Sei sulla pagina 1di 4

Luigi Giussani e David Foster Wallace in dialogo: il senso dell’educazione e della

conoscenza.
Luis Javier Rosales Camarillo

“Questa roba é sul valore reale di una vera istruzione,


che non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza
e molto a che fare con la semplice consapevolezza,
consapevolezza di cosa é reale ed essenziale, ben nascosto,
ma in piena vista davanti a noi”.
David Foster Wallace

David Foster Wallace (1962) é stato un importante scrittore nordamericano, considerato


da larga parte della critica come il piú importante autore degli Stati Uniti dell’ultima
generazione. Nel 2003, pochi anni prima che lui si suicidasse –nel 2008- fu invitato dai
laureati del Kenyon College a tenere il tradizionale discorso per il conferimento delle
lauree, nel maggio del 2005. Questo testo ha avuto subito una grande risonanza per la sua
bellezza, acutezza e profonda semplicitá, nonché per la feroce critica della vita borghese
dell’uomo medio. Il discurso é stato publicato in Italia all’interno di una collana di testi
di Foster Wallace nel 2009.1
In un’altro ordine di idee, ho scoperto il testo pochi mesi fa, ed esso ha suscitato
subito in me l’interesse di metterlo in dialogo con la concezione di educazione che don
Luigi Giussani ha lasciato in eredita. Sono convinto che ci sono punti di incontro
nonostante lo stile letterario eclettico, originale e fuori dagli schemi di Foster Wallace.
Dunque, entrando nel tema, col simpatico inizio del discorso l’autore
nordamericano ha voluto lasciare con chiarezza dall’inizio quello che voleva trasmettere:
“Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce piú
anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice
“buongiorno ragazzi. Com’é l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un
po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo é l’acqua?”.2

Iniziando con questa barzeletta Foster Wallace introduce il filo rosso del suo
discorso: diamo per scontata la realtá, questo é quasi inevitabile in noi, e lo scopo
dell’educazione sará quello di farci uscire di questa dimenticanza naturale in cui viviamo
per default –parlerá di configurazione di base, che svolgeró piú avanti-. Ed é qui dove
trovo il primo punto di incontro tra l’autore nordamericano e Giussani, poiché nelle sua
opera Il rischio educativo, il prete italiano definisce l’educazione come “introduzione
nella realtá”. E non solo alla realtá, ma alla realtá totale.3 C’é, al mio parere, un rapporto
analogo tra questa realtá totale e l’acqua dell’esempio precedente in cui i pesci sono
sommersi. Aggiunge Giussani: “un’educazione ha tanto piú valore quanto piú obbedisce
a questa realtá, quanto piú cioé suggerisce attenzione a essa”.4 Foster Wallace invece
esporre lo scopo dell’educazione in termini negativi:
“la conseguenza forse piú pericolosa di una cultura accademica, almeno nel mio caso, é
che legittima la mia tendenza a essere cerebrale, a perdermi nelle astrazioni anziché
prestare semplicemente attenzione a quello che mi succede davanti agli occhi. Anziché
prestare attenzione a quello che mi succede dentro.”.5

1
David Foster Wallace, Questa é l’acqua. Traduzione di Giovanna Granato. Einaudi. Torino. 2009.
2
Ibíd. p. 142.
3
Luigi Giussani, Il rischio educativo. Rizzoli. Milano. 2005. Pp. 65-66.
4
Ibíd. P. 66.
5
Foster Wallace, op. cit. p. 147.
Un educando, una persona che ha ricevuto e possiede certa educazione, ha quindi la
capacitá di guardare quella realtá che senza di essa non potrebbe guardare. Ma Foster
Wallace da un passo in avanti e si chiede perché dovremo fare questo lavoro di “uscita di
se”, di “guardare oltre” noi stessi. Non dubita nemmeno un attimo di inserire la risposta
sul piano esistenziale piuttosto che sociale o politico: abbiamo bisogno dell’educazione
per uscire della nostra solitudine, della nostra arrogganza egocentrica che é in noi come
marchio di fabbrica: “tutto nella mia esperienza diretta corrobora la convinzione profonda
che io sono il centro esatto dell’universo, la persona piú reale, concreta e importante che
esista. (...) É la nostra modalitá predefinita, inserita nei circuiti fin dalla nascita”.6 Questa
quindi sarebbe la configurazione di base, quel punto devole della nostra umanitá che
l’educazione (poi vedremo di quale educazione sta parlando) deve correggere o
radrizzare. “Non é questione di virtú quanto della scelta di impegnarmi a modificare o a
tenere a freno la mia naturale modalitá predefinita, che é per forza di cose profondamente
e letteralmente egocentrica, e vede e interpreta tutto attraverso la lente dell’io”, dice
Foster Wallace.7 Assecondare e alimentare questa configurazione di base –mancanza di
una educazione che introduca alla realtá- ha delle conseguenze gravi per l’uomo,
conseguenze tra l’altro palosamente evidenti:
“vi dico quale dovrebbe essere l’obiettivo reale su cui si dovrebbe fondare la vostra
educazione umanistica: come evitare di passare la vostra comoda, agitata, rispettabile
vita da adulti come morti, inconsapevoli, schiavi della vostra testa e della vostra solita
configurazione di base che vi impone una solitudine unica, completa e imperiale giorno
dopo giorno”.8

Partendo dalla tradizione come fattore costitutivo di una vera proposta educativa,
Giussani identifica quelle conseguenze che decenii dopo vedrá Foster Wallace:
indifferenza e disamore, “quella tremenda carenza d’impegno con la realtá che assume
cosí spesso aria di smarrita o amaramente distaccata derisione per ogni serio invito a
quell’impegno”.9 Oppure lo scetticismo che ostacolizza la crescitá dei giovanni e la
capacitá di costruire. Sullo scetticismo Giussani fa un’annotazione interesante:
“Perduta la sanitá di una naturale adesione a criterio oggettivo, come emerge dalle
origini, esso dará i suoi giudizi e fará le sue scelte abbandonandosi a rigidi preconcetti
dettati da idiosincrasie o simpatie istintive, o in base a criteri popolati da visioni anguste.
Lo scetticismo é un fondo d’animo che permane e che praticamente si supera nel
fanatismo: nell’affermazione cioé intransigente dell’unilaterale”.10

Un’analisi quasi analogo lo troviamo nel discorso di Foster Wallace, evidenziando


piuttosto le conseguenze quotidiane:
“la scelta entra in gioco proprio nelle boiate frustranti e di poco conto come questa.
Perché il traffico congestionato, i reparti affollati e le lunghe file alla cassa mi danno il
tempo per pensare, e se non decido consapevolmente come pensare e a cosa prestare
attenzione, saró incazzato e giú di corda ogni volta che mi tocca fare la spesa, perché la
mia configurazione di base dá per scontato che situazioni come questa contemplino
davvero esclusivamente me. La mia fame, la mia stanchezza, il mio desiderio di tornare
a casa, e avró la netta impressione che tutti gli altri mi intralcino”.11

6
Ibíd. p. 146.
7
Ibíd. p. 147.
8
Ibíd. p. 148.
9
Giussani, op. cit. p. 72.
10
Ibíd. p. 79-80.
11
Foster Wallace, op. cit. p. 150.
É evidente che la portata della proposta educativa di Giussani é molto piú grande rispetto
a questa piccola “provocazione” di Foster Wallace, sebbene questi abbia capito
l’immensitá dell’avere una educazione, di “sapere pensare”. E questo sbalzo é evidente
al mio viso nel fatto che per Giussani una vera educazione sará quella che, non solo
introduca alla realtá totale, ma a capire il significato della realtá, perché la realtá “non é
mai veramente affermata, se non é affermata l’esistenza del suo significato”.12
E il significato di tutte le cose per Giussani é Cristo, “chiave di volta di tutto il
reale”.13 E cosí, per Giussani l’educatore cristiano dovrebbe proporre agli educandi Cristo
come un’ipotesi su cui lavorare, da prendere sul serio, come come principio sintetico e
unitario di tutte le cose, come medicina di tutto quello scetticismo e pigrizia di scegliere
esistenzialmente un’ipotesi che impegni tutta la vita. Dice Giussani:
“il giovane studente manca, normalmente, di una guida che lo aiuti a scoprire quel senso
unitario delle cose, senza del quale egli vive una dissociazione, piú o meno cosciente, ma
sempre logorante (...) lo scetticismo ne svuota ogni capacitá di slancio, e lo studente
diventa simile a un uomo che cammina sulla sabbia”.14

Ecco questo uomo descritto cosí da Giussani é quell’uomo descritto prima da Foster
Wallace, quell’uomo arrogante e sempre “incazzato” perché non riesce a uscire di se.
L’autore nordamericano, non essendo credente –o almeno cattolico pratticante-, non
mette Cristo, né la tradizione cristiana al livello di portata con cui lo fa Giussani, eppure
percepisce che c’é bisogno di uno sguardo unitario per poter guarire di questo scetticismo
ideologico borghese (per Giussani alimentato da certe scuole mentre per Foster Wallace
dalla vita comoda quotidiana che per default ci amazzerebbe). Dice il nordamericano:
“Ma quasi tutti gli altri giorni, se siete abbastanza consapevoli da offrirvi una scelta,
potrete scegliere di guardare in modo diverso quella signora grassa con l’occhio smorto
e il trucco pesante in fila alla cassa che ha appena sgridato il figlio; forse é stata sveglia
tre notti di seguito a stringere la mano al marito che sta morendo di cancro alle ossa”.15

Ed é qui dove entra in gioco l’educazione, quella che per Foster Wallace é davvero
importante per la vita, quella che funziona come una provocazione, come una spinta,
quasi come una energia che ci fa scegliere per l’altro, per la realtá nella sua profonditá.
L’educazione ci dovrebbe provocare a scegliere cosa pensare, a dare peso alle cose
veramente importanti della vita:
“Ma se avrete davvero imparato a prestare attenzione, allora saprete che le alternative
non mancano. Avrete davvero la facoltá di affrontare una situazione caotica, chiassosa,
lenta, imperconsumistica, trovandola non solo significativa ma sacra, incendiata dalla
stessa forza che ha acceso le stelle: compassione, amore, l’unitá sottesa a tutte le cose”.

Ecco il principio unitario che porta con se una vera educazione. Potremo quasi dire che é
una possibilitá di diventare un po’ piú umano. Se certo stereotipo dell’educazione –
particolarmente quella umanistica- dice che un uomo educato e colto é quello che “ha
imparato a pensare”, e che le scuole ti “insegnano a pensare”, per Foster Wallace questa
idea parziale non sarebbe altro che sapere scegliere tra pensare a me stesso e pensare al
mondo e agli altri. Il nordamericano lo sprime in questi termini:
“imparare a pensare di fatto significa imparare a esercitare un certo controllo su come
e su cosa pensare. Significa avere quel minimo di consapevolezza che permette di

12
Giussani, op. cit. p. 70.
13
Ibíd. p. 78.
14
Ibíd. pp. 76-77.
15
Foster Wallace, op. cit. p. 152.
scegliere a cosa prestare attenzione e di scegliere come attribuire un significato
all’esperienza”.16

Questa consapevolezza é il principio e l’inizio della vera libertá. Ecco la ragione di perché
negli Stati Uniti l’educazione umanistica viene chiamata tradizionalmente come liberal
arts. Ma per Foster Wallace questa svolta, aparte che richiede impegno, volontá e
disciplina per “tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una
miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno”.17
E piú avanti finisce il discorso dicendo: “questa é la vera libertá. Questo é imparare
a pensare. L’alternativa é l’inconsapevolezza, la configurazione di base, la corsa sfrenata
al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa
di infinito”.18
L’educazione quindi per guardare la realtá cosí com’é, provarla a guardarla senza
schemi, educazione per interpellare ció che ci sembra banale e ovvio. Questo per Foster
Wallace é traguardo e allo stesso tempo punto di partenza di ogni educazione umanistica:
“la consapevolezza di ció che é cosí reale e essenziale, cosí nascosto in bella vista sotto
gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: questa é l’acqua,
questa é l’acqua; dietro questi eschimesi c’é molto piú di quello che sembra”.19
C’é un tutto questo un punto forte di incontro con l’idea di educazione di Giussani.
Verso la fine del testo che stiamo citando, dice:
“l’introduzione alla realtá totale rivela qui la sua ultima valenza: quella di educazione
operata dagli uomini piú generosi e geniali per introdurre a un’altra, piú perfetta e
dilatante educazione. In questa nuova fase unus est Magister vester, il misterio stesso
dell’Essere, di cui l’adolescenza ci ha resi meravigliosamente, consapevolemente devoti.
Si avrá allora il miracolo altrimenti inattingibile di una vita che, passando, avanza in
giovinezza, in educabilitá, in stupore e commozione di fronte alle cose; di una energia
creatrice che cresce su di sé senza disperdersi e logorarsi, ma aderendo
cordialissimamente a tutte le possibilitá che l’esistenza produce; un tempo, insomma, che
si lascia invadere dalla potenza dell’eterno, e ne viene instancabilmente fecondato”.20

16
Ibíd. p. 147.
17
Ibíd. p. 154.
18
Ibíd.
19
Ibíd.
20
Giussani, op. cit. pp. 109-110.

Potrebbero piacerti anche