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EGLI CI HA AMATO PER PRIMO: SAN BERNARDO

Massimo Camisasca

Può sembrare strano rivolgersi oggi, per una riflessione sull'amore, ad un


monaco e in particolare ad un monaco del medioevo. Si potrebbero addurre
delle ragioni, ma in fondo solo il frutto della riflessione potrà giustificare
questa scelta.
Il monaco del medioevo con cui vorremmo entrare in dialogo è san Bernardo
(1090-1153). In un primo momento cercherò di richiamare alcuni aspetti
importanti del contesto storico in cui egli visse, poi di esporre sinteticamente
il suo pensiero sull'amore partendo da una sua opera centrale, il De
diligendo Deo, per affrontare alcune questioni particolari e cercare di capire
infine la dottrina sull'amore nel quadro più ampio del suo pensiero come
emerge dalla lettura di quell'opera.
Naturalmente questo mio scritto è debitore in gran parte dei grandi studiosi
di Bernardo, prima di tutto Gilson1 e Leclercq2, poi Bertola3 ed altri.

1. IL CONTESTO STORICO

Per capire Bernardo non possiamo isolarlo dal suo sfondo culturale,
ecclesiale e monastico. Come annota il Leclercq, fu proprio intuizione di
Gilson il capire "che non si poteva comprendere Bernardo senza considerare
(...) il suo ambiente `socio-culturale' e la letteratura nella quale esso si era
espresso"4.
Ci troviamo nel secolo XII, che è stato chiamato `il secolo dell'amore'. H.-I.
Marrou cita un autore che dice addirittura: “l'amore è un invenzione del
1
É. Gilson, La teologia mistica di san Bernardo, Jaca Book, Milano 1987.
2
J. Leclercq, San Bernardo. La vita, Jaca Book, Milano 1989; Bernardo di Chiaravalle, Vita e pensiero, Milano
1992; “Étienne Gilson, san Bernardo e la storia della spiritualità”, in É. Gilson, La teologia mistica di san
Bernardo, pp. IX-XXI; “Introduzione generale” a Opere di san Bernardo, vol. I, Scriptorium Claravallense.
Fondazione di Studi Cistercensi, Milano 1984, pp. XI-LXI.
3
E. Bertola, “Introduzione” al De diligendo Deo, in Opere di san Bernardo, pp. 221-269.
4
J. Leclercq, Étienne Gilson, san Bernardo e la storia della spiritualità”, p. XX.

1
secolo XII”5. E' questo il periodo famoso per il fenomeno dell'amor cortese.
Gilson ci fa intravedere l'importanza e la continuità "dello sforzo che si è
sviluppato, attraverso tutto il XII secolo, per chiarire il problema dell'amore",
soprattutto nella scuola certosina, benedettina e cistercense 6. Basta pensare
che già all'inizio del XII secolo apparvero, quasi simultaneamente e
praticamente indipendenti, "tre grandi dottrine dell'amore", quelle di Pietro
Abelardo, di Guglielmo di Saint-Thierry e di san Bernardo. 7
In secondo luogo dobbiamo tener presente che "il XII secolo fu, a suo modo,
un'epoca umanistica. (...) In quel periodo lo studio dei classici latini fu
coltivato (...) un po' dovunque" 8. Piuttosto che sull'amore propriamente detto
gli antichi potrebbero aver insegnato ai cristiani qualcosa riguardo
all'amicizia. Il Gilson dice che, tra tutti gli influssi dell'antichità, "si può
ammettere come estremamente verosimile che nulla si può paragonare per
importanza al De amicitia di Cicerone"9. Un autore che si è insinuato
"attraverso le vie più nascoste fino al cuore stesso della teologia mistica" 10.

2. IL PENSIERO DI SAN BERNARDO SULL’AMORE

In questo contesto anche san Bernardo si è occupato spesso del tema


dell'amore, “una realtà sulla quale non smetterà di scrivere” 11. Tra le sue
opere ha una particolare importanza, a questo riguardo, il libro conosciuto
come De diligendo Deo che risale probabilmente al 1130. E’ la trattazione
più completa e più sistematica di questo tema12.
Il De diligendo Deo è il capolavoro di san Bernardo13. E' una delle opere più
copiate del medioevo. L'ampiezza dei temi che l'autore tocca qui lo spiega
5
H.-I. Marrou, I trovatori, Jaca Book, Milano 1983.
6
É. Gilson, op. cit., p. 7.
7
Cfr. É. Gilson, op. cit., pp. 2ss, 168.
8
Ibid., p. 10.
9
Ibid., p. 12.
10
Ibid., p. 11.
11
J. Leclercq, Bernardo di Chiaravalle, p. 113.
12
Gli altri scritti in cui Bernardo parla dell’amore sono innumerevoli. Basta citare la celebre lettera al priore della
Certosa del 1125 e i sermoni sul Cantico dei Cantici.

2 2
almeno in parte: "Quest'opera infatti contiene una visione cristologica, una
dottrina dell'uomo, una teoria dell'amore umano e divino, una personale
interpretazione del mondo futuro dopo la risurrezione dei corpi e infine
anche i principi per una metafisica dell'amore"14.
L'opera nasce da una lettera che un cardinale scrive al nostro monaco, nella
quale gli sottopone parecchie domande. Bernardo le tralascia tutte tranne
una: `quare et quomodo diligendus Deus? - perché e in che modo dobbiamo
amare Dio?15 Si tratta quindi di una lettera di risposta che ha la forma di un
trattato, cioè un testo che ha alle spalle una lunga riflessione e vuole
affrontare la domanda iniziale con una certa sistematicità.
Seguendo gli studiosi si può suddividere il De diligendo Deo in tre parti16:
una prima parte che risponde alla domanda `perché si deve amare Dio?' 17,
una seconda parte in cui Bernardo descrive i gradi dell'amore 18 e poi una
terza parte sull'amore come legge universale, in cui Bernardo si dilunga sulla
differenza tra l'amore del figlio, l'amore del mercenario e l'amore del servo 19.
Noi seguiamo nella esposizione del tema questa suddivisione e cerchiamo di
sintetizzare il pensiero del nostro autore.
Nella prima parte Bernardo risponde alla duplice domanda del cardinale:
`perché e in che modo si deve amare Dio?' La risposta è breve: il motivo per
cui noi dobbiamo amare Dio, è Dio; la misura, è di amarlo senza misura 20.
Questa è la tesi centrale che Bernardo poi chiarirà enumerando le ragioni.

Perché si deve amare Dio

Bernardo distingue nella sua risposta alla prima parte della domanda tra
l'uomo cristiano e l'uomo pagano.

13
Le citazioni del De diligendo Deo sono tratte dalla edizione curata da F. Gastaldelli, Opere di san Bernardo, vol.
I: Trattati, Scriptorium claravallense, Fondazione di studi cistercensi, Milano 1984, pp. 270-331.
14
E. Bertola, op. cit., p. 242.
15
De diligendo, 1.
16
Cfr. E. Bertola, op. cit., p. 226.
17
De diligendo, 1-7.
18
Ibid., 7-33.
19
Ibid., 34-40.
20
Cfr. É. Gilson, op. cit., p. 37.

3
Per il cristiano la ragione di amare Dio è semplice: "Per coloro che credono
che Dio stesso si è donato per salvarci, è chiaro che egli merita il nostro
amore e un amore senza limiti"21.
Per il pagano Bernardo ricorda l'imperativo del Nosce te ipsum, che vale per
tutti22. L'uomo che cerca di conoscere se stesso trova in sé oltre i beni del
corpo i beni dello spirito: la sua dignità che è la libertà, la scienza che è il
riconoscimento dell'essere libero e la virtù che è "il bene con cui egli sa
ricercare assiduamente Colui dal quale riceve la vita e tenerlo fermamente
stretto dopo averlo trovato"23. Per questo il primo momento della conoscenza
di se stessi è la coscienza della propria grandezza. L'uomo che scopre la
propria grandezza deve però subito anche riconoscere che questa non deriva
da sé, che essa gli è data. Chi non lo riconosce, cade nel più grave dei
peccati, la superbia, che si manifesta "quando dei beni ricevuti si usa come
se fossero originari in noi e dopo aver ricevuto il beneficio ci se ne arroga la
gloria"24. Da qui viene per ogni uomo, allo stesso modo, l'obbligo di amare
"con tutto se stesso Colui al quale non ignora di dovere tutto se stesso" 25.
In altre parole, la ragione per cui bisogna amare Dio è Dio stesso perché
nulla può essere amato con maggiore giustizia e nulla può essere amato con
maggiore profitto. L'uomo deve amare Dio per i benefici ricevuti. Ogni uomo
in quanto creatura deve amare Dio perché da Lui ha ricevuto la vita e da Lui
riceve la conservazione della vita. Ma soprattutto deve amare Dio il cristiano
perché ha ricevuto da Dio non solo la vita, ma anche la salvezza. Quindi se
l'uomo deve amare Dio è perché Dio lo ha amato per primo, lo ha amato per
primo creandolo (il perché di ogni uomo) e salvandolo (il perché del
cristiano).

21
Ibidem.
22
Cfr. ibid., pp. 208ss.
23
De diligendo, 2.
24
Ibid., 4.
25
Ibid., 6.

4 4
In che modo si deve amare Dio
Segue la risposta alla seconda domanda `in che modo si deve amare Dio?'
Anche qui Bernardo è breve: "modus, sine modo diligere". `Modus' in latino
vuol dire sia misura, che maniera. C'è chi traduce il `sine modo' di Bernardo
`oltre modo'26, ma non è esatto: Dio dev'essere amato senza misura, perché
l'uomo ha ricevuto tutto da Lui: l'essere e la salvezza. Da parte dell'uomo non
può esserci misura, anche se questo “senza misura” dell'uomo non può
colmare la misura secondo la quale Dio dovrebbe essere amato. Amare senza
misura vuol dire amare non per la ricompensa che si riceverà, non per il
vantaggio che se ne avrà, ma in modo puro. Amare cioè come contraccambio
dell'amore che si ha ricevuto.
Qui termina la prima parte del De diligendo Deo e in buona sostanza la
risposta al cardinale. Bernardo potrebbe finire qui. Ma egli non è tanto
preoccupato di rispondere al cardinale, quanto invece di completare il suo
pensiero sull'amore. Quindi si apre la seconda e più importante parte del De
diligendo Deo che sviluppa la dottrina dei quattro gradi dell'amore 27.

I gradi dell'amore

In questa parte del suo trattato, Bernardo descrive il cammino dell'amore


vero in quattro gradi. Secondo lui, tutti gli uomini vengono spinti dallo stesso
desiderio naturale verso un appagamento. Solo quelli, però, che trascendono
la loro motivazione egoistica arriveranno ad uno stato di amore puro.
Bernardo chiama l'amore del primo grado "amor carnalis", per dire che
questo amore è condizionato sia dalla natura corporea dell'uomo sia dalla
sua caduta: per questo "l’uomo ama se stesso per se stesso" 28. Questo amore
è, infatti, quasi iscritto nella carne dell'uomo ("naturae inseritur"). Pensando
ad una frase di san Paolo, Bernardo si domanda: "Chi mai ha preso in odio la
propria carne?" (cfr. Ef 5, 29).

26
Cfr. la traduzione di E. Paratore in Opere di san Bernardo, p. 271.
27
É. Gilson, op. cit., pp. 95ss.
28
De diligendo, 23.

5
L'amore del primo livello non è comunque in sé cattivo, in quanto
rappresenta la condizione naturale dell'amore umano (amor naturalis). La
caduta, però, ha oscurato il potere di orientare questo desiderio fuori di sé
verso Dio. Per mezzo della grazia tuttavia, cioè dell'amore divino, l'uomo
diventa capace di trascendere questo primo livello e di inverarlo. Se non ci
fosse questo passaggio l’amor naturalis diventerebbe, infatti, amor carnalis
in senso stretto e quindi cattivo. L'amore compie un primo passo verso una
verità più grande, quando comincia a riconoscere che il suo prossimo
partecipa con lui della sua stessa natura (consors naturae) e diventa disposto
a rinunciare a qualcosa in favore dell'altro.
Nel secondo grado, l'uomo si rivolge a Dio per la gratitudine di essere
salvato da Lui. E', quindi, l'amore di Dio per sé.
Col tempo però, trovandosi spesso in difficoltà e rivolgendosi sempre di
nuovo a Dio, l'uomo comincia a gustare la dolcezza del Signore "che gli rivela
il piacere della sua presenza e con essa gli fa sentire quanto egli sia dolce" 29.
Per mezzo di quest'esperienza, l'uomo arriva al terzo livello "con cui
finalmente Dio è amato per se stesso" 30. Qui l'uomo si accorge che Dio non è
solo la fonte e il garante della sua esistenza fisica, ma Colui di cui egli è
immagine. Nel terzo grado dell'amore l'uomo ama “veraciter, caste, iuste”.
"Chi ama così, non ama diversamente da come è stato amato, ricercando
anche lui a sua volta non il proprio interesse, ma quello di Gesù Cristo" 31.
L'uomo comincia ad amare Dio stesso, invece di amare soltanto i benefici che
vengono da Lui.
Il quarto grado, l'amore di sé per Dio, è raramente raggiunto e mai
completamente nella vita terrena, perché l'uomo ne è impedito dalla sua
condizione corporale. Esso coincide con il deificari: "Arrivare a questo
sentimento significa indiarsi"32.

29
Ibid., 26.
30
Ibidem.
31
Ibidem.
32
“Sic affici, deificari est”. Ibid., 28.

6 6
In sintesi: Bernardo parla di quattro gradi dell'amore. Il primo grado è
l'amore di sé che egli chiama anche amore naturale. Questo primo gradino
Bernardo lo trae direttamente dall'"ama il prossimo tuo come te stesso"
dell'Antico Testamento e del Vangelo, ribadendo che non è possibile costruire
un amore vero se non partendo dall'amore di sé. Questo è il fondamento. Il
secondo grado è l'amore di Dio per se stessi, cioè per i vantaggi che possono
venire all'uomo. L'uomo ama Dio perché gli ha promesso la vita eterna. Nel
terzo grado invece è Dio amato per se stesso. E' un amore disinteressato. Il
quarto e supremo grado è amare sé per Dio. Questo è il punto più originale
della trattazione di Bernardo: non solo viene affermato che il grado supremo
dell'amore non è amare Dio ma è amare sé, ma anche che quest'ultimo grado
è difficile da ottenere e da intendere.

La lettera ai certosini
Si apre poi la terza parte del De diligendo Deo. Qui Bernardo inserisce
all’interno del testo del trattato una lettera che aveva scritto cinque anni
prima all'abate della Certosa. Il nostro autore descrive il triplice
atteggiamento dell'amore dell'uomo per Dio: l'amore per timore (la figura del
servo), l'amore per interesse (la figura del mercenario), l'amore filiale.
Conclude infine la sua opera con un'esposizione dell'amore come sostanza e
come legge universale che lega tutto a Dio.

Da questa descrizione molto sintetica della dottrina sull'amore di Bernardo


come è sviluppata nel De diligendo Deo emerge soprattutto il realismo di
Bernardo. Egli prende sul serio la creaturalità dell'uomo. All'inizio dell'amore
sta una necessità (a causa della condizione della natura decaduta), per
mezzo della quale l'uomo viene condotto, quasi "educato" all'amore vero. "La
necessità è infatti una specie di favella della carne, sì che essa, quando ha
provato con l’esperienza i benefici ricevuti, li proclama col suo
comportamento"33.

33
Ibid., 26.

7
3. PUNTI CENTRALI DELLA RIFLESSIONE DI SAN BERNARDO

Gli studiosi ci indicano tre nodi intorno a cui ruota tutta quest'opera di
Bernardo. Uno è il rapporto di amore tra l'uomo e Dio, l'altro è la scala
dell'amore, l'ultimo il tema dell'amore come legge universale 34.
Noi però, invece di studiare separatamente questi tre nodi cerchiamo qui di
entrare più profondamente nel cuore del pensiero di Bernardo riflettendo
anzitutto sulla situazione dell'uomo davanti a Dio e poi sul problema
dell'amore disinteressato.

L'uomo davanti a Dio

Per capire la ragione per cui Dio deve essere amato, è importante guardare
alla situazione in cui vive l'uomo, perché questa gli rivela l'amore che Dio ha
verso di lui. Bernardo parte da questa osservazione: "homines (...) tales (i.e.
in tali necessitate) fecit"35, Dio creò gli uomini deboli. Tale debolezza
condiziona inevitabilmente il rapporto con Dio da parte dell'uomo. Per Dio,
invece, lungi dal diventare ostacolo al rapporto con l'uomo, tale debolezza ne
è la base; è addirittura la condizione della sua azione amorosa: "amando gli
uomini, li ha trasformati in modo che non rimanessero com’erano" 36.
Quando Bernardo riflette sull'uomo, ha sempre presente la sua relazione con
Dio. Il pensiero del Doctor mellifluus presuppone come ovvio che l'uomo non
esiste se non di fronte a Dio e in stretta dipendenza da Lui. L'uomo in sé, al
di fuori del suo rapporto con Dio, sarebbe un costrutto impensabile: il
Creatore è una Presenza "necessaria", nel senso totale della parola, perché
l'uomo possa vivere.
Abbiamo visto che, all'inizio della sua opera 37, Bernardo si pone da un punto
di vista generale, che riguarda tutti gli uomini e non solo i cristiani. Anche se
i pagani non hanno la fede, almeno possono vedere gli "innumerevoli

34
Cfr. E. Bertola, op. cit., 242.
35
De diligendo, 1.
36
Ibidem.
37
Ibid., 2-6.

8 8
benefici" che Dio ha dato a tutti gli esseri. Agli uomini Egli ha dato i "beni
superiori (...) che sono la dignità, la scienza, la virtù" 38. Per questo "anche
quelli che non conoscono Cristo sono avvertiti dalla legge di natura, con la
coscienza d’aver ricevuto i beni del corpo e dell’anima, fino a che punto
anche loro debbono amare Dio a causa di Dio stesso"39.
Con tutto ciò Bernardo vuole sottolineare che Dio "ha offerto se stesso a noi
che non lo meritavamo"40, cioè che non si trova nessun merito in noi sulla
base della quale Dio ci ama. Lui ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4, 10)
perfino in un tempo in cui noi eravamo i "suoi nemici" (cfr. Rm 5, 10). Questo
amore divino mostra che l’amore è vero, quanto meno cerca il proprio
vantaggio.
Tenendo conto di questo, Bernardo così conclude: "Dio merita dunque
d’essere amato per se stesso anche dall’infedele, che, anche se ignora Cristo,
conosce almeno se stesso"41. Ma ciò che vale per i pagani vale ancor più per i
cristiani! Perché per loro Dio non è soltanto "gratuito donatore", ma è anche
"generosissimo redentore"42: "La prima volta che ha operato, ha dato me a
me stesso, ma la seconda volta mi ha dato sé, e dandomi sé mi ha restituito a
me stesso"43. L'unica risposta adeguata di fronte a questo amore impegnativo
di Dio è per Bernardo dunque questa: "modum esse diligendi Deum, sine
modo diligere": la misura con cui Dio deve essere amato è amarLo senza
misura44.
Ma chiediamoci ancora: come è possibile amare Dio per se stesso, senza
aspettarsi qualcosa, senza "interesse"? E' possibile amare Dio
disinteressatamente, anche se si sa già in anticipo che questo amore non
sarà senza guadagno? Per capire che cosa Bernardo intenda con `amare
disinteressatamente' (e che cosa non intenda dire), ci rivolgiamo a Pietro
38
Ibid., 2.
39
Ibid., 6.
40
Ibid., 1.
41
Ibid., 6.
42
Ibid., 14.
43
Ibid., 15.
44
Ibid., 16.

9
Abelardo (1079-1142). Egli è ritenuto da Gilson un rappresentante
dell'amore disinteressato "senza analoghi in quell'epoca" 45.

L'amore disinteressato: Bernardo e Abelardo


Abelardo parte, nella sua riflessione sull'amore puro, da un brano della
prima lettera di san Paolo ai Corinzi (cap. 13): "La carità (...) non cerca il suo
interesse. (...) Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta",
supponendo che "il modello della dilectio sia l'amore di Cristo per
l'umanità"46. Evidentemente, san Paolo parla di un amore che si rivolge
"unicamente e direttamente alla persona amata ed esclude ogni
considerazione di ricompensa per colui che ama"47. Abelardo concede che
l'amante è certo di una ricompensa, questa però non deve essere la
prospettiva sotto la quale egli ama, altrimenti il suo sarebbe un amore
mercenario. Quindi, se vogliamo amare Dio nel senso vero, dobbiamo amarLo
per se stesso e senza porci nella prospettiva di alcun vantaggio che ciò
comporterebbe.
Fin qui anche Bernardo sarebbe d'accordo; con la seguente riflessione, però,
Abelardo lascia la strada comune: anche se Dio non rappresentasse la piena
beatitudine per l'uomo, anche se questo amore lo rendesse infelice, egli Lo
dovrebbe amare ugualmente! Così Abelardo esclude per definitionem il
contraccambio nell'amore, cioè dimentica o prescinde dal fatto che Dio ha
amato l'uomo per primo (cfr. 1 Gv 4, 10).
In che cosa consiste l'errore? Abelardo confonde due casi assolutamente
diversi. Una cosa è l'amore tra gli uomini e un'altra l'amore di Dio.
Nell'amore di Dio l'uomo, infatti, si rivolge al suo fine ultimo, cioè al suo
destino, che coincide con la sua beatitudine. La felicità è inseparabile dal
destino, quindi l'uomo non può non amare il suo destino. Questa tensione
inevitabile verso la beatitudine è preceduta dal fatto che Dio ama l'uomo. Un
uomo, infatti, può sacrificarsi per un altro solo perché è già abbracciato da
45
É. Gilson, op. cit., p. 162.
46
Ibidem.
47
Ibidem.

10 10
un amore più grande, il quale costituisce la condizione dell'amore degli
uomini tra di loro.
Ciò che Gilson dice sull'amor cortese vale certamente anche per la
concezione di Abelardo: l'amore "è un male perché può essere non
ricompensato". Il dialettico esclude e rifiuta il contraccambio. Secondo
Abelardo, infatti, bisogna amare Dio perché Egli è perfetto e perché ciò che
fa è buono e non perché ci ha già dato tutto il Suo amore! Per questo Egli
merita il nostro amore, qualunque cosa faccia nei nostri confronti. Così, si
può dire che in fondo Abelardo abbia una concezione dialettica dell'amore,
che si fonda su una pura astrazione e che, prescindendo dalla realtà, vuole
separare la bontà divina in sé dalla bontà divina per noi. Proprio questo,
secondo Bernardo, è impossibile. Dio è, infatti, sia la causa sia il fine
dell'amore. Approfondiamo dunque la concezione di Bernardo da questo
punto di vista.
L'amore di cui ragiona Bernardo è un amore che si lascia donare, che è
disposto ad accogliere l'amore di Dio come una grazia, per poi poter riamare
Dio ancor più. "Potrò certo farlo di più, quando ti degnerai di darmi di più,
però mai nella misura di cui tu ti mostri degno" 48. L'amore di Dio in noi
genera la coscienza di essere già stati fatti oggetto di un dono. L'uomo può
amare Dio solo se Dio stesso gli dà la forza per farlo, la Sua grazia.
Solo il cristiano può avere questa coscienza: "Ma è difficile, anzi impossibile
che uno, con le forze sue o del libero arbitrio, arrivi ad attribuire in tutto alla
volontà di Dio ciò che ha ricevuto da Dio(...). I fedeli al contrario sanno
chiaramente quanto sia loro assolutamente necessario Gesù, e per giunta
Gesù crocifisso (...). Naturalmente è facile amare di più a quelli che
comprendono d’essere amati di più "49.
L'amore di Dio rende l'uomo felice perché "riceve una ricompensa, ma che è
proprio ciò che costituisce il suo amore. (...) Il vero amore non rivendica la

48
Ibidem.
49
Ibid., 6-7.

11
sua ricompensa, ma si limita a meritarla" 50. San Bernardo non rifiuta quindi il
contraccambio, perché l'appagamento accompagna sempre l'amore vero!
Con questo abbiamo trovato una prima risposta alla domanda sull'amore in
Bernardo. Leggendo però il suo trattato si incontrano altri punti di
particolare importanza che non sono emerse nella breve esposizione fatta.
Perciò, prima di concludere, sembra utile richiamare l'attenzione su alcuni
punti centrali della teologia di Bernardo per poter comprendere meglio in
questo quadro più ampio anche la sua dottrina sull'amore.

4. IL CONTESTO DOTTRINALE

L'esperienza
La parola centrale della teologia di san Bernardo è la parola experientia. Lo
dice anche uno degli inni più famosi che ci ha lasciato, Iesu dulcis memoria:
"... expertus potest credere". Leclercq sostiene che la nozione di esperienza
è quella che dà l'unità della teologia di Bernardo 51. "Oggi leggiamo nel libro
dell'esperienza", fu una frase rivolta spesso da Bernardo ai suoi monaci.

Il punto di partenza della riflessione

Da dove parte Bernardo nella sua riflessione? Da dove partire se non da sé?
Ricordiamo il punto di partenza di Agostino: Deus et anima. Il punto di
partenza è l'io, per arrivare a Dio. Per Bernardo non si può che partire dall'io
e dall'io peccatore. Perché, se noi guardiamo noi stessi, la prima
osservazione che dobbiamo fare è l'osservazione del nostro egoismo e del
nostro peccato che ci appesantisce e ci allontana da Dio. La prima
considerazione è la considerazione della nostra miseria. Agostino e poi
Bernardo collegano questa parola sempre ad un'altra: misericordia. Miseria -
misericordia. Perché? Perché, se miseria è l'esperienza del peccato, questa
esperienza stessa rivela a noi il bisogno che abbiamo di Dio, di uscire dalla
50
Ibid., 17.
51
J. Leclercq, “Introduzione generale”, p. XXXVII.

12 12
nostra miseria. Dentro di noi, sempre, assieme alla nostra miseria, sta
qualcuno che ci stimola e ci sostiene nel cammino verso la misericordia. Se
noi guardiamo con umiltà alla nostra miseria, non possiamo non sentire il
desiderio di Dio, la concupiscentia Dei. “Dio utilizza la nostra stessa miseria
per incitarci a ‘cercarlo’, e offrirci quindi la sua ‘consolazione’” 52. La nostra
miseria diventa ricerca di Dio, domanda di Dio. E Dio ci viene incontro,
facendo nascere in noi l'affectus, l'affezione. Questa affezione, che lungo il
corso della vita è l'esperienza del perdono, della gioia, della consolazione che
Dio dà all'uomo, in taluni momenti diventa ebbrezza, `bacio di Dio',
esperienza mistica53.

Esperienza mistica
Esperienza mistica vuol dire in Bernardo esperienza dell'affectus. Mistica è
una parola che viene da mysterion, da mistero, cioè da sacramento. Vuol dire
il cambiamento sensibile che nella vita opera la grazia. Questo cambiamento
sensibile, che sono i doni dello Spirito di cui parla san Paolo, pace, gioia,
consolazione, ... può diventare per grazia in taluni rari momenti `ebbrezza
dello spirito'; l'esperienza, già nel tempo, di un rapimento, di un uscita da sé
e di un ricongiungimento con Dio. Ma nel senso fondamentale del termine,
per Bernardo, mistica vuol dire esperienza dell'unione con Dio. Egli descrive
questa esperienza prevalentemente con la terminologia del Cantico dei
Cantici. Per dare al suo ascoltatore, al monaco, la percezione di che cosa sia
questa esperienza affettiva, la esprime attraverso la terminologia così densa
del matrimonio.
L'esperienza mistica è sempre esperienza della persona singola. Non
dobbiamo dimenticare però che Bernardo vive in una comunità monastica. Si
potrebbe dire che lui ha i piedi collocati sulla terra benedettina. Egli vuole
indicare una strada per tutti i suoi monaci, non una strada di singolarità.
Bernardo non è il mistico isolato che ha le sue visioni, le sue partecipazioni

52
Ibid., p XXXVIII.
53
Ibidem.

13
alla passione. Egli è colui che indica come strada alla contemplazione la vita
concreta della comunità. Nella tradizione monastica benedettina, come la
cogliamo in Bernardo, l'esperienza mistica è l'esperienza che è possibile ad
ogni cristiano. Anche se alcune di queste persone che vivono in comunità
sono dotate di particolari doti di preghiera, di silenzio, di penetrazione del
mistero di Dio, la contemplazione di Dio avviene all'interno della strada
comune del monachesimo, della comunità monastica.
L'esperienza dell'amore è per Bernardo un'esperienza mistica, un'esperienza
di comunicazione. Comunicazione della carità. Ora, la comunicazione della
carità può trovare nell'uomo una libertà piccola. Un uomo completamente
assorbito dalle sue preoccupazioni ed occupazioni, distratto, senza capacità
di memoria. O invece può trovare una libertà che accoglie, che fa diventare
quel dono un dono che porta frutto. Non si deve disgiungere la mistica dalla
sua radice etimologica. La mistica, come ho rilevato, in senso cattolico viene
da mysterion, da sacramento. Essa è la partecipazione oggettiva al
sacramento che tende a diventare esperienza soggettiva, dono di gioia, di
consolazione, di pace. E' l'anticipazione dell'aldilà, l'esperienza della
presenza di Dio che modifica il presente, della presenza di Cristo che
trasforma la persona e diventa pegno.

L'educazione

Tutto questo avviene in una comunità in cui una delle cose più importanti è
l'educazione. Qual'è il luogo elementare di questa educazione? Innanzitutto
la lettura della Scrittura. Leggendo la Bibbia, immedesimandosi con essa,
l'uomo scopre la propria miseria e poi la misericordia, come storia che Dio ha
creato per andare incontro all'uomo. Certe pagine di Bernardo sono dei veri
e propri mosaici biblici, non soltanto per le parole, ma anche per lo stile, la
grammatica. Egli è profondamente convinto che lo Spirito, che ha ispirato gli
autori sacri, agisce anche nei lettori54.

54
Ibid., pp. XXXIXs.

14 14
Dalla miseria alla misericordia
Qual'è il tema che unisce l'io a Dio, la miseria alla misericordia? E' il tema
più insistito in Bernardo: il tema dell'immagine: l'uomo è immagine di Dio. 55
Dopo lo studio del Gilson56 questo è senza dubbio il capitolo di Bernardo più
studiato. Si pone così in primo piano la questione dell'amore, perché Dio è
colui che per essenza si dona, si dona a se stesso, e si effonde al di fuori di sé
nelle creature.
Se l'uomo è immagine di Dio, quale posto occupa in lui l'amore? Come è
possibile uscire dalla propria miseria e tendere, aprirsi alla misericordia?
Come è possibile la vera conoscenza di sé?
Bernardo ha dedicato a questo tema il suo primo trattato: I gradi dell’umiltà
e della superbia. Il ritorno a Dio esige il passaggio dalla superbia alla umiltà
(Mt 11,29: "imparate da me che sono mite e umile di cuore"). Il
pellegrinaggio che fa rinunciare in noi all'ipocrisia, agli errori e che ci fa
scoprire o riscoprire il nostro vero io, che ci fa uscire dal nostro amor
proprio, che corregge in noi un amore falso. Se fosse per l'uomo
abbandonato a se stesso e alla propria miseria, egli non avrebbe che
disperazione. Ma la forza di Dio restituisce all'uomo la sua dignità. L'uomo, a
poco a poco, mediante il dono della fede, mediante la preghiera e i
sacramenti, si unisce, ritrova la propria unità. Essa non sopprime tutte le
tensioni che ci sono nell'uomo: tensione al peccato e fiducia nella grazia,
tensione all'egoismo e aspirazione verso Dio. Questo itinerario dalla miseria
alla misericordia è continuamente da ripercorrere sino alla morte. Quando
usciamo dalla miseria, cioè dal nostro amor proprio, e ci apriamo alla
misericordia diventiamo capaci di amore verso gli uomini, di compassione
verso la loro stessa miseria, per arrivare infine a poter vedere Dio.

55
Cfr. É. Gilson, op. cit., p. 104.
56
Cfr., É. Gilson, op. cit.

15
... seguendo Gesù Cristo
Come è possibile questo itinerario? E' possibile soltanto perché Cristo lo ha
già compiuto. Egli per primo si è umiliato, si è fatto partecipe della nostra
miseria, si è fatto peccato. Per questo ci ha reso possibile l'ingresso alla sua
gloria. Noi riviviamo la vita di Cristo sulla terra. Bernardo insiste sui due
momenti fondamentali di questa umiliazione, che sono anche i momenti
fondamentali in cui si è manifestata la sua carità: la nascita e la passione.
Possiamo rivivere la vita di Cristo come partecipazione alla Sua attraverso i
sacramenti e la liturgia, che aprono alla memoria. Lo spirito dell'uomo vive
istante per istante devotamente il proprio affetto per Cristo. E questa
memoria apre alla sua imitazione57.

La Chiesa
Tale itinerario si realizza nella Chiesa e in esso si realizza la Chiesa, avviene
cioè l'incontro sponsale fra Cristo e gli uomini. La Chiesa è il luogo di
incontro di due amori: la carità di Dio verso gli uomini e degli uomini verso
Dio. In questo senso è un matrimonio. Essa nasce dopo che il popolo ebraico
ha rigettato questo matrimonio. La differenza tra la sinagoga e la Chiesa,
dice Bernardo, sta nel fatto che la prima era fondata sulla giustizia, la
seconda sulla carità. Nella prima lo scopo era di essere giusti, nella seconda
di venire perdonati. Nella prima era la legge il mezzo per andare a Dio, nella
seconda è lo Spirito che libera. La prima era limitata a un solo popolo, come
l'olio che discende solo sulla barba di Aronne, nella seconda la salvezza è
proposta a tutto l'universo come olio che scende su tutto il corpo. La prima
era legata alla lettera della Scrittura, la seconda penetra nel suo senso 58.
L'essenza della Chiesa perciò, in questo incontro tra Cristo e gli uomini, è di
essere comunione di tutti con Cristo e tra di loro. La voluntas communis, la
volontà di comunione, è il rimedio all'egoismo, alla singularitas, al voler
essere se stessi di fronte agli altri, non assieme agli altri.

57
J. Leclercq, “Introduzione generale”, p. LIV-LVI.
58
Ibid., p. LVII.

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Lo Spirito Santo
Non è stato ancora molto studiato da parte dei teologi il tema dello Spirito
Santo in Bernardo. Egli ne parla un po' dovunque. Ma in nessun punto forse
lo sviluppa in modo esplicito. Eppure proprio lo Spirito Santo è l'amore,
l'amore del Padre e del Figlio, Colui attraverso il quale giunge a noi l'opera
di Dio, il pegno della salvezza, colui che alimenta in noi il desiderio e aiuta la
nostra debolezza. Bernardo parla di infusio e di effusio. Infusio: è lo Spirito
che viene in noi e ci trasforma. Egli poi ci spinge a manifestare agli altri la
sua presenza, ecco l'effusio: il desiderio di guadagnarli a Dio59.

59
Cfr. ibid., p. LIX.

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