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CONTRIBUTO DELL’EUROPA

VERSO IL CAPITOLO GENERALE 2015

Contributi della Commissione Teologica Europea

MISERICORDIA NEGLI SCRITTI DI P. DEHON

P. Stefan Tertünte, scj

1. Un vuoto nella letteratura dehoniana

La letteratura dehoniana tace sul tema della misericordia. Nella nostra


Regola di vita la parola non si trova nemmeno una volta; indicazione di un
problema ideologico e di una conoscenza limitata del nostro fondatore? Gli
studi dehoniani postconciliari non lasciavano spazi per la misericordia.
Nell’indice della nostra rivista Dehoniana la misericordia c’è – con un titolo
segnalato, nel 1980 (p. 177s.). Per di più questo si riferisce non a un vero
articolo ma alla semplice riproduzione – senza commenti – di tre pagine di
Retraite du Sacré-Coeur.

2. Una forte presenza: misericordia nell’opera del Dehon

Sebbene il sito dehondocs è ancora lungi dall’essere completo, i


documenti inseriti sono già numerosi e il sito si rivela uno strumento molto
prezioso per esempio per rintracciare parole chiave specifiche. La parola
miséricorde compare 731 volte, 197 volte miséricordieux, 66 volte
misericordia. Questo risultato non è all’altezza dei risultati che compaiono
per termini come amour (ca. 3627), péché (1799) o charité (1563), ma
ancora più spesso che per termini come pardon (519), conversion (386).

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Tuttavia le segnalazioni sono sufficienti per considerarla una parola cara a p.
Dehon.
Sempre tenendo a mente che dehondocs non è completo (manca p.e.
l’intera corrispondenza) la distribuzione dei risultati per miséricorde è la
seguente: Opere spirituali 272, Opere sociali 9, Diari 262, Articoli 149 volte.
Un numero considerevole di risultati si trovano in una categoria che non
ho seguito, vale a dire gli articoli o Chroniques che Dehon scrisse per Le
Règne e altre riviste. Forse sarebbe interessante dare a questi testi uno
sguardo più attento. Non l’ho fatto per motivi di tempo, ma soprattutto
perché Dehon lì, diciamo, non prende molto tempo per sviluppare la sua idea
di misericordia. Questi scritti funzionano secondo le leggi delle riviste e dei
periodici: una comunicazione veloce, utilizzando formule conosciute dal
pubblico. La misericordia vi è integrata in un discorso religioso su problemi
e sfide sociali e ancor più politiche. Una visione approfondita della
concezione di misericordia non è impossibile a intravederlo, ma molto
difficile.

3. P. Dehon racconta Dio

Le cose stanno molto diversamente negli scritti spirituali, soprattutto


nelle Couronnes d’amour, in Retraite du Sacré-Coeur e in Mois du Sacré-
Coeur. Nella sua introduzione alle Œuvres Spirituelles Manzoni scrive
addirittura : “Le meditazioni più belle sono quelle sulla misericordia del
Cuore di Gesù” (Introduction, p. XIV). Anche se in altre opere spirituali
come Le Mois de Marie o L’Année avec le Sacré-Ceur, Dehon tratta
ampiamente della misericordia, soprattutto nelle dette opere (CAM, RSC,
MSC), Dehon prende il tempo e lo spazio necessario per sviluppare la sua
visione di misericordia. Vi sono numerosi capitoli interi dedicati a questo.
Qui Dehon, direi, è nel suo elemento, è più autentico. Scrive non da teologo
ma da esperto di esperienze e dinamiche spirituali. E come tali bisogna
accogliere questi scritti. Non si tratta di un trattato teologico ma di testi
pedagogici o mistagogici che raccontano l’esperienza di un certo modo di
essere di Dio.
Il quadro generale del suo approccio alla misericordia comunque sembra
chiaro e ci pone qualche difficoltà oggi. Dehon stesso lo definisce
abbastanza presto con una citazione di Sant’Agostino: “Tu sei medico, io
sono malato; tu sei misericordioso, io sono misero” (NHV 5/143).

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Certamente Dehon per molto è legato ad una antropologia che vede l’uomo
sostanzialmente come peccatore. “Da noi stessi non abbiamo che il nulla e il
peccato” (NHV 5/195). La forza dei testi e il focus di Dehon però non è
tanto l’uomo ma il raccontare un certo Dio.

4. Un Dio appassionato di trovare e incontrare

Sotto il titolo ‘misericordia’ Dehon racconta un essere di Dio. E lo narra


con i racconti biblici: Appaiono la pecorella smarrita, cercata e trovata, la
moneta trovata, il figlio prodigo, Zaccheo, Matteo, la Samaritana, Pietro,
Tomaso; tutti sono a modo loro testimoni di un Dio misericordioso. E quindi
Dehon costruisce una visione di Dio, che prende l’iniziativa, che va indietro
al perduto, un Dio che lascia gli spazi e le persone conosciute per cercare
colui che non lo riconosce più. “Non vedi come il pastore va in cerca della
pecorella smarrita ? Non si limita ad aspettarla; ma lascia le altre, perlustra i
boschi, le macchie, i precipizi. Quando finalmente la trova: la prende e la
carica sulle spalle. Così io voglio fare con te.” (RSC 292).
Un Dio che secondo Dehon non solo cerca, ma che accoglie senza porre
condizioni, che abbraccia, che dimentica il passato e con cui un inizio è
possibile per l’uomo oltre le sue attese e oltre le sue possibilità:
“Nell’Ecclesiastico, gli fa dire che i suoi peccati si dileguarono sotto il fuoco
della sua misericordia ‘come la neve fonde al sole’… In Isaia gli fa dire che
‘fosse anche diventato rosso come scarlatto per i suoi peccati, pentendosi
diverrà bianco come la neve’” (RSC 297). Dio dimentica e colma di grazia,
rendendo possibile una nuova esistenza, oltre le attese dell’uomo e le sue
possibilità. Per chi si apre alla misericordia.
A Dehon piace accompagnare spesso la parola misericordia con ‘infini;
per sottolineare l’iniziativa sovrana di Dio, per indicare un agire senza
misura. Un’agire che pure mette fuori gioco la ‘giustizia’. Infatti “Gesù ha
per noi un cuore di medico e di amico, non ha un cuore di giudice severo…
Il buon pastore con un apparente rovesciamento della giustizia, Egli
abbandona le pecore fedeli per correre in cerca della pecora disgraziata “
(CAM 1/244) e parlando del figlio prodigo “… per un nuovo rovesciamento
della giustizia, il padre accorda tutti i favori al figliolo colpevole e sembra
dimenticare l’altro che gli è rimasto fedele, dimenticanza che il figliolo
maggiore gli rimprovera apertamente” (CAM 1/244).

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Certo non sarebbe Dehon, se si fermasse solo sul gioire della bellezza di
misericordia. Meditando l’incontro di Gesù con Zaccheo egli insiste sul fatto
che, chi viene commosso deve muoversi: “… bisogna corrispondere alla
grazie e cooperarvi anche da parte nostra. Infine ammireremo ed imiteremo
le generose ed efficaci risoluzioni di Zaccheo. Con lui saremo pronti ad
adempiere tutti i nostri doveri di giustizia e a praticare la misericordia verso
il prossimo” (RSC 318).
E vero anche che in altri scritti Dehon identifica il calvario, la croce, la
passione come luogo supremo di misericordia nella Bibbia, cita l’inno della
Lettera ai Filippesi come atto supremo di misericordia divina. Nei testi
fondamentali sulla misericordia, invece, il programma biblico è quello
dell’incontro, il sentimento prevalente è quello di gioia da parte di chi dà e
chi riceve misericordia.
Non è sorprendente che Dehon in Retraite du Sacré Cœur conclude:
“Non v’è altro attributo divino che la S. Scrittura glorifichi più della sua
misericordia” (RSC 72). Forse bisogna stare attento a questo : il linguaggio
teologico di Dehon non sempre corrisponde al racconto della sua esperienza
spirituale, anzi a volte lo nasconde. Ciò che Dehon descrive sotto il titolo
misericordia è più di un attributo, è un certo essere di Dio.

5. Una porta aperta per Dehon – Teresa di Lisieux

Un’altra osservazione che meriterebbe ulteriori studi: Il legame in Dehon


fra la sua visione di misericordia e il suo crescente interesse per santa Teresa
di Lisieux. Questa santa, detto in modo generale, è rivelatrice di uno
spostamento nella spiritualità di Dehon e nella spiritualità voluta da Dehon
per la Congregazione. Un elemento in tale senso è l’adesione di Dehon
all’esperienza di misericordia della santa carmelitana. Per cui Dehon cita
santa Teresa così: “Comprendo, scrive la piccola santa, come non tutte le
anime si rassomiglino; è necessario che ve ne siano di differenti famiglie al
fine di onorare in modo particolare ciascuna delle perfezioni divine. A me il
Signore ha dato la sua ‘misericordia infinita’ ed attraverso questo specchio
ineffabile io contemplo tutti gli altri attributi che mi appariscono tutti
raggianti d’amore” (CAM 3/215). Dehon si identificava molto con il
percorso spirituale di Teresa, da lui riassunto come “via d’amore” e “vittima
d’amore”.

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*******

FORGIVENESS AND MERCY


A PSYCHOLOGICAL APPROACH

F. Javier Lopez, scj

Conflict within relationships in the religious communities is inevitable.


At one time or another, religious members of a community might
inadvertently make a hurtful comment, forget to pick up the journals (or
something else), leave the gas tank empty or whatever. Most religious
resolve such conflicts on an ongoing basis, leaving little emotional residue to
negatively impact their lives. However, examples of more devastating
relational conflicts include mutual disqualifications, mistrust, major lies,
drastic unilateral decisions, seek revenge, withdraw and other similar
humiliations and betrayals. These conflicts frequently leave lasting
emotional scars on community functioning, particularly in regards to
psychological closeness, if religious are unable to have mercy and forgive
each other and effectively resolve their conflicts.
Psychology has put no attention on mercy, nevertheless, the
psychological literature recently has reflected a growing interest among
clinicians in using forgiveness as an intervention to help groups and
individuals seek new beginnings in previously damaged relationships,
resolve long-standing relational problems, and let go of anger and bitterness.
Forgiveness can be considered a specialized form of “Mercy,” which is a
more general concept reflecting kindness, compassion, or leniency toward a
transgressor.
From a psychological perspective some authors posit that the concept of
forgiveness has been used since antiquity in the religious community as a
vital factor in healing and restoring relationships between people. According
to Peterson and Seligman “Forgiveness” represents a suite of prosocial
changes that occur within an individual who has been offended or damaged
by a relationship partner1. When people forgive, their basic motivations or
1
Peterson, C. & Seligman, M. (2004). Character strengths and virtues: A
handbook and classification. NY: American Psychological Association & Oxford
University Press.

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action tendencies regarding the transgressor become more positive (e.g.,
benevolent, kind, generous) and less negative (e.g., vengeful, avoidant).
Because attempts to forgive may not always be born out of purely
altruistic concerns, and definitions of forgiveness vary, it is important to
present our view of forgiveness and to distinguish it from what it is not. It is
important a view of forgiveness that distinguishes it from pseudoforgiveness.
For example, it is important not to confuse granting forgiveness with
forbearing, denying, ignoring, minimizing, tolerating, condoning, excusing,
forgetting the offense, or suppressing one’s emotions about it 2.
Modern scholars and scientists affirm that the concept of forgiveness is
distinct from reconciliation. Forgiveness is understood as an unconditional
response to another’s injustice and is seen as an inner change that does not
require the forgiver to go back to the potentially harmful relationship with
the offender3. Forgiveness entails two words (“for” and “giveness” in
English, “per” and “don” in Spanish, “per” and “dono” in Italian, etc.); so
anytime some religious says I forgive you, what really happens is that the
person gives someone for the sake of giving. Forgiveness implies give a gift.
Religious with a strong disposition to forgive would endorse statements
such as the following: “When someone hurts my feelings, I manage to get
over it fairly quickly”; “I don’t hold a grudge for very long”; “When
community members make me angry, I am usually able to get over my bad
feelings toward them”; “Seeking revenge doesn’t help people to solve their
problems”; “I think it is important to do what I can to mend my relationships
with community members who have hurt or betrayed me in the past”; “I am
not the type of person to harm someone simply because he or she harmed
me”; “I am not the type of person who spends hours thinking of how to get
even with community members who have done bad things to me”, etc.
Nevertheless, forgiveness requires successfully implementing complex,
intrapersonal processes, several of which seem to be influenced by
2
McCullough, M., Pargament, K., & Thoresen, C. (Eds.). (2000). Forgiveness:
Theory, research, and practice. New York: Guilford Press.
3
Enright, R. & Coyle, C. (1998). Researching the process model of forgiveness
within psychological interventions. In E.L. Worthington (Ed.), Dimensions of
forgiveness: Psychological research and theological perspectives (pp. 139- 161).
Philadelphia: Templeton Foundation Press. Kim, J. J., & Enright, R. D. (2014).
Differing views on forgiveness within Christianity: Do graduate-level theology
students perceive divine and human forgiveness differently? Spirituality in
Clinical Practice, 1, 191-202.

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developmental factors. This process is not automatic and often does not
occur in a linear or timely fashion. If people have had many years of
relational hurt, it is plausible to consider that one expression of “I forgive
you” or “I’m sorry” would not repair the hurt. Unlike the other
communicative acts of love and gratitude, which are recognized as acts or
expressions, the concept of forgiveness not only involves the sense of need
for resolution and the formulation of resolution strategies, but also requires
the injured party to view the offender’s behavior in context. Nevertheless, at
the end of the forgiveness process, when people are most forgiving, the
injured religious are able to move away from blaming their partners, feel
more at peace with their understanding of the betrayal, and are able to move
beyond the betrayal. Forgiveness of transgressions can restore intimacy after
a transgression has damaged emotional ties.
The need to forgive also encompasses a discovery process. Forgiveness
also appears to be a complex and critical intrapersonal and interpersonal
process in the healing of mind, body, and spirit. Like any process there are a
variety of stages that must be worked through for healing and wholeness to
be accomplished. For persons who have become estranged, forgiveness is
one of the most critical processes for facilitating restored relational and
emotional well being. However, as suggested, forgiveness is not a simple
issue of ‘will power’ or merely ‘letting go’ but rather a complex process that
when fully experienced can usher in a deep healing process within and
among persons. Human frailty and imperfection are unavoidable. Human
beings make mistakes. The truly important issue is not whether errors will be
made, but how communities cope with them when they occur. The issue of
emotional intelligence and the ability to bring an empathic understanding are
critical4.
As a result, several theoretical forgiveness models have been developed
to promote forgiveness. Research groups headed by Enright and
Worthington have led the way in investigating the efficacy of these
interventions. Enright’s treatment model contains 20 steps, which are
summarized in four phases: Uncovering (negative feelings about the
offense), Decision (to pursue forgiveness for a specific instance), Work

4
McCullough, M., Pargament, K., & Thoresen, C. (Eds.). (2000). Forgiveness:
Theory, research, and practice. New York: Guilford Press.

69
(toward understanding the offending person), and Discovery (of
unanticipated positive outcomes and empathy for the offending person) 5.
The other primary research group has conducted research organized
around Worthington’s REACH Forgiveness model. Each letter in the
acronym REACH represents a major component in the forgiveness process.
In the first step of this model, people recall (R) the hurt they experienced and
the emotions associated with it. Next, people work to empathize (E) with
their offender, take another’s perspective, and consider factors that may have
contributed to their offender’s actions. This is done without condoning the
other’s actions or invalidating the often-strong feelings the offended person
has as a response. Third, people explore the idea that forgiveness can be seen
as an altruistic (A) gift to the offender. People learn that forgiveness can be
freely given or legitimately withheld and recall times when others forgave
them. Fourth, people make a commitment (C) to forgive. This includes
committing to the forgiveness that one has already achieved as well as
committing to work toward more forgiveness, knowing that it is a process
that often takes time to fully mature. Last, people seek to hold (H) onto or
maintain their forgiveness through times of uncertainty or a return of anger
and bitterness (e.g., if they get hurt again in a similar way) 6.
Much of the theological work focuses on prescriptive issues such as the
moral appropriateness of forgiveness, whereas psychological research is
descriptive in its focus. Many of the forgiveness studies and articles to date
have emphasized potential benefits of forgiving. For example, a number of
studies emphasize potential benefits of forgiveness for mental health and
physical health7.

*******
IL PERDONO TRA MEMORIA E OBLIO
5
Enright, R. D. & Fitzgibbons, R. P. (2000). Helping clients forgive: an empirical
guide for resolving anger and restoring hope. Washington, D.C: American
Psychological Association.
6
Worthington, E. L. (2001). Five steps to forgiveness: The art and science of
forgiving. New York, NY: Crown.
7
Witvliet, C.V.O., & McCullough, M. E. (2007). Forgiveness and health: A
review and theoretical exploration of emotion pathways. En S. G. Post (Ed),
Altruism and health: Perspectives from empirical research, (pp. 259-276). New
York: Oxford University Press.

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UN CONTRIBUTO AL TEMA DELLA MISERICORDIA A PARTIRE
DALL’ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DI P. RICOEUR

P. Giuseppe Guglielmi, scj

Nella riflessione filosofica contemporanea, il tema della misericordia non


emerge in modo esplicito. Probabilmente ciò è dovuto anche al fatto che la
misericordia è di solito associata ad un chiaro contesto religioso, quello
ebraico-cristiano. Si possono tuttavia individuare alcune riflessioni
filosofiche che possono contribuire ad una riflessione teologica ed ecclesiale
sulla misericordia. Dovendo fare delle inevitabili scelte entro il panorama
filosofico contemporaneo, si è preferito dare al pensiero di P. Ricoeur (1913-
2005) che elabora una riflessione sul perdono entro il quadro più grande
della temporalità, legandolo ad aspetti centrali come la memoria e l’oblio. Il
suo contributo può offrire alcune chiavi di lettura per comprendere alcune
dinamiche della vita comune che sono inevitabilmente attraversate da
tensioni. Queste possono infatti irrigidirsi nel caso non venga messo in atto
un discernimento ed una elaborazione positiva dell’oblio, che non è, come si
vedrà, un voler dimenticare, ma un voler rielaborare in vista di un futuro.

1. Il presente: orizzonte di attesa e spazio di esperienza

Nell’abbondante produzione filosofica di Ricoeur, lo scritto intitolato


Passato, memoria, storia, oblio, merita una particolare attenzione. Si tratta di
un testo che riproduce le lezioni tenute in occasione di un corso di dottorato
della Facoltà di Lettere e Filosofia della Universidad Autónoma di Madrid
(19-21 novembre 1996)8.
Ricoeur prende in considerazione alcune soluzioni per evitare gli eccessi
del ricordo e dell’oblio, ugualmente nefasti per una comunità, puntando
sull’etica della “giusta memoria”. In particolare, nel capitolo intitolato «la
memoria ferita e la storia», il filosofo mette in guardia contro l’illusione di

8
Cf P. RICOEUR, «Passato, memoria, storia, oblio», in ID., Ricordare,
dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, il Mulino, Bologna 2004, 49-119.
Per una trattazione più estesa, si rimanda all’opera più ampia dello stesso
Ricoeur, intitolata La memoria, la storia, l’oblio, Cortina, Milano 2003.

71
credere che ciò che chiamiamo “fatto” coincida con “ciò che è
effettivamente accaduto”, proponendo così la “logica del probabile”
all’ingenua posizione storiografica del dato “comprovato” 9.
Avendo rafforzato la funzione critica e non strumentale della storia,
Ricoeur si volge poi a tratteggiare quella che si può considerare una
riflessione antropologica (coscienza storica) sull’oblio e sul perdono. Per
ripercorrere l’itinerario proposto da Ricoeur è necessario riallacciarsi alla
concezione del presente come irriducibile risultato del gioco di forza fra
“orizzonte di attesa” (Erwartungshorizont) e “spazio d’esperienza”
(Erfahrungsraum). In altri termini, quello che si considera come “presente” -
sostiene Ricoeur riprendendo lo storico tedesco R. Koselleck - è il
risultato/confluenza di una dialettica tra attese future ed esperienze passate.
Attraverso alcuni esempi, Ricoeur spiega che la memoria che non danneggia
è proprio quella prodotta da una giusta dialettica fra i due poli in grado di
evitare tanto la caduta in un ricordo eccessivo di un passato pesante quanto
in una aspettativa illusoria del futuro. Secondo Ricoeur, nella vita quotidiana
(presente), questa dialettica tra orizzonte di attesa (futuro) e spazio di
esperienza (passato) vengono plasmati dal continuo alternarsi del ricordo e
dell’oblio.

2. L’oblio e il suo significato in seno alla memoria

Può sembrare strano pensare all’oblio come ad un elemento che


determina il giusto equilibrio tra passato e futuro, proprio perché spesso si
pensa all’oblio come il contrario della memoria. IL più delle volte il concetto
di memoria richiama il dovere, mentre l’oblio è avvertito come una minaccia
e un nemico della memoria. Tuttavia si dà anche un giusto uso dell’oblio, e
Ricoeur ne delinea il concreto dispiegamento attraverso due categorie
generali: l’oblio profondo e l’oblio manifesto. Ciò che più qui interessa è
questo secondo tipo di oblio, che si collega alla memoria da
evocare/richiamare e che dunque si pone su un piano più fenomenologico
rispetto a quello ontologico dell’oblio profondo.
Tra le varie forme di “oblio manifesto” descritte da Ricoeur, due
tipologie vanno richiamate in quanto possono risultare interessanti per
sviluppare una riflessione sulla misericordia che voglia evitare di scadere in

9
Cf P. RICOEUR, «Passato, memoria, storia, oblio», 71-97.

72
un discorso moralistico. Si tratta dell’oblio di fuga e dell’oblio selettivo.
L’oblio di fuga è una strategia messa in atto per evitare di sapere. In altre
parole, si tratta di un auto-inganno, dovuto ad una «volontà oscura di non
informarsi, di non indagare sul male commesso: insomma un voler-non-
sapere. L’Europa occidentale e il resto d’Europa hanno dato doloroso
spettacolo di questa volontà testarda» 10. Vi è poi l’oblio selettivo dovuto al
fatto che «non ci si può ricordare di tutto. Una memoria senza lacune
sarebbe […] un fardello insopportabile» 11. D’altra parte Ricoeur nota che la
selezione è in atto già a livello di composizione di un intreccio narrativo: per
raccontare è infatti necessario omettere avvenimenti, episodi che si
considerano meno significativi dal punto di vista dell’intreccio privilegiato.
Stessa cosa dicasi per la storia che non assume ogni traccia perché non
ritiene che ogni documento meriti di essere seguito.

3. Il perdono: tra amnesia e debito infinito

Vi è però, secondo Ricoeur, un’altra forma di oblio attivo: il perdono. Il


perdono è simile all’oblio attivo e consapevole, anche se non verte sugli
avvenimenti in se stessi, bensì sulla colpa, il cui peso paralizza il ricordo
passato e la capacità di proiettarsi verso il futuro. Ciò significa che l’oggetto
del perdono non è l’avvenimento passato, l’atto criminale, ma il suo senso.
Inoltre il perdono presuppone la mediazione di un’altra coscienza, quella
della vittima, la sola abilitata a perdonare. L’autore dei torti, può soltanto
chiedere perdono e altresì deve affrontare il rischio del rifiuto. Questo
rischio serve a scongiurare il rischio del perdono facile, frutto a sua volta di
un oblio facile12.

10
Ib., 106.
11
Ivi.
12
Tra le varie forme di oblio facile Ricoeur riporta l’ambito religioso del perdono
dei peccati, quando questo perdono si riduce a un gesto di pura formalità (come
nel caso delle indulgenze), o l’ambito giudiziario dell’amnistia che invita a fare
come se l’evento criminale non fosse mai avvenuto. C’è anche il perdono di
autocompiacimento, che in realtà (al pari dell’oblio di fuga) vorrebbe accorciare
il lavoro della memoria. C’è il perdono di benevolenza, che invece vorrebbe
restringere la giustizia a favore dell’impunità, dimenticando così che c’è un
prezzo (pena) da pagare per la riabilitazione.

73
Il perdono istituisce dunque un nuovo rapporto con la colpa, con la
perdita, perché introduce il lavoro del lutto accanto a quello della memoria.
La ricerca di questo nuovo rapporto passa attraverso la rivalutazione
dell’idea di dono, che sta alla base dell’idea di perdono.
Ci si è ormai abituati all’idea che il perdono vada accostato al dono,
soprattutto da un punto di vista semantico (perdono). Tuttavia, scrive
Ricoeur, anche l’idea di dono ha le sue trappole. Spesso, infatti, serpeggiano
dei sospetti nei confronti dei cosiddetti comportamenti di generosità pubblici
o privati, perché si sostiene che donare costringe a dare in cambio, crea
disuguaglianza, in quanto pone il donatore in posizione di superiorità e di
condiscendenza, lega a sé il beneficiario e lo trasforma in uno che è
obbligato alla riconoscenza, e può anche schiacciarlo sotto il peso di un
debito che lo rende insolvente. Ricoeur intravede una critica simile già in un
passo del vangelo di Luca: «se amate quelli che vi amano, che merito ne
avete? Anche i peccatori fanno lo stesso […] Amate invece i vostri nemici,
fate del bene e prestate senza sperare niente in cambio» (6,32-35).
Se dunque vi sono diversi sospetti dietro l’idea di dono, la narrazione
evangelica dell’amore per i nemici rompe con questo calcolo e apre
l’aspettativa di un’altra specie di scambio: quella per cui il mio nemico
divenga un giorno mio amico. Il comandamento di amare i propri nemici
comincia quindi con lo spezzare la regola della reciprocità, esigendo
l’estremo.
Si giunge così a quello che Ricoeur considera il perdono difficile che,
prendendo sul serio il tragico dell’azione, punta alla radice degli atti, alla
fonte dei conflitti e dei torti. In questo caso, non si tratta di cancellare un
debito su una tabella dei conti, bensì di sciogliere dei nodi. In primo luogo
quello dei conflitti inestricabili e delle controversie insuperabili. Ma c’è
anche il nodo dei danni e dei torti irreparabili: bisogna allora rompere con la
logica infernale della vendetta perpetua di generazione in generazione. In
questo secondo caso il perdono coincide con l’oblio attivo, nel senso che pur
non cancellando i fatti (che in quanto tali restano incancellabili) tuttavia ne
cancella il loro senso per il presente e per il futuro. Accettare il debito non
pagato, accettare di essere e rimanere un debitore insolvente, accettare che ci
sia una perdita: fare della colpa stessa il lavoro del lutto. Si tratta, in altre
parole, di tracciare una linea sottile tra l’amnesia e il debito infinito.
4. Una conclusione aperta

74
La riflessione filosofica di Ricoeur sul perdono può aiutare ad articolare
meglio la dialettica tra passato e futuro, tanto a livello individuale che
comunitario. Ricoeur offre infatti gli strumenti teorici per comprendere in
che modo la dimensione temporale del passato può essere utilizzata per
attribuire un senso al nostro presente. Quando un gruppo, ad esempio, fa
memoria del proprio passato, viene di fatto a scoprire che questa sua eredità
ha molteplici facce, e queste facce sono alla base della propria identità. A
questa constatazione, però, deve seguire una determinazione di quali legami
dell’eredità storica vanno coltivati e quali spezzati. È questo il lavoro attivo
che si è chiamati a compiere per evitare, da una parte, di cadere in una sterile
evocazione del proprio passato e, dall’altra, per dare voce a quelle intuizioni
e possibilità del passato che non sono riuscite ancora a realizzarsi e che
dunque reclamano una loro attuazione.
Inoltre, nel contesto dell’antropologia della misericordia, può risultare
interessante riflettere sulla necessità di liberarsi dall’eccessivo peso
proveniente dal passato e di determinare in modo più propositivo e pacifico
il futuro. In ultima analisi, per liberarsi dai rancori è necessario imparare a
dimenticare, facendo leva proprio sul fatto che l’oblio è parte costitutiva del
ricordo: non tutto può essere selezionato e ricordato se non ci si libera di
qualche altro ricordo. Memoria e oblio, appunto.

*******

75
MERCY AND PARDON

P. John van den Hengel, scj

1. Mercy in the writings of Dehon

“Miséricorde” is a frequently used word in the writings of Léon Dehon. 13


Although Dehon uses the word often in a social of political context – mercy
for France – or as attached to the name of God (God of mercy), the Sacred
Heart (the abyss or symbol of mercy), or Mary (mother of mercy), he has
three meanings for mercy that are significant for our topic.
The first is the use of the word in conjunction with forgiveness or pardon
for sin. It is probably the most frequent connotation. Mercy is what
annihilates sin, overcomes sin. Understood is here the power of God’s mercy
to change the condition of the sinner from being “lost”, “condemned” or
“excluded” to being “saved.” In other words, mercy changes a person from
being a sinner to being “in grace.” Dehon gives no reflection on how mercy
accomplishes this, nor does he indicate what it means ontologically for the
person to be the recipient of mercy. It is mostly found within the discourse of
meditation.
Secondly, Dehon calls mercy the “attribut divin le plus glorifié dans la
sainte Écriture. » (RSC,72) In this context, mercy is frequently accompanied
by words that speak of “excess.” It is said to be “inexhaustible,”
“inexplicable.” Mercy connotes the excess in God, the surplus beyond
justice. It is the ultimate face of God in whom Dehon trusts. Mercy is the
overriding attribute which refigures the other attributes such as God’s
justice. God’s justice is a merciful justice. But it is clear that Dehon is not
writing as a theologian. He remains a spiritual writer. In some texts he
presents “mercy” not as an attribute, that is, God in his being, but as an
exercise. God “chooses” mercy. How? By humiliating self, making
sacrifices, by suffering. Through self-denial God chooses to suffer to show
mercy. (see RSC 75) Mercy as superabundant and excessive is not God’s
13
DehonDocs indicates 731 uses of the word miséricorde (plus 65 times the Latin,
misericordia) in the writings of Dehon. It compares with charité (1563), amour
(3627) and réparation (1063). The main texts in which Dehon speaks of mercy
are Couronnes d’Amour, Rétraite du Sacré-Coeur, Mois du Sacré-Coeur,
Directoire spirituel, and Études sur le Sacré-Cœur de Jésus.

76
selfhood. It remains a choice, made visible in the incarnation and the
passion. And so it seems at times that God’s mercy is in fact subject to the
law of justice that demands that sin can only be overcome by sacrifice and
suffering, due to sin, not by the self-gift of agape. The anéantisme of the
French School remained overriding. It is dominated by the incarnation and
passion, not by creation and resurrection.
A third use of the word mercy touches on the effect that mercy has upon
those who receive it. It makes possible the distribution of God’s mercy to
others – “je veux aider votre miséricorde” (RSC 315). The effusion of God’s
mercy allows us to show mercy to others –”taking on all the sufferings of
our brothers.” (Ext 8035185, 3) It is the foundation for our “compassion for
the infirmities of our brothers.” (CAM 253) In line with the theme of the
chapter, it makes us merciful to others.

2. Mercy as God’s selfhood or energy

Most frequently, as with Léon Dehon, mercy is understood within an


Aristotelian substantialist or essentialist framework. Mercy is then the
highest attribute, property or capacity in God. It “belongs” to God. It is not
Godself: God is not mercy, love, but has mercy, has love. In part, this is due
because in the West, we think God from the oneness of God and only
secondarily from the trinity. God’s mercy can only be approached from a
trinitarian perspective.14 God’s selfhood is fully relational: fully a self in the
other. More accurately, in the Father/Son/Spirit Selfhood is the other. The
other is the very self. It is in this sense that Father/Son/Spirit is love and
mercy. The energeia, dunameis of God’s self is in the other. God is a self-
emptying (kenosis) in the other. God’s mercy is therefore an infinite desire
for the other, infinite self-gift to the other. It defines God’s Selfhood.
For Dehon mercy is not the internal expulsion within God but is enacted
in the incarnation and especially in the death of Jesus. It is a response to sin,
not a dynamis in God’s self. In this context one only needs to read the
following quote from Dehon: « Il ne pouvait nous donner son Fils comme
frère et comme roi, à moins de nous le donner d’abord comme rançon,
comme victime d’expiation et de réparation. Il fallait pour cela l’envoyer

14
Walter Kasper, Misericordia: Concetto fondamentale del Vangelo – Chiave
della vita christiana (Queriniana edizione, 2014) p. 135.

77
pour souffrir. Il a voulu le faire…. Il l’a donné en le sacrifiant pour nous, en
l’immolant à sa justice à notre place, en déchargeant toute sa vengeance sur
ce Fils bien-aimé afin de nous faire miséricorde à nous ses ennemis! » (CAM
37) But if God’s selfhood is mercy, its first manifestation is not the
incarnation and death but creation and in the recreation of the resurrection.
Lévinas described creation as the first self-emptying of God: the creation of
a space for the other, the creature. In that context, the incarnation, the life of
Jesus and his death are not a ransom, expiation or immolation but a
revelation of the inexhaustible riches of Godself. In creation – and in the
resurrection as re-creation – we are witnesses therefore of the power
unleashed by the self-giving force of God in history.
What is the (re)creational force of Father/Son/Spirit as mercy and of love
upon the human self? What is the power of resurrection upon all the
vicissitudes of history, the human desire for the other: in sexuality,
friendship, the generosity of love, the desire for offspring, human growth,
the failure of relationships, sickness, breakdown, sin, death? If creation, as
Levinas suggests, is the upsurge not of the same but fecundity that makes
emerge the other, the encounter in history of the force of mercy – God’s
mercy – must first of all be understood as a coming-to-be of possibility, a
release of a new capacity, an empowering of relationships, especially
pardon. In this context, mercy is to be understood as a breaking through, a
superseding of a past that was blocking life of possibilities, the release of
hope, the recharging of the power to love, the unblocking of our capacities.
There is operative in creation, therefore, an excess, a superabundance, a
surplus that urges creation to move beyond a static sameness to what is
different, or new. It is urged by mercy, the creative force of God; it is the
selfhood of God moving creation to a completion.

3. Mercy and pardon

What then does this mercy mean in relationship to pardon? Here the
perceptive reflection of P. Ricoeur on this pardon in the epilogue of Memory,
History, Forgetting is helpful.15 Pardon, according to Ricoeur, has a twofold
enigma: on the one hand, the fault which paralyzes the power to act of the

15
Translated by Kathleen Blamey and David Pellauer, (Chicago, London: The
University of Chicago Press, 2004) p. 457-506.

78
“capable being” and, on the other hand, the lifting of this existential
incapacity through forgiveness. (457) What is operative between them,
Ricoeur says, is a vertical asymmetry. (459) Between the fault and
forgiveness there is a disproportion: the depth of the fault and the height of
pardon, between the fault that must be avowed and the hymn of joy in the
reception of forgiveness. He asks, how can what we have done and has
shaped our character and for which we have experienced the unpardonable
moral accusation be forgiven? What then does it mean “to forgive?” How
can forgiveness unbind an agent from what he or she has done?
There is no immediate logic linking fault 16 and pardon. The fault is not
undone: the act cannot be removed from the agent, the self. And yet the act’s
force in shaping one’s character can be lessened. Ricoeur thinks that only
theology with its myths of redemption provide a way to break the
indissoluble link between the fault and the self. In the Abrahamic religions,
Ricoeur says, there is a promise of forgiveness: “there is forgiveness,” “there
is mercy.” Its realm is eschatological. Its principal language is that of the
hymn (467). It is heard in the psalms: “A discourse of praise and celebration.
It says: il y a, es gibt, there is … forgiveness… There is forgiveness as there
is joy, as there is wisdom, extravagance, love. Love, precisely. Forgiveness
belongs to the same family.” (467)
In the scriptures this eschatological promise is revealed especially in the
hymn of the Servant of YHWH, the Son of Man, and the Christological
hymns found in Paul’s letters. We find it also in the life and works of Jesus
of Nazareth, who as Dehon says, is the incarnation of mercy. (CAM 3/189)
In his miracles of healing, the superabundance of wine at Cana, and the
twelve baskets of left-overs of bread in the multiplication, the offers of
forgiveness, and the raising of the dead. It is equally found in the
extravagance and constant surprises of the parables. In the paradoxes and
hyperbole of the parables and aphorisms of the Gospel, the eschatological
version of a new world is revealed and realized. The symbol of this is the
resurrection of Jesus as the final outpouring of God’s Spirit and the
recreation of the world. The scandal of the healing of the paralytic where the
Pharisees rightly saw the work of God in the pardon, the amazement and the

16
Ricoeur connects fault with feeling: it is “the feeling of loss of its own
wholeness.” (462) or “an inadequation of the ego to its deepest desire.” (462). It
is part of what Ricoeur has called the “ontological vehemence of discourse about
the self.”

79
glorification of God by the bystanders is the opening of the final times and
its recreation of the world. It is this surplus in generosity, the experience of
possibility beyond sickness and guilt and the promise of pardon beyond the
fault that is the realm of mercy, the realm of agape.
In his hymn of love, Paul goes to the very core of this experience of love.
It sings how love can break through to a new realm. Ricoeur suggests: “If
love keeps no score of wrongs – as the hymn insists – this is because it
descends to the place of accusation, imputability, where one’s scores, one’s
accounts, are kept.” (467) Love takes us outside the logic of “things as
usual”: it endures. As Ricoeur says, “it is Height itself.” (468) It includes
everything even the unforgivable, even the enemy. In love and mercy the
disproportion between fault and pardon is most acute. There is clearly no
equivalency. As Jesus said: You must not forgive once. You must forgive
seventy-seven times. (Mt 18.22) There is no upper limit; the exigency is
infinite, as God is infinite. No fault too great, but it is open to pardon. 17 Yet,
we must ask, is love capable of undoing the act of the fault? Can a person
regain his capacity to act for good despite the fault. Within Christianity this
is implied in repentance and conversion.
It means that mercy does not undo justice and the issue of punishment or
repentance for acts committed. Mercy without justice mocks the seriousness
of fault or sin. Mercy must be accompanied by repentance and the bearing of
the guilt. This is implied in the beautiful scriptural hymns of the Servant of
YHWH, the Son of Man, and the Christological hymns, in which the figure
or Jesus whose love takes on the guilt and burden of the other’s fault. In
these images there is a presentation of an inexhaustive love – symbolized for
us in the pierced side – that can affect a person into regaining his or her
capacity to act beyond the fault. However, it requires repentance.

4. The gift in return

17
It includes even the shoa. Both Ricoeur and Derrida warn against the
banalization of forgiveness: “Forgiveness is not, and it should not be, either
normal, or normative, or normalizing. It should remain exceptional and
extraordinary, standing the test of the impossible; as if it interrupted the ordinary
course of historical temporality.” (469-470).

80
The final question is whether mercy implies a reciprocity or an exchange
from the recipient?18 It is not enough to contrast the penitent’s admission of
the fault with the extravagance of the gift of forgiveness. As we stated
earlier, there is a disproportion between the fault and forgiveness. In
forgiveness the excess of mercy overwhelms the lowly confession of guilt. It
allows the one making the confession to regain the capacity to act. However,
the extravagance of forgiveness is so disproportionate to the request for
forgiveness that the recipient of forgiveness must in some way deal with the
excess of the gift. Hence the unlimited mercy, while absolutely gratis,
creates a sort of obligation for a return. (480) But such a gift in return, says
Ricoeur, cannot equal the excess of the gift. It is best expressed in Jesus’
“radical commandment to love one’s enemies unconditionally.” (481) Dehon
and the tradition of the spirituality of the Heart of Christ has called it
“redamatio,” a loving in return, even a loving on behalf of those who refuse
to love. This love of the enemy is a beautiful image of the height of
forgiveness because only from the enemy one expects no return. Mercy asks
one to live in an economy of the gift.
Mercy, in other words, can only be answered with extravagance, with
unlimited generosity or abundance… or with thanksgiving. Hence, the
Eucharist where one joins the extreme generosity of the self gift of Jesus
through an act of thanksgiving of the community and in the eating of the
bread.

*******

18
See the beautiful pages on reciprocity operative in agape in Paul Ricoeur, The
Courses of Recognition (Cambridge: Harvard University Press, 2005) p. 220 –
246.

81
EL FUNDAMENTO TRINITARIO DE LA MISERICORDIA

P. Fernando Rodríguez Garrapucho, scj

1. La misericordia como principal atributo de Dios19

Por obra de la traducción del AT del hebreo al griego que hicieron los
judíos de Alejandría (Biblia de los LXX), la importante definición que Dios
da de sí en su diálogo con Moisés, y que normalmente traducimos: “Yo soy
el que soy”, la teología cristiana pasó del concepto histórico-salvífico de
Dios, que está en la Biblia hebrea al concepto metafísico de Dios como “el
ser mismo” (ipsum esse subsistens). Esto tuvo la ventaja de ver en
concordancia a Dios como lo supremo y último a lo que puede llegar el
pensamiento humano, junto al concepto de Dios que parte de la fe cristiana.
Pero esta identificación tuvo también la tentación de confundir en teología al
Dios de los filósofos con el Dios de la fe bíblica. Ya S. Agustín se preocupó
de aclarar que su concepto de Dios parte de que el amor es la esencia de
Dios Padre, y por eso Jesús nos lo reveló como tal, y así lo ha transmitido el
NT en el texto de 1 Jn 4, 8.16. De igual modo S. Buenaventura afirmó que a
Dios sólo es posible conocerle de forma adecuada a la luz del Crucificado.
Tanto en estos dos autores como en santo Tomás de Aquino esto comporta
concebir la esencia divina como amor y entonces pensar el concepto
cristiano de Dios como doctrina sobre la Trinidad.
Cuando al teología cristiana articuló en los manuales de dogmática las
determinaciones metafísicas o atributos de Dios, la misericordia no encontró
el lugar que le correspondía. Se mencionaba sólo de pasada. Sin embargo,
en los textos bíblicos de ambos Testamentos “la misericordia es el atributo
de Dios que ocupa el primer lugar en la autorrevelación de Dios en la
historia de la salvación” (W. Kasper, 92). En la revelación bíblica la esencia
divina se halla volcada hacia el mundo y los seres humanos como bondad y
amor inherentes a Dios: es la misericordia como caritas operativa y efectiva;
y por ende el principal atributo divino. Es más, en vez de ser mencionada
como un apéndice junto a otros atributos de Dios: la benevolencia, la

19
La mayor parte de estas reflexiones proceden del libro de W. Kasper, La
misericordia. Clave del Evangelio y de la vida cristiana, Sal Terrae, Santander
2014.

82
bondad, la clemencia, la filantropía, la paciencia, la afabilidad o la
indulgencia, se ha de considerar como el centro organizador de estos
atributos, que se agrupan a su alrededor.
Si la misericordia es el principal atributo de Dios, es a su luz como deben
entenderse la justicia y la omnipotencia divinas, es decir, la misericordia no
es un caso de la justicia de Dios sino al revés: entonces la misericordia
aparece como la justicia característica de Dios. Esta es la idea básica que
subyace al acuerdo entre luteranos y católicos sobre la doctrina de la
justificación. Respecto a la omnipotencia de Dios, todo creyente se pregunta
dónde está el poder de Dios en el momento del sufrimiento del inocente.
¿Por qué no actúa en su favor? No vale decir que Dios se ha vaciado de su
poder para estar al lado del oprimido y carente de esperanza. De acuerdo con
la Biblia más bien hay que pensar que Dios es soberano y omnipotente en la
medida en que puede replegarse para estar con el pobre y oprimido y, en su
misericordia, manifestar su omnipotencia. Como dice la liturgia:
“manifiestas tu poder sobre todo en la indulgencia y el perdón”. Afirma
santa Teresa de Lisieux: “A través de la infinita misericordia de Dios
completo las restantes perfecciones divinas y les rezo… Y luego, todas ellas
se me aparecen resplandecientes de amor” (Historia de un alma).
El concepto del Dios misericordioso de la fe cristiana tiene repercusiones
prácticas desde el comienzo. Una de las pruebas más claras de la conciencia
de la Iglesia primitiva respecto al concepto del Dios misericordioso se
presenta en la praxis penitencial, después del bautismo. Cuando los primeros
cristianos se preguntaron qué pasa cuando un bautizado comete una falta
grave, rompiendo sus promesas bautismales, la respuesta es que hay un
remedio para él, tiene una nueva oportunidad en virtud de la infinita
misericordia divina; de ahí la práctica del proceso penitencial como camino
de vuelta al esplendor bautismal.

2. La misericordia como espejo de la Trinidad:

La doctrina de la Trinidad es una cauta interpretación de la afirmación de


la primera carta de Juan en la que el NT resume todo su mensaje: Dios es
amor (1 Jn 4, 8.16). La fe, que busca comprender (teología), llena de sentido
esta frase a través del examen de todo lo acontecido en torno a Jesús de
Nazaret.

83
Si Dios es amor, su esencia más íntima ha de resultar comprensible en
analogía con el amor humano, aunque la desemejanza en la comparación sea
siempre mayor que los términos de semejanza con la forma de amar de los
hombres. De la esencia del amor humano es propio no sólo dar algo, sino
darse a sí mismo en el don. Esto supone vaciarse de sí, pero esto no supone
perderse a sí mismo, sino justamente encontrar en el amor y el don la propia
realización. El amante se una a la persona amada sin ser absorbido por ella;
el verdadero amor no suprime las distancias, sino que respeta la alteridad y
preserva la dignidad. La paradoja del verdadero amor es una unidad que
incluye la alteridad y la diferencia. Esta experiencia del amor humano nos
dice que la profesión de fe en la Trinidad no es un sinsentido ni una fe
contradictoria. Sino que la doctrina de la Trinidad hace posible la fe en un
Dios único, pero no como alguien solitario y ocioso, sino el Dios que es, en
sí mismo, comunicación, vida y amor.
Y es que “únicamente si es en sí amor que se autocomunica, puede Dios
también comunicarse hacia fuera como aquel que desde siempre es … Si no
fuera así, la revelación de la misericordia divina no sería un acontecimiento
libre y gratuito, sino el necesario proceso del devenir sí mismo de Dios” (W.
Kasper, 96). Así, en la misericordia de Dios se refleja el amor eterno del
Padre, del Hijo y del Espíritu Santo, un amor que se comunica a sí mismo
(Trinidad inmanente) y por eso precisamente se puede comunicar al mundo
(Trinidad económica). Puesto que todo en Dios es infinito, el Padre sólo
puede comunicar su divinidad al Hijo (y a través de él al Espíritu) en cuanto
él se repliega, se retira para dejar espacio al otro. Este autovaciamiento de
Dios es la condición de que Dios, ser infinito, pueda hacer sitio a la creación.
La encarnación de Dios en Jesús y la cruz del Hijo de Dios (mediante la cual
Dios baja a lo contrario de sí mismo, la muerte) son entonces el punto
culminante de la revelación de Dios en su autorepliegue trinitario. Y aquí
aparece el anonadamiento de Dios en su impotencia como la omnipotencia
en el amor. Movido por su misericordia llega hasta la cruz para mostrar que
él es el amor, que no se impone sino que se ofrece. Así la cruz, y el Corazón
de Jesús abierto por la lanza del soldado, son la máxima huella de la
Trinidad, pues si Dios sólo fuese el hombre Jesús habría sucumbido a la
muerte. Pero la resurrección, en la fuerza unitiva del Espíritu, muestra que la
esencia íntima de Dios es “unión de muerte y vida en favor de la vida” (E.
Jüngel). En la cruz Dios no sólo nos permite asomarnos a su Corazón “sino
que en el Espíritu Santo nos hace sitio junto a -y en – su Corazón” (W.
Kasper, 96).

84
Esta teología de la esencia del Dios trinitario como misericordia no ha
brotado de una fría especulación teológica, sino sobre todo de las
experiencias místicas de cristianos que han sentido como pueden “habitar”
en la Trinidad, y que el Dios misericordioso habita en su interior. Tenemos
bellos ejemplos en santos teólogos medievales como Tomás de Aquino y
Buenaventura, o en espirituales como los hombres y mujeres de la llamada
“mística del Rhin”. O ejemplos más cercanos como es la Carmelita Descalza
Isabel de la Trinidad. En todos ellos se percibe un “entrar” en la intimidad
del Dios Padre, Hijo y Espíritu, pero no como fusión con lo divino, sino una
experiencia de “noche” y oscuridad que les lleva sentir la trascendencia de
Dios. La experiencia de la misericordia no es un consuelo barato. No
obstante: “la mística se percata de que la misericordia es el origen y la meta
de los caminos de Dios” (W. Kasper, 100).

3. En el origen y la meta de los caminos de Dios la misericordia:

Debemos contemplar también del origen del “todo” en el designio de


Dios. Según el NT la creación ha sido hecha por medio del Hijo y tiene a
este Hijo como su meta: todo fue creado por él y para él (Col 1, 16ss.). En
Cristo hemos sido elegidos por Dios Padre para ser santos mediante el amor.
Así “la misericordia divina, revelada definitivamente en Jesucristo, es el
signo que antecede a toda la realidad y la preside” (W. Kasper, 100). Esto no
es una cuestión abstracta sino que tiene consecuencias para la posibilidad de
salvación del hombre. Lo que Dios ha revelado de su salvación gratuita a
cada persona humana en Jesucristo es eficaz desde la aurora de los tiempos,
abarca a toda la humanidad, pues la misericordia divina es el origen eterno
tanto del mundo como de la historia de salvación. Y por eso podemos
afirmar que la misericordia es el signo que preside el mundo y la historia, así
como cada vida humana. Sin olvidar que esto comporta una respuesta por
parte de la libertad del hombre. En el discurso sobre el juicio final que Jesús
pronuncia en el Ev. de Mateo, se afirma con claridad que quienes hayan
mostrado misericordia con los pobres y afligidos serán recibidos en el Renio
de Dios, mientras que los que hayan sido despiadados con ellos se les
entregará al castigo eterno (Mt 25, 31-46).
Pero ante el peligro de la condenación, hay algo que tiene que ver con lo
que podemos hacer solidariamente unos por otros, y es la intercesión y
comunión de los santos. En la realidad del purgatorio como fuego

85
purificador, pura obra de la misericordia como última oportunidad que se
nos concede y prepara a la visión de Dios, hay santos que han experimentado
hasta donde llega el amor cristiano que ayuda a los otros a abrirse al Dios
misericordioso. En palabras de santa Catalina de Siena a su confesor: “Si
estuviera por completo inflamada por el fuego del amor divino, ¿no pediría
entonces con ardiente corazón a mi Creador, al verdaderamente
misericordioso, que mostrara misericordia con todos mis hermanos?”. Teresa
de Lisieux ofreció vicariamente su vida, y M. Kolbe lo hizo por un padre de
familia en Auschwitz.

4. El Corazón de Jesús, revelación de la misericordia divina:

Como Hijo de Dios encarnado Jesucristo es el trono de la misericordia, y


su Corazón abierto en la cruz es el símbolo más expresivo de su persona
humana, del amor de Dios Padre y de la efusión del Espíritu que se derrama
en forma de la sangre y el agua que brotan del costado, de donde nace la
Iglesia y los sacramentos. “Tras la resurrección, Jesús solo permite que se
toquen sus heridas” (Pascal). Son el lugar donde comprobamos hasta qué
punto es real la misericordia de Dios por el hombre.

*******

86
MILOSIERDZIE BOZE PODSTAWA MILOSIERDZIA I
SPRAWIEDLIWOSCI WE WSPOLNOCIE

P. Eugeniusz Ziemann, scj

Miłosierdzie Boże podstawą miłosierdzia i sprawiedliwości we


wspólnocie – przymiot Boga, sposób Jego działania oraz objawiania swojej
miłości i sprawiedliwości człowiekowi w jego potrzebach, grzechu i śmierci.
Miłosierdzie nie jest konfrontacją ze sprawiedliwością Bożą ani jej nie znosi,
lecz ją uzupełnia. W Starym Testamencie termin ten (hebr. chesed,
rachamim, chen) wskazywał na miłość, dobroć, życzliwość, przyjaźń,
wierność, wielkoduszność.
W religii Izraela ufność w Boże miłosierdzie zajmowała centralne
miejsce w ich wierze (Wj 34,6-7; Ne 9,17; Ps 86, 15; 103,8; 145,8; Jl 2,13;
Jon 4,2; Oz 2,3n; Jr 15,15). Jego zasięg był nieograniczony: „(…) bo Jego
miłosierdzie trwa na wieki” (1 Krn 16,34.41), zaś kara należna za grzech
miała tylko wymiar czasowy, gdyż obejmowała jedynie kilka pokoleń. W
kontekście sprawiedliwości Bóg zamanifestował i objawił człowiekowi
swoje miłosierdzie również w akcie stwórczym (Ps 40,11). Księga Mądrości
nazywa Boga „miłośnikiem życia” (11,26). W historii Narodu Wybranego
Boże miłosierdzie stanowi punkt kulminacyjny przymierza synajskiego (Ps
136,10-24). Niewierność Izraelitów wobec Boga, a także Miłosierdzie Boga
im okazywane, prorok Ozeasz prezentuje w biblijnym obrazie niewiernej
nierządnicy, która dzięki doświadczeniu miłosierdzia staje się „nowym
człowiekiem” (Oz 2). Do tego obrazu nawiązują prorocy Jeremiasz i
Ezechiel (Jr 2,2; 3,1; Ez 16). Miłość Boża jest bowiem większa niż grzech i
niewierność, które domagają się Bożej kary wynikającej ze sprawiedliwości
(Iz 54, 5-8). Bóg jednak względem człowieka nie stosuje ludzkiej zasadą
odpłaty za popełniane zło (Ezd 9,13), lecz obdarza go nieograniczoną
dobrocią, w zamian za uznanie grzechu, nawrócenie i otwarcie się na Jego
miłość i życie (Iz 55,7).
W Nowym Testamencie postawa Boga w relacji do ludzi nie ulega
zmianie. Lituje się On nad ludzką nędzą, cierpieniem i grzechem. Zniża do
człowieka, lecząc i przebaczając jego słabości (Łk 1,50.54.58.72.78) w
Jezusie Chrystusie, realizującego przymierze oraz obietnice Ojca w
odniesieniu do grzeszników, którzy uważali, że są wykluczeni z królestwa
Bożego (Łk 18,9-14). Świadczą o tym liczne przypowieści Jezusa m.in. o

87
nielitościwym dłużniku (Łk 18,23-35) i synu marnotrawnym (Łk 15,11-32).
Szczytowy wyraz nowotestamentalnej refleksji nad Bożym Miłosierdziem
stanowi list Pawła Apostoła do Efezjan (2,4-5), akcentujący zbawcze dzieło
Jezusa i dobroć Boga. Bóg bogaty w miłosierdzie przywrócił umarłą
ludzkość do życia z Chrystusem w Duchu Świętym (2 J 3). Wczesne
chrześcijaństwo, rozwijając naukę o wielkim Bożym miłosierdziu, ubogaciło
ją nowymi treściami w świetle Objawienia Jezusa Chrystusa (1 P 1,3; Jk
3,17).
W teologicznej i duchowej tradycji chrześcijaństwa Boże miłosierdzie
stanowi relację Boga do człowieka, która usuwa braki, nieszczęścia i nędze.
Każde bowiem dzieło Boga wyrażające Jego sprawiedliwość jest też
manifestacją Jego miłosierdzia wobec ludzkiej słabości i grzechu. W Bożym
miłosierdziu są obecne wszystkie aspekty miłości Boga zwłaszcza łaskawość
względem człowieka doświadczającego zła i grzechu, które poniżają jego
godność. Dzięki zbawczemu dziełu Jezusa Chrystusa Bóg uobecnił i ukazał
swoje miłosierdzie. Kościół zrodzony z miłości Ukrzyżowanego i
Zmartwychwstałego wyznaje Boże miłosierdzie, kiedy sprawuje sakramenty
– pokotu i pojednania, wzywając go dla siebie i całego świata przez Serce
Jezusa, które jest najbardziej dostępnym punktem objawienia miłosiernej
miłości Ojca stanowiącej centralna treść mesjańskiego posłannictwa Syna
Człowieczego. Objawione w Chrystusie i Jego dziele pozwala człowiekowi
najpełniej odnaleźć jego godność, a przez czyny miłosierdzia Jezus nie tylko
objawił miłosiernego Ojca, ale również sam stał się miłosiernym
Zbawicielem oraz wzorem czynienia miłosierdzia. Dzięki temu można
powiedzieć, że miłosierdzie jest rzeczywistym przymiotem Boga,
uobecnionym i objawionym w Jezusie Chrystusie. Stąd też człowiek
zanurzony w misterium wcielenia i odkupienia, winien odpowiadać miłością
ofiarną i solidarną na wzór Zbawiciela, wydobywając każde dobro z
pokładów zła, które zdominowało struktury społeczno-religijne
współczesnego świata.
Do rozwoju kultu Bożego miłosierdzia w XX wieku, związanego z
prywatnymi objawieniami siostry Faustyny Kowalskiej, przyczynił się św.
papież Jan Paweł II. Zatroskany o każdego człowieka ogłosił 30 listopada
1980 roku encyklikę Dives in misericordia, poświęconą zagadnieniu Bożego
miłosierdzia. Stanowiła ona kontynuację i przedłużenie personalistyczno-
chrystologicznej encykliki Redemptor hominis (1979). We wstępie do tego
dokumentu papież pisał: „Idąc za nauką Soboru Watykańskiego II i
odpowiadając na szczególną potrzebę czasów, w których żyjemy,

88
poświęciłem encyklikę Redemptor hominis prawdzie o człowieku, która w
pełni i do końca odsłania się w Chrystusie. Nie mniejsza potrzeba tych
przełomowych i trudnych czasów przemawia za tym, aby w tym samym
Chrystusie odsłonić raz jeszcze oblicze Ojca, który Jest «Ojcem miłosierdzia
oraz Bogiem wszelkiej pociechy» (2 Kor 1,3)” (1). Z tego dokumentu
przebija krakowskie doświadczenie papieża Wojtyły, oparte na życiu i
doświadczeniu św. Faustyny Kowalskiej, apostołki Bożego miłosierdzia,
którą beatyfikował w 1993 roku i kanonizował w roku 2000. W tym samym
roku ustanowił też święto Bożego miłosierdzia w 2. Niedzielę Wielkanocy, a
w 2002 roku zatwierdził Światowe Centrum Bożego Miłosierdzia w
Krakowie-
Łagiewnikach, a także zawierzył świat Bożemu miłosierdziu. We
wspomnianej encyklice ojciec święty akcentuje, iż konieczne jest
uwzględnienie w posłannictwie Kościoła prawdy o Bożym miłosierdziu.
Misja Kościoła skupiona na człowieku (antropcentryczna) wymaga pewnej
równowagi i urzeczywistnienia aspektu teocentrycznego ukazującego Ojca
w Jezusie Chrystusie, który objawił Boże miłosierdzie nie tylko słowami, ale
Misterium Paschalnym i wciąż dokonuje w posłudze Kościoła jako
odpowiedź na potrzeby człowieka w sytuacji ówczesnego świata (Dives in
misericordia, 2, 7). Specyfika duchowości miłosierdzia bazuje na głoszeniu
prawdy o Bożym miłosierdziu, modlitwie o miłosierdzie oraz na dziełach
miłosierdzia. Jedną z form kultu jest cześć oddawana obrazowi Jezusa
Miłosiernego, a także inne praktyki pobożne, m.in.: Koronka do
Miłosierdzia Bożego, Litania do Miłosierdzia Bożego, godzina miłosierdzia
oraz akty strzeliste. W propagowanie nabożeństwa i kultu są zaangażowane
liczne żeńskie instytutu świeckie oraz Bractwo Miłosierdzia.

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Per allargare il numero di lettori, riportiamo di seguito anche la traduzione italiana


di quest’ultimo contributo (N.d.R.).

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LA MISERICORDIA DI DIO COME BASE DELLA MISERICORDIA
E DELLA GIUSTIZIA IN COMUNITA

P. Eugeniusz Ziemann, scj

La Misericordia di Dio è alla base della misericordia e della giustizia in


comunità. È l’attributo di Dio, rivela il suo modo di agire e il suo amore. La
misericordia non è un confronto con la giustizia di Dio ma un’integrazione
con essa. Nell’Antico Testamento questo termine (ebr. Chesed, rachamim,
chen) indicava la carità, la bontà, la gentilezza, l’amicizia, la fedeltà, la
generosità.
Nella religione ebraica la fiducia nella misericordia di Dio era al
centro della fede (Es 34,6-7; Ne 9,17; Sal 86,15; 103,8; Gal 2,13; Gv 4,2; Os
2,3s.; Ger 15,15). La sua gamma era infinita: “(…) la sua misericordia dura
in eterno” (1Cor 16, 34.41), invece la pena dovuta al peccato aveva solo la
dimensione temporanea, perché abbracciava solo alcune generazioni. Nel
contesto della giustizia Dio ha manifestato e rivelato all’uomo la sua
misericordia nell’atto della creazione (Sal 40,11). Il Libro della Sapienza
chiama Dio “amante della vita” (11,26). Nella storia del popolo eletto la
misericordia di Dio raggiunge il culmine nell’alleanza sinaitica (Sal 136, 10-
24). Nell’infedeltà del Popolo d’Israele davanti a Dio e pure nella
misericordia di Dio rivelata a loro il profeta Osea presenta l’immagine della
meretrice infedele, che ha vissuto nella vita la misericordia e diventa “uomo
nuovo “ (Os 2). A questa immagine tornano i profeti Ezechiele e Geremia
(Ger 2,2; 3,1; Es 16). L’amore di Dio è più grande del peccato e della
infedeltà, che reclamano il castigo di Dio (Is 54, 5-8). Dio non rispetta il
principio umano, la punizione per il male commesso (Es 9,13), ma dona la
sua infinita bontà in cambio del riconoscimento del peccato, la conversione e
l’apertura al Suo amore e alla vita (Is 55,7).
Nel Nuovo Testamento il comportamento di Dio non cambia nella
relazione con il Popolo. Lui presenta la sua pietà davanti alla miseria, alla
sofferenza e al peccato dell’uomo. Si china davanti all’uomo curando e
perdonando le debolezze (Lc 1,50.54.58.72.78). Cristo Gesù realizza
l’alleanza e le promesse del Padre tra i peccatori, che sono esclusi dal Regno
di Dio (Lc 18, 9-14). Questo è ciò che indicano diverse parabole di Gesù,

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come quella del debitore spietato (Lc 18,23-35) e del figlio prodigo (Lc 15,
11-32). Il culmine della riflessione del Nuovo Testamento sulla misericordia
di Dio è presente nella lettera di S. Paolo agli Efesini (2, 4-5). Si pone
l’accento sull’opera redentrice di Cristo e sulla bontà di Dio. Dio ricco di
misericordia, con Cristo nello Spirito Santo (2Gv3), ha fatto tornare alla vita
il popolo morto. Il primo cristianesimo, sviluppando la riflessione sulla
misericordia di Dio, lo ha arricchito di nuovo contenuto con la luce della
rivelazione di Gesù Cristo (1Pt 1,3; Gc 3,17).
Nella tradizione teologica e spirituale cristiana la misericordia divina
crea un rapporto tra Dio e l’uomo che cancella i peccati, i disastri e la
miseria. Ogni opera di Dio, è una manifestazione della sua misericordia
davanti alla debolezza umana. Nella misericordia divina si trovano tutti gli
aspetti dell’amore di Dio, soprattutto l’attenzione verso l’uomo che
sperimenta il male e il peccato, e rovina la sua dignità. Nell’opera di
salvezza di Gesù Cristo, Dio ha rivelato la sua misericordia. La Chiesa nata
dall’amore del Crocifisso e del Risorto manifesta la misericordia divina con i
sacramenti, la penitenza e la riconciliazione, chiamando a se e tutto il mondo
attraverso il Cuore di Gesù. Il Cuore di Gesù è il punto centrale della
rivelazione dell’amore misericordioso del Padre, ed è fondamentale nella
missione messianica del Figlio dell’Uomo. Rivelato nel Cristo e nelle sue
opere, permette all’uomo di trovare più pienamente la sua dignità. Con le
opere, Gesù, non soltanto ha rivelato il Padre misericordioso, ma da solo si è
fatto Salvatore misericordioso ed anche testimone di misericordia. Per
questo si può dire che la misericordia è l’attributo reale di Dio presente e
rivelato in Gesù Cristo. L’uomo, sommerso nel mistero dell’incarnazione e
del redenzione, è obbligato a rispondere con l’amore disinteressato e pieno
di solidarietà con Cristo Redentore.
Il culto della Misericordia divina nel XX secolo, è legato alle apparizioni
private di Faustina Kowalska, sviluppate e sostenute da papa Giovanni Paolo
II. Preoccupato per ogni uomo, il 30 novembre 1980 ha dedicato alla
misericordia divina l’enciclica Dives in misericordia, prolungamento della
Redemptor hominis (1979). Nell’introduzione il papa scrivee: “Seguendo la
dottrina del Concilio Vaticano II e aderendo alle particolari necessità dei
tempi in cui viviamo, ho dedicato l’enciclica Redemptor hominis alla verità
intorno all’uomo, che nella sua pienezza e profondità ci viene rivelata in
Cristo. Un’esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non
facili, mi spinge a scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del
Padre, che è «misericordioso e Dio di ogni consolazione». (2Cor 1,3)”. Da

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questo documento scaturisce l’esperienza di Cracovia che si é appoggiata
sulla vita ed esperienza di santa Faustyna Kowalska, apostolo della
misericordia divina. Il papa ha beatificato nel 1993 e ha canonizzato nel
2000 suor Faustina. Nello stesso anno ha proclamato la festa di Misericordia
di Dio nella seconda Domenica di Pasqua. Nel 2002 ha inaugurato il Centro
Internazionale della Misericordia di Dio a Cracovia-Łagiewniki e affidato
tutto il mondo alla misericordia divina. Nell’enciclica il papa sottolinea, che
è necessario accentuare la verità della misericordia divina nella missione
della Chiesa. La missione antropocentrica della Chiesa chiede la stabilità e la
realizzazione dell’aspetto teocentrico che mostra il Padre in Gesù Cristo, il
quale ha rivelato la misericordia divina non solo con le parole, ma anche nel
Mistero pasquale che è la risposta alle necessità dell’uomo nelle situazioni
del mondo contemporaneo (Dives in misericordia, 2,7). La specificità della
spiritualità della misericordia ha la sua base nell’insegnamento della verità
della misericordia di Dio, nella preghiera per la misericordia e nelle opere di
misericordia. Una delle forme di culto è la venerazione dell’immagine di
Gesù Misericordioso ed anche le altre pratiche di pietà: Corona della
misericordia divina, Litanie della Misericordia divina, l’ora della
misericordia. Per la propaganda del culto della Misericordia divina sono
incaricati i vari istituti laicali e la Fraternità della Misericordia.

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