciò che sosteneva il gesuita Jean Daniélou, ad
esempio) o no, come alla fine scelsero di dire i Padri: la vita consacrata non è una struttura essenziale
alla chiesa.. TUTTAVIA..
San Giovanni Paolo II sul testo conciliare afferma “questo avverbio – ‘indiscutibilmente’ - significa
che nulla potrà eliminare dalla Chiesa la vita religiosa”
Concludendo possiamo dire che Lumen Gentium afferma come le istituzioni che non sono di diritto
divino (come quella dei religiosi) non sono per questo svincolate dai disegni divini ma necessarie per
la santità della chiesa, per diffondere il messaggio della chiamata universale alla santità (centro e
novità di tutto il concilio)
II- Come si realizza questo segno di santità? Una certa separazione dal mondo e la costruzione
della comunione
La testimonianza escatologica della vita religiosa si può descrivere in due tempi cristologici (cristologici
perché ogni vocazione cristiana è imitazione di Cristo):
da una parte, una kenosi a imitazione dell’incarnazione del verbo socialmente leggibile con il
cambiamento di collocazione sociale
in questa nuova situazione la modalità nuova di vivere secondo i valori del Regno di Dio…che
prefigura una vita escatologica.
Ex: Charles de Foucauld, perché religioso cercò in diverse tappe di occupare nella società e nella
Chiesa ciò che egli chiama “l’ultimo posto”a imitazione della kenosi di Gesù.
Prima della triade, esisteva la tendenza a distinguere tra la vita dei comandamenti (per tutti) e in
genere la via dei consigli evangelici (quella dei monaci), che veniva descritta nella sua totalità,
nell’insieme dei consigli. San Benedetto nella sua regola parla di una “solenne promessa di
stabilità, conversione continua e obbedienza”.
La prima menzione esplicita dei tre consigli attuali si ha nella regola di S. Francesco d’Assisi
S. Tommaso ne fa una teoria sistematica: vi vede un mezzo per rinunciare radicalmente alla
ricchezza dei beni esterni ‘concupiscenza degli occhi’; nei piaceri della carne ‘concupiscenza della
carne’; e negli onori ‘superbia della vita’
S. Tommaso per pensare il ruolo dei tre voti parte da un ragionamento molto positivo: “La
2. I consigli dicono meglio l’essenza della vita religiosa che il contemptus mundi -
disprezzo del mondo
Il contemptus mundi (o disprezzo del mondo) è stato nel tempo il concetto usato per dire la
missione ecclesiale della vita consacrata
Ma la secolarità non può essere definita con la sola visione positiva del creato, né la vita consa-
crata col rifiuto del mondo. Infatti ci sono Santi come Idelgarda di Bingen o San Francesco d’Assisi
che contemplavano nelle cose belle del mondo Dio.
Eppure, lo spirito contemplativo non basta per definire l’atteggiamento dei religiosi davanti al
cosmo: questi Santi cambiano il mondo, come mostra la storia (abbazie europee sull’agricoltura
medievale o delle congregazioni insegnanti…) ma la loro primaria missione rimane la
testimonianza escatologica di santità, ed è nella cornice di questa comunione escatologica che
trasformano il mondo.
Ex: Tillard non definisce lo stato religioso con i consigli ma col radicalismo nella sequela Christi. La vita
religiosa si fonda su tutto il vangelo non sui soli consigli.
Pericolo di non esprimere la chiamata universale alla santità: Papa Francesco: “La radicalità evangelica non
è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo
profetico”
la riflessione dei teologi è stata sovente incapace di pensare la possibilità di una santità laica: La parola
laico, λαϊκός, viene dalla radice laos (λαός), popolo, utilizzato per distinguere in la folla da chi ha il
potere. Nella sua accezione cristiana, si possono osservare tre momenti nella relazione chierici-laici:
Dopo il periodo dei ‘primi cristiani’ c’è una certa separazione sociologica tra laici e chierici.
C’è una riduzione del laico al battezzato. Ex: Congar: “il laico è il cristiano sine addito, la sua
spiritualità è soltanto quella della vita cristiana”.
Queste teorie sono state superate dal Magistero, che seppe tener conto della specificità del laico, cioè
della sua chiamata a vivere nel mondo a immagine del Verbo incarnato.
la secolarizzazione dei paesi di antica cristianizzazione obbligò a capire il laico come un agente
essenziale dell’evangelizzazione, e a cogliere dopo teologicamente il carattere apostolico della
sua vocazione.
Cornice scritturistica: Nella lingua ebraica non esiste una parola specifica per designare il mondo, e viene
adoperata l’espressione “il cielo e la terra” o “tutto”. In greco kósmos. Gli autori del Nuovo Testamento
adoperarono indistintamente tali espressioni. Per indicare il concetto di mondo, l’ebraico biblico usa pure il
termine ôlam, che indica un periodo prolungato di tempo; poi è stata tradotta dai Settanta con quella greca
aiôn, che nel greco classico indicava la durata della vita umana. Il latino traduce “seculum”.
Laico chiamato ad essere un altro Cristo nel cosmo: Tutte le realtà mondane possono entrare nel progetto
salvifico di Dio: questo si può comprendere alla luce dei due misteri cristici di oblazione attraverso il corpo:
la post-modernità cede facilmente alle tentazioni del ripiego su di sé, in una realizzazione almeno
parziale della famosa predizione di Alexis de Tocqueville che prevedeva per le democrazie un
futuro di mediocrità.
Lumen Gentium: carattere secolare proprio dei laici che trattano le cose temporali ordinandole a Dio.
Christifideles laici: ( GPII): tutta la Chiesa è vincolata al mondo ma l’indole secolare è propria dei
laici, è la loro condizione specifica.
Funzione sacerdotale del laico: assume nei laici due modalità: nell’ordine sacramentale e
nell’ordinazione del mondo. Nei sacramenti, agiscono non specificamente in quanto laici, ma
come tutti i battezzati. La loro specificità è che esercitano questo carattere battesimale nel
mondo. Sono chiamati a realizzare la consecratio mundi , offrendo al Padre le cose del mondo in
unione con Cristo nell’eucarestia.
Funzione profetica dei laici: sensus fidei fa riferimento alla connaturalità con la verità del popolo
con la Fede. Inoltre la grazia della parola affidata ai laici, manifesta che tutta la Chiesa – non
soltanto la gerarchia sacra – ha ricevuto la Tradizione come Vangelo vivente e lo deve
trasmettere.
Funzione regale dei laici: Il regno annunciato da Cristo è un regno interiore ed esteriore, che si
estende secondo queste due dimensioni ; il ruolo specifico del laico è di informare le strutture
temporali con la carità di Cristo. Questo cambiamento si appoggia sulla forza divina dei
sacramenti.
Il carattere sacramentale indica un nuovo modo di presenza dello Spirito Santo che incide nell’essere
e nell’operare del ministro, conferendogli l’abilitazione a comunicare in persona Christi le grazie
della redenzione. Il sacerdote santo non elargisce più grazia dal ministro peccatore – è sempre
soltanto Dio che santifica in Cristo – ma l’esempio della sua santità aiuta i fedeli ad aprirsi più
attivamente all’azione divina
I ministri devono superare la tentazione della doppia vita (rapporto con Dio-pastorale). La loro
santificazione quotidiana si realizza nell’esercizio del ministero. L’unione tra la strumentalità nelle
mani di Dio e la libera cooperazione umana si realizza nel servizio.
L’esame finale della materia sarà un esame scritto di due ore con due parti.
Nella parte principale (valutata su 7 punti), lo studente rifletterà su una tematica di sintesi a partire da un
testo, evidenziando anche la sua assimilazione riflettuta delle dispense.
Nella seconda parte (valutata su 3 punti), lo studente risponderà brevemente a tre domande prese da un
elenco di sei temi, ogni tema corrispondendo a una parte di una lezione. Quest’elenco è il seguente:
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