Sei sulla pagina 1di 3

Lettera di fr.

Rogér di Taizé- 2002

Oggi più che mai si leva una chiamata ad aprire delle vie di fiducia fin nelle notti dell’umanità.
Avvertiamo questa chiamata?
Vi sono alcuni che, donando se stessi, testimoniano che l’essere umano non è votato alla
disperazione. Siamo anche noi tra questi?1
Un’urgenza viene dalle profondità dei popoli: soccorrere le vittime di una povertà in continua
crescita. Si tratta di una necessità fondamentale per la pace sulla terra.
Lo squilibrio tra l’accumulo delle ricchezze da parte di alcuni e la povertà di moltitudini è uno
dei più gravi problemi del nostro tempo. Faremo tutto il possibile affinché l’economia mondiale
produca delle soluzioni?
Né le disgrazie, né l’ingiustizia della povertà provengono da Dio: Dio non può dare che il suo
amore.2
Così c’è un vivo stupore nello scoprire che Dio guarda ogni essere umano con infinita tenerezza
e con profonda compassione.3
Quando capiamo che Dio ci ama, e che ama persino il più abbandonato degli esseri umani, il
nostro cuore si apre agli altri, siamo resi più attenti alla dignità della persona umana e
c’interroghiamo: come preparare delle strade di fiducia sulla terra?4
Per quanto sprovvisti, non siamo tuttavia chiamati a trasmettere con la nostra vita un mistero di
speranza attorno a noi?5
La nostra fiducia in Dio è riconoscibile quando si esprime con il semplicissimo dono della nostra
vita: la fede diventa credibile e si comunica innanzitutto quando è vissuta.6
La presenza di Dio è un soffio diffuso in tutto l’universo, è un influsso d’amore, di luce e di pace
sulla terra.
Animati da questo soffio, siamo spinti a vivere la comunione con gli altri7 e portati a realizzare la
speranza di una pace nella famiglia umana... E che tutto ciò risplenda attorno a noi!8
Con il suo Santo Spirito, Dio penetra nelle nostre profondità, conosce il nostro desiderio di
rispondere alla chiamata del suo amore. Così possiamo chiedergli: «Come scoprire ciò che ti
aspetti da me? Il mio cuore s’inquieta: come discernere la tua chiamata?»
Nel silenzio interiore, può scaturire questa risposta: «Osa donare la tua vita per gli altri, lì
troverai un senso alla tua esistenza».

1
«Ama e dillo con la tua vita»: queste parole sono state scritte trecento anni dopo il Cristo da un cristiano del Nord
Africa, sant’Agostino.
2
«Dio non può dare che il suo amore»: queste parole sono di un pensatore cristiano del VII secolo, chiamato Isacco
di Ninive. Egli era giunto a questa conclusione dopo aver studiato a lungo il Vangelo di San Giovanni e meditato le
parole «Dio è amore» (1 Giovanni 4,8).
3
Dio ama ogni essere umano sulla terra, ma non s’impone, né forza nessuno ad amarlo
4
L’amore di Dio deposto in ognuno di noi è come un tesoro prezioso. Da questo tesoro si può trarre una forza di
compassione che dura tutta la vita.
5
Da tanti anni, abbiamo compreso la necessità che alcuni fratelli della nostra comunità condividano l’esistenza dei
più poveri nei continenti del Sud. È così che, per esempio, da ventisette anni, dei fratelli sono in Bangladesh. Curano
i malati e i disabili. Accolgono alla loro tavola chi non ha nulla. Sostengono delle piccole scuole per i bambini più
poveri. Fin dagli inizi, si sono stabiliti degli scambi fiduciosi con credenti mussulmani.
6
Il dono della propria vita può arrivare fino all’oblio di sé per gli altri. A Taizé, da oltre quarant’anni, alcune suore
collaborano all’accoglienza. Sono attente a capire, ad ascoltare le ragazze. La loro accoglienza può essere così
autentica che ci diciamo: queste donne sono un tesoro del Vangelo.
7
Cristo non è venuto sulla terra per creare una nuova religione, ma per offrire ad ogni essere umano una comunione
in Dio. Nel cuore di Dio, questa comunione che è la Chiesa non può essere divisa. Così è essenziale che si manifesti
la Chiesa indivisa, ancora nascosta, ma realizzata in Dio.
8
La pace sulla terra inizia in noi stessi. Già nel IV secolo, Sant’Ambrogio di Milano diceva: "Cominciate in voi
l’opera della pace, così che rappacificati con voi stessi possiate portare la pace agli altri".
Forse ci capiterà di dire a Dio:
«I giorni passavano e non rispondevo alla tua chiamata. Arrivavo a chiedermi: ho veramente
bisogno di Dio? Esitazioni e dubbi mi facevano andare alla deriva lontano da te.
Tuttavia, anche quando stavo lontano da te, tu mi aspettavi. Mi credevo abbandonato, e tu eri
proprio lì vicino a me.
Giorno dopo giorno, rinnovi in me una spontaneità che mi permette di restare saldo in un sì a
Cristo. Il tuo sguardo di comprensione rende possibile questo sì che mi porterà sino all’ultimo
respiro».
La fedeltà di tutta la vita suppone una continua attenzione.
Lungo l’esistenza, lo Spirito Santo attraversa le nostre notti interiori e, a poco a poco, si compie
una trasfigurazione dell’essere.9
In un mondo in cui le nuove tecnologie provocano uno sviluppo mai conosciuto sino ad ora, è
importante non trascurare certe realtà fondamentali della vita interiore: la compassione, la
semplicità del cuore e della vita, l’umile fiducia in Dio, la gioia serena...10
Il Vangelo suscita ad una vita di compassione e di infinita bontà del cuore. Questa vita non ha
nulla di ingenuo, può anzi richiedere vigilanza. E conduce a questa scoperta: cercare di rendere
felici gli altri ci libera da noi stessi.
E uno sguardo d’amore permette di discernere fino alla bellezza dell’animo umano.
La semplicità del nostro cuore e della nostra vita porta lontano da percorsi contorti dove i nostri
passi si smarrirebbero.11
Ciò che più sorprende nel Vangelo è il perdono, quello che Dio ci dona e quello che c’invita a
donarci gli uni agli altri. Anche schiacciato, oltraggiato, Gesù il Cristo non minacciava,
perdonava.12 Vivente in Dio, non cessa d’offrire la libertà del perdono.
In Dio, nessuna volontà di punizione.
Con il suo perdono, Dio cancella ciò che ha ferito il nostro cuore, talvolta sin dall’infanzia o
dall’adolescenza.
Affidargli tutto, persino l’inquietudine. Allora ci sappiamo amati, confortati, guariti.13
Mai nel Vangelo il Cristo invita alla tristezza o alla malinconia. Proprio al contrario, egli rende
accessibile una gioia serena, ed anche un’esultanza nello Spirito Santo.14
Un giovane africano, che aveva trascorso un anno a Taizé, raccontava come, a poco a poco,
aveva scoperto una gioia dopo una pesante prova. Quando aveva sette anni suo padre era stato
ucciso. E sua madre aveva dovuto fuggire molto lontano. Diceva:
«Ho voluto ritrovare l’amore dei miei genitori che mi è mancato sin dall’infanzia. Allora ho
cercato una gioia interiore, sperando che mi avrebbe dato forza nella sofferenza. Questo mi ha
reso capace di uscire dalla solitudine della mia infanzia. Ho colto l’importanza della gioia per
modificare le relazioni quotidiane e per conoscere la pace interiore».15
9
Nei primi anni della nostra comunità, cercando di rispondere giorno dopo giorno alla chiamata di Cristo, eravamo
consapevoli dei dubbi che sarebbero potuti sorgere in noi e ci chiedevamo: come persevereremo in questa chiamata?
A poco a poco abbiamo capito che la forza dello Spirito Santo bastava per sostenere una vocazione di tutta la vita. E
divenne evidente che non avremmo potuto restare fedeli alla nostra vocazione senza impegnarci per l’intera vita.
10
Il teologo ortodosso Olivier Clément ha scritto queste parole che sono per noi un sostegno: «La fiducia è una
parola chiave a Taizé. Gli incontri animati dalla comunità, in Europa e in altri continenti, fanno parte di un
pellegrinaggio di fiducia sulla terra. La parola fiducia è forse una delle parole più umili e più semplici che esistano,
ma al tempo stesso una delle più essenziali. Nella fiducia c’è il mistero dell’amore, della comunione e, alla fine, il
mistero di Dio» (Taizé, un senso alla vita).
11
Nella nostra vita di comunità, sappiamo che la semplicità e la bontà del cuore sono valori indispensabili. Esse sono
forse tra i più chiari riflessi della bellezza di una comunione.
12
1 Pietro 2, 21-25.
13
Possiamo essere liberati da ciò che pesa su di noi parlando con qualcuno che ha un profondo discernimento dei
cuori, attinto dalla fede, e che può ascoltarci con bontà. In questi momenti di confronto, diventa accessibile la
certezza del perdono
14
Vedi Giovanni 15,11 e Luca 10,21
15
«La gioia di Dio è la vostra forza» (Neemia 8,10).
In ogni essere umano, Dio ha soffiato un’anima.16 È qualcosa di invisibile, proprio come Dio è
invisibile. In essa nasce il desiderio di una comunione con Dio.17
Ma come realizzare una tale comunione? È possibile incontrare Dio, realmente, nella preghiera,
una preghiera che si esprime con parole o nel silenzio.18
Niente avvicina così tanto a Dio come una preghiera comune, quando è sostenuta dalla bellezza
del canto.19
C’è una pace del cuore nel comprendere che la stessa morte non pone fine alla comunione con
Dio. Lungi dal condurre al nulla, essa apre il passaggio verso la vita eterna dove Dio accoglie la
nostra anima per sempre.
Anche quando in noi ci sono dei dubbi, la presenza dello Spirito Santo rimane, nei giorni di
serenità come nelle ore aride.
Non siamo noi dei poveri del Vangelo? La nostra umile fede basta per accogliere la sua
presenza.20 E il solo desiderio della sua presenza restituisce la nostra anima alla vita, sulla terra,
come nell’eternità.

16
Vedi Genesi 2,7.
17
17 Nella Bibbia, la stessa parola può significare «anima» e «desiderio». L’anima umana porta il desiderio di Dio:
«L’anima mia ha sete di Dio» (Salmo 42,3), «La mia anima anela a te di notte» (Isaia 26,9). Dio colma il desiderio
di ogni essere umano: «Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita» (Apocalisse 22,17).
18
18 Avere il semplice desiderio di una comunione con Dio, è già preghiera. Sant’Agostino ha scritto queste parole:
«Un desiderio che invoca Dio è già una preghiera. Se vuoi pregare incessantemente, non smettere mai di
desiderare… Pregare molto non è, come certuni pensano, pregare con molte parole… Dunque togliamo
dall’orazione le numerose parole, ma preghiamo molto nel silenzio del cuore». Ha anche scritto: «Se desideri
conoscere Dio, hai già la fede».
19
Per alcuni, la bellezza della musica, ascoltata in una chiesa o nella propria stanza, sostiene un’attesa
contemplativa.
20
20 Durante il nostro ultimo incontro con Giovanni XXIII, eravamo in tre, c’erano anche i fratelli Max e Alain. Era
il 1963, poco prima della sua morte. Durante questo incontro, il Papa ci spiegò come talvolta prendesse le sue
decisioni pregando: «Parlo con Dio… Oh! molto umilmente, oh! con molta semplicità». Nello stesso periodo, alcuni
fratelli della comunità hanno iniziato ad andare in Paesi dell’Europa dell’Est per visitare i cristiani. Ci andavamo per
ascoltare, per stare vicino a coloro che attraversavano delle prove, per meglio capire la fede ortodossa. E ora siamo
riconoscenti di poter accogliere così tanti giovani ortodossi. Cogliamo con gioia che uno dei segreti dell’animo
ortodosso consiste in una preghiera aperta alla contemplazione.

Potrebbero piacerti anche