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SUNTO

Vengono trattate le terapie e la fisiopatologia


di Schizofrenia e Depressione.

Brigato Claudia, Castaldo Flavia,


Ferazzoli Valentina, Filippi Costanza,
Forte Alessandra, Gasparrini Elena,
Liotta Elena, Maraone Elisabetta,
Marzocchi Irene, Rodolico Francesca,
Pucciariello Andrea, Pugliese Marzio,
Chiara.

APPUNTI DI
FARMACOLOGIA
DELLA PSICHIATRIA
Anno 2020 - Lockdown
Indice

Schizofrenia……………………………………………………………. p.2
Depressione …………………………………………………………..p.128
Disturbo bipolare……………………………………………………...p.276

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Prima lezione di Psichiatria, 26-04-20.

Per iniziare, la cosa migliore è dimenticare le classificazioni che si facevano


prima da Kraepelin in poi (schizofrenia paranoidea, catatonica, simplex,
etc.), perché non vengono più utilizzate dal DSM-5.
Che cos’è il DSM-5? Il manuale di diagnostica e statistica delle malattie
mentali di tipo 5.

Il DSM-5 cosa dice sulla schizofrenia? Ci devono essere almeno 2 dei


seguenti 5 sintomi o segni clinici, che devono durare per almeno un mese
senza trattamento, ed almeno 1 di questi 2 deve essere uno dei primi 3 che
vi dico:
- DELIRIO (delusion in inglese).
La parola delirium si riferisce ad una manifestazione con agitazione,
riduzione della sfera cognitiva ed è un’altra cosa rispetto al delirio e
significa che lo stato di coscienza viene compromesso.
Il delirio invece è un’alterazione della logica non corretta dalla critica,
laddove per critica si intende (da crino in greco “giudico”) la capacità di
giudizio. Molte volte il paziente non ha insight, ovvero consapevolezza di
essere delirante e questo è un principale problema. Attenzione al significato
di insight: “consapevolezza della malattia”, perché a proposito del delirio a
Psichiatria verrà chiesto.
Che tipo deliri ci sono nello schizofrenico? Qualunque tipo, grandezza,
erotico, rovina, gelosia ma il più critico è il delirio di persecuzione che
può portare a reazioni violente nei confronti degli altri che di se stessi, infatti
è una patologia a rischio di suicidio, poi vi dirò che la Clozapina (Leponex)
è il farmaco migliore nel ridurre il rischio di suicidio nei pazienti affetti da
schizofrenia.
- ALLUCINAZIONI
Cosa sono? Disturbi percezione. La percezione è la presa di coscienza della
sensazione. Le allucinazioni sono percezioni senza oggetto. Esse si
distinguono dalle illusioni che sono distorsioni delle percezioni, quindi,
l’oggetto nelle illusioni c’è. Le illusioni possono essere catatimiche (da
timòs, sentimento in greco), se sono dettate da sentimento, per esempio
scambio una persona per quella amata, oppure catanoetiche (da nous, mente
in greco) quando non sono dettate dal sentimento.
I disturbi della percezione più presenti nella schizofrenia non sono di
natura visiva ma uditiva. Quando si dice che l’LSD riproduce un modello
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farmacologico di schizofrenia nell’uomo, non si dice una cosa corretta
perché l’LSD dà allucinazioni o illusioni prevalentemente di natura visiva,
dà sinestesie ovvero ciò che uno sente viene trasformato in immagini, ma
spesso nella schizofrenia le allucinazioni sono voci che penetrano nella
mente, derubano i contenuti del pensiero e questi effetti li dà più la PCP
(Feniciclidina), un bloccante lento dei recettori NMDA.
La schizofrenia è una patologia da circuito.
- DISTURBI DISORGANIZZATI (disorganizzazione del pensiero e della
parola). La disorganizzazione del linguaggio riflette quella del pensiero.
Ma il delirio è una disorganizzazione del pensiero? No, perché non sempre
lo è. Quindi io posso andare per strada e reclutare gente, e poi andare a fare
la Campagna di Russia. Questo è un delirio, ma non è disorganizzato, è un
pensiero molto ben organizzato. La disorganizzazione del pensiero significa
invece che il pensiero ed il linguaggio perdono la loro coerenza.
gli altri due sono:
- DISORGANIZZAZIONE DEL COMPORTAMENTO: aggressivo,
abnorme. È ovvio che sia così perché il disturbo del pensiero causa quello
del comportamento. Esiste anche il catatonico, il paziente non si muove, c’è
il vecchio segno del cuscino. I comportamenti possono alternarsi.
- SINTOMI NEGATIVI: ricordano la depressione: distacco sociale,
anedonia, individuo che si chiude in se stesso, mancanza di motivazione.
N.B. i sintomi negativi devono essere distinti dagli effetti avversi dei
neurolettici classici perché danno rallentamento del movimento e segni
confondibili.

Tutte queste manifestazioni


emergono al cosiddetto FEP.
Cos’è il FEP? First-Episode of
Psychosis (esordio psicotico).
Con il termine psicosi è come
se volessimo esprimere l’idea
di una patologia degenerativa
della psiche. In realtà non è il
primo episodio di schizofrenia, ma è la rivelazione della malattia perché la
malattia è già presente (in foto Donnie Darko). La malattia probabilmente
nasce dal periodo perinatale e poi c’è una lunga fase preclinica che si rivela
tra i 18 e 22 anni, sia in maschi che femmine, in quest’ultime si può
manifestare anche poco prima della menopausa. Cosa accade prima del
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FEP? Si ha degenerazione, sia della sostanza grigia che bianca, a carico della
corteccia prefrontale, dell’ippocampo, del lobo temporale, e del cervelletto.
Cosa c’entra il cervelletto? C’entra dal punto di vista cognitivo, molto.
Si può fare una diagnosi precoce? È quello che si tenta di fare. Si cerca di
poter intervenire, perché la schizofrenia è una malattia degenerativa ed è
dominata dalla neuroinfiammazione. Ci sono modelli animali della
schizofrenia che si basano su mutazioni del frammento C4 del
complemento, che sono mutazioni che si hanno anche nell’umano, dove è
iper-espresso. Tuttavia, la malattia fino al FEP non dà segno di sé.
I molti soggetti affetti vanno avanti tra ricadute e remissioni e poi la malattia
può avere un’evoluzione progressiva, in altri soggetti si osserva evoluzione
progressiva sin dall’inizio.

Io penso che la schizofrenia sia l’equivalente in psichiatria della sclerosi


multipla. Poi la sclerosi multipla è una malattia virale, la schizofrenia è una
malattia virale? Non lo sappiamo, non lo possiamo dire con certezza. La
diagnosi precoce si potrebbe fare riconoscendo alcuni disturbi cognitivi e
comportamentali. Per esempio, se prendete i bambini destinati a diventare
schizofrenici, sono goffi, hanno problemi cognitivi a scuola, cose che spesso
sono difficili da individuare, anche per i rapporti con la famiglia. Passando
il tempo, ci sono chiare alterazioni comportamentali, ad esempio, al liceo
non vanno più bene a scuola, iniziano a sentire rumori, delle voci che
entrano nella mente. È possibile individuare i CHR (clinica alto rischio),
che si potrebbero trattare ma solo il 35% svilupperà FEP.
Quindi è eticamente corretto pre-trattare i pazienti? Il padre di Nicoletti
(Neurologo) dice no, ma Nicoletti risponde che gli antipsicotici atipici sono
neuroprotettivi, perciò, sarebbe interessante farlo ma non abbiamo certezza
che possa verificarsi il FEP.

Seconda lezione di farmacologia della psichiatria, 27-04-20.


Torniamo a parlare della patogenesi della schizofrenia, uno dei temi più
complessi in assoluto della Medicina. Abbiamo detto la volta scorsa che la
schizofrenia si manifesta attraverso un episodio di psicosi che si chiama
FEP, first episode of psicosis, che però è preceduto da una lunga fase
preclinica. Esiste una lunga fase prodromica, in cui evidentemente cambia
qualcosa tra il paziente ed il mondo esterno; la fase preclinica comincia
probabilmente vent’anni prima rispetto al FEP, comincia cioè nel periodo
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perinatale. La domanda che ci poniamo è:“ Cosa accade per determinare lo
sviluppo della malattia?”, la risposta è che probabilmente la schizofrenia
riflette un’alterazione della traiettoria di sviluppo degli interneuroni corticali
e ippocampali. Secondo Nicoletti la schizofrenia può essere interpretata
come una interneuronopatia. Classificare la schizofrenia all’interno delle
interneuronopatie significa una grande acquisizione da parte della
psichiatria, perché le interneuronopatie sono sempre state studiate dai
neurologi, parlare di interneuronopatie significa parlare delle epilessie
encefalopatiche, parlare della lissencefalia (lissencephaly), cioè di patologie
che non hanno a che vedere con la psichiatria, rientrano invece nella
neurologia. Oggi invece si dà grande enfasi agli interneuroni inbitori e ci
sono reviews molto recenti che, non solo, correlano la schizofrenia ad una
disfunzione degli interneuroni, ma anche la depressione maggiore e il
disturbo bipolare. Una delle domande principali che riguarda la schizofrenia
è se essa sia una patologia genetica o epigenetica, probabilmente è entrambe
le cose: la familiarità è pregnante, abbiamo un 80% di familiarità. Mentre
nella depressione la familiarità al massimo ha un impatto del 50%, nella
schizofrenia e nel disturbo bipolare l’impatto è maggiore dell’80%. Questi
valori si ottengono tramite gli studi di concordanza, ossia misurando la
concordanza tra gemelli monozigoti e tra gemelli dizigoti. Secondo
Nicoletti, lo studio più interessante che è uscito negli ultimi due anni sulla
schizofrenia è quello del prof. Weinberger, uno degli esperti mondiali della
schizofrenia della John Hopkins a Baltimora. Questo studio(condiviso con
il gruppo del prof. Bertolino di Bari, tra cui Ursini) ha dimostrato che il
rischio poligenico di sviluppare la schizofrenia si stratifica in quei soggetti
che hanno early life experience, cioè hanno qualche problema durante la vita
precoce.
Parlare di schizofrenia come una malattia monogenica non ha molto
significato, è vero che esistono circostanze in cui all’interno di una famiglia
diversi membri sono affetti da schizofrenia e c’è una mutazione specifica di
un gene, però nella maggior parte dei casi possiamo definirla una malattia
poligenica.
Con soggetti che hanno avuto problemi nella early life experience, ci
riferiamo a soggetti che sono SGA, che sono quelli che nascono piccoli per

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l’età gestazionale, cioè che hanno IUGR, cioè restrizione della crescita
intrauterina. Questo deriva da problemi che riguardano la madre durante la
gravidanza, possono essere problemi infettivi, come toxoplasmosi,
influenza, infezioni erpetiche, oppure possono essere problemi legati allo
stress. Voi potete creare un modello di stress prenatale, prendendo i topi ed
esponendoli ad uno stress da contenzione durante la gravidanza,
semplicemente mettendo la mamma gravida all’interno di un collo di
bottiglia, per cui questa mamma per una ventina di minuti non può
muoversi. Quando nascono i piccolini il mathernal care è molto minore e a
quel punto i piccoli svilupperanno un fenotipo comportamentale
similschizofrenico, con tutti i limiti che questo termine può avere, perché
stiamo parlando di un modello animale.
La cosa estremamente interessante è che si sviluppa l’interneuronopatia in
questi topi. Una cosa ancora più interessante è che i geni che sono coinvolti
nel rischio poligenico, che si stratifica in quei soggetti che hanno problemi
nella fase molto precoce della vita, sono i geni dello stress, ma anche geni
della plasticità sinaptica, della neurotrasmissione eccitatoria ed inibitoria,
ma questo era intuibile. Comunque, la maggior parte di questi cluster di geni
si trova nella placenta. I geni a rischio per la schizofrenia, in quei soggetti
che hanno avuto SGA, IUGR, parto prematuro etc., vengono espressi
prevalentemente nella placenta. Questo è stato un lavoro che ha avuto
grande successo nel mondo della psichiatria, è anche un vanto per la scuola
italiana, perché pur essendo stato eseguito interamente negli USA, si tratta
di uno studio multicentrico: sono arrivati pazienti dal Giappone, dalla
Germania, dalla Italia e soprattutto i primi due nomi riportati nell’articolo
sono di questi due postdoc dell’Università di Bari.
Prima di passare alla descrizione degli interneuroni corticali che occuperà
gran parte di questa lezione, il Nicoletti ci vuole ricordare di quando
abbiamo parlato dei segni della schizofrenia in base al DSM V, in
quell’occasione abbiamo dato enfasi al delirio, quello che in inglese si
chiama delusion, ai disturbi della percezione, vale a dire allucinazioni ed
illusioni, poi abbiamo parlato della disorganizzazione del linguaggio, che
riflette la disorganizzazione del pensiero, poi abbiamo parlato delle
alterazioni del comportamento. A tal proposito ricordiamo lo schizofrenico

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catatonico, quello che è bloccato, ma poi si sblocca improvvisamente e può
diventare estremamente aggressivo. Infine, abbiamo fatto riferimento ai
sintomi negativi, che sono sintomi che ricordano lo stato depressivo e che
vanno distinti dagli effetti avversi dei neurolettici classici, abbiamo detto
che almeno due di questi cinque segni devono essere presenti tutti i giorni,
per la maggior parte della giornata, per un mese, se la schizofrenia non è
trattata e che almeno uno di questi due deve far parte dei primi tre, cioè deve
essere delirio, allucinazioni o disorganizzazione del pensiero. Nicoletti non
ha ancora fatto cenno ad un tema molto attuale della schizofrenia, che è
quello della disfunzione cognitiva. La disfunzione cognitiva era considerata
in passato un endofenotipo della schizofrenia; endofenotipo significa
fenotipo nascosto. Disfunzione cognitiva significa che i pazienti possono
avere deficit dell’attenzione selettiva, della velocità di processamento del
pensiero, il così detto speed processing, della working memory, nelle
funzioni esecutive, tutte queste sono funzioni della corteccia prefrontale, ma
anche deficit di memoria episodica, di memoria visiva e così via. Quindi
diversi aspetti della funzione cognitiva sono compromessi nei pazienti
affetti da schizofrenia. Il problema è che se il delirio è dominante, o la
disorganizzazione del pensiero è dominante, è difficile accorgersi della
disfunzione cognitiva, perché è mascherata da manifestazioni molto plateali.
Tuttavia, se questi pazienti vengono sottoposti ad un’indagine
neuropsicologica abbastanza rifinita, la disfunzione cognitiva si individua e
si individua anche nei parenti di primo grado dei pazienti affetti da
schizofrenia. Quindi, la disfunzione cognitiva è un endofenotipo che però è
oggi considerato il core, l’elemento dominante, della schizofrenia. Il
problema nasce dal fatto che quasi nessuno tra i farmaci antipsicotici che
sono attualmente nel mercato è in grado di migliorare la disfunzione
cognitiva nei pazienti affetti da schizofrenia. Gli antipsicotici vanno tutti
benissimo nei confronti dei cosiddetti sintomi positivi, come per esempio il
delirio e le allucinazioni, vanno meno bene nei confronti dei sintomi
negativi (anedonia, distacco sociale, persona che si ritira in se stessa), ma
per questi sintomi gli antipsicotici atipici vanno anche bene, però gli
antipsicotici sono inefficaci nei confronti della disfunzione cognitiva.
Ce ne sono tre che possono in qualche modo intervenire sulla disfunzione
cognitiva: il primo è la clozapina, è il migliore tra i farmaci antipsicotici, è
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quello che migliora i sintomi positivi, i sintomi negativi; migliora il rischio
di suicidio molto più di altri farmaci. È il farmaco di prima linea in pazienti
farmacoresistenti, ed è uno dei pochi che ha un effetto positivo sulla sfera
cognitiva, effetto che non è sempre visibile. Il problema della clozapina è il
profilo di sicurezza di tollerabilità, soprattutto la leucopenia e la miocardite
eosinofila, effetti che limitano fortemente l’impiego del farmaco. Ci sono
anti altri effetti avversi. Un altro farmaco che può avere impatto nei
confronti della sfera cognitiva è il lurasidone. Il lurasidone è un nuovo
antipsicotico atipico che ha una caratteristica rispetto a tutti gli altri, cioè il
lurasidone è un antagonista dotato di elevata potenza del recettore 5HT7.
Il recettore 5HT7 è un recettore particolare: in condizioni fisiologiche se
attivato migliora la sfera cognitiva, invece in condizioni patologiche, in un
contesto o di preclinica (modelli animali di schizofrenia) o nell’uomo, deve
essere bloccato per migliorare la funzione cognitiva. È un recettore che ha
una sorta di ambivalenza: se la persona è normale, attivandolo si migliora la
sfera cognitiva, se invece la persona è un soggetto psicotico, bloccandolo si
migliora la sfera cognitiva. Questo recettore è accoppiato a proteina Gs, la
sua attivazione produce cAMP, che è un secondo messaggero che agisce in
maniera contesto-dipendente, cellula-dipendente, situazione-dipendente,
patologia-dipendente, Nicoletti non può fornire ulteriori spiegazioni su
questa ambivalenza.
Il terzo farmaco è il brexpiprazolo, che non è ancora presente in Italia,
appartiene alla categoria degli agonisti parziali dei recettori D2 e D3. Questa
categoria comprende l’aripiprazolo, che è il capostipite, la cariprazina, che
è presente da quasi due anni nel mercato italiano, e infine il brexiprazolo,
che è stato approvato negli US da un certo periodo di tempo ed è approvato
anche per la terapia add-on per la depressione; quindi, ha una doppia
localizzazione in terapia. Il brexiprazolo ha anche alta affinità nei confronti
del recettore 5HT7 comportandosi anche lui come antagonista, non ha
affinità tale come il lurasidone, ma ha una affinità significativa. Questi tre
farmaci possono avere un buono impatto nei confronti della sfera cognitiva,
se noi crediamo che la sfera cognitiva sia alla base della schizofrenia,
ovviamente questo tipo di intervento diventa molto interessante. Nicoletti ci
parla della sfera cognitiva perché fino ad adesso la schizofrenia è stata

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considerata 1) una patologia del sistema dopaminergico 2) in particolare del
sistema dopaminergico mesolimbico. Quando sono nati gli antipsicotici
atipici è stato aggiunto un altro elemento, che è il recettore 5HT2a, tutti gli
antipsicotici atipici sono potenti antagonisti di questo recettore, quindi è
nato questo binomio: recettori D2 – recettori 5HT2a, si è parlato a lungo di
quale tra questi due recettori fosse più importante per il trattamento, in realtà
se non c’è una componente dopaminergica, cioè se il farmaco non blocca i
recettori D2 della dopamina, non si comporta mai come antipsicotico. Ad
esempio, la ketanserina o la ritanserina, che sono farmaci che bloccano il
recettore 5HT2a, non hanno azione antipsicotica e non hanno utilità nel
trattamento della schizofrenia.
Comunque, fino ad adesso il trattamento della schizofrenia si basa su questo
binomio. La differenza è che gli antipsicotici di prima generazione, che
sono quelli che si definiscono neurolettici classici, bloccano i recettori D2
con una target occupancy, cioè una occupazione del recettore, che è
maggiore del 90%, per questo motivo danno parkinsonismo farmacologico,
iperprolattinemia, discinesie tardive e altri effetti avversi. Mentre gli
antipsicotici atipici, normalmente, hanno un’occupazione del target dal 45
al 55%. Ci sono degli atipici che fanno eccezione, per esempio il
risperidone, il paliperidone, che sono farmaci largamente utilizzati. Il
RISPERDAL e l’INVEGA sono formulazioni a lento rilascio, hanno una
target occupancy sui recettori D2 del 70-75%. C’è qualche atipico che
blocca i recettori D2 in maniera abbastanza consistente, infatti, questi due
farmaci possono dare parkinsonismo farmacologico. Questi farmaci in
formulazione depot ( 5 tra gli atipici, 4 tra i classici) vengono definiti LAI,
long-acting injectable, sono farmaci che vengono iniettati per via
intramuscolare, vengono rilasciati in maniera lenta e possono dare una
copertura terapeutica in alcuni casi per 15 gg, come nel caso del risperidone,
in altri casi per un mese, come avviene per l’aripiprazolo o l’olanzapina e
per il paliperidone. In altri casi la copertura terapeutica dura per tre mesi,
come avviene per il TREVICTA, che è la formulazione trimestrale del
paliperidone.
Quindi abbiamo questo binomio recettore D2-recettore 5HT2a che domina
nel disegno dei farmaci antipsicotici. Poi ci sono delle piccole differenze,

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cioè dei farmaci agiscono sul recettore 5HT7, altri sul recettore 5HT2c, altri
reclutano il recettore D3 della dopamina, a conti fatti tutto l’intervento si
basa sui recettori monoaminergici.
Con l’enfasi sulla disfunzione cognitiva nella schizofrenia, le cose
cambiano. Bisogna guardare alla corteccia e all’ippocampo, probabilmente
i farmaci del futuro nel trattamento della schizofrenia possono ancora avere
una componente monoaminergica, ma saranno farmaci diretti alla
trasmissione eccitatoria o alla trasmissione inibitoria. Detto ciò, vediamo
cosa accade nella corteccia e per quale motivo gli interneuroni inibitori
possono essere così importanti nella patogenesi della schizofrenia. Fatto
questo, andremo ad esaminare le forme monogeniche o i polimorfismi che
possono diventare fattori di rischio e possono essere associati alla
schizofrenia. Vedremo se e in che misura questi polimorfismi possono
rientrare nell’ipotesi patogenetica che tenteremo di formulare.
Dunque, prendiamo ad esempio la corteccia cerebrale; è un esempio
difficile, perché gli interneuroni sono stati classificati nell’ippocampo.
Nell’ippocampo le connessioni si individuano subito, perché la struttura
laminare dell’ippocampo è l’ideale per un’analisi istologica. Mentre invece
nella corteccia le cose sono estremamente complicate, ma sono molto
affascinanti. In particolare, la corteccia che probabilmente rientra a pieno
diritto nella patologia schizofrenica è la corteccia prefrontale.
La corteccia prefrontale ha due porzioni, una porzione dorsale e una
porzione laterale. Quindi parleremo di corteccia prefrontale dorso-laterale,
e poi invece la corteccia prefrontale ventro-mediale che possiamo
immaginare come una corteccia che comprende in senso lato anche l’orbito-
frontale, e il giro del cingolo e che invece ha più una funzione emotiva,
istintiva, emozionale. Il nostro cervello funziona sempre così: tutto quello
che è dorsale è cognitivo, tutto quello che è ventrale e mediale è emozionale
e istintivo. Evidentemente nell’evoluzione le cose sono andate in questa
maniera. Nicoletti ritiene che la corteccia prefrontale dorso-laterale sia una
delle regioni più affascinanti del nostro cervello, perché è una regione che
ha delle caratteristiche peculiari, per esempio la forma delle spine
dendritiche è diversa, è più allungata; queste caratteristiche morfologiche
differenti rispetto agli altri tipi di corteccia si vedono molto bene nei primati
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in tutto l’arco della vita, da quando i primati nascono alla senescenza. Poi
questa è, probabilmente, l’unica porzione di corteccia che è in grado di
generare immagini e suoni senza l’arrivo di stimoli dall’ambiente esterno.
Quindi probabilmente in questa porzione di corteccia nasce il pensiero,
questa parte della corteccia è in grado di attivare circuiti di memoria ed
evidentemente è in grado di produrre immagini suoni o altre cose che poi si
traducono nel pensiero. La schizofrenia è principalmente un disordine del
pensiero. Nella corteccia prefrontale dorso-laterale le percezioni vengono
assemblate in maniera conforme alle nostre memorie, qualche grande
studioso della schizofrenia sostiene che vengono assemblate anche in
maniera conforme alla nostra della conoscenza a priori. Se cominciassimo a
creare questa distinzione tra esperienza e conoscenza a priori rientriamo nel
dualismo tra i razionalisti e gli empiristi, terreno scosceso in cui non occorre
addentrarsi in questa sede. Nella corteccia prefrontale dorsolaterale nasce la
working memory, la capacità che una persona ha di comporre un numero di
telefono che aveva preso qualche minuto prima; sempre nella corteccia
prefrontale dorsolaterale vengono innescate le funzioni esecutive e le
funzioni di controllo. Quindi è una porzione di corteccia molto interessante.
Premesso tuttavia che ciò che ora Nicoletti ci dirà vale per tutta la
neocorteccia, anche se la corteccia prefrontale dorsolaterale è sicuramente
la più importante nella schizofrenia, in realtà la corteccia nella quale sono
stati studiati maggiormente gli interneuroni è la corteccia somatosensoriale.
Se andassimo a guardare la popolazione neuronale della corteccia,
troveremo innanzitutto cellule piramidali. Le cellule piramidali
contrariamente a ciò che si può pensare rappresentano l’80-85% di tutti i
neuroni corticali. È curioso che sia così, perché le cellule piramidali
dovrebbero rappresentare una popolazione omogenea, mentre invece gli
interneuroni sono più di 20, quindi è davvero strano che le cellule piramidali
siano di più, e sono molto molto di più. In realtà, anche se tutte le cellule
piramidali hanno la forma triangolare, non c’è molta omogeneità tra di loro.
Perché dipende dallo strato corticale, ricordandoci che la struttura della
corteccia è colonnare, che le colonne hanno neuroni che comunicano tra di
loro all’interno della colonna, ma c’è anche una comunicazione tra colonna
e colonna. Prendiamo in considerazione le cellule piramidali che si trovano
nel VI strato, queste cellule proiettano preferenzialmente al talamo. Le
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cellule piramidali che si trovano nel V strato proiettano a strutture
sottocorticali di tipo diverso. Nel V strato possiamo trovare le cellule
piramidali giganti di Betz, nella corteccia motoria, che poi formano il fascio
piramidale e mandano le loro fibre agli −motoneuroni del midollo spinale,
il così detto fascio cortico-spinale diretto (queste cellule proiettano a
strutture sottocorticali). Le cellule del IV strato fanno contatti all’interno
della corteccia, cioè sono cellule associative all’interno della stessa colonna.
Le cellule del II e del III strato mandano i loro assoni all’emisfero
controlaterale, quindi contribuiscono alla formazione del corpo calloso.
Quindi è vero che le cellule piramidali sono tutte a forma di triangolo, ma è
altrettanto vero che la loro specializzazione funzionale è diversa. È diversa
anche la loro vulnerabilità. Nicoletti recita un detto relativo alla differente
vulnerabilità dei neuroni corticali: “Le cellule piramidali che proiettano a
strutture sottocorticali sono resistenti nella malattia di Alzheimer, mente
invece quelle che formano i fasci di associazione intercorticale sono più
vulnerabili”. Questo dipenderebbe dall’espressione della RNA transferasi.
Quindi, non si può parlare di omogeneità delle cellule piramidali, poiché
nella realtà le cellule piramidali rappresentano una popolazione eterogenea.
Durante l’embriogenesi, le cellule piramidali migrano dalla regione
periventricolare, in particolare dalla cosiddetta SVZ, che si chiama zona
subventricolare. Il meccanismo di migrazione della corteccia in formazione
si chiama inside-out, significa che man mano che le cellule piramidali
migrano dalle regioni periventricolari e raggiungono i vari strati corticali se
ne vanno via via più in alto, verso l’esterno, il termine inside-out significa
esattamente questo.
La situazione è completamente diversa per gli interneuroni. L’importanza
degli interneuroni deriva dagli studi di Ramon y Cajal, che è stato insieme
a Camillo Golgi, uno tra i grandi neuroanatomici di tutti i tempi. Cajal aveva
avanzato un’ipotesi, e cioè che l’evoluzione si associa con la presenza di
neuroni che hanno l’assone più corto (come gli interneuroni), cioè più
nell’evoluzione compaiono neuroni con l’assone corto e maggiore il
cervello di quell’organismo è evoluto. Questo perché gli interneuroni sono
una acquisizione delle specie più elevate dal punto di vista evolutivo,
fondamentalmente sono presenti nell’uomo e nei primati, anche se gli
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interneuroni vengono largamente studiati nei roditori, perché nei roditori c’è
la possibilità di fare ricombinazioni geniche e di osservare come tutti gli
interneuroni si comportino.
Gli interneuroni non nascono dalla regione periventricolare, ma nascono da
strutture che, durante l’embriogenesi, prendono il nome di eminenze
ganglionari. Le eminenze ganglionari hanno una regione mediale che si
chiama MGE, o regione mediale delle eminenze ganglionari, poi hanno una
regione caudale che si chiama CGE, o regione caudale delle eminenze
ganglionari. Alcuni interneuroni possono originare anche dall’area
preottica.
Quindi, cominciamo a definire questa differenza nello sviluppo del SNC, tra
cellule principali, cellule eccitatorie, cioè i neuroni piramidali e gli
interneuroni, i quali sono soltanto il 10-15% - in alcuni casi fino al 20% -
dei neuroni, in base al tipo di corteccia; hanno un’origine embrionale diversa
perché non migrano verticalmente dalle regioni periventricolari, ma
migrano tangenzialmente dalle eminenze ganglionari. Precisamente, la loro
migrazione è duplice: inizialmente è una migrazione tangenziale, però
quando loro raggiungono la sede degli strati corticali a quel punto diventa
verticale.
C’è una differenza abbastanza importante, gli interneuroni che derivano
dalla MGE (70%) occupano poi gli strati corticali con un meccanismo
inside-out, cioè da dentro a fuori, come avveniva per le cellule piramidali,
mentre invece quelli che originano dalla CGE, che sono il 30% del tot,
hanno una migrazione outside-in, che significa che dall’esterno vanno ad
occupare gli strati più interni della corteccia in formazione. Quindi c’è una
grande differenza tra le cellule che originano dalla MGE e le cellule che
originano dalla CGE. I neuroni che originano dalla MGE sono
principalmente di due tipi: sono i neuroni parvalbumina positivi, PV+ (la
parvalbumina è una proteina che lega il Ca++) e i neuroni che presentano la
somatostatina, somatostatina +.
I neuroni PV+ sono di una importanza fondamentale, innanzitutto sono
neuroni che rappresentano la popolazione più numerosa degli interneuroni
corticali, sono essenziali per la funzione cognitiva e loro generano e
modulano le cosiddette oscillazioni di network, cioè l’attività di network
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corticale. È grazie all’azione degli interneuroni PV+ che un organismo
evoluto può esprimere a pieno le sue funzioni cognitive.
L’altra categoria di cellule sono cellule che presentano la somatostatina. La
somatostatina è quel peptide che fisiologicamente controlla in modo
inibitorio l’increzione dell’ormone della crescita, gli analoghi della
somatostatina si usano per il trattamento dell’acromegalia; la somatostatina
viene prodotta anche dalle cellule  del pancreas, dalle cellule D del
duodeno, controlla in senso inibitorio la secrezione di HCl, inibisce tutte le
secrezioni. Ancora gli analoghi della somatostatina si usano nei tumori
neuroendocrini, nei carcinoidi, nelle varici esofagee con ipertensione
portale, nella diarrea da chemioterapici. La somatostatina si usa in funzione
della secrezione ipofisaria o all’attività gastrointestinale, però la
somatostatina si trova in queste cellule e le cellule si chiamano cellule di
Martinotti.
Quindi, dalla MGE originano queste cellule PV+ e somatostatina +, che
hanno lo stesso meccanismo di migrazione delle cellule piramidali, ma
origine diversa. Le cellule che originano dalla MGE sono ricche di recettori
NMDA, in particolare ne sono molto ricche le cellule PV+.
Il 30% delle cellule deriva dalla CGE, queste cellule si dividono in due
grandi categorie, sono cellule VIP+ e VIP-; il VIP è il peptide intestinale
vasoattivo. Curioso che un peptide intestinale si trovi qui, del resto, anche
la somatostatina è un peptide intestinale prodotto anche dalle cellule
dell’intestino oltre che dall’ipotalamo e da cellule del SNC. È molto
frequente che sostanze che sono state descritte per la prima volta nell’app.to
gastrointestinale si trovino all’interno di cellule nervose. Quando si parla di
asse intestino-cervello non si parla solo di microbioma, si parla anche
dell’analogia che c’è tra prodotti di natura peptidica che si trovano in cellule
dell’intestino e anche in cellule del SNC.
All’interno di questa popolazione di cellule derivanti da CGE ci sono cellule
VIP+ e VIP-, le cellule VIP- più importanti sono le cellule neurogliaformi.
Le cellule neurogliaformi sono cellule molto particolari che hanno un corpo
cellulare abbastanza tozzo, hanno un albero dendritico che non si estende
tanto, ma è molto ramificato. Queste cellule neurogliaformi possono essere
presenti in tutti gli strati e ora le tratteremo.
14
All’interno di questa popolazione di cellule migranti dalla CGE, ci sono
cellule che esprimono l’NPY, il neuropeptide Y, il NPY è un altro
neuropeptide intestinale che ritroviamo nel SNC, e poi ci sono le cellule
CCK+, colecistochinina +, un altro peptide intestinale.
Tutti i tipi di interneuroni inibitori sono venti, ci sono anche
sottopopolazioni di questi venti interneuroni inibitori, sono una marea,
all’interno del corso cercheremo di mettere in risalto le popolazioni più
importanti. Attenzione, le cellule che derivano dalla CGE, cioè tutte le
cellule tranne quelle PV+ e le cellule di Martinotti, sono caratterizzate
dall’espressione del recettore 5HT3 per la serotonina. Quindi il recettore
5HT3 è un marcatore selettivo degli interneuroni che derivano dalla
CGE.
Ricapitolando, che tipi di interneuroni abbiamo nella corteccia?
Abbiamo gli interneuroni che originano dalla MGE, vale a dire le
cellule PV+ e le cellule di Martinotti, somatostatina+; poi abbiamo
quelle che derivano dalla CGE, che hanno tutte come marcatore il
recettore 5HT3. Quindi il recettore 5HT3 non si trova nelle cellule PV+,
né nelle cellule di Martinotti, perché per essere espresso deve trovarsi in una
cellula che origina dalla CGE. Questo significa che le cellule che derivano
dalla MGE vengono attivate preferenzialmente dai recettori per il
glutammato (NMDA), le cellule che invece derivano dalla CGE possono
essere attivate dai recettori per il glutammato, ma vengono anche attivate
potentemente dalla serotonina attraverso il recettore 5HT3. Consideriamo
che la vortioxetina, che è l’unico farmaco antidepressivo ad avere un
impatto positivo sul fronte della sfera cognitiva, è un potente antagonista del
recettore 5HT3. È probabilmente l’antagonista più potente, a parte
ondansetrone e palonosetrone che sono farmaci antiemetici per contrastare
il vomito da cisplatino ed altri chemioterapici.
Questo è lo schema di carattere generale, adesso entreremo nei dettagli di
queste cellule e cominceremo a capire perché queste cellule sono importanti
nella schizofrenia.
Cellule originanti dalla MGE.
Cellule PV+.
15
Le cellule PV+ hanno una caratteristica principale, cioè sono cellule fast
spiking, che significa che hanno un’alta frequenza di scarica, formano
continuamente potenziali d’azione e trasmettono questi potenziali d’azione
alle cellule piramidali in un tempo rapidissimo – 0,7 millisec –. Inoltre, sono
cellule ricchissime di recettori NMDA. I recettori NMDA sono
normalmente bloccati dal magnesio, il magnesio si infila all’interno del
canale e può fuoriuscire dal canale soltanto se c’è una depolarizzazione. I
recettori NMDA sono quasi costitutivamente attivi nelle cellule PV+, visto
che queste cellule sono fast spiking, quindi c’è come una continua
depolarizzazione, che rimuove il magnesio dal canale e rende attivo il
recettore NMDA e consente l’entrata di Ca++.
Riflettiamo su questo binomio NMDA/PV, perché nella patogenesi della
schizofrenia il recettore NMDA svolge un ruolo fondamentale. Se si blocca
il recettore NMDA con la fenciclidina, la polvere d’angelo, o con la
chetamina1, che sono due bloccanti lenti del canale, noi realizziamo il
miglior modello di schizofrenia nell’uomo, con sintomi positivi, sintomi
negativi, le voci che disturbano i contenuti del pensiero e così via. Se
abbiamo un’encefalopatia autoimmune, cioè se abbiamo un tumore da
qualche parte che produce Ab contro il recettore NMDA, abbiamo un corteo
di sintomi tra cui c’è la psicosi, e contemporaneamente il declino cognitivo.
Il fatto che i recettori NMDA siano presenti sulle cellule PV+ diventa
un dato estremamente interessante, perché lì questi recettori sono
costitutivamente attivi.
I neuroni PV+ contengono la parvalbumina che è una proteina tampone del
Ca++, se i recettori NMDA vengono attivati continuamente e il Ca++ entra
senza mai fermarsi, automaticamente quello che accade è che questi
interneuroni devono essere protetti da queste grandi quantità di Ca++,

1
La chetamina è stata approvata recentemente dalla FDA come farmaco per il trattamento della depressione
maggiore farmacoresistente, cioè quei casi in cui i pz hanno una sintomatologia severa, che non risponde
almeno a due categorie di farmaci antidepressivi. L’isomero S della chetamina, che si chiama Esketamina, è
entrato in commercio negli States ed entrerà tra poco anche in Italia con somministrazione intranasale.
Somministrazioni che si fanno ogni settimana o ogni due settimane. Tutte le volte che i pz prendono la
chetamina, nelle 2-3h successive alla somministrazione, hanno manifestazioni psicotiche. L’assunzione deve
essere fatta sotto il controllo di altre persone per questo.

16
altrimenti muoiono (intossicazione da calcio). Per questa ragione hanno la
parvalbumina, che è pronta a fungere da tampone del Ca++.
Le cellule PV+ sono cruciali nella schizofrenia, tutti gli studi condotti nei
modelli preclinici, ma anche gli studi condotti da tessuto autoptico, indicano
che i neuroni PV+ sono disfunzionali nella schizofrenia. Questo comporta
che le attività di network della corteccia cerebrale e i meccanismi di
sincronizzazione delle cellule piramidali sono compromessi, a causa
della disfunzione degli interneuroni PV+.
I neuroni PV+ sono fondamentali per alcune bande di frequenza: i neuroni
quando scaricano oscillano, quindi hanno una particolare frequenza di
scarica che noi osserviamo sull’EEC. Queste bande dei neuroni PV+ sono
della frequenza , vanno da 30 a 90 Hz, quindi hanno una frequenza
altissima, le bande  arrivano fino a 30 Hz. Queste oscillazioni ad alta
frequenza sono essenziali, innanzitutto, perché le cellule piramidali possono
coordinare le funzioni cognitive, e poi perché il loro ritmo di scarica possa
essere trasmesso anche alle altre cortecce, quindi il ruolo degli interneuroni
PV+ è fondamentale. Nella schizofrenia accade qualcosa a questi neuroni,
sia di natura genetica che di natura epigenetica, che alla fine determina un
alterato funzionamento degli stessi.
Questi interneuroni PV+ formano due categorie di cellule, la prima è quella
delle cellule basket, dette anche cellule a canestro, la seconda è quella delle
cellule a candelabro. Le cellule a canestro hanno un assone molto ramificato
che forma una sorta di canestro intorno al corpo cellulare delle cellule
piramidali e intorno al corpo cellulare di altri interneuroni PV+, quindi
questi interneuroni inibitori formano un canestro intorno ad altri
interneuroni inibitori. Quindi queste cellule a canestro formano una
innervazione perisomatica, cioè intorno al corpo cellulare, intorno al
pirenoforo delle cellule piramidali.
In base al tipo di innervazione una cellula PV+ può o inibire una cellula
piramidale o inibire un interneurone inibitorio, disinibendo una cellula
piramidale; per questo motivo le cellule PV+ sono così importanti nel
generare le oscillazioni, perché le oscillazioni dipendono dal fatto che le
cellule piramidali scaricano e non scaricano, scaricano e non scaricano,
scaricano e non scaricano. Quando sono disfunzionali scaricano di meno e
17
in momenti sbagliati. Esiste anche una disfunzione anatomica, nel senso che
mentre il numero delle cellule difficilmente lo troviamo ridotto nella
corteccia dei pz affetti da schizofrenia, troviamo però chiare alterazioni
morfologiche: per esempio l’enzima che sintetizza il GABA che si chiama
GAD (ci sono due tipi GAD65, GAD 67) è difettivo nella corteccia dei pz
affetti da schizofrenia, così lo sarà anche il rilascio di GABA, alterando la
trasmissione neuronale.
Non tutte le cellule a canestro si comportano come abbiamo visto, ora stiamo
parlando delle cellule a canestro che hanno la PV.
La seconda popolazione di neuroni che presentano la parvalbumina sono le
cellule a candelabro. Le cellule a candelabro fanno sinapsi con il cono di
emergenza dell’assone delle cellule piramidali. Anche queste sono cellule
fast spiking, sono state trovate cellule a candelabro che non contengono la
parvalbumina, ma la funzione di queste cellule a candelabro PV- non è nota.
Il fatto che le cellule a candelabro facciano sinapsi con il cono di emergenza
dell’assone delle cellule piramidali è di grande interesse, poiché è lì che il
potenziale d’azione verso l’assone, quindi significa che queste cellule
abbracciano una zona strategica per controllare la sincronizzazione delle
cellule piramidali.
La sincronizzazione è un evento fondamentale, se pensiamo che mentre una
persona ci parla, in noi, 100 cellule piramidali devono scaricare in modo
sincrono per elaborare ciò che ci viene detto, capiamo che se non avviene la
suddetta sincronizzazione correttamente ci troviamo davanti ad un disturbo
dell’assemblamento delle percezioni, e di conseguenza davanti ad un
disturbo delle funzioni esecutive.
Quindi è molto importante che le cellule a canestro PV+ e le cellule a
candelabro PV+ possano esercitare questo tipo di controllo. I recettori
NMDA sono importanti, i farmaci che bloccano questi recettori in maniera
potente o Ab contro i recettori NMDA possono determinare una profonda
compromissione della sfera cognitiva e danno orginie a disturbi del pensiero
e danno orgine alla psicosi.
Cellule di Martinotti (somatostatina+).

18
Martinotti era un anatomopatologo italiano, che è un lontano parente del
prof. Martinotti, psichiatra di Chieti, che è un giovane psichiatra molto
bravo. Le cellule di Martinotti sono nella maggioranza dei casi
somatostatina+. È anche vero che le cellule somatostatina+ possono essere
sia le cellule di Martinotti che cellule non di Martinotti. Sono due
popolazioni di cellule somatostatina +. Comunque sia sono cellule che
originano dalla MGE.
Le cellule di Martinotti hanno un assone lungo che raggiunge il I e il II strato
corticale; è un assone che fa sinassi con la porzione dendritica più apicale
delle cellule piramidali. Mentre le cellule a canestro sono perisomatiche, le
cellule di Martinotti stabiliscono preferenzialmente contatti sinaptici con le
porzioni apicali dei dendriti delle cellule piramidali. Come erroneamente è
stato detto in passato: le cellule di Martinotti non esprimono il recettore
5HT3. Questo recettore – ricordiamo – è solamente espresso da interneuroni
corticali che originano dalla CGE. Sia le cellule di Martinotti che le cellule
PV+ possono estendersi al di là di una semplice colonna e permettere un
controllo tra una colonna ed un’altra colonna, quindi non parliamo di un
controllo solamente intracolonnare, ma è anche un controllo intercolonnare.
Sono cellule di grandissima importanza, tra queste cellule, le cellule PV+ lo
sono di più, perché sono le cellule che generano e modulano le oscillazioni
di network, soprattutto nella banda , che va da 30 a 90 Hz.
Cellule originanti dalla CGE.
Le cellule originanti dalla CGE (30%) sono meno numerose di quelle
originanti dalla MGE (70%), hanno un altro tipo di flusso migratorio rispetto
alle prime esaminate, hanno un flusso outside-in, vanno dall’alto verso il
basso. Tutte queste cellule originanti dalla CGE hanno il recettore per la
serotonina 5HT3.
Tra queste cellule ci sono le cellule VIP+, che possono essere bipolari,
possono essere a doppio bouquet, possono essere multipolari. La
caratteristica di questi neuroni VIP+ è che fanno sinapsi
esclusivamente con altri interneuroni. Quindi le cellule VIP + non fanno
sinapsi con le cellule piramidali, ma inibiscono altri interneuroni: inibendo
altri interneuroni inibitori, consentono il funzionamento o la disinibizione

19
di altri neuroni. In particolare, le cellule VIP+ inibiscono sia le cellule PV+
che, soprattutto, le cellule somatostatina+.
Queste cellule originanti dalla CGE, esprimenti 5HT3, sono interneuroni
degli interneuroni, inibiscono gli altri interneuroni, più loro scaricano più
gli altri interneuroni saranno inibiti, più le cellule piramidali si attivano; se
loro scaricano di meno le cellule PV+, per es., funzionano di più.
Le cellule VIP- rientrano in due tre categorie, probabilmente le cellule più
importanti sono quelle neurogliaformi. Le cellule neurogliaformi si trovano
prevalentemente nel I strato della corteccia: il I strato della corteccia ha
soltanto interneuroni, non ha cellule piramidali. Sono cellule col corpo
cellulare tozzo, hanno la diramazione dei dendriti e dell’assone come se
fosse una cellula gliale o un ragno (infatti Cajal le ha chiamate anche cellule
spider). Queste cellule si trovano nel I strato, ma possono essere presenti
anche in tutti gli strati corticali, una grande popolazione di queste cellule
neurogliaformi esprime la reelina. La reelina è una proteina fondamentale
per la migrazione dei neuroni piramidali, quando la reelina non c’è gli strati
corticali sono tutti sottosopra. Questo si osserva nel topo Reeler. Durante lo
sviluppo la reelina è espressa soltanto da una categoria di cellule, che è
quella cosiddetta di Cajal-Reztius. Nell’adulto la reelina la troviamo nelle
cellule neurogliaformi e nelle cellule somatostatina+. Le cellule
neurogliaformi nel I strato fanno sinapsi con i dendriti delle cellule
piramidali, in particolare con le porzioni più alte dei dendriti e delle cellule
piramidali.
All’interno di queste cellule neurogliaformi c’è una sottopopolazione che
esprime il NPY. Queste cellule NPY+ sono responsabili della inibizione
transcorticale. Inibizione transcorticale significa che se una cellula
piramidale scarica, per es. nella corteccia infralimbica, quando scarica attiva
gli interneuroni neurogliaformi NPY+, questi neuroni a volte hanno un
assone lungo, lasciano quella parte di corteccia, vanno nella corteccia
perilimbica dall’infralimbica e inibiscono le cellule piramidali nell’altra
corteccia. Questo lo vedremo nella patogenesi dell’ansia. Queste cellule
NPY+ sono in grado di mettere in comunicazione due cortecce vicine,
in modo tale che una corteccia inibisce l’altra corteccia.

20
Infine, ci sono delle cellule basket CCK+. Attenzione, queste cellule non
derivano dalla MGE come le cellule basket PV+, ma derivano dalla CGE e
in teoria esprimono il recettore 5HT3. Queste cellule CCK+, che modulano
le oscillazioni di network con frequenza , sono la principale popolazione di
cellule della corteccia cerebrale che esprime i recettori CB1 dei
cannabinoidi.
Il rapporto tra cannabis e schizofrenia è un rapporto di causa-effetto. Se si
fa uso di cannabis ci sono due possibilità, la prima è che ci sia una psicosi
farmacotossica, che viene fuori se consumiamo hashish, che è la resina della
cannabis Sativa, che può arrivare a contenere il 20-25% di 9THC, così
possiamo distruggere le cellule CCK+. Questo accade perché i recettori CB1
sono accoppiati a proteina Gi, la loro attivazione inibisce il rilascio di
GABA. La seconda è che consumiamo spinelli o canne per lunghi periodi di
tempo, contemporaneamente abbiamo una predisposizione a sviluppare la
schizofrenia e non lo sappiamo, e questo consumo diventa elemento
scatenante di schizofrenia. Il rischio di slatentizzare la schizofrenia con il
consumo di cannabis è più elevato nelle persone preadolescenti, che hanno
mutazioni della COMT. Questo discorso può essere esteso anche alla
cannabis light, che ha un contenuto di 9THC < 0,2 %, il 9THC è
metabolizzato dai CYP, prevalentemente dal CYP2C9; esistono i
metabolizzatori lenti e poi il cannabidiolo, contenuto in grandi quantità nella
cannabis light, è un potente inibitore dei CYP. Quindi quando il
cannabidiolo è insieme al 9THC, il 9THC si accumula man mano e può
dare effetti a distanza. È ignobile che vengano dati cibi preparati con la
cannabis light, come pasta o altre cose, dove non c’è alcun controllo delle
quantità ivi contenute di questi composti attivi. Vengono somministrate
anche ai bambini da alcuni genitori.
Qualcuno potrà domandarsi perché i recettori CB1 creino problemi. I
recettori CB1 legano gli endocannabinoidi (endocannabinoidi = agonisti dei
recettori CB1) che sono delle sostanze che vengono prodotte
prevalentemente nella corteccia dalle cellule piramidali, sono rappresentati
principalmente da due molecole: anandamide e il 2-arachidonilglicerolo. Gli
endocannabinoidi non sono presenti soltanto nel SNC, ma si trovano anche
in periferia. Lo scopo del sistema endocannabinoide è quello di favorire
21
esostasi, che significa mangiare al di là dei limiti posti dalla sazietà. Gli
endocannabinoidi in periferia aumentano i livelli di glucosio nel sangue,
però nello stesso tempo impediscono al glucosio di andare nel muscolo
scheletrico, ma lo dirottano verso l’adipocita. Quindi si comportano per certi
versi come l’insulina, quando fanno entrare il glucosio nella cellula adiposa,
per altri versi contrariamente all’insulina, quando non lo fanno entrare nel
muscolo scheletrico. Gli endocannabinoidi nel SNC orchestrano tutti i
comportamenti e le funzioni corticali per favorire l’esostasi, quindi riducono
il dolore, riducono l’ansia, aumentano la salienza del cibo. Inoltre, hanno
potente azione antiemetica. Gli endocannabinoidi vengono prodotti on
demand, quando necessario e solo nel contesto spaziale dove devono
operare. Quando una cellula piramidale viene attivata dalla fibra che arriva
dal talamo, vengono attivate, per esempio, 5 o 6 cellule piramidali, queste
cellule hanno un problema: hanno i neuroni basket CCK+ che sono intorno
a loro. Allora producono il 2-arachidonilglicerolo, il 2-arachidonilglicerolo
prodotto dalle cellule piramidali che sono attivate, fuoriesce dalle cellule
piramidali, raggiunge l’assone delle cellule CCK+, e quando ha raggiunto
l’assone delle cellule CCK+ inibisce il rilascio di GABA, ma inibisce il
rilascio di GABA soltanto in corrispondenza di quelle cellule piramidali che
hanno prodotto il 2-arachidonilglicerolo. Per esempio, se il sistema prevede
che devono essere attivate in modo sincrono 10 cellule piramidali il 2-
arachidonilglicerolo viene prodotto da quelle 10 cellule piramidali, spegne
i neuroni inibitori e quelle 10 cellule piramidali scaricano in modo sincrono,
con un perfetto rapporto segnale/rumore di fondo. Questo meccanismo si
chiama DSI, soppressione dell’inibizione indotta dalla depolarizzazione. La
cosa diviene devastante se assumiamo cannabis e la cannabis ci fornisce alti
livelli di 9THC, il quale attiva tutti i recettori CB1 che si trovano in tutte le
cellule CCK+ e non solo là. Quindi il sistema perde le caratteristiche di
segnale/rumore di fondo e questo produce un’alterazione profonda delle
oscillazioni di network che poi porta naturalmente ad un deterioramento
marcato della sfera cognitiva. Questo può significare slatentizzazione di una
psicosi e come è stato ampiamente dimostrato.
Del resto nella vita ci vuole culo, se uno non ha la predisposizione genetica,
non ha i meccanismi epigenetici che possono guidare una situazione del
genere verso la degenerazione, può consumare cannabis tutta la vita e non
22
avere ripercussioni. Ma chi può escludere che ci sia tale predisposizione
genetica? E ancora chi può escludere che ci siano dei determinanti a livello
epigenetico?
A questo punto potremmo domandarci, come mai il FEP si manifesta
intorno ai 18-20 anni e non prima? Visto che la schizofrenia è determinata
da alterazioni presenti nel periodo perinatale? I bambini, che da grandi
avranno il FEP, hanno in realtà delle manifestazioni, ma sono
manifestazioni largamente compensate. Se si facessero valutazioni
neuropsichiatriche approfondite e indirizzate si potrebbero riscontrare delle
anomalie, come goffaggine, imbarazzo immotivato nei confronti del mondo
esterno, hanno problemi dal punto di vista scolastico. Queste manifestazioni
trovano un loro compenso durante l’infanzia, però durante la pubertà si il
controllo delle oscillazioni di network da parte dei recettori dopaminergici
nella corteccia. Prima della pubertà le oscillazioni di network non sono
controllate dalla dopamina, dopo la pubertà vengono controllate dalla
dopamina. Inoltre, dobbiamo pensare anche al ruolo che possono avere gli
steroidi sessuali su questo processo. Lo switch del controllo dopaminergico
si correla con la fase prodromica della schizofrenia, ci sono quei due tre anni
che precedono il FEP, in cui qualcosa cambia. Si utilizza un’espressione per
descrivere questo momento della vita, l’individuo è come se, subisce una
alterazione il rapporto che l’individuo ha tra sé e il mondo esterno.
L’individuo si guarda allo specchio continuamente, perché ha l’ansia – ansia
del sé mutante - che il mondo intorno a sé stia cambiando (segno dello
specchio, by Nicoletti Sr). L’ansia finisce e viene il FEP.
Sviluppo degli interneuroni.
Nello sviluppo degli interneuroni ci sono alcuni momenti critici che
dobbiamo sottolineare, innanzitutto c’è il differenziamento di queste cellule
e la loro migrazione. Differenziamento e migrazione nell’uomo avvengono
nella vita fetale. Il fatto strano è che nella vita prenatale, e nel roditore anche
nei primi momenti della vita post-natale, il GABA è un neurotrasmettitore
eccitatorio, il GABA opera esattamente come il glutammato e genera
potenziali eccitatori giganti. Ad un certo punto avviene uno switch, che in
gergo si chiama GABA shift, e il GABA diventa un neurotrasmettitore
inibitorio. Il GABA shift avviene perché i neuroni completano il loro
23
processo maturativo ed esprimono il KCC2, che è il trasportatore del
cloro, che butta fuori il cloro dalla cellula. Quando si attiva il recettore
GABA-A, il cloro entra, perché il gradiente di concentrazione, creato dal
canale KCC2, prevale sul gradiente elettrico. Se non ci fosse il gradiente di
concentrazione il cloro uscirebbe, perché chiaramente l’interno del neurone
è negativo. Il recettore GABA-A è attivato dal GABA, questo recettore per
es. si trova nelle cellule piramidali ed è attivato dal GABA rilasciato dai
neuroni PV+, oppure da quelli CCK+. Quando si attiva questo recettore
GABA-A, prima dell’espressione del KCC2, poiché c’è tanto cloro nella
cellula, il cloro fuoriesce dalla cellula e la cellula si depolarizza, quindi il
GABA si comporta come neurotrasmettitore eccitatorio. A questo si
aggiunge il fatto che durante la maturazione i neuroni esprimono tanto
NKCC1, che è il parente stretto dell’NKCC2 che è il trasportatore Na/K/2Cl
sensibile ai diuretici dell’ansa. L’NKCC1 fa entrare cloro, quindi i neuroni
in sviluppo hanno tanto NKCC1 e non hanno KCC2, quindi contengono
tanto cloro. Ciò significa che quando il recettore per il GABA si attiva e si
apre il canale del cloro, questo cloro esce dalla cellula! Nel neurone che ha
finito la sua maturazione c’è espressione di KCC2, il cloro viene quindi
estromesso dalla cellula. In questo neurone maturo, quando il recettore per
il GABA viene attivato dal GABA si apre il canale del cloro, il cloro entra
nella cellula. Bisogna considerare questo GABA shift come elemento
fondamentale nella costituzione del network corticale, questo è il momento
in cui il GABA diventa un neurotrasmettitore inibitorio. L’ontogenesi
ricalca la filogenesi, evidentemente nella filogenesi ci voleva solo
eccitazione. I dinosauri non scrivevano poesie, attaccavano, uccidevano, si
nutrivano, l’eccitazione diventava l’evento fondamentale nelle sinapsi. Man
mano che gli organismi sono evoluti, si è strutturata l’inibizione sinaptica e
lì Cajal ha ragione: più il cervello diventa evoluto e più compaiono i neuroni
ad assone piccolo che sono interneuroni di II tipo di Golgi che rimangono
all’interno delle loro strutture, così nasce l’inibizione sinaptica. Quindi,
ritornando all’ontogenesi, nella vita fetale il GABA è sempre eccitatorio, ci
sono eccitazioni continue che evidentemente sono utili per far maturare le
cellule nervose. Poi si forma l’inibizione sinaptica quando viene espresso il
KCC2. L’espressione del KCC2 è un elemento fondamentale della

24
traiettoria di sviluppo degli interneuroni corticali e del rapporto tra
interneuroni e cellule piramidali.
C’è un altro evento che potrebbe essere critico nella schizofrenia, l’evento
è la stabilizzazione del rapporto numerico tra cellule piramidali e
interneuroni. Alla fine, le cellule piramidali devono essere l’85% e gli
interneuroni il 15%. Durante lo sviluppo embrionale e fetale il numero dei
neuroni che è presente nel nostro cervello è più alto rispetto a quello che
avremo nella vita post-natale. Nella vita postnatale avviene l’apoptosi legata
allo sviluppo, developmental apoptosis, alcuni neuroni muoiono e
rimangono i neuroni che sono integrati in un circuito. Se studiamo questo
evento nei roditori, notiamo che tra P5 e P6, quinto e sesto giorno postnatali,
muoiono alcune le cellule piramidali. Intorno a P7 P8 muoiono alcuni
interneuroni, muoiono quegli interneuroni che non sono innervati dalle
cellule piramidali. Le cellule piramidali danno segnale di sopravvivenza agli
interneuroni. Questo segnale è modulato dall’inibizione di PTEN. PTEN è
un inibitore della via della PI3K, che è la principale via della sopravvivenza.
Se la cellula piramidale invia il segnale di sopravvivenza all’interneurone,
nell’interneurone c’è l’inibizione di PTEN, questa rimuove l’inibizione
della PI3K, che entra in funzione dando il segnale di sopravvivenza per
l’interneurone. Quale sia il recettore responsabile dell’inibizione di PTEN
non si sa. Se dovessero esserci problemi epigenetici a carico di PTEN, il
numero e il rapporto tra neuroni di diversi tipi non verrebbero stabiliti in
maniera corretta.
Perineuronal nets. Le perineuronal nets sono delle reti formate dalla
matrice extracellulare, tipo GAG, condroitilsolfato, proteine e cose varie,
versicani, brevicani. Queste reti particolari si formano intorno ai neuroni
PV+, queste reti isolano i neuroni PV+ dalla modulazione da parte dei
fattori neurotrofici che si trovano all’esterno. Quindi, nel momento in cui si
forma questa perineuronal net intorno al neurone PV+, quest’ultimo è
isolato da stimoli di plasticità, perché ha già acquisito la sua funzione, sa
esattamente quello che deve fare e non è più suscettibile di modifiche da
parte degli elementi che vengono dall’ambiente esterno. Queste
perineuronal nets si formano al momento della chiusura dei periodi critici
dello sviluppo corticale. Mentre invece le cellule basket PV+ circondano le
25
cellule piramidali all’apertura dei periodi critici dello sviluppo. Le finestre
o periodi critici dello sviluppo corticale si aprono quando inizia la
percezione sensoriale. Per esempio, quando un topolino che fino a quel
momento è stato attaccato alle mammelle della madre inizia ad esplorare
l’ambiente circostante. A quel punto si aprono delle finestre di
apprendimento e c’è la maturazione finale delle cellule basket PV+ intorno
alle cellule piramidali. Quando queste finestre si chiudono,
automaticamente il SNC ha previsto la formazione di scudi intorno agli
interneuroni PV+ che si chiamano perineuronal nets. Queste perineuronal
nets sono alterate nei pz affetti da schizofrenia.
A testimonianza del fatto che gli interneuroni PV+ sono fondamentali nella
patogenesi della schizofrenia; possono diventare disfunzionali per una serie
di motivi, come un alterato funzionamento, un’alterata migrazione, un
alterato rilascio di GABA derivato da alterato shift del GABA, ci può essere
un problema di matching numerico tra cellule piramidali ed interneuroni, e
alla fine c’è un’alterata formazione delle perineuronal nets, e quindi
un’alterata chiusura delle finestre di plasticità corticale. È come se questi
interneuroni rimanessero plastici per più tempo del previsto dalla natura.
Queste perineuronal nets sono formazioni dinamiche: se avviene
qualcosa di drammatico dal punto di vista sensoriale si disgregano e poi si
riassemblano.

Terza lezione di farmacologia della psichiatria, 02/05/2020

La volta scorsa abbiamo presentato una teoria, quella che interpreta la


schizofrenia come una interneuronopatia, cioè una patologia degli
interneuroni del SNC.
Questa è una novità per la psichiatria perché classicamente è il neurologo
ad occuparsi di interneuronopatia, abbiamo il grande capitolo delle epilessie
encefalopatiche che si basano tutte sulle interneuronopatie. L’aver portato
gli interneuroni gabaergici di forza nelle grandi malattie psichiatriche è stata
un’acquisizione di grandissimo interesse .

26
Vi ricordo che ci sono due categorie di interneuroni: quelli che nella
corteccia originano dalle porzioni mediali delle eminenze ganglionari
(MGE) e quelli che invece originano dalle porzioni caudali (CGE). Quelli
che originano dalle porzioni mediali hanno a loro volta due grandi
rappresentanti: le cellule parvalbumina positive (PV+) e le cellule
somatostatina positive (SSt+), mentre invece quelle che originano dalla
porzione caudale hanno altri marcatori come ad esempio il VIP, la reelina,
il neuropeptide NPY o la CCK, e sono tutte cellule che hanno recettori
5HT3.
Quindi se dovete andare ad indentificare il recettore 5HT3 per la serotonina
questo nella corteccia lo trovate solo ed esclusivamente nelle cellule che
originano dalle porzioni caudali delle eminenze ganglionari. Fate tesoro di
questa informazione perché poi sarà strumentale nel momento in cui ci
occuperemo di vortioxetina.
Cos’è compromesso principalmente nella schizofrenia? Le cellule
parvalbumina positive che sono la porzione più numerosa che voi trovate
nella corteccia. Queste cellule formano due grandi categorie :
1) le cosiddette cellule a canestro o cellule basket cellule fondamentali
perché formano una sorta di canestro attorno al corpo assonale delle cellule
piramidali, e non solo, la loro comparsa/strutturazione anatomica coincide
con l’apertura delle finestre critiche di plasticità corticale, cioè, quando la
corteccia è pronta ad acquistare i fenotipi definitivi quello è il momento in
cui queste cellule parvalbumina positive si dispongono intorno ai grandi
neuroni che sono le cellule piramidali, e cominciano a modularne l’attività;
queste cellule a canestro vi avevo detto la volta scorsa che si dispongono
non soltanto attorno alle cellule piramidali ma anche attorno ad altri
interneuroni e agli stessi interneuroni parvalbumina positivi. Le cellule PV
sono coincident detectors, dei rilevatori di segnalazioni coincidenti e sono
di grandissima importanza nella plasticità della corteccia cerebrale facendo
sinapsi con le cellule piramidali, facendo sinapsi con altre cellule PV+ ,
formando canestri intorno, e così la corteccia cerebrale è pronta a intervenire
in modo plastico in base alle varie necessità; per esempio se nella corteccia
visiva voi chiudete un occhio si stabiliscono le dominanze, perché fate un
deprivazione mono oculare, e questo avviene in una finestra critica dello
27
sviluppo, quando questa finestra si chiude, automaticamente attorno alle
cellule PV+ si formano le cosiddette perineuronal nets, cioè queste
formazioni della matrice extracellulare che isolano l’interneurone PV+ e gli
impediscono a quel punto di cambiare configurazione. Quindi lui ha
acquisito, sa quello che deve fare e continua a farlo a meno che la plasticità
non debba essere rinnovata per qualche ragione e a questo punto quello che
avviene è la distruzione di queste perineuronal nets che si vanno
riformando, quindi veramente c’è un grandissimo fascino nell’interazione
tra interneuroni e cellule piramidali e anche tra un interneurone e un altro
interneurone.

2) L’altra popolazione di cellule PV+ sono le cellule a candelabro che


fanno sinapsi con il segmento iniziale dell’assone delle cellule piramidali e
quindi regolano la sincronizzazione delle cellule piramidali, il firing delle
stesse. L’insieme delle cellule a canestro e delle cellule a candelabro
rappresenta i primi attori nella patogenesi della schizofrenia .

Cosa accade se voi prendete una corteccia prefrontale di un soggetto affetto


da schizofrenia? Ebbene trovate una disfunzione dei neuroni PV+, quello
che succede costantemente è una riduzione dell’espressione di
parvalbumina che ovviamente è un marcatore di queste cellule. Quindi, se
prendete un anticorpo contro la parvalbumina per dosarla e vedete che ce ne
è meno, significa che i neuroni diventano disfunzionali.
La parvalbumina è una proteina che tampona il calcio, quindi quando ce n’è
di meno, queste cellule diventano più vulnerabili agli effetti tossici del
calcio: tutto questo avviene nella schizofrenia e quindi si crea questa
interneuronopatia.
Vi faccio un’anticipazione che riprenderemo tra poco, queste cellule PV+
sono ricchissime in recettori NDMA: così come i recettori 5HT3 li trovate
nelle cellule che originano dalle porzioni caudali delle eminenze
ganglionari, i recettori NDMA sono enormemente espressi nelle cellule
parvalbumina positive.

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Attenzione, ricordare quello che abbiamo detto la volta scorsa: i recettori
NMDA si attivano in condizioni di depolarizzazione e questo, ad
esempio, avviene nel paradigma di apprendimento associativo.
Normalmente c’è il magnesio all’interno del recettore NMDA e quindi il
recettore NMDA non funziona; ci vuole la depolarizzazione affinché il
magnesio vada via dal canale e il recettore entri in funzione. Le cellule PV+
sono cosiddette fast spiking, hanno questa caratteristica assolutamente
peculiare per cui hanno un ritmo di scarica molto elevato e quindi sono
depolarizzate per la maggior parte del tempo, il che significa che i recettori
NMDA sono quasi costitutivamente attivi, cioè funzionano sempre perché
il magnesio si stacca sempre dal canale. I recettori NMDA sono quindi
fondamentali per la funzione delle cellule PV+, che è quella di modulare le
oscillazioni di network del SNC e probabilmente lo fanno inibendo
direttamente le cellule piramidali e inibendo altri interneuroni che a loro
volta inibiscono le cellule piramidali; quindi, accendono-spengono-
accendono-spengono e questo avviene con una frequenza elevatissima.
Considerate poi che gli interneuroni sono attivati dalle cellule piramidali,
quindi esiste questo circuito locale, che ad alta efficienza, permette di
oscillare con una frequenza tra 30 e 90 Hertz, che è la frequenza gamma, e
questa frequenza gamma è fondamentale per la sfera cognitiva.
Considerate che la schizofrenia è una patologia della sfera cognitiva. Sì, c’è
il delirio, le allucinazioni la disorganizzazione del pensiero e tutto, ma il
cuore della patologia è rappresentato dalla disfunzione cognitiva e la
funzione cognitiva è mantenuta, generata e sostenuta dalle cellule PV+ che
sono fast spiking, queste cellule si attivano perché i recettori NMDA le
attivano.

Cominciamo a dare una informazione : i bloccanti dei recettori NMDA sono


farmaci potenzialmente psicotomimetici. Non potrebbe essere diversamente,
perché loro spengono i neuroni PV e quindi impediscono una delle funzioni
fondamentali della sfera cognitiva creando le premesse per la psicosi. In
particolare, mimano la schizofrenia i cosiddetti bloccanti lenti dei recettori
NMDA, che sono quei bloccanti che si infilano nel canale del recettore e
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mantengono il canale chiuso per lunghi periodi di tempo. Questi sono
rappresentati da un farmaco che si usa in ricerca MK-801, che ha dominato
la ricerca animale per tantissimo tempo, ma poi soprattutto da due farmaci
che invece sono entrati nel mondo del disordine di uso di sostanze, uno si
chiama fenciclidina o PCP o polvere d’angelo o pillola della pace, l’altro
si chiama ketamina che è una sostanza nata insieme alla fenciclidina e fa
parte del gruppo degli anestetici dissociativi.
Si tratta di sostanze utilizzate come anestetici perché nati con questo tipo di
finalità medica, che però poi al risveglio davano dissociazione della
personalità, questo è quello che dicono tutti e dicendo questo sbagliano,
perché in realtà si chiamano anestetici dissociativi perché creano
dissociazione nel pattern elettroencefalografico tra la neocorteccia e la
corteccia limbica, per questo si dicono dissociativi.
La ketamina la tratteremo in dettaglio quando dalla schizofrenia passeremo
alla depressione perché la ketamina è un nuovo farmaco antidepressivo
approvato sia dalla FDA che dall’Agenzia Europea dei medicinali, che ha la
capacità di agire molto bene nei soggetti che sono farmacoresistenti e
soprattutto nei soggetti che hanno una depressione severa. Ha una rapidità
d’azione che non è condivisa da altri farmaci antidepressivi, però tutte le
volte in cui i soggetti fanno uso di Esketamina intranasale hanno delle
manifestazioni psicotiche, che durano 2-3 ore e poi vanno via mentre
l’azione antidepressiva rimane; questo è testimonianza del fatto che
bloccando i recettori NDMA si hanno manifestazioni psicotiche e declino
cognitivo.
La stessa cosa avviene nelle encefalopatie autoimmuni in cui si formano
anticorpi anti-recettori NMDA. Le encefalopatie autoimmuni sono oggi un
gruppo di encefalopatie molto gettonate, ci sono laboratori in Italia dove
ricercano questi anticorpi: si formano anticorpi antinucleo, che hanno la
capacità di interagire con proteine intracellulari, e poi una serie di anticorpi
che agisce sulla superficie della cellula, tra cui gli anticorpi anti NMDA.
Individui che dovessero avere questi anticorpi generati da un tumore, da un
microcitoma, un teratoma ovarico o qualunque altro genere di tumore,
avrebbero declino cognitivo e crisi epilettiche, perché i recettori NMDA si

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trovano negli interneuroni inibitori, bloccandoli eccitate il SNC, e poi
psicosi.
Questo è successo con una bambina ricoverata dalla moglie del prof a
Catania con gravi manifestazioni psicotiche e crisi epilettiche totalmente
resistenti ai farmaci, una volta mandato il sangue all’istituto Besta di Milano
hanno trovato un altissimo titolo di anticorpi anti NMDA. È
importantissimo individuare queste patologie perché rimuovendo il tumore
che ha generato gli auto-Ab e facendo una terapia immunosoppressiva, che
viaggia attraverso l’uso di plasmaferesi, farmaci come il rituximab o
immunoglobuline in vena, si può risolvere realmente questa forma di
psicosi. Quindi, questo diventa importante da sapere da un punto di vista
clinico e suffraga l’ipotesi che i recettori NMDA devono funzionare
affinché ci sia una funzione cognitiva e non venga la schizofrenia.
Ovviamente questo ha stimolato un pochettino la clinica e si è pensato: per
poter curare la schizofrenia è possibile dare dei farmaci che attivano i
recettori NMDA? E in questo modo andiamo aldilà di tutti gli antipsicotici
utilizzati che invece sono bloccanti dopaminergici e serotoninergici. Questo
è stato tentato a più riprese e il farmaco più rappresentativo tra tutti questi
sviluppati si chiama BITOPERTINA, che purtroppo è stata un insuccesso.
È stato un farmaco su cui molti puntavano ed è un bloccante del
trasportatore ad alta affinità della glicina. Cosa c’entra la glicina col
recettore NDMA? Il recettore NMDA è un eterotetramero costituito da 4
subunità che possono essere GluN1 GluN2A-D e GluN3.
Le subunità GluN2 legano il glutammato, che è fondamentale perché il
recettore NMDA si possa attivare, mentre invece la subunità GluN1 lega la
glicina. La glicina è un co-agonista dei recettori NMDA, che senza glicina
non si attiva e questa è stata una rivoluzione culturale perché la glicina è
stata sempre considerata un neurotrasmettitore inibitorio, e in effetti ha i
suoi recettori inibitori, però quelli li trovate nel midollo spinale nelle cellule
di Renshaw e sono quelli che controllano la scarica nei motoneuroni. In tutto
il resto del SNC la glicina è prevalentemente eccitatoria, perché lega la sub
GluN1 dei recettori NMDA e senza di lei il recettore non funziona. La
glicina è stata scoperta da Philippe Ascher dell’ École Normale de Paris il
quale con i suoi collaboratori stava facendo un esperimento sul bancone,
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sono andati a mangiare e quando sono tornati hanno visto che le colture
cellulari sulle quali stavano registrando erano state spostate dalla donna
delle pulizie, uno di loro ha proposto di continuare a registrare comunque e
registrando ha visto che le correnti NMDA si erano amplificate ipotizzando
che con lo spostamento si sia stata rilasciata qualche sostanza nel mezzo dai
neuroni. Analizzando hanno scoperto che questa sostanza era la glicina, una
classica scoperta per serendipity.
La Bitopertina, che è un farmaco della Roche, è nata proprio per bloccare la
ricaptazione della glicina e fortificare cosi l’attivazione dei recettori NMDA
pensando in questa maniera di attivare i neuroni PV+ che sono difettivi nella
schizofrenia . Purtroppo, gli esperimenti non sono andati bene, il farmaco
ha funzionato benissimo nei modelli animali dando dei risultati promettenti
negli studi di fase2, mentre negli studi di fase 3 il farmaco non ha soddisfatto
gli end point primari; gli studi di fase 3 sono studi multicentrici
randomizzati con migliaia di pz e criteri molto rigidi, disegnati per reclutare
soprattutto soggetti con sintomi negativi quindi anedonici, con distacco
sociale, che si chiudono in se stessi.
Qualche autorità in psichiatria ha detto però che lo studio è stato disegnato
male perché molti soggetti che apparentemente avevano sintomi negativi in
realtà erano stati trattati precedentemente con neurolettici classici, come
l’aloperidolo, e se fate questo trattamento il rallentamento motorio e le
manifestazioni extra piramidali, che sono effetti avversi di questi farmaci,
possono a volte simulare sintomi negativi.
Quindi, quando si fa uno studio clinico di questo tipo va sempre distinto se
i sintomi negativi realmente lo sono o sono sintomi residui che derivano
dall’uso di antipsicotici, perché nella maggior parte dei casi i pz reclutati
sono dei pz cronici che hanno una storia di trattamento con questi farmaci.
Quando voi trattate pz schizofrenici con antipsicotici esiste una patomorfosi
da trattamento, la malattia non è più la stessa e il cervello diventa un cervello
che si modifica plasticamente all’uso cronico di farmaci antipsicotici;
questo è uno dei motivi per cui i farmaci in esame non funzionano negli
studi clinici.
Il recettore NMDA è accoppiato funzionalmente ad un recettore
metabotropico del glutammato, che si chiama recettore mGlu5. Questi due
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recettori viaggiano sempre insieme, vengono uniti fisicamente per mezzo di
proteine scaffolding, che sono le proteine PSD-95, SHNK e proteine Homer
e l’uno aiuta l’altro: mGlu5 facilita la rimozione de magnesio dal canale
NMDA, il recettore NMDA blocca la desensibilizzazione del recettore
mGlu5 e i PAM del recettore mGlu5 sono in fase di sviluppo per il
trattamento della schizofrenia. Tuttavia, sono ancora abbastanza lontani
dalla clinica, ma è una via da seguire ed è interessante che rientri nel
discorso dei recettori NMDA .
Quindi recettori NMDA sono fondamentali per questa patologia, perché
sono costitutivamente attivi negli interneuroni e voi dovete supportarne
l’attività perché gli interneuroni PV+ sono disfunzionali nella schizofrenia.
Genetica della schizofrenia
Nella schizofrenia la genetica ha un ruolo importante. Se fate la concordanza
tra i gemelli monozigoti trovate dei valori che superano l’80%, quindi
familiarità e genetica ci sono. Questo è diverso rispetto alla depressione
maggiore, dove la concordanza tra gemelli monozigoti è soltanto il 50%. La
schizofrenia in questo senso è più simile al diabete tipo II che ha una grande
familiarità, invece la depressione è più simile al diabete tipo I che nonostante
i polimorfismi dell’HLA è una patologia in cui la familiarità incide in
maniera molto più limitata.
GWAS e next generation sequencing. GWAS significa genome-wide
association study e prende in considerazione il genoma nella sua vastità
associandolo a patologie. Next generation sequencing sono tutte le tecniche
che permettono di collegare geni e trascritti a una determinata patologia.
Trovate tantissimi lavori in letteratura dove la creatività lascia il posto alle
skills dei biofisici, bioingegneri e biostatistici, i quali riescono a collegare
geni nella maniera più strana possibile, creando tutti collegamenti tra i vari
pathway di segnalazione delle cellule e alla fine non concludono niente. Nel
momento in cui ti dicono GWAS ha identificato 50 geni che possono essere
associati alla schizofrenia e un altro lavoro te ne identifica 30 che non
necessariamente si sovrappongono a questi vuol dire che c’è un rumore di
fondo molto alto e non avete un segnale che vi dice realmente se un gene è
collegato alla schizofrenia oppure no.

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Nella schizofrenia genetica e epigenetica si fondono, il rischio poligenico
di ammalarsi di schizofrenia si struttura in quei pz che hanno early life
events cioè ad esempio che hanno restrizioni di crescita intrauterina, che
sono piccoli per l’età gestazionale, bambini prematuri in cui la mamma ha
avuto qualche problema, di tipo infettivo, stress in gravidanza, può avere
fatto uso di sostanze es. psicostimolanti compresa la sigaretta che costringe
i vasi placentari, ed è proprio lì che genetica ed epigenetica si combinano.
Se mi chiedete quale è il gene della schizofrenia, non vi so rispondere;
mentre se mi chiedete se la schizofrenia è una patologia in cui l’epigenetica
ha un ruolo importante, vi dico sicuramente sì e anche i modelli animali ci
dicono questo, nel senso che se fate un modello di stress prenatale nel topo,
il topo poi presenta delle caratteristiche riconducibili a quelle del fenotipo
schizofrenico nell’uomo.
Ci sono dei geni tanto associati alla schizofrenia?
Indipendentemente dai dati di GWAS e next
generation sequency, c’è addirittura una
sindrome responsabile di una certa percentuale di
casi di schizofrenia. L’1 % dei soggetti
schizofrenici possono la sindrome di DiGeorge
da delezione 22q11.2 (foto), detta sindrome
anche velo-cardio-facciale. È causata da una
microdelezione che interessa il cromosoma 22, la
delezione è di 3Mb (megabasi) ed in un solo cromosoma, quindi una
situzione di emizigosi, e in queste 3Mb trovate circa 106 geni. L’incidenza
è di 1 caso su 4000, più o meno nella frequenza dell’X fragile, ma se andate
a valutarla in utero – perché poi ovviamente c’è un tasso di mortalità - avete
una frequenza di 1 su 1000 quindi si manifesta abbastanza frequentemente.
Questi bambini hanno delle anomalie cardiache, dismorfismi facciali di
vario tipo, ipoplasia del timo e quindi problemi a carico del sistema
immunitario, ipoparatiroidismo, anomalie scheletriche e schizofrenia.
L’1% dei soggetti schizofrenici sembra rientri in questo tipo di patologia.
La prevalenza di schizofrenia è dell’1%, l’1% di questo 1% sono pz con
sindrome di DiGeorge.

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Quali geni ci sono lì che possono giustificare questo? Intanto TBX1 che è
un homeobox e gli homeobox sono geni fondamentali per lo sviluppo; poi
c’è il gene che codifica per la prolina deidrogenasi, enzima coinvolto nella
sintesi del glutammato.
Il glutammato ha diverse vie biosintetiche, quello coinvolto nella
neurotrasmissione viene prevalentemente dalla glutammina ad opera di un
enzima che si chiama glutaminasi, ma il glutammato si può formare da tante
altre cose per esempio dall’alfa-chetoglutarato, ed in questo caso
rappresenta un prodotto collaterale del ciclo di Krebs, oppure può formarsi
dalla prolina ad opera della prolina deidrogenasi. Nella schizofrenia è
interessante come il rapporto tra trasmissione eccitatoria e inibitoria venga
alterato, e la sindrome di DiGeorge ci dà questa indicazione interessante.
Un altro gene che si trova in quella parte deleta del cromosoma è quello che
codifica per la COMT, che abbiamo incontrato nella malattia di Parkinson
cioè catecol-ossi-metil-transferasi, questo è il gene che trasforma il
DOPAC, metabolita della dopamina, in HVA o acido omovanillico.
La COMT è anche in grado di metabolizzare la levodopa trasformandola in
metildopa e gli inibitori delle COMT vengono utilizzati nella malattia di
Parkinson. Il fatto che ci sia il gene della COMT in questa porzione deleta è
estremamente importante. Esiste un polimorfismo della COMT che è un
polimorfismo metionina158valina e lo potete anche chiamare
metionina108valina perché in realtà è la stessa cosa in quanto la COMT può
essere presente nel citosol (108) o ancorata alle membrane ed in questo caso
ha 50 amminoacidi in più che servono per ancoraggio quindi la posizione
158 corrisponde alla posizione 108 a seconda che voi consideriate l’enzima
di membrana o l’enzima citosolico. Quando avete una situazione valina-
valina avete una COMT che funziona di più ed in questo caso avete una
predisposizione alla schizofrenia, il motivo sarà chiaro dopo. Pensate
addirittura che in bambini che fanno uso di cannabis prima dei 15 anni di
età e che hanno valina-valina in posizione 158 l’OR 10, ovvero il rischio
relativo di sviluppare schizofrenia, è circa 10 cioè 10x superiore a quello
della popolazione normale. Questo polimorfismo della COMT non è così
infrequente, forse presente nel 25%, quindi attenzione all’uso della cannabis
nei ragazzini.
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Facendo un confronto tra la sindrome di DiGeorge e questo polimorfismo
ci si potrebbe chiedere: come è possibile che entrambe le cose conducano
alla schizofrenia, considerando che la sindrome di DiGeorge ha una
delezione del segmento che contiene la COMT, e quindi c’è un’emizigosi,
la COMT è mancante in un allele, mentre nel caso del polimorfismo, c’è una
COMT che funziona di più? Il risultato è lo stesso perché la COMT deve
funzionare in quel modo, se abbiamo una COMT che funziona di più si
metabolizza più dopamina nel sistema mesocorticale e questo predispone
alla schizofrenia; se manca il contenuto di un allele abbiamo una COMT
difettiva, avete più dopamina nel sistema mesolimbico e avete più sintomi
positivi della schizofrenia, quindi in entrambi i casi voi potete trovare una
giustificazione a questo tipo di discorso. Questo è il primo polimorfismo che
noi prendiamo in esame, ed abbiamo preso in esame anche una patologia
vera e propria cioè la sindrome di DiGeorge che è una forma di schizofrenia
a tutti gli effetti.
Un altro gene coinvolto è KMO – chinurenina deidrogenasi - qui entriamo
in un tema molto caro al Sant’Andrea perché il prof. Simmaco ci sta
lavorando tanto, insieme alla sua collaboratrice Luana Lionetto- .
La via delle chinurenine è una via metabolica del triptofano che è alternativa
alla sintesi di serotonina, ma quantitativamente molto più importante. La via
comincia quando 3 enzimi che si chiamano triptofano deidrogenasi (TDO)
e indolamina deossigenasi (IDO1 IDO2) metabolizzano il triptofano, aprono
l’anello pirrolico del triptofano e formano la formilchinurenina, che viene
trasformata immediatamente in chinurenina.
La chinurenina è il primo metabolita, in particolare la L-chinurenina, che si
viene a formare. La chinurenina si trova ad un crocevia: può essere
transaminata e trasformata in acido chinurenico o in alternativa può essere
trasformata dalla KMO in 3-idrossi-chinurenina, che continua ad essere
metabolizzata, finché non si forma l’acido chinolinico.
Quindi voi avete due possibilità, o la chinurenina viene convertita in acido
chinurenico o continua nella sua branca verticale del metabolismo e viene
trasformata in acido chinolinico .

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L’acido chinurenico è l’antagonista del recettore NMDA ed in
particolare blocca il sito della glicina, al contrario l’acido chinolinico è un
agonista dei recettori NMDA che attiva il sito del glutammato. Quindi è
interessante che questa via possa generare due metaboliti che sono
mutualmente esclusivi, nel senso che la chinurenina trasformata in acido
chinolinico non può essere più trasformata in acido chinurenico e viceversa.
L’acido chinurenico blocca i recettori NMDA e l’acido chinolinico
invece li attiva .
La KMO è l’enzima più importante della via ed è difettiva nei soggetti
schizofrenici, quindi, la chinurenina non può essere trasformata in 3-
idrossi-chinurenina e viene tutta transaminata in acido chinurenico.
L’effetto finale sarà che l’acido chinurenico aumenta, viene bloccato il
recettore NMDA e ricordate che se voi inibite il recettore NMDA
predisponete alla schizofrenia, perché i neuroni PV+ non vengono più
attivati. Oltretutto, non si forma acido chinolinico e in questo modo si toglie
di mezzo un agonista diretto del recettore NMDA . Quindi la ridotta attività
della KMO, che voi vedete geneticamente nei soggetti schizofrenici, e
potete facilmente verificare nel cervello dei soggetti affetti da schizofrenia,
per es nella corteccia cerebrale, si sposa perfettamente col ruolo del recettore
NMDA perché voi avete un’eccessiva produzione di un bloccante del
recettore che è l’acido chinurenico una ridotta produzione di un agonista che
è l’acido chinolinico.
Abbiamo ancora un’altra mutazione che è estremamente interessante, che
riguarda un binomio, che è ErbB4, che è un recettore che funziona a tirosin-
chinasi, ed il suo ligando, la neoregulina1.
Quando sentite parlare di ErbB fate riferimento ai recettori per la famiglia
delle EGF, molto importanti ad esempio nelle neoplasie polmonari;
ricordate che ci sono degli inibitori del recettore ErbB1, sono importanti per
il carcinoma della mammella, perché abbiamo ErbB2 e si usa il trastuzumab,
quindi è abbastanza importante che noi adesso cerchiamo di capire di cosa
si tratta qui.
I recettori della famiglia delle EGF si dividono in recettori ErbB1-B2-B3-
B4. Il primo è il più popolare di tutti, il recettore ErbB1 è quello che risponde
alle EGF cioè al fattore di crescita dell’epidermide, ma è anche attivato dal
37
TGF-, è attivato dalle amfireguline, dalle epireguline, che sono attivatori
simili all’EGF. Non so se ricordate che nell’ovaio queste sostanze simili
all’EGF svolgono un ruolo locale nella maturazione del follicolo. I recettori
ErbB1 sono recettori a tirosin-chinasi fondamentali per la crescita di diversi
tessuti dell’organismo e sono importanti per i tumori, es nel k polmonare
non a piccole cellule, proprio perché gli inibitori delle tirosin-chinasi ErbB1
vengono utilizzati nella target therapy.
ErbB2 funziona da solo, non ha ligando, e ha una forte attività tirosin
chinasica costitutiva: cioè è un recettore costitutivamente attivo senza che
nessun vada lì e si comporti da agonista. ErbB2 è importante per il
trastuzumab, anticorpo monoclonale utilizzato nel trattamento del
carcinoma della mammella quando il k è ErbB2+.
ErbB3 non ha attività tirosinchinasica, quindi, di per sé non può funzionare
e per poterlo fare deve formare un eterodimero con ErbB4. Questi recettori
sono attivati dalle neoreguline da 1 a 4; sono una famiglia di proteine
transmembranali di cui si conoscono 6 isoforme. Normalmente attraversano
la membrana plasmatica e sono associate alle vescicole sinaptiche di tipo
glutammatergico, quindi sono proteine espresse dai terminali
glutammatergici che ritroviamo non soltanto tra una cellula piramidale e
un'altra cellula eccitatoria, perché le cellule piramidali comunicano anche
tra di loro, ma li troviamo anche nei terminali tra una cellula piramidale con
un interneurone inibitorio.
Vi ricordate quanto è importante il controllo del neurone inibitorio da parte
del neurone eccitatorio? La scorsa volta vi ho detto che tra i vari meccanismi
nell’arco dell’ontogenesi c’è la morte per apoptosi degli interneuroni
inibitori e muoiono solo quegli interneuroni inibitori che non vengono
stimolati.
I recettori ErbB4 e la neoregulina 1 che è il suo ligando sono
fondamentali per i meccanismi di sviluppo. La neoregulina viene tagliata
e la parte che si stacca interagisce col recettore ErbB4, scatta l’attività tirosin
chinasica e questo fa sviluppare la trasmissione eccitatoria e inibitoria
all’interno del sistema nervoso centrale. È anche fondamentale per
l’espressione dei recettori al GABA, per quelli NMDA – quindi ritorniamo
ai recettori NMDA e agli interneuroni – ed è essenziale questo binomio
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anche per l’espressione dei recettori nicotinici per acetilcolina, che sono
fondamentali anche loro nelle oscillazioni di network e svolgono un ruolo
importante nella migrazione degli interneuroni.
Il processo di migrazione degli interneuroni è estremamente affascinante e
gli interneuroni, ricordate, migrano prima tangenzialmente e poi
verticalmente, poi il tragitto cambia a seconda del tipo dell’interneurone,
perché gli interneuroni PV+ popolano la corteccia con un meccanismo
inside out cioè da dentro a fuori mentre invece quelli che originano dalle
porzioni caudali popolano la corteccia con meccanismo outside in, quindi
questo è estremamente interessante, perché ErbB4 e neoregulina 1
entrano a pieno diritto nella genetica della schizofrenia e lo fanno
proprio perché regolano la maturazione degli interneuroni.
Poi abbiamo un'altra proteina il cui gene è stato coinvolto nella schizofrenia
che si chiama DISC-1, il cui gene si trova nel cromosoma 1q42, braccio
lungo del cromosoma 1. Questo è un gene fondamentale che regola la
proliferazione cellulare, il differenziamento e la migrazione.
È collegato ad alcuni geni importanti, per esempio, al gene LIS1 che è il
gene della lisencefalia, è collegato alla fosfodiesterasi4b che è una
fosfodiesterasi dell’AMPc ed è collegato ad una proteina che si chiama
NUDEL che si trova nel centrosoma e regola il centrosoma, l’apparato dei
microtubuli, il movimento delle cellule. DISC1 è fondamentalmente
coinvolto nella migrazione di queste cellule che poi devono raggiungere il
loro bersaglio.
Poi tra gli altri geni che sono coinvolti c’è il BDNF che è una specie di
elemento universale che trovate nella depressione del tono dell’umore. Gli
antidepressivi elevano i livelli di BDNF che è una neurotrofina, cioè
appartiene alla stessa famiglia dei fattori di crescita del nervo NGF, ma è
una neurotrofina molto più importante del NGF, perché NGF sostiene la
sopravvivenza solo dei neuroni colinergici, mentre invece il BDNF è un
fattore di sopravvivenza di tutti i neuroni, fattore che ha un ruolo chiave
nella plasticità sinaptica e fattore coinvolto nell’azione antidepressiva della
chetamina, della vortioxetina e di tutta una serie di sostanze antidepressive.
Il BDNF ha un polimorfismo che si chiama valina66metionina. I soggetti
che hanno la metionina esprimono meno BDNF, quindi non è tanto il fatto
39
che la proteina funzioni di meno, quanto che la trasformazione di pro-BDNF
in BDNF viene alterata. Il risultato finale è che c’è meno plasticità
sinaptica e ciò significa meno possibilità di strutturare i circuiti che in
ultima analisi sono responsabili delle oscillazioni di network e nello stesso
tempo anche meno sopravvivenza. Ricordatevi sempre che la schizofrenia è
una patologia degenerativa. Il prof la considera l’equivalente in psichiatria
della sclerosi multipla. I soggetti con metionina66 hanno anche
l’ippocampo più piccolo e hanno un deficit di memoria associativa,
ricordatevi che la disfunzione cognitiva è alla base della schizofrenia.
Il BDNF viaggia insieme alla depressione, perché nella depressione ne
trovate di meno nell’ippocampo, i farmaci antidepressivi nell’animale da
esperimento aumentano il BDNF nell’ippocampo, che nell’ippocampo
stesso ha azione antidepressiva. Il BDNF nella depressione si misura anche
nel plasma e i livelli aumentano nel caso della depressione trattata.
La relazione tra BDNF e depressione è complicata, perché se invece metti
il BDNF nel nucleo accumbens hai azione pro-depressiva, quindi, l’effetto
varia da regione a regione nel sistema nervoso centrale. Si può affermare
con certezza, comunque, che il BDNF supporta la sfera cognitiva perché è
fondamentale nei meccanismi di plasticità sinaptica.
Parliamo del fattore C4 del complemento: è mutato nella schizofrenia,
dove i livelli sono aumentati. La schizofrenia ha infatti una componente
infiammatoria rilevante. La neuroinfiammazione domina prima della
rivelazione della malattia, prima del FEP, dove ci sono alti livelli di
citochine pro-infiammatorie, come IL1 e IL6, che è grande protagonista
delle patologie neurologiche e psichiatriche. La schizofrenia è una patologia
dove la neuroinfiammazione diventa fondamentale. Qualcuno si chiederà
perché non dare antinfiammatori nella fase preclinica? Lo sapete, i più forti
sono i cortisonici ma i cortisonici possono creare psicosi, soggetti che fanno
cortisone per tanti mesi, perché hanno delle malattie autoimmuni molto
gravi, hanno disturbi del tono dell’umore e possono avere anche psicosi.
Quindi il cortisone ha un impatto molto pesante, perché ovviamente altera
tutta la regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e poi i recettori GR
ed MR, cioè ad alta e bassa affinità per i cortisonici sono presenti
nell’ippocampo. In realtà i cortisonici che si danno in terapia agiscono molto
40
più sui GR, mentre il cortisolo anche su MR; i cortisonici certo voi non li
potete dare a quei pz che clinicamente indicate come pz ad alto rischio per
evitare che arrivi il FEP (primo episodio psicotico). E se poi sono pz non
destinati a manifestare il FEP? Si fanno 2-3 anni di cortisonici con tutti gli
effetti avversi dell’universo senza che ci sia una ragione? Non si può fare.
Perché non diamo i Fans? Ci sono fans che agiscono bene nel snc, alcuni
molto potenti esempio l’indometacina, che può abbassare la soglia delle
convulsioni. Il prof odia i fans che oltre ad essere gastrolesivi danno
enteropatia da fans, poi sono tossici per il rene, sono tossici per il
meccanismo dell’aggregazione piastrinica, danno problemi cardiovascolari.
Allora diamo omega3 o sostanze che possono in maniera indiretta
migliorare l’infiammazione. Qualcuno pensa possa essere fatto ma ancora
non sappiamo come intervenire in maniera corretta.
Cosa succede nel momento in cui i neuroni PV+ non funzionano e si genera
lo scenario che porta poi all’iperattivazione delle cellule piramidali? Queste
cellule piramidali cominciano a scaricare senza regole conformi alle
oscillazioni di network e, per qualche strano motivo, osserviamo due
meccanismi: 1) iperattivazione del sistema mesolimbico e 2) ipoattivazione
del sistema mesocorticale. Quindi abbiamo i due principali sistemi
dopaminergici, che nella schizofrenia, operano in maniera opposta.
L’iperattività del sistema dopaminergico mesolimbico è correlata
normalmente ai sintomi positivi, mentre l’ipoattività del sistema
mesocorticale, cioè il minor arrivo di dopamina alla corteccia, si correla
maggiormente con i sintomi negativi e discognitivi. Questo è un problema
per la terapia, perché voi date farmaci che bloccano i recettori D2 della
dopamina, alcuni li bloccano per più del 90% alcuni tra il 45 e 55%, ma
sempre bloccanti sono. Gli unici farmaci che possono decidere se attivare o
bloccare i recettori sono i cosiddetti agonisti parziali, che sono tre, ma tutti
gli altri bloccano i recettori; il che vuol dire che fino a adesso la terapia
basata sui farmaci antipsicotici è una terapia che guarda molto di più ai
sintomi positivi rispetto che ai sintomi negativi e sappiamo dalla clinica che
la risposta nei confronti dei sintomi positivi è maggiore.
Il sistema mesolimbico è attivato direttamente dagli assoni delle cellule
piramidali che vengono dalla corteccia prefrontale. Il sistema mesolimbico
41
è fondamentale, perché è il sistema che programma il movimento affinché
si raggiunga la sorgente della ricompensa, infatti è il sistema attivato da tutte
le cosiddette droghe. Il sistema mesolimbico è il sistema che crea i nessi
associativi tra la ricompensa e l’elemento spaziale associato alla
ricompensa: se voi vi cominciate a bucarvi di eroina nel cortile di una chiesa,
anche se poi siete detossificati, passate la sindrome di astinenza, vi sentite a
posto ecc. se tornate nel cortile della chiesa avete un’immediata attivazione
del sistema mesolimbico, che vi da uno stimolo motorio per tornare alla
sorgente, in questo caso dell’eroina. Il sistema mesolimbico ha anche una
funzione di allontanamento dagli stimoli avversativi, quindi programma
anche il movimento nei confronti degli stimoli che vengono segnalati come
stressanti e allontanarsi da uno stimolo avversativo in fondo è una
ricompensa. L’ultima cosa che il mesolimbico fa ed è fondamentale è che
segnala la salienza, la caratteristica “piacevole” “appetitosa” di un elemento
che viene dal mondo esterno, che non significa però attribuzione della
salienza, perché la salienza viene attribuita dalla corteccia frontale e
dall’amigdala; la salienza è segnalata dal sistema mesolimbico poi è
elaborata da strutture più alte.

Nel pz depresso la segnalazione della


salienza è negativa, nulla è saliente, il pz
depresso non risuona con niente, la sua
vita è misera, perché non esistono cose
salienti, non esistono più ricompense. Il
tossicodipendente, invece, ha una
alterazione della salienza, che non è più
attribuita alle ricompense naturali, che
sono quelle che l’evoluzione ha
selezionato per la sopravvivenza
dell’individuo e della specie, per esempio
sesso, cibo, difesa del territorio,
comportamento materno, ma diventano salienti esclusivamente le droghe
che usurpano tutti gli aspetti della sfera cognitiva.

42
Nello schizofrenico, invece, la salienza viene attribuita a cose che non
hanno ragione di essere, che non hanno alcun tipo di significato
esistenziale, per esempio, se sono schizofrenico per me diventa saliente una
sedia che è davanti a me mentre vi sto parlando, e questa attribuzione
“falsa” della salienza è alla base di alcune manifestazioni che fanno
parte dei sintomi positivi e quindi del delirio.
Per quale motivo l’attività delle cellule piramidali che attiva il sistema
mesolimbico contemporaneamente inibisce il sistema mesocorticale? Non
si sa, probabilmente c’è un interneurone che fa da trait d’union tra un assone
delle cellule piramidali che raggiungono l’area ventrale del tegmento che è
la regione comune al sistema mesolimbico e mesocorticale, e i neuroni del
sistema mesocorticale. Se avete presente il mesencefalo e al suo centro
l’acquedotto di Silvio avete il cosiddetto tetto del mesencefalo, poi avete la
sostanza nera in basso e il tegmento si trova tra il tetto e la sostanza nera; la
VTA, o area ventrale del tegmento, o area 10, è costituita da neuroni
dopaminergici non melanici, che però formano il sistema mesolimbico e il
sistema mesocorticale, quindi le loro proiezioni o raggiungono il nucleo
accumbens o la corteccia cerebrale.
Per cui quello che accade è che arrivano gli assoni delle cellule piramidali
iperattive e attivano direttamente il sistema mesolimbico, e la salienza è
alterata, inoltre, portano ad una inibizione del sistema mesocorticale e il
sistema dopaminergico mesocorticale funziona di meno e questo è
all’origine dei sintomi negativi e dei sintomi discognitivi.
Questa è una delle ragioni per cui il polimorfismo della COMT (valina-
valina) aumenta il rischio di sviluppare schizofrenia, perché avere valina-
valina nella COMT significa metabolismo aumentato della dopamina e se la
dopamina, che nel sistema mesocorticale è già bassa, visto che il sistema
corticale sta funzionando di meno, con il polimorfismo di COMT che
metabolizza più dopamina, avete maggiori sintomi negativi e discognitivi e
questo vi predispone allo sviluppo della schizofrenia, ancora di più se voi
fate uso di cannabis quando avete meno di 15 anni.
Tutto questo perché i recettori CB1 che sono i recettori cannabinoidi del
sistema nervoso centrale si trovano nelle cellule CCK+, che sono cellule

43
basket di minore importanza rispetto alle PV+, tuttavia sono ricche di
recettori per i cannabinoidi e modulano le oscillazioni di network.
Normalmente i recettori per i cannabinoidi sono attivati dall’anandamide e
dal 2arachidonil-glicerolo, che sono i cosiddetti endocannabinoidi. Questi si
formano on demand, quando è necessario, ma quando si assume il THC,
questi recettori sono attivati in maniera indiscriminata e questo altera
l’attività oscillatoria dei neuroni corticali creando una psicosi
farmacotossica.
Se voi fumate hashish che ha il 25% dei principi attivi e quindi delirate,
finché la cosa non passa, oppure prendendo cannabis giornalmente la cosa
diventa insidiosa, questo THC si accumula nel snc e “se avete culo” non
succede niente, vuol dire che geneticamente siete protetti ed
epigeneticamente pure, se però questo non succede la cannabis diventa poi
fattore di rischio e slatentizza la psicosi.
Ricordatevi il problema della cannabis light perché ha meno dello 0,2% del
THC, ma c’è il cannabidiolo che è un inibitore abbastanza potente del
CYP3A4 che metabolizza il THC, quindi, anche se c’è poco THC nella
cannabis light in realtà è come se ce ne fosse di più, perché non viene
metabolizzato a dovere per la presenza del cannabidiolo. Solo il CYP2C9 lo
può metabolizzare, ma magari uno è metabolizzatore lento - CYP2C9*2*3
- , quindi anche con la cannabis light il THC si può accumulare nel SNC.
I recettori CB1 servono a una sola cosa nell’evoluzione, a farci mangiare al
di là della sazietà, perché cosi nei 4milioni di anni evoluzione dell’uomo,
dall’australopitecus all’uomo moderno, i periodi di carestia sono stati
affrontati, perché gli uomini primitivi grazie agli endocannabinoidi, quando
possibile, avevano delle “panze” abbastanza sviluppate e potevano fornire
substrato di energia quando non c’era possibilità di avere cibo dall’esterno.
I CB1 si trovano anche nei mitocondri, 15% nei neuroni,50% negli astrociti,
nel muscolo scheletrico, e quando gli endocannabinoidi si formano la
respirazione mitocondriale viene inibita così fondamentalmente c’è solo
accumulo, non c’è produzione di energia per spesa di energia.
Quello che i recettori CB1 fanno nel SNC è organizzare le oscillazioni di
network in modo tale da programmare i comportamenti che portano al
44
consumo di cibo. Agiscono nel sistema mesolimbico aumentando la salienza
del cibo, per esempio, anche un cibo che non viene considerato normalmente
appetibile, lo diventa. La corteccia prefrontale ha l’organizzazione delle
funzioni esecutive che poi portano in qualche misura al comportamento
alimentare o a trovarsi in situazioni in cui si può assumere cibo e in ogni
caso sono sempre attivati on demand.
Nel momento in cui vengono attivati senza necessità e in maniera
indiscriminata si perde la cosa più bella che ha il SNC che è la possibilità di
generare un segnale su rumore di fondo e questo porta alla slatentizzazione
della schizofrenia.
Terapia della schizofrenia.
Che cosa possiamo fare in terapia della schizofrenia?
Sperimentalmente potremmo frenare l’attività delle cellule piramidali, la
terapia reale invece utilizza solo due tipologie di farmaci cioè antipsicotici
classici/neurolettici classici e antipsicotici atipici o di seconda
generazione.
Per frenare l’attività delle cellule piramidali noi possiamo andare sul sicuro
ed inibire i recettori 5HT2A, che sono il bersaglio degli antipsicotici
atipici, quindi questo rientra a pieno titolo nel trattamento classico della
schizofrenia con i farmaci più largamente utilizzati in psichiatria. Gli
psichiatri utilizzano gli antipsicotici atipici molto più dei neurolettici
classici.
I recettori 5HT2A nella schizofrenia sono iperespressi, quindi ha senso
bloccarli e ciò si fa con gli antipsicotici atipici. Tutti gli antipsicotici atipici
sono dei potentissimi bloccanti dei recettori 5HT2A, solo uno li blocca poco
ed è la CARIPRAZINA, un altro che li blocca un po’ meno degli altri è la
QUETIAPINA; questi due farmaci vengono comunque utilizzati, ma hanno
affinità minore verso il recettore 5HT2A.
I recettori 5HT2A si trovano nelle fibre talamiche, le quali normalmente
eccitano i neuroni piramidali della corteccia cerebrale.

45
Quindi se ci sono delle cellule piramidali che stanno scaricando di più, per
la disfunzione degli interneuroni PV+, potremmo ridurre l’input talamico,
bloccando i recettori 5HT2A ed è quello che si fa con gli antipsicotici atipici.
I recettori 5HT2A nelle fibre del talamo, che hanno il compito di rilasciare
glutammato ed eccitare le cellule piramidali, hanno un partner rappresentato
dai recettori mGlu2 metabotropici del glutammato. Questi recettori formano
dei complessi eteromerici con i 5HT2A e fanno il contrario: innanzitutto
inibiscono il rilascio di glutammato, poi inibiscono la segnalazione, cioè i
meccanismi di trasduzione del segnale, di 5HT2A.
Quindi abbiamo due recettori messi l’uno accanto all’altro, in cui mGlu2 è
una sorta di freno; allora sulla base di questo dato, che è stato verificato in
diversi modi, si è pensato di attivare il recettore mGlu2 in alternativa
del blocco dei recettori 5HT2A e questo ha portato allo sviluppo di un
farmaco LY404039, utilizzato sottoforma di profarmaco orale
(POMEGLUETAD®) che è stato provato per la prima volta in un trial
clinico di fase 2 in Russia, dove il farmaco ha mostrato ottima azione
antipsicotica sia sui sintomi positivi che negativi, valutati con una scala che
si chiama PANSS – scala di valutazione dei sintomi postivi e negativi della
schizofrenia-.
Il farmaco ha mostratolo stesso effetto dell’olanzapina, uno dei farmaci più
efficaci tra gli antipsicotici atipici, però senza indurre aumento di peso e
senza qualunque effetto di tipo extrapiramidale, parkinsonismo
farmacologico ecc.
Quindi grandissimo entusiasmo, perché per la prima volta un farmaco
glutammatergico ha dato efficacia clinica in uno studio sulla schizofrenia.
Il recettore mGlu2, pur essendo un recettore per il glutammato, è un
recettore inibitorio accoppiato a proteina Gi, per questo frena il
recettore 5HT2A e inibisce il rilascio di glutammato.
Dopo questo studio che è stato pubblicato su Nature e di cui hanno parlato
tutti i giornali, sono stati fatti degli studi negli USA che hanno usato come
farmaco comparativo il Risperidone e purtroppo le cose sono andate male
perché il farmaco non ha confermato la sua efficacia mentre il Risperidone
sì. Questo ha fatto entrare nello sconforto tutti quelli che avevano prodotto
46
il farmaco e la Lilly ne ha terminato il programma di sviluppo. È uscita in
realtà una metanalisi su tutti gli studi del LY404039 nella schizofrenia ed i
dati sono stati confortanti perché la conclusione è stata che il farmaco era di
fatto efficace, però solo in sottopopolazioni di pz.
Bisogna ricordare che non esiste l’antipsicotico migliore ma quello più
adatto ad una determinata categoria di pz. Allora le sottopopolazioni di
pz che rispondevano a questo trattamento erano rappresentate dai pz earlier
disease, che sono quelli che avevano schizofrenia da meno di 3 anni e poi
pz che non avevano mai fatto uso precedentemente di farmaci bloccanti i
recettori 5HT2A (antipsicotici atipici). Quindi questi pz che avevano la
malattia da poco o quelli che non avevano mai fatto uso di antipsicotici
atipici rispondevano all’LY404039 e quindi all’attivazione del recettore
mGlu2, mentre quelli che avevano schizofrenia da tanto tempo oppure
avevano fatto uso di antipsicotici atipici non rispondevano e questo farmaco.
Questo fatto ha sollevato l’interesse in chi si occupa di ricerca di base, e ci
si è chiesti: perché un uso precedente di antipsicotico atipico blocca il
recettore 5HT2A, vanificando l’effetto di attivazione di mGlu2?
Nell’animale è stato dimostrato che il blocco prolungato del recettore
5HT2A downregola il recettore mGlu2, che cioè viene espresso di meno.
Questo è uno dei casi in cui la clinica si è sposata molto bene con la ricerca
di base e ci ha dato una spiegazione estremamente valida ed importante. La
downregulation di mGlu2 è reversibile, perché riconosce un meccanismo
epigenetico basato sulla desacetilazione, quindi se noi acetilassimo l’istone
in corrispondenza del promotore del gene GRM2, che codifica per mGlu2,
potremmo teoricamente ripristinare l’espressione. Questo potrebbe
realizzarsi con gli inibitori di HDAC - inibitori di istoni deacetilasi o con
farmaci acetilanti esempio acetilcarnitina. Se HDAC è stata bloccata il
recettore torna ad essere espresso, per l’acetilcarnitina ancora non esistono
evidenze.
LY404049 in realtà è un agonista ortosterico dei recettori mGlu2 e mGlu3,
quindi non attiva solo un recettore, ma ne attiva due. L’unico recettore al
glutammato i cui polimorfismi genetici sono associati alla schizofrenia
è il recettore mGlu3, che ha una marea di polimorfismi che si associano
con la schizofrenia e con i disturbi bipolari. Quindi questo recettore va
47
aggiunto alla lista di tutti i polimorfismi che devono essere presi in
considerazione.
È possibile frenare l’attivazione delle cellule piramidali attraverso un
recettore presinaptico che si chiama recettore mGlu4, che inibisce il rilascio
di glutammato. Questo recettore è attivato da un metabolita della via delle
chinurenine che si chiama acido cinnabarinico, che è agonista di questo
recettore mGlu4. Ebbene è stato dimostrato da poco che i livelli di acido
cinnabarinico sono ridotti nella corteccia dei soggetti affetti da
schizofrenia.
Nonostante tutti i nostri discorsi, tutti farmaci che oggi utilizzate in terapia
e che appunto si chiamano antipsicotici hanno i seguenti bersagli: possono
bloccare i recettori D2 della dopamina o possono agire come agonisti
parziali, il che vuol dire che o sono antagonisti puri o sono agonisti parziali.
In ogni caso quello che importa è la cosiddetta target occupancy, ovvero
quanti recettori sono occupati nel SNC.
In alcuni casi questa target occupancy è del 45-55%, come avviene nella
maggior parte degli antipsicotici atipici, in altri casi è più del 90%, come
avviene nel caso dei neurolettici classici, e in altri casi ancora avviene
intorno al 70-75% come con il RISPERIDONE e il PALIPERIDONE.
Quindi abbiamo diverse modalità di target occupancy da parte dei farmaci
antipsicotici.
Poi l’altro target assoluto sono i recettori 5HT2A che sono bloccati dagli
atipici con alta potenza. Poi all’interno del gruppo degli antipsicotici ci
sono degli elementi che servono a discriminarli tra di loro; per esempio la
CARPIRAZINA, che appartiene alla categoria degli agonisti parziali, ha
un’affinità straordinaria per il recettore D3 della dopamina; o ancora
l’OLANZAPINA, che è un bloccante con una affinità straordinaria nei
confronti dei recettori H1 dell’istamina, è un farmaco in grado di deprimere
il SNC; se voi fate l’olanzapina in formulazione retard e per sbaglio la date
ev anziché intramuscolo il pz va in coma per depressione del SNC, è
esplicitato addirittura nel foglietto illustrativo come fare l’intramuscolo
senza beccare la vena; o ancora LURASIDONE, nuovo farmaco
antipsicotico che ha un’alta affinità e blocca i recettori 5HT7, e questo
conferisce al farmaco la capacità di migliorare la funzione cognitiva.
48
Quarta lezione di farmacologia della psichiatria, 07/05/20

Farmaci antipsicotici
I farmaci che si usano per il trattamento della schizofrenia prendono il nome
di antipsicotici e si dividono in antipsicotici di prima generazione, anche
detti neurolettici classici, e di seconda generazione, noti anche come
antipsicotici atipici. Il termine neurolettico non è appropriato per i farmaci
di seconda generazione, anche se viene impropriamente usato. I neurolettici
classici danno la Sindrome da neurolettici con rallentamento del
movimento, alterazione dei riflessi complessi, però con mantenimento dei
riflessi spinali semplici. Questo è un tipo di sintomatologia che – come
vedremo – deriva largamente dal meccanismo di azione di questi farmaci e
non è condivisa dagli antipsicotici di seconda generazione. Oggi gli
psichiatri preferiscono largamente usare gli antipsicotici di seconda
generazione, perché nella triade sintomatologica della schizofrenia (sintomi
positivi, sintomi negativi, sintomi discognitivi), i neurolettici classici sono
molto efficaci nei confronti dei sintomi positivi – come delirio, allucinazioni
ecc. –, ma sono meno efficaci nei confronti dei sintomi negativi; anzi, le
manifestazioni extrapiramidali che possono dare a volte creano una
confusione di base con i sintomi negativi.
Vi ho detto, la volta scorsa, che in alcuni studi clinici sui sintomi negativi,
tipo quello della bitopertina – il bloccante della ricaptazione della glicina
(→ attivazione recettori NMDA) – che non ha soddisfatto gli end point
primari, ciò accade probabilmente per arruolamento di pazienti con
sintomatologia confusa con sintomi negativi, che in realtà sarebbero
manifestazioni di residui di precedenti terapie con antipsicotici di prima
generazione. Quindi i neurolettici classici hanno il loro placing therapy
nei confronti dei sintomi positivi, ma sono molto meno efficaci nei sintomi
negativi; al contrario degli antipsicotici di seconda generazione, che hanno
un meccanismo più corticale, funzionano in generale molto bene contro i
sintomi negativi, talvolta estremamente bene. Il tallone d’Achille di tutti
questi farmaci è l’effetto sulla sfera cognitiva.
I disturbi della sfera cognitiva erano considerati un endofenotipo della
schizofrenia, cioè qualcosa che si può cogliere dopo un’analisi molto
49
attenta, ma nella realtà si sono rivelati un core symptom della schizofrenia,
perché ancora una volta la schizofrenia è un’interneuronopatia, che
interessa soprattutto i neuroni parvalbumina positiva, cioè cellule a canestro
e cellule a candelabro, che hanno un ruolo fondamentale nelle oscillazioni
di network che sottendono tutti gli aspetti della sfera cognitiva. Tutto quello
che poi si vede è l’espressione fenotipica.
L’unico farmaco che tradizionalmente ha un piccolo effetto sulla sfera
cognitiva è la clozapina, che è di gran lunga il migliore dei farmaci
antipsicotici, ma purtroppo è un farmaco di seconda linea, perché ha un
profilo di sicurezza non favorevole, in particolare la mielosoppressione ne
limita l’impiego in modo marcato.
Non esiste un antipsicotico ottimale. La clozapina ha una storia a parte,
perché si dà in soggetti resistenti, è il migliore nei confronti di ideazione e
attuazione suicidaria, è un farmaco che ha un certo effetto sulla sfera
cognitiva. Se invece prendiamo in esame gli altri, non c’è un antipsicotico
migliore, ma ci sono diversi antipsicotici da usare secondo le circostanze.
Il mio suggerimento, in caso abbiate un dubbio, oppure, vi dovessero
chiedere se sia possibile fare un confronto tra questi farmaci, dovete
pensare: “per confrontare gli antipsicotici tra di loro, è fondamentale cercare
di capire la loro affinità nei confronti dei vari recettori” e i recettori presi in
considerazione sono tutti i recettori per le monoammine e i recettori per
l’acetilcolina, in particolare i recettori muscarinici.
Ci sono delle tabelle, che potete facilmente trovare in rete, dove sono
espressi i valori della costante d’inibizione dei recettori da parte dei farmaci
(↓k inibizione = ↑Affinità), più è alta l’affinità più è potente il farmaco. Vi
invito a diffidare delle tabelle così scritte, perché non vogliono dire
assolutamente nulla. La cosa che invece bisogna fare è mettersi con la
calcolatrice e cominciare a calcolare la concentrazione degli antipsicotici in
forma libera, cioè non collegata alle proteine plasmatiche, allo steady state,
che è la situazione in cui le concentrazioni plasmatiche sono abbastanza
stabili, perché idealmente l’assorbimento e l’eliminazione del farmaco si
equivalgono.
Vale la regola delle cosiddette cinque emivite, dopo le quali il farmaco
raggiunge lo steady state (questi tempi cambiano se si scelgono vie di
50
somministrazione più efficaci di quella orale). Raggiunto lo steady state,
bisogna calcolare la frazione libera del farmaco, fatto ciò la si esprime in
nM, quindi la confrontate la concentrazione libera con la tabella in cui sono
esposte tutte le affinità.
Esempio: Kinibizione di farmaco x su recettore y = 250 nM e la concentrazione libera del
farmaco allo steady state = 2nM, la probabilità che il farmaco recluti il
recettore sarà bassissima. Quando leggete le tabelle dovete rapportare la
costante d’inibizione con la concentrazione di farmaco libera nel sangue
allo steady state. Guardando una tabella del genere potete però osservare
una serie di cose interessanti.
Esempio: Olanzapina (Zyprexa) è un farmaco che viene molto usato, con
ottima azione antipsicotica e ha anche una formulazione a lento rilascio.
Guardando la tabella, l’Olanzapina ha un’altissima affinità per il recettore
H1 per l’istamina, di cui è un antagonista. La farmacologia millenaria ci
insegna che se bloccate H1 nel SNC inducete depressione del SNC, quindi
dando il farmaco può darci depressione del SNC – che potrebbe essere anche
un effetto desiderato. A un certo punto, potreste esservi stancati
dell’Olanzapina e decidere di fare uno switch verso – per esempio –
l’Aripripazolo, che ha i suoi vantaggi, ma immediatamente si manifesta una
certa agitazione erroneamente attribuita al nuovo farmaco, quando è invece
un effetto della sospensione dell’Olanzapina. Infatti, per molto tempo
avete bloccato i recettori H1 e questo ha portato a un aumento
dell’espressione, perciò, alla sospensione vi trovate in uno stato
iperistaminergico. Questo esempio è servito per dirci di prestare attenzione
alle azioni del farmaco su ogni singolo recettore, e di consultare le tabelle
con questo scopo in mente.
Modalità di switch, da un farmaco ad un altro:
1. Abrupt switch – passaggio ex abrupto da un farmaco ad un altro. Il
professore da farmacologo non lo consiglierebbe, perché il cervello si
è adattato a un trattamento cronico con un antipsicotico con il suo
profilo recettoriale, quindi bisogna dare la possibilità al SNC di
riadattarsi.

51
2. Taper switch – si fa un immediato inizio di un secondo antipsicotico a
dosaggio pieno, mentre, contemporaneamente, si inizia il décalage del
primo.
3. Cross-taper switch – si fa contemporaneamente un incremento
graduale della dose del nuovo antipsicotico e décalage graduale del
primo. Questa modalità è preferita rispetto alle precedenti.
4. Plateau cross-paper – è la stessa modalità che utilizzate nel
trattamento dell’epilessia, quando si ha un primo farmaco che non sta
funzionando molto bene e si decide d’inserirne un altro. Per fare ciò
aumentate progressivamente la dose del secondo, mentre mantenete la
dose del primo, fino al raggiungimento del plateau del nuovo farmaco
e solo allora si fa il progressivo décalage del primo farmaco.
Quando facciamo la terapia, dobbiamo tenere in considerazione la
comorbilità:
• Demenze, perché la psicosi può precedere o accompagnare una
manifestazione dementigena, per esempio, la malattia di Alzheimer. È
molto pericoloso dare a pazienti con manifestazioni simili farmaci che
determinano incremento ponderale (farmaci che danno incremento
ponderale considerevole sono: clozapina, olanzapina, risperidone,
paliperidone) che potrebbe determinare una S. metabolica con
insulino-resistenza, vasculopatia e rischio di problemi
cerebrovascolari.
• Disordine da uso di sostanze. I pz affetti da schizofrenia fanno un
uso spropositato di alcool, fumano tantissimo, possono fare uso di
cannabis, assumere psicostimolanti di varia natura (per esempio
cocaina). Il mio punto di vista, che vale zero, è che se c’è una
comorbilità tra uso di sostanze e schizofrenia (doppia diagnosi)
bisogna utilizzare agonisti parziali (Aripripazolo, Cariprazina,
Brexpiprazolo). Sarei più cauto a usare risperidone, paliperidone,
neurolettici classici tra cui il più famoso è l’aloperidolo.

52
Considerate anche che se c’è un uso di sostanze si può spingere il pz a
interrompere l’uso di sostanze. Questo, per esempio, avviene con il
fumo di sigaretta. Si potrebbe altresì osservare che alcuni individui
schizofrenici che fumano tanto, potrebbero trovare un giovamento dal
continuare a fumare, perché la nicotina attiva i recettori nicotinici
neuronali che sono importanti per la sfera cognitiva e le oscillazioni di
network. Nella mia esperienza con esseri umani, sospendere/cercare
di smettere di fumare nei soggetti ha un effetto peggiorativo sulla
patologia, è chiaro che dall’altra parte ci sono gli effetti avversi relativi
al fumo di sigaretta. Bisogna anche considerare che gli idrocarburi
policiclici presenti nel fumo sono potenti induttori del CYP1A2,
sono importanti induttori di tutta la famiglia dei CYP1. Il CYP1A2 è
il principale metabolizzatore della clozapina a dosaggio terapeutico e
ciò vuol dire che se si sospende l’abitudine al fumo la clozapina si
accumula e può raggiungere livelli di tossicità. Quindi, quando
utilizzate i farmaci antipsicotici e avete anche un disordine da uso di
sostanze, dovete: 1) considerare cosa accade nel disordine da uso di
sostanze e scegliere il giusto farmaco 2) tenere a mente le possibili
interazioni farmacodinamiche tra alcune droghe e antipsicotici
utilizzati in terapia.
Inizio del trattamento.
Il trattamento va iniziato il più precocemente possibile; idealmente, va
iniziato al momento della rivelazione della sintomatologia (FEP). Molto
spesso, però, il trattamento viene iniziato in ritardo, talvolta 1-2 anni dopo
il FEP. Più tardi si comincia e peggio è.
In particolare, perché gli antipsicotici atipici esercitano un’azione
neuroprotettiva, derivante da una serie di meccanismi tra cui il più
importante – secondo Nicoletti– è l’inibizione di GSK3β, enzima
fondamentale anche nei meccanismi di neurodegenerazione.
GSK3β degrada la β-catenina con il sistema ubiquitina-proteasoma, la β-
catenina promuoverebbe la trascrizione di alcuni enzimi che hanno una
53
funzione protettiva per la cellula. Inibire GSK3β significa risparmiare la β-
catenina, che può così promuovere la sopravvivenza cellulare. GSK3β
fosforila la proteina τ, fosforilare la proteina τ significa staccarla dai
microtubuli, creando le premesse per i cosiddetti grovigli neurofibrillari.
Il fatto che gli antipsicotici atipici inibiscano GSK3β è di grande
importanza.
Questo loro meccanismo dipende dall’attivazione della via della PI3K,
questo enzima fosforila AKT, AKT fosforila la GSK3β (in Ser9), inibendo
l’enzima. Due inibitori di GSK3β sono il Valproato e il Litio, che vengono
utilizzati nel trattamento del disturbo bipolare e il primo è anche un
antiepilettico. Questi due farmaci vengono utilizzati nella terapia della
schizofrenia in pz farmaco-resistenti e i farmaci antipsicotici possono essere
associati all’acido valproico. In questo caso si avrà un importante
incremento ponderale (in questo caso il paziente diventa un dirigibile).
Questo tipo di terapia aggiuntiva può creare situazioni di boosting farmaco-
dinamico che possono rivelarsi utili nel trattamento della malattia. Gli
antipsicotici atipici aumentano anche i livelli di BDNF (Brain-derived
neurotrophic factor), che è il più importante fattore neutrofico protettivo del
SNC e agisce sui recettori che si chiamano TrkB (pronuncia Track B), che
sono dei recettori TyrK, anch’essi in grado di attivare la via PI3K.
Abbiamo quindi diversi meccanismi che possono essere responsabili di
un’azione neuroprotettiva degli antipsicotici atipici, pertanto vanno
iniziati quanto prima.
Gli antipsicotici vengono principalmente somministrati per via orale, che
richiede aderenza al trattamento, ciò implica una certa consapevolezza -
insight - dello stato di malattia e quindi la decisione del pz di sottoporsi a
una cura. Non sempre questo avviene.
Nel caso di pz che non vogliono saperne della terapia, ci sono dei farmaci
che si possono dare senza la partecipazione consapevole del pz, come
l’Aloperidolo che è un farmaco incolore, inodore, insapore e si può mettere
nell’acqua. Questa strategia non fa parte del codice etico della Medicina,
perché non potete obbligare nessuno a fare un trattamento, salvo che non si
faccia un TSO.
54
Si può quindi optare per un LAI (long-acting injectable), una formulazione
depot. Questi farmaci andrebbero somministrati in fase di mantenimento,
perché lo somministrate per via intramuscolo e questo viene rilasciato
nell’arco di 15/30 giorni fino a 3/6 mesi in altri casi. Il problema è che non
c’è modo di rimuovere il farmaco dal pz: non avrete mai la clozapina LAI
per il rischio di mielosoppressione, miocardite eosinofila. Clozapina a parte,
gli altri antipsicotici hanno un discreto indice terapeutico. È veramente
difficile – anche se possibile – morire di overdose da antipsicotici.
C’è la possibilità di utilizzare LAI di prima generazione o di seconda
generazione: scegliete sempre i farmaci LAI di seconda generazione,
perché svolgono azione neuroprotettiva. I farmaci di prima generazione,
invece, come l’aloperidolo, in tutti gli studi in vitro e in vivo preclinici ha
evidenziato un’azione neurotossica. Questo è curioso, perché è un farmaco
molto utilizzato proprio per la sua efficacia, particolarmente nei confronti
dei sintomi positivi, tuttavia è un farmaco neurotossico.
Ricordate che la schizofrenia è una patologia neurodegenerativa con una
lunga fase preclinica, durante la quale la neurodegenerazione si sviluppa
interessando sia sostanza grigia che bianca con ampia neuroinfiammazione;
l’atrofia di sostanza grigia prosegue nel tempo. Non è errato parlare di
dementia precox – come l’ha definita Kraepelin – perché è come se fosse
una patologia degenerativa che si sviluppa in maniera insidiosa nel tempo,
anche con caratteristiche simili a quelle della Sclerosi Multipla con grande
infiammazione, ricadute e remissioni, poi un’evoluzione fino a una forma
progressiva. Un neurolettico classico è quindi efficace nel breve periodo,
ma nel lungo periodo l’effetto neurotossico diventa critico.
Quindi nella amministrazione dei LAI: scegliere un LAI di seconda
generazione e somministrarlo già dal FEP, non solo in fase di
stabilizzazione, dopo aver fatto terapia col farmaco orale. Ci sono dei LAI
che non richiedono trattamento di sovrapposizione con gli orali, altri
richiedono una fase di interregno, cioè si comincia con il LAI e
contemporaneamente si fanno 15 gg di farmaco orale. Quando il LAI entra
a regime la concentrazione plasmatica del farmaco è sempre all’interno della
finestra terapeutica, si evitano i picchi, l’aderenza è massimale.

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Questo è un cocktail ideale per la neuroprotezione, utilizzando antipsicotici
di seconda generazione.
Ribadisce che è sbagliato chiamare neurolettici atipici i farmaci
antipsicotici di seconda generazione (o antipsicotici atipici), non sono
neurolettici.
Neurolettici classici
I neurolettici classici si usano ancora perché fanno parte della tradizione
della Psichiatria. I neurolettici classici hanno due problemi principali:
effetti avversi extrapiramidali e iperprolattinemia.
Questi effetti avversi sono la conseguenza della target occupancy del
neurolettico classico, che ha come target principale i recettori D2 della
dopamina che vengono occupati in una percentuale >90%.
La clinica ci insegna che bloccare i recettori D2 della Dopamina >80%
avremo quasi sicuramente effetti avversi di tipo extrapiramidale, ad
esempio, il parkinsonismo farmacologico. Gli antipsicotici di prima
generazione non danno incremento ponderale o comunque ne danno meno
degli antipsicotici di seconda generazione, ma danno effetti avversi
extrapiramidali e c’è una comorbilità tra Parkinson e demenza. Quindi, dare
un neurolettico classico ad un paziente affetto da demenza, anche se rientra
nelle indicazioni del neurolettico, non va bene.
L’iperprolattinemia è completamente reversibile, ma non si sviluppa
tolleranza. Nel caso del parkinsonismo farmacologico c’è una certa
reversibilità: si cura con i colinergici, quindi si sostituisce il primo farmaco
con un antipsicotico di seconda generazione.
La situazione può diventare critica in caso di discinesie tardive (movimenti
involontari), che fanno sempre parte degli effetti avversi extrapiramidali,
che possono comparire sia durante il trattamento sia a seguito di sospensione
dei neurolettici classici, all’interno di una lunga storia terapeutica. Le
discinesie tardive possono perdurare per diverso tempo. Il parkinsonismo
puramente farmacologico è, dunque, reversibile, manifestazioni come le
discinesie tardive lo sono meno.

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Quando abbiamo studiato le discinesie da L-Dopa, c’erano pure le distonie
della fase off, che erano considerate parte delle LID (discinesie indotte da
L-dopa); invece nel caso degli effetti extrapiramidali dei neurolettici
classici, teniamo le distonie in una categoria a se stante, perché possiamo
avere distonie acute, che emergono anche dopo 2-3 giorni di trattamento e
possono essere mortali, mentre le discinesie tardive, che sono
principalmente linguo-bucco-masticatorie, emergono dopo mesi di
trattamento.
I farmaci neurolettici classici sono antagonisti dei recettori D2 con
target occupancy >90% ed hanno effetto blando sui recettori 5HT2a. Gli
antipsicotici atipici sono potenti antagonisti dei 5HT2a, alcuni meno potenti
come la cariprazina, ma in generale quasi tutti gli antipsicotici atipici hanno
affinità straordinaria per i recettori 5HT2a, che invece ha una inferiore
affinità per i neurolettici classici che bloccano con grandissima potenza i
recettori D2.
Cosa fanno gli atipici sui D2? Dipende. Alcuni farmaci bloccano i D2 con
una target occupancy > 70%, ma comunque oscilla tra il 70-75%, come
Risperidone e Paliperidone, che sono i più classici tra gli atipici. Ce ne sono
altri che hanno una percentuale di blocco molto inferiore, come per esempio
Clozapina, Olanzapina, Quietiapina: t.o. = 45-55%. Ce ne sono alcuni che
sono agonisti parziali, cioè attivano i recettori D2 ma con efficacia <
Dopamina, quindi si comportano da antagonisti se il tono dopaminergico è
molto alto o da agonisti se il tono dopaminergico è basso.
I neurolettici classici – come tutti gli antipsicotici – possiamo dividerli
in farmaci ad alta potenza e bassa potenza (Potenza =
Effetto/Concentrazione o dosaggio). I farmaci ad alta potenza agiscono a
dosaggi 1-20 mg/die (p.e. Aloperidolo) e in genere sono quelli che danno
maggiormente effetti piramidali.
I farmaci a bassa potenza si danno a dosaggi >25mg.
L’efficacia clinica all’interno dei neurolettici classici è quasi la stessa, in
genere però i farmaci a bassa potenza danno minori effetti extrapiramidali,
questo accade perché questi farmaci hanno un profilo recettoriale più
sporco. Ciò significa che questi farmaci possono bloccare i recettori α1
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adrenergici, i recettori H1 dell’istamina, i recettori muscarinici dell’Ach.
Con i farmaci a bassa potenza avete il Parkinsonismo farmacologico, ma
sarà meno importante rispetto ai farmaci ad alta potenza, che hanno un
profilo recettoriale più pulito e bloccano i D2 senza reclutare altri recettori.
Per esempio, bloccare i recettori α1 significa ovviamente ipotensione
ortostatica, bloccare i recettori H1 significa deprimere il SNC. In questo
caso entra in gioco il problema della doppia diagnosi, alcol e benzodiazepine
potenziano questa azione deprimente.
L’assunzione di alcool assieme a un farmaco antistaminico è problematica,
come lo è l’associazione tra farmaci antipsicotici e benzodiazepine,
entrambe le cose possono causare eccessiva depressione del SNC.
L’olanzapina – pur essendo di seconda generazione – ha un’altissima
affinità per i recettori H1, perciò, non si associa mai alle benzodiazepine.
Quindi fare sempre questo ragionamento quando si associano neurolettici
classici a bassa potenza e altre sostanze o olanzapina e altre sostanze.
Classificazione chimica degli antipsicotici di prima generazione.
• Derivati fenotiazinici
• Derivati tioxantenici
• Derivati butirrofenonici
• Derivati difenilbutildiperidinici
Derivati fenotiazinici
Fenotiazionico significa che avete due anelli
benzenici e al centro un anello ha un atomo di azoto
e un atomo di zolfo. L’atomo di azoto dell’anello
centrale ha poi una catena laterale, che può essere
Figura 1 - Derivati fenotiazinici
anche solo una catena carboniosa laterale ma deve
obbligatoriamente avere 3 atomi di carbonio. Se non
avesse 3C ma 2 atomi di carbonio, avreste un antistaminico. Questa
catena lineare può avere anche sostituenti piperidinici (si ha un anello ciclico
non aromatico con un atomo di azoto), oppure piperazinici (gruppo ciclico
con 2 atomi di azoto). Categorie di derivati fenotiazinici:
1. a catena lineare
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2. piperidinici
3. piperazinici
I primi due sono farmaci a bassa potenza, il terzo contiene i farmaci ad alta
potenza e sono anche disponibili in formulazione LAI.
Derivati fenotiazinici a catena lineare.
Cloropromazina (Langactil)
Prototipo. Ha fatto la storia. Cominciate con 25mg e
salite fino a 75mg e potete frazionare questo
dosaggio 3-4 volte die. È metabolizzata dal CYP2B6
(quasi tutti i farmaci antipsicotici di prima
Figura 2 - Clorpromazina
generazione sono metabolizzati da CYP2B6). Il
CYP2B6 è il più polimorfo del CYP con più 140
varianti alleliche e in base alle sue caratteristiche potete avere
metabolizzatori rapidi, ultrarapidi, intermedi. È ovviamente bloccato da
diversi farmaci e in particolare non bisogna associare la cloropromazina a
fluoxetina o paroxetina che sono due antidepressivi che lo inibiscono; come
sarebbe meglio non associarla alla fluvoxamina che, pur non essendo un
bloccante specifico del CYP2B6, blocca diversi CYP.
Levomepromazina (Nozinan)
È un farmaco molto simile. Il dosaggio è molto simile: 25-300 mg/die, in
questo caso c’è una escursione più ampia. È a catena lineare e un
antipsicotico a bassa potenza. È un inibitore del CYP2D6 e questo significa
aumentare i livelli dei farmaci normalmente detossificati dal CYP2D6,
come per esempio, la flecainide (usato nella Fibrillazione atriale). Poi ci
sono 3 farmaci che devono essere bioattivati dal CYP2D6: tramadolo
(trattamento del dolore), codeina (trattamento del dolore e della tosse),
tamoxifene (trattamento K mammella ormonosensibile). Il tamoxifene per
essere attivo deve essere trasformato in endoxifene. Il clinico non vuole
impedire l’attivazione dei farmaci che somministra, quindi tenere sempre a
mente queste interazioni farmacocinetiche.

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Derivati piperidinici
Tioridazina (Mellerin)
Esisteva anche nella forma Melleril retard,
formulazione orale a rilascio ritardato. Efficace ma
pericoloso, perché in caso di dosaggio eccessivo si
poteva avere allungamento del QTc. Dava anche
retinopatia e fotosensibilità severe. Non fa più parte
dell’armamentario della psichiatria.

Figura 3 - Tioridazina
Allungamento del QT
È un tema ricorrente nel discorso sugli antipsicotici. C’è chi sostiene che tutti gli
antipsicotici allunghino il QT, il che non è vero, ma molti lo fanno. L’aloperidolo allunga
un po’ il QT, così anche risperidone e pamperidone. Ziprasidone (Zeldox) dava
allungamento e pensa che sia stato ritirato dal commercio.

Periciazina (Neuleptil)
- Bassa potenza.
- Dosaggio 20-70mg/die.
- Metabolizzato da CYP2D6.
Derivati piperazinici.
Sono ad alta potenza e usati a dosaggi particolarmente bassi. Non creano il
problema del blocco off-target dei recettori 1, dei recettori muscarinici, di
H1. Potete stare abbastanza tranquilli con la depressione del SNC. Alta
potenza però significa maggior rischio di effetti extra piramidali e
particolarmente parkinsonismo farmacologico. Va da sé che danno tutti
iperprolattinemia.
Perfenazina (Trilafon)
4-8 mg/die al massimo 8-16 mg
Flufenazina

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La formulazione orale si chiama Anatensol (1-2mg), ma esiste anche
formulazione LAI: Flufenazina decanoato. Decanoato significa che il
farmaco viene esterificato a questo acido grasso (acido decanoico), la
funzione dell’esterificazione all’acido grasso è che il farmaco finisce in
circolo pian piano: viene somministrato nel gluteo, dove l’estere si idrolizza
e poi va in circolo gradualmente, così mantiene l’effetto per un mese. In
formulazione LAI si danno 25mg/mese.
Trifluoperazina (Modalina)
Dosaggio 1-4mg/die. Esiste esclusivamente in forma orale. In passato la
tripiperazina era unita alla tranilcipromina, che è un IMAO (Inibitore delle
monoossidasi irreversibile) e prendeva il nome di Parmodalin. L’IMAO è
un ottimo antidepressivo, ma che ci costringe a restrizioni dietetiche (effetto
formaggio di cui parleremo meglio quando parleremo della depressione).
Oggi antipsicotici e antidepressivi si possono usare insieme e un esempio
classico è il trattamento del disturbo bipolare nel quale si usano antipsicotici
largamente e possono essere combinati con antidepressivi. Quando date un
antidepressivo a un pz con disturbo bipolare dovete dare anche un regolatore
del tono dell’umore che sia il Lt o un antipsicotico o un antiepilettico; deve
esserci il regolatore del tono dell’umore, altrimenti trattate la depressione,
avete uno switch ed entra in fase maniacale.
Derivati tioxantenici
Detto questo, abbiamo la seconda classe clinica che
sono i derivati tioxantenici. I tioxanteni sono molto
simili alle fenotiazine. La differenza sta nell'anello
centrale, perché nei tioxanteni la catena che parte dai
Figura 4 - Tioxantene
tre anelli parte da un atomo di carbonio e non da un
atomo di azoto. È quindi una differenza chimica molto importante, ma dal
punto di vista nostro abbastanza banale. Ci sono anche tioxanteni a catena
lineare, che sono a bassa potenza. Il prototipo, quello che ha creato la classe,
si chiama Clorprotixene, farmaco che non trovate in commercio e quindi
ve lo dico semplicemente perché ha fatto la storia. Tra i tioxanteni non ci
sono dei derivati piperidinici a differenza dei fenotiazinici, però avete
derivati piperazinici. In commercio, abbiamo un derivato piperazinico – che
non viene utilizzato – che si chiama Clopixol (Zuclopentixolo decanoato).
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È un farmaco che voi trovate in commercio, sotto forma di LAI che dura
due settimane oppure in alternativa 400 mg, una volta al mese. Negli
appunti vecchi di psichiatria questi farmaci erano definiti formulazioni
Depot o formulazioni a lento rilascio ma cerchiamo di rendere tutti noi
moderni e chiamiamoli LAI, proprio perché sono i farmaci molto attuali
molto di moda nella terapia della schizofrenia. Fate una bella figura se vi
interroga uno psichiatra che fa tanta farmacologia (p. e. Brugnoli).
Derivati butirrofenonici
Aloperidolo
È il farmaco principe tra i neurolettici classici. Potete chiamarlo Haldol
o potete chiamarlo Serenase. Che tipo di farmaco è? È un derivato
butirrofenonico ad alta potenza, quindi l’aloperidolo vi dà un alto rischio di
effetti collaterali extrapiramidali, la prima cosa che dovrete prendere in
considerazione, però vi dà un basso rischio di depressione del sistema
nervoso centrale.
Può dare tanti effetti avversi extrapiramidali, però, nello stesso tempo ha
una capacità di deprimere cosa centrale limitata e per questo il suo indice
terapeutico è particolarmente elevato.

Il basso rischio di depressione del SNC dell’aloperidolo ha salvato un paziente da una terapia non adeguata. Ero studente in
medicina, utilizzando i privilegi di essere figlio del cattedratico di Neurologia, frequentavo molto in reparto di mio padre.
Facevo farmacologia, però seguivo anche la clinica in Neuro e una volta viene ricoverato in clinica un ragazzino affetto da
autismo. Adesso l'autismo si può curare con farmaci, soprattutto con farmaci antipsicotici. Ci sono anche delle prospettive
interessanti che riguardano i recettori del glutammato, interessano l'ossitocina. Si studia molto l'autismo e forse per certi versi
è una patologia un po' inflazionata oggi, ma lasciando perdere questo, all’epoca non c'era terapia. Da uno studio statunitense
veniva avanzata l’ipotesi di un trattamento con alti dosaggi di aloperidolo su bambini autistici. Questo trattamento veniva
tentato sul paziente autistico ricoverato in reparto. Mentre cenavamo, chiamano papà dalla clinica dicendo che il piccolo
paziente autistico era in stato soporoso. A me si è bloccato immediatamente il cuore. Siamo andati in clinica con mio padre e in
effetti il bambino aveva risposto così al dosaggio estremamente alto di Serenase, però poi alla fine non è successo nulla al
bambino. Se fosse avvenuta la stessa cosa con un antipsicotico a bassa potenza, ad azione antistaminica, le conseguenze
avrebbero potuto essere più molto più gravi. Per esempio, se fosse stato dato un sovradosaggio, in particolare, di Olanzapina,
che ha azione antistaminica straordinaria, chissà cosa poteva succedere per depressione del sistema nervoso centrale. Ma
questo fortunatamente all'epoca con l’aloperidolo non è accaduto. Questo per darvi un esempio di un farmaco che può
indurre tanti effetti avversi.

Uso
• Schizofrenia;
• Trattamento discinesie, cioè di movimenti involontari.

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o Teoricamente potete utilizzarlo nella corea di Huntington, un po'
come tutti i farmaci antidopaminergici di un certo rango, perché
le discinesie riflettono un’iperattività del sistema
dopaminergico.
Le discinesie tardive, come vedremo la prossima volta, vengono
fuori perché i recettori D2 vanno in super sensibilità, cioè
diventano più attivi quando voi fate un blocco continuo con i
farmaci antipsicotici.
• Disturbi del comportamento
• Disturbi della personalità
o Paranoide
o Istrionica
o Schizotipica
• Psicosi acuta, quindi, non soltanto nel trattamento cronico
• Delirium
Che cos'è il Delirium? Dobbiamo stare attenti alla definizione, perché
quello che noi chiamiamo delirio in inglese si chiama delusion. La
delusion è il nostro delirio nella schizofrenia: l'alterazione della logica
non corretta dalla critica. Il Delirium invece nella letteratura
anglosassone, ma anche ora nella nostra accezione, è uno stato
confusionale, un’alterazione acuta dello stato di coscienza che può
presentarsi con modalità ipercinetiche (il paziente può essere
agitato ed aggressivo), ipocinetiche (in cui il paziente ha una specie
di blocco motorio e nello stesso tempo entra in stato confusionale) e
poi c'è anche il cosiddetto Delirium misto (che può alternare delle
caratteristiche ipercinetiche a caratteristiche ipocinetiche). In questo
caso voi non potete utilizzare un anticolinergico, perché
l’anticolinergico dà il Delirium, dà la riduzione dello stato di
coscienza.

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Pensate alla scopolamina, con i compagni di Ulisse e la maga Circe.
Loro avevano uno stato confusionale accompagnato da allucinazioni,
per cui stavano lì, pensavano di essere dei maiali, di vedersi così.
Quello è un classico Delirium da anticolinergico. L’aloperidolo è
uno dei farmaci efficaci da questo punto di vista, perché non ha
attività anticolinergica intrinseca. Altri due farmaci utili sono
risperidone e paliperidone, perché hanno un’attività
anticolinergica molto ridotta rispetto ad altri farmaci.
• Demenze
L’ aloperidolo è un farmaco che non incrementa il peso corporeo, ma avete
l’induzione del parkinsonismo farmacologico. Parkinsonismo e Alzheimer
hanno diverse cose in comune, anzitutto sono delle proteinopatie, sono
delle patologie da misfolding proteico. Poi ci sono, come ricorderete, delle
patologie che stanno un po' a cavallo tra le due, come la demenza a corpi di
Levy, o ancora, potete avere il cosiddetto PVB, cioè il disordine di
Parkinson e demenza messi insieme. Alla luce di tutto questo trattare un
paziente, in età avanzata, che ha una patologia dementigena con
caratteristiche psicotiche con l’aloperidolo, significa trattarlo con un
farmaco che può indurre parkinsonismo farmacologico e con lo svantaggio
di non poter utilizzare mai un farmaco anticolinergico, perché altrimenti
viene fuori il Delirium e nello stesso tempo, comunque, si riduce la sfera
cognitiva e voi avete la demenza. Quindi dovete approdare in questo caso
ad un antipsicotico atipico.
Il delirium tremens è un Delirium ipercinetico. Il delirium tremens ha una
caratteristica un po' particolare, perché non è un delirio anticolinergico,
tanto per cominciare. Il delirium tremens è la forma estrema della sindrome
da astinenza da alcol. La sindrome d’astinenza da alcol comincia con delle
manifestazioni psichiatriche, più o meno evidenti, a partire da 6 ore dalla
sospensione dell'alcol, come per esempio la microzoopsia – si vedono
piccoli animali - si può sviluppare anche una tematica delirante, nel senso
di delusion, e poi cominciano le convulsioni. Dopo 48 ore, emerge il
delirium tremens, con crisi convulsive, con manifestazioni psichiatriche
drammatiche. Questo deriva dal fatto che i recettori GABA sono meno attivi
e i recettori NMDA sono più attivi, quindi è una sindrome da
ipereccitabilità. Il delirium è una situazione diversa. Quando parlate di
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delirium pensate sempre al soggetto anziano, che per trattamenti
anticolinergici o per altre ragioni a un certo punto va in stato confusionale,
quindi, le due cose non possono essere messe insieme.
Parlando di alcolismo, però, c’è lo spunto per parlare della sindrome di
Wernicke-Korsakoff. I soggetti che hanno alcolismo cronico – quindi non
la sindrome di astinenza – sviluppano una patologia che si chiama
Sindrome di Wernicke-Korsakoff, che è una patologia che dipende non
dall'alcol in quanto tale, ma dall’alterato assorbimento di vitamina B1
(tiamina), cioè ricorda un po' le caratteristiche del beri-beri. L’encefalopatia
di Wernicke è caratterizzata da alterazioni anatomofunzionale a carico
soprattutto del mesencefalo. La sindrome di Korsakoff è una sindrome
caratterizzata da demenza o manifestazioni psichiatriche; sono
caratteristiche tipiche le confabulazioni, dal latino cum fabula, significa
sostituire i ricordi con delle favole. Una delle indicazioni dell’aloperidolo è
il trattamento della S. di Korsakoff .
• Vomito
Non solo l’aloperidolo, ma anche altri antipsicotici a forte
componente antidopaminergica possono essere usati nel trattamento
del vomito. Per il trattamento del vomito, voi avete diverse opzioni.
Come sapete, se è il vomito è da chemioterapici voi utilizzate farmaci
5HT3 bloccanti, per esempio l’ondansetrone. Fate l’'associazione con
l’Aprepitant, bloccante dei recettori della sostanza P, e poi mettete il
desametasone. In altri casi, dove l'intervento è un po' meno
aggressivo, potete utilizzare la metoclopramide (Plasil) e questo è un
farmaco che blocca i recettori D2, è un farmaco che agisce
prevalentemente a livello gastrico e nella CTZ, cioè la zona grilletto
del vomito – al di fuori della barriera ematoencefalica nel tronco
dell'encefalo –, ma può anche attraversare la barriera ematoencefalica.
Se voi, per esempio, prendeste PLASIL per un lungo periodo di
tempo, potreste avere parkinsonismo farmacologico.
L’altro è il Domperidone, un antagonista esclusivamente periferico,
che si usa anche in associazione con levodopa, oppure quando usate
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la morfina in pompa nella malattia di Parkinson. Fate questo
trattamento col domperidone per evitare la nausea e il vomito.
Comunque, chi prende l’aloperidolo non ha bisogno di prendere
Plasil. Questo problema potrebbe nascere se per esempio voi state
facendo un trattamento con un antipsicotico atipico, che ha una scarsa
potenza sui recettori D2, viene una crisi di vomito per qualche motivo
e allora va dato il Plasil. Io darei senza alcun dubbio il domperidone
in questi casi, per evitare problemi.
Dosaggio e somministrazione
Se andate in scheda tecnica, trovate 2-20 mg/die, dosaggio particolarmente
alto, nel senso che a 20 mg con l’aloperidolo difficilmente ci si arriva. Io
direi da 2-10 mg e mantenervi assolutamente in questo range. Come dicevo,
l'aloperidolo si può dare in diversi modi.
• Gocce. Queste sono incolore, insapore e inodore, quindi teoricamente
– ancora una volta – se voi mettete le gocce di Serenase in un bicchiere
d'acqua, il paziente affetto da schizofrenia non se ne accorge. Questo
tipo di strategia non dovete seguirla mai perché è fuori legge.
Per l’aloperidolo abbiamo una formulazione LAI: l’Haldol Decanoas, che
si dà una volta al mese 50 mg. Se non è specificato in ricetta credo che il
farmacista sia obbligato a darvi il dosaggio più basso. I 50mg danno
difficilmente una copertura mensile, mentre 150mg la danno. Ancora una
volta, quando voi state un'iniezione LAI di aloperidolo non c'è verso di
toglierlo più. Ricordatevi che questo è un farmaco neurotossico e quindi
se voi avete in animo di utilizzare l’aloperidolo, per una delle condizioni che
abbiamo detto, fatelo ma per un breve periodo di tempo. Un breve periodo
di tempo sia per il rischio molto concreto di effetti avversi extrapiramidali,
che per la potenziale neurotossicità, la quale è stata largamente dimostrata
su neuroni in coltura, in modelli animali, dove se è vero che gli antipsicotici
atipici – per esempio – inibiscono la GSK3β – lui invece attiva GSK3β,
quindi fa degradare la β-catenina, fa fosforilare la proteina τ.
Inoltre, l’aloperidolo si accumula nel sistema nervoso centrale, quindi
produce questo effetto continuo e questo è un problema. È un farmaco molto
potente, molto utilizzato, quindi se voi lo utilizzate per dei periodi di tempo
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brevi va bene, ma se voi volete fare dei trattamenti molto prolungati è
sconsigliata, anche dai vostri docenti di psichiatria. A quel punto, siete
costretti a mettere l’anticolinergico per evitare il parkinsonismo
farmacologico e nello stesso tempo avete questa azione neurotossica.
La maggior parte dei medici sono un po' riluttanti a cominciare con il LAI,
perché prima si prova il farmaco orale e poi se il farmaco orale va bene si
parte con LAI. Oggi, però, la tendenza è quella di anticipare l'intervento del
LAI per quanto possibile; alcuni pensano di cominciare addirittura durante
il FEP. In effetti i LAI di seconda generazione non sono tossici, quindi,
l’unico pericolo è che il LAI di seconda generazione poi non dia l'effetto
sperato, quindi con un Aripriprazolo LAI o Paliperidone LAI varrebbe la
pena, ma molti medici preferiscono avere la certezza che il farmaco orale
stia funzionando. Con i LAI di seconda generazione, Olanzapina a parte che
se uno sbaglia deprime il sistema nervoso centrale, gli effetti avversi gravi
non ci sono. Per evitare gli effetti avversi si fanno prima dei controlli?
Allora, per l’aloperidolo, l'effetto avverso del LAI può essere il
Parkinsonismo. Io l'ho visto su una persona che conosco, cui hanno dato
direttamente un LAI 150 mg ed è rimasto marmorizzato. Gli è venuto un
parkinsonismo farmacologico nel giro di una settimana ed è rimasto così,
perché gli hanno dato il LAI, per cercare di tenerlo fermo.
Nel caso dei LAI di seconda generazione, invece, questo non avviene
normalmente, quindi sono farmaci molto più gestibili da questo punto di
vista, però ancora una volta molti psichiatri preferiscono prima utilizzare il
farmaco orale.
Derivati Difenibutilpiperidinici
Sono farmaci adesso non tanto utilizzati che hanno tre rappresentanti:
• Pimozide
• Fluspirilene
• Penfluridolo
Sono farmaci ad alta potenza. Fluspirilene e Penfluridolo non si usano.
Pimozide, invece, si usa ed è un farmaco molto simile all'aloperidolo come
effetto, perché l'aloperidolo è un monobutilfenilpiperidinico, mentre questo
è un difenilbutilpiperidinico; quindi, strutturalmente ci sono similitudini
67
importanti. La cosa importante però è che ha una lunga emivita, quindi, ha
una maggiore stabilità dei livelli nel plasma. Non esiste un LAI e viene dato
per via orale e a dosaggi inferiori a 10 mg.
Ricordo che la Pimozide veniva anche utilizzato nel trattamento della
sindrome di Gilles de la Tourette, che sapete essere caratterizzata da tics e
da coprolalia, cioè i bambini dicono brutte parole. In generale gli
antipsicotici possono essere utilizzati, però ancora una volta la pimozide
presenta il rischio di parkinsonismo farmacologico proprio perché è un
farmaco ad elevata potenza.
Gli antipsicotici di prima generazione possono essere utilizzati per il
trattamento del singhiozzo. Ovviamente parlo del singhiozzo incoercibile,
che voi non siete in grado assolutamente ricontrollare e che può durare
anche 2-3 settimane. Il farmaco anti-dopaminergico, soprattutto
l’antidopaminergico forte, può essere utilizzato da questo punto di vista.
L'unica cosa che vi dico sul singhiozzo è la possibilità che il singhiozzo
potrebbe dipendere, come se fosse una forma di epilessia focale. Vi
ricordo un pochettino la storia. Un cantante lirico – bravissimo peraltro –
era stato operato alla prostata e la lidocaina, utilizzata per l'anestesia, ha
raggiunto il sistema nervoso centrale. Quando un anestetico locale
raggiunge il sistema nervoso centrale può avere un’azione prevalente sugli
interneuroni inibitori e può dare manifestazioni da iperreattività che possono
essere anche convulsioni, cioè crisi epilettiche. Nella fattispecie, questo ha
cominciato a singhiozzare e non è riuscito più a controllare il singhiozzo in
nessun modo; soprattutto per un cantante rappresenta un problema. Allora,
si è fatta la riflessione che questo potesse riflettere un’epilessia focale, a
carico del centro che controlla le funzioni del diaframma, perché il
singhiozzo riflette i movimenti del diaframma che il cantante lirico usa
particolarmente, quindi, ovviamente il controllo del diaframma ha una sorta
di potenziamento sinaptico. È stato utilizzato in quel caso il pregabalin a
dosaggio bassissimo, sarebbe Lyrica, e il singhiozzo gli è passato all’istante.
Quindi, quando avete un singhiozzo intrattabile, usate l’antidopaminergico
se volete, ma valutate la possibilità che sia una manifestazione di epilessia
focale e date il pregabalin, che potrebbe essere magari un farmaco utile.
Questo farmaco peraltro è usato in psichiatria, per il trattamento del disturbo
68
bipolare, ha anche un’azione ansiolitica e poi il suo placing therapy, la sua
collocazione terapeutica principale, è nel trattamento del dolore
neuropatico, in particolare della neuropatia diabetica.
Quinta lezione di farmacologia della psichiatria, 12/05/20
Gli effetti avversi extrapiramidali, in ordine cronologico di comparsa sono: 
1.  DISTONIE ACUTE: possono essere abbastanza serie anche se
non sono molto frequenti; 
2. ACATISIA: è una specie di irrefrenabile bisogno di muoversi,
questi pazienti si muovono in maniera continua, è un disturbo molto
invalidante: ci sono stati casi di suicidio per acatisia, anche se non se ne
parla, (“ho sentito un talk di un americano il quale parlava di casistica di
suicidio in pazienti che hanno acatisia derivata da farmaci
antipsicotici’’). L’acatisia, non solo, si manifesta con i neurolettici
classici, ma anche con gli antipsicotici atipici.
Un farmaco che dà un’incidenza molto bassa di acatisia è
il brexpiprazolo: è il nuovo farmaco tra gli agonisti parziali (che adesso è
stato approvato negli USA sia per il trattamento della schizofrenia negli
adulti che il trattamento in terapia aggiuntiva per la depressione
maggiore) che per qualche ragione dà meno acatisia degli altri agonisti
parziali (aripiprazolo e cariprazina) anche la clozapina non dà
tanta acatisia anche se occasionalmente può presentarsi. 
L’acatisia può presentarsi anche con risperidone e paliperidone e a volte
con l’olanzapina, quindi, anche con antipsicotici di seconda generazione. 
L’acatisia rappresenta l’equivalente motorio dell’ansia: immaginate
una crisi d’ansia che si esprime col movimento, in realtà la fisiopatologia
dell’acatisia è ancora abbastanza sconosciuta, così come il trattamento,
che non è molto semplice, perché l’acatisia non si tratta con gli
anticolinergici (come avviene per esempio con il parkinsonismo
farmacologico).

Domanda studente: “La restless legs syndrome (RLS) è una forma


di acatisia?”

No, in realtà no perché la RLS può essere completamente indipendente


dall’uso di antipsicotici. Per esempio, nella RLS i farmaci antiparkinsoniani
funzionano: si dà Mirapexin (pamipexolo) ma non c’è necessariamente un
rapporto con il trattamento farmacologico.
69
Quindi a cosa risponde l’acatisia? Per esempio risponde ai betabloccanti.
Un farmaco che potrebbe funzionare è il propranololo, cioè l’Inderal.
Domanda studente: “Quindi parlando di acatisia si fa sempre riferimento
agli antipsicotici?”
Nella maggior parte dei casi sì, l’acatisia è classificata tra gli effetti
avversi extrapiramidali dei neurolettici, quando dico neurolettici faccio
riferimento ai neurolettici classici, però questo è limitativo perché anche
antipsicotici di seconda generazione o atipici possono dare acatisia; per
esempio anche con farmaci dove non ve l’aspettate, come gli agonisti
parziali (aripipraziolo e cariprazina), avete l’acatisia per il 14-15% dei
pazienti trattati, mentre il brexpiprazolo la manifesta meno, quindi nel
momento in cui il farmaco sarà lanciato sul mercato bisognerà fare leva su
questo aspetto, perché è un farmaco che dà meno acatisia degli altri, oltre
ad avere tutta una serie di caratteristiche interessanti come: miglioramento
sfera cognitiva, azione antidepressiva.
L’acatisia visto che è un equivalente dell’ansia potrebbe rispondere anche
alle benzodiazepine, anche se non sempre funzionano, ma comunque
rappresentano uno strumento terapeutico.
Ci sarebbe anche un’altra possibilità, che peraltro potrebbe spiegare anche
la mancata acatisia da parte del brexpiprazolo, ed è quello di attivare i
recettori 5HT1a (recettori serotoninergici associati a proteina G inibitoria),
che normalmente hanno il compito di tenere a freno l’attività dei neuroni del
rafe, soprattutto i neuroni più importanti serotoninergici del proencefalo,
che sono i neuroni del rafe dorsale. In parole povere: se voi considerate per
esempio il Buspirone (che è un agonista parziale dei recettori 5HT1A ) è un
farmaco ansiolitico, non benzodiazepinico.
Il brexpiprazolo ha un’alta affinità per i recettori 5HT1a quindi potrebbe
spiegare la mancanza di acatisia.
3. PARKINSONISMO FARMACOLOGICO: l’altro segno extra
piramidale che generalmente compare tra 1-2 mesi (ma che in realtà può
comparire in qualunque momento) è il parkinsonismo farmacologico.
Questo tipo di parkinsonismo è indistinguibile dalla malattia di Parkinson,
è caratterizzato da:
-rigidità
-tremori a riposo
-bradicinesia
Riflette, in realtà, il blocco dei recettori D2. Chiaramente i neurolettici
classici ad alta potenza come l’aloperidolo, trifluoperazina, perfenazina ecc.
70
sono quelli che danno maggiore parkinsonismo farmacologico, poiché il
blocco dei recettori D2 ha una target occupancy (saturazione nel SNC)
superiore al 90%, quindi è anche logico che sia così.
Fattori di rischio del parkinsonismo farmacologico:
• età: soggetti più anziani sono maggiormente predisposti
• sesso femminile: questa sembra essere una costante, nel senso che è
un fattore di rischio non solo del parkinsonismo farmacologico, ma anche
delle discinesie tardive.
• Uso degli antipsicotici di prima generazione: in particolare degli
antipsicotici ad alta potenza.

Domanda studente: “È bilaterale o, come per la malattia di Parkinson,


unilaterale?”
Può essere sia unilaterale che bilaterale, credo che più spesso sia
bilaterale, questo dipende da come i due gangli della base sono bilanciati
tra di loro. Se esiste uno sbilanciamento di lato, che fa parte della natura
del soggetto, ci possono essere anche segni monolaterali, altrimenti sono
bilaterali un po’ come avviene nella malattia di Parkinson: i neuroni della
sostanza nera degenerano in maniera abbastanza uniforme con l’età. Il
problema è se uno striato è dominante rispetto all’altro i segni unilaterali
vengono prima. Vi ricordate nella malattia i Parkinson, quando
il Parkinson è unilaterale la prognosi è migliore.

• Risperidone e paliperidone: sono antipsicotici di seconda generazione


che hanno una target occupancy maggiore del 70%, in genere la soglia è
80% perché venga il parkinsonismo farmacologico, quindi, dipende
molto dalla dose: se con la dose di risperidone o paliperidone si
raggiunge l’80% e si supera questa soglia, allora gli effetti avversi
extrapiramidali possono venir fuori e quindi presentarsi il parkinsonismo
farmacologico. Quindi il dosaggio dell’antipsicotico diventa
importante.

Trattamento parkinsonismo farmacologico con anticolinergici in Italia ne


abbiamo 2:
• Akineton (biperidene)
• Disipal (orfenadrina)
Fra i due l’Akineton è preferibile per due motivi: perché è molto più
potente (2mg 2/3 volte al giorno bastano a controllarlo abbastanza
71
bene), per l’orfenadrina invece è necessario aumentare il
dosaggio (superando i 100/200mg al giorno), poi c’è il problema che
il Disipal (orfenadrina) è anche un farmaco antistaminico quindi
potrebbe deprimere il SNC perché ovviamente attraversa la barriera
ematoencefalica benissimo e poi è un inibitore del CYP2B6, che è
coinvolto nel metabolismo di diversi farmaci, quindi dipende dal
regime di politerapia.

Come ci si comporta con l’anticolinergico? Si aspetta che venga il


parkinsonismo farmacologico o si dà in profilassi?
Gli psichiatri, in generale, preferiscono dare l’anticolinergico quando si
presenta il parkinsonismo farmacologico, tuttavia è anche vero che loro
consigliano di dare i neurolettici classici solo per un breve periodo di tempo,
per evitare questo tipo di complicanza. Io, se si dovesse trattare un pz, per
esempio, con Haldoldecanoas, cioè con il LAI
(long acting injectables, farmaci a lunga durata d’azione), cioè la
formulazione depot, per cui date l’aloperidolo 150mg e dura un mese, lì sin
dall’inizio darei subito l’Akineton senza discussione alcuna.
Nel caso in cui invece date in terapia risperidone o paliperidone e date anche
i loro LAI (per esempio paliperidone è anche un LAI trimestrale) come
il Trevicta (paliperidone) si fa un’unica somministrazione di 350mg
intramuscolo e per tre mesi avete il rilascio prolungato del farmaco, allora
in questo caso, è molto più logico aspettare che vengano i segni clinici del
parkinsonismo farmacologico. per poi fare il trattamento.
***Vi ricordo ovviamente che non è possibile dare la L-DOPA, stiamo
parlando di pazienti schizofrenici, non potete aumentare in alcun modo
l’attivazione del sistema dopaminergico perché altrimenti gli peggiorate la
schizofrenia. Né L-DOPA né farmaci dopamino-agonisti.
Però c’è un’eccezione a questa regola ed è l’effetto avverso di cui parleremo
ora: sindrome maligna da neurolettici.***

4. SINDROME MALIGNA DA NEUROLETTICI: è una sindrome che


può essere inquadrata in una triade rappresentata da:
- parkinsonismo estremo
- manifestazioni disautonomiche: cioè per esempio alterazioni della p.
arteriosa, sudorazione, diametro pupillare
- ipertermia

72
La sindrome maligna da neurolettici è una forma di ipertermia maligna. Da
cosa nasce l’ipertermia? 1)Innanzitutto nasce dalla rigidità, perché c’è un
parkinsonismo estremo, quando c’è rigidità c’è produzione di calore.
2) può nascere dall’azione antidopaminergica nell’ipotalamo, perché
nell’ipotalamo c’è il centro che controlla la temperatura corporea ed è
regolato dalla dopamina.
Ovviamente quando avete un’ipertermia maligna significa che la
temperatura sale a 41/42° C, si ha una disidratazione profusa per cercare di
controbilanciare e questo porta a contrazione del volume plasmatico, ridotto
ritorno di sangue al cuore, quindi, insufficienza cardiaca acuta e allo stesso
tempo multi organ failure, quindi potremmo avere insufficienza epatica,
insufficienza renale e così via. Questa è una condizione che può essere
mortale.
L’ipertermia da neurolettici non è l’unica forma di ipertermia maligna,
l’ipertermia può essere data anche da anticolinergici.
***Ricordatevi: i farmaci neurolettici a bassa potenza, come la
clorpromazina, hanno anche un’azione anticolinergica, questa contribuisce
solo fino ad un certo punto, però l’anticolinergico può dare ipertermia**

L’ipertermia può esserci anche per un’iperattività serotoninergica, che viene


inclusa nella cosiddetta sindrome serotoninergica (che noi abbiamo
trattato parlando dell’MDMA, dell’ecstasy), i morti occasionali nei rave,
che muoiono per intossicazione da ecstasy, muoiono sempre per sindrome
serotoninergica e sempre per ipertermia maligna e a volte per eccessiva
idratazione: bevono un’enorme quantità d’acqua o gliela fanno bere e quindi
poi muoiono per edema cerebrale o polmonare.
Infine, abbiamo studiato un tipo di ipertermia maligna che è quella da
mutazioni di RYR-1 (recettori rianodinici di tipo 1 nel muscolo scheletrico).
Facendo un passo indietro alla farmacodinamica, questa è una patologia
farmacogenetica dove la crisi di ipertermia veniva indotta o
da succinilcolina o da anestetici volatili.

Insomma, possiamo avere diverse forme di ipertermia maligna: può essere


una sindrome maligna da neurolettici, da anticolinergici,
da iperattivazione del sistema serotoninergico (per esempio con ecstasy o
altri farmaci serotoninergici per esempio combinando insieme alcuni
oppioidi, che hanno la componente serotoninergica, più gli SSRI, inibitori
selettivi della ricaptazione della serotonina) o ancora ci può essere
73
l’ipertermia da malattia farmacogenetica in cui c’è la mutazione di RYR-1
e l’ipertermia viene indotta da succinilcolina o anestetici.

Nella sindrome maligna da neurolettici la mutazione di RYR-1 non c’entra


niente, non è mutato, chi è responsabile ancora non si sa, sono chiamate in
causa le UCP come, per esempio, l’UCP2 (proteina di disaccoppiamento
mitocondriale) responsabile della produzione di calore, quindi potrebbero
entrare in gioco, ma non esiste una genetica così stabilita per l’ipertermia
maligna.

Nel caso in cui dovesse presentarsi cosa dovreste fare?


1. Sospendere immediatamente: si tratta infatti di un’emergenza
medica
2. Si può dare un farmaco dopaminomimetico es: bromocriptina che è
un agonista dei recettori D2 per la dopamina (Parlodel), potreste anche dare
la cabergolina o un qualunque agonista dopaminergico, che per la
schizofrenia non va affatto bene, ma in questo caso dovete salvare la vita
del paziente quindi non ve ne frega nulla: lo trattate con un
farmaco dopaminomimetico per cercare di ridurre il tono muscolare e
ridurre la produzione di calore.
3. Utilizzare il dantrolene, che è un bloccante di RYR-1 e un farmaco
miorilassante periferico, anche se qui la malattia non dipende da una
mutazione di RYR-1, bloccare i RYR-1 nel muscolo scheletrico potrebbe
essere utile per ridurre la produzione di calore.

Quindi inquadratela questa sindrome maligna da neurolettici perché ha


questo tipo di caratteristiche.

5. DISCINESIE TARDIVE: la patologia probabilmente più particolare che


si ha tra gli effetti avversi extrapiramidali dei neurolettici. Si tratta di
movimenti involontari patologici (che ricordano un po’ le discinesie da L-
DOPA), in questo caso si chiamano discinesie tardive da neurolettici e
possono essere movimenti di qualunque tipo, ma prevalentemente
sono linguo-bucco-masticatori, possono interessare anche il tronco e gli arti.
Possono essere di diverso tipo. Si manifestano per supersensitività dei
recettori D2, che significa che i recettori D2 bloccati per lunghi periodi di
tempo, ad un certo punto, aumentano la loro risposta alla dopamina (perché
74
sviluppano una cosiddetta supersensitività da blocco): quindi se sospendete
i neurolettici vi trovate i recettori D2 supersensibili che
immediatamente vi danno movimenti involontari patologici. La cosa
interessante è che le discinesie tardive insorgono a volte, anzi
frequentemente, durante il trattamento con farmaci antipsicotici, ergo la loro
patogenesi non è così chiara, tutto sommato. Si può dire che la sensibilità
dei recettori D2 e la loro efficienza di trasduzione è tale per cui, anche
quando vengono bloccati dai neurolettici, danno un messaggio di attivazione
dopaminergica, ma questo è difficile da ritenere. La spiegazione più
verosimile, come è stato visto per le dicinesie da L-DOPA, è che le
discinesie tardive riflettano una forma di plasticità sinaptica maladattativa,
per cui la via diretta e la via indiretta dei circuiti dei gangli della base creano
questo tipo di problema (probabilmente la via diretta di più, perché quella
più coinvolta nei movimenti involontari patologici).

Domanda studente: “La sindrome maligna da neurolettici si può presentare


in qualunque momento, sia nella prima somministrazione che dopo?”
No, ho messo questi effetti avversi in ordine cronologico: di solito la
sindrome maligna viene fuori dopo qualche mese di trattamento (tre mesi
più o meno). Poi, per carità, ci possono essere delle eccezioni con tempi più
brevi di presentazione, ma c’è un iter che stiamo seguendo. Prima le distonie
acute, poi acatisia, poi parkinsonismo farmacologico, poi la sindrome
maligna da neurolettici e discinesie tardive.

Fattori di rischio discinesie tardive:


1. Non modificabili:
- correlati al paziente:
Età avanzata: pz anziani trattati con neurolettici classici (soprattutto ad
alta potenza) sviluppano discinesie tardive nel 25% dei casi, in pz non
anziani, la percentuale di pz che sviluppa discinesie tardive è 5-6%.
Se sono trattati con antipsicotici atipici manifestano meno discinesie
tardive, anche se risperidone e paliperidone possono darle, ma
l’incidenza è notevolmente più bassa. 5-7% nei pazienti anziani trattati
con un qualunque farmaco antipsicotico atipico, 0,8-3% dei pazienti
giovani.
Sesso: sembra che le donne siano più inclini sia al parkinsonismo
farmacologico che alle discinesie tardive.

75
Etnia: per qualche motivo sono più frequenti negli africani più che nei
caucasici e asiatici.
Stato del CYP2D6: è il citocromo p450 che più di altri metabolizza i
neurolettici classici. La probabilità statistica che ci siano discinesie
tardive è maggiore nei metabolizzatori lenti (variante *3, *4, *5 e *6
dove *4 è quella più rappresentativa di tutte). Qualcuno allora potrebbe
chiedersi: “come mai gli africani ne hanno di più quando è più facile
trovare tra gli africani dei metabolizzatori ultrarapidi?’’ Ricordatevi che
gli africani hanno per il 17-20% circa espressione del CYP2D6 *17 che
è il metabolismo intermedio, questo potrebbe avere un certo peso.
Genetica: per quanto riguarda la genetica, il quadro ancora non è chiaro,
sono stati ipoteticamente collegati alcuni polimorfismi della COMT, tra
cui il più importante è quello Met/Val 158, o 108 se si considera
rispettivamente la COMT ancorata o non ancorata al reticolo
endoplasmatico. Possono esserci associazioni con il VMAT di tipo 2,
ossia il trasportatore vescicolare delle monoammine, che le capta e le
porta all’interno della vescicola sinaptica dalla quale sono poi rilasciate.
Questo è importante, perché i farmaci più importanti per il controllo delle
discinesie tardive sono gli inibitori di VMAT 2, che sono quindi ora
disponibili. Anche polimorfismi a carico del recettore D2 sono stati
chiamati in causa e, in modo meno evidente, anche i polimorfismi del
BDNF, il fattore di crescita di derivazione cerebrale. Questi sono quindi
i fattori di rischio non modificabili correlati al paziente.

-correlati alla patologia: questo si traduce, innanzitutto, in una lunga


durata della schizofrenia, quindi, i pazienti che vengono trattati con
neurolettici classici, che sono late in disease (ossia che si comincia il
trattamento con questi farmaci dopo diverso tempo dall’esordio della
malattia) sono maggiormente inclini a sviluppare le discinesie tardive,
naturalmente in modo dipendente dall’età, che aumenta la probabilità che
ciò si verifichi. Inoltre, viene riscontrata una maggiore frequenza di
discinesie tardive i pazienti che hanno una
cosiddetta intellectual disability, che consiste fondamentalmente in un QI
più basso.
Poi ci sono i pazienti che hanno sintomi negativi, che consistono in
anedonia, distacco sociale, avolizione, ma anche qui bisogna fare
attenzione a distinguere i sintomi negativi della schizofrenia con gli
effetti avversi dei neurolettici classici, che a volte possono simularli.
76
Ci sono anche i pazienti che hanno disordini del tono dell’umore, definibili
come gli schizoaffettivi, che manifestano una forte riduzione del tono
dell’umore, oltre al delirio, allucinazioni, disorganizzazione del pensiero.

2. Modificabili:
Poi ci sono i pazienti che hanno sintomi discognitivi, sintomi che sono il
cuore della patologia, e sono particolarmente evidenti. Sono i cosiddetti
rischi modificabili, tra cui innanzitutto le comorbilità (il termine
comorbidità, traduzione dall’inglese comorbidity, indica l’associazione
nella morte, e non associazione non casuale tra due patologie. Sui motori di
ricerca questi spesso sono considerati sinonimi). La comorbilità è
rappresentata da diabete, tabagismo, assunzione di cocaina. Parlando di
diabete, ci si riferisce al diabete non controllato. I pazienti affetti da
schizofrenia spessissimo fumano, e per certi versi è anche utile che fumino,
perché la nicotina può migliorare la sfera cognitiva, questo però rappresenta
un fattore di rischio per le discinesie tardive. Riguardo la cocaina si fa
riferimento alla cosiddetta doppia diagnosi. Poi il tipo di antipsicotico
utilizzato in terapia, perché gli antipsicotici di prima generazione danno un
rischio maggiore rispetto a quelli di seconda, e anche il dosaggio e la durata
dell’esposizione. Poi ancora l’uso intermittente di anticolinergici, per
esempio, un Disipal o un Akineton, in quanto antiparkinsoniano, facilita i
movimenti involontari patologici.

Domanda studente: “Quanto è pericoloso un LAI, correlato alla possibilità


di questi effetti? Per esempio, se somministro un LAI trimestrale e il
paziente sviluppa una sindrome neurolettica maligna, devo continuare a
dare bromocriptina e dantrolene per tutto il trattamento con LAI visto che
non lo posso sospendere?”
Purtroppo, sì, bisogna somministrare per esempio dantrolene cercando di
controllare per quanto possibile, ovviamente viene somministrato il LAI di
prima generazione solo in casi molto particolari, con i LAI di seconda
generazione questo rischio è minimo, anche se per esempio con
un trevicta trimestrale, questo non è escluso a priori. I LAI hanno un
problema: una volta iniettati nel muscolo non possono essere eliminati,
neanche con una dialisi. Questo, quindi, è un rischio effettivo, da tenere
presente. Ci sono, però, dei LAI che non danno mai questo problema, come

77
l’Abilify Maintena, cioè l’aripiprazolo LAI, non conduce mai a una
discinesia tardiva.
In terapia ora, con una discinesia tardiva, si interviene in questo modo: in
Italia abbiamo la xenazina e la tetrabenazina, inibitore di VMAT 2.
Un’inibizione di VMAT 2 significa che la dopamina non viene più
conservata nelle vescicole sinaptiche, i terminali dopaminergici si
depauperano di dopamina, e di conseguenza migliorano le discinesie, per la
riduzione del tono dopaminergico, che dipende da un’eccessiva attivazione
dei recettori D2 che sono supersensibili. Ci si potrebbe chiedere cosa
fare nel caso in cui le discinesie tardive dovessero intervenire durante il
trattamento con antipsicotici di prima generazione. Va sospeso e sostituito
con un altro antipsicotico, come per esempio la clozapina, buona opzione,
perché quasi mai dà discinesie tardive, ma se rimangono i movimenti
involontari e il cambio di antipsicotico non risolve il problema,
la xenazina può essere una soluzione.
Si somministra a 25 mg tid, quindi 75 mg al giorno, il dosaggio massimo è
200 mg al giorno. È metabolizzata dal CYP2D6, quindi bisogna fare
attenzione ai suoi inibitori, come la fluoxetina, la paroxetina,
la duloxetina, amiodarone, chinidina, COXIB. Uno degli effetti avversi
maggiormente presenti è il parkinsonismo, a volte acatisia e un
allungamento del QTc, teorico rischio di depolarizzazioni postume precoci,
e le torsioni di punta, che possono evolvere in fibrillazione ventricolare.
La tetrabenazina ha un problema, legato alle frequenti somministrazioni
giornaliere per la sua breve emivita.
È stata sviluppata la deuterotetrabenazina, chiamata deutetrabenazina, in
cui c’è il deuterio, atomo pseudoradioattivo, farmaco che si
chiama Austeda, e grazie alla presenza del deuterio, la sua emivita è più
lunga, quindi si può arrivare a una singola somministrazione giornaliera, si
comincia con 12 mg, fino ad arrivare massimo a 48. Anche in questo caso il
metabolismo è a carico del CYP2D6. C’è da porre attenzione alle
interazioni, da evitare sono quelle con gli IMAO, inibitori
delle monoammine ossidasi, che però in questo caso non si usano a
prescindere, perché si intendono gli IMAO irreversibili e duali come
la fenelzina e la tranilcipromina, e non c’è motivo di dare questi farmaci a
pazienti che soffrono di schizofrenia.
L’ultimo farmaco da prendere in considerazione è la valbenazina, farmaco
approvato dalla FDA. Diciamo questo perché la xenazina e
la tetrabenazina sono state approvate maggiormente per la Corea di
78
Huntington, quindi vengono usate al di fuori del regime di prescrizione per
il trattamento delle discinesie tardive, ma il loro placing therapy è la Corea
di Huntington, dove sono presenti movimenti involontari, che riflettono in
realtà la degenerazione dei neuroni di proiezione dello striato, ma si può
anche realizzare un meccanismo terapeutico riducendo la terminazione
dopaminergica. Questo lo si fa, poiché a un certo punto si determina
deplezione dei terminali dopaminergici, in quanto la dopamina non può più
andare all’interno delle vescicole.
La valbenazina quindi è stata approvata all’uopo, venduta sotto forma di
capsule da 40 o 80 mg, è metabolizzata dal CYP3A4, bisogna quindi evitare
induttori e inibitori di questo citocromo.
Un problema di questi farmaci, tetrabenazina in testa, è che migliorano le
discinesie, tuttavia esse tornano dopo 48 settimane, quindi è come se la
plasticità maladattativa, che si sviluppa nei gangli della base, fosse a lungo
termine, un po’ come succede per le discinesie da Levodopa, è sempre
presente questa sorta di priming di memoria patologica dei movimenti
involontari, che, secondo il Professore, rappresenta il meccanismo più
affascinante da studiare nei gangli della base.

Altri farmaci che possono essere


utilizzati sono: il clonazepam (Rivotril), che è stato menzionato tra i
farmaci antiepilettici, viene usato parecchio nel disturbo bipolare, nel DOC
per facilitare il sonno, perché spesso questi pazienti hanno difficoltà
nell’addormentarsi, rimanendo a rimuginare sulle ossessioni; si
può utilizzare il gingko biloba, in cui ci sono bilobidi e ginkolidi, i cui
meccanismi d’azione sono assolutamente indefiniti, quindi è stato scoperto
con serendipity, quasi andando a sconfinare più nella stregoneria che nella
farmacologia reale; ulteriore alternativa, in linea teorica, è
l’amantadina (Mantadan), che è l’unico farmaco attualmente approvato per
il trattamento delle discinesie da Levodopa, questo ne spiega il
significato. Tuttavia, se viene utilizzato, esso agisce come bloccante rapido
dei recettori NMDA, con meccanismo simile, ma non identico a quello
della memantina, studiato nell’Alzheimer, ma i bloccanti rapidi, e anche
lenti dei recettori NMDA, molto spesso possono dare
manifestazioni psicotomimetiche, e possono aggravare la schizofrenia.
Bisogna sempre tenere presente che si sta trattando pazienti affetti da
schizofrenia.

79
6. IPERPROLATTINEMIA, l’ultimo effetto avverso da menzionare è
la iperprolattinemia, che occorre perché i recettori D2 esercitano un
controllo tonico e inibitorio sul rilascio di prolattina, i recettori D2 si
trovano sulle cellule lattotrope, elemento enfatizzato spesso
in Endocrinologia, affermando che bloccanti dei D2 con alta potenza e
alto target occupancy che coincide con la potenza in questo caso, essendo
fuori dalla barriera ematoencefalica, determinando quindi
inesorabilmente iperprolattinemia.

Domanda studente: “Si conosce il principio attivo del gingko biloba? Eventualmente per renderlo meno
“stregoneria” si potrebbe progettare un integratore con quel principio titolato a una percentuale alta, come
abbiamo visto per la baicaleina?”
Non ci credo molto, perché i principi attivi sono i gingkolidi e i bilobidi, che non so come agiscano, andando
a vedere le schede si trova che hanno un’azione sulla trasmissione monoaminergica, migliorano il cognitivo,
migliorano la vascolarizzazione cerebrale, che sono informazioni che si scrivono quando non si sa cosa
scrivere. Nel caso della baicaleina è presente un’azione GABAergica.
Domanda studente: “Superano la barriera ematoencefalica?”
Teoricamente sì, perché altrimenti non avrebbero senso, gingko biloba si dà per disturbi a carico dell’SNC,
per migliorare la sfera cognitiva o operazioni del genere. C’è da richiamare alla mente il discorso che si era
fatto sul sistema linfatico, che rende il concetto di barriera ematoencefalica molto fluttuante.

Tornando quindi al discorso, il D2 ha un controllo tonico inibitorio sul


rilascio di prolattina. Quando il Professore era ragazzo, ed era all’Istituto
di Farmacologia di Catania, come modello di iperprolattinemia si faceva
il graft, ossia il trapianto. Si prendeva un’ipofisi da un ratto che si
decapitava, e si impiantava sotto la capsula del rene di un ratto ricevente,
l’ipofisi, svincolata dal controllo dopaminergico, produceva grandi
quantità di prolattina costitutivamente. Lo stesso meccanismo avviene in
questo caso: i neurolettici classici, ad alta potenza soprattutto, in genere
bloccano i recettori D2, danno iperprolattinemia senza sviluppo di
tolleranza, che persiste per tutta la durata del trattamento, questo si può
avere anche con il risperidone e il pariperidone. Quando si sospende il
trattamento non c’è memoria, cioè l’iperprolattinemia si risolve e i livelli di
prolattina ritornano alle condizioni di partenza.
Ricordiamo che iperprolattinemia significa ginecomastia e impotenza
nell’uomo, amenorrea e galattorrea nella donna. Quanto questo possa creare
problemi si nota soprattutto nella donna, perché l’amenorrea può
determinare un’osteoporosi da carenza di estrogeni, quando essa è
prolungata, come il trattamento, l’asse delle gonadi si blocca, e il tessuto
osseo si rarefà. Essendo un effetto reversibile è facile da controllare.

80
Utilizzo degli antipsicotici atipici.
Parliamo ora della parte più interessante del trattamento, ossia l’utilizzo
degli antipsicotici atipici. Sono una classe eterogenea di sostanze, che si
dividono nei seguenti gruppi:
1. i MARTA (multi acting receptor targets), che hanno diversi
bersagli, non solo fanno ciò che fanno tutti gli antipsicotici atipici, ossia
antagonizzare i recettori 5HT2a, ma interagiscono anche con i recettori
adrenergici, con i recettori per l’istamina, e in qualche rara
circostanza con i recettori muscarinici. Non sono da dimenticare i
recettori D2, essi comunque sono obiettivi degli antipsicotici atipici.
Parlando dei MARTA, il recettore D2 ha una target occupancy intorno al
45-55%. Ci sono però delle eccezioni che verranno affrontate in seguito.
2. SDA (le lettere S e D indicano l’affinità recettoriale per serotonina e
dopamina), sono farmaci ad alta affinità per i recettori 5HT2a.
Questa categoria comprende tre
farmaci: risperidone, paliperidone e iloperidone.
Sono bloccanti dei recettori D2 per più del 70%, il che si traduce in un
possibile sviluppo di parkinsonismo farmacologico, discinesie tardive
e iperprolattinemia, pur essendo farmaci largamente utilizzati in terapia
3. Agonisti parziali dei recettori D2, definizione non esattamente
corretta, in quanto sono agonisti parziali anche dei recettori D3, il che
permette di distinguere gli esponenti di questa categoria tra di loro.
L’aripiprazolo, la cui azione è mediata principalmente dai recettori D2, e
anche dai D3, blocca anche i recettori 5HT2a, caratteristica comune di
tutti gli antipsicotici atipici. Poi c’è la cariprazina, che è agonista parziale
dei D2, ma ha un’affinità straordinaria nei confronti dei recettori D3,
quindi, tra gli psicofarmaci è quello che più ha questa caratteristica, che
può essere un vantaggio o meno. La cariprazina ha una maggiore
probabilità di indurre effetti avversi extrapiramidali rispetto
all’aripiprazolo. Infine, c’è il brexpiprazolo, che oltre ad essere sempre
agonista parziale D2 e D3, è un farmaco multitarget, quindi, il suo posto
sarebbe nei MARTA, ma è in questa categoria per gli effetti sui D2 e D3,
ma ha una serie di interazioni recettoriali che gli altri due farmaci di
questa categoria non possiedono. Il brexpiprazolo, rispetto ad essi, ha due
caratteristiche: dà meno acatisia e ha azione antidepressiva, il che ne
rende possibile l’utilizzo in terapia aggiuntiva della depressione
maggiore. Esso, inoltre, dà un miglioramento della sfera cognitiva.

81
Ci sono dei farmaci che non rientrano in queste categorizzazioni, come
l’amisulpride, antagonista puro dei recettori D2, che non ha azione sui
5HT2a.
Esistono anche farmaci come la clotiapina, la loxapina e l’asenapina che si
possono collocare per esempio tra i MARTA, però hanno delle
caratteristiche e degli impieghi particolari.

Iniziamo col farmaco migliore in assoluto tra tutti i farmaci psicotici, forse
di gran lunga il migliore che è la Clozapina.
Per poter trattare la Clozapina faccio riferimento alla tabella che ho sempre
davanti quando tratto dei farmaci psicotici.
È il prototipo dei MARTA che includono anche l’Olanzapina, la Quietapina,
includerei anche per certi aspetti il Lurasidone.
La Clozapina è il farmaco attorno al quale è nato il concetto di
antipsicotico atipico. L’antipsicotico atipico, nella sua definizione
originale, era il farmaco antipsicotico privo di effetti avversi
extrapiramidali. La Clozapina tra tutti gli antipsicotici è il farmaco che ha
meno effetti avversi extrapiramidali; un di parkinsonismo farmacologico, un
po’ di discinesie sono manifestabili con ogni farmaco antipsicotico, però è
raro che li troviate con la Clozapina, tutt’al più potete trovare un po’ di
acatisia.
Quali sono le caratteristiche cliniche principali della Clozapina?
1. Migliore degli antipsicotici che significa in termini di efficacia
farmacologica. Quando era uscito si chiamava Leponex adesso avrà altri
nomi essendo ultra generico.
2. Farmaco di scelta nei pazienti farmaco resistenti.
3. Riduce più di tutti il rischio di suicidio.
4. Uno dei farmaci con maggior impatto sulla disfunzione cognitiva che è
irreversibile, però ha un certo effetto.
5. Ottima azione sui sintomi positivi e negativi.
Qualcuno dirà: perché non usare sempre la Clozapina? Purtroppo, è un
farmaco di seconda linea e ciò dipende dal profilo di sicurezza e tollerabilità.
Ancora una volta, che differenza c’è tra profilo di sicurezza e tollerabilità?
Il profilo di sicurezza riguarda gli effetti avversi di un farmaco che sono
pericolosi per la vita; il profilo di tollerabilità riguarda gli effetti avversi di
un farmaco che non sono pericolosi per la vita, ma possono compromettere
in modo marcato l’aderenza al trattamento.
C’è un effetto avverso principe alla Clozapina che è la mielosoppressione,
82
in particolare la neutropenia, ma ce ne sono tantissimi dalla miocardite
eosinofila, all’aumento di peso che a volte può essere grave dando fattori
di rischio cardiovascolari e così via.
Per cercare di capire come funzione la Clozapina bisogna avere davanti la
tabella con tutte le affinità del farmaco nei confronti dei recettori, che trovate
facilmente su wikipedia scrivendo “Clozapina” e vedendo una tabella dove
c’è scritta l’affinità espressa in nanomolare ed espressa come costante di
inibizione. Vi ricordo che più è bassa la costante di inibizione, maggiore
è l’affinità per un recettore, quindi, un farmaco che ha un’affinità di 2 nM
ha affinità maggiore di uno che ce l’ha di 200 nM.

Questi numeri della tabella non servono a nulla se non li paragonate


alla concentrazione di Clozapina libera nel sangue allo steady state,
quindi andate allo stadio stazionario, sono passate le 5 emivite classiche, e
cercate la concentrazione nel sangue, che potete trovare anche a 400-500-
600nM. A voi interessa la quota di farmaco libero, non legato alle proteine
plastiche. Il valore libero allo steady state, che io ho calcolato, è di circa 46
nM. Questo è il valore che dovete rapportare a tutti i recettori nei cui
confronti la Clozapina potrebbe agire.
Per il recettore D2 la kinibizione = 210 nM quindi l’attività della Clozapina sui
recettori D2 è molto bassa. Si comporta da antagonista questo è vero, però
vedete che la costante d’inibizione supera la quota libera allo steady state(46
nM), quindi quando voi somministrate la Clozapina 2 vedete che l’affinità
per D2 è 4-5 volte più alta rispetto alla quota libera nel sangue quindi
affinché la clozapina recluti il recettore D2 ci vogliono dosaggi elevati.
L’affinità per il recettore D2 della Clozapina è molto bassa.

Nei confronti del recettore 5HT1a l’affinità è bassa, kinibizione = 160 nM.
Questo è interessante, poiché, se la Clozapina avesse avuto la capacità di
agire da agonista parziale nei confronti di 5HT1a, come fa una serie di
antipsicotici che in genere agiscono come agonisti parziali, probabilmente
l’acatisia sarebbe stata zero, invece un po’ si può manifestare; con il
brexpiprazolo c’è poca acatisia proprio per questa affinità con il recettore
5HT1a.
Poi abbiamo i recettori 5HT2a dove kinibizione = 2.59 nM, il che significa che
la quota libera nel plasma allo steady state è più che sufficiente a bloccare i

2
che date sempre per os: non esiste alternativa, perché è un farmaco tossico e non potete rischiare la vita del paziente
facendo un’ intramuscolo col rischio che venga granulocitopenia che non potete controllare.
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recettori 5HT2a, che quindi consideriamo bersaglio preferenziale della
Clozapina con altissima affinità.

Poi si hanno i recettori 5HT2c, qui sorge un problema, perché qui k inibizione
= 4,8 nM. La Clozapina ha mille bersagli, adesso dico solo i più importanti.
Questo recettore 5HT2c è importante, perché controlla il senso della
sazietà nell’ipotalamo e la Clozapina è un antagonista, quindi
determina incremento ponderale. I pazienti possono acquistare 4,5-5 kg
nell’arco di dieci settimane, ma ci sono casi in letteratura che riportano 20-
30 Kg, un caso anche 50 kg.
Nei confronti dei recettori 1 adrenergici la kinibizione = 6,8 nm, che vuol dire
che 46 nM di quota libera allo steady state sono più che sufficienti a bloccare
i recettori 1. Cosa significa bloccare i recettori 1? Significa una cosa
positiva se i pazienti soffrono di iperplasia prostatica nodulare, perché voi
sapete che i bloccanti dei recettori 1, sono dei farmaci per il trattamento
dell’iperplasia prostatica, ma causano anche ipotensione ortostatica che
può creare grande problema. Ricordate che se si assume un 1 bloccante,
non si può fare alcuno intervento di cataratta, altrimenti viene fuori
l’iride a bandiera.
Per i recettori 2, che controllano il centro vaso-motore, e regolano anche il
locus coeruleus per l’ansia, qui siamo nell’ordine di kinibizione = 158 nM,
quindi tutto sommato è reclutato poco.
Poi abbiamo il recettore H1, per cui la clozapina mostra un k inibizione = 3,1
nM, che viene bloccato con la concentrazione di 46 nM di quota libera. La
Clozapina agisce da potentissimo antistaminico, che va bene se il paziente
è agitato, perché significa deprimere il SNC e ridurre l’agitazione, però
significa anche pericolo nel caso in cui dovesse fare uso di alcol o
benzodiazepine che possono avere attività sinergica nel SNC.
La Clozapina agisce come agonista parziale dei recettori H4 per
l’istamina, che sono recettori mai incontrati durante il corso 3, gli H4 si
trovano nel midollo osseo e la capacità di sopprimerlo potrebbe esser
dovuta a questa interazione recettoriale.

Poi ci sono i recettori muscarinici per Ach e la Clozapina ha affinità nei

3
perché abbia sempre considerato H1, che si blocca con classici antistaminici usati per la rinite allergica stagionale o
l’orticaria o anche per le manifestazioni cutanee da farmaci; poi gli H2 che bloccate con H2-antagonisti per l’acidità
gastrica, poi H3 che sono autorecettori e li abbiamo incontrati con la Betaistina per il trattamento della sindrome di
Ménière nell’esonero di nefrologia;
84
confronti della maggior parte di loro, in particolare per M1 la kinibizione = 1,4
nM. M1è un recettore abbastanza importante, è il recettore dei gangli del
SNC, bloccarlo teoricamente significherebbe ridurre la sfera cognitiva.
Gli anticolinergici sono amnesizzanti: questo è un classico esempio in cui la
farmacologia non si sposa con gli effetti del farmaco, infatti questo è il
farmaco probabilmente con il maggior effetto sulla sfera cognitiva,
nonostante sia un antagonista dei recettori muscarinici M1.
Nei confronti dei recettori M2, che si trovano nel cuore, fortunatamente
l’affinità è bassa: kinibizione = 204 nM, il che significa che la tachicardia che
potrebbe dipendere dal blocco dei recettori M2 atriali con la Clozapina si
verifica poco, perché vedete che la costante di inibizione è molto più alta
rispetto alla quota libera di farmaco che voi avete nel plasma. Per gli M3 la
kinibizione = 109 nM, l’affinità dunque non è grande.
Nei confronti di M4 la Clozapina si comporta da agonista parziale, infatti
ha una kinibizione = 27 nM, quindi ha una certa affinità con il recettore M4.
L’azione del farmaco sui recettori M4 è stata collegata all’ipersalivazione,
che è una manifestazione presente in tantissimi pazienti trattati. Quindi il
quadro recettoriale della Clozapina è complesso.

La Clozapina dimostra il fallimento della neurofarmacologia che ha sempre


cercato il ligando selettivo, addirittura sottotipo selettivo, di un recettore
invece la Clozapina è multitarget ed è il migliore, per lo meno in psichiatria4.

Allora veniamo a noi, come si somministra la Clozapina? Allora la


Clozapina è un farmaco a bassa potenza, quindi, bisogna utilizzare dosaggi
abbastanza elevati, ma questo non significa bassa efficacia, perché è il più
efficace.
Altre domande:
- La grande efficacia del farmaco può essere dovuta all’effetto antinfiammatorio mediato
dall’azione sul recettore H4?
Risposta: guarda posso dirti sì, ma la cosa curiosa che accade è che nella prima fase di
somministrazione della malattia c’è sovrapproduzione di citochine pro-infiammatorie poi
la cosa cambia, non so come si sposi sull’azione sugli H4.
- Ha senso in caso di neutropenia non gravissima, per non cambiare il farmaco, dare fattori
di crescita e controllare l’emocromo?
No, il G-CSF tu lo dai quando sospendi il farmaco e i valori dei bianchi totali ti restano
sotto i 2000 e i valori dei granulociti neutrofili scendono sotto i 500 quindi tu metti il fattore
di stimolazione delle colonie dei granulociti dopo aver sospeso il farmaco mai quando

4
Questo vale anche per la depressione, la Vortioxetina, farmaco multimodale anche se è tutta serotoninergica la sua
azione, perché inibisce il trasportatore, e mille recettori, ma è il farmaco che ha il miglior effetto sulla sfera cognitiva. Lo
stesso Brexpiprazolo è sicuramente multitarget e ha determinati vantaggi. Qual è il migliore tra gli antiepilettici? Il
Valproato il quale ha almeno sei o sette meccanismi d’azione. Qual è il miglior farmaco nel trattamento del disturbo
bipolare? Il Litio che ha tantissimi meccanismi d’azione.

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continui. La Clozapina è entrata in commercio poi ritirata per le infezioni opportunistiche
ma seguendo l’emocromo si poteva ricontrollare è ritornata in commercio, quando in
farmaci si prende la Clozapina bisogna controllare i bianchi.
- C’è un modo per prevedere questa neutropenia? Sì, ci arriveremo, ci sono delle
determinanti genetiche interessanti.

Come si somministra la Clozapina? Per os esclusivamente, non esiste un


LAI (formulazione lento rilascio intramuscolo che sarebbe pericolosissima).
Al giorno 1 in scheda tecnica cominciamo con 12,5 mg/die, che si può dare
anche bid, giorno 2 andate a 25 mg/die e poi sempre procediamo titolando
il farmaco, ci mettete 2-3 settimane per arrivare al dosaggio standard: in
genere 200-300 mg/die.
Considerate che con dosaggio standard consideriamo il dosaggio standard
italiano, negli USA gli standard sono più elevati anche 400-600 mg, che
cominciano a essere pericolosi, perché la Clozapina è tra gli antipsicotici il
farmaco che abbassa maggiormente la soglia per le convulsioni.
Cosa dire sul metabolismo? È mediato da due CYP, primariamente dal
CYP1A2, che predomina a dosaggi terapeutici. Qui dobbiamo fare
un’osservazione: che questo CYP è inibito da Fluvoxamina e dai
Fluorochinoloni per quest’ultimi problemi non sussistono, perché si danno
per brevi periodi5. Attenzione: se invece li usate per tanto tempo l’inibizione
del CYP1A2 automaticamente eleva l’esposizione alla Clozapina, quindi
eleva la probabilità di avere effetti avversi. La Fluvoxamina, che è un SSRI
che si dà per esempio negli OCD6, anche la Fluvoxamina inibisce il
CYP1A2 ed espone il pz ad elevati livelli di Clozapina.
Quindi la Clozapina non si trasforma in NOR-Clozapina (Clozapina non
radicale) che è ciò che fa il CYP1A2. Il CYP1A2 demetila la Clozapina,
quindi, NOR-Clozapina il farmaco con un metile in meno.
Consideriamo anche gli induttori del CYP1A2.
Innanzitutto il fumo di sigaretta, gli idrocarburi, benzopirene su tutti, sono
induttori di CYP450 famiglia 1, quindi CYP1A1, CYP1A2, CYP1B2,
perché come sapete il gene che codifica per il CYP1A1 o per il CYP1A2 è
controllato da alcuni elementi responsivi che si chiamano XRE, o DRE, che
sono elementi di risposta ai xenobiotici o alla diossina, che legano il ricettore
AHR, che è il recettore per gli idrocarburi aromatici, in complesso con RNT,
5
per esempio, nelle UTI nelle donne si danno 3 giorni di Ciproxin punto e basta a meno che non ci sia una UTI
(Urinary Tract Infetctions) complicata e allora là si può arrivare anche a 10 giorni 14, o se avete polmonite da
Pseudomonas, usate per esempio il Ciproxin e lo usate per molto tempo.
6
Io vi ho già raccontato che ho un parente con un grave OCD, che ha la tricotillomania, cioè si strappa sopracciglia con
la pinzetta in continuazione, e prende alti dosaggi di farmaci, è persona facoltosa quindi è stata ricoverata alla clinica
psichiatrica a Lugano per diverso tempo e la prima volta gli hanno fatto Fluvoxamina e Clozapina: risultato è andata in
intossicazione da Clozapina. Questo è un esempio di “coglioneria psichiatrica”.
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e questo complesso induce CYP1A2.
Questa cosa è importante, perché i pazienti affetti da schizofrenia sono
spesso fumatori e per questo hanno CYP1A2 costruttivamente indotto.
Quindi se i pazienti si sono stabilizzati su un dosaggio di Clozapina non
dovete farli smettere di fumare, perché se togliete il fumo, l’induzione del
CYP1A2 non c’è più e si riduce l’espressione del CYP1A2. Il risultato è che
la Clozapina si accumula nell’organismo, dando tossicità. Quindi il
fumatore richiede dosaggi più elevati di Clozapina, ma è altrettanto
vero che l’individuo che fuma si stabilizza e non deve smettere di
fumare. Altrimenti la Clozapina si accumula e si va in tossicità.

Altri induttori sono alcuni IPP: Omeprazolo, Esomeprazolo e Lansoprazolo


che sono metabolizzati da CYP2C19, ma inducono CYP1A2, quindi questi
inibitori di pompa voi non li volete in terapia con la Clozapina e utilizzate
Rabeprazolo e Pantoprazolo, perché inducono CYP1A2 molto meno.
Se i dosaggi di Clozapina sono alti, entra in gioco anche CYP3A4, che
trasforma la Clozapina in Clozapina N-ossido che è un altro metabolita
rispetto a NOR-Clozapina.
I livelli plasmatici di Clozapina non devono superare i 600 ng/ml, in caso
contrario ci sarebbero gravi effetti, per esempio, le crisi convulsive.
La risposta terapeutica si ha tra 350-400 ng/ml.
Detto questo, quali sono gli effetti avversi di questo farmaco?
Innanzitutto, ci può essere la sedazione, perché è un potente bloccante dei
recettori H1, ci può essere ipotensione ortostatica, perché blocca  ma
curiosamente ci può essere ipertensione, per quale motivo? Potrebbe essere
una conseguenza della sindrome metabolica, ricordiamo che la Clozapina
causa incremento ponderale.
Poi acquisto ponderale, le crisi epilettiche, scialorrea, a volte febbre. La
febbre è dovuta all’iniziale rilascio di citochine pro-infiammatorie, quindi,
si tratta di una febbre benigna. Altri effetti avversi sono: enuresi notturna, è
possibile se pensiamo all’azione anti 1 e all’azione anticolinergica; ci può
essere GERD, anche stipsi, per l’azione anticolinergica, la tachicardia è
possibile, ma la probabilità è bassa, vista la scarsa affinità per i recettori M2,
possono essere presenti vertigini, però è anche vero che c’è l’azione anti-H1
a livello centrale aiuta entro certi limiti, offuscamento del visus, per l’azione
anticolinergica quindi il cristallino funziona male, e poi ci sono i due grandi
spauracchi che abbiamo, principalmente la neutropenia che è stato un po’
il marchio di fabbrica di questo farmaco, che l’ha relegato nella seconda
87
linea e poi la miocardite eosinofila, che è un effetto molto grave, ma molto
più raro rispetto alla granulocitopenia.

Cominciamo a guardare da vicino le crisi epilettiche, che si manifestano


nell’ 1-6% dei pazienti. La cosa interessante è che non parliamo di pazienti
epilettici in trattamento con Clozapina per problemi di natura psicotica, che
sviluppano un’esacerbazione della crisi o hanno abbassamento della soglia
della crisi, ma di pazienti non epilettici che possono sviluppare crisi.
Le crisi epilettiche sono dose dipendenti, come vi ho detto poco fa quando
si superano i 600 ng/ml è più probabile. Insorgono maggiormente se la
titolazione è rapida, possono vedersi anche in soggetti giovani.
Quindi è un problema serio; in realtà, queste concentrazioni plasmatiche,
che si riferiscono alla quantità totale (quota libera + quota legata), le
osserviamo negli USA, anche questo tenetelo in considerazione.

Chi è a rischio? se il paziente schizofrenico dovesse prendere


Benzodiazepine e quando? Alla sospensione delle benzodiazepine, perché a
quel punto si ha una sindrome da ipereccitabilità, cioè si va in astinenza da.
Quindi la combinazione tra sospensione di Benzodiazepine e Clozapina
aumenta il rischio crisi epilettiche.
L’altro fattore di rischio è l’etanolo. Anche qui, il paziente schizofrenico
può essere alcolista, a questo punto diventa critico, perché se venisse
sospeso l’etanolo automaticamente aumenta il rischio di crisi epilettiche.

Aumento del peso.


Da cosa dipende? Sicuramente dal blocco del 5HT2c, che è un recettore
importante che controlla l’appetito; anche i bloccanti di H1nel SNC causano
aumento ponderale. I vecchi antistaminici che attraversavano la barriera
ematoencefalica, oltre a dare sonnolenza, davano aumento di peso. Quindi
sono due gli elementi contribuiscono. L’aumento ponderale standard è di
4,5-5 kg dopo 10 settimane, diciamo che il 5-35% dei pz trattati ha un
aumento superiore al 20% del peso corporeo, quindi è un aumento
importante. Questo controindica la Clozapina in modo assoluto in pz che
hanno psicosi associata a demenza, perché i pazienti anziani con demenza,
in generale, ma specialmente quelli con demenza da Alzheimer, di cui il
controllo delle manifestazioni psicotiche diventa assolutamente
fondamentale, rischiano la sindrome metabolica.
Il rischio della sindrome metabolica significa anche rischio di ictus
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cerebrale, per le complicanze di natura CV. Anche l’Olanzapina causa
aumento ponderale, quindi, questi due farmaci nei pazienti con demenza di
Alzheimer non li potete dare. Anche il Risperidone lo fa, ma di meno.
Quindi dovete andare verso la Quetiapina, l’Aripriprazolo e il Lurasidone,
che non danno grande incremento ponderale.
Esistono dei polimorfismi che possono essere associati all’aumento di peso,
tra questi abbiamo:
- polimorfismo del gene che codifica per la leptina #2548 del gene, G>A,
sapete la leptina è quell’adipochina proinfiammatoria, prodotta dal tessuto
adiposo, più tessuto adiposo c’è, più leptina viene prodotta, e la leptina
riduce il controllo alimentare.
- polimorfismo recettore della leptina #668 A>G.
- polimorfismi di varia natura del recettore 5HT2c che è il recettore
principale bloccato dalla Clozapina che dà questo tipo di manifestazioni.

Granulocitopenia.
Che potrebbe dipendere da attività agonista parziale del farmaco per i
recettori H4 nel midollo osseo. Considerate che normalmente i WBC
oscillano tra 4 e 11000/l. I neutrofili tra 2,5 e 7,500/l.
Allora cosa può accadere? Innanzitutto, la prima cosa da fare è quando voi
fate un trattamento con Clozapina nelle prime 18 settimane dovreste
teoricamente fare la conta dei globuli bianchi ogni settimana.
Dopo le prime 18 settimane, la conta deve essere fatta mensilmente.
Cosa succede? Se i WBC dovessero scendere sotto 3,500/l ma mantenersi
sopra 3000/l, oppure i neutrofili li avete tra 2500 e 1500, voi potete
continuare con Clozapina, ma dovete fare le conte 2 volte a settimana,
quindi diventa un monitoraggio impegnativo.
Se i bianchi totali scendono sotto 3000, o i neutrofili sotto 1500, voi
sospendete immediatamente il farmaco e a questo punto, se nonostante la
sospensione del farmaco, i bianchi totali, anziché salire scendono al di sotto
di 2000, e i neutrofili li trovate sotto 1000, avviandoci alla granulocitopenia
(i neutrofili<500), il rischio di infezioni opportunistiche diventa serissimo e
a questo punto considerate l’utilizzo di G-CSF, cioè il fattore di stimolazione
delle colonie dei granulociti, ma siete senza farmaco.
Considerate che questo tipo di effetto lo avete nell’ 1-2% dei pazienti, sono
pochi ma come fate a individuarli?
Ci sono i polimorfismi, soprattutto quello di HLA, cromosoma 6.
Quelli che incidono maggiormente sono due polimorfismi associati: HLA
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DQB1, il polimorfismo si chiama 6672 G>C, cioè una citosina al posto di
una guanina, e un polimorfismo collegato a questo un altro HLADQB1 126
Q, cioè c’è in posizione 126 una glutammina. Con questi due polimorfismi
avete un OR (rischio relativo) molto elevato anche di 15 o 16.
Poi avete un altro polimorfismo che è HLAB #158 T che significa che avete
in #158 una treonina, ma in questo caso l’OR e 3,3.
Poi abbiamo alcuni polimorfismi a carico di alcuni trasportatori epatici:
- SLCO questo si chiama 1B3 o 1B7.Questo è abbastanza interessante
perché significa che il trasporto della Clozapina nel fegato e il successivo
metabolismo può alla fine condizionare l’impatto del farmaco sulla serie
bianca.
Poi abbiamo un polimorfismo a carico del gene ACKR1, che si trova spesso
negli africani. Quando degli individui africani hanno questo polimorfismo,
credo nel 25-30-50% della pop. africana, hanno livelli di bianchi più bassi.
Avere questo polimorfismo a questo gene rappresenta predisposizione per
neutropenia da Clozapina.

Scialorrea.
Ipersalivazione nel 30-80 % pz trattati. Durante un congresso sui recettori
metabotropici del glutammato ho parlato di farmaci per la schizofrenia e
scialorrea e relative soluzioni. Da quel momento, sono passati diversi anni,
ricevo con cadenza mensile telefonate da una signora che chiama dalla
Sicilia, la quale ha la sfortuna di avere un figlio schizofrenico e vuole
sempre sapere se ci sono nuovi farmaci per questo problema, perché questo
ragazzo è in trattamento con la Clozapina e lei mi ripete sempre la stessa
storia: “Come devo fare? Quando va a letto bagna tutto, saliva in
continuazione, devo cambiare la fodera del cuscino…”
Probabilmente dipende dalla interazione della Clozapina col recettore M4
muscarinico, che è accoppiato a proteina G inibitoria, quindi come faccia
l’interazione a determinare questo effetto onestamente non lo so.
Cosa potreste dare per ovviare a questa storia? Teoricamente ovviare dando
anticolinergici, ma che agiscono su M3 che sono quelli che agiscono sulle
ghiandole salivari.

Miocardite eosinofila.
Miocardite eosinofila, che non potete correlare all’eosinofilia (aumento
assoluto degli eosinofili) e basta, perché la eosinofila ha prevalenza di
23/8000 trattati quindi siamo nell’ordine dello 0,3%, mentre invece
90
l’eosinofilia ha percentuali molto più alte.
Cosa dovete monitorare? PCR, VES, poi CK-MB.
La miocardite eosinofila può verificarsi nelle prime tre settimane di
trattamento, quindi abbastanza precocemente, ovviamente questi parametri
vanno monitorati e si può verificare alterazione del tratto ST e può essere
una patologia mortale.

Sesta lezione di farmacologia della psichiatria, 16/05/20


Continuiamo con gli antipsicotici di seconda generazione o antipsicotici
atipici. Vi ricordate la volta scorsa abbiamo parlato di Clozapina: miglior
farmaco antipsicotico in assoluto, però con seri problemi dal punto di vista
del profilo di sicurezza (mielosoppressione, miocardite eosinofila,
incremento ponderale; non sottovalutate anche l’ipersalivazione, perché
questo è un effetto che si vede molto frequentemente). Se ricordate,
l’Olanzapina apparteneva al gruppo dei MARTA, cioè degli antipsicotici
che hanno diversi bersagli d’azione. Continuando all’interno di questo
gruppo, ne trattiamo altri tre, uno lo inseriamo tra i MARTA – non so se sia
giusto inserirlo oppure no, ma insomma lo inseriamo lo stesso – il secondo,
che invece viene inserito a pieno titolo nei MARTA è l’Olanzapina.

- Olanzapina

L’Olanzapina si chiama Zyprexa ed è, per cominciare, un ottimo farmaco


antipsicotico: ottimo nei confronti dei sintomi positivi, ottimo nei confronti
dei sintomi negativi, l’Olanzapina ha due problemi fondamentali. Uno è
l’incremento ponderale, fa ingrassare quasi come la Clozapina, questo
automaticamente controindica l’uso dell’Olanzapina, per esempio, nei pz
che hanno psicosi che precede o accompagna la demenza di Alzheimer,
perché in questo caso l’aumento del peso e la sindrome metabolica possono
rappresentare un problema, e diventano fattori di rischio cerebro-vascolare,
quindi bisogna stare particolarmente attenti. L’altro effetto invece è la
depressione del SNC; adesso vi dirò il profilo farmacodinamico e vi
accorgerete che ha un’affinità nei confronti dei recettori H1 per l’istamina
spaventosa, è lo psicofarmaco che ha maggiore azione antistaminica in
assoluto (occorre stare attenti in determinate circostanze). Il vantaggio, però,
è che esiste il LAI – cioè il farmaco in formulazione DEPOT, ovvero Long-
91
Acting Injectable – del quale vi parlerò. Man mano che faremo i farmaci ad
uno ad uno farò riferimento ai LAI, quando saranno presenti, e poi alla fine
faremo un discorso cumulativo sui LAI. Il vantaggio di questi farmaci è che
fate una singola somministrazione che dura due-quattro settimane: quando
fate questo non potete più tornare indietro, quindi dovete essere certi che il
farmaco sia ben tollerato e mantenga la sua efficacia.
Andiamo alla farmacodinamica dell’Olanzapina, poi vediamo gli impieghi
clinici, i dosaggi, etc.
Vi ricordate come funziona: c’è una tabella dove bisogna mettere a
confronto i valori liberi plasmatici del farmaco– cioè la concentrazione
plasmatica libera – con le varie affinità in nM per tutti i recettori. Allora se
voi valutate, allo “steady-state” – cioè allo stato stazionario – la
concentrazione di Olanzapina libera nel plasma, verrà per l’esattezza 8,9
nM (circa 9 nM, quindi). Ovviamente questo valore va confrontato con tutti
i valori di costante di inibizione nei confronti dei vari recettori. Allora, nei
confronti dei recettori D2 per la dopamina, il valore è circa 20 nM, che
significa che c’è una buona affinità, però è un’affinità più bassa rispetto alla
concentrazione plasmatica libera, perché vedete la concentrazione è 9
nM, mentre invece voi avreste bisogno di una concentrazione di 20 nM per
bloccare il 50% dei recettori D2 (costante di inibizione). Questo significa,
tradotto in soldoni, che la cosiddetta target occupancy nel SNC è intorno al
45-55%7. Questo valore poi è simile a quello della Clozapina, il che vuol
dire che il Parkinsonismo farmacologico, con questo farmaco, rappresenta
un problema molto relativo. Molto relativo significa che potrebbe esserci,
però è un evento raro, anche se, parlando con colleghi neurologi, mi dicono
che ogni tanto pz trattati con Zyprexa si irrigidiscono un po’, cioè hanno dei
segni di Parkinsonismo farmacologico.
Recettori reclutati:

- 5-HT1A

7
viene fuori quindi dal rapporto tra costante di inibizione del/dei recettore/i e la concentrazione plasmatica
libera del farmaco allo steady-state, calcolato in percentuale: 20nM/8,9nMx100=45-55%, n.d.A.

92
Nei confronti del 5-HT1A, che è un recettore abbastanza importante,
forse legato al trattamento della acatisìa. Comunque, quando i farmaci
interagiscono col recettore 5-HT1A sono sempre agonisti parziali per
qualche motivo, però l’affinità in questo caso è molto bassa, siamo sui
610 nM. Per questo motivo, è verosimile che l’Olanzapina non riesca mai
a legare i recettori 5-HT1A.

- 5-HT2A

Mentre invece un’affinità altissima ce l’ha nei confronti del recettore 5-


HT2A, qui siamo intorno a 1,5 nM, il che vuol dire che, alle
concentrazioni libere plasmatiche allo steady-state (9 nM), sicuramente i
recettori 5-HT2A sono del tutto saturati all’interno del SNC. Questa è
una caratteristica comune a questi tutti gli antipsicotici atipici, sono
pochi gli antipsicotici atipici che hanno una bassa affinità nei confronti
del recettore 5-HT2A, quindi l’Olanzapina non fa eccezione.

- 5-HT2C

Poi abbiamo un problema: il recettore 5-HT2C. Questo è il recettore che


fa dimagrire, nei suoi confronti l’Olanzapina ha un’affinità che è 4,1nM.
Ciò vuol dire che l’Olanzapina blocca il recettore, e già questo fa sì che
il pz ingrassi a causa dell’Olanzapina, dando sindrome metabolica, quindi
bisogna stare particolarmente attenti.

- Adrenergici

Poi abbiamo gli adrenergici: nei confronti di 1 e  2 abbiamo affinità di


44 nM e 280 nM, quindi possiamo non curarcene affatto, sono delle
affinità troppo basse per curarcene, tranne che non si vada in
sovradosaggio chiaramente, o che ci siano blocchi del metabolismo.
Dunque, la probabilità statistica che l’Olanzapina possa dare ipotensione
ortostatica (a causa del reclutamento degli 1) è bassa.

- H1

Il problema nasce – chiamiamolo problema o caratteristica principale –


nei confronti del recettore H1, per il quale abbiamo un’affinità di 0,08
93
nM, quindi un’affinità spaventosa. Significa che bastano 80 pM di
Olanzapina per saturare (e quindi bloccare) quasi il 50% dei recettori H1
nel SNC, ricordate che però la concentrazione è 9 nM, quindi è una
concentrazione 100 volte più alta rispetto a quella richiesta per bloccare
gli H1. Questo vuol dire che l’Olanzapina ha un’azione depressiva nei
confronti del SNC straordinaria.
Allora, bisogna stabilire delle regole:

1) Se si dà il LAI, questo per nessun motivo al mondo può andare in


vena. Voi direte qual è il problema, visto che il LAI si dà per via i.m.,
e durano 2 o 4 settimane, però non bisogna sbagliarsi mai. Se,
inavvertitamente, si fa l’Olanzapina ev il pz può andare in coma per
depressione acuta del SNC, o comunque ci possono essere segni come
una forma di delirium di tipo ipocinetico (il pz comincia ad entrare in
stato confusionale, rimane bloccato, ha problemi serissimi). Allora, in
scheda tecnica del farmaco, ci sono le istruzioni su come fare la
concentrazione i.m. di Zypadhera, che sarebbe la formulazione LAI
dell’Olanzapina. Quindi bisogna stare molto attenti a questo.

Domanda di studente: nel caso per errore lo si dia ev, cosa si può dare come antidoto? Bisogna in qualche misura
cercare di risvegliare il pz, non so se forse il Provigil si può utilizzare, o qualcosa di estremamente attivante, non
ne ho idea. Comunque, in quel caso il problema diventa un’emergenza medica, quindi un fatto che poi riguarda
la rianimazione, la terapia intensiva, quindi immagino si tratti di terapie di supporto.

2) L’Olanzapina non si può mai associare con Benzodiazepine


(BZD). Questo è qualcosa che non tutti gli psichiatri sanno, però se
voi sentite le conferenze di uno degli psichiatri di maggior spessore,
che è il professor Andrea Fagiolini di Siena (è venuto anche a fare un
paio di seminari al Sant’Andrea) lui ribadisce sempre questo punto:
Olanzapina mai con BZD. Questo perché ovviamente l’Olanzapina
deprime il SNC e le BZD fanno lo stesso, quindi quando il pz va a
dormire possono nascere grandi problemi.
Domanda di studente: nel caso ci si sbagli, cosa si può dare come antidoto alle BZD? Risposta: L’antidoto si chiama
Flumazenil, chiamato anche Ro151788, questo è il farmaco che normalmente si lega allo stesso sito delle BZD,
bloccandone l’azione.

Domanda: in reparto ci capita sempre di vedere Olanzapina + Halcion (Triazolam, una BZD). Risposta: è vero che
l’Halcion viene usato per dormire, però è sbagliato, è una cosa pericolosa. Tra le altre cose, non si può escludere che il pz
beva: se per caso ci mette anche l’alcol sopra, diventa una cosa abbastanza pericolosa. Quindi cerca di dissuadere dell’uso
combinato di questi due farmaci.

94
- M1

Infine, c’è una certa affinità di circa 2,5 nM per i recettori M1


muscarinici. Per gli altri recettori muscarinici, invece, non ha alcun tipo
di effetto. Questo per certi versi è buono per il Parkinsonismo
farmacologico, perché significa che avete un’azione anticolinergica che
può controbilanciare quel blocco dei recettori D2, che però, come avete
visto, è un blocco con poca affinità.
Quindi, ricapitolando, il meccanismo base d’azione dell’Olanzapina è il
blocco dei recettori 5-HT2A con affinità altissima; blocco dei recettori
D2, ma con affinità più bassa (45-55% target occupancy); azione
antistaminica straordinaria, questo può essere utile se il pz è agitato, e la
cosa può funzionare, però può dare depressione del SNC.
A volte ci possono essere delle situazioni che vanno ben interpretate, e che
si leggono in questo modo: voi fate un trattamento molto lungo con
Olanzapina, ovviamente il recettore H1 viene bloccato per lunghi periodi di
tempo, per tanto reagisce, aumentando il numero di recettori espressi nella
membrana (forma di supersensitività da blocco), finché si raggiunge un
equilibrio. Se poi voi decidete per esempio di fare uno switch – ad esempio
da Olanzapina ad Aripiprazolo – il pz immediatamente lo vedete agitato,
soprattutto se fate uno switch immediato. A questo punto l’erronea
interpretazione potrebbe essere che l’Aripiprazolo stia dando agitazione,
invece no. L’agitazione deriva dal fatto che voi avete sospeso
improvvisamente l’Olanzapina. Per cui quando bisogna fare uno switch
da Olanzapina ad un altro farmaco, bisogna dare il tempo e la possibilità ai
recettori per l’istamina di riprendersi, a meno che, ovviamente, il farmaco
che si va ad inserire al posto dell’Olanzapina non abbia anch’esso un’azione
antistaminica, che però indubbiamente non potrà mai essere forte come
quella dell’Olanzapina.
L’Olanzapina si usa anche nel trattamento delle fasi maniacali, nella
profilassi del disturbo bipolare, quindi non è utilizzata esclusivamente
nella terapia della schizofrenia. Lo Zyprexa è un farmaco prodotto dalla
Lilly, azienda farmaceutica che ha prodotto anche la Fluoxetina, cioè il

95
Prozac, quindi per il trattamento del disturbo bipolare negli USA hanno
creato una formulazione unica con Olanzapina+Fluoxetina. Quando io ho
fatto farmacologia nel lontanissimo 1979, il professore di allora ribadì tante
volte il fatto che gli antipsicotici e gli antidepressivi non si possono mai dare
insieme, perché hanno dei meccanismi d’azione antitetici tra di loro. Questo
invece non è vero nella pratica clinica, gli antipsicotici si possono combinare
con gli antidepressivi, purché chiaramente l’associazione sia razionale. Uno
degli esempi è proprio il disturbo bipolare, dove voi potete dare un
regolatore del tono dell’umore, che può essere un antipsicotico, un
antiepilettico, oppure il Litio e poi però potreste essere costretti ad usare
anche un antidepressivo, perché nel disturbo bipolare - anche se per fare
diagnosi basta un’unica fase maniacale, anche senza episodi depressivi - può
capitare che nella storia clinica del pz gli episodi depressivi predominino
rispetto a quelli maniacali. Quando c’è un episodio depressivo all’interno di
un disturbo bipolare voi, da che siete sulla cima dell’Everest, scendete nella
Fossa delle Marianne, e quindi in quel caso l’episodio depressivo può essere
molto grave. In ogni caso, però, va sempre dato il regolatore dell’umore,
perché se date l’antidepressivo da solo c’è lo switch, ed il pz ritorna
possibilmente in fase maniacale. Dunque, una delle possibilità è proprio fare
questo genere di associazione, Olanzapina+Fluoxetina, proprio perché la
stessa azienda ha prodotto entrambi i farmaci.
Per quanto riguarda il dosaggio dell’Olanzapina, questi in genere sono
compresi tra 5 e 20 mg/die, si dà una volta al giorno, ed è bene fare un
minimo di titolazione, se lo si preferisce. I dosaggi più utilizzati sono 10, 15
o 20 mg al giorno. L’Olanzapina viene prevalentemente metabolizzata dal
CYP3A4 e dal CYP1A2. I rapporti, rispetto alla Clozapina, si invertono:
mentre la Clozapina, alle concentrazioni terapeutiche, è metabolizzata
prevalentemente dal CYP1A2, l’Olanzapina invece prevalentemente dal
CYP3A4.
-Domanda: Ma questa è un’associazione che ha proprio un suo nome?

-Risposta: No, non credo che in Italia abbia un nome, però negli USA le due sostanze sono associate in un unico farmaco,
chiamato Symbyax. Il Italia non mi risulta che ci sia.

Come vi dicevo in precedenza, l’Olanzapina può esistere anche sotto forma


di LAI, chiamato Zipadhera, che viene somministrato i.m. Il LAI viene
somministrato per 2 o per 4 settimane, ed il dosaggio dipende dal dosaggio
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orale che veniva dato precedentemente: se il pz prendeva 10mg/die per os,
allora si daranno o 210mg per 2 settimane, o 405mg per 4 settimane. Invece,
il dosaggio di mantenimento è 150mg ogni 2 settimane o in alternativa
300mg ogni 4 settimane. Se invece il paziente faceva 15 mg pro die, allora
questo punto il dosaggio sarà, come dosaggio di attacco, di 300 mg ogni due
settimane, mentre, come dosaggio di mantenimento, sarà 210 mg ogni due
settimane o 405 mg ogni quattro settimane. Se invece il paziente prendeva
20 mg al giorno, passando al LAI, dovrete dare 300 mg ogni due settimane
come dosaggio di iniziale, e come mantenimento ugualmente 300 mg ogni
due settimane. In questo modo potrete fare tutti i dosaggi di conversione
dall’Olanzapina orale all’Olanzapina LAI.
Ricordate che oggi i LAI di seconda generazione sono farmaci sempre
più utilizzati, perché sono farmaci che hanno un’azione protettiva
attraverso tutta una serie di meccanismi, sono farmaci che riducono la
mortalità, che garantiscono migliore controllo in termini di aderenza
naturalmente (sono pazienti che non vogliono essere trattati, quindi potete
fare queste iniezioni che durano due o quattro settimane), la maggior parte
degli psichiatri preferisce prima provare il farmaco orale e poi cominciare
con il farmaco LAI, per essere certi, naturalmente, che funzioni.
L’orientamento oggi è comunque di utilizzare il LAI al più presto possibile.
Ultima raccomandazione ancora, con Olanzapina non bisogna fare
l’iniezione in vena del LAI per nessun motivo al mondo. Questo per
evitare depressione acuta del sistema nervoso centrale, che dipende
dall’azione antistaminica.

- Quetiapina

Ora parliamo della Quetiapina, il famoso Seroquel, ma che adesso ha diversi


nomi perché il farmaco è diventato generico. Lasciate che vi dica una cosa
di carattere generale: il Seroquel è un farmaco che molte volte si dà agli
anziani, perché è un po’ più tranquillo e ha degli effetti avversi più
controllati (per esempio è un farmaco che fa ingrassare poco, e quando c’è
la psicosi associata demenze potrebbe essere una buona scelta).
Normalmente, quando voi andate in scheda tecnica, trovate che al “giorno
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1” vengono somministrati 50 mg, al “giorno 2” 200 mg al “giorno 3” 200
mg, e dal “giorno 4” 300 mg. Quindi dovete fare questo tipo di titolazione,
il che vi suggerisce che potreste anche fermarvi qui. In realtà, potreste
andare oltre: ad esempio, se si vuole fare un trattamento del disturbo
bipolare con Quetiapina (questo farmaco funziona soprattutto nei confronti
delle fasi depressive) si potrebbe salire con il dosaggio fino addirittura a 750
mg pro die.
Tutti gli psichiatri con i quali ho avuto a che fare (parlo di psichiatri con la
P maiuscola), mi hanno detto che la Quetiapina fino a 300 mg è un
antidepressivo, e non un antipsicotico. Dunque, la loro opinione unanime
è questa: se si vuole avere l’effetto antipsicotico, bisogna salire, e bisogna
andare al di sopra di 400-500 mg pro die, il che è una cosa abbastanza
interessante. L’efficacia della Quetiapina nelle fasi depressive del disturbo
bipolare potrebbe dipendere proprio dal fatto che a dosaggi bassi questa ha
più un effetto antidepressivo che antipsicotico.
-Domanda: in farmacia quello che diamo di più è da 25 mg, che azione ha?

-Risposta: sicuramente antidepressivo, ma voi lo date a questo dosaggio perché sicuramente è un farmaco che è stato
prescritto per persone anziane, quindi ottantenni che hanno problemi e che vogliono prenderlo. Quando date 25 mg ad un
ottantenne, è come se deste 50 o 100 mg ad un soggetto giovane. Il Seroquel, infatti, viene molto prescritto agli anziani,
perché i farmaci come l’Olanzapina la Clozapina vengono prescritti loro con molta più attenzione, mentre il Seroquel
viene prescritto con grande tranquillità.

Recettori reclutati:
Ora cerchiamo di chiarire il profilo farmacodinamico. Quando il farmaco è
allo steady-state, la sua concentrazione è 36 nM.

- D2:

L’affinità nei confronti dei recettori D2 per la dopamina è di 770nM. Quindi


noi consideriamo la Quetiapina un farmaco in grado di interagire con i
recettori D2 soltanto con grandissima generosità. Per questo vi dicevo che
l’azione di antipsicotico viene fuori a dosaggi molto più alti: se voi avete
36 nM di quota libera, e avete poi 770 nM di affinità, avete un rapporto di
20 volte. Questo significa che dovete superare 500 o 600 mg per avere
un’azione franca antipsicotica.
Io non conosco, allo stato attuale, farmaci antipsicotici che non siano in
grado di interagire con i recettori D2 della dopamina. Certo, gli antipsicotici
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atipici hanno il bersaglio principe che sono i recettori 5-HT2A, ma vi ho
detto diverse volte che farmaci come la Ritanserina o la Ketanserina
bloccano i recettori 5-HT2A senza far nulla sui recettori dopaminergici:
farmaci del genere non sono antipsicotici. Quindi la componente
dopaminergica è sempre presente, soltanto che nel caso del Seroquel viene
fuori a dosaggi più alti, proprio perché l’affinità è estremamente bassa.

- 5-HT1A

Nei confronti dei recettori 5-HT1A è più o meno la stessa cosa: la


Quetiapina ha un’affinità di 300 nM, quindi 10 volte rispetto alla
concentrazione plasmatica libera che voi avete normalmente con 200-300
mg di Quetiapina allo steady state. Per questa ragione dico che la
Quetiapina si può comportare da agonista parziale dei recettori 5-HT1A,
e dico agonista parziale perché quando l’antipsicotico agisce su recettori
5-HT1A è sempre un agonista parziale. Dunque, la probabilità che questo
recettore possa essere reclutato da Quetiapina è bassa.

- 5-HT2A

Le cose cambiano invece, se andate al recettore 5-HT2A. L’affinità per


questo recettore, invece, è 31nM, che è esattamente corrispondente alla
concentrazione libera che voi avete nel plasma. Quindi la Quetiapina è
un ottimo bloccante dei recettori 5-HT2A, ed esercita principalmente
la sua azione così.

- 5-HT2C

Nei confronti dei recettori 5-HT2C, ovvero quelli che normalmente fanno
dimagrire (cioè i farmaci che li bloccano fanno ingrassare), l’affinità è
500 nM, quindi non c’è alcuna azione nei confronti di tali recettori.
Questa è una grande differenza con Olanzapina e Clozapina. Infatti,
se Olanzapina e Clozapina fanno ingrassare, la Quetiapina fa ingrassare
pochissimo, proprio perché non recluta i 5-HT2C.

- 1

99
Tuttavia, la Quetiapina ha un’affinità di 8,1 nM, quindi molto forte, nei
confronti del recettore 1. Nei confronti di questo recettore, si comporta
da bloccante. Bloccare i recettori 1 significa correre il pericolo
dell’ipotensione ortostatica, quindi, anche se non è riportato così
frequentemente con Seroquel, bisogna fare attenzione. Un paziente
anziano che dovesse avere un episodio di ipotensione ortostatica potrebbe
cadere e rompersi il femore, quindi va valutato con attenzione. Poi
ricordatevi una cosa fondamentale: quando un farmaco blocca i
recettori 1, è un farmaco che interferisce con la midriasi (vi ricordate
che la midriasi dipende dall’attivazione di questi recettori, perché c’è il
muscolo radiale dell’iride che risponde a tali recettori).
Quand’è che il blocco del recettore 1 diventa critico per un’operazione
che fate in soggetti anziani? Quando non avere la midriasi diventa un
problema pesante? Per l’intervento di correzione della cataratta.
Pazienti che sono in trattamento con Seroquel non dovrebbero sottoporsi
ad un intervento di cataratta, perché c’è il rischio di avere l’iride a
bandiera. L’iride a bandiera dipende dal fatto che il paziente non può
avere la midriasi, perché il recettore è bloccato. Durante l’intervento di
cataratta c’è miosi, e, a quel punto, si crea una finestra nell’iride. Si
chiama Floppy iris, ed è una complicanza chiaramente irreversibile.
Quindi, a volte, né gli oculisti né gli psichiatri sono al corrente di questo
problema, quindi occorre fare molta attenzione con la Quetiapina per
questa attività adrenergica (come ricorderete, l’affinità è 8,1 rispetto a 36
di concentrazione libera).

- H1

Nei confronti dei recettori H1, cioè gli ultimi interessanti da considerare,
abbiamo un’affinità di 19 nM. Questo valore è interessante perché la
concentrazione plasmatica è 36nM, quindi bloccare i recettori H1
significa provocare una certa depressione del sistema nervoso
centrale. Questa depressione non è paragonabile a quella
dell’Olanzapina, la quale è una depressione spaventosa, però è comunque
discreta: per quanto mi risulta, a volte, il Seroquel viene preso da pazienti
100
anziani proprio per facilitare il sonno. Si dà alla sera in questi casi, e la
spiegazione è proprio questa azione antistaminica.

- Muscarinici

Nei confronti dei recettori muscarinici, invece, l’affinità è bassissima,


quindi le concentrazioni plasmatiche non riescono mai a reclutarli.

Riassumendo, il take-home message è che la Quetiapina è


prevalentemente antidepressiva ai dosaggi indicati in scheda tecnica
(fino a 300 mg) e quindi per diventare antipsicotico ha bisogno di
dosaggi molto più alti. Questo è ampiamente giustificato dall’affinità molto
bassa nei confronti dei recettori D2. D’altro canto, c’è una buona affinità nei
confronti dei recettori 1 ed H1, e questi due effetti possono dare
ipotensione ortostatica e sonnolenza.

-Domanda: se un paziente deve fare un intervento chirurgico, posso o devo sospendere la terapia antipsicotico?
-Risposta: è importante valutare che tipo di intervento deve fare il paziente, e che tipo di farmaco antipsicotico prende.
Per esempio, se il paziente sta facendo un antipsicotico ad alta potenza, di prima generazione, come l’Aloperidolo,
l’interferenza con l’intervento chirurgico e con l’anestesia (perché poi il problema è l’interferenza con l’anestesia),
diventa relativo. Viceversa, se il farmaco ha soprattutto un’azione antistaminica, quindi è un farmaco antipsicotico di
prima generazione a bassa potenza (tipo Clorpromazina, Levomepromazina, e così via), oppure un farmaco di seconda
generazione con decente azione antistaminica (Olanzapina su tutti, ma abbiamo visto anche Clozapina e Quetiapina), in
questo caso ovviamente gli antipsicotici vanno sospesi.
Se, ancora, il pz sta facendo un LAI di Olanzapina, se ha una somministrazione di quattro settimane avrà un’azione
antistaminica mostruosa per quattro settimane: in questo caso chiaramente il rischio che ci sia un sinergismo con
l’anestetico diventa abbastanza importante, e sarebbe quindi utile rimandare l’intervento chirurgico per almeno un paio
di mesi, affinché tutte le scorte di Olanzapina possano essere eliminate.

- Lurasidone

Ultimo farmaco che prendiamo in considerazione è il Lurasidone. Questo è


un farmaco che è entrato da poco in commercio, si chiama Latuda. È un
farmaco che ha alcuni vantaggi: il primo vantaggio è che non fa ingrassare;
il secondo, è l’efficacia nei confronti dei sintomi positivi e dei sintomi
negativi; il terzo vantaggio è quello di essere uno dei pochi farmaci che
ha un potenziale di azione nei confronti della sfera cognitiva e anche
una certa azione antidepressiva.

101
Vi devo fare una piccola premessa: io, in questo momento, sono coinvolto in una nuova avventura, che va un po’ contro
i miei principi. Si tratta di uno studio sul potenziale uso dei funghi magici, Psilocina e Psilocibina, nel trattamento della
depressione maggiore. Come molti di voi sanno, l’Esketamina è stata approvata nel trattamento della depressione
maggiore sia negli Stati Uniti che in Europa, è un farmaco antidepressivo ad azione rapida nei soggetti farmaco-resistenti.
Siccome mi hanno chiesto una specie di consulenza su questo argomento, mi è capitato a questo proposito di leggere tutta
una serie di articoli di uno psichiatra inglese molto famoso, David Nutt, il quale è il sostenitore degli allucinogeni nel
trattamento della depressione. Lui ritiene che siano dei farmaci che eliminano l’internalizzazione che c’è nei pazienti
depressi, ed aumentano l’entropia verso l’esterno. Esiste un commentario su Sel, quindi la migliore rivista del mondo,
che parla dell’uso degli allucinogeni simili all’LSD, quindi appunto Psilocina, Psilocibina e Ayahuasca (quindi dimetil-
triptamina), per curare la depressione con effetto rapido. Su questo commentario su Sel, David Nutt scrive un’opinione
totalmente negativa sugli psicofarmaci. Secondo lui, non c’è stata evoluzione nella farmacologia psichiatrica negli ultimi
vent’anni. Questa presa di posizione, ovviamente, non è condivisibile. Una delle ragioni per cui non è condivisibile è che
abbiamo delle molecole che non curano la schizofrenia, però curano alcuni sintomi della schizofrenia e in tal modo
migliorano il management del paziente. Infatti, oggi riusciamo ad aggredire alcuni domini sintomatologici che con i
vecchi antipsicotici non erano accessibili.

Un esempio è dato dal Lurasidone. Altri esempi sono dati dagli agonisti
parziali: Aripiprazolo, Brexpiprazolo, Cariprazina. Quando vuoi prendete in
esame gli antipsicotici nell’insieme, allora, non dovete cadere nell’errore di
credere che gli psicofarmaci rappresentino una parte della farmacologia che
non sta avendo evoluzione, perché ci sono tante molecole che stanno
venendo fuori. Non esiste l’antipsicotico migliore, ma esiste
l’antipsicotico più indicato per una determinata tipologia di paziente.
Il Lurasidone potrebbe avere questa caratteristica importante per l’azione
sulla sfera cognitiva.
-Domanda: esiste un LAI del Lurasidone?
-Risposta: no, non esiste il suo LAI, come non esiste della Quetiapina.
-Domanda: perché lei è contrario alla Psilocibina?
-Risposta: No, non sono contrario. Sono contrario alla propaganda indiscriminata nei confronti degli allucinogeni, perché
questo significa poi giustificare tutti ragazzi che cominciano il percorso verso il disordine da uso di sostanze. Guardo con
molta simpatia alla Psilocina ed alla Psilocibina per una serie di motivi, che poi prenderemo in esame insieme.

Tornando al Lurasidone, la sua concentrazione plasmatica libera allo steady


state è =1,6nM, quindi una concentrazione molto bassa. Dobbiamo cercare
di rapportarla con l’azione che abbiamo nei confronti dei vari recettori.

Recettori reclutati:

- 5-HT1A

Il Lurasidone è innanzitutto agonista parziale del recettore 5-HT1A. Vi


ricordo che quando c’è un’azione sul recettore 5-HT1A è sempre
un’azione di agonista parziale. La costante di inibizione è 6,75nM: questo
102
significa che siamo, grosso modo, quattro volte più alti rispetto alla
concentrazione plasmatica libera. Quindi il recettore può essere reclutato,
ma fino ad un certo punto.

- 5-HT2A

Il secondo recettore è 5-HT2A, il quale ha una costante di inibizione di


2,09nM. Perciò Lurasidone non fa eccezione rispetto a tutti i farmaci visti
fino adesso rispetto al blocco di 5-HT2A: la concentrazione plasmatica
libera è sufficiente a bloccare questo recettore senza alcun tipo di
problema. Ciò significa che nei confronti di tale recettore si comporta da
antagonista.

- 5-HT2C

Andando avanti, nei confronti dei recettori 5-HT2C (quelli che fanno
ingrassare), non c’è alcun effetto, poiché l’affinità è bassissima. Si parla,
per questo recettore, di più di 400nM di affinità. Se si confronta 1,6nM
(concentrazione plasmatica libera) con questo valore, cioè praticamente
2nM, ci si rende conto che non c’è affinità sufficiente.

- 5-HT7

La cosa sorprendente è invece l’affinità nei confronti del recettore 5-


HT7. Questa affinità è 0,49nM, il che vuol dire che blocca il recettore a
concentrazioni che sono circa tre volte più basse rispetto a quelle che ci
sono nel plasma. Ciò significa che l’antagonismo di questo recettore da
parte del farmaco rappresenta un effetto fondamentale del farmaco stesso.
Torneremo su questo per cercare di capire il profilo farmaco dinamico.

- D2

Per quanto riguarda recettore D2, l’affinita è 1,68nM, la quale è


esattamente la concentrazione che c’è nel plasma. Quindi il Lurasidone,
a differenza di Olanzapina, Clozapina e Quetiaprina, è un ottimo
bloccante dei recettori D2. Questo significa probabilità statistica di
indurre parkinsonismo farmacologico.

103
Riassumendo, abbiamo un farmaco qui che non ci fa acquistare peso, ma
che un po’ ci fa tornare verso i farmaci di prima generazione, con la
differenza però che il Lurasidone blocca i recettori 5-HT2A, cosa che gli
antipsicotici di prima generazione non facevano. L’affinità nei confronti di
altri recettori adrenergici è molto bassa, non viene qui presa in
considerazione.

Qual è quindi il profilo farmaco dinamico: innanzitutto ha assenza di effetto


sul peso corporeo, e poi azione sulla sfera cognitiva. Questa azione
dipende dal blocco sui recettori 5-HT7. Questi sono dei recettori
estremamente particolari nel sistema nervoso centrale, sono accoppiati a
proteine GS, e di conseguenza determinano la produzione di cAMP
all’interno della cellula. Normalmente, in condizioni fisiologiche,
l’attivazione di questi recettori facilita i processi di apprendimento e di
memoria, ovvero facilita in generale la sfera cognitiva. La situazione
cambia radicalmente, però, se vuoi fate un modello animale che simuli le
caratteristiche della schizofrenia. Per esempio, fate un modello in cui
somministrate all’animale PCP, cioè Polvere d’angelo, che è uno dei
modelli più interessanti di schizofrenia che si possono realizzare. In questo
caso, la valenza del 5-HT7 cambia, ed in queste condizioni è il blocco di
questo recettore a migliorare la sfera cognitiva.

Dunque, questo recettore ha questa stranezza: se voi lo attivate in un cervello


normale, attivate la sfera cognitiva, migliorando tutti i meccanismi di
apprendimento e di memoria - aumentando il cAMP - invece se lo attivate
in un animale che vi faccia da modello di psicosi è il blocco del medesimo
recettore a migliorare la sfera cognitiva.
Ciò significa che nella schizofrenia l’antagonismo del recettore diventa
una strategia terapeutica particolarmente importante.
Il tallone d’Achille di questo farmaco è però il parkinsonismo
farmacologico. Questo dipende dalla affinità abbastanza elevata per i
recettori D2.
Io sto mettendo questo farmaco tra i MARTA perché c’è un’azione sui 5-
HT7 e sui 5-HT1A, la quale però si verifica soltanto a dosaggi abbastanza

104
elevati, e dunque potrei metterlo anche nella categoria degli SDA, categoria
che vorrei discutere con voi tra qualche minuto.

-Domanda: ma il cambio dell’azione su questi recettori 5-HT7 a che cosa è dovuto?


-Risposta: non lo so purtroppo, ma questo è un dato sperimentale che si verifica sempre. Forse deriva dal fatto
che questo recettore è accoppiato a Gs, ma si può accoppiare anche a proteina G12 e G13: evidentemente, in
condizioni patologiche, ci può essere uno switch della proteina G. Inoltre, il recettore forma anche un
eterodimero con il recettore 5-HT1A, e questo potrebbe cambiare le cose nel momento in cui somministraste
Fenciclidina e quindi modificaste l’attività di network della corteccia cerebrale. Però non riesco a darti una
risposta precisa, perché non credo che si sappia.

Il dosaggio va da 37 a 148mg pro die. Ovviamente potete titolare in base a


quello che vi aspettate. Più salite con il dosaggio, e più aumentano le
probabilità statistiche di attivare il recettore 5-HT1A. Quale può essere il
vantaggio di attivare questo recettore? Un’azione ansiolitica. Se voi
interrompete la somministrazione del Lurasidone mentre prendete 148 mg
pro die, se decidete di ricominciare, dovete farlo da 111mg pro die, e poi
aumentare la dose gradualmente fino a 148mg. Se invece siete al di sotto di
111mg, potete riprendere col dosaggio che facevate prima. Questo è
importante saperlo.

Infine, il Lurasidone è metabolizzato dal CYP3A4. Per questa ragione, voi


avete tutte le interazioni possibili immaginabili con gli inibitori ed induttori
di questo CYP3A4. È inutile che ne riparliamo, perché le abbiamo nominate
già molte volte. Tra gli inibitori ci sono farmaci che potete trovare in terapia
facilmente, per esempio i Macrolidi e la Claritromicina, il succo di
pompelmo. Il succo di pompelmo va evitato con qualunque
antipsicotico, ed in generale con qualunque farmaco metabolizzato dal
CYP3A4. Vi ricordate, i flavonoidi del pompelmo bloccano il CYP3A4,
quindi dovete stare particolarmente attenti. Tra gli induttori, avete la
maggior parte degli antiepilettici, quindi Fenobarbital, Carbamazepina,
Oxcarbazepina, Topiramato, Felbamato, Fenitoina, per cui insomma se
dovesse esserci un’interazione del genere state particolarmente attenti.
Considerate poi che il Lurasidone è un inibitore della glicoproteina P.
Questo significa annullare l’eliminazione dei farmaci, perché la
glicoproteina P è una pompa di efflusso principale. Un esempio su tutti, la
Digossina, il Digitalico, non si deve mai associare con un inibitore della

105
glicoproteina P, perché altrimenti c’è il rischio che si vada in intossicazione
da digitalici, quindi bisogna fare estremamente attenzione.
Oltre a questo, il Lurasidone blocca anche il BCRP, quindi un’altra pompa
di efflusso: la Breast Cancer Related Protein, la proteina correlata al
carcinoma della mammella. Anche in questo caso, ci sono diversi farmaci
antiepilettici, antitumorali che vengono eliminati per intervento della BCRP.
Quindi bisogna stare attenti per l’interazione, perché potreste fare un
boosting farmacocinetico, oppure anche aumentarne la tossicità.

Ricapitolando, il marchio di fabbrica del Lurasidone è questa affinità


stratosferica nei confronti del recettore 5-HT7. È lo psicofarmaco che ha
maggiore affinità nei confronti di questo recettore, così come l’Olanzapina
era lo psicofarmaco con la maggiore attività nei confronti dei recettori H1
dell’istamina. Questo significa miglioramento potenziale della sfera
cognitiva a fronte però, purtroppo, di un’affinità elevata anche nei confronti
del recettore D2, quindi di un rischio potenziale di parkinsonismo
farmacologico.

-Domanda: per l’azione sulla sfera cognitiva sarebbe indicato a farlo assumere un soggetto giovane con schizofrenia o
altre psicosi?
-Risposta: Per certi versi sì, cioè auspicabile che ci sia un’azione sulla sfera cognitiva, Brexpiprazolo è un altro farmaco
che ha questa potenzialità, come anche la Clozapina ce l’ha, ovviamente però tutto va rapportato agli effetti avversi. Cioè,
se un soggetto giovane rischia rallentamento motorio e parkinsonismo farmacologico con Lurasidone, allora questo è un
grande problema. Magari cercando di giocare con i dosaggi questo potrebbe evitarsi, magari il reclutamento dei recettori
D2 è parziale con dosaggi bassi mentre invece il 5-HT7 agli stessi dosaggi viene reclutato bene… Quindi forse un basso
dosaggio nei soggetti giovani, al di sotto di 111 mg pro die, potrebbe starci. Però non so bene che dire, è ovvio che la
sfera cognitiva è un target fondamentale della terapia, ma al momento ci sono soltanto questi tre farmaci che hanno
un’azione su di essa: Clozapina, Brexpiprazolo (che peraltro non è ancora in commercio, sarà in commercio immagino a
fine anno) e Lurasidone.

Gli SDA

Adesso andiamo ad un altro gruppo di farmaci, i cosiddetti SDA. Questi


sono farmaci che hanno alta affinità nei confronti dei recettori 5-HT2A,
bloccandoli. Contemporaneamente hanno un’alta affinità nei confronti
dei recettori D2 per la dopamina. In questo, quindi, ricordano gli
antipsicotici di prima generazione.
Questi farmaci SDA sono i più classici degli antipsicotici atipici. Abbiamo
qui due rappresentanti molto famosi, che sono Risperidone - il famoso
106
Risperdal, uno dei farmaci più largamente utilizzati in terapia - e poi il 9-
idrossi-risperidone, che si chiama anche Paliperidone, il quale è il
metabolita del Risperidone, ma nello stesso tempo è un altro farmaco.
Entrambi questi farmaci vengono regolarmente utilizzati in terapia. Per
entrambi esistono i LAI. Nel caso del Paliperidone, abbiamo attualmente un
LAI trimestrale, cioè un’unica somministrazione dura per tre mesi. Pensate
quindi al vantaggio dal punto di vista dell’aderenza al trattamento. Allo
stesso tempo, però, per tre mesi non si può più cambiare: se il farmaco non
funziona o si verificano effetti avversi, a quel punto li dovete gestire.
Considerate che l’azienda che produce il Paliperidone, ed anche la sua
versione LAI, ha in sviluppo anche il farmaco semestrale, che ancora non è
in commercio e che durerebbe per sei mesi. Io ho seri dubbi che questo potrà
mai approdare ad un intervento terapeutico, perché dare un semestrale
significa incorrere in dei rischi importanti.

- Risperidone

Le indicazioni del Risperidone non si limitano al trattamento della


schizofrenia e del disturbo bipolare, nel quale questo farmaco è
sicuramente molto utilizzato, ma per esempio è utilizzato nei bambini,
quando abbiamo bambini aggressivi, con disturbi della condotta, e con basso
quoziente intellettivo - per esempio i bambini autistici (non c’è
l’indicazione in scheda tecnica per autismo, però molte volte viene dato ai
bambini autistici) -. Nello stesso tempo, questo farmaco viene utilizzato nei
pazienti che hanno manifestazioni psicotiche e comportamento
aggressivo e che hanno malattia di Alzheimer.
Anche con il Risperidone, però, incontriamo sempre lo stesso problema:
anche questo farmaco fa ingrassare, però sicuramente poco rispetto
all’Olanzapina ed alla Clozapina. Perciò, finora, l’unico farmaco che fa
ingrassare nettamente meno degli altri è la Quetiapina. Adesso invece
arriveremo agli agonisti parziali, i quali non fanno ingrassare per nulla.
Cercando invece di esplorare la farmacodinamica del Risperidone, la
concentrazione libera allo steady-state è 4,9 nM. Ricordo che a questo
stato ci si arriva dopo cinque emivite: a quel punto, voi dosate la
concentrazione nel plasma (ovviamente la concentrazione che ci interessa è
107
quella libera, e quindi non quella legata alle proteine plasmatiche, perché
solo quella libera è quella in grado di raggiungere il bersaglio).
Recettori reclutati:

- D2

L’affinità nei confronti dei recettori D2 è 3,77nM. Questo vuol dire che
avrete sicuramente una target occupancy nel sistema nervoso centrale
che è superiore al 70%. Ragionate sul fatto che per avere
parkinsonismo farmacologico dovete avere almeno l’80% di target
occupancy. Qui, dunque, siamo vicini, perché siamo intorno al 70-75%.
Per cui esiste sicuramente una certa probabilità di sviluppo del
parkinsonismo farmacologico, e questa è una cosa da tenere bene in
considerazione.

- 5-HT1A

Nei confronti del recettore 5-HT1A, l’affinità invece è bassissima e non


c’è problema.

- 5-HT2A

Nei confronti del recettore 5-HT2A, l’affinità è straordinariamente


elevata: siamo a 0,15nM: è una delle affinità più alte in assoluto per
questo recettore. Per questo, il Risperidone è un antipsicotico di
seconda generazione, nonostante la sua affinità per i recettori D2.

- 5-HT2C

Nei confronti dei recettori 5-HT2C, abbiamo invece un’affinità di 32nM,


la quale è un’affinità di circa sei volte rispetto alla concentrazione
plasmatica. Quindi per bloccare questi recettori il farmaco dovrebbe
essere dato ad un dosaggio molto elevato, o in alternativa ci deve essere
un blocco del metabolismo.

- 1

108
Andando avanti, abbiamo un’ottima affinità per il recettore 1, che è di
2,7nM. Quindi, contrariamente a quello che si pensa, il Risperidone in
linea teorica potrebbe dare ipotensione ortostatica, e bisogna starci
attenti.

- H1

Nei confronti dei recettori H1 c’è molta affinità, in quanto è 5,1nM, la


quale è molto simile a 4,9nM che è quella plasmatica. Per cui, nonostante
siamo lontani dall’Olanzapina, un’azione antistaminica anche qui la
potreste avere: attenzione all’azione depressiva nei confronti del sistema
nervoso centrale.

- Muscarinici

Nei confronti dei recettori muscarinici, invece, non c’è assolutamente


alcuna affinità. Dunque, non c’è alcun rischio nei confronti del
parkinsonismo farmacologico.

Per quanto riguarda i dosaggi, quando lo usate per os, normalmente si va da


4 a 6 mg pro die. In realtà, il range sarebbe più ampio, da 2 a 6, ma nella
pratica si dà soltanto da 4 a 6.
La differenza sta invece nel metabolismo, perché il Risperidone è
metabolizzato dal CYP2D6. Questo, come sapete, è il più polimorfo tra
tutti i CYP.
Se voi avete infatti i fenotipi *1 e *2 avete i cosiddetti metabolizzatori
regolari, non avete problemi, potete usare il dosaggio compreso tra 4 e 6mg.
Se invece avete *3,4,5,6, soprattutto *4, che è quello più frequente, avete
metabolizzatori nulli del citocromo p450 in omozigosi, che sono circa il 3-
4% dei caucasici. Allora, in questo caso, dare 4 mg di Risperidone è come
darne 10 o darne 15. Per questa ragione, dovreste darne 2 mg al massimo,
oppure - cosa migliore che potreste fare - è direttamente cambiare farmaco.
Se avete *10, *17 o *41 - dove l’*10 è presente in grossa percentuale negli
asiatici e la *17 negli africani - dovete ridurre un po’ il dosaggio. È
consigliabile stare sui 4 mg, non andare sui 6mg, perché questi sono
metabolizzatori intermedi. Mentre invece, al contrario, se avete il
metabolizzatori ultrarapidi, per esempio *1 x 5 – ovvero ci sono 5 copie del
109
CYP2D6*1, o 10 o 13 copie, insomma molte copie, (questo può capitare nei
maghrebini, negli africani, e così via), avete i cosiddetti metabolizzatori
appunto ultrarapidi, perché hanno il citocromo moltiplicato. In questo caso,
dovete andare al di sopra dei 6 mg, perché altrimenti non avrete effetto,
poiché il metabolismo è estremamente veloce.
-Domanda: cosa significa 1 × 5?
-Risposta: significa che voi avete il CYP2D6*1, quindi la variante normale, per cinque volte: il gene viene moltiplicato
cinque volte. In questi soggetti, nel genoma, ci sono cinque copie del gene. In questo modo, il metabolismo sarà molto
più accelerato, perché ci sono più copie del citocromo. Sono esempi del CNV, che significa variazione del numero di
copie, Copy Number Variations. Il numero di copie può essere zero, e in questo caso si hanno metabolizzatori lenti,
oppure ci possono essere più copie, ed in questi casi si hanno metabolizzatori più rapidi.

Dicevo, il CYP2D6 converte il Risperidone in Paliperidone, conversione


di un farmaco attivo in un altro farmaco attivo. Tutto questo discorso che ho
fatto, quindi, è mitigato dal metabolita attivo che si forma. È altrettanto vero,
però, che se avete un metabolizzatore lento, il Risperidone rimane in circolo
per un tempo interminabile, e la probabilità statistica che si abbiano effetti
avversi extrapiramidali diventa molto più elevata. Considerate che esistono
anche i farmaci che si usano molto frequentemente che sono inibitori del
CYP2D6: per esempio Amiodarone, Celecoxib, Fluoxetina e Paroxetina. È
da coglioni dare Fluoxetina e Paroxetina più il Risperidone, perché i primi
due bloccano la conversione del Risperidone in Paliperidone. La stessa cosa
vale per la Duloxetina per esempio. Insomma, il profilo di farmaco
inibizione del CYP2D6 è una delle cose che un medico deve avere
sempre pronto, perché deve comprendere le interazioni tra farmaci.
-Domanda: ma questo non rende pessimo il LAI?
-Risposta: no non lo rende pessimo. Ovviamente, l’azienda che produce questi due farmaci, che è la Janssen, adesso punta
di più sul Paliperidone, perché questo, invece, non viene metabolizzato dal citocromo P450. Però il LAI ha sempre la sua
valenza.

A proposito di LAI, introduciamo il LAI del Risperidone. Il dosaggio di


questo dipende dal dosaggio orale. Questo significa che se il dosaggio orale
era inferiore a 4 mg, dovrete utilizzare 25mg di LAI ogni 2 settimane; se
invece il dosaggio era superiore a 4 mg, dovrete utilizzare 37,5 mg di LAI
ogni 2 settimane. Anche questa volta, esistono delle tabelle di conversione.
Questo, vi ricordate, valeva per l’Olanzapina LAI, lo Zypadhera.

110
Per riassumere, il Risperidone è un farmaco estremamente utilizzato, che ha
un profilo recettoriale spinto nei confronti dei D2 e dei 5-HT2A. Il pericolo
di questo farmaco, come abbiamo detto, è il parkinsonismo farmacologico.
Per tale problema, potete intervenire con Akineton, ma qui non fate
profilassi, perché non è detto che il Risperdal dia parkinsonismo. Mettete
l’Akineton solo se il paziente inizia ad irrigidirsi. Nel caso, invece, degli
antipsicotici di prima generazione, molte volte in psichiatria fanno questa
cosa, aspettano il parkinsonismo farmacologico per fare la terapia.
Chiaramente però dando l’Aloperidolo il parkinsonismo viene, per cui, a
meno che non facciate un trattamento con Aloperidolo di breve durata - per
cui non si arriva agli uno-due mesi fatidici, trascorsi i quali viene il
parkinsonismo - dovete dare una copertura, perché altrimenti il paziente si
irrigidisce all’istante.

- Paliperidone

Veniamo ora al farmaco simile al Risperidone, il Paliperidone. È stato


prodotto dalla ditta Janssen, successivamente al Risperidone, ed è il suo
metabolita: il 9-OH-risperidone. Molte volte accade che la stessa azienda
produca farmaci molto simili fra loro, vi ricordate tra i farmaci per
l’epilessia abbiamo visto la Novartis con la Carbamazepina e Carbazepina.
Questo ha un’ovvia logica di mercato, e, nella fattispecie, il vantaggio del
9-OH-risperidone è che è molto poco metabolizzato dal citocromoP450,
ed in ogni caso non è metabolizzato dal CYP2D6. Per questa ragione, tutte
le cose che abbiamo visto per il Risperidone non si applicano al
Paliperidone.

Il Paliperidone si può dare da 3 a 12 mg pro die, quindi è un dosaggio


abbastanza ampio, dipende da come il paziente risponde al farmaco.
Il suo profilo farmacodinamico è, com’è logico, molto simile a quello del
Risperidone. È un po’ meno affine di quest’ultimo nei confronti dei recettori
1, il che significa che se volete evitare l’ipotensione ortostatica forse il
Paliperidone è meglio del Risperidone.

111
Il suo nome commerciale è Invega, nella sua forma orale. Esiste però anche
il LAI, e la ditta Janssen fa tanta propaganda sul LAI del Paliperidone
(questo è il farmaco che insieme all’Esketamina l’azienda sta portando più
avanti). Il LAI del Paliperidone si chiama Xeplion; si dà inizialmente 150
mg poi, dopo una settimana, ovvero al giorno otto, si danno 100 mg,
dopodiché si procede mensilmente dando 75 mg. Esiste anche un LAI
trimestrale, chiamato Trevicta (mio padre dice “manco morto” certo, perché
dare un LAI che dura tre mesi è un grande rischio, però potreste avere d’altro
canto un paziente che non vuole assolutamente prendere il farmaco, con il
quale non ci sia altro modo per avere aderenza alla terapia, e a quel punto il
vantaggio del farmaco potrebbe esserci). Il dosaggio del Trevicta è di 350mg
ogni 3 mesi. Anche in questo caso, con il trimestrale, c’è il rischio del
parkinsonismo farmacologico. A questo punto, naturalmente mi
chiederete: allora è il caso di dare un LAI? Avete ragione, però è anche vero
che ci sono pazienti che non sono complianti, che non vogliono essere
trattati, e allora in quel caso il gioco vale la candela.

Qualcuno disse una volta che alcuni psicofarmaci sono camice di forza
chimiche, forse non è il caso di dire così, però certo dare una copertura per
tre mesi è impegnativo. Sicuramente gli antipsicotici di seconda generazione
non sono delle camicie di forza chimiche, come potevano essere forse gli
antipsicotici più tradizionali.

Agonisti parziali

Adesso andiamo al gruppo (non dico che amo di più, perché il termine
amore in questo caso è un po’ eccessivo), ma è il gruppo che sicuramente
mi affascina maggiormente dal punto di vista della ricerca. Questi sono gli
agonisti parziali. Quando si parla di questo gruppo degli antipsicotici atipici,
e si introduce il gruppo degli agonisti parziali, si fa riferimento alla loro
capacità recettoriale nei confronti dei recettori D2 e/o D3 della
dopamina.

112
Questa, come vedremo, non è una cosa banale per il semplice motivo che
uno di questi farmaci si differenzia in maniera netta rispetto a tutti gli altri
per la sua straordinaria affinità nei confronti dei recettori D3. Prima di
entrare nel merito di questi farmaci, cerchiamo di capire innanzitutto cos’è
un agonista parziale. Un agonista parziale è un farmaco che ha
un’efficacia inferiore rispetto ad un agonista di riferimento che si
chiama “agonista pieno”. Nel caso dei recettori D2 e D3, l’agonista pieno
è la dopamina. Quindi, gli agonisti parziali sono farmaci che hanno un’alta
affinità nei confronti dei recettori D2 o D3, con delle differenze che adesso
vedremo, però hanno un’efficacia inferiore rispetto alla dopamina. Vi
ricordo che l’efficacia è il grado di effetto che il farmaco produce, qualunque
effetto sia (può essere una modulazione del cAMP, un affetto biologico,
etc).
Quindi non confondiamo il concetto di agonista parziale con quello di
potenza: la potenza riflette l’affinità del farmaco per il recettore,
l’efficacia invece l’effetto che il farmaco produce. L’agonista parziale è
un farmaco che ha efficacia inferiore rispetto a una sostanza, a un agonista
di riferimento, che si chiama agonista pieno, che ha l’efficacia massima.
Questi farmaci mi piacciono, perché sono farmaci intelligenti, questo
significa che se voi avete, in una determinata circostanza, il sistema
dopaminergico iperattivo, quindi avete tanta dopamina rilasciata,
l’agonista parziale compete con la dopamina e si comporta da
antagonista, perché ha alta affinità. In che circostanza questo si verifica? Si
verifica nel sistema mesolimbico. Il sistema mesolimbico è il sistema
dopaminergico iperattivo nella schizofrenia, legato principalmente ai
sintomi positivi. Con una quantità maggiore di dopamina nel sistema
mesolimbico, c’è un’alterata segnalazione della salienza e a così si
verificano il delirio ed i sintomi positivi. Se c’è maggior rilascio di
dopamina, la dopamina ingaggia i recettori D2 ed i recettori D3, e a quel
punto gli agonisti parziali riducono l’azione della dopamina su questi
recettori, perché competono con la dopamina, pur essendo la loro efficacia
intrinseca inferiore.

Le cose cambiano in caso di sistema dopaminergico ipoattivo. Il sistema


dopaminergico ipoattivo è il sistema mesocorticale. Il sistema
113
dopaminergico mesocorticale è ipoattivo nella schizofrenia, quindi voi avete
meno dopamina. Nel sistema mesocorticale, l’agonista parziale si
comporta invece da agonista, laddove la dopamina non c’è: nonostante
abbia un’efficacia intrinseca inferiore rispetto a quella della dopamina,
riesce ad attivare un sistema che in quel momento è ipoattivo.
Queste sono le ragioni per cui dico che è un farmaco intelligente, perché
rende meno attivo l’iperattivo e più attivo l’ipoattivo.
L’Abilify è il prototipo degli agonisti parziali, che esamineremo in dettaglio.

Prima, però, vorrei parlarvi della cosiddetta doppia diagnosi. La doppia


diagnosi è abbastanza frequente: il paziente affetto da schizofrenia in questo
caso ha anche il disordine da uso di sostanze, disordine che in gergo si
chiama tossicodipendenza, termine che però non ci piace usare e che non si
sposa con le nuove definizioni del DSM-5.
L’agonista parziale, per me, è il farmaco ideale nella doppia diagnosi
poiché è un farmaco che realizza la sua massima espressione quando un
paziente affetto da schizofrenia fa uso di sostanze, cosa che accade molto
frequentemente. Questo riguarda il fumo di sigarette, l’alcol, ma anche
sostanze meno comuni, per esempio, la cannabis o gli psicostimolanti e così
via.
Il disordine da uso di sostanze, se ricordate, è una patologia cronica del
sistema nervoso centrale, dove c’è perdita di controllo. La patologia si
chiama IRISA (Impairment of Response Inhibition and Salience
Attribution), il che significa che il paziente ha una compromissione
nell’inibizione della risposta - cioè non ha il controllo sulle risposte e quindi
va in cerca della droga senza che le strutture corticali (che hanno la funzione
di controllo) possano impedirlo - e, nello stesso tempo, la droga diventa
fondamentale, attribuisce la salienza soltanto alla droga e non alle cose che

114
naturalmente sono
salienti, come per
esempio il cibo, il sesso,
la difesa del territorio o il
comportamento materno
(Beautiful boy, Timothée
Chalamet e Steve
Carrell, bellissimo film
sul rapporto genitori-figli
e la tossicodipendenza,
che spesso ne è la
conseguenza).
Non so se ricordate, ma abbiamo avuto quell’esempio devastante di quel
bambino piccolo che circa un paio d’anni fa è morto per le percosse del
compagno della madre, e sia il compagno che la madre erano tossico
dipendenti. La madre non ha fatto nulla per difendere il bambino, perché in
quel caso la salienza per entrambi era rappresentata soltanto dalle droghe,
ed il comportamento materno non era più saliente. Indipendentemente dalla
questione di ordine morale, dal punto di vista medico, questo è il classico
esempio di alterata attribuzione della salienza: la salienza non viene più
attribuita ad una ricompensa naturale come il comportamento materno, ma
viene attribuita ad un’altra cosa, in questo caso una sostanza d’abuso.

L’IRISA ha un ciclo: all’interno di questo ciclo si trova il cosiddetto binge8,


la fase in cui uno fa uso della sostanza in maniera continua. Questo è dovuto
all’attivazione continuata del sistema mesolimbico, quindi grande
rilascio di dopamina. Quando il sistema mesolimbico si esaurisce, si va nella
cosiddetta sindrome di astinenza la quale, se la guardate nel sistema
mesolimbico, ha delle caratteristiche motivazionali. Come ricorderete, il
soggetto diventa anedonico, non ha più motivazioni, diventa profondamente
depresso. Egli deve attraversare questi due mesi di sindrome di astinenza
dove nulla risuona da un punto di vista affettivo, ed ha tantissimo craving9.

8
Il binge drug use è quando una persona consuma una grande quantità di droga, binge vuol dire festa o abbuffata.
9
Voglia di farsi.
115
In quel momento lui sa che l’unica cosa che puoi ripristinare il sistema della
ricompensa è una droga, la sostanza artificiale. Egli deve per forza
attraversare questo periodo, caratterizzato da un’attività quasi nulla del
sistema mesolimbico, il quale era stato iperattivo durante la fase binge, poi
diventato ipoattivo in sindrome di astinenza.
Passato tutto questo, l’individuo entra in una fase che si chiama
anticipatoria. Apparentemente sta bene, però, come sapete, può ricadere se
c’è uno stress, un’esposizione passiva alla droga, o se ci sono elementi
spaziali che erano stati associati all’uso della sostanza in questione.

Poiché in questo ciclo - cioè binge, astinenza e fase anticipatoria - il sistema


mesolimbico si modifica, un farmaco come il Risperidone o il Paliperidone
può andare bene nella fase del binge, perché voi bloccate il sistema
dopaminergico, mentre invece, quando si è nella fase dell’astinenza, se voi
gli date uno di questi farmaci, gli date il colpo di grazia.
Se, invece, date l’agonista parziale, durante la fase del binge può
competere con la dopamina nel sistema mesolimbico, mentre invece,
durante la fase dell’astinenza, può attivare i recettori D2, e a quel punto
cercare di sostenere il sistema mesolimbico.
Per queste ragioni, secondo me, gli agonisti parziali sono innanzitutto dei
farmaci intelligenti, perché agiscono in modo differenziale sul sistema
mesolimbico e sul sistema mesocorticale, e poi sono i farmaci più adatti
nella doppia diagnosi, perché nella doppia diagnosi voi avete delle
fluttuazioni di attività nel sistema mesolimbico, a seconda dell’assunzione
della sostanza. Nella fase di assunzione loro possono competere con la
dopamina e ridurre il driving, cioè la motivazione ad assumere la sostanza,
mentre nella fase di astinenza possono supportare l’attività del sistema
mesolimbico e facilitare il superamento della fase di astinenza.

- Aripiprazolo

Il prototipo di questi farmaci si chiama Aripiprazolo, nome commerciale


Abilify. L’Aripiprazolo in genere viene dato dai 10 ai 30 mg pro die; 30 mg
pro die è un dosaggio abbastanza forte, diciamo che normalmente ci si
stabilizza tra i 20 e i 25 mg al giorno.
116
Da un punto di vista farmacodinamico, ha concentrazione libera 4,5 nM.
Come vedete, le concentrazioni di questi farmaci oscillano sempre più o
meno intorno a questi valori, qualcuno ce l’ha un po’ più alta come la
Quetiapina, però in generale si può dire che stanno intorno a questi valori.
Recettori reclutati:

- D2

Nei confronti dei recettori D2, l’affinità dell’Aripiprazolo è 0,34nM,


quindi un’affinità straordinaria. Questo farmaco è senza dubbio un
farmaco molto affine nei confronti dei recettori D2, quindi merita
effettivamente l’appellativo di agonista parziale, perché, come vi
ricordate, l’affinità non è il rapporto all’efficacia, ma è in rapporto alla
potenza.

-Domanda: gli agonisti parziali aiutano a migliorare la plasticità maladattativa?


-Risposta: Secondo me si, potrebbero aiutare senz’altro perlomeno la plasticità maladattaiva del sistema dopaminergico,
perché la plasticità maladattativa deve essere inquadrata in tanti modi: per esempio c’è una plasticità maladattativa
nell’area ventrale del tegmento, ce n’è un’altra nel cuore dell’accumbens, un’altra nella shell dell’accumbens. In generale,
ritengo di sì. Forse sono un po’ di parte, perché mi sono occupato di questi farmaci, quindi, sono stato esposto a pareri e
opinioni su questi farmaci, però ho un’opinione molto positiva.

- D3

Nei confronti dei recettori D3, invece, ha affinità 0,8nM. Anche in


questo caso si comporta da agonista parziale. Il problema, però, nasce
dal fatto che la dopamina ha un’affinità estremamente elevata per i
recettori D3. Quindi, la competizione sui recettori D3 è meno efficace
da parte dell’Aripiprazolo, perché la dopamina attiva i recettori D3 con
una maggiore potenza rispetto ai recettori D2. Quindi l’Aripiprazolo
non ha difficoltà a competere con la dopamina sui recettori D2, ma
ha difficoltà sui D3. Tenete bene a mente questa cosa, perché tra poco
vedremo una differenza importante.

-5HT1A
Sul recettore 5HT1A si comporta anche da agonista parziale, ma abbiamo
detto che è sempre così. Quando un farmaco agisce sul recettore 5HT1A
è sempre un agonista parziale. L’affinità è 1.7 nM, quindi sicuramente ha
effetto,perché la concentrazione libera è 4.5 nM.
117
Poi è un antipsicotico atipico per cui deve agire sui 5HT2A e lo fa con
un’affinità di 3.4 nM, quindi ci agisce benissimo ed è un antagonista. Tutti
gli antipsicotici atipici sono antagonisti di 5HT2A, non ci sono discussioni.
Quando abbiamo dei recettori 5HT2A, gli allucinogeni li attivano
(LSD, psilocina, psilocibina, DMT), mentre tutti gli antipsicotici atipici li
bloccano.
-5HT2C
Nei confronti invece di 5HT2C (è il recettore che fa dimagrire) lui ha
un’affinità di 15 nM, quindi, significa che ha un’affinità di circa 3,5 volte
più bassa rispetto alla concentrazione plasmatica, il che vuol dire che
l’azione antagonista sui 5HT2C è di minima entità e infatti l’aripiprazolo
(Abilify) non fa ingrassare.
Nei confronti del 5HT7 l’affinità è bassa = 29 nM: qui c’è differenza con il
Lurasidone, che ha invece un’alta affinità per il 5HT7.
-H, muscarinici, 1
Nei confronti del recettore H1 praticamente non c’è effetto, l’affinità è 61
nM. Anche nei confronti dei recettori muscarinici, 1, non c’è alcun tipo di
problema.
Qua stiamo definendo un farmaco che :
1. Ha un’alta affinità per D2
2. Ha un’alta affinità per D3 (alta affinità ma non sufficiente a spiazzare
la dopamina)
3. Recluta i recettori 5HT1A
4. È un potente bloccante dei recettori 5HT2A
5. Ha azione modesta, se non nulla, sui recettori 5HT2C e 5HT7
L’Abilify non ha come marchio di fabbrica il miglioramento della sfera
cognitiva, ma è un farmaco ottimo nei confronti dei sintomi positivi e
sintomi negativi. La cariprazina (Reagila) è un farmaco ottimo, forse
superiore all’Abilify, nei confronti dei sintomi negativi, ma un po’ più
critico nei confronti dei sintomi negativi. Come vedremo i due farmaci si

118
differenziano per gli effetti avversi extrapiramidali come il parkinsonismo
farmacologico.
Facciamo un confronto con la CARIPRAZINA (REAGILA).
È il farmaco che abbiamo in commercio da un anno e mezzo.
Caratteristiche della cariprazina:
1. Dosaggio intorno ai 6 mg/die
2. La concentrazione nel plasma è di 6 nM: concentrazione simile a
quella dell’aripiprazolo.
3. Nei confronti del recettore D2 abbiamo un’affinità di 0.49 nm, quindi
un’affinità del tutto sovrapponibile a quella dell’aripiprazolo, infatti
entrambi i farmaci sono agonisti parziali dei recettori D2
4. È nei confronti dei recettori D3 che si crea la differenza tra i due
farmaci: la cariprazina ha un’affinità di 0.085 nm. È il farmaco con
maggiore affinità per i recettori D3, tra tutti i farmaci che vengono
utilizzati in psichiatria, dove agisce da agonista parziale. La
cariprazina riesce a spiazzare la dopamina, perché l’affinità è tale
da competere con la dopamina. Quindi per capire le differenze
dobbiamo capire cosa fanno i recettori D2 e D3
5. L’affinità della cariprazina per i recettori 5HT1A è 2.6 nm, quindi la
cariprazina - come l’aripiprazolo - è in grado di agire da agonista
parziale.
6. Nei confronti del recettore 5HT2A, a differenza di tutti gli altri
antipsicotici, ha un’affinità molto bassa: 18.8 nM. Ricordiamoci che
la concentrazione plasmatica è 6nm: questo significa che un po’ riesce
a bloccare un po’ i recettori 5HT2A, ma con minore affinità rispetto
all’aripiprazolo.
7. Nei confronti degli altri recettori non c’è niente da sottolineare, eccetto
per il recettore H1, per cui ha un’affinità di 23,1 nm e potrebbe essere
che in caso di aumento della concentrazione plasmatica del farmaco si
abbia un’azione sui recettori H1.

119
La differenza sostanziale tra Abilify e Reagila è l’affinità straordinaria
della Reagila per i recettori D3. Per capire che tipo di risvolto ha in terapia
cerchiamo di valutare l’azione di D3.
Recettori D2 e D3
I recettori D2 sono prevalentemente post-sinaptici: nello striato sono i
recettori che inibiscono la via indiretta. Il sistema mesolimbico è iperattivo,
i recettori sono iperattivati dalla dopamina nel postsinaptico: quindi vuol
dire che quando dai Abilify o Reagila voi fate competizione con la DA con
un agonista parziale che frena l’iperattività dei recettori D2.
I recettori D3 hanno due localizzazioni (in realtà anche i D2),
tradizionalmente hanno prevalentemente una localizzazione presinaptica,
dove inibiscono il rilascio di DA. Quindi sono dei veri e proprio auto
recettori. Anche la variante short dei recettori D2 si comporta così, ma per
il recettore D3 è un vero e proprio marchio di fabbrica, agiscono come freno
nell’attivazione dopaminergica.
L’aripiprazolo agisce pochissimo sui recettori D3, perché non riesce a
competere con la DA, non avendo affinità paragonabile a quella della
dopamina per il recettore D3, ciò invece lo riesce a fare la cariprazina.
Nel sistema mesolimbico invece c’è un ipertono dopaminergico: si frena
attivando i recettori D3, nei cui confronti la cariprazina ha un’affinità
altissima. Quindi la dopamina viene rilasciata, attiva i recettori postsinaptici,
però contemporaneamente blocca il proprio rilascio, attivando i recettori D3
che stanno nel terminale. La cariprazina compete con la DA nel terminale
presinaptico, blocca il freno e fa rilasciare ancora più DA. Quindi nel
sistema mesolimbico Aripiprazolo è migliore della Cariprazina. Qualche
effetto attivante, o di amplificazione dell’effetto positivi, che si vede con la
Cariprazina potrebbe dipendere da questo. Quindi dal punto di vista
neurochimico la Cariprazina è un farmaco non indicato se l’obiettivo
sono i sintomi positivi. È pur vero che negli studi clinici l’effetto della
Cariprazina sui sintomi positivi è terapeutico, tuttavia rispetto
all’Aripiprazolo che non ha alcun effetto sui recettori D3, l’intervento sul
sistema mesolimbico diventa più precario.

120
È altrettanto vero che il recettore D3 è anche postsinaptico. I recettori D3
hanno un crosstalk con i recettori D1 della DA, formando il binomio D1-
D3, che in genere si trova nella via diretta dei gangli della base. Quindi il
D2 è postinaptico nella via indiretta, sia nel n. accumbens che nel sistema
mesolimbico che nel sistema nigricostriatale. Il D3 è presinaptico e blocca
il rilascio di DA, ma si trova anche postsinaptico e fa crosstalk con D1.
Quindi in situazione di doppia diagnosi, dove il pz consuma sostanze
d’abuso, è meglio non usare la cariprazina, perché sostiene la fase del binge.
Ciò è confermato anche dal Prof. DeFilippi che nella sua clinica ha trattato
con Reagila i pazienti che hanno quasi tutti una doppia diagnosi e non ha
avuto i risultati attesi. Quindi quando si parla o di binge o di sintomi positivi
è meglio l’Abilify.

Se andiamo nel sistema mesocorticale le cose cambiano. Normalmente il


sistema mesocorticale è ipoattivo: il recettore D3 è presinaptico e
rappresenta un freno. È vero che il recettore D3 presinaptico è poco attivato,
ma è anche vero che la dopamina ha un’altissima affinità. Quindi quel poco
di dopamina che viene rilasciata dal sistema mesocorticale magari non è
sufficiente ad attivare i recettori D2 a pieno, perché la sua affinità non glielo
permettere, però attiva con grandissima affinità i recettori D3 e si auto
blocca, quindi c’è sempre meno Dopamina.
Qui invece l’azione della Cariprazina potrebbe essere di utilità, perché è
vero che tutti e due i farmaci supportano il sistema mesocorticale agendo sui
D2, che sono poco attivati dalla DA, ma contemporaneamente la
Cariprazina compete con la DA sui D3 e c’è un maggior rilascio di DA nel
sistema mesocorticale. Infatti, questo è il marchio di fabbrica della
Cariprazina: va bene nei confronti del sistema mesocorticale e ha un’ottima
azione nei confronti dei sintomi negativi della schizofrenia, che si correlano
con un’ipoattivazione del sistema mesocorticale.
C’è un lavoro su Lancet che ha dimostrato la superiorità della Cariprazina,
rispetto al Risperidone, per quanto riguarda i sintomi negativi. Quindi
ancora una volta: non esiste il migliore antipsicotico, ma esiste
l’antipsicotico più adatto al tipo di paziente. L’Aripiprazolo va bene per
121
sintomi positivi e sintomi negativi, e per la doppia diagnosi. La
Cariprazina va bene per i sintomi negativi, dubbia sui sintomi positivi
e non bene per la doppia diagnosi.
Domanda studente: in reparto la usano off label per i pazienti distimici.
Risposta: innanzitutto il termine distimia nel DSM5 non esiste più, è stato sostituito con il termine di
depressione continua. Quando si parla di distimia si parla di pazienti che hanno una riduzione piuttosto lieve
del tono dell’umore che però è persistente nel tempo. Non saprei cosa dirti su questa cosa. Si vuole sfruttare
un’azione antidepressiva. Potrebbe starci nel fatto che la Cariprazina ha un’azione attivante del sistema
mesolimbico: questo nella schizofrenia diventa un problema mentre nel paziente depresso o distimico in cui il
sistema mesolimbico è ipoattivato, potrebbe starci come ragionamento. Il farmaco come dici tu non ha
indicazione per il trattamento della depressione: ci vedo un razionale per questa iperattivazione del sistema
mesolimbico, però è da vedere .

Azione sul sistema nigrostriatale, nei confronti di questo sistema bisogna


cercare di capire come mai nella via diretta si abbia il crosstalk D1-D3, nella
via indiretta avete i recettori D2.
Il sistema nigrostriatale non è iperattivo nella schizofrenia, è il sistema
mesolimbico che è iperattivo. Il pz schizofrenico non ha normalmente
discinesie, a meno che non stia prendendo farmaci che le provocano. In
questo caso se voi date l'aripiprazolo, questo interferisce con l'attività dei
D2, quindi riduce un po' l'attivazione della vita indiretta, ma non interferisce
con l'attività dei D1 e D3, quindi non tocca la via diretta. Il sistema
nigrostriatale è toccato poco, infatti quando voi date l'aripiprazolo voi avete
dei pazienti che trattate ( 4% dei pazienti ) che possono avere i disturbi
extrapiramidali, che quindi può accadere. Per il parkinsonismo
farmacologico le percentuali non le ho ma più o meno siamo lì, se invece
vuoi dare cariprazina la percentuale dei pazienti con disturbi extrapiramidali
e parkinsonismo farmacologico sale al 21%. Voi con la cariprazina
interagite con i recettori D2 e si riduce l'attività dei recettori D2, e i D2
controllano la via indiretta, contemporaneamente, però interferite con i
recettori D3, perché la cariprazina può competere con la dopamina, cosa
che l'aripiprazolo non può fare. I recettori D3 aiutano i recettori D1 nella
via diretta, questo significa che la cariprazina riduce l'attività sia della
via diretta che della via indiretta, mentre l'aripiprazolo lo fa soltanto a
carico della via indiretta e questo giustifica il motivo per cui voi avete 5
volte in più effetti extrapiramidali con la cariprazina rispetto
all'aripiprazolo.

122
Quindi ricapitolando le differenze tra i due farmaci:
l'aripiprazolo va bene nei confronti dei sintomi positivi, va bene per carità
anche nei confronti dei sintomi negativi, è farmaco di elezione fino adesso
nella doppia diagnosi (quando avete l'uso di sostanze e
contemporaneamente la schizofrenia). La cariprazina va molto bene nei
confronti dei sintomi negativi, però va meno bene nei confronti dei sintomi
positivi, poiché tende ad iperattivare il sistema mesolimbico. Questo è
probabilmente alla base dell'osservazione che hanno fatto in riferimento
all’uso off label per pazienti distimici.
Se guardiamo però gli effetti avversi extrapiramidali, allora, la cariprazina
è più pericolosa perché nel 21% dà sintomi extrapiramidali, contro il 4%
dell'aripiprazolo.

Vediamo adesso molto velocemente come si usano. Allora come dicevo


l'aripiprazolo viaggia tra i 10 e i 30 mg.
Domanda: alcuni pazienti in terapia con Abilify hanno sviluppato come effetti collaterali disinibizione degli
impulsi (shopping incontrollato o gioco d'azzardo), qual è il motivo?
È vero, l'aripiprazolo dà una certa agitazione e dà anche insonnia, quale sia il motivo non lo so, non riesco a
trovare nel profilo farmacodinamico. qualcosa che me lo faccia avvicinare a questo. Sicuramente la mancata
azione sul recettore D1 è una possibile spiegazione, quindi questa è una possibilità. Il problema della sfera
degli impulsi normalmente viene dato dagli agonisti pieni dei recettori dopaminergici: disinibizione degli
impulsi, shopping incontrollato, gioco d'azzardo si hanno con i farmaci agonisti di D2 del Parkinson. Questo
è un agonista parziale, quindi l'unica possibilità è che in alcune zone del sistema nervoso centrale, per esempio
della corteccia, i recettori D2 abbiano una riserva recettoriale più ampia per cui l'agonista parziale si comporta
da agonista pieno. A maggior ragione questo effetto dovrebbe venir fuori con la cariprazina. Questa è l'unica
spiegazione razionale che riesco a dare. Dobbiamo tornare indietro alla farmacodinamica: l'agonista parziale
è un agonista che ha meno efficacia intrinseca. Nel momento in cui non c'è una riserva recettoriale questo
significa che se voi date agonista pieno attivate il 100% della risposta, se date un agonista parziale attivate tutti
e cinque i recettori, però li attivate con 50% della risposta. Se voi avete invece la riserva recettoriale, questo
significa che due soli recettori su cinque devono essere reclutati per avere il 100% della risposta con l'agonista
pieno e quando date l' agonista parziale lui recluta gli altri tre, quindi a quel punto l'agonista parziale si
comporta da agonista pieno e allora a per spiegare la disinibizione lo shopping in controllato il gioco d'azzardo
è l'unica soluzione è questa dal mio punto di vista. Poi per carità posso sbagliarmi radicalmente, è che voi non
avete riserva recettoriale nel nucleo accumbens, ma avete riserva recettoriale nella corteccia prefrontale e a
quel punto l'aripiprazolo così come la cariprazina si dovrebbero comportare da agonisti pieni e comportandosi
da agonisti piedi naturalmente loro possono fare quello che fanno pramipexolo e gli altri agonisti
dopaminergici Parkinson e dare così manifestazione di disinibizione degli impulsi. Questo tipo di osservazione
potrebbe non essere soddisfacente ma è l'unica che mi viene in mente.

Un'altra differenza tra i due farmaci, una differenza minima, è il


metabolismo: entrambi i farmaci sono metabolizzati dal CYP3A4 e dal
123
CYP2D6. Nella realtà, nel caso dell'aripiprazolo, prevale il CYP2D6
mentre nella cariprazina sono uguali i due CYP. Forse la differenza più
importante tra tutti è che l'aripiprazolo ha il LAI.

Abilify Maintena (Aripiprazolo LAI). L'abilify maintena viene


somministrato così: viene dato mensilmente, richiede per 14 giorni la
sovrapposizione con l'orale. Questo succede per alcuni LAI come per il
risperidone LAI, ma non per il paliperidone LAI, per esempio.
Voi fate 14gg di 10-20 mg per os con il dosaggio da attacco del LAI a 400
mg il primo mese e poi continuate con 300 mg nei mesi successivi, se il
dosaggio di 400mg ha dato effetti collaterali.
Brexpiprazolo
Per finire questo discorso prendiamo in esame l'ultimo di questi farmaci di
cui ora conosciamo abbastanza poco, però è un farmaco secondo me di
grande interesse. Il brexpiprazolo probabilmente da fine anno sarà in
commercio in Italia. È un farmaco indicato per il trattamento della
schizofrenia nei soggetti adulti e anche nella terapia add on della
depressione.
Indicazioni dei tre farmaci (non le ho date prima):
1. Aripiprazolo: per la schizofrenia non è soltanto negli adulti, ma è anche
nei ragazzi che hanno più di 15 anni, poi viene utilizzato anche per il
disturbo bipolare, sia per i soggetti adulti che per i ragazzini che hanno più
di 13 anni; è anche uno dei farmaci indicati negli Stati Uniti per il
trattamento dell'autismo.
2.Il brexpiprazolo ad oggi negli USA (poi vedremo quando usciranno le
indicazioni in Italia) è usato per il trattamento della schizofrenia nei soggetti
adulti e come terapia aggiuntiva nella depressione.
3. La cariprazina invece viene indicata esclusivamente per la schizofrenia,
credo solo nell'adulto e Anna poi ci diceva di questa indicazione off-label
per la distimia (depressione persistente).
Continuando sul Brexpiprazolo, vediamo il suo profilo farmacodinamico.
Allo steady state le concentrazioni plasmatiche libere sono 2.3 nM.

124
Bisogna confrontare come al solito questo valore con le varie affinità nei
confronti dei recettori.
• Nei confronti dei D2 abbiamo 0,30 nM, quindi abbiamo la stessa
affinità che hanno aripiprazolo e cariprazina.
• Nei confronti dei D3 abbiamo 1.1 nM. Praticamente lo stesso valore
che abbiamo nell'aripiprazolo, ma un'affinità molto più bassa rispetto
a quella della cariprazina.

Domanda studente: come si fa a capire quale farmaco usare nell'autismo?


Il trattamento dell'autismo è quanto di più indefinito esista al mondo. L'autismo non è un disordine,
ma è uno spettro di disordini, dove ci sono le forme monogeniche e ci sono forme cosiddette
idiopatiche che sono attualmente dominanti. Le indicazioni per l'uso di un farmaco derivano
esclusivamente dagli studi clinici che sono stati condotti, quindi, per esempio negli Stati Uniti
aripiprazolo e risperidone sono stati utilizzati nell'autismo e fanno parte dell’armamentario terapeutico.
L'autismo, per quanto mi riguarda, noi ci lavoriamo sull'autismo, ma rimane un grandissimo mistero,
perché quello che trovi nell'ippocampo è diverso rispetto a quello che trovi nella corteccia, anche il
cervelletto è coinvolto.

• Abbiamo una differenza importante: il recettore 5HT1A. Con questo


recettore il Brexpiprazolo si comporta come agonista parziale (tutti i
farmaci che agiscono su 5HT1A sono agonisti parziali). Ha un'affinità
di 0,12 nM, infatti è uno degli psicofarmaci con maggiore affinità per
questo recettore. Cosa comporta questo da un punto di vista pratico?
Un dato di grandissimo interesse che riguarda l'acatisia.
L'acatisia noi abbiamo sempre annoverata tra gli effetti avversi
extrapiramidali che, a differenza del parkinsonismo farmacologico,
vediamo con i farmaci antipsicotici di prima generazione e che non
vedete quasi mai con quelli di seconda generazione. L'acatisia (che
potete definire come l’equivalente motoria dell'ansia) si vede di più
con gli antipsicotici di seconda generazione, non di più rispetto alla
prima generazione, ma si vede anche con quelli di seconda
generazione. E infatti aripiprazolo e cariprazina vi danno il 13-14 %
dei pazienti con acatisia. E questa non è una cosa stupida l'acatisia è
altamente invalidante.
In un congresso parlando di questo, uno speaker americano raccontava
dei casi di suicidio dovuti all'acatisia. Il bisogno irrefrenabile di
movimento porta delle decisioni abbastanza drammatiche.
Il brexpiprazolo invece ha come punto di forza quello di dare
125
soltanto il 7% di acatisia, quindi la metà rispetto ad aripiprazolo
e cariprazina.
Non si sa perché sia così, ma - secondo me - l'interpretazione più
plausibile è legata all'attivazione del recettore 5HT1A. Perché se noi
crediamo che l'acatisia sia l'equivalente motorio dell'ansia, è vero che
gli agonisti parziali dei recettori 5HT1A, come, per esempio, il
buspirone, sono tra i farmaci ansiolitici non benzodiazepinici.
Quindi un farmaco che ha una grande affinità per il recettore 5HT1A,
ha il physique du role per ridurre l'ansia e nello stesso tempo per
ridurre un po' l'acatisia. Per verificare questa ipotesi sono andato a
vedere la voce buspirone e acatisia e ho trovato in letteratura dei casi
contrastanti.
Ci sono alcuni dati in cui il buspirone ne ha mostrato attività
terapeutica nei confronti dell'acatisia e altri invece in cui non ha fatto
nulla quindi. L'unica spiegazione per me plausibile della ridotta
acatisia con il brexpiprazolo è legata all'altissima affinità nei confronti
dei recettori 5-HT1A, molto più alta rispetto ad aripiprazolo e
cariprazina, poi però questo deve essere verificato.
• Il brexpiprazolo ha un'affinità altissima di 0.47 nM nei confronti dei
recettori 5HT2A che è sicuramente più alta di quella dell’aripiprazolo
e molto più alta rispetto a quella della cariprazina. Quindi secondo gli
standard degli antipsicotici di seconda generazione, il brexpiprazolo
rientra a pieno titolo all'interno della seconda generazione, per il suo
ruolo di antagonista nei confronti del recettore 5HT2A.
• Nei confronti del recettore 5HT2C il brexpiprazolo ha un'affinità di 34
nM, la concentrazione è 2,3 nM, quindi non ha azione sul recettore
che fa dimagrire.
• Sul recettore 5HT7 è antagonista con una concentrazione di 0.7 nM.
Quindi può bloccare il recettore migliorando la sfera cognitiva.
Quindi mentre non ci aspettiamo degli effetti eclatanti di aripiprazolo
e cariprazina sulla sfera cognitiva, li potremmo avere
con brexpiprazolo. Tra l'altro bloccare il recettore 5HT7 conferisce al
farmaco un potenziale antidepressivo e infatti il brexpiprazolo è
utilizzato anche come terapia aggiuntiva nei confronti della
depressione.
126
• Ha un'affinità di 19 nM nei confronti del recettore H1 dell'istamina,
però insomma da 2.3 nM arrivare a 19 molare ce ne vuole.
• È privo di affinità su recettore muscarinico, mentre
• ha alta affinità nei confronti dei recettori 1 e nei confronti dei
recettori 2C comportandosi come antagonista. Allora il problema del
blocco dei recettori 1 significa: ipotensione ortostatica, significa non
fare l'intervento di cataratta. Come abbiamo visto poco fa, se un pz
schizofrenico ha anche iperplasia prostatica il blocco dei recettori 1
può essere favorevole. Su 2C il farmaco ha alta affinità, bloccandoli.
L’azione del farmaco su questi recettori può contribuire a spiegarne
l'azione antidepressiva. Dico questo perché il recettore 2 si trova sui
terminali sia noradrenergici che su quelli serotoninergici e inibisce il
rilascio di neurotrasmettitori. Se voi bloccate i recettori 2 voi
aumentare il rilascio sia di noradrenalina che si serotonina. Questo
si traduce in un’azione antidepressiva. Noi abbiamo un farmaco
antidepressivo che si comporta così, questo farmaco è la mirtazapina
che prende il nome di REMERON e la mirtazapina ha una serie di
meccanismi d'azione, ma quello più stabile è il blocco dei recettori 2.
Quindi noi potremmo spiegare l'azione antidepressiva del
brexpiprazolo che ha addirittura l'indicazione clinica approvata dalla
FDA, attraverso due meccanismi: inibizione dei recettori 5-HT 7 +
inibizione dei recettori  2 adrenergici. Agendo sui recettori 5HT7
si svincolano i nuclei del rafe, ma ne parleremo meglio nella
depressione, e invece bloccando i recettori 2 aumenta il rilascio di
noradrenalina e serotonina e ciò potrebbe garantire un effetto
antidepressivo.

Vi voglio riassumere questo discorso sugli agonisti parziali.


Sono farmaci intelligenti, perché agiscono sia sul sistema
mesolimbico che sul sistema mesocorticale, frenando l'iperattività
del sistema mesolimbico e cercando di contrastare l'ipoattività del
sistema mesocorticale. Sono farmaci ideali per la doppia diagnosi

127
(schizofrenia e uso di sostanze), in questo caso provata efficacia
dell'aripiprazolo, rispetto alla cariprazina.
La differenza tra i tre farmaci è semplicemente questa: l'aripiprazolo
ha una buona affinità nei confronti dei D2, affinità nei confronti dei
5HT1A, per il recettore D3 ha un'affinità così e così, non fa ingrassare,
un farmaco che va bene per i sintomi positivi, sicuramente va
abbastanza bene per i sintomi negativi, ottimo per la doppia diagnosi.
La Cariprazina ha un’affinità spaventosa per i D3, va benissimo nel
sistema mesocorticale per i sintomi negativi, ma può avere problemi
sui sintomi positivi, quindi lì bisogna stare attenti, cariprazina rispetto
all'aripiprazolo dà più effetti collaterali extrapiramidali
(parkinsonismo farmacologico) e ha un'affinità più bassa rispetto ai
5HT2A.
Brexpiprazolo è multitarget: ha tantissimi target. Altissima affinità per
5HT2A, e potrebbe spiegare il fatto che dà meno acatisia rispetto agli
altri. Azione sui 5HT7 e sugli 2C, dove si comporta da antagonista,
questo potrebbe essere correlato all'effetto antidepressivo, è usato nel
trattamento add on della depressione.

Settima lezione di farmacologia della psichiatria, 22/05/20


La depressione maggiore.
Rispetto all'ultima volta, vi risparmierò gli ultimi 2-3 farmaci utilizzati nella
schizofrenia. Mi riferisco a Clotiapina, l’Asenapina e lo Ziprasidone. Perché
sono farmaci utilizzati molto poco. L’Asenapina era in realtà promettente
come terapia delle fasi maniacali del disturbo bipolare ed è un farmaco che
ha potenzialità, però ha fatto un po' meno mercato rispetto alle aspettative.
Adesso invece andiamo a uno dei temi principali della psichiatria che è la
depressione.
Per quanto riguarda la farmacologia della depressione, ci sono dei farmaci
cosiddetti pezzi da 90 nella depressione e sono:

128
• I TCA
(TRICICLICI
ANTIDEPRESSIVI)
cioè gli inibitori
della ricaptazione
di serotonina e
noradrenalina. In
realtà questo
meccanismo
d'azione non è
identico per tutti i
triciclici nel senso
che alcuni
agiscono
preferenzialmente sul trasporto della noradrenalina, altri come la
CLORIMIPRAMINA sul trasporto della serotonina. Il problema di
questi farmaci è rappresentato dagli effetti off target (fuori bersaglio).
Infatti, sono farmaci che interagiscono con tanti recettori, danno una
serie di effetti avversi, non si possono usare nei soggetti anziani per
l'azione anticolinergica, che disturba il cognitivo, e altri problemi.
Sono farmaci la cui efficacia non è stata facilmente superata, sono
sempre farmaci di prima linea.

• GLI SSRI CIOÈ GLI INIBITORI SELETTIVI DELLA RICAPTAZIONE


DELLA SEROTONINA che sono: Fluoxetina, Fluvoxamina, Paroxetina,
Citalopram, Escitalopram e Sertralina. Sono molto simili tra loro nel
meccanismo d'azione, ma con delle piccole caratteristiche distintive.

• SNRI, principalmente Duloxetina e Venlafaxina, che sono inibitori


della ricaptazione di serotonina e noradrenalina, con delle piccole
differenze tra i due.
Quindi questi sono i farmaci maggiormente utilizzati nel mercato, la scelta
nella maggior parte dei casi ricade sugli SSRI e sugli SNRI;

129
• tra i farmaci classici convenzionali sono anche da aggiungere GLI
IMAO (inibitori delle monoamminossidasi): farmaci efficacissimi
che però hanno un profilo di sicurezza e di tollerabilità un pochino più
discutibile rispetto agli altri.
• Altri farmaci che vengono utilizzati regolarmente sono: LA
MIRTAZAPINA E L’AGOMELATINA. Di questi cercheremo di vedere
profilo di efficacia, sicurezza, di tollerabilità e poi costi e la semplicità
di trattamento.
Che cosa ci offre adesso il trattamento della depressione? Quali sono le
novità nel trattamento della depressione? In che cosa consiste
l'avanzamento farmaceutico di oggi? Questa è la parte sicuramente più
interessante alla quale dobbiamo porre maggiore attenzione.
I grandi temi che cercheremo di trattare sono:
-punto numero 1: la correlazione tra depressione e disfunzione
cognitiva .
Anche se prevalentemente e per lungo tempo studiata dai neurologi, poiché
collegata alle demenze, la disfunzione cognitiva è alla base dei tre grandi
capitoli della psichiatria e cioè: schizofrenia, disturbo bipolare e
depressione maggiore.
Nel momento in cui avete un paziente depresso con disfunzione
cognitiva c'è un farmaco che vince rispetto a tutti gli altri ed è la
VORTIOXETINA. Vale a dire il Brintellix del quale naturalmente
parleremo successivamente.
Quindi secondo me uno dei breakthrough (modo del prof per dire
innovazione) nel trattamento della depressione è la Vortioxetina. E sarebbe
molto interessante cercare di capire se questo farmaco ha anche delle
applicazioni nel trattamento della depressione associata a patologie
neurologiche che sono anche caratterizzate da declino cognitivo come per
esempio: malattia di Alzheimer, prima fra tutte, poi le demenze fronto-
temporali e la malattia di Parkinson di cui gli MCI (=decadimenti cognitivi
lievi) e la demenza fanno parte della storia naturale della malattia.

130
La Vortioxetina è un farmaco che viene definito multimodale, perché ha
tanti bersagli di azione che danno effetti diversi, ma il suo marchio di
fabbrica assoluto è l'antagonismo dei recettori 5-HT3. Vedremo quanto i
recettori 5-HT3 possano essere importanti nella modulazione della sfera
cognitiva, cosa particolarmente importante;
-punto n 2: il grande capitolo
degli allucinogeni come
possibilità di trattamento della
depressione. Devo dire che il mio
atteggiamento nei confronti degli
allucinogeni è stato sempre di
critica e di scetticismo, ma mi
sono dovuto ricredere! Mi sono
dovuto ricredere alla luce dei dati
clinici. Infatti, gli allucinogeni hanno un ottimo potenziale
antidepressivo nei casi di depressione farmaco resistente.
Per depressione farmaco resistente negli studi clinici viene indicato uno
stato depressivo che è resistente almeno a due farmaci antidepressivi
convenzionali, che sono stati utilizzati precedentemente (per es SSRI /
SNRI). Parlare di allucinogeni nel trattamento della depressione significa
innanzitutto fare riferimento all’ESKETAMINA: un farmaco che agisce
come bloccante lento dei canali NMDA, cioè agisce bloccando i recettori
NMDA del glutammato, infilandosi all'interno del canale rimanendo lì
dentro per un lungo periodo di tempo. Il tallone d'Achille di questo farmaco
è proprio la disfunzione cognitiva e poi l'azione psicotomimetica. Perché
l’Esketamina è un anestetico dissociativo, insieme alla PCP cioè la
FENCICLIDINA detta Polvere D'Angelo o Pillola Della Pace.
In anestesia questi farmaci andavano bene. Anche noi continuiamo in
laboratorio a utilizzare l’Esketamina come anestetico nei piccoli animali
quando si fa la sperimentazione.
Tuttavia, quando i pazienti uscivano dell'anestesia poi avevano
dissociazione della personalità e questo ne ha limitato fortemente l’utilizzo.
Il termine dissociativo però si riferisce con più peso al profilo
elettroencefalografico/ elettrocorticografico, che la Ketamina - così
131
come la PCP - hanno nel senso che dissociano le risposte tra la
neocorteccia e la paleocorteccia.
E poi all'interno degli allucinogeni ci sono gli agonisti dei recettori 5HT2A.
Ho avuto la possibilità di leggere un po' di articoli in questo senso e anche
una review di David Nutt uscita su CELL, (che è la migliore rivista al
mondo che ha un fattore di impatto altissimo e detta tra noi è il sogno di
qualunque ricercatore pubblicare sul Cell!).
David Nutt è il sostenitore dell'uso degli allucinogeni nel trattamento della
depressione maggiore.
In parole povere la sostanza che ha riscosso
maggiore interesse da questo punto di vista
è la PSILOCIBINA che è il profarmaco
della Psilocina che si trova nei funghi
magici. La differenza tra le due sta nella
stabilità della molecola: la Psilocina è
instabile mentre la Psilocibina è una forma
fosforilata di Psilocina che viene
somministrata o viene assunta quando si
prendono i funghi magici e a macro-dosi
(es di 25 mg) permette di risolvere in maniera anche duratura determinati
problemi legati alla depressione Maggiore.
Se dovessi scegliere tra Esketamina e Psilocibina a cuore sarei in favore
della psilocibina. Poiché la Psilocibina non sembra indurre il deterioramento
della sfera cognitiva, ma anzi migliorare la sfera cognitiva.
Qualcosa mi dice che il profilo di sicurezza di tollerabilità con la Psilocibina
può essere più favorevole. È anche vero però che la Psilocibina è una
sostanza controllata di tipo 1 (significa che una sostanza considerata poco
efficace e che invece crea un potenziale di abuso particolarmente
elevato). Questo naturalmente ha frenato lo sviluppo della Psilocibina da
tutte le parti. È ovvio che questo discorso sugli allucinogeni che noi
prenderemo in considerazione non deve spingere i giovani poi a consumare
allucinogeni in maniera non conforme alle regole prescrittive perché
altrimenti si fa un grande buco nell’acqua! E quindi affronteremo questo
132
capitolo in maniera critica, limitandolo allo studio della depressione
farmaco resistente (in definitiva la psilocibina è oggi considerata nel
trattamento della depressione farmaco resistente ma per usi limitati nel
tempo e ancora non in Italia).
Tra l'altro devo dirvi che gli studi clinici con Psilocibina hanno dimostrato
un ottimo effetto della sostanza, ma ci vuole un supporto di tipo
psicoterapeutico. Nel senso che lo psicologo deve essere presente per
almeno 6 ore dopo la prima somministrazione e poi anche nelle giornate
successive. Deve seguire il paziente, perché questo farmaco fa fare un
viaggio allucinogeno e questo può essere: un
good trip, quindi avere delle connotazioni
positive oppure, in determinate circostanze
(se determinati contenuti che sono sepolti nel
subconscio poi riaffiorano nell’io cosciente
questi contenuti possono creare poi problemi)
ci vuole qualcuno pronto a tamponare la
situazione.
Tra le altre cose la psilocibina è stata approvata sia dalla Food and Drug
Administration sia dall'Agenzia Europea dei Medicinali per il trattamento
della depressione farmaco resistente e adesso bisogna vedere che tipo di
posizionamento avrà in Italia;
-punto numero 3 che tratteremo sono i neurosteroidi. Sono sempre
sostanze che mi hanno intrigato e affascinato tanto e sono tutti analoghi
dell’ALLOPREGNANOLONE che, come ricorderete, viene formato
all'interno del sistema nervoso centrale principalmente dagli astrociti, sia
con sintesi de novo a partire dal colesterolo, sia prodotto a partire dal
progesterone che viene principalmente rilasciato dal corpo luteo dal
sedicesimo al ventunesimo giorno del ciclo mestruale, o prodotto in grandi
quantità durante la gravidanza.
L’Alloprengnanolone, in una forma un po' modificata che si chiama
BREXANOLONE, è un farmaco che è stato approvato negli Stati Uniti per
il trattamento della depressione post partum, che è una depressione
tradizionalmente difficile da trattare. Questo deriva dal fatto che durante la
gravidanza si formano altissimi livelli di Allopregnanolone nel SNC, i
133
recettori al GABA rispondono all’allopregnanolone riducendo
l'espressione della subunità delta (che è una delle subunità dei recettori
extrasinaptici).
Durante il parto, l’Alloprengnanolone crolla perché crolla il progesterone (e
questo è normale perché la donna deve allattare) e automaticamente i
recettori al GABA recuperano la loro funzione. In alcune donne questo non
succede: il recettore al GABA rimane basso, nonostante il crollo
dell’Allopregnanolone e queste donne sviluppano la depressione post
partum.
E questo è un farmaco che è stato approvato facendo 60 ore di fusione in
vena per 60 ore consecutive e ha dato degli ottimi risultati. Sulla scorta di
questi risultati sono stati prodotti altri neurosteroidi, come per esempio lo
ZURANOLONE, ed è uscito un lavoro che dimostra l'effetto dello
Zuranolone nella depressione maggiore in questo caso non per la
depressione post partum ma per una depressione valutata sia nella donna che
nell'uomo quindi un discorso più ampio e di grandissimo interesse. Le
formulazioni attualmente disponibili sono per il Brexanolone solo
endovena, mentre per lo Zuranolone anche per os.
Domanda studente: “Ora che il Brexanolone è stato approvato per la depressione post partum, quanto pensa
che possa passare per una indicazione per la PMS (sindrome premestruale)?”
Risposta del prof: non ne ho la più pallida idea devo dirti la verità, credo che sia un'applicazione logica, la
sindrome premestruale. Anche perché oggi, il disordine disforico premestruale ha una sua collocazione
precisa nel DSM-5 e credo che sia un farmaco assolutamente adatto da questo punto di vista. Il problema è che
nella sindrome premestruale non si può fare l'infusione in vena, bisogna fare una formulazione per via orale,
quindi forse lo Zuranolone potrebbe essere il farmaco adatto per questo motivo;

-punto numero 4 tema principe della depressione e cioè quello della


resilienza lo stress. Il depresso è un paziente NON resiliente: cioè un
paziente che di fronte allo stress reagisce in maniera negativa. Quindi i
principi neurobiologici della Resilienza allo stress automaticamente sono
diventati bersaglio del trattamento antidepressivo.
Oggi ci sono diversi studi sui meccanismi di resilienza o mancata resilienza
allo stress. È la molecola protagonista in assoluto è il GLUTAMMATO: il
principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale.

134
Ci sono tutta una serie di studi che sono stati Condotti alla Rockefeller
University di New York (un’università che ha contato ben 45 premi Nobel),
in particolare quello del gruppo del professor Bruce McEwen (che è stato il
primo a dimostrare che quando c’è una situazione di stress prolungata, si
danneggia il SNC), che hanno identificato un recettore che renderebbe gli
individui più resilienti nei confronti dello stress e questo recettore si chiama
mGlu2 (recettore metabotropico del glutammato di tipo 2).
Vedremo quale può essere il ruolo del recettore mGlu2 e dei meccanismi
di acetilazione e nei meccanismi di resilienza allo stress. Questo mi
porterà a discutere con voi il meccanismo della L-ACETILCARNITINA
che è un farmaco indicato per il trattamento delle neuropatie dolorose ed è
un farmaco acetilante con meccanismo epigenetico, che mostra anche
azione antidepressiva solo nei modelli animali e non ci sono studi seri
nell'uomo.
Quindi questi sono i grandi temi che cercheremo di trattare.

Definizione di depressione maggiore (MPV)


Detto questo, andiamo un po' alla definizione. Premetto che non è cambiato
sostanzialmente niente tra il DSM 4 e DSM 5 (cioè tra il manuale di
diagnostica e statistica delle malattie mentali tipo 4 e il manuale di
diagnostica e statistica delle malattie mentali tipo 5), ma solo una piccola
nota. Detto questo, quand'è che si parla di depressione maggiore detta anche
MVP o meglio, depressive disorder cioè disordine di depressione
Maggiore?
Affinché si parli di depressione, per due settimane, tutti giorni, e nella
maggior parte della giornata, devono essere presenti 9 segni principali
che adesso vi elencherò in particolare i primi due sono i principali, gli
altri sono di accompagnamento.
Numero 1: una riduzione del tono dell’umore (Quindi siamo agli
antipodi rispetto la mania). Nel DSM-4 esisteva una forma di depressione
lieve, di lunga durata e caratterizzata da una riduzione meno marcata del
135
tono dell'umore che si chiamava distimia. Nel DSM-5 questa dicitura non
esiste più, ma si parla di disordine caratterizzato da depressione persistente.
Quindi bisogna un po' uscire dal termine distimia anche se questo è
rimasto nell'uso corrente.
A volte all'interno del quadro di DM potrebbero essere presenti sia sintomi
depressivi che sintomi maniacali e ipomaniacali (questi ultimi sono
caratteristici della diagnosi del disturbo bipolare) e quando questo dovesse
accadere si parla di stato misto.
Lo stato misto è una combinazione di manifestazioni depressive e
manifestazioni maniacali che coesistono nello stesso momento è che non
permettono di fare una diagnosi precisa né di disturbo bipolare né di DM.
A volte si parla anche di depressione doppia. Questo è un termine
utilizzato dai vecchi psichiatri e significa che indica coesistenza di
depressione e distimia contemporaneamente. Però questo è un termine che
non ha alcun senso dal punto di vista pratico.
Numero 2: LA DEPRESSIONE È CARATTERIZZATA DA ANEDONIA e cioè
l’ incapacità di provare piacere. Questo ci fa immediatamente rivolgere
l'attenzione alla rappresentazione del piacere.
La rappresentazione del piacere è una funzione tipicamente corticale e ed
è collegata naturalmente alla salienza, per ragioni evoluzionistiche. Le cose
salienti sono quelle che automaticamente ci danno piacere e questo non
potrebbe essere diversamente. Esiste un network corticale della salienza che
per esempio coinvolge la parte anteriore dell'insula e tra poco ne parleremo.
Voi dovete sempre inquadrare la depressione come un disordine delle
attività di network. Dovete uscire dal concetto tradizionale che dice che
la depressione è un disordine del sistema serotoninergico,
noradrenergico e dopaminergico. Ovviamente questi sistemi sono
enormemente coinvolti nella DM. Ovviamente i farmaci di prima linea che
si usano nella depressione maggiore hanno come bersagli principali questi
sistemi. Tuttavia, adesso si sta capendo che il vero cuore della depressione
è diverso. Quindi considerate la depressione come la schizofrenia e cioè
come un disturbo delle attività di network.

136
Le attività di network dipendono dal gioco a due tra le cellule principali, che
sono le cellule piramidali, e gli interneuroni (esattamente come abbiamo
detto per la schizofrenia). Ci accorgeremo presto però che questo gioco a
due nella depressione è diverso rispetto a quello che avviene nella
schizofrenia. Mentre nella schizofrenia sono coinvolti gli interneuroni per
l’albumina positivi (che sono una grande quantità di interneuroni dal punto
di vista numerico) nella depressione invece il danno interessa maggiormente
le cellule di Martinotti che sono le cellule somatostatina positive. Quindi,
cercheremo di capire come le attività di network si possono in qualche
misura modificare nella patogenesi della DM.
Domanda di uno studente: “ per la salienza oltre all’insula, c'è anche il sistema mesolimbico che si altera?”
risposta del prof: certo! Naturalmente! Il sistema mesolimbico è il segnalatore della salienza. È giusto quello
che dici. Però, La salienza è segnalata dal sistema mesolimbico. Invece viene elaborata dalla corteccia,
dall'amigdala e da altre strutture. Quindi comunque alla fine, la salienza viene espressa e percepita dalle attività
di Network corticali anche se la segnalazione lo ripeto, la dà il sistema mesolimbico.
Domanda di uno studente: “ nel cervello del depresso ho lo stesso danno che ho nella schizofrenia a carico
delle cellule di Martinotti o è meno severo il danno? Il prof risponde: No! Nella schizofrenia non sono le
cellule di martinotti ad essere colpite ma sono prevalentemente gli interneuroni per l'albumina positivi. Le
cellule di Martinotti, o comunque le cellule somatostatina positive, sono più coinvolte nella depressione. La
depressione è maggiormente una patologia della donna.

Numero 3: SONO LE ALTERAZIONI DELL’ATTIVITÀ PSICOMOTORIA che


normalmente si riduce (astenia e fatica), ma in alcuni casi può essere anche
aumentata, cioè ci può essere o riduzione o aumento dell'attività
psicomotoria (agitazione).
L’astenia e la fatica sono un aspetto fondamentale. Abbiamo detto diverse
volte anche negli anni precedenti, che il paziente depresso non è
necessariamente il paziente che non vuole andare al mare, ma è quello che
si sente stanco quando si sveglia e che quindi non ha la forza di vestirsi, di
prendere l’ascensore, di prendere la macchina e di andare al mare. Quindi
dobbiamo porre attenzione al problema di astenia e fatica, perché diventa
abbastanza influente sulla qualità di vita del paziente depresso.
Numero 4: DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE. Ci sono
alcuni domini che vengono coinvolti in maniera determinante in questi
pazienti e uno di questi è il dominio del comportamento alimentare, da cui
dipendono le variazioni del peso corporeo. La depressione spesso è
associata ad anoressia. Questo aspetto è stato considerato anche come
137
campo di applicazione di alcuni
allucinogeni. Quindi diversi pazienti
depressi sono anche anoressici, perché
mangiano di meno, però non è sempre così.
A volte la depressione è associata pure alla
bulimia e quindi l'aumento dell’assunzione
di cibo. Quindi potete avere tutte e due le
cose. Comunque, quando avete bulimia e
avete anche altre manifestazioni parlate di
depressione atipica (in foto Daisy Randone,
interpretata da Brittany Murphy, ragazza
viziata e ricca, vittima degli abusi da parte
del padre, che però a quanto pare, ne ricambia l'amore. Molto infantile,
ingenua e complessata, è affetta da isteria, disturbo ossessivo compulsivo,
bulimia e autolesionismo, mangia in completa solitudine solo il pollo arrosto
preparato dal padre ed dipendente da lassativi e Valium. Verrà dimessa
dall'ospedale nonostante sia ancora molto malata e suo padre le comprerà
un appartamento, Girls, Interrupted).
È importante sottolineare che cosa sia la depressione atipica, perché, per
esempio, i TCA vanno molto bene nella depressione melanconica, mentre
se c'è una depressione atipica con bulimia, con modificazione del sonno,
etc., gli SSRI funzionano meglio. Quindi, comunque bisogna stare attenti ai
segni che si trovano nel paziente prima di scegliere la terapia.
Numero 5: I DISTURBI DEL SONNO. L’ insonnia è presente nella maggior
parte dei casi. Il miglior farmaco per il trattamento dell’insonnia è in
assoluto il TEMAZEPAM che migliora tutti i parametri del sonno, ma non
si trova più in farmacia, quindi, molte volte l’insonnia viene trattata anche
con antidepressivi per esempio il TRAZODONE. Viene data anche la
MIRTAZAPINA. L’insonnia merita tutto un discorso a parte, perché ci sono
alcune benzodiazepine e farmaci simili alle benzodiazepine (come lo
ZOLPIDEM lo ZOPICLONE), che diventano poi i farmaci di prima linea e
devono essere utilizzati in maniera intelligente.
In alcuni casi di depressione maggiore c’è ipersonnia, cioè questi soggetti
dormono di più, si addormentano anche durante il giorno, come per esempio
138
succede ad un soggetto narcolettico. La narcolessia è una patologia che sta
acquistando sempre più interesse, c’è un farmaco per la narcolessia che si
chiama SOLRIAMFETOL e ancora non è in commercio in Italia però lo
sarà tra poco così come il MODAFINIL (commercializzato col nome
commerciale di Provigil).
Quando avete ipersonnia nel contesto della depressione si parla di
depressione atipica e quindi la depressione atipica è caratterizzata da
ipersonnia, da bulimia, da paralisi plumbea, che significa che le gambe
al mattino non si muovono più, ci sono anche oscillazioni del tono
dell'umore nell'arco della giornata.
Uno studente chiede: si sa perché ci sia un’alterazione del sonno nella depressione? Il prof: perché qualunque
sia l'origine reale della depressione c'è un coinvolgimento marcato del sistema serotoninergico, noradrenergico
e dopaminergico e questi tre sistemi regolano lo stato di veglia. Quindi è abbastanza ovvio che i meccanismi
primari del sistema nervoso centrale che li interessano siano coinvolti.
Altro studente chiede: l’insonnia riguarda l’addormentamento o i risvegli precoci? Il prof risponde: può
riguardare tutte e due le cose. Quando ero studente si faceva una distinzione tra depressione primaria e
depressione reattiva dicendo che il paziente affetto da depressione primaria si risvegliava prima di notte,
mentre invece il paziente affetto da depressione reattiva si addormentava più tardivamente, ma alla fine non è
vero. Il disturbo del sonno può riguardare sia il tempo di addormentamento che il fatto che uno si sveglia
durante la notte. Nelle linee guida che descrivono il trattamento dell’insonnia vengono riportati i minuti
guadagnati con tutti i trattamenti sia quando uno si addormenta che quando invece si sveglia la notte. In questi
studi il Temazepam stravince contro tutti! Anche contro lo STILNOX farmaco che oggi viene trovato
facilmente in farmacia. Mi sorprende come il temazepam invece non vi si trovi.

Molte volte i pazienti depressi tendono a sviluppare una piccola forma di


delirio, che non è esattamente il delirio dello schizofrenico. Quest’ultimo
infatti ha un delirio che è completamente svincolato dal suo tono dell'umore
e può prendere qualsiasi forma. Il paziente depresso invece sviluppa
fondamentalmente un delirio da senso di colpa, cioè rimugina in
continuazione sui suoi pensieri, guarda all'interno e non guarda
all'esterno e crede di essere colpevole di tutte le tragedie e i problemi
dell'umanità.
Quindi questo è una forma di delirio che prende il nome di delirio olotimico
che significa delirio congruo con il tono dell'umore. Un altro esempio di
delirio olotimico l'avete nel paziente affetto da disturbo bipolare in fase
maniacale quando si sente Dio, crede di essere Napoleone, Mozart,
Alessandro Magno. In questo caso è pure un delirio olotimico congruo nei
confronti del tono dell'umore, che nella fase maniacale è del tutto esaltato.
139
Poi c'è un'altra manifestazione dove nasce ambiguità. E allora sia nel DSM-
4 che nel DSM-5 trovate tra i criteri diagnostici della depressione il fatto che
il paziente depresso ha difficoltà a concentrarsi e anche a difficoltà nel
pensiero quindi uno potrebbe automaticamente dire che il paziente depresso
ha nel suo stato di malattia la disfunzione cognitiva.
Altro studente chiede: l’Agomelatina si può usare per la depressione maggiore? Si. È uno dei farmaci,
sicuramente indicato per la depressione Maggiore. L’Agomelatina è un agonista dei recettori MT1 e MT2 per
la melatonina, però a differenza della melatonina è più potente come agonista nei confronti dei due recettori e
contemporaneamente e un antagonista dei recettori 5-HT2C.
Studente chiede: per la sua azione specifica sull’alterazione del ritmo sonno veglia nella depressione qual è la
sua opinione sull’Agomelatina? Risposta Prof: naturalmente nei confronti del ritmo sonno-veglia ha l'azione
melatoninergica, che è quella principale. D’altra parte, la depressione riflette anche un'alterazione dei geni
Clock che sono i geni dei ritmi circadiani. La melatonina attraverso il nucleo soprachiasmatico è un regolatore
principe del sonno quindi naturalmente un farmaco che attiva potentemente i recettori ha questa funzione
fisiologica.

NUMERO 6: LA DISFUNZIONE COGNITIVA. Vedendo questo punto del DSM


5, cioè il fatto che i pazienti hanno difficoltà a concentrarsi hanno difficoltà
nel pensiero, qualcuno può concludere che la depressione sia di fatto una
patologia della sfera cognitiva. Questo è credibile in generale, tuttavia
quando parliamo di disfunzione cognitiva nella depressione, ci riferiamo ad
una percentuale di pazienti abbastanza robusta (intorno al 35% ) che
presenta più di questo. Non hanno soltanto difficoltà a concentrarsi o
difficoltà nel pensiero, ma hanno anche alterazioni della velocità del
processamento del pensiero, hanno alterazioni dell’attenzione selettiva,
hanno alterazione delle funzioni esecutive, in alcune forme di memoria
e di apprendimento che sono tipicamente ippocampali, hanno
alterazioni nella Working Memory (cioè nella memoria di lavoro).
Insomma, hanno un quadro che ricorda una demenza frontotemporale,
anziché una depressione, e forse questi pazienti che hanno una depressione
con disfunzione cognitiva corrispondono a quei pazienti che erano
principalmente diagnosticati tanti anni fa come affetti da depressione
pseudodemenziale, come veniva chiamata un tempo.
Qui bisogna operare una distinzione abbastanza importante. Cioè non
bisogna confondere il paziente depresso con la negative cognitive bias (
=tendenza alla negatività) .

140
È assolutamente logico che un paziente depresso tenda ad elaborare
informazioni, che arrivano dall'ambiente esterno, principalmente con una
valenza emozionale negativa. Il paziente con disfunzione cognitiva tendente
alla negatività non deve essere confuso col paziente depresso. Infatti, nel
depresso è coinvolto l’aspetto caldo della sfera cognitiva (ovvero la parte
della sfera cognitiva dipendente dal coinvolgimento delle emozioni che
condizionano il pensiero). Tutti i pazienti depressi ovviamente hanno questo
aspetto, ma quando si fa riferimento al paziente che ha disfunzione cognitiva
e che è depresso, il riferimento alla disfunzione cognitiva va agli aspetti
freddi della sfera cognitiva e cioè aspetti dell’elaborazione cognitiva di
informazioni che sono indipendenti dal coinvolgimento emotivo. Gli aspetti
freddi della funzione cognitiva sono tipicamente diretti dalla corteccia
prefrontale dorsolaterale e dall'ippocampo e, come vedremo, in questi
pazienti c'è un’ipo-attivazione delle cellule piramidali della corteccia
prefrontale quando si sottopongono questi pazienti ad un task cognitivo.
Quindi in questi pazienti è fondamentale attivare le cellule piramidali della
corteccia prefrontale e la Vortioxetina fa questo molto bene bloccando i
recettori 5-HT3.
È probabile che la Vortioxetina non agisca solo attraverso questo
meccanismo perché ha degli altri meccanismi che possono essere
importanti, resta il fatto comunque che il blocco dei recettori 5-HT3 è
sicuramente un meccanismo primario.
Uno studente chiede: ma al ripetersi di episodi di depressione Maggiore corrisponde un aumento del declino
cognitivo? Il prof risponde: per certi versi sì, perché la depressione è pure una malattia degenerativa. Nella
depressione c'è una degenerazione progressiva della corteccia prefrontale e una degenerazione dell'ippocampo.

La disfunzione cognitiva è considerato uno dei principali sintomi residui


della depressione maggiore. Che significa sintomi residui? Significa che se
tu fai un trattamento con antidepressivi a un depresso, il tono dell’umore
aumenta e questo migliora gli aspetti caldi della funzione cognitiva (i
pensieri legati al tono dell’umore), ma la disfunzione cognitiva legata agli
aspetti freddi della sfera cognitiva rimane.
Ora se tu dai un antidepressivo tradizionale ( per esempio un SSRI , un
SNRI quello che è) a un paziente che ha disfunzione degli aspetti freddi
della sfera cognitiva, questo risponde meno bene, migliorando comunque il
tono dell'umore (quindi una risposta c’è), ma sviluppando delle ricadute nel
141
tempo a causa della permanenza della disfunzione cognitiva. Quindi la
disfunzione cognitiva è un indice prognostico sfavorevole della DM.
Se tu però invece che gli antidepressivi tradizionali dai la Vortioxetina allo
stesso paziente, la disfunzione cognitiva legata sia agli aspetti caldi che agli
aspetti freddi della sfera cognitiva la risolvi alla grande!
C'è una metanalisi che mette a confronto la Vortioxetina con tutti gli altri
farmaci principali antidepressivi. Si basa su un unico test della funzione
cognitiva che è quello di associare dei numeri ha dei simboli e quindi è
un'analisi fatta abbastanza bene. In questa metanalisi la Vortioxetina
stravince contro tutti gli altri!
Ci sono poi alcuni farmaci che addirittura peggiorano la disfunzione
cognitiva. Per esempio, i Triciclici perché hanno l'azione anticolinergica,
quindi, è logico attendersi questo. Quindi il problema della disfunzione
cognitiva, facendo riferimento anche agli aspetti freddi della sfera cognitiva,
diventa fondamentale nella depressione.
Uno studente chiede: Qual è il dominio cognitivo più interessato da sintomi residui? Ma guarda sono sia
sintomi che derivano da alterazioni di network dalla corteccia prefrontale dorsolaterale (come attenzione
selettiva velocità del processamento del pensiero funzioni esecutive Working Memory )che sintomi che
derivano da alterazioni di network della corteccia ippocampale (disturbi della memoria episodica ne sono un
tipico esempio). Quindi puoi trovare tutta questa roba che ovviamente va analizzata con batterie di test
neuropsicologici che sono fatti apposta per questo tipo di discorso.

La DSST è una scala che può essere utilizzata per la valutazione della sfera
cognitiva.
Un'altra possibilità, per curare la disfunzione cognitiva, potrebbe essere
quella di attivare i recettori 5-HT2a, che sono degli attivatori potenti delle
cellule piramidali. Sono principalmente localizzati sulle cellule piramidali,
il rischio è di attivarli oltre il necessario, potendo avere l'elaborazione
psicotomimetica, ovvero potete avere manifestazioni allucinogene.
Uno studente chiede: per il miglioramento cognitivo la Vortioxetina potrebbe essere aggiunta ad antipsicotici
atipici che agiscono sui 5HT7 di cui parlavamo l’altra volta? Il prof risponde: è un'ottima domanda: la prima
cosa che ti devo dire è che la Vortioxetina blocca anche i recettori 5-HT7, quindi questo meccanismo ce l'ha.
È anche vero che una cosa importante è la cosiddetta target occupancy e cioè che percentuale di recettori
viene occupata dal farmaco a livello del SNC. Questa dipende dall’affinità recettore ligando. Mentre l’affinità
nei confronti dei recettori 5-HT3 della Vortioxetina è straordinaria, molto simile a quella dell’Ondansetrone
per intendersi, (quindi i recettori 5 HT3 sono reclutati immediatamente anche con bassi dosaggi di Vortioxetina
e c'è una saturazione totale del 100% dei recettori presumibilmente), nel caso dei recettori 5HT7 le cose sono

142
diverse: tali recettori hanno una saturazione molto più bassa e probabilmente entra in gioco con dosaggi più
elevati di Vortioxetina.
C'è un farmaco che è un bloccante potentissimo dei recettori 5-HT7 è questo è il LURASIDONE, c'è un altro
farmaco che blocca i recettori 5-HT7 con una affinità un po' inferiore rispetto al Lurasidone ed è il
BREXPIPRAZOLO. Se ci fossero quelle situazioni un po' intermedie di disordini schizo/affettivi e se uno
vuole potenziare l'effetto sulla sfera cognitiva probabilmente un'associazione tra Vortioxetina e Lurasidone o
Vortioxetina e Brexpiprazolo potrebbe essere utile. Ovviamente questo non è mai stato fatto, quindi, questo è
un tema che merita sia studi di tipo preclinico che studi di tipo clinico prima che si possa somministrare ai
pazienti.

Numero 7: Suicidio.
Depressione maggiore,
schizofrenia, disturbo
bipolare dell’umore sono
patologie caratterizzate da
rischio di suicidio o dalla
sua pianificazione/idea.
Richiede molta attenzione
(Tommen Baratheon si
toglie la vita, Game of Thrones). Considerate sempre l’efficacia principe del
farmaco usato. Ad esempio, un pz in terapia con TCA per passare a un altro
farmaco, ad esempio un SSRI o un SNRI, richiede molta attenzione, poiché
alcuni psichiatri sostengono che i TCA abbiano una maggiore efficacia (ma
un profilo di sicurezza e tollerabilità minore). Per un pz naive ad alto rischio
di suicidio, in cui è necessaria un’azione estremamente rapida, i più adatti
potrebbero essere gli allucinogeni (esketamina e psilocibina funzionano
con grande rapidità). Esiste anche il rischio di aumento di tentativi di
suicidio nelle prime fasi di trattamento con farmaci antidepressivi, cosa
notata soprattutto con il PROZAC® - FLUOXETINA. Questo avviene
perché i farmaci antidepressivi aumentano il tono dell’umore in 3-4
settimane, in questo periodo il pz riacquista iniziativa e può trovare la
forza e la motivazione per il suicidio.
Nel DSM-5 al capitolo della depressione troviamo:
• MDD (Major Depressive Disorder);
• Disregolazione dirompente del tono dell’umore (la possono avere ad
esempio gli adolescenti) è ivi classificata;

143
• Disordine da depressione persistente (ex distimia);

• Disordine disforico premestruale (anche chiamato sindrome


premestruale - PMS). Secondo il prof. i neurosteroidi possono essere
di grande utilità nel trattamento della PMS. Ci sono donne che
soffrono molto durante la fase premestruale, con disforia, epilessia
catameniale, emicrania premestruale (il prof afferma di non credere
che questa possa dipendere dagli estrogeni, secondo lui deriva da un
calo del progesterone. L’emicrania deriva da un trigger presente in
qualsiasi area del SNC. Il trigger scatta quando i neuroni diventano più
eccitabili. Quando scendono i livelli di allopregnanolone aumenta
l’eccitabilità neuronale e quindi la sensibilità ai trigger);

• Depressione da uso di sostanze/medicamenti. Qualunque sostanza


d’abuso dà depressione nel periodo di sindrome di astinenza. Il
cocainomane, che interrompe il binge ed entra nella fase di astinenza,
ha dipendenza motivazionale con una sindrome caratterizzata da
mancanza di motivazione, profonda anedonia, grande craving;

• Depressione associata ad altri disordini, ossia comorbidità (quando fa


da sintomo prodromico le manifestazioni della depressione possono
anticipare di qualche mese o massimo un paio di anni l’altra malattia).
Tra le comorbidità abbiamo: dolore (soprattutto il neuropatico) –
depressione e dolore sono due facce della stessa medaglia, diabete di
tipo 2, malattia di Alzheimer: la depressione si manifesta tra i
prodromi della malattia, quando la malattia è incipiente (e si possono
trovare i segni della malattia nel liquor, come l’aumento della proteina
 fosforilata). C’è un’associazione con polimorfismi del gene per il
TGF-. Il trattamento non è facile: non si usano i TCA. C’è una
correlazione tra diminuzione del tono dell’umore e disfunzione
cognitiva (si potrebbe pensare alla vortioxetina), emicrania (la
trasmissione serotoninergica è un aspetto comune delle due patologie,
triptani ed ergot usati nel dolore emicranico sono farmaci che attivano
i recettori serotoninergici, farmaci che si usano nella profilassi
bloccano alcuni sottotipi di 5HT2), malattia di Parkinson:
144
depressione come prodromo della malattia e sintomo di esordio non
solo per alterazione del sistema dopaminergico, ma anche dei nuclei
del rafe e del locus coeruleus. Anche qui c’è una correlazione tra
diminuzione del tono dell’umore e disfunzione cognitiva (si potrebbe
pensare alla vortioxetina). Farmaci come il MIRAPEXIN® -
PRAMIPEXOLO (agonista non ergot dei recettori dopaminergici,
tranne D1) hanno un’ottima azione antidepressiva in questo caso.
Secondo una recente ricerca, sempre del gruppo della Rockfeller
University, possiamo capire cosa accade nel SNC ricercando gli
esosomi (vescicole liberate dalle cellule che possono ritrovarsi nel
sangue). Essi possono derivare da qualunque cellula dell’organismo,
ma con dei marcatori esclusivamente neuronali si può riconoscere la
loro origine nervosa. La ricerca dimostra che i pz con depressione
maggiore hanno insulino-resistenza neuronale (marcatori di insulino-
resistenza venivano trovate negli esosomi dell’SNC in pz depressi).

145
Fisiopatologia della depressione.
Il peso della familiarità nella
depressione è del 37% (40%
nelle donne e 30% negli
uomini), meno che nel disturbo
bipolare e nella schizofrenia.
La depressione si osserva nel
15% delle donne italiane e nel
6-7% degli uomini. L’effetto
gender viene fuori dopo la pubertà, perché prima le statistiche sono uguali
tra maschi e femmine (5-6%), probabilmente è per il ciclo ovarico e dunque
gli ormoni sessuali femminili (cfr. discorso sui neurosteroidi). Inoltre, le
alterazioni dei neuroni a somatostatina (di Martinotti), che rispondono più
allo stress e diventano disfunzionali, sono maggiormente espresse nel sesso
femminile che nel sesso maschile.
Non dobbiamo mai bloccare queste cellule nella Depressione Maggiore dato
che sono già disfunzionali di per sé. Teoricamente non dovremmo nemmeno
bloccare le cellule Parvalbumina+, perché sono fondamentali per il
cognitivo (l’esketamina le blocca entrambe, perché esprimono entrambe i
recettori NMDA. Bloccando i due interneuroni l’esketamina attiva molto le
cellule piramidali).
C’è concordanza nei gemelli omozigoti, soprattutto se di sesso femminile.
La depressione può essere considerata una patologia
neurodegenerativa, perché si osserva morte neuronale nell’ippocampo
e nella corteccia prefrontale. Nella depressione c’è neuroinfiammazione e
le citochine coinvolte sono IL-1b, IL-2, IL-6, IFN-, TGF- e TNF-. La
neuroinfiamamzione è un elemento costante in tutte le patologie
psichiatriche, ad esempio nella schizofrenia sono coinvolti polimorfismi
dei geni per il complemento.

I geni coinvolti sono stati trovati con gli studi GWAS (genome-wide
association studies), in cui si studiano più di 100mila pazienti depressi e

146
300.000 non depressi. La fisiopatologia in cui sono coinvolti questi geni non
è sempre chiara. Tra i geni candidati ci sono:
• Piccolo (PCLO): coinvolto nel cycling di tutte le vescicole sinaptiche,
per tutti i neurotrasmettitori, insieme ad altre 3 proteine che presentano
nomi di strumenti musicali (bassoon, oboe, rim). È uno dei geni più
frequentemente associati alla depressione;
• TMEM16: codifica per un canale del cloro regolato dal calcio
• RBFOX1: codifica per una proteina che lega l’atassina 2 (proteina
mutata nella Atassia Spinocerebellare di tipo 2). È coinvolta nello
sviluppo del SNC. Mutazioni sono anche associate al disordine dello
spettro autistico.
• NEGR1 (neuronal growth factor 1): che codifica per una molecola di
adesione, importante per la migrazione e differenziamento dei
neuroni. Difetti nella migrazione neuronale sono presenti anche nella
schizofrenia;
• Olfactomedina 4: la proteina si trova nel tratto GI;
• LRFN5: importante per lo sviluppo del SNC e per i meccanismi
neuroinfiammatori.
• CACNA1E: codifica per la subunità  dei canali del calcio voltaggio-
dipendenti.
• CACNA2D1: codifica per la subunità  dei canali del calcio
voltaggio-dipendenti. Questa subunità  è il bersaglio di
gabapentina e pregabalin, che però non sono indicati per la
depressione (ma per disturbo bipolare e ansia);
• DRD2: recettore D2 della dopamina. Attualmente però non ci sono
farmaci indicati per la depressione che agiscono sul sistema
dopaminergico, tranne che nella depressione associata a Parkinson;
• FKBP5: importante per l’omeostasi del recettore dei glucocorticoidi.
Questa proteina lega il tacrolimus. Nella depressione maggiore c’è
un’alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene;
• Gene che codifica per il BDNF: è il fattore neurotrofico più importante
dell’SNC in assoluto. Il polimorfismo Val66Met (25% della
popolazione, anche 40% nei soggetti asiatici) che ne determina una
minore produzione. Il BDNF è strettamente collegato a patogenesi e
147
trattamento della depressione. In molti studi si è evidenziato che il
trattamento con farmaci di provata efficacia determina aumento dei
livelli plasmatici di BDNF. L’esketamina aumenta il BDNF, i pz
con questa mutazione - Val66Met - non rispondono
all’esketamina. Un roditore depresso ha livelli più bassi di BDNF
nell’ippocampo, somministrando BDNF a questo livello vediamo un
miglioramento nei sintomi, ma se lo somministriamo nell’accumbens
i sintomi si aggravano, quindi l’effetto è strettamente contesto-
dipendente. Il BDNF ha anche grande importanza nei meccanismi di
plasticità: sostiene l’induzione di LTP (potenziamento a lungo termine
della trasmissione sinaptica eccitatoria) e aumenta la neurogenesi nel
giro dentato dell’ippocampo (che serve a collegare memorie acquisite
in momenti diversi). Molti antidepressivi aumentano la neurogenesi, il
ruolo della neurogenesi nel trattamento della depressione è molto
discusso. I soggetti che hanno il polimorfismo citato hanno una
riduzione del cognitivo e l’ippocampo più piccolo.
• 5HTTLPR: codifica per il SERT. Trattare questo polimorfismo ci
consente di riflettere sul fatto che la depressione sia una patologia
esclusivamente del sistema monoaminergico oppure no. Per il prof è
una patologia delle attività di network, in cui il network di default,
che è quello introspettivo (l’individuo in stato di veglia non attenta,
cioè in ritmo ), va in stato sognante. Il pz guarda dentro sé stesso e
pianifica e rumina, l’introspezione prende il sopravvento
sull’esecuzione, con anche alterazioni del network della salienza (tre
network: della salienza, introspettivo, esecutivo).

Ottava lezione di farmacologia della psichiatria, 26/05/20


La volta scorsa abbiamo parlato di marcatori genetici della depressione.
Sono state identificate delle molecole dal GWAS, strumento del sadismo
della moderna biologia, che per ora sembra non portare a nulla, se non a
complicazioni. Alcune delle molecole identificate dal GWAS hanno il
physique du rôle per rientrare nella fisiopatologia della depressione, per
esempio il BDNF, il trasportatore della serotonina. Le molecole più

148
interessanti per il prof sono quelle codificate dai geni GRM5 e GRM7, che
sono i recettori metabotropici per il glutammato mGlu5 e mGlu7; queste due
sono state associate alla depressione. In particolare, è interessante mGlu5, i
suoi modulatori allosterici negativi sono farmaci in sviluppo per il
trattamento della depressione maggiore. Ce ne è uno che si chiama
basimglurant, questo è arrivato alla sola fase 2. Alcuni dati, secondo il prof,
erano abbastanza convincenti. Le grandi aziende, tranne quelle che sono
impegnate solamente in ricerca neuromolecolare, sono oggi più restie a
sviluppare farmaci per patologie a carico del SNC, in particolare per le
patologie psichiatriche. Questo accade per un problema di mercato, che è
stato fossilizzato su farmaci precedenti. È per questo che bisogna cercare
delle alternative a questi farmaci storici, per questo che bisogna cercare i
breaktrough. Passiamo a parlare della fisiopatologia della depressione.
Partiamo da un quesito: secondo voi la depressione rappresenta un evento
positivo o negativo nella scala evolutiva? Bisogna analizzare questo punto
di vista; per esempio, gli endocannabinoidi sono funzionali, perché ci
consentono di mangiare anche oltre la sazietà (esostasi), in modo da
permetterci di accumulare fonti energetiche, in previsione di carestie o
difficoltà nel reperire cibo. Chiaramente ad oggi l’esostasi umana è un
veicolo per la sindrome metabolica, per l’insulinoresistenza, per i fattori di
rischio CV. Analizzando la depressione, oggi c’è una espressione chiave
nella fisiopatologia di questo disturbo, che è non resilienza nei confronti
dello stress. La parola resilienza oggi è usata in continuazione, ma deriva
dalla chimica e dalla fisica. Resilienza significa resistenza dei metalli al
piegamento. I soggetti depressi non mostrano resilienza nei confronti di
stimoli stressogeni che vengono dall’ambiente esterno, per questo adottano
un fenotipo depressivo e non combattono contro lo stress. Immaginate di
avere un gruppo animale dove esiste una catena gerarchica per l’ottenimento
delle risorse, quindi c’è un elemento  (segue immagine di elemento ), che
è l’elemento leader, poi ci sono gli altri membri del branco, fino ad arrivare

149
agli ultimi, che infatti
mangiano per ultimi, che
non hanno ruoli di
guardia o di
responsabilità, sono
animali che dormono
meno e sono animali la
cui sfera cognitiva è
impegnata in compiti semplici. Questi animali sono così, poiché dopo il
primo contatto con l’elemento  sono stati sottomessi con la violenza,
rischiando anche la pelle. Dunque, questi animali per sopravvivere adottano
il fenotipo depressivo che vi ho descritto, sopravvivere significa trasmettere
i geni. LA trasmissione dei geni è l’elemento chiave dell’evoluzione.
L’evoluzione vuole che ci sia la depressione in un gruppo di animali, al fine
di mantenere la gerarchia e quindi la funzionalità del gruppo. Questo ci pone
davanti ad alcune riflessioni, come prima cosa la depressione è legata a
doppio filo con le vie del dolore, quando si dice che il dolore neuropatico è
in comorbilità con la depressione si dice una cosa scontata, però allo stesso
tempo si è riduttivi. La depressione e il dolore non sono in comorbilità, sono
due aspetti diversi della stessa patologia. Ci sono delle regioni della pain
matrix, che sarebbe una regione alta del SNC responsabile degli aspetti
percettivi, sensoriali ed umorali del dolore, che si sovrappongono a quelle
coinvolte nella fisiopatologia della depressione. Per esempio, se considerate
il giro del cingolo, una delle regioni più affascinanti del nostro cervello, in
particolare la zona perigenuale del cingolo, cioè la parte del cingolo che fa
la curva intorno al ginocchio del corpo calloso, è una zona facente parte
delle vie del dolore, ma nello stesso tempo, se si fa la stimolazione profonda
di questa zona in un soggetto depresso farmacoresistente, si migliora il tono
dell’umore. Ancora, tra la parte anteriore e la parte posteriore del giro del
cingolo c’è una piccola area motoria, la quale fa corrugare la fronte nel
momento in cui vedete qualcosa di spiacevole. Le analogie sono lampanti.
Non a caso alcuni antidepressivi vengono utilizzati nel trattamento del
dolore neuropatico, come l’amitriptilina, la duloxetina, la vellafaxina, questi
sono farmaci di prima linea nel trattamento del dolore. La vortioxetina fa la

150
stessa cosa, anche se questo non rientra negli impieghi clinici della
vortioxetina.
In risposta alla stimolazione delle vie del dolore, che è quello che accade
quando il leader picchia gli animali più deboli, scatta un programma
epigenetico. Questo meccanismo epigenetico può essere di lunga durata, e
può trasmettersi di generazione in generazione, creando una
sovrapposizione transgenerazionale delle due patologie. Per esempio, una
persona può essere lievemente depressa, non è da escludere che un avo di
questa persona non avesse una neuropatia, o una soglia del dolore
particolarmente bassa, che abbia indotto un meccanismo epigenetico
inducente un fenotipo depressivo, che è stato poi ereditato dalla persona in
esame. Al contrario, un soggetto depresso può generare un figlio con una
soglia del dolore particolarmente bassa.
Questa è la teoria evoluzionistica della depressione, che si basa sull’impatto
dello stress. Dobbiamo realizzare che la depressione è una patologia legata
allo stress, un disordine legato allo stress. Noi abbiamo un asse endocrino
che controlla le risposte allo stress, che è l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
Questo ha come elementi fondamentali il CRH, l’ACTH e il cortisolo.
Dobbiamo chiederci: nella depressione l’asse endocrino dello stress è
alterato oppure no? Sì, è alterato. L’asse dello stress è disregolato nella
depressione, è infatti iperattivo. Teoricamente c’è una maggior probabilità
statistica che il surrene rilasci cortisolo. Ricordatevi sempre, nell’approccio
terapeutico alla depressione, tre cose vanno fatte prima di cominciare i
farmaci: studiare la tiroide, molte volte i depressi sono ipotiroidei, se non si
cura la tiroide i farmaci antidepressivi non aiuteranno il pz, valutare l’asse
ipotalamo-ipofisi-gonadi, la volta scorsa abbiamo parlato dei neurosteroidi,
farmaci promettenti nel trattamento della depressione, potrebbe essere
presente una difettiva produzione di progesterone, esiste la depressione
postpartum, e poi studiare il surrene, la depressione si può associare ad una
iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Quest’asse endocrino
funziona così: quando viene prodotto il cortisolo dalla corteccia surrenalica,
opera un meccanismo di feedback negativo, inibendo la produzione di CRH.
Questo feedback negativo dipende da due recettori: MR e GR. MR è il
recettore per i mineralcorticoidi ed è ad alta affinità per il cortisolo. Il GR è

151
il recettore per i glucocorticoidi sensu strictu ed è un recettore che ha meno
affinità per i glucocorticoidi rispetto a MR. Quando il cortisolo viene
prodotto in quantità fisiologiche attiva i recettori MR che si trovano
nell’ippocampo, che è una sede molto importante per la fisiopatologia della
depressione, qui il cortisolo spegne il CRH grazie ai MR e l’asse del surrene
è regolato. Se il cortisolo è prodotto in eccesso, come avviene in condizioni
di stress, entra in gioco il recettore GR, che è un recettore ad alta capacità
ed attivato dai cortisonici, che dà segno di spegnimento dell’asse. I recettori
MR e GR funzionano di meno nei meccanismi di feedback negativo che
bloccano l’asse, in pazienti depressi. Quindi quello che si verifica in pazienti
depressi è che il loro ippocampo ha dei recettori per il cortisolo che
funzionano poco, quindi i meccanismi di spegnimento dell’asse sono
ipofunzionanti e l’asse tende a rimanere attivato. Questo comporta delle
conseguenze, come una maggiore vulnerabilità delle cellule nervose,
soprattutto quelle dell’ippocampo. La depressione è in parte una patologia
degenerativa, si osserva morte dei neuroni nell’ippocampo e nella corteccia
cerebrale. È curioso considerare le malattie psichiatriche come
neurodegenerative, ma è una realtà. Una delle ragioni per cui i neuroni
muoiono nell’ippocampo è questa iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-
surrene, associata al fatto che i recettori GR e MR funzionano poco. Man
mano che i neuroni muoiono il meccanismo di feedback è sempre meno
operativo, perché ci sono sempre meno recettori, i quali si trovano proprio
sulla membrana plasmatica di questi neuroni. Il risultato di questa situazione
è l’ipercortisolemia. Questa ipercortisolemia, che per altro è di difficile
studio nel pz10, non è una costante del paziente depresso. Infatti, non
l’ipercortisolemia non è presente nel paziente con depressione melancolica,
che non è la malinconia. Melancolia significa bile nera, dal greco, è una
depressione severissima, che risponde agli antidepressivi più forti.
Del resto, la terapia con corticosteroidi può indurre disturbi dell’umore. Il
Cushing, malattia da ipercortisolismo, presenta manifestazioni
psichiatriche, disturbi maniacali, manifestazioni psicotiche.
Negli altri pazienti, che non hanno depressione melancolica, e in cui
comunque non riusciamo a trovare l’ipercortisolemia, come possiamo

10
Si rimanda agli appunti di endocrinologia.
152
svelare la disfunzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene? Come fare a
capire che il recettore GR nell’ippocampo di questi pazienti non sta
funzionando bene, mentre non c’è una franca ipercortisolemia? Si può fare
il test di soppressione al desametasone, si somministra il desametasone –
che è un potentissimo attivatore di GR – alle undici di sera, e poi alle 8:00
del mattino valutiamo il livello di cortisolo. Dando desametasone attiviamo
il recettore GR dell’ippocampo e anche il recettore GR che si trova
nell’ipotalamo e si sopprime completamente l’asse ipotalamo-ipofisi-
surrene, così il cortisolo endogeno dovrebbe avere livelli bassissimi la
mattina seguente. Se invece si fa questo test in pz depressi, un 35% di pz
depressi ha un test al desametasone difettivo, cioè il desametasone
somministrato non è in grado di sopprimere la produzione endogena di
cortisolo, ciò significa che il recettore GR non sta funzionando a dovere.
Quindi la depressione è una patologia dell’asse ipotalamo-ipofisi-
surrene.
La depressione è anche una patologia del sistema monoamminergico?
Sicuramente lo è, senza dubbio. Tutti i farmaci che abbiamo in clinica oggi,
tranne l’esketamina, hanno azione su questo sistema, composto da
dopamina, noradrenalina e serotonina. Cerchiamo di capire come questi tre
componenti sono coinvolti. Partiamo dal sistema noradrenergico, perché è
il più facile da trattare. La noradrenalina ha un ruolo molto importante nel
SNC sia nei meccanismi di controllo cardiovascolare sia perché è un
regolatore dell’attivazione del sistema mesolimbico. Il dottor Puglisi
Allegra ha fatto una serie di studi che dimostrano che il sistema
noradrenergico centrale regola il sistema mesolimbico. La cocaina è il
migliore antidepressivo, alza il tono dell’umore. Tuttavia, gli effetti della
cocaina durano un paio di ore poi c’è il rimbalzo e l’individuo sta peggio di
prima, senza considerare il potenziale di addiction che è enorme, come per
tutti gli psicostimolanti. La cocaina inibisce sia il DAT che il NAT, come
fanno il ritalin nell’ADHD il bupropione nella depressione, solo che la
cocaina lo fa molto di più, avendo una target occupancy molto più alta. Se
diamo la cocaina e dosiamo la dopamina nell’accumbens troviamo livelli di
dopamina extracellulare alti, perché è bloccato il trasportatore sinaptico
della dopamina e i suoi livelli si alzano. Tuttavia, se causiamo una
distruzione selettiva del sistema noradrenergico della corteccia frontale, tipo
153
con una tossina, e poi diamo cocaina, l’aumento di dopamina nel nucleo
accumbens, che è il terminale del sistema mesolimbico, non ci sarà. Il che
significa che la trasmissione noradrenergica controlla il sistema
dopaminergico mesolimbico. Questo è un dato che giustifica il successo
clinico degli SNRI come duloxetina e venlafaxina. Questi farmaci bloccano
il trasportatore della serotonina e il trasportatore della noradrenalina. La
noradrenalina attiva il SNC, quindi se dovessimo avere un pz depresso che
è già attivato di per sé, quindi è una classica depressione agitata o con
componente ansiosa, potenziare la trasmissione noradrenergica potrebbe
essere controproducente. Quindi quando pensiamo alla noradrenalina
ricordiamoci che facciamo riferimento a vie attivanti il SNC, le vie
principali originano dal locus coeruleus, che controllano il mesolimbico.
Vediamo il sistema dopaminergico, la cocaina migliora il quadro
depressivo, visto che incrementa la trasmissione dopaminergica. Nella
malattia di Parkinson, gli agonisti recettoriali D2 migliorano la depressione
associata a malattia di Parkinson. Il sistema dopaminergico più coinvolto
nella depressione è il sistema mesolimbico. Il sistema mesolimbico segnala
la salienza. La depressione è una patologia della segnalazione della salienza
e della sua elaborazione. È anche il sistema che programma il movimento
che ci porta alla ricompensa, è anche il sistema che ci fa allontanare dagli
stimoli stressanti, è il sistema che crea il nesso associativo tra le droghe e gli
elementi spaziali, è il sistema che viene iperattivato da tutte le sostanze
d’abuso. Il sistema mesolimbico è normalmente controllato dall’abenula, in
particolare dall’abenula laterale. Questa si trova nell’epitalamo ed esercita
prevalentemente un controllo inibitorio nei confronti della VTA, area
ventrale del tegmento, dove ci sono i neuroni dopaminergici che formano il
sistema mesolimbico. Questo controllo inibitorio viene esercitato dalle fibre
che dall’abenula raggiungono una regione che è vicina alla VTA, che è la
regione della formazione reticolare del tegmento, qui ci sono degli
interneuroni a GABA. Le fibre dell’abenula sono eccitatorie ed eccitano
l’interneurone e l’interneurone spegne il neurone dopaminergico che si
trova nella VTA. Questo meccanismo è di grande importanza, perché ci
spiega alcuni effetti della ketamina. Se questo meccanismo non opera in
maniera corretta, il sistema mesolimbico si svincola dalla regolazione, ciò
avviene nella aggressività. L’aggressività può essere autodiretta o
154
eterodiretta, e l’abenula in questa manifestazione ha un ruolo ben preciso. Il
sistema dopaminergico è un sistema che funziona poco nella depressione, i
farmaci tradizionali a volte agiscono su questo sistema, è quanto accade nel
caso degli NDRI, che sono farmaci che inibiscono la ricaptazione di
noradrenalina e dopamina, la cocaina è il prototipo di questi farmaci, anche
se essa non è un farmaco. Il farmaco che si usa con questa azione è il
bupropione. In passato c’erano dei farmaci che agivano esclusivamente sulla
ricaptazione della dopamina, questi sono usciti dal commercio per via del
loro elevato potenziale di abuso. Proprio per questo per molti anni sono stati
ricercati dai pz che ne avevano fatto uso.
La depressione è una patologia di network, è stupido attribuire la
depressione ad un sistema o ad un altro, o ad una stazione di questo sistema.
Sono le attività di network che vengono alterate, in particolare i tre sistemi
principali di network, che regolano tutto il funzionamento del nostro sistema
nervoso centrale, che sono il sistema di default mode, il sistema esecutivo
ed il network della salienza.
L’amigdala entra a pieno titolo nella fisiopatologia della depressione.
Guardando i farmaci disponibili per il trattamento della depressione,
vediamo che c’è un nodo comune di azione, che è quella sulla trasmissione
serotoninergica. Anche la psilocina e la psilocibina hanno azione su questa
trasmissione. Dobbiamo cercare di capire che rapporto c’è tra serotonina e
depressione. Possiamo utilizzare dei dati che provengono dalla
sperimentazione animale, è possibile inibire la trasmissione serotoninergica
anche nell’uomo dando dieta povera di triptofano, o iniettando la
paraclorofenilalanina, che è un inibitore della triptofanoidrossilasi, enzima
che trasforma il triptofano in 5-idrossitriptofano, questa è la prima tappa
della sintesi della serotonina. L’animale in questione si trova con una
deplezione marcata della trasmissione serotoninergica nel SNC. Nel
momento in cui si causa questo, sia il fenotipo umano che quello animale
non sono depressi, quello che si altera è soprattutto l’aggressività e la sfera
del controllo degli impulsi sessuali. Dove la serotonina ha un ruolo
importante. Se voi fate questo in un coniglio e mettiamo il coniglio maschio
con un gatto sedato (per evitare che il gatto mangi il coniglio) il coniglio
maschio con deplezione serotoninergica ha un rapporto sessuale col gatto.
155
Quindi il driving sessuale è talmente disregolato che il coniglio ha un
rapporto col suo acerrimo nemico, di cui normalmente ha paura.
Probabilmente avviene lo stesso nell’uomo.
Nell’uomo, se abbiamo un individuo depresso che è trattato
farmacologicamente e che ha tratto miglioramenti dalla terapia, se noi
riduciamo la produzione endogena di serotonina in questo individuo la
depressione ritorna, c’è una ricaduta. È importante sottolineare che la
serotonina ha un ruolo importante nella depressione. Poi c’è il criterio
principe della farmacologia: se un farmaco agisce in una patologia e il
meccanismo di azione del farmaco è serotoninergico significa che la
serotonina ha a che fare con la depressione.
La situazione terapeutica della depressione è un po’ cristallizzata, la ricerca
farmaceutica è cristallizzata su farmaci serotoninergici, questo ha impedito
altri tipi di ricerca, oltre i confini di questi sistemi. Questo è un limite, visto
che comunque c’è un 30% di pz depressi farmacoresistenti.
Vediamo in particolare il sistema serotoninergico.
I neuroni serotoninergici si trovano nei nuclei del rafe. I nuclei del rafe sono
quei nuclei che trovate nel punto di fusione dei due emicervelli durante lo
sviluppo ontogenetico, quello è il rafe. I nuclei del rafe sono distribuiti nel
mesencefalo nel ponte e nel bulbo. Sono una specie di continuo di neuroni
serotoninergici. Nel bulbo c’è il nucleo del rafe più importante nel dolore,
che prende il nome di rafe magnus. Questo manda fibre serotoninergiche
nel midollo spinale. La serotonina esercita un controllo particolare sul
dolore, perché se ci viene dato un pizzicotto il sistema serotoninergico
discendente si attiva e tenta di fermare il dolore, alzando la soglia del dolore.
Tuttavia, se siamo nel contesto di un dolore neuropatico, comunque di un
dolore cronico, le vie discendenti serotoninergiche che dal rafe magnus
arrivano nel midollo spinale diventano iperalgesiche. Questo vi spiega
perché gli SSRI non hanno alcuna collocazione nel trattamento del dolore
neuropatico, cosa che invece hanno gli SNRI, per via della componente
noradrenergica. L’azione iperalgesica della serotonina che sembra
paradossale è una conseguenza di modificazioni epigenetiche del rafe
magnus che si verificano nel dolore cronico è mediata dai recettori 5HT3.
Per questo la vortioxetina – farmaco serotoninergico che ha vari effetti ma
156
tutti serotoninergici - diventa analgesico, perché blocca marcatamente i
recettori 5HT3. A differenza di altri farmaci serotoninergici che invece non
presentano questo effetto. Questa azione della serotonina va sottolineata e
ci permette di capire perché gli SSRI siano inutili nel trattamento del dolore
neuropatico. Anche se a volte si usano nel trattamento della fibromialgia,
che è ad un crocevia tra la reumatologia e la psichiatria.
Il nucleo del rafe che a noi interessa di più non è quello che proietta al
midollo spinale, ma è quello che manda le fibre serotoninergiche al
proencefalo, che è la parte anteriore del SNC rispetto al nucleo del rafe.
Questo nucleo del rafe di cui stiamo parlando si chiama nucleo del rafe
dorsale, che è il grande protagonista della depressione. Il nucleo del rafe
dorsale ha una forma a farfalla e si trova sotto l’acquedotto del Silvio, nel
mesencefalo; le due porzioni laterali di questo nucleo si chiamano wings,
come le ali di una farfalla. All’interno di questo nucleo c’è una stranezza,
che ci consentirà di capire molte cose più avanti. Nelle wings ci sono
interneuroni serotoninergici che fanno sinapsi con i neuroni di proiezione
serotoninergici i quali mandano le loro fibre alla corteccia prefrontale, allo
striato, all’ippocampo, all’ipotalamo, all’amigdala. La serotonina rilasciata
in corteccia attiva i recettori 5HT2a, che si trovano nelle cellule piramidali,
questi sono gli stessi recettori che sono attivati da psilocina e psilocibina ed
LSD, dimetiltriptamina. Questi neuroni di proiezione sono dunque sotto il
controllo di interneuroni serotoninergici. Quindi abbiamo una serotonina
che controlla un’altra serotonina, abbiamo un piccolo neurone che si trova
nelle wings del nucleo del rafe dorsale che controlla i nuclei di proiezione,
che sono i nuclei principali che mandano le loro fibre a distanza. Se questo
neurone serotoninergico delle wings è un neurone inibitorio, quale sarà il
recettore serotoninergico utilizzato per spegnere i neuroni di proiezione?
Deve essere un recettore serotoninergico inibitorio, che si chiama 5HT1a.
Questo è un recettore interessante, perché frena l’ansia, gli agonisti parziali
di questo recettore, come il buspirone, sono farmaci ansiolitici non
benzodiazepinici. Anche il brexpiprazolo agisce molto bene su questi
recettori, quindi insomma è un recettore importante.
Il recettore 5HT1a spegne il neurone di proiezione serotoninergico che si
trova nei nuclei del rafe, così facendo c’è un controllo di serotonina su
157
serotonina, il piccolo interneurone serotoninergico rilascia serotonina, attiva
i recettori 5HT1a che si trovano nel neurone serotoninergico di proiezione,
così il neurone serotoninergico di proiezione si spegne. Il recettore 5HT1a
è accoppiato a proteina Gi.
Regolare il tono serotoninergico non è semplice, visto che non abbiamo un
solo neurone da regolare farmacologicamente, ma ne abbiamo due, di cui
uno inibisce l’altro. È complesso! Consideriamo che tutti i farmaci
antidepressivi che diamo al pz, eccezion fatta per la ketamina e la
psilocibina, sono farmaci che per funzionare hanno bisogno di tre settimane,
anche quattro. Questa latenza di azione non riusciamo a spiegarla.
Evidentemente deve accadere qualcosa in queste 3-4 settimane che poi
rende possibile il funzionamento del farmaco. Da questo punto di vista qui
entra in gioco il SERT, il trasportatore ad alta affinità per la serotonina. È
un trasportatore che si chiama anche SLC6A4, perché è un carrier dei soluti
di tipo 6A4, è localizzato nel terminale nervoso e ricapta la serotonina. Il
SERT è il bersaglio dei TCA, in particolare la clorimipramina blocca il
SERT molto più di quanto non blocchi il NAT, è quasi un antidepressivo
serotoninergico puro. La clorimipramina viene utilizzato con un buon
successo nel trattamento dell’OCD, dove i due farmaci leader sono
l’anafranil (cloripramina) e la fluvoxamina, che è un SSRI. L’altra classe
che agisce bloccando il SERT è quella degli SSRI, cioè fluoxetina,
fluvoxamina, paroxetina, sertralina, citalopram ed escitalopram. Gli SSRI
inibiscono selettivamente il SERT, se si sale con i dosaggi si può reclutare
qualche altro recettore. Per esempio, la paroxetina ha un minimo
meccanismo anticolinergico, la sertralina può bloccare il DAT. Abbiamo
poi gli SNRI, gli inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della
serotonina.
Nel momento in cui il SERT è bloccato, teoricamente, potenziamo subito la
trasmissione serotoninergica e potenziando la trasmissione serotoninergica
ci aspettiamo un effetto antidepressivo molto rapido, invece no, bisogna
aspettare 3-4 settimane.
Queste settimane da cosa dipendono? Nel trattamento della depressione
maggiore ciò che importa è quanta serotonina viene liberata dal neurone di
proiezione verso le strutture corticali, nell’amigdala, nell’ippocampo e così
158
via. Però il neurone di proiezione è sotto il controllo inibitorio di un altro
neurone serotoninergico, che avrà a sua volta il SERT.
Quindi quando si dà un bloccante del SERT, tipo un SSRI, non viene
ricaptata la serotonina nella sinapsi tra l’interneurone inibitorio e il neurone
di proiezione. Il neurone di proiezione a questo punto viene più inibito,
perché la serotonina non viene ripresa dall’interneurone, se il neurone di
proiezione viene inibito non rilascia serotonina, perché non ha attività di
scarica. Il risultato è che il neurone di proiezione non funziona, così,
inizialmente quando si dà il farmaco non ci possiamo aspettare un effetto,
perché questo effetto non può esserci, in quanto il neurone di proiezione è
bloccato. Dunque, perché viene l’effetto dopo 3-4 settimane? Una delle
ipotesi è che questo dipenda dal fatto che i recettori 5HT1a in questo periodo
di tempo si desensibilizzino. È la desensibilizzazione del recettore 5HT1a
che dopo un certo periodo di tempo impedisce all’interneurone inibitorio di
bloccare il neurone di proiezione, a quel punto quest’ultimo è svincolato e
rilascia serotonina e così l’SSRI induce l’azione antidepressiva, non facendo
ricaptare la serotonina.
Ma la desensibilizzazione in genere è un evento più rapido, allora come mai
in questo caso impiega così tanto tempo? In questo caso potrebbe esserci
una elevata riserva recettoriale.
Ricapitoliamo, do un SSRI, l’SSRI blocca il SERT, teoricamente
bloccando il SERT dovrei avere un potenziamento immediato della
trasmissione serotoninergica. In realtà ciò non avviene, perché il SERT si
trova anche sull’interneurone inibitorio. Quando blocco il SERT
sull’interneurone inibitorio la serotonina non viene ricaptata nella sinapsi
inibitoria e attivando il recettore 5HT1a spegni il neurone di proiezione. A
questo punto l’effetto dell’SSRI sui terminali del neurone di proiezione è
nullo, perché non essendoci rilascio di serotonina non può esercitare un
effetto sulla ricaptazione della serotonina. Dopo 3-4 settimane il recettore
5HT1a si desensibilizza. Allora dando l’SSRI il meccanismo inibitorio
all’interno del rafe dorsale non opera più, i neuroni di proiezione rilasciano
serotonina e la serotonina non viene ricaptata dal terminale, a causa
dell’SSRI, a questo punto la serotonina svolge la sua azione antidepressiva.

159
Tuttavia, quando abbiamo studiato la desensibilizzazione in
farmacodinamica, l’abbiamo descritta come un processo in tre fasi, un primo
processo di disaccoppiamento della proteina G, un secondo processo di
internalizzazione del recettore e un terzo processo di downregulation, che
dipende dal fatto che il recettore all’interno è degradato e c’è meno sintesi
del recettore da parte del nucleo della cellula. Questi tre processi, per quanto
lenti, possono esaurirsi nel giro di tre giorni: il disaccoppiamento è
rapidissimo. Quindi perché c’è questa latenza di azione di quattro settimane
con questi farmaci? Probabilmente questo dipende dal fatto che nei neuroni
di proiezione del rafe un’elevata riserva recettoriale di 5HT1a.
Avere un’elevata riserva recettoriale significa che si desensibilizzano i
recettori che in quel momento sono attivati, ma gli altri di riserva si
metteranno a disposizione. Quando quelli di riserva si desensibilizzano gli
altri si risensibilizzano e ritornano in superficie. Chi fa l’ago della bilancia
sono i meccanismi di degradazione recettoriale. Man mano che un recettore
va all’interno può essere degradato o riciclato. Man mano che il recettore si
degrada, evidentemente, la sintesi cellulare non compensa i recettori
degradati. Così, misteriosamente, dopo quattro settimane emerge la risposta
agli SSRI. Queste 4 settimane latenza di azione sono una costante di tutti i
trattamenti antidepressivi, eccezion fatta per ketamina e psilocina.
Qualcuno potrebbe chiedersi, potremmo iperattivare inizialmente i recettori
5HT1a e farli desensibilizzare più velocemente? Oppure, potremmo
utilizzare un bloccante dei recettori 5HT1a, mettendolo fuori uso, così che
l’azione antidepressiva del farmaco può esplicarsi.
La vortioxetina è un agonista pieno dei recettori 5HT1a, questo potrebbe
significare che la vortioxetina, oltre a bloccare il SERT, attiva il recettore
5HT1a, così facendo lo fa desensibilizzare prima, in modo da innescare la
risposta antidepressiva in tempi più rapidi. In effetti ciò si verifica nella
sperimentazione sugli animali, ma non è dimostrato clinicamente
nell’uomo. C’è da dire che il recettore 5HT1a, nel caso della vortioxetina, è
un bersaglio a bassa affinità, quindi serve un dosaggio elevato per avere
effetto su questo recettore.
L’altra strategia è quella di bloccare il recettore 5HT1a utilizzando come
antagonista il pindololo, che è un -bloccante. La clinica della depressione
160
ci insegna che i -bloccanti sono depressogeni. Quando prendete un -
bloccante, come il propranololo o il pindololo, voi avete un effetto
depressogeno che per esempio controindica i -bloccanti nel pz anziano.
È stata proposta la associazione SSRI + pindololo, il pindololo è sia un -
bloccante che un antagonista del recettore 5HT1a.
Questo effetto depressogeno riguarda i -bloccanti che entrano nel SNC,
come il propranololo ed il pindololo. Altri -bloccanti hanno difficoltà ad
attraversare la barriera ematoencefalica e sono più periferici, quindi l’azione
depressogena si vede un po’ di meno col bisoprololo o altri.
Quindi sono stati fatti studi sugli animali e studi clinici, ed in questi ultimi
si è vista una certa riduzione della latenza clinica di efficacia degli SSRI
(non una riduzione straordinaria, ad esempio anziché dopo 3 settimane
iniziava a lavorare dopo una settimana e mezzo o due). Tuttavia, questo non
si è poi tradotto in una strategia clinica ben precisa, perché il pindololo non
si usa in associazione con gli SSRI, probabilmente perché era sottodosato.
Bisognava sottodosarlo gioco-forza, perché se il pindololo iniziava a
bloccare i recettori , induceva depressione di per sé. Perché non usare ad
esempio il composto WAY100635, che è invece un antagonista puro dei
recettori 5HT1A e che non ha effetto sui recettori ? Perché questo non
funzionava; per qualche misterioso motivo il pindololo selezionava quei
recettori responsabili dell’inibizione dei neuroni di proiezione, mentre
invece il WAY blocca tutti i recettori 5HT1A e quindi confondeva la
risposta e non si vedeva niente. Quindi questo tipo di boosting
farmacodinamico proposto, tra SSRI e pindololo, purtroppo non è
realizzabile in clinica perché il pindololo a dosaggi più elevati diventa
depressogeno, bloccando i recettori -adrenergici.

Alcuni psichiatri ritengono che gli SSRI siano più efficaci nei confronti
dell’ansia generalizzata piuttosto che della depressione. In effetti gli SSRI
hanno un’azione più rapida come ansiolitici, rispetto all’azione
antidepressiva. Non è comunque un’azione rapidissima.

161
In questo discorso si colloca il trasportatore della serotonina a livello
genetico, in particolare i polimorfismi del gene del trasportatore. Il
polimorfismo più interessante è il 5HTTLPR, legato alla regione del
promotore del trasportatore della serotonina. Nel promotore c’è il VNTR
(variable number of tandem repeats), ovvero delle ripetizioni imperfette di
basi in tandem variabili. Ci sono 20-24 bp ripetute nel promotore e in base
al numero di ripetizioni, possiamo avere 4 alleli diversi: 2 più frequenti e 2
meno frequenti. Quelli meno frequenti sono:
- XS: ultrashort. 11-13 ripetizioni. Molto raro
- S: short. 14 ripetizioni
- L: long. 16 ripetizioni
- XL: ultralong. 17-24 ripetizioni. Molto raro
XS e XL sono estremamente rari.
S ed L sono quelli più frequentemente riscontrati nella popolazione.
Come si distribuiscono e cosa fanno?
SS: short in entrambi gli alleli. Il SERT è ipoespresso.
Distribuzione S: 42% dei caucasici, 79% degli asiatici.
LL: il SERT è iperespresso.
Distribuzione L: maggiormente nei caucasici rispetto agli asiatici.
LL: 29-43% dei caucasici, 1-13% degli asiatici.
Quindi:
16 ripetizioni= L→ iperepressione del SERT
14 ripetizioni= S→ ipoespressione del SERT
Purtroppo si inserisce uno SNP in una regione che viene immediatamente
dopo. Lo SNP si chiama rs25531, in cui la L può essere LA o LG, a seconda
che ci sia un’adenina o una guanina.
LG: non permette al SERT di esprimere→ ipoespresso
LA: iperespresso
C’è maggiore inclinazione a sviluppare la depressione, o in alternativa
disturbo post-traumatico da stress, nei soggetti con iperespressione del
162
SERT (pazienti LA/LA) o nei soggetti con ipoespressione del SERT
(pazienti SS o LG/LG)?
Ipoespressione del SERT significa che la serotonina non viene ricaptata,
attiva i recettori 5HT1A ed il neurone di proiezione è bloccato. Quindi S o
LG= ipoespressione = predisposizione alla depressione. Questi soggetti
con S o LG ovviamente rispondono meno agli SSRI, perché ipoesprimono
il SERT e di conseguenza l’SSRI non trova il suo substrato per poter agire.
La serotonina rilasciata dall’interneurone serotoninergico non viene
ricaptata, in quanto il SERT è ipoespresso, e quindi la serotonina attiva il
5HT1A andando a bloccare il neurone di proiezione. Questo è il grande
paradosso della trasmissione serotoninergica, che deriva dal fatto che
nonostante gli SSRI blocchino il SERT, in realtà è l’ipoespressione del
SERT che determina predisposizione alla depressione.
Paradosso del sistema serotoninergico: quei soggetti che hanno la S o LG
(10-25% dell’L) sono maggiormente inclini a sviluppare depressione o
disturbo post-traumatico da stress, ma rispondono anche meno agli SSRI
non perché c’è un problema di desensibilizzazione, ma semplicemente
perché il SERT che si trova nel terminale del neurone di proiezione, non
funziona, essendo ipoespresso. Quindi gli SSRI non trovano il loro
substrato.
L’anatomia dei nuclei del rafe ci dà una spiegazione a questi fenomeni.
Inizialmente gli studiosi della depressione pensavano che la latenza clinica
della depressione dipendesse dalla capacità degli antidepressivi di down-
regolare i recettori -adrenergici, come si vedeva negli animali da
esperimento. Facendo quindi un trattamento con antidepressivi triciclici o
inibitori delle MAO, trattamento con elettro-shock nel roditore, nel cervello
si vedeva sempre una down-regolazione dei recettori 1. Ovviamente questo
non può essere il meccanismo, anche se ciò si verifica, in quanto i -
bloccanti sono depressogeni. Quindi la latenza degli antidepressivi non
poteva mai dipendere dal fatto che i recettori -adrenergici si down-
regolavano. La down-regolazione dei recettori  si misurava come indice
della plasticità indotta dagli antidepressivi. Questo però è falso, perché i -
bloccanti sono depressogeni quindi non si può pensare che la latenza degli
163
antidepressivi sia legata alla down-regolazione dei recettori . Secondo
alcuni, questa latenza è spiegata dal fatto che aumentano i livelli di BDNF,
quindi con un meccanismo che richiede aumento della sintesi di proteine, di
fattori della trascrizione (come p-CREB) oppure con un meccanismo che
aumenta la neurogenesi nel giro dentato dell’ippocampo. Questi due
meccanismi particolarmente gettonati, chiamati in causa insieme alla
desensibilizzazione dei recettori 5HT1A, possono spiegare le 3-4 settimane
di latenza.
Il BDNF è un fattore trofico che fa sopravvivere le cellule nervose ed è
anche molto importante per i meccanismi di plasticità, in quanto attiva il
recettore TrkB→ viene attivato mTORC1→ trasformazione dell’mRNA in
proteine, addirittura nei dendriti dei neuroni→ promozione di meccanismi
di plasticità di lunga durata, che si traducono poi nell’effetto antidepressivo.
Il BDNF ha più significato di tipo cognitivo piuttosto che legato al tono
dell’umore, però questa è un’ipotesi abbastanza attuale in quanto il BDNF
viene spesso misurato come parametro plasmatico di risposta agli
antidepressivi. Ricordiamoci però che se abbiamo un ratto che presenta
sintomi di depressione, iniettando il BDNF nell’ippocampo i sintomi
migliorano, ma iniettandolo nell’accumbens peggiorano. Quindi il BDNF
non ha un’azione uniforme sul tono dell’umore nel SNC. Nel midollo
spinale il BDNF ha un’azione iperalgesica: riduce la soglia del dolore.
Molti farmaci antidepressivi aumentano la neurogenesi, in particolare
l’aumento della neurogenesi nel giro dentato dell’ippocampo è un evento
che si sposa con l’effetto antidepressivo. Tuttavia, sono stati fatti degli studi
nell’animale in cui la neurogenesi nel giro dentato dell’ippocampo è stata
bloccata da una sorta di intervento radiante: il cervello è stato irradiato, per
cui le cellule staminali radiali che si trovano nel giro dentato dell’ippocampo
non sono state più in grado di proliferare. Quando questi animali sono stati
trattati con un SSRI, alcuni effetti degli SSRI sono andati via in mancanza
della neurogenesi, ma molti altri effetti sono rimasti, quindi sicuramente
alcuni effetti degli antidepressivi sono indipendenti dalla neurogenesi.
A cosa serve la neurogenesi nel giro dentato? E perché solo lì?
Nel giro dentato non ci sono cellule piramidali, ma le cellule dei granuli. I
granuli mandano le fibre (che formano le fibre muscoidi) nella regione CA3
164
dell’ippocampo, che è la regione inferiore del corno d’Ammone. Le fibre
muscoidi, di connessione tra il giro dentato dell’ippocampo e la regione
CA3, sono fibre eccitatorie. Per qualche motivo i neuroni del giro dentato
dell’ippocampo sono coinvolti in diverse forme di memoria. Ad esempio,
questa neurogenesi crea nuovi neuroni in piccola quantità ma sono
immensamente plastici. Questi servono a fare il ricambio dei neuroni del
giro dentato e permettono di memorizzare, ad esempio, due eventi che sono
stati acquisiti due giorni diversi della settimana. Il giro dentato è stato
chiamato in causa anche nei meccanismi di pattern completion e pattern
separation. La pattern completion è la capacità, quando arriva
un’informazione della memoria, di ricostruire tutto l’engramma della
memoria. Per esempio: vedo una rosa camminando e mi ricorda un
appuntamento galante che ho avuto, perché dalla rosa ricostruisco tutta la
memoria dell’appuntamento. Pattern separation invece significa che
arrivano due cose simili dall’ambiente esterno, ma vengono allocate in due
engrammi diversi di memoria. Quando questo non succede c’è
un’overglobalizzazione della memoria, determinando ansia. Nei modelli
animali di depressione spesso questo si verifica.
Quindi il giro dentato può avere un ruolo, ma è eccessivo spiegare tutta la
latenza degli antidepressivi con il tempo richiesto per una neurogenesi
amplificata nel giro dentato dell’ippocampo. Tuttavia, un’esposizione
prolungata allo stress riduce la neurogenesi ed i livelli di BDNF.
La neurogenesi serve a rendere circostritti determinati meccanismi di
memoria, il che è importante per evitare l’ansia che deriva da
un’overglobalizzazione della memoria. Questo potrebbe quindi essere un
meccanismo per lo meno di controllo della componente ansiosa.
L’ippocampo è connesso anche con il sistema mesolimbico, ci sono circuiti
particolari, quindi occorre esaminare l’attività in termini di attività di
network.
Diamo un piccolo sguardo al futuro, guardando i neuroni eccitatori ed i
neuroni inibitori. Premessa: la depressione è anche una patologia
degenerativa. Quello che vediamo nella depressione, costantemente, è un
ridotto volume dell’ippocampo e della corteccia prefrontale (parlare di
ridotto volume non è sempre corretto, ma diciamo che ci sono segni di
165
degenerazione ippocampale e della corteccia prefrontale), dove l’attività
sinaptica viene compromessa e così via. Il discorso di base è il seguente:
analizziamo le attività di network, nelle quali risiede il segreto della
fisiopatologia della depressione. L’attività di network non è l’attività del
singolo neurone o del singolo nucleo, bensì l’attività di un circuito collegato
per una precisa funzione. Noi abbiamo un network esecutivo, cioè formato
ad esempio dalla corteccia prefrontale dorsolaterale, dalla corteccia
parietale, ed è un’attività di network rivolta verso l’esterno. Per esempio, è
il network fondamentale per la working memory, per le funzioni esecutive.
Quando ci rapportiamo con il mondo esterno, questo network deve avere la
priorità assoluta, cioè deve monopolizzare le risorse energetiche del SNC.
L’altro network si chiama default mode, in cui sono coinvolti: la regione
ventromediale e dorsomediale della corteccia prefrontale (mentre nel
network esecutivo era coinvolta soprattutto la porzione dorsolaterale), la
parte posteriore del giro del cingolo (funzione cognitiva), precuneo, giro
angolare ed altre stazioni. Questo network di default si attiva quando si
guarda all’interno di noi stessi, quando la mente è rivolta verso lo stato
interno, cioè quando c’è il fenomeno del mind-wandering e prevale
l’introspezione. Questo è il network predominante nello stato di veglia a
riposo, quando ci sono prevalentemente le onde alfa nell’ EEG, quando si
chiudono gli occhi da svegli e si entra in uno stato sognante, distaccato dal
mondo esterno (il mondo esterno attiva il network esecutivo, dove la
corteccia prefrontale dorsolaterale e la corteccia parietale diventano più
importanti).
Il terzo network è detto network della salienza, che coinvolge la parte
anteriore dell’insula, la parte anteriore del giro del cingolo ecc. Questo
network della salienza non va confuso con il sistema mesolimbico: il sistema
mesolimbico segnala la salienza, che poi viene elaborata da corteccia,
amigdala e così via. Entra in gioco anche l’insula, che è una regione molto
emozionale che si trova all’interno della scissura di Silvio.
Domanda: il default mode è responsabile anche delle assenze epilettiche? Non proprio. Le assenze epilettiche
dipendono da una scarica oscillatoria patologica di circa 3-4Hz del network cortico-talamo-corticale. Il
network di default è quello che prevale nella sindrome da astinenza nell’uso di sostanze, ad esempio nella
sindrome da astinenza da nicotina.

166
Nella depressione il network della salienza è ipoattivo, perché la depressione
non ha una situazione di salienza. Poi c’è un interessante gioco a due tra il
network esecutivo ed il network di default. Esempio: se dovessi
relazionarmi con l’ambiente esterno, le risorse energetiche dovrebbero
andare verso il network esecutivo ed il network di default si spegne perché
non ha una funzione particolare in quel momento. Se in questo momento sto
parlando con voi, non posso chiudere gli occhi e mettermi in stato sognante.
Se il network di default fosse attivo in questo momento, toglierebbe energia
al network esecutivo, il quale sarebbe costretto a chiedere risorse
energetiche maggiori e si mette maggiormente in attività per avere il
sopravvento sul network di default. Però questo crea eccitotossicità, cioè
danneggia le cellule che si trovano nelle stazioni principali del network
esecutivo, per esempio nella corteccia prefrontale dorsolaterale. Questa ad
un certo punto viene esaurita dal fatto che il network di default, invece di
spegnersi, diventa predominante (cosa che avviene nel soggetto depresso).
Quando poi il network esecutivo non riesce più ad essere operativo, avremo
una percentuale di pazienti con disfunzione cognitiva. Perché quindi nasce
la disfunzione cognitiva? Perché il network esecutivo, che ha come base la
corteccia prefrontale dorsolaterale, che assembla le percezioni ed innesca le
funzioni esecutive e responsabile della working memory, non ha la
possibilità di fruire di tutte le risorse energetiche che in un soggetto
energetico normale le vengono assegnate, in quanto il network di default
predomina anche in quei momenti. È come se il paziente depresso,
dovendosi relazionare con l’ambiente esterno, desse comunque priorità alla
propria introspezione. In questo modo il network di default prende energia,
quello esecutivo si ritrova senza risorse. Questi soggetti con disfunzione
cognitiva (cioè aspetti freddi della funzione cognitiva: working memory,
velocità di processamento del pensiero, funzioni esecutive ecc.), nel
momento in cui compiono un task che coinvolge la corteccia prefrontale
dorsolaterale, come il task della torre di Londra (barre verticali in cui il
paziente deve inserire le palle al posto giusto) che normalmente richiede
l’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale, quest’ultima si attiva di
meno perché è andata in usura in quanto costretta ad un’iperattività per
vincere quello che la controparte (il default mode) non le ha permesso di
fare.
167
Nell’autismo l’esecutivo è disfunzionale ovviamente.
Ripete: immaginiamo di relazionarci con l’ambiente esterno. Il network di
neuroni che si trova in diverse regioni cerebrali si attiva e l’epicentro di
questa attivazione è la corteccia prefrontale dorsolaterale, dove vengono
assemblate le percezioni ed innescate le funzioni esecutive. Quando questo
succede, il network esecutivo assorbe tutte le risorse energetiche disponibili,
di conseguenza il network di default viene silenziato perché in quel
momento non c’è introspezione. I pazienti depressi hanno un tale
predominio del network di default, che quest’ultimo sottrae risorse
energetiche al network esecutivo, che tenta di prendere il sopravvento sul
network di default cercando di aumentare il più possibile la sua attività. Se
le risorse energetiche non sono sufficienti, si va in una situazione di
eccitotossicità. Quando questo succede, il network esecutivo è esaurito, così
come lo sono le cellule  del pancreas quando c’è un meccanismo di
insulino-resistenza (il paziente con diabete di tipo II piano piano richiede
insulina oltre ai farmaci antidiabetici che normalmente prende). I pazienti
che sviluppano disfunzione cognitiva che sono depressi, hanno questa
corteccia prefrontale dorsolaterale che non si attiva più (o si attiva di meno)
quando c’è un task cognitivo che la coinvolge. Questo è stato visto
chiaramente con l’imaging funzionale. La vortioxetina entra in gioco
proprio qui, in quanto permette un’attivazione intelligente della corteccia
prefrontale dorsolaterale, che in questo momento non si attiva bene. C’è un
lavoro su Molecular Psychiatry, molto difficile da interpretare, che dimostra
come la vortioxetina sia anche in grado di riequilibrare le risorse tra il
network esecutivo e il network di default, e quindi permette al network
esecutivo di funzionare meglio. Questo probabilmente è alla base del
fatto che la vortioxetina è in assoluto il miglior farmaco antidepressivo
nel migliorare la disfunzione cognitiva.
Occorre quindi guardare la depressione come patologia delle attività di
network, e non brutalmente come la patologia del nucleo dorsale del rafe,
del BDNF o la patologia del giro dentato. Sono le attività di network ed il
loro equilibrio nel SNC che subiscono un’alterazione.
Lo stesso succede nella sindrome da astinenza da eroina, cocaina, nicotina,
alcol, in cui straprevale il network di default e le funzioni esecutive non
168
esistono più, se non in funzione del network di default, cioè
dell’introspezione. Da qui il bisogno disperato di fumare sigarette o sniffare
cocaina per riequilibrare nuovamente le cose. Questo crea il cuore delle
tossicodipendenze e del disordine da uso delle sostanze.
Vediamo cosa succede nella corteccia.
Nella schizofrenia sappiamo che c’è una disfunzione degli interneuroni,
tanto che la schizofrenia l’abbiamo definita come un’interneuronopatia. La
depressione è anch’essa un’interneuronopatia. Una delle più recenti
review pubblicate su Neuro, riconduce la fisiopatologia della depressione ad
un disturbo della trasmissione GABAergica a livello corticale, e
possibilmente anche a livello ippocampale. Questo dovrebbe essere un
aspetto davvero nuovo, che non si attribuisce solo ai pazienti con
depressione maggiore che hanno disfunzione cognitiva, ma a pazienti in
generale con depressione maggiore.
Riassumiamo tutte le nostre conoscenze attuali sugli interneuroni della
corteccia. Gli interneuroni nella corteccia sono circa il 15% (dipende poi da
corteccia a corteccia), mentre le cellule piramidali sono circa l’85%. Può
suonare un po’ strano perché l’interneurone è la caratteristica
dell’evoluzione dell’uomo pensante, però predominano sempre le cellule
piramidali, tra le quali alcune proiettano a strutture sottocorticali, altre fanno
contatti tra di loro, altre ancora attraverso il corpo calloso vanno da una
corteccia ad un’altra. Vediamo bene gli interneuroni.
Gli interneuroni si possono dividere in:
- Interneuroni che derivano dall’ MGE (regione mediale delle eminenze
ganglionari)
- Interneuroni che derivano dalle CGE (regioni caudali delle eminenze
ganglionari)
Migrano tangenzialmente, poi verticalmente, ed hanno delle caratteristiche
completamente diverse.
- Neuroni MGE: sono interneuroni GABAergici. Si dividono in due
grandi categorie:
1. Parvalbumina positivi (PV+)
2. Somatostatina positivi (SSt+)
169
Insieme sono circa il 70% degli interneuroni.

- Neuroni CGE: hanno una caratteristica peculiare, cioè l’espressione


dei recettori 5-HT3. Questi recettori erano impropriamente localizzati
nelle cellule di Martinotti (cellule somatostatina positive), si trovano
invece nelle porzioni caudali delle eminenze ganglionari, che sono né
cellule parvalbumina positive, né somatostatina positive, ma sono
cellule con caratteristiche diverse. Può tuttavia accadere che una
minoranza di cellule che derivano dalla porzione caudale possano
esprimere la somatostatina. Quindi la vera differenza tra le cellule che
derivano dalla porzione mediale dell’eminenza ganglionare e quelle
che derivano dalla porzione caudale, è l’espressione dei recettori 5-
HT3, che si trovano esclusivamente nelle cellule che derivano dalla
porzione caudale.

Cellule MGE
1. Cellule MGE parvalbumina positive (PV+):
sono le cellule disfunzionali nella schizofrenia, che generano le
oscillazioni di network nella banda gamma e che sono responsabili
della disfunzione cognitiva nei soggetti schizofrenici.
Queste cellule sono:
➢ cellule basket: formano una sorta di canestro intorno alle cellule
piramidali. Si trovano negli strati corticali (layers) da L2 a L6 e
possono anche formare canestri intorno ad altre cellule PV+.
Caratteristica principale: sono cellule fast spiking, cioè cellule che
hanno un’attività di scarica molto elevata (300 microsecondi) ed
hanno una fase di adattamento dei potenziali.
Tutte le cellule parvalbumina positive sono ricchissime di recettori
NMDA, bloccati dal Mg (che entra nel canale chiudendolo).
Normalmente il Mg va via dal canale, nel paradigma
dell’apprendimento associativo, nel momento in cui c’è una
depolarizzazione, cioè quando arriva lo stimolo di rinforzo o lo
stimolo non condizionato. Queste però sono cellule fast spiking,
cioè con ritmo di scarica molto elevato, quindi il Mg va via. Di
conseguenza nelle cellule PV+, i recettori NMDA sono
costitutivamente attivi. Questo è estremamente importante, perché
170
la ketamina (bloccante lento dei recettori NMDA), agisce
prevalentemente qui. Soprattutto le cellule basket hanno bisogno
assoluto del recettore NMDA per essere attive, perché quest’ultimo
non ha il vincolo del Mg, essendo costitutivamente attivo grazie alla
frequenza di scarica elevata. Quando inattiviamo il recettore
NMDA con la ketamina o con la fenciclidina (polvere d’angelo), è
ovvio che compromettiamo primariamente la funzione degli
interneuroni PV+. Queste cellule possono avere, oltre alla
parvalbumina, anche la calbindina, cioè una proteina che, come la
parvalbumina, lega il calcio. Hanno però bisogno dei tamponi del
calcio all’interno, perché avendo un ritmo di scarica così frequente,
se il calcio non fosse tamponato da proteine intracellulari, si
creerebbero le premesse per l’eccitotossicità. Invece queste cellule
devono rimanere in vita. Attenzione: queste cellule basket formano
il canestro intorno alle cellule piramidali in prossimità dell’apertura
dei periodi critici delle finestre temporali nello sviluppo della
corteccia cerebrale. Cioè esiste un momento, nello sviluppo della
corteccia, in cui avviene l’apprendimento dagli stimoli che
provengono dall’esterno, in cui si formano le cellule basket. Nel
momento in cui queste finestre critiche di apprendimento si
chiudono, i neuroni PV+ vengono contornati dai polineuronal nets,
cioè formazioni della matrice extracellulare che tengono le cellule
a riparo da stimoli trofici (come se dicessero alle cellule: avete
appreso ciò che dovevate, ora avete finito).
➢ Cellule a candelabro: sono coinvolte enormemente nella
schizofrenia. Si trovano nel secondo strato della corteccia, ma
anche nello strato 5/6. Fanno contatto esclusivamente con le cellule
piramidali e con il segmento iniziale dell’assone, cioè hanno il
compito di sincronizzare l’attività iniziale delle cellule piramidali.
Le cellule basket PV+ e le cellule a candelabro sono le cellule
disfunzionali nella schizofrenia in modo predominante. Il
soggetto schizofrenico ha l’assemblaggio delle percezioni alterato,
le funzioni esecutive alterate, perché le cellule PV+ e le cellule a
candelabro non funzionano. Le cellule PV+ NON ESPRIMONO I
RECETTORI CB1 cannabinoidi, o almeno lo fanno solo in una fase

171
abbastanza precoce dello sviluppo, poi nelle cellule adulte i
recettori cannabinoidi non si vedono più.
➢ Cellule multipolar bursting: di minore importanza, nello strato 2/3
della corteccia. Sono cellule multipolari dal punto di vista
anatomico ed hanno una scarica abbastanza frequente. Il loro
significato è principalmente oscuro, ma fanno sinapsi in particolare
con il primo segmento dei dendriti piramidali.
Queste sono le tre popolazioni principali di cellule PV+.

Queste cellule sono coinvolte nella depressione? Prendendo ad


esempio un ratto o un topo che è stato esposto a stress cronico ed
ha sviluppato un fenotipo depressivo, dimostra alterazioni
funzionali delle cellule PV+? Di base no. C’è qualche piccola
evidenza che lo stress ha portato delle modificazioni alle cellule
PV+, ma nella stragrande maggioranza dei casi, inclusa autopsia da
pazienti affetti da depressione maggiore, le cellule PV+ sono
relativamente intatte, a differenza di quanto accade nella
schizofrenia, dove queste cellule sono chiaramente disfunzionali.
Quindi nella schizofrenia c’è un’ovvia alterazione delle attività di
network di tipo gamma, dovute al fatto che le cellule PV+ non
funzionano bene, ma questo non avviene nella depressione
maggiore. Se noi consideriamo depressione maggiore e
schizofrenia entrambe come interneuronopatie, già abbiamo una
differenza importante. Una categoria di interneuroni, che è la più
importante in quanto presente nel 40% della popolazione di
interneuroni, è compromessa nella schizofrenia ma, salvo qualche
piccola evidenza, è meno compromessa nella depressione
maggiore.

2. Cellule MGE somatostatina positive (SSt+):


sembrano essere disfunzionali nella depressione. Sono cellule con
alterazioni anatomiche, che nei modelli animali rispondono di meno e
con un effetto gender. Per esempio, le alterazioni del gene che codifica
per la somatostatina si vede maggiormente negli animali e nei soggetti
di sesso femminile. Lo stress, nell’animale da esperimento,
compromette principalmente la funzione delle cellule SSt+, e questo
172
accade principalmente negli animali di sesso femminile. Abbiamo le
due grandi patologie psichiatriche (schizofrenia e depressione),
entrambe interneuronopatie secondo una veduta moderna, ma con una
sostanziale differenza: la schizofrenia è una patologia degli
interneuroni PV+, mentre la depressione è una patologia degli
interneuroni SSt+.
Gli interneuroni SSt+ si dividono in:
➢ Cellule di Martinotti: le troviamo negli strati 2/3, 5/6 della
corteccia cerebrale. Hanno degli assoni che vanno verso l’alto e
fanno sinapsi con le parti più alte dei dendriti delle cellule
piramidali. Possono fare anche sinapsi con le cellule PV+, VIP+,
ma MAI con le stesse cellule SSt+. Differenza tra cellule PV+ e
cellule di Martinotti: le cellule PV+ fanno il canestro intorno alle
cellule piramidali ma possono farlo anche intorno ad altre cellule
PV+; le cellule di Martinotti invece innervano i dendriti delle
cellule piramidali, possono anche innervare altri interneuroni ma
mai sé stessi. Possono avere tanti marcatori: calretinina (proteina
che lega il calcio); calbindina; NPY (neuropeptide che troviamo
nell’intestino e nel sistema nervoso centrale); canale del potassio
Kv2.3; esprimono la dinorfina (endocoide dell’oppio che lega
prevalentemente i recettori kappa); esprimono recettori per
l’ossitocina (sostanza estremamente promettente per i disordini
dello spettro autistico, in quanto può migliorare la socializzazione,
e anche per la depressione dove può aumentare l’empatia)
➢ Cellule non Martinotti: le troviamo negli strati 4 e 5. Quelle in L4
fanno più sinapsi con le cellule PV+ che con le cellule piramidali.
La cosa innovativa da ricordare è la seguente: consideriamo la
schizofrenia e la depressione come interneuronopatie, ma facciamo
una distinzione: la schizofrenia è un’interneuronopatia di neuroni
PV+; la depressione è un’interneuronopatia di neuroni SSt+.
Nessuna di queste cellule ha i recettori 5-HT3, per il semplice
motivo che queste cellule derivano dalla regione mediale delle
eminenze ganglionari e, per qualche ragione, non esprimono questo
recettore della serotonina.

173
Cellule CGE
Derivano dalla regione caudale delle eminenze ganglionari ed esprimono il
recettore 5-HT3, che è un marcatore assoluto di questa popolazione di
cellule. La vortioxetina è un potente bloccante dei recettori 5-HT3, quindi
non interferisce con l’attività degli interneuroni PV+, che sono quelli della
schizofrenia ma in un soggetto normale fanno le oscillazioni di network, ma
non limita neanche l’attività delle cellule di Martinotti, che sono già
disfunzionali di per sé nella depressione maggiore. La vortioxetina, infatti,
inibisce potentemente l’attività di questa popolazione di interneuroni, cioè
quelli che derivano dalla porzione caudale dell’eminenza ganglionare e che,
nonostante siano una minoranza (20-25%), hanno la loro funzione
importante. Tra questi neuroni troviamo:
➢ Cellule VIP+: esprimono il peptide intestinale vasoattivo. Sono negli
strati corticali dal 2 al 6, rare in L1. Sono interneuroni che fanno
sinapsi con altri interneuroni, in particolare con quelli SSt+. Se
blocchiamo queste cellule VIP+, attiviamo automaticamente (o
disinibiamo) gli interneuroni SSt+, che sono quelli disfunzionali nella
depressione maggiore. Quindi troviamo una possibile azione
correttiva, che potrebbe avere la sua espressione fenotipica
nell’aumentata attività del network esecutivo e quindi di un sistema
difettivo nella depressione maggiore. Queste cellule possono avere
un’organizzazione anatomica eterogenea (bipolari, tripolari...).
➢ Cellule VIP+ multipolari: si trovano in L1 ed in L2.

Altre cellule che derivano dalle eminenze ganglionari, che esprimono i


recettori 5-HT3 e che possono essere critiche nel meccanismo d’azione della
vortioxetina:
➢ Cellule neurogliaformi: Queste hanno una struttura simile ad un
astrocita, che ricorda una stella. Hanno il pirenoforo al centro e dei
prolungamenti piuttosto brevi che si irradiano un po’ ovunque. Queste
cellule si trovano da L1 a L6 ma sono predominanti in L1, dove
controllano l’attività delle cellule piramidali. Lo stesso controllo sulle
cellule piramidali è effettuato anche in L5, dove le cellule inducono
dei potenziali GABAergici lenti, sia di tipo GABA-A che GABA-B
(sono attivati entrambi i recettori al GABA: ionotropici e
174
metabotropici). Queste cellule neurogliaformi hanno delle
caratteristiche neurochimiche: alcune esprimono l’NPY, ma la
maggior parte esprime la reelina (proteina normalmente espressa
durante lo sviluppo dalle cellule di Cajal-Retzius, fondamentale per la
migrazione dei neuroni, e continua ad essere espressa dalle celllule
neurogliaformi). Hanno anche un marcatore che è nNos, cioè la sintasi
dell’NO neuronale.

➢ Cellule CCK+ (colecistochinina+): sono cellule basket. Per esempio,


esprimono tanto i recettori per i cannabinoidi CB1. Si trovano in
diversi strati, da L2 a L6 e fanno sinapsi con le cellule piramidali e con
diversi interneuroni.

Ricapitolando:
Cellule MGE:
➢ Cellule PV+: legate alla schizofrenia. Oscillazioni di network.
Disfunzionali nella schizofrenia.
➢ Cellule SSt+: legate alla depressione, disfunzionali. Sono modificate
nelle prove di stress negli animali; valutando modelli di depressione
nell’uomo, potremmo avere polimorfismi nel gene che codifica la
somatostatina (sesso-dipendenti: si verificano solo nel sesso
femminile).
Cellule CGE (hanno il recettore 5-HT3):
➢ Cellule VIP+: fanno sinapsi con le cellule SSt+
➢ Cellule neurogliaformi: controllano le cellule piramidali.
Probabilmente è qui che la vortioxetina, bloccando i recettori 5-HT3,
disinibisce le cellule piramidali che entrano in funzione, senza toccare
in maniera diretta le cellule PV+ e le SSt+. Al massimo tenderebbe ad
attivare le cellule SSt+, quindi il network esecutivo si potrebbe
resettare perché il rapporto interneuroni inibitori/eccitatori tende a
correggersi.
➢ Cellule CCK+: cellule basket che esprimono tanto recettore CB1.
Probabilmente è qui che gli endocannabinoidi hanno il ruolo più
importante, cioè quello di indurre l’inibizione sinaptica dipendente

175
dalla depolarizzazione ed è poi qui che il THC assunto dall’esterno
esercita la sua principale azione.

Inattivando le VIP, le cellule di Martinotti sono meno inibite e quindi, anche


se sono disfunzionali, acquistano inattività. Le cellule neurogliaformi sono
poi un altro possibile bersaglio perché esprimono tanto recettore 5-HT3.

Nona lezione di farmacologia della psichiatria, 1/06/20

Alternative alla terapia antidepressiva tradizionale

Riepilogo fisiopatologia depressione

Parlando di depressione si è passati da una visione monoamminocentrica


(basata esclusivamente su serotonina, dopamina, noradrenalina) ad una
visione più integrata. In realtà le monoammine, di per sé, non fanno nulla:
modulano il gioco tra trasmissione eccitatoria e trasmissione inibitoria,
quindi è ovvio che nel glutammato e nel GABA ci sia il vero cuore della
depressione. Il problema è che se diamo farmaci che agiscono sui recettori
del glutammato o sui recettori del GABA (ad eccezione delle
benzodiazepine) l'impatto è abbastanza traumatico. Invece le monoammine
modulano: per questo la farmacologia si è sviluppata in quella direzione.
Abbiamo però alcune eccezioni: Ketamina e Neurosteroidi.
Rispettivamente, la Ketamina agisce bloccando i recettori NMDA del
glutammato, mentre i Neurosteroidi fanno sì che il canale del Cl - associato
al recettore GABA A rimanga aperto per più tempo.

Nella corteccia cerebrale ci sono diverse categorie di interneuroni. Di


quelli che originano dalla porzione mediale dell'eminenza ganglionare
(MGE) distinguiamo due grandi categorie: gli interneuroni PV+ e gli
176
interneuroni Sst+. Sono sicuramente le cellule prevalenti dal punto di vista
quantitativo e sono anche fondamentali per le attività di network (questo
vale in particolare per gli interneuroni PV+).
• Gli interneuroni PV+ si distinguono in cellule basket (a canestro) e
in cellule a candelabro (chandelier): le prime circondano le cellule
piramidali, anche se alcune cellule basket PV+ circondano anche altre
cellule PV+. Durante le finestre di plasticità corticale si sviluppano le
cellule PV+ intorno alle cellule piramidali. Nel momento in cui si
chiude la finestra di plasticità corticale le cellule PV+ sono contornate
da alcune strutture chiamate perineuronal nets. Gli interneuroni PV+
rispondono in alcuni modelli di stress, ma in realtà se dovessimo
correlarli a qualche patologia le potremmo correlare maggiormente
alla schizofrenia.
• Mentre gli interneuroni Sst+ sono principalmente coinvolti nella
depressione. Si dividono in cellule di Martinotti e cellule di non
Martinotti. Sono cellule che stabiliscono contatto sinaptico inibitorio
con i dendriti delle cellule piramidali e sono molto sensibili allo stress:
in tutti i modelli di stress che sono stati realizzati nei roditori si è visto
che si modificano le espressioni della somatostatina e anche i
polimorfismi del gene che codifica per la somatostatina sono coinvolti
nella depressione. Sono cellule cruciali: non soltanto fanno sinapsi con
le cellule piramidali, ma fanno sinapsi anche con altri interneuroni
(escluse le stesse cellule Sst+).
Dalla porzione caudale dell'eminenza ganglionare (CGE) originano invece
le cellule che hanno come marcatore il recettore 5HT3: a questa categoria
appartengono le cellule neurogliaformi (soprattutto rappresentate nel
primo strato e all'inizio del secondo strato); fanno sinapsi prevalentemente
con le cellule piramidali. Abbiamo poi le cellule basket CCK+. Si dividono
in VIP+ e non VIP+. Un farmaco antidepressivo - la vortioxetina - è un
potentissimo antagonista quasi non competitivo dei recettori 5HT3,
paragonabile all'ondansetrone (antiemetico). In passato l'ondansetrone
veniva usato come terapia aggiuntiva nel trattamento della depressione:
questo fatto valorizza molto il ruolo della vortioxetina. È il farmaco che ha
il miglior effetto nei confronti della disfunzione cognitiva, e questo è un
aspetto non triviale nel trattamento della depressione perché i depressi con
disfunzione cognitiva sono quelli più inclini alle ricadute.
177
KETAMINA

È parente stretto della fenciclidina (chiamata anche PCP o polvere


d'angelo,): nati come anestetici, furono subito definiti “anestetici
dissociativi”. Il termine dissociativo non si riferisce al fatto che i pazienti
che ne facevano uso si risvegliavano e manifestavano fenomeni dissociativi,
ma piuttosto al fatto che questi anestetici producano delle risposte
elettroencefalografiche che sono diverse nelle varie cortecce, dando un
profilo EEG “dissociato”. Queste sostanze sono immediatamente entrate nel
mercato dell'illecito (vedi la summer of love a San Francisco, 1967). La PCP
rappresenta il miglior modello di schizofrenia nell'uomo: un'intossicazione
acuta da PCP ha come risultato il manifestarsi di sintomi negativi, sintomi
positivi, in un quadro di manifestazioni avversative molto marcate.
Nonostante questo, la PCP negli anni 80 era la seconda droga preferita dopo
la cocaina (probabilmente per la semplicità di sintesi). La Ketamina è un po'
meno potente della PCP, ma ha un meccanismo quasi identico. Ha una storia
importante nel trattamento del dolore; i neurologi non la preferiscono per
via degli effetti psicotomimetici. È molto utilizzata nella medicina
veterinaria come anestetico. Nonostante sia una sostanza controllata, c'è
stato negli ultimi tempi un grande sviluppo della ketamina nel trattamento
della depressione maggiore. Lo sviluppo è approdato alla sintesi
dell'isomero S della ketamina, ovvero l'esketamina. È stato approvato sia
dall'FDA sia dall'EMA nel trattamento della depressione maggiore. Nome
commerciale: Spravato. Viene dato per via intranasale.
Abbiamo almeno 6 o 7 meccanismi d'azione che sono stati ricercati in
maniera molto attenta, perché sia ketamina sia esketamina hanno un effetto
antidepressivo molto veloce: in 2-3h si ha un miglioramento del tono
dell'umore che può durare per una settimana, dopo una singola
somministrazione! Gli altri antidepressivi agiscono in 3-4 settimane, quindi
questa caratteristica è molto utile nei soggetti con alto rischio di suicidio.
Tuttavia, l’indicazione in scheda tecnica del Spravato è per i soggetti che
abbiano risposto in maniera insufficiente ad almeno due antidepressivi.
Quindi sarà usata solo per il trattamento della depressione
178
farmacoresistente. Almeno il 30% dei soggetti depressi non risponde ad
almeno 2 farmaci antidepressivi, quindi avrà una bella fetta di mercato.
Sia PCP sia ketamina sono bloccanti lenti del canale NMDA. Sono farmaci
che si comportano come il Mg, o la memantina (che sono bloccanti rapidi),
entrano all'interno del canale e lo bloccano per qualche ora, con marcata e
rapida azione antidepressiva.
Studi di fase 3 sulla ketamina hanno dimostrato l'effetto sulle principali
scale della depressione (vedi studio allegato nel drive). La ketamina viene
data sempre in associazione con un altro farmaco antidepressivo, ma
nonostante questo si apre una significativa differenza tra
ketamina+antidepressivo e placebo+antidepressivo (vedi in seguito).
Dove si trovano i recettori NMDA? Nelle cellule piramidali, ma soprattutto
negli interneuroni, dove sono molto più presenti. Se prendo un topo e
somministro ketamina, valutando l'attività di scarica delle cellule piramidali
in vivo, noto che aumenta l'attività delle cellule piramidali, invece di
diminuire, nonostante si stia bloccando un recettore che è presente anche
nelle cellule piramidali. Perché? Perché il recettore NMDA predomina
talmente tanto negli interneuroni, che quando viene bloccato prevalgono i
meccanismi di disinibizione e non quelli di inibizione diretta sulle cellule
piramidali. Dando ketamina attiviamo le cellule piramidali, bloccando
l'azione di alcuni interneuroni inibitori. La stessa cosa la otteniamo se
blocchiamo i recettori 5HT3: la differenza è che i recettori NMDA sono
presenti in tutti gli interneuroni, ma sono soprattutto presenti nelle cellule
PV+ e nelle cellule di Martinotti; al contrario i recettori 5HT3 sono presenti
solo in un 30% di interneuroni, cioè nelle cellule che originano dalla
porzione caudale dell'eminenza ganglionare (CGE). Quindi, bloccando i
recettori 5HT3 faccio una selezione, cioè prevengo l’attivazione di solo un
30% di interneuroni, mentre se blocco i recettori NMDA ho un'azione molto
più marcata sugli interneuroni.
Il recettore NMDA solitamente è bloccato dal Mg, il quale viene poi rimosso
dalla depolarizzazione. Ma le cellule PV+, soprattutto le basket ma anche in
parte quelle a candelabro, vengono definite cellule fast spiking (= hanno
potenziali d'azione continui!) quindi sono cellule fondamentalmente
depolarizzate e i recettori NMDA sono costitutivamente attivi. Questo
179
significa che gli interneuroni PV+ hanno bisogno dei recettori NMDA per
poter essere funzionali: nel momento in cui diamo la ketamina blocchiamo
in maniera preferenziale i neuroni PV+, che sono la popolazione di
interneuroni più rappresentativa (il 40%). Va da sé che si ha una grande
attivazione delle cellule piramidali, utile nel trattamento della depressione.
Ma i neuroni PV+ sono quelli che generano e controllano le cosiddette
oscillazioni di network: quelle oscillazioni da 30-90Hz fondamentali per il
cognitivo (frequenza g). Intervenendo con un meccanismo del genere diamo
per forza come risultato un'attivazione delle cellule piramidali (e questo è
all'origine dell'azione antidepressiva così rapida), ma contemporaneamente
il meccanismo di modulazione delle cellule basket e chandelier non c'è più,
perché queste cellule sono bloccate. Gli effetti potenziali di questo blocco
sono due:

1) attività psicotomimetica (una costante di tutti gli studi clinici con


l'Esketamina). Ogni volta che si somministra Esketamina, il soggetto
ha per circa un’ora deliri e allucinazioni. Non si forma tolleranza a
questo effetto, anche se comunque è controllato dalla presenza dello
psicologo durante la somministrazione;
2) declino della sfera cognitiva

I meccanismi d'azione dell'Esketamina sono numerosi:

1) disinibizione da blocco dei recettori NMDA negli interneuroni


PV+ = attivazione cellule piramidali.
Attivazione delle cellule piramidali significa rilascio di glutammato nelle
varie sinapsi che queste cellule piramidali fanno => attivazione dei recettori
AMPA => sintesi e rilascio di BDNF (Brain Derived Nerotrofic Factor) =>
il BDNF lega e attiva i recettori TrkB (recettori tirosin chinasici) i quali
attivano diverse vie come la via di mTOR1 => sintesi proteica, regolazione
dell'espressione genica e modificazioni plastiche responsabili dell'effetto a
lunga durata dell'esketamina.

180
2) inibizione preferenziale dei recettori NMDA GluN2b
I recettori NMDA sono degli eterotetrameri (le quattro subunità possibili
sono GluN1, GluN2, GluN3, di cui la maggior parte dei recettori hanno
subunità GluN1 e GluN2). GluN1 è la subunità che lega la glicina, che è un
coagonista dei recettori NMDA (senza la glicina non si attiverebbero). La
subunità GluN2 è quella che lega il glutammato; abbiamo diverse subunità
GluN2, che vanno da A a D, le più importanti sono GluN2A (i recettori
NMDA che presentano questa subunità sono quelli sinaptici, cioè quelli che
si trovano al centro della spina dendritica, sono recettori che hanno azione
trofica, coinvolti nei meccanismi di plasticità, quindi coinvolti
nell'apprendimento e che promuovono la sopravvivenza innescando dei
meccanismi Ca2+ mediati che poi alla fine fanno sopravvivere le cellule
nervose) e GluN2B (i quali predominano durante le prime fasi dello
sviluppo, diventando meno importanti nelle ultime fasi di maturazione
neuronale; i recettori NMDA che contengono questa subunità sono recettori
extrasinaptici, ovvero si trovano nelle spine dendritiche ma un po' defilati
dal rilascio del neurotrasmettitore, quindi vengono reclutati dal glutammato
che è rilasciato in grande quantità e può fare un po' di diffusione ai lati della
sinapsi. Per questo motivo sono dei recettori ad alta attività: vengono attivati
molto più facilmente, basta poco neurotrasmettitore per attivarli). Sia
GluN2A sia GluN2B sono dei recettori potenzialmente pericolosi, perché
sono responsabili dei possibili fenomeni di eccitotossicità. I recettori
GluN2B inibiscono mTORC1, cioè inibiscono il meccanismo fondamentale
per la plasticità e per l'azione antidepressiva, nella depressione. Quindi
l'esketamina da un lato blocca i recettori NMDA degli interneuroni,
soprattutto di quelli PV+ attivando le cellule piramidali, ma dall'altro, nelle
spine dendritiche delle cellule piramidali, inibisce i recettori NMDA con
subunità GluN2B => attivazione di mTORC1, quindi attivazione della
sintesi di proteine => plasticità => azione antidepressiva di lunga durata.
3) Blocco dei recettori NMDA che rispondono al glutammato
rilasciato in maniera continua dalle vescicole del RRP
Il glutammato viene rilasciato dalle vescicole sinaptiche; normalmente ci
sono delle vescicole che si fondono con la membrana all'arrivo del Ca2+ e
avviene così il rilascio quantale del neurotrasmettitore grazie alle proteine
del complesso SNARE. Alcune vescicole sinaptiche, però, formano il
181
cosiddetto readily releasable pool, RRP, è come se queste vescicole fossero
sempre fuse con la membrana e quindi rilasciassero costitutivamente
glutammato. Tale glutammato attiva dei recettori NMDA che proprio perché
rispondono sempre al glutammato inibiscono la sintesi proteica, perché il
Ca2+ che entra attraverso questi recettori determina la fosforilazione dell'F2k
(fattore di elongazione della sintesi proteica) => inibizione della sintesi
proteica => inibizione della produzione di BDNF.
4) Attivazione del sistema mesolimbico
L'abenula laterale è una zona dell'epitalamo molto collegata con il sistema
mesolimbico: il collegamento più importante è di natura inibitoria.
Attraverso un interneurone l'abenula laterale inibisce i neuroni della VTA
spegnendo il sistema mesolimbico. Questo meccanismo è chiamato in causa
nell'aggressività quando l'inibizione dell'abenula laterale sul sistema
mesolimbico non è più efficiente: è come se il sistema dopaminergico si
attivasse in maniera incontrollata. Quindi l'abenula laterale ha il compito di
frenare il sistema mesolimbico, ma qui siamo nella depressione: il sistema
mesolimbico risulta ipoattivo, con alterata segnalazione della salienza e
alterati meccanismi di incentivazione. L'attività dell'abenula laterale è
controllata dai recettori NMDA: l'attivazione dei recettori NMDA determina
un burst di attività dei neuroni dell'abenula (burst inteso come burst di
scarica elettrofisiologica, cioè generazione di potenziali continui ad alta
frequenza nei neuroni dell'abenula laterale). Il che significa che
l'esketamina, bloccando i recettori NMDA nei neuroni dell'abenula laterale,
disancora il sistema mesolimbico dal controllo inibitorio e di conseguenza
attiva il sistema mesolimbico. Questa attivazione del sistema mesolimbico
contribuisce sicuramente all'azione antidepressiva dell'esketamina.
5) Meccanismo alternativo proposto da Zanos (rimane da vedere quali
di questi cinque meccanismi proposti operino nell’uomo o meno)
Il prof commenta una review di Zanos, uno dei più grandi studiosi della
esketamina, pubblicata su Nature Medicine: egli partiva dal presupposto che
oltre all'isomero S abbiamo anche un isomero R della ketamina, il quale non
ha azione sui recettori NMDA. In alcune sperimentazioni animali sembra
che l'isomero-R della ketamina sia in grado di generare un'azione
antidepressiva anche a dosaggi inferiori rispetto al racemo. Quindi Zanos
partiva dal principio che forse l'effetto della ketamina fosse garantito più
182
dall'isomero R che dall'esketamina (=isomero-S). L'isomero R viene
convertito in R-noridrossiketamina, il quale sarebbe in grado di esercitare
azione antidepressiva attivando in qualche misura i recettori AMPA. Quindi
bypassando i meccanismi dell'esketamina andrebbe ad attivare i recettori
AMPA, risultando nella sintesi di BDNF e quindi => plasticità e azione
antidepressiva di lunga durata. Questa conversione metabolica dell'R-
ketamina in noridrossiketamina avverrebbe, almeno nell'animale, con un
effetto gender (cioè avviene con effetto maggiore nelle femmine). Il
messaggio finale dello studio è che probabilmente il racemo della ketamina
agisce più tramite l'isomero R che tramite l'isomero S: è un messaggio forte
perché i due problemi legati a questo farmaco sono l'azione psicotomimetica
e la disfunzione cognitiva, che sono effetti prodotti dal blocco dei recettori
NMDA. Quindi se noi abbiamo la R ketamina che agisce senza bloccare i
recettori NMDA, non possono manifestarsi questi due effetti. Nonostante
questo lavoro, l'azienda che ha portato la ketamina sul mercato ha deciso di
sviluppare l'S-ketamina.

Per quanto riguarda l'esketamina, sono stati fatti studi di fase 2 e di fase 3,
realizzati con dosaggio di 56mg o di 84mg dati somministrati tramite spray
nasale. Gli studi di fase 2 hanno confermato l'azione rapida antidepressiva.
Lo studio di fase 3 più importante è lo studio di Daly condotto dal 2015 al
2018. La struttura dello studio è abbastanza interessante: ha una fase di
induzione in cui sono stati reclutati pazienti che non avevano mai fatto
esketamina o che l'avevano fatta in altri studi, ma che erano tutti
farmacoresistenti. Dopo 16 settimane di fase di induzione, si è svolta la
fase di randomizzazione: un gruppo faceva esketamina + un farmaco
antidepressivo, il secondo gruppo faceva placebo + lo stesso farmaco
antidepressivo. A questo punto si è andati avanti così: se nella fase di
induzione l'esketamina veniva data due volte a settimana, nella fase due il
trattamento è stato fatto una volta a settimana o alternativamente una volta
ogni due settimane. Questo è vantaggioso perché significa avere un'ottima
copertura dal punto di vista farmacologico. I pazienti che sono passati alla
seconda fase erano tutti pazienti che avevano risposto alla fase di induzione
con una remissione stabile (punteggio della MADRS < 12, quindi molto
183
basso) oppure con una risposta stabile (dopo due settimane il punteggio
della MADRS era ridotto di almeno il 50%). I pazienti che avevano fatto
esketamina+farmaco antidepressivo avevano un tasso di ricadute, nel
periodo di circa 90 settimane successivo, molto inferiore rispetto al gruppo
di pazienti che aveva fatto il placebo+farmaco antidepressivo. Quindi ha
dimostrato il fatto che l'esketamina non ha solo un'azione antidepressiva
rapida, ma ha anche un'azione antidepressiva duratura. Il problema è che
tutte le volte che questi pazienti facevano la somministrazione di esketamina
intranasale avevano sistematicamente le manifestazioni
psicotomimetiche. Questo ha come limite il fatto che i pazienti non possono
farlo da soli, ci vuole sempre uno psicologo accanto. Un altro effetto che si
vedeva durante il trattamento con esketamina era anche l'ipertensione, per
via dell'attivazione dell'ortosimpatico. Si tratta di effetti transitori, ma che
sono comunque da tenere in conto soprattutto per gli stati schizoaffettivi o
in situazioni limite (rischio di slatentizzazione della schizofrenia). Inoltre,
c'è anche il potenziale di abuso che questa sostanza a tutti gli effetti ha.
Altri effetti avversi notati in questi studi:
-vertigini
-sonnolenza
-disgeusia
-manifestazioni dissociative
Dal punto di vista degli effetti avversi questo farmaco si dissocia molto dal
placebo: per questo il placing therapy sarà molto ristretto da parte dell'AIFA.
Da parte dell'azienda c'è comunque la volontà di andare oltre e utilizzarla
anche nella depressione melancolica ad alto rischio di suicidio.

NEUROSTEROIDI

La seconda cosa di grande interesse che riguarda il GABA è lo sviluppo dei


neurosteroidi. I neurosteroidi sono delle sostanze di natura steroidea che si
chiamano così perché possono essere prodotte dagli astrociti. Gli astrociti
184
hanno il macchinario per formare steroidi e sapete che la sintesi degli
steroidi prevede il metabolismo del colesterolo che deve entrare nel
mitocondrio e diventa pregnenolone. Il pregnenolone poi si trasforma nello
steroide principale, che è un po’ il capostipite di tutti, che è il progesterone.
Il progesterone in questo caso ha delle vie leggermente diverse da quelle
convenzionali: normalmente nella steroidogenesi all’interno della corteccia
surrenalica il progesterone diventa 17- a-OH-progesterone, poi diventa 11-
desossicortisolo per azione del CYP21 e quindi l’11-desossicortisolo
diventa cortisolo per azione del CYP11B1. Nella sindrome adrenogenitale
il CYP21 non funziona bene, quindi si formano androgeni
(androstenedione) e c’è insufficienza surrenalica perché il cortisolo non
viene sintetizzato. Quando le situazioni sono molto gravi non viene
sintetizzato neanche l’aldosterone e avete quella variante che si chiama salt-
wasting con la necessità di una terapia sostitutiva .
Invece nel caso dei neurosteroidi il progesterone viene stranamente attaccato
dalla 5-a-reduttasi, enzima che con il progesterone teoricamente non c’entra
niente (è l’enzima che trasforma il testosterone in diidrotestosterone). Gli
inibitori della 5- a-reduttasi come finasteride e dutasteride sono i farmaci
utilizzati nell’iperplasia prostatica e nel carcinoma della prostata, e per non
far cadere i capelli nel caso della finasteride propecia. Nel momento in cui
la 5-alpha-reduttasi attacca il progesterone (ricordatevi che il progesterone
ha un doppio legame nell’anello A in posizione 4 e 5) si formerà il
diidroprogesterone perché vengono inseriti due atomi di idrogeno nel
doppio legame. Il diidroprogesterone presenta sempre un gruppo cheto in
posizione 3 che trovate nella gran parte degli steroidi esclusi gli estrogeni,
ma entra in gioco un altro enzima che prende il nome di 3-OH-
steroidodeidrogenasi che può trasformare il gruppo cheto in gruppo OH che
può essere alpha o beta e quello che si viene a formare è il 5- a oppure b-
pregnan-3 a OL-20 one (pregnan- perché è un pregnano dato che non ci
sono più doppi legami, OL perché c’è un gruppo ossidrilico in posizione 3
a, 20 one perché c’è sempre il gruppo chetonico in posizione 20).
Quest’ultimo metabolita si chiama anche allopregnanolone: è il prototipo
dei neurosteroidi e agisce come PAM (modulatore allosterico positivo) dei
recettori GABA A. Ha una certa predisposizione anche se non assoluta per
i recettori GABA A extrasinaptici che sono quelli ad alta affinità per il
185
GABA (non può che essere così perché sono recettori un po’ defilati quindi
devono calamitare il GABA il più possibile). Questi recettori non hanno
subunità gamma (non avendola non possono essere attivati dalle
benzodiazepine che hanno bisogno della subunità g2 per funzionare) ma al
posto di questa hanno la subunità d, un marcatore specifico dei recettori
extrasinaptici del GABA, e le subunità a 4, 5 e 6, anch’esse poco sensibili
alle BDZ (la 4 e la 6 per niente, la 5 in realtà ha una bassa affinità di legame
per le BDZ). Quindi per ricapitolare i recettori extrasinaptici del GABA
sono recettori che al posto della subunità g2 presentano la subunità d, non
hanno le subunità a 1,2,3 che sono quelle che classicamente rispondono alle
BDZ, ma hanno a 4,5,6. Sono responsabili della cosiddetta tonic inibition
cioè inibizione tonica, perché hanno una tale affinità per il GABA che
vengono in pratica attivati sempre. Questi recettori particolari rispondono
bene all’allopregnanolone, il quale aumenta il tempo di apertura del canale.
L’allopregnanolone è molto simile al barbiturico dal punto di vista del
meccanismo d’azione: ha un’attività abbastanza interessante perché riduce
l’ansia, quindi fa mantenere la calma, e nello stesso tempo riduce le crisi
epilettiche in un soggetto predisposto ad avere crisi. È insomma un
depressore del SNC. Considerate che il progesterone può formarsi nella glia
ma anche nel corpo luteo, che è la ghiandola endocrina più efficiente del
nostro organismo producendo 40 mg/die di progesterone (una dose
assolutamente straordinaria). Il corpo luteo opera soprattutto tra il 16esimo
e il 21esimo giorno del ciclo ovarico e poi va incontro a regressione perché
il feedback dell’ipofisi riduce la secrezione di LH, quindi il corpo luteo
diventa atresico e quindi corpus albicans e a questo punto con la caduta del
progesterone c’è la mestruazione. Prima della mestruazione i bassi livelli
dell’allopregnanolone sono responsabili dell’aumentata eccitabilità da parte
della donna; è in questa fase che per esempio una donna epilettica può avere
un’esacerbazione delle crisi (epilessia catameniale); secondo me questo è
anche il meccanismo principe dell’emicrania mestruale anche se questo è un
po’ conflittuale in letteratura.
A questo punto voi direte: cosa c’entra tutto questo con la depressione? Il
discorso è estremamente interessante per questo motivo. Immaginate che
una donna presenti una gravidanza: in gravidanza c’è una montagna di
progesterone, chiaramente ci sono anche estrogeni e prolattina (il
186
progesterone impedisce l’allattamento nonostante la presenza della PRL).
Questo progesterone è presente durante tutta la durata della gravidanza
perché prima è secreto dal corpo luteo (che non regredisce perché è
mantenuto dall’ HCG, gonadotropina corionica) e poi quando avviene la
placentazione dalla placenta. Questa grandissima quantità di progesterone
viene trasformata in parte in allopregnanolone, e il rischio qual è? Che la
donna possa andare in depressione del SNC. L’allopregnanolone in realtà
ha un significato ben preciso: la donna in gravidanza deve essere calma e
non deve avere crisi o parossismi. Tuttavia, se ce n’è una quantità eccessiva
va in uno stato di sopore e minore attivazione dello stato di veglia, allora per
evitare questo il SNC reagisce riducendo la subunità delta dei recettori
GABA A, il che significa ridurre l’espressione dei recettori extrasinaptici
GABA A dove l’allopregnanolone agisce. Così si raggiunge un equilibrio:
la donna in gravidanza non avrà in questo modo problemi di crisi o
parossismi, né di depressione del SNC. A un certo punto c’è il parto: con il
parto i livelli di progesterone si abbattono perché la placenta non c’è più e
quindi la donna prima di ripristinare il ciclo ovarico si trova senza
progesterone e quindi senza allopregnanolone. Quindi per ripristinare
nuovamente l’equilibrio viene aumentata la produzione della subunità delta.
La donna inizia ad allattare: c’è la PRL in questo momento e il calo del
progesterone permette l’allattamento. Quindi per la durata dell’allattamento
e in ogni caso per almeno due mesi buoni (ma se la donna continua ad
allattare per molto più tempo) il ciclo ovarico non torna e quindi il
progesterone non c’è.
Quindi se la subunità delta recupera la quantità di allopregnanolone che si
forma nel SNC è sufficiente, ma se la sub delta non recupera allora
insorgono i problemi: la donna si trova senza allopregnanolone e con i
recettori extrasinaptici del GABA ridotti. Voi allora vi aspettereste che la
donna diventi ansiosa, aggressiva, epilettica, e tutto questo è possibile ma
soprattutto per qualche ragione accade che ci sia depressione post partum.
LA depressione post partum (e qui torniamo all’ipotesi GABAergica della
depressione) viene fuori poiché questi recettori extra-sinaptici del GABA
responsabili della tonic inibition non vengono più attivati in maniera
significativa. Questo è stato dimostrato anche nell’animale da esperimento
dove è stata misurata la subunità delta e sono stati creati dei modelli di
187
depressione post partum ed è stato visto proprio questo. Quindi si è pensato
di dare noi ai pazienti i neurosteroidi: sono state prodotte tutta una serie di
molecole simili ai neurosteroidi. Queste molecole sono:
-Ganaxolone: non c’entra niente con la depressione. È una molecola che è
stata prodotta per il trattamento dell’epilessia. È un antiepilettico che non è
ancora stato messo sul mercato.
Per la depressione sono stati creati:
-Brexanolone: è stato utilizzato in uno studio di fase 3, in clinica al dosaggio
di 60-90 mg/kg/h in vena per 60 h. Ora prendete queste donne affette da
depressione post partum e fate un’infusione endovena di brexanolone
secondo questa posologia e dopo queste 60 h di infusione avrete un effetto
duraturo, è molto efficace. È fondamentale perché si tratta di una
depressione molto difficile da trattare, molte volte non risponde ai farmaci
antidepressivi tradizionali, c’è poi sempre una certa refrattarietà ad
utilizzare gli antidepressivi convenzionali perché passano nel latte, studi
sull’allopregnanolone nel latte non ne sono stati fatti ed è possibile che
inducano depressione anche nel bambino, quindi, è bene che la donna non
allatti. Sicuramente però l’azione antidepressiva aiuta nel mathernal care,
cioè l’atteggiamento materno nei confronti dei piccoli e la traiettoria di
sviluppo del SNC, soprattutto degli interneuroni, è strettamente collegata al
mathernal care e questa si lega anche alla risposta allo stress. Ad esempio
nello studio fatto da Michael Miley si prendeva una topina o una ratta che
deve partorire, si vede che ci sono due categorie di “mamme”: ci sono quelle
che accudiscono tanto i figli, hanno l’arching, cioè si incurvano e si mettono
tutti i figli attaccati alle mammelle, li puliscono e stanno loro molto vicino,
e poi ci sono le mamme un pochino più strafottenti (casualmente escono
fuori così) che accudiscono meno i figli, e quando questi figli diventano
grandi si è visto che presentano delle risposte alterate allo stress. Se per
esempio voi li esponete a livelli di stress molto lievi i livelli di corticosterone
(equivalente nel roditore del nostro cortisolo) gli rimangono elevati per un
tempo maggiore, cioè sviluppano un disordine dello stress che è un po’ un
equivalente animale di uno stato ansioso-depressivo.

188
Quindi la depressione post partum si basa sul meccanismo GABAergico e
cioè sull’allopregnanolone. Sulla scorta di questi risultati si è passati ad uno
studio su un altro composto:
-Sage 217 (o Zuranolone): è stato utilizzato sperimentalmente in uno studio
di fase 2 per il trattamento della depressione maggiore alla dose orale di 30
mg, in uno studio vs placebo. Lo studio è durato molto poco ma c’è stato un
effetto antidepressivo molto marcato con una dissociazione con il placebo
straordinaria e la cosa interessante è che a questo studio partecipavano sia
uomini che donne: in questo caso non è un problema di progesterone nella
donna o di altro, è semplicemente un composto progestinico simile
all’allopregnanolone che esercita un’azione rapida antidepressiva che si
vede già dopo 2-3 gg.
Io quindi credo moltissimo nei neurosteroidi nel trattamento di epilessia,
emicrania e depressione.
Da un punto di vista della produzione industriale questi composti sono molto
promettenti. Innanzitutto, bisogna vedere se una sostanza come
l’allopregnanolone si può inserire in un integratore (parlo adesso di una
produzione commerciale, cioè se un’azienda industriale volesse fare una
cosa del genere), semplicemente perché l’integratore ha un regolatorio
molto meno ristretto rispetto ad un farmaco originario. Bisogna vedere se
l’allopregnanolone rientra nel nutraceutico o se viene considerato un
ormone a tutti gli effetti perché in quest’ultimo caso il regolatorio pone delle
differenze importanti. L’altro aspetto riguarda la sintesi: la sintesi
dell’allopregnanolone, infatti, può essere fatta sia chimicamente sia può
essere una biosintesi. E come si fa a farla? È molto semplice: prendete un
lievito, un saccaromicete, e gli fate esprimere la 5- a-reduttasi e la 3-a-
steroidodeidrogenasi, gli date progesterone nel mezzo e automaticamente
produrrà l’allopregnanolone e a questo punto la sintesi vi permette di avere
tantissimo composto senza dover ricorrere ad una sintesi steroidea dal punto
di vista chimico che è molto più dispendiosa. Quindi anche dal punto di vista
industriale diventa un discorso appealing. Questa, insomma, secondo me è
veramente una via da seguire, o perlomeno ci credo molto.
Domanda: effetti avversi dei neurosteroidi? Risposta: effetti avversi
esistono ma sono molto tollerati e non sono così diversi dal placebo.
189
Chiaramente se vengono usati dosaggi sbagliati l’allopregnanolone può dare
depressione del SNC.
Altro aspetto interessante è che la fluoxetina, la sertralina e paroxetina
principalmente aumentano la produzione di neurosteroidi e prendono il
nome di SBSS (selective brain steroidogenic stimulants), farmaci che
stimolano automaticamente la produzione di neurosteroidi.
L’ultimo aspetto sperimentale di cui vorrei parlarvi prima di passare ai
farmaci antidepressivi convenzionali sono gli ALLUCINOGENI.
Allucinogeni
Abbiamo parlato dell’esketamina che per certi versi è anche un allucinogeno
come la PCP, ma adesso facciamo riferimento agli allucinogeni
serotoninergici, in poche parole a quelle sostanze che sono simili all’LSD.
L’LSD è la dietilammide dell’acido lisergico ed ha una storia “molto
colorita”: quest’uomo di laboratorio, Hofmann, che lavorava sugli ergot
derivati della segale cornuta a un certo punto se n’è andato a casa in
bicicletta e ha iniziato ad avere visioni strane. Quando è tornato in
laboratorio ha attribuito quest’esperienza dispercettiva che ha avuto ad una
ingestione accidentale di una sostanza, chiamata LSD 25 perché era il
25esimo composto del cassetto dietilammide dell’acido lisergico, allora ha
chiamato gli altri colleghi, ha preso 100 mcg di questa sostanza (che
considerava una dose estremamente bassa) e ha detto vediamo un po’ che
succede. Non sapeva che l’LSD è estremamente potente e agisce a dosaggi
di 10 mcg, non di 100, per cui ha avuto un’esperienza veramente
spettacolare. Da qui poi sono nati tutti gli allucinogeni, l’LSD è stato
l’automedonte, il nocchiere di Achille, che ha portato avanti tutta la storia
degli allucinogeni con grande conflittualità.
Vediamo le caratteristiche di queste sostanze. Parlo in questo caso degli
allucinogeni a struttura endolica. Infatti, gli allucinogeni possono avere tanti
tipi di struttura: ci sono quelli a struttura amfetaminica, come la mescalina,
e quelli a struttura endolica, poi ci sono anche la scopolamina, la chetamina
che sono allucinogeni, ma ora parliamo di quelli che sono strutturalmente
simili alla serotonina. Tutte queste sostanze attivano i recettori 5HT2A.
Facciamo una piccola premessa su questi recettori: ne abbiamo parlato tanto
a proposito della schizofrenia, dove tutti gli antipsicotici atipici sono dei
190
bloccanti potentissimi dei recettori 5HT2A. Questi recettori si trovano
soprattutto nella corteccia cerebrale, dove sono fortemente espressi, anche
se non si trovano soltanto lì. Essendo quindi recettori prevalentemente
corticali sono più espressi nei primati e nell’uomo dove lo spessore della
corteccia cerebrale è maggiore. Questi recettori sono accoppiati a proteina
Gq e proteina G11 e quello che fanno è attivare la fosfolipasi C per formare
IP3 e DAG (la classica idrolisi del fosfatidil-inositolo-4,5 bisfosfato con
attivazione del Ca2+ intracellulare e della PKC). Il fatto interessante è che
questi recettori si trovano nelle cellule piramidali e in particolare sui
dendriti: quindi in questo caso non sono recettori degli interneuroni, come i
recettori NMDA o i 5HT3. I recettori 5HT2A sulle cellule piramidali le
attivano aumentandone il tono di scarica (che è un po’ la stessa cosa che
succede con la disinibizione quando date la ketamina, ma in questo caso per
un’attivazione diretta). Quindi sia che gli date un farmaco che li attiva, sia
che si tratti della serotonina rilasciata dal nucleo del rafe, le cellule
piramidali tramite questi recettori si attivano. Alcuni pensano che questi
recettori si trovino anche nelle fibre talamiche, ed è vero: si tratta di recettori
presinaptici della fibra che dal talamo raggiunge i dendriti delle cellule
piramidali e rilascia glutammato, e i recettori 5HT2A stimolano il rilascio
di glutammato. Quindi sono recettori serotoninergici di importanza capitale
nel SNC che si trovano sia nelle cellule piramidali che nelle fibre afferenti
talamiche. Altro aspetto interessante è che i recettori 5HT2A in condizioni
normali sono poco attivi, ma entrano in gioco in condizioni particolari.
Infatti se voi prendete un bloccante dei recettori 5HT2A come la ketanserina
e la somministrate ad una persona normale non succede quasi niente, non fa
quasi nulla all’interno del SNC, mentre le cose cambiano nei soggetti
schizofrenici dove i recettori 5HT2A sono up-regolati: questa è la ragione
per cui nella schizofrenia si danno gli antipsicotici atipici (o di II
generazione) che sono tutti potenti antagonisti dei recettori 5HT2A.
Lasciando perdere la schizofrenia, nella depressione è nato il possibile
impiego degli agonisti dei recettori 5HT2A.
Questi potenziali agonisti sono:
-LSD: non è in sviluppo per il trattamento della depressione, ma ha una
caratteristica importante cioè il fatto di avere una lunga emivita, dalle 8 alle
14 ore. Chi fa uso di LSD ricreazionale lo sa benissimo perché prendendo
191
una piccola pasticca di LSD fa un viaggio dispercettivo, che può essere un
good trip o un bad trip, che dura per diverse ore. Una lunga emivita ce l’ha
anche la mescalina, che però è un allucinogeno a struttura amfetaminica che
più che attivare direttamente il recettore 5HT2A lo fa indirettamente
rilasciando serotonina.
-DMT: o dimetiltriptamina. Viene anche chiamata business-man LSD, cioè
l’LSD dell’uomo d’affari, perché ha un’emivita di soli 30 minuti. Si trova
in una bevanda che si chiama Ayahuasca dove la dimetiltriptamina è
combinata con un IMAO, combinazione che ne allunga l’emivita.
-Bufotenina: si trova nel rospo. Sono rospi del genere Bufos, cioè bufonidi.
La bufotenina è una 5-idrossi-dimetiltriptamina, cioè una serotonina protetta
però dal metabolismo perché ha questi due gruppi -OH. Il fatto che si trovi
nella cute del rospo ha dato vita alla storiella della ragazza che bacia il rospo,
e il rospo diventa principe, perché ha l’esperienza dispercettiva leccando la
cute del rospo. C’è un altro rospo particolare chiamato Incilius Alvarius, o
rospo della Sonora, e in questo caso la sostanza allucinogena che si trova
all’interno prende il nome di 5-metossi-dimetiltriptammina. Tutte queste
sostanze vengono prese per via orale.
Ma in realtà le sostanze allucinogene che hanno destato maggiore interesse
nel trattamento della depressione sono quelle che si trovano all’interno dei
funghi magici. I funghi magici del genere Psilocybe, Inocybe e Panaeolus
che contengono due sostanze: Psilocina (4-OH-dimetiltriptamina) e
Psilocibina che ne è il precursore (4-fosforil-dimetiltriptamina, cioè è la
psilocina fosforilata che viene assorbita e poi trasformata in psilocina
all’interno del SNC). L’esperienza nel campo della depressione è stata fatta
soprattutto con la psilocibina. Anche l’LSD è stato utilizzato parecchio per
questo, ma la psilocibina è al centro di tutta una serie di speculazioni oggi.
Perché non direttamente la psilocina che tra l’altro dal punto di vista della
sintesi prevede anche una tappa in meno (la psilocibina è la psilocina
fosforilata)? Probabilmente perché la psilocina è chimicamente instabile,
mentre la psilocibina non ha questi problemi di stabilità molecolare. La
psilocibina è stata provata in diversi studi clinici nella depressione alla dose
standard di 25 mg, che è una dose dispercettiva (chi la prende fa un viaggio
dispercettivo di breve durata perché ha un’emivita di 4-5 ore, abbastanza

192
significativa ma non quanto quella dell’LSD). Questo significa che ogni
volta che la psilocibina deve essere somministrata per il trattamento della
depressione è necessario che ci sia un supporto psicologico/psichiatrico che
fanno il trattamento. Chi si occupa particolarmente di questo tema è David
Nutt: uno psichiatra inglese che ha pubblicato una review su Cell
sull’impiego della psilocibina e in generale degli allucinogeni nel
trattamento della depressione.
Secondo lui la psilocibina è un farmaco ottimale per tutta una serie di
ragioni: innanzitutto rispetto all’esketamina non da deterioramento della
sfera cognitiva, ma attenzione perché da effetto psicotomimetico, cioè deliri
e allucinazioni che comunque durano per dei periodi di tempo molto ristretti,
per qualche ora. Poi l’altra cosa fondamentale è che ha un’azione
antidepressiva molto rapida: già dopo qualche ora il soggetto inizia a stare
meglio. Questo deriva dall’attivazione delle cellule piramidali. Oltre a
questo, c’è il problema del dosaggio, cioè ci si è chiesti se invece di dare la
psilocibina al dosaggio di 25 mg che è un dosaggio dispercettivo, si dessero
microdosi di psilocibina tre volte alla settimana? Infatti, la cosa
sorprendente della psilocibina è che bastano due o tre somministrazioni per
avere un effetto antidepressivo prolungato. Quindi ci si è chiesti se invece
di dare, ad esempio, due dosi di psilocibina da 25 mg a distanza di 10/14 gg,
si dessero dosi molto più piccole per tre volte alla settimana, quindi come
dosi attivanti, anziché dispercettive, che succederebbe? L’opinione di David
Nutt è che le microdosi non siano efficaci, mentre le macrodosi sono le
uniche a risultare efficaci, anche se non in tutti i pazienti (ci sono due
categorie di pazienti: una che dopo due somministrazioni guarisce e una che
non guarisce). Quindi per ricapitolare: si tratta di un farmaco che agisce
rapidamente, ha un effetto antidepressivo marcato e bastano due
somministrazioni per risolvere il problema. Ovviamente è il punto di vista
di uno studioso, ma comunque il commentario è pubblicato su Cell, una
rivista con un impact factor spaventoso e di grandissimo spessore.
Qual è quindi il meccanismo che può essere alla base di tutto questo, fermo
restando che la macrodose è quella che sembra esser efficace mentre le
microdosi probabilmente non lo sono? Se ricordate, la depressione potrebbe
essere ricondotta ad un problema di alterazione dell’attività di network. Vi
ricordate che ci sono tre sistemi di network più importanti, cioè il network
193
di default e il network esecutivo e il network di salienza. Il network di
default è quello che porta il paziente all’introspezione, e parte dalle cortecce
prefrontale dorsomediale e ventromediale, e da alcune zone del corpo
calloso, attraverso cui l’individuo rumina all’interno e guarda
continuamente dentro se stesso, senza guardare all’esterno. Questo sistema
di default, che normalmente dovrebbe spegnersi durante un task esecutivo
rivolto verso il mondo esterno, non si spegne e a questo punto il network
esecutivo, che parte dalla corteccia prefrontale dorsolaterale e dalla
corteccia parietale, per poter avere il sopravvento richiede molta più energia
e quindi si esaurisce; quindi questo gioco a due tra il network di default che
è quello dell’introspezione e il network esecutivo che è invece quello rivolto
al mondo esterno, nel caso della depressione vede come vincente assoluto il
network di default. La cosa interessante è che questo avviene anche nell’
OCD, nell’anoressia e nelle tossicodipendenze. Nelle OCD (disordine
ossessivo-compulsivo) queste ruminazioni interne sono le ossessioni che
fanno intrusione nella vostra mente e l’unico modo per allontanarle è
compiere dei rituali comportamentali privi di significato, come alzarvi mille
volte per controllare che la porta sia chiusa a chiave. Obsessum= assediato.
Anche nell’anoressia c’è un’introspezione: è rivolta a tutto ciò che di
negativo può avere il cibo, c’è un completo isolamento dal comportamento
alimentare. Nel disordine da uso di sostanze tutto il SNC è rivolto verso
l’uso di sostanze. Ricordatevi il terzo network importante oltre a quello di
default ed esecutivo è quello della salienza che coinvolge corteccia
prefrontale, soprattutto l’insula, e la salienza è profondamente alterata nella
depressione. Cosa farebbero quindi gli allucinogeni? Gli allucinogeni
sbloccherebbero, darebbero uno shaking delle cellule piramidali, per cui
attivano le cellule piramidali e a un certo punto creano l’empatia nei
confronti delle funzioni esecutive, cioè nei confronti di ciò che è verso
l’esterno e non verso l’interno. Questo shaking, cioè questo scossone che si
dà alle oscillazioni di network, permetterebbe al network esecutivo di avere
una permanente prevalenza nei confronti di quello di default, e questo
sbloccherebbe una situazione interna che poi ha un substrato neurobiologico
ben preciso che è il recettore 5HT2A, esercitando un’azione antidepressiva
particolarmente duratura. Questo è il cosiddetto therapeutic break through
secondo la citazione di David Nutt, che permette di riaffacciarsi verso il
mondo esterno eliminando gli elementi intrusivi che sono comuni a
194
depressione, OCD, anoressia e disordine da uso di sostanze soprattutto
quando si va in sindrome da astinenza. Naturalmente anche lì bisogna stare
molto attenti alle situazioni schizoaffettive, perché ci sono gli effetti
allucinogeni, che tuttavia quando si attivano i recettori 5HT2A riguardano
soprattutto la percezione visiva, mentre le allucinazioni dello schizofrenico
sono tipicamente uditive. Nell’LSD invece addirittura i suoni vengono
trasformati in percezione visiva (sinestesia). Quindi grande novità questo
sviluppo degli agonisti 5HT2A, soprattutto la psilocibina, questo aumento
dell’entropia nei confronti dell’attività cosiddetta on going, cioè dell’attività
rivolta verso il mondo esterno.

Decima lezione di farmacologia della psichiatria, 3/06/20


La volta scorsa, se vi ricordate, siamo partiti con tutto un discorso sul
GABA.
Abbiamo descritto il meccanismo di azione dell’ESKETAMINA: un
bloccante dei recettori NMDA che però interferisce in maniera sostanziale
con la trasmissione GABAergica. Questo perché i recettori NMDA sono
molto rappresentati negli interneuroni corticali, in particolare negli
interneuroni parvalbumina positivi. Questi interneuroni sono fast spiking
(hanno una frequenza di scarica molto alta) e quindi, in questi interneuroni,
il recettore NMDA è quasi costitutivamente attivo.
Normalmente, i recettori NMDA vengono attivati solo in circostanze
particolari. Invece, negli interneuroni parvalbumina positivi si creano delle
condizioni per cui questi ultimi si attivano con grande facilità e il calcio che
entra in grandi quantità dentro di essi non risulta tossico, poiché gli
interneuroni PPV+ possiedono dei tamponi capaci di legarlo, bloccando la
sua eccitotossicità.
Gli interneuroni parvalbumina positivi regolano in maniera sostanziale le
attività di network e, quando si aprono le finestre critiche di plasticità,
circondano tutto il soma delle cellule piramidali.
Poi abbiamo parlato dei neurosteroidi: sostanze che gli astrociti possono
formare anche a partire dal colesterolo, ma che normalmente si formano dal
progesterone. Abbiamo individuato i due enzimi chiave del processo di
195
formazione dei neurosteroidi: la 5--reduttasi e la 3- -
steroidodeidrogenasi, la sintesi termina con l’allopregnanolone.
Infine, abbiamo trattato gli allucinogeni, agonisti 5HT2A, in particolare la
Psilocibina che sembra accendere un grande interesse nel trattamento
sperimentale della depressione.
Nonostante questo, gli psichiatri continuano ad usare IMAO e TCA, che
mantengono comunque una efficacia indiscussa nel trattamento della
depressione maggiore anche se i profili di sicurezza e di tollerabilità non
sono un granché, per questo poi si sono sviluppati e diffusi gli SSRI. Il primo
SSRI ad essere stato prodotto è il PROZAC ed è stato un grandissimo
breakthrough: si parlava di questo farmaco come della pillola della felicità
fra i media e questo ha generato un grandissimo mercato.
oggi trattiamo:
• Gli SSRI

• La VORTIOXETINA
Premessa: nonostante gli SSRI nascano come farmaci per la depressione
maggiore molti psichiatri ritengono che abbiano una maggiore efficacia nei
confronti dell'ansia generalizzata (GAD) e quindi li considerano più come
farmaci ansiolitici che come farmaci antidepressivi. Sicuramente, l'azione
degli SSRI nei confronti della ansia e più rapida rispetto all’azione
antidepressiva, ma non tutti gli SSRI hanno le indicazioni in scheda tecnica
per il trattamento dell'ansia, mentre tutti hanno indicazioni in scheda tecnica
per il trattamento della depressione maggiore.
Quello che abbiamo detto la volta scorsa sul GABA può anche convergere
sugli SSRI, perché alcuni degli SSRI che prenderemo in esame (in
particolare SERTRALINA, FLUOXETINA, PAROXETINA) sono in
grado di agire direttamente sulla 3- -steroidodeidrogenasi, che è l’enzima
che trasforma il diidrotestosterone in allopregnanolone, cioè il neurosteroide
prototipico e l’attivatore del recettore GABA-A. Quindi ci sono degli SSRI
che promuovono la sintesi dei neurosteroidi.

196
Gli SSRI funzionano molto meglio degli antidepressivi triciclici nel
trattamento della depressione atipica (quella con bulimia + ipersonnia+
fluttuazioni dell'umore durante il giorno + paralisi plumbea), mentre gli
antidepressivi triciclici funzionano meglio degli SSRI per quanto riguarda
la depressione maggiore melanconica severa (che è una depressione con alto
rischio di suicidio, anoressia e insonnia).
• Il prototipo degli SSRI è la FLUOXETINA che è nata come PROZAC,
ma adesso è un farmaco generico, quindi la si chiama con svariati
modi.
La fluoxetina è indicata nel trattamento della depressione maggiore, del
binge eating (cioè la bulimia dell’adulto) che è uno status tipico della
depressione atipica.
La fluoxetina può essere usata anche in bambini che hanno più di otto anni
per il trattamento della depressione maggiore.
Dal punto di vista epidemiologico l'incidenza della depressione maggiore in
età prepuberale è la stessa per entrambi i sessi. Dopo la pubertà la
depressione ha un’incidenza del 15% nel sesso femminile e un’incidenza
del 7% nel sesso maschile.
Inoltre, l'incidenza della depressione maggiore in stadi prepuberi è minore
rispetto a quella in età adulta.
Attenzione però, prima di usare il Prozac nel bambino le linee guida
suggeriscono un periodo di 4-8 sedute di psicoterapia e solo se il bambino
non risponde dopo 8 sedute allora si può considerare la somministrazione
del Prozac come terapia.

• La FLUVOXAMINA nome commerciale MAVERAL, oggi


assolutamente generico. È un farmaco che ha tantissime interazioni di
natura farmacocinetica, e quindi io lo sconsiglio, soprattutto nei
protocolli di terapia combinata dove bisogna stare molto attenti .
La qualità specifica della fluvoxamina sta nel fatto che, oltre ad avere
un'azione nei confronti della depressione maggiore, questo farmaco e molto
197
efficace nei casi di disturbo ossessivo compulsivo (abbreviato OCD). La
fluvoxamina inibisce la ricaptazione della serotonina (agendo sul SERT)
con un’alta selettività e non ha altri bersagli off target come possono invece
avere gli SSRI, per questo la si definisce come il farmaco più pulito in
assoluto tra gli SSRI.

Ricordo brevemente che cos'è il


disturbo ossessivo compulsivo: un
insieme di idee e pensieri che
assillano continuamente il paziente
e l'unico modo per mandarli via e
compiere una serie di azioni
stereotipate ripetute e di poca
importanza (esempio controllare
continuamente che la porta di casa
sia chiusa – nella foto abbiamo
Emma Pillsbury, professoressa
affetta da DOC, solita lavare ogni
acino di uva strofinandolo, Glee).
Il triciclico più usato nel
trattamento dell’OCD è la
clorimipramina (ANAFRANIL). Questo perché è un triciclico con maggiore
selettività nei confronti della ricaptazione della serotonina.
Quando si tratta un OCD bisogna dare il farmaco più pulito possibile.
• PAROXETINA ovvero il vecchio Sereupin, ma adesso ha tanti altri
nomi, perché è generico.
È uno dei farmaci leader del mercato e ha diverse indicazioni. Non è come
la fluvoxamina, cioè un inibitore del SERT puro, ma ha anche altre minime
azioni come l'azione anticolinergica.
Come la Fluvoxamina, oltre che nella depressione maggiore, è indicato nel
disturbo ossessivo compulsivo anche se viene usato in maniera inferiore
rispetto alla fluvoxamina. Può essere usato anche come profilassi per la crisi
198
di panico (cioè impedisce alla crisi di panico di presentarsi) e nella fobia
sociale. Quest'ultima ha aperto il dibattito sulla cosmesi farmacologica per
cui la fobia sociale non è considerata come una vera e propria malattia, ma
come una forma di timidezza esasperata quindi non una malattia e quindi
alcuni psichiatri non ritengo necessario dare Paroxetina.
La Paroxetina agisce anche contro il disordine (o sindrome) post traumatico
da stress.
Apriamo una breve parentesi sul GAD (disordine d’ansia generalizzato)
sulla crisi di panico, sulla fobia sociale e sulla sindrome post traumatica da
stress.
L’ansia per definizione clinica è la paura del nulla e nasce da un rinforzo
sinaptico patologico della fear memory: cioè la memoria della paura. Non è
episodico, ma costante e di lunga durata. Non va confusa come sigla, con la
GAD intesa come glutammato decarbossilasi cioè l’enzima che sintetizza il
GABA dal glutammato.
La crisi di panico è invece una momentanea burrasca neurovegetativa = una
crisi acuta d’ansia con fenomeni neurovegetativi associati come angor,
sudorazione, tachicardia. È un evento circostanziato, spesso associato a
determinate situazioni (per esempio quando uno è chiuso in un ascensore,
o prende l'aereo, o si trova in luoghi aperti e affollati) .
È un evento della durata più limitata, episodico ed estremamente
sconfortante.
Quando viene l’attacco di panico, il paziente può assumere sul momento
delle gocce di benzodiazepine che possono essere così assorbite
rapidamente e fare effetto.
La fobia sociale invece è quella situazione particolare in cui, per esempio,
in una situazione conviviale alcuni soggetti non riescono completamente ad
aprire bocca, poiché totalmente intimiditi dalla presenza di nuove persone .
La sindrome post traumatica da stress è l'insieme delle alterazioni
psicosomatiche conseguenti ad un evento traumatico tale per cui i pazienti
sviluppano una bassa resilienza agli stress anche minimi e sono affetti da

199
ansia e depressione (nella foto il Maggiore Hunt,
tornato dall’Iraq soffrirà di PTSD, fino a mettere a
rischio la vita della sua partner, Grey’s Anatomy).
Uno studente chiede: Per quanto riguarda il disturbo depressivo
persistente (un tempo chiamato distimia), vanno bene come nella
depressione maggiore gli SSRI o sono preferibili altre categorie di
farmaci ? Il prof risponde: gli SSRI possono andare molto bene anche in
questo caso, anche perché gli SSRI hanno un impatto favorevole nei
confronti dell’apparato cardiovascolare. In questi casi in alternativa agli
SSRI si possono usare SNRI, bisogna invece agire con cautela se si vuole
somministrare triciclici perché fare dei trattamenti molto lunghi (cosa che
questo disturbo richiede) non va molto bene a causa dei molti effetti
collaterali che i triciclici hanno.

Ritorniamo ad elencare gli SSRI.

• La SERTRALINA è un farmaco che, oltre ad inibire il SERT, ha una


certa capacità di inibire il trasportatore della dopamina .
Le indicazioni in scheda tecnica per la Sertralina sono le stesse di quelle per
la paroxetina (depressione maggiore, ansia generalizzata, panico sindrome
post traumatica da stress).
La sertralina è il famoso ZOLOFT anche lui adesso generico.
Bisogna fare Attenzione ai dosaggi. Negli Stati Uniti si arrivano a dare
anche 200 mg di zoloft , quando normalmente in Italia lo zoloft viene dato
a dosaggi di 50 mg. Questo perché negli Stati Uniti si guarda sempre di più
all'efficacia che alla possibilità di sconfinare sugli effetti avversi. Lo
abbiamo visto anche per la Clozapina, per cui si arriva anche a dosaggi di
500-600 mg. Mentre in Europa e in Italia si guarda con molta attenzione al
profilo di sicurezza e di tollerabilità di un dosaggio farmacologico.

• CITALOPRAM (Elopram) e il suo isomero attivo che si chiama


ESCITALOPRAM (chiamato anche cipralex o entart). L'unica
differenza tra i due farmaci sta nei dosaggi. L'escitalopram essendo la
versione attiva del citalopram viene dato a dosaggi dimezzati, quindi
20 mg anziché i consueti 40 del citalopram.
200
Le indicazioni in scheda tecnica di questi farmaci sono le stesse della
Sertralina: depressione maggiore, GAD, panico, disordine post traumatico
da stress, fobia sociale ecc.

FARMACI CON UN’INDICAZIONE SPECIFICA (li puoi usare solo


per…)
secondo i risultati degli studi di fase 3.
Per il PROZAC e la FLUOXETINA l’unica indicazione è la depressione
maggiore, il binge eating (bulimia) e l’intervento nei bambini con più di otto
anni non responsivi alla psicoterapia.
Per la FLUVOXAMINA l’indicazione è depressione e disordine ossessivo
compulsivo.
ALTRE INDICAZIONI DEGLI SSRI
Depressione da interferoni. Gli Interferoni sono molecole che vengono
utilizzate in determinate circostanze: l’ interferone , per esempio, viene
usato nel trattamento della sclerosi multipla, l’ interferone , soprattutto
nella forma pegilata, viene utilizzato nel trattamento dell’epatite c e b, dei
melanomi ecc.
Anche alcuni schemi per la terapia del coronavirus COVID 19 prevedono
l'uso di interferone, perché come sapete interferone nasce come antivirale.
Tra l’interferone  e l’ interferone  il più depressogeno è l’interferone
.Quindi per la depressione da interferone gli SSRI sono farmaci di
prima indicazione.
Questo tipo di depressione non è da sottovalutare. Gli interferoni sono
molecole con un comportamento non sempre prevedibile. Per esempio,
l’interferone  non viene utilizzato per altre malattie autoimmuni (celiachia,
IBD, psoriasi) e nonostante questo si dà nella sclerosi multipla, mentre
l’interferone  non funziona nella sclerosi multipla, ma funziona nelle
epatiti ed è difficile capire i meccanismi farmacologici capaci di giustificare
tutto ciò.

201
Cri sindrome= Il pianto nei pazienti che hanno avuto un ictus cerebrale. Il
professore racconta della sua personale esperienza con suo nonno il quale
aveva avuto un ictus e ne approfitta per dire che gli SSRI sono farmaci che
possono essere ben tollerati da soggetti anziani, perché non sono
cardiotossici e non interagiscono con i recettori 1 e i muscarinici a
differenza dei triciclici.
Flashing durante il climaterio = alterazioni vascolari che avvengono
soprattutto la notte con vampate di calore sudorazioni che svegliano
continuamente la donna.
In questo caso i farmaci di prima linea sono gli estrogeni. In menopausa si
fa terapia sostitutiva con associazioni estroprogestiniche con dosaggi di
estrogeni più bassi rispetto a quelli che si usano come contraccettivo orale.
In alternativa agli estroprogestinici si possono utilizzare gli SSRI, anche se
sono meno efficaci degli estrogeni in sostituzione. Si possono utilizzare
anche pregabalin (Lirica) e Gabapentina (Neurontin).
Diversa è la situazione del climaterio farmacologico indotto dal tamoxifene.
Il tamoxifene è un farmaco usato per trattamento del k mammella in
premenopausa e ormonosensibile, cioè un tumore che esprime il recettore
per gli estrogeni e il recettore per il progesterone. Si fanno 10 anni di terapia.
Dopo la menopausa il tamoxifene si usa di meno perché questo stimola i
recettori per gli estrogeni nell’utero e quando il ciclo ovarico non c’è più
aumenta il rischio di k dell’utero. In sua sostituzione si usano gli inibitori
dell’aromatasi.
L’unico farmaco SSRI che può essere preso in considerazione durante un
trattamento con tamoxifene è l’escitalopram. Il motivo è il seguente: il
tamoxifene viene trasformato nella sua forma attiva (endoxifene) dal
CYP2D6 e blocca i recettori per gli estrogeni nel SNC inducendo un
climaterio farmacologico. Gli SSRI interferiscono con il CYP2D6.
Quindi somministrarli in questa situazione determina il fallimento del
trattamento verso il k della mammella.
L’escitalopram è l'unico farmaco che non interferisce con CYP2D6. Guai a
dare in questi casi paroxetina o fluoxetina. Porre attenzione per la

202
fluvoxamina perché la sua azione sul CIP2D6 è più limitata però in parte c’è
inoltre inibisce diversi CIP. La sertralina è un debole inibitore dei CYP.
Ci sono dei predittori di risposta agli SSRI? Sì, e ce ne sono diversi, Il
principale è il polimorfismo del SERT. Se ho il fenotipo short ho una ridotta
espressione del SERT. Se invece ho il fenotipo long ho una elevata
espressione del SERT.
Quindi chi è più esposto alla depressione maggiore e al disordine post
traumatico da stress? Controintuitivamente è più esposto chi ha una ridotta
espressione del SERT. Questo accade perché c’è una sinapsi serotoninergica
all'interno del nucleo del rafe tra l'interneurone serotoninergico e il neurone
di proiezione.
La maggior parte dei caucasici ha più frequentemente un’aumentata
espressione del SERT, nella minoranza che ha una ridotta espressione si ha
una minore risposta agli SSRI. Ed è normale, perché il substrato di azione
degli SSRI è il SERT. Quindi se questi soggetti hanno meno trasportatore
ad alta affinità per la serotonina (SERT) avranno una risposta inferiore alla
somministrazione dell’SSRI.
SERTRALINA (detta ZOLOFT)
Oggi è generico e in commercio si trova con diversi nomi. Usata in dosaggi
di 50 mg per os. Tutti gli SSRI vengono usati per via orale, ma non è escluso
che ci possa essere una somministrazione per altre vie. Inoltre, tutti gli
psicofarmaci in assoluto che vengono somministrati per via intramuscolo
funzionano meglio. Nelle review internazionali il range di dosaggio della
sertralina va da 50 ai 200 mg Anche se le schede tecniche europee non
salgono oltre i 50 mg di dosaggio. Il valore di affinità deve essere valutato
criticamente calcolando la quota libera del farmaco che voi avete allo steady
state.
Ha un’affinità per il SERT di 0,4 nM(le stime di affinità sono tutte espresse
in nano molare).
Ha un’affinità nei confronti del NAT (trasportatore ad alta affinità della
Noradrenalina ) di 420nM.

203
Questo valore vuol dire che non ha alcuna azione sul NAT. Quindi
sicuramente è un potentissimo inibitore del SERT, ma affinché possa agire
sul NAT bisogna darne in quantità enormi, cosa che normalmente non
succede .
Ha un' affinità per il DAT (trasportatore della dopamina) di 25 nM.
Ha un'affinità per i recettori 1 adrenergici che varia dai 36 e 480 nM.
Quindi questo è un bersaglio assolutamente inesistente, che non va tenuto
in considerazione.
Quindi i bersagli principali della sertralina sono: il SERT, il DAT e i
recettori  (sigma).
I recettori  sono ancora un grande mistero. Inizialmente sono stati
classificati come recettori oppioidi, responsabili dell’azione allucinogena
degli oppioidi che a volte ci può essere. Poi si è scoperto che questi recettori
1 e 2 non hanno niente a che vedere con i recettori oppioidi, ma sono
recettori legati ad alcune attività enzimatiche intracellulari ancora
sconosciute. Se attivati possono dare delle manifestazioni allucinogene. La
cosa interessante è che la fluvoxamina viene classificata come un agonista
dei recettori  tutti gli altri compresa la sertralina, di cui stiamo parlando,
sono invece degli antagonisti . Il ligando dei recettori  è SKF10.047.
La sertralina è in grado di interagire con il DAT molto poco.
Sertralina, paroxetina e prozac hanno un legame diretto con la 3--
steroidodeidrogenasi (enzima che converte il diidroprogesterone in
alloprengnanolone) e lo attivano, aumentando la sintesi di neurosteroidi.
Sono SBSS, cioè selective brain steroidogenic stimulants.
Uno studente chiede: il farmaco legato alle proteine plasmatiche risente dei fenomeni di spiazzamento?
Risposta del prof: senz’altro si. Questo è un altro punto fondamentale. Non solo la sertralina ma tutti gli
SSRI si legano alle proteine plasmatiche, chi più chi meno. Se aumenta la quota libera del farmaco,
perché c’è un altro farmaco che fa competizione per il sito di legame sulla proteina plasmatica, potreste
raggiungere la quota per inibire anche il DAT e comincerebbero ad esistere dei meccanismi attivanti
che interesserebbero il sistema mesolimbico.

La sertralina è un debole inibitore del CYP2D6. Invece paroxetina e


fluoxetina sono potenti inibitori del CYP2D6 ed è in questo caso che
dovremmo approfondire la cosa.
204
Il CYP2D6 metabolizza la ciclofosfamide, ifosfamide usati in patologia
neoplastica, la ciclofosfamide è a volte usata nella sclerosi multipla. La
ciclofosfamide viene bioattivata dal CYP2D6, quindi se questo CYP è
bloccato la ciclofosfamide non funziona più. Quindi i polimorfismi
inattivanti del CYP2D6 impediscono l’azione della ciclofosfamide. Quindi
se avessi un paziente con ciclofosfamide in terapia per curare uno stato
depressivo concomitante utilizzerei escitalopram che è un farmaco che
invece non ha interazioni di questo tipo, oppure cambierei categoria di
antidepressivi.
Il CYP2D6 metabolizza anche l’Efavirenz (inibitore non nucleosidico della
trascrittasi inversa) contenuto nell’ATRIPLA, per il trattamento dell’HIV
insieme a tenofovir ed emtricitabina. Di Efavirenz se ne prende una singola
pillola al giorno, è un teratogeno soprattutto nel primo trimestre di
gravidanza, e dà disturbi di tipo neurospichiatrico (allucinazioni
ipnagogiche= sogni vividi a contenuto terrifico).
Il bupropione (velbutrin o ziban) è farmaco antidepressivo della categoria
degli NDRI (cioè inibitori della ricaptazione di noradrenalina e dopamina)
che si comporta come una cocaina in piccolo. Sotto il nome di ziban è usato
per la detossificazione dal fumo di sigaretta. Associare un SSRI con un altro
farmaco antidepressivo non è conveniente, perché aumenta il rischio di
creare interferenze di natura farmacodinamica o nel metabolismo. Al
massimo si può fare una associazione con delle sostanze che hanno una
valenza antidepressiva, ma non vengono classificate come tali (es. acetil-
carnitiina o nicetile).
Passiamo adesso agli effetti avversi della Sertralina e iniziamo a prenderli
in considerazione. Ci sono alcuni effetti avversi di classe degli SSRI, che
hanno le loro giustificazioni e riguardano il peso corporeo, la disfunzione
sessuale e i disturbi gastrointestinali.
Per quanto riguarda i disturbi gastrointestinali, non spendiamo molte parole:
gli SSRI potenziano la trasmissione serotoninergica. L’intestino produce più
del 90% della Serotonina e, quando questa è stata scoperta, venne definita
enterammina proprio perché aveva derivazione intestinale. Chi si mette a
valutare i livelli di Serotonina o metaboliti nel plasma in relazione alla
depressione, fa una delle più grandi coglionerie della storia. Questo perché
205
la Serotonina misurata nel sangue è quella contenuta nelle piastrine, che
deriva largamente dall’intestino ed è quindi funzione del rapporto tra la
mucosa intestinale, il cibo ed il microbiota. Quindi con la depressione non
ha niente a che vedere. Fermo restando che il microbiota ha un rapporto con
la depressione, perché se prendete dei topi depressi e trasferite le loro feci a
topi non depressi, questi ultimi acquisiscono la patologia. Se prendete,
invece, le feci dei topi non depressi e le trasferite nell’intestino dei topi
depressi, la depressione guarisce in questi ultimi. Discorso questo che fa
riflettere, specie perché oggi si fa il trapianto fecale per il trattamento della
colite pseudomembranosa da Clostridium Difficile. Quindi, quando
prendete queste feci liofilizzate per ricostituire il microbiota, in realtà sono
feci di un donatore, che magari non ha infezioni, ma che però può avere
problemi a carico del SNC, che possono essere potenzialmente ereditati.
I disturbi gastrointestinali ci sono sempre quando si assume un SSRI.
E qual è l’unica possibilità per evitare i crampi addominali, nausea, vomito,
che avete per l’attivazione dei recettori 5HT3 e 5HT4? Titolare. Se si deve
arrivare a 50-100 mg di Sertralina al giorno, si comincia da poco: salite da
10 mg, poi andate a 20 mg, a 50. Si fa una titolazione dopo qualche giorno
e così minimizzate gli effetti avversi gastrointestinali. Magari inizialmente
somministriamo l’SSRI la sera, in modo tale da poter avere questi effetti
iniziali la notte e renderli così abbastanza tollerati.
Ovviamente titolando perdete del tempo, quindi il paziente ve lo deve
permettere, nel senso che gli SSRI funzionano dopo 3-4 settimane e non
prima, quindi titolando arriviamo a dosaggio pieno solo dopo un certo
periodo.
Il secondo aspetto che consideriamo è la disfunzione sessuale.
La disfunzione sessuale è un dato comune a tutti gli SSRI. Ciò deriva dal
fatto che si ha una pletora di effetti dipendenti dai recettori serotoninergici.
Il recettore 5HT1A, che si trova nel neurone serotoninergico e ne spegne
l’azione, è anche un recettore importante per l’ansia, perché Buspirone,
Gepirone e Ipsapirone sono degli ansiolitici non benzodiazepinici.
Cosa faccia questo recettore nei confronti dell’erezione, non si sa, però
accelera l’eiaculazione. Quindi l’attivazione del 5HT1A tende a dare
eiaculazione precoce. Quindi il recettore 5HT1B aumenta l’erezione e
ritarda l’eiaculazione, di conseguenza qui si riscontrerebbe un beneficio. La
206
maggior parte di queste evidenze viene dall’uso di farmaci selettivi su topi
knock out, dove è stata misurata la frequenza di eiaculazione, che quindi poi
va rapportata all’uomo.
Il recettore 5HT1D riduce l’erezione e non si sa che effetto abbia
sull’eiaculazione.
Il recettore 5HT2A è l’assoluto protagonista della schizofrenia, interessante
anche per il trattamento della depressione maggiore, e la Psilocibina agisce
proprio qui. Il
5HT2A riduce l’erezione: se diamo Psilocibina e funghi magici la funzione
erettile è probabilmente inibita, ma la Psilocibina ha un’emivita di 4h e il
recettore 5HT2A viene attivato per 4-5-6 h e poi non lo è più. Mentre
l’effetto della Psilocibina sul tono dell’umore diventa persistente. E quindi
il problema di tipo erettile è di secondaria importanza. Non vi sono, invece,
dati significativi sull’eiaculazione. Il recettore 5HT2B è quello nei
fibroblasti responsabile della fibrosi da Ergot, perché è il recettore che
controlla la produzione di TGFβ. Per questo motivo composti come la
Cabergolina possono dare fibrosi valvolare. Il recettore 5HT2B inibisce
l’erezione. Il recettore 5HT3 inibisce la funzione erettile. Il recettore
5HT2C, il più importante per la regolazione del peso corporeo, aumenta
l’erezione e ritarda l’eiaculazione. Quindi in
quest’ampia gamma di recettori serotoninergici ognuno con una sua azione,
cosa fanno gli SSRI? Gli SSRI possono dare in primis disfunzione erettile,
ma il loro effetto principale è sull’orgasmo: tendono, infatti, a dare
anorgasmia. Danno l’anorgasmia sia nell’uomo che nella donna, perché il
tessuto erettile del clitoride e da qui l’orgasmo clitorideo, ha delle
caratteristiche simili a quelle dei corpi cavernosi. L’anorgasmia o il ritardo
dell’orgasmo dati dagli SSRI hanno anche una potenziale applicazione
terapeutica per i soggetti affetti da eiaculazione precoce. Questi soggetti
potrebbero prendere il Prozac o un altro SSRI soltanto un paio di giorni
prima rispetto al previsto rapporto sessuale e migliorare la performance
sessuale per poi non assumerlo più. Ovvero in questo caso non è necessario
un trattamento prolungato come normalmente si fa per il trattamento della
depressione. Quindi la
disfunzione sessuale da SSRI esiste, riguarda per lo più l’eiaculazione e
l’anorgasmia nella donna, piuttosto che la disfunzione erettile. Alcuni
207
possono comunque avere la disfunzione erettile, ma è relativo.
È uscita da poco
una nuova sindrome inaspettata, la PSSD, ovvero Post SSRI sexual
dysfunction. Significa che vi sono soggetti trattati con SSRI, tra cui la
Sertralina, che presentano disfunzione sessuale, questa volta anche con
disfunzione erettile, problemi all’orgasmo e alla libido, e questi effetti
persistono anche dopo la sospensione del trattamento. Persistono in genere
per 3-4 settimane, ma nel caso del Prozac arrivano anche a persistere per più
mesi, rendendo la situazione critica. Le ragioni
neurobiologiche o genitali alla base del fenomeno non sono ancora note.
Questa sindrome è condivisa da tutti gli SSRI, amplificata nel caso della
Fluoxetina, e comune anche a diversi SNRI, come si vede con Venlafaxina,
Duloxetina e Milnacipram, ma nel modo più assoluto non si vede con la
Vortioxetina. La Vortioxetina ha questo vantaggio nel profilo di
sicurezza e tollerabilità: non dà disfunzione sessuale. Tuttavia, dà nausea.
Visto che questa PSSD sta diventando un campanello d’allarme, la
Vortioxetina diventa vantaggiosa. La nausea resta però uno dei suoi talloni
d’Achille, che si ha in 1 paziente su 10 e, se non ben gestita, costringe alla
sospensione. Ed è veramente strano che la Vortioxetina, nonostante sia un
potente bloccante del recettore 5HT3, la cui azione dovrebbe esitare quindi
in un effetto antiemetico (se pensiamo all’Ondansetrone e al Palonosetrone),
dia nausea e vomito. Altro aspetto tra gli effetti avversi è il peso corporeo.
La Fluoxetina ha come indicazione il binge eating, quindi si potrebbe
pensare che l’effetto degli SSRI sia prevalentemente anoressizzante. Nella
realtà non è così, perché spesso i pazienti sotto SSRI hanno aumento del
peso, molte volte anche in maniera abbastanza significativa.
Analizziamo dunque cosa fanno i recettori serotoninergici nei confronti del
peso corporeo.
Il recettore 5HT1a aumenta il peso. Il recettore 5HT1b ha invece effetto
anoressizzante. Il recettore 5HT2a aumenta il peso. Il recettore 5HT2c è
quello che più di tutti fa dimagrire, inibendo potentemente il comportamento
alimentare. Quando si è parlato di Olanzapina e Clozapina, una delle ragioni
per cui il peso corporeo aumentava così tanto era proprio il blocco del
5HT2c. In quel caso, soprattutto con Olanzapina, ma anche Clozapina, c’è

208
anche il blocco del recettore H1. L’azione antistaminica combinata al
blocco dei recettori 5HT2c è il miglior cocktail per far ingrassare
qualcuno. Olanzapina e Clozapina, quindi, lo fanno in maniera drammatica.
Se, invece, si ha attivazione del 5HT2c la tendenza dovrebbe essere verso il
dimagrimento; però a lungo andare il 5HT2c viene desensibilizzato e per
questo gli SSRI tendono generalmente all’aumento del peso corporeo.
Contrariamente a Fluoxetina usata per il binge eating. Il recettore 5HT3
attivato riduce il comportamento alimentare nei soggetti a digiuno, ma non
ha invece effetto nei soggetti che hanno da poco mangiato.
Cosa da sottolineare è il ruolo del 5HT2c, che fa dimagrire. Se gli SSRI
aumentano la quantità di Serotonina nella fessura intersinaptica, ci si
aspetterebbe un dimagrimento mediato dai recettori 5HT2c. Tuttavia, questi
ultimi si desensibilizzano dopo un po’, perché bombardati dalla Serotonina
e l’effetto finale degli SSRI è un incremento ponderale.
Per quanto riguarda il peso, la Sertralina si colloca a metà. Citalopram,
Fluvoxamina e Paroxetina sono quelli che fanno ingrassare maggiormente.
Poi si ha la Sertralina ed infine la Fluoxetina. Nel caso della Sertralina
l’acquisto ponderale è di circa 1 kg e mezzo nell’arco di 30 mesi, non è
eccessivo. Con la Clozapina, infatti, in letteratura sono stati descritti casi di
soggetti che hanno preso addirittura 20-30 kg all’anno. Per il problema della
disfunzione sessuale, le stime sono molto più elevate: per esempio, i pazienti
trattati con Sertralina hanno un 67% di disfunzione sessuale, soprattutto
relativa all’orgasmo, contro il 18% del placebo. Bisogna stare attenti anche
alla possibilità della persistenza della disfunzione sessuale come visto nella
PSSD.
Per l’esame di psichiatria, dunque, in merito agli SSRI potreste dare questa
definizione riguardante la PSSD, evidenziata e documentata proprio
dall’Agenzia Europea dei Medicinali.
Altri effetti avversi della Sertralina sono l’ansia, l’agitazione e
l’insonnia, più frequenti con il Prozac, ma modificabili. In questo ambito la
Sertralina ne ha sicuramente di più rispetto alla Paroxetina. al Citalopram e
alla Fluvoxamina. Per quale motivo ci possono essere ansia, agitazione e
insonnia? Perché c’è questo problema sul DAT, il trasportatore della
Dopamina, che a determinati dosaggi può essere inibito. Sostanze che
209
bloccano il DAT sono il Bupropione e la Cocaina in testa e il Solriamfetol,
usato per il trattamento della narcolessia. Poi tra gli altri effetti abbiamo la
distonia oro-mandibolare, molto raro. Questo effetto avverso è stato
attribuito all’inibizione del DAT da parte degli SSRI, al loro potenziamento
della trasmissione dopaminergica. Se si hanno delle sindromi
dopaminergiche, coreiche, in effetti si possono avere anche dei disturbi
distonici. La distonia oro-mandibolare è tipica della Sertralina, mentre
non c’è con gli altri SSRI.
Poi si ha il problema della gravidanza e dell’allattamento. Per l’allattamento
evitate qualunque SSRI, perché passano nel latte. Questo può
significare sospendere il trattamento antidepressivo della donna quando
inizia l’allattamento, cosa critica per via della depressione post partum. A
riguardo di quest’ultima, si è parlato del Brexanolone, nuovo neurosteroide
che si dà per infusione in vena.
Per la gravidanza un SSRI da evitare è la Paroxetina, che dà difetti cardiaci.
Quindi il Sereupin mai in gravidanza. Per gli altri farmaci SSRI in
gravidanza i dati sono molto meno solidi.
Uno dei problemi più controversi è proprio quello inerente agli psicofarmaci
in gravidanza. Fatta eccezione per la Teriflunomide nella Sclerosi Multipla,
che è un teratogeno quasi obbligato, per tutti gli altri farmaci generalmente
indicati come “sconsigliati in gravidanza” l’esperienza non è in realtà così
solida.
Con un farmaco come la Sertralina c’è una franca teratogenicità? No, ma in
genere la gravidanza si accorcia in media di tre giorni. C’è anche una
tendenza alla riduzione del peso del bambino di 75 gr. E poi si consideri il
punteggio di Apgar, assegnato dal pediatra alla prima visita del neonato: si
può assistere ad una riduzione di quest’indice di 0,4 punti, se è stata assunta
Sertralina in gravidanza.
Poi c’è uno spauracchio di carattere generale rappresentato dalla sindrome
serotoninergica (tratto questi affetti avversi nel dettaglio con la Sertralina,
ma questi poi ritornano anche con gli altri SSRI).
La sindrome serotoninergica è già stata incontrata con l’MDMA, l’Ecstasy,
ed è una sindrome da iperattivazione della trasmissione serotoninergica, che
210
è largamente mediata dall’attivazione dei 5HT2A, ma non soltanto. È una
sindrome che ha dei segni che interessano il SNC, come per esempio
l’agitazione, segni vestibolari, alterazione dei movimenti oculari,
convulsioni. Ha anche segni gastrointestinali per il ruolo fondamentale della
serotonina nella progressione del bolo e delle secrezioni alimentari. Inoltre,
questa sindrome serotoninergica ha dei prodromi rappresentati dal trisma,
dal bruxismo. Se ad un rave vi vendono dell’Ecstasy e non avete almeno un
po’ di bruxismo, è ovvio vi abbiano preso in giro perché non si tratta di
Ecstasy. Il bruxismo è un fenomeno che si verifica prevalentemente di notte,
momento in cui la trasmissione serotoninergica è amplificata.
Ma il problema critico della sindrome serotoninergica è l’ipertermia
maligna, che può arrivare a 42°. A quel punto si assiste ad una grande
traspirazione, per eliminare il calore; c’è un’enorme riduzione del volume
plasmatico, si ha collasso cardiocircolatorio e multiorgan failure.
L’insufficienza multiorgano coinvolge gli organi maggiormente interessati,
ovvero cuore, fegato e rene, potendo così arrivare a morte. Il paziente
dev’essere ben reidratato, anche se non eccessivamente perché altrimenti si
rischia l’edema polmonare e cerebrale.
Con gli SSRI non c’è rischio d’incorrere nella sindrome
serotoninergica, perché è molto rara. Ma qui entra in gioco
l’interazione tra farmaci: non vanno associati gli SSRI ad altri farmaci
serotoninergici. Tra questi annoveriamo soprattutto gli inibitori delle
MAO, delle monoamino ossidasi, in particolare quelli irreversibili come la
Tranilcipromina (ovvero il Parmodalin che non è più in commercio) e la
Fenalzina (in foto un riferimento alla storia di Libby Zion, Libby è una
ragazza deceduta, perché
uno specializzando del PS
le ha somministrato il
demerol, mentre lei era in
terapia con la fenalzina
per la depressione. È
morta di sindrome
serotoninergica, la sua
storia negli USA è
famosissima, ha
211
consentito la prmulgazione della legge Libby Zion sulle ore di lavoro degli
specializzandi e sulla supervisione del loro operato negli ospedali. Potete
rivedere una ricostruzione della storia nella puntata 01x01di Law & Order,
prescription of death).
SSRI e inibitore delle MAO è una combinazione nefasta, che dà forte
rischio di una sindrome serotoninergica: l’inibitore delle MAO inibisce il
metabolismo della serotonina e l’inibitore del SERT, l’SSRI, non fa
ricaptare la serotonina, che si accumula enormemente nella fessura
sinaptica e attiva tutto il possibile. Altra interazione da evitare è quella
con MDMA o con qualunque allucinogeno di natura anfetaminica che
rilasci Serotonina, come l’Ecstasy, ovvero Adamo, Eva o anche la
Mescalina. Ma il rapporto tra i derivati anfetaminici che rilasciano
serotonina, cioè che hanno i gruppi metilici metossi- e metilendiossi-
nell’anello aromatico, e gli SSRI è particolare. Perché se si ha già l’SSRI in
trattamento e poi si somministra l’Ecstasy, questa semplicemente non
funziona, in quanto ha bisogno del SERT per entrare nella sinapsi e far
rilasciare serotonina, che però è bloccato ed inibito dall’SSRI nel caso
specifico. Ma se un ragazzo ad un rave assume prima l’MDMA e subito
dopo l’SSRI, l’Ecstasy rilascia Serotonina e l’SSRI non la fa più
ricaptare: ciò determina una sindrome serotoninergica gravissima.
Bisogna fare anche attenzione quando l’SSRI si combina con il Litio,
perché il Litio ha una componente serotoninergica abbastanza marcata,
che può esser preludio di una sindrome serotoninergica. Quindi se c’è in
terapia di disturbo bipolare un SSRI, lo si combina di certo con un
antipsicotico come Olanzapina, Risperidone o Valproato, porre attenzione
al Litio, per evitare di potenziare erroneamente la trasmissione
serotoninergica.
In farmacia si trova il cosiddetto TriptoH, ovvero il 5-idrossitriptofano,
precursore della Serotonina. Questo farmaco in passato veniva usato come
una specie di antidepressivo ma, essendo precursore della Serotonina, non
va combinato con gli SSRI, per evitare anche in questo caso la sindrome
serotoninergica.
Inoltre, in terapia potreste avere il Linezolid, un antibiotico che inibisce la
subunità 50S, ma è anche un debole inibitore delle MAO. Anche qui si deve
212
fare attenzione all’associazione tra Linezolid ed SSRI. Il Linezolid è un
farmaco ospedaliero; per incontrarlo, dovreste essere in un reparto in
Ospedale e per esempio avere un’infezione da Gram+ resistenti, come un
VRSA o un GRE, cioè un enterococco resistente ai glicopeptidi o uno
Staphylococco aureus vancomicina resistente. A questo punto si dà il
Linezolid come ultima risorsa. Se quel soggetto è depresso e sta facendo un
SSRI, bisogna prestare attenzione alla sindrome serotoninergica.
Infine, vi sono diversi oppioidi, che possono avere una componente
serotoninergica, uno su tutti è il Tramadolo, che è anche un inibitore della
ricaptazione della Serotonina e della Noradrenalina, ma anche lo stesso
Fentanyl e la Meperidina (Demerol, vedi Libby Zion) hanno una
componente serotoninergica. Quindi, l’associazione SSRI - oppioidi è da
gestire con molta attenzione. Si potrebbe incorrere anche in un’overdose;
vi ho detto che se si superano i 400 mg di Sertralina oppure se questa è presa
a scopo di suicidio, in questo caso può verificarsi la sindrome
serotoninergica.
Per un’overdose si ha emesi, letargia, atassia, manifestazioni serie a carico
del SNC, convulsioni e tachicardia. Ma con l’overdose succede si recluti
anche il NAT, perché si raggiungono concentrazioni libere plasmatiche che
si avvicinano a 300/400 nM. Quindi, bloccando il NAT in periferia, inizia a
non esser ripresa la Noradrenalina, generando effetti pesanti.
Infine, c’è una cosiddetta sindrome da discontinuazione, fondamentalmente
da astinenza nei confronti del farmaco, che riflette il fatto che si sta
controllando la depressione e ad un certo punto si blocca la
somministrazione del farmaco, assistendo a questa discontinuation
syndrome. Quest’ultima è caratterizzata da flu-like syndrome (che si ha
anche in caso d’assunzione di Interferoni), da disturbi del tono dell’umore
e, infatti, può verificarsi una recrudescenza della depressione, disturbi del
pensiero. Però questi disturbi da discontinuazione sono di breve durata.
Questi disturbi non si hanno mai con la Fluoxetina, perché ha una lunga
emivita e viene metabolizzata in Norfluoxetina, che ha un’emivita ancora
più lunga. Quindi, pur sospendendo la somministrazione del Prozac, nella
realtà non si assiste a sintomi da discontinuazione in maniera così evidente.

213
Passiamo al secondo farmaco, la Fluvoxamina, il vecchio Maveral. È
innanzitutto un inibitore puro del SERT, nei cui confronti ha una costante
d’inibizione di 2.5 nM. In realtà la Sertralina ha un’affinità per il SERT
ancora maggiore; ma il problema è che, andando a vedere tutti gli altri
bersagli della Fluvoxamina, l’affinità verso questi altri potenziali bersagli
come NAT, DAT e altri recettori vari è talmente bassa che è quasi
impossibile la Fluvoxamina recluti altri recettori. Quando si fanno i dosaggi
indicati tra 100 e 300 mg (sapevo che la Fluvoxamina si desse in dosaggi
con range di 100-150 mg, ma ancora una volta ho incontrato dosaggi molto
più alti sui 300 mg), si hanno concentrazioni plasmatiche da 23 a 227 ng/ml.
Considerato il peso molecolare e che l’80% è legato all’albumina, la quota
libera è intorno a 100 nM. Tenendo conto di questa quota libera, perché poi
la concentrazione finale è di 500 nM, quindi la quota libera è del 20%
considerando la restante parte legata ad albumina, questo 100 nM è più che
sufficiente per bloccare il SERT. Avendo 2.5 nM e 100 nM di quota libera,
il SERT è inibito del tutto senza però intaccare gli altri potenziali bersagli,
che sono molto più alti.
Il problema critico della Fluvoxamina riguarda il metabolismo, mediato
principalmente dal CYP1A2, dal CYP2C19 e dal CYP3A4. Fin qui non c’è
problema, avendo tre CYP, se uno è difettivo, ci sono gli altri a compensare
e quindi la loro contemporanea presenza può rivelarsi un vantaggio.
Tuttavia, questo è il farmaco che più degli altri interferisce col metabolismo,
perché è un potente inibitore del CYP1A2, del CYP2C19 e di 3A4 ed è un
inibitore moderato del CYP2D6. Ciò significa che qualunque farmaco si
abbia in un regime di politerapia, si verificherà un’interazione
farmacocinetica con la Fluvoxamina. In questa lista manca solo il CYP2C9
e poi tra i farmaci principali ci sono quasi tutti.
Qui ricordo la storia della mia cara cugina affetta da depressione
primariamente e da una gravissima sindrome ossessivo compulsiva. Questa
ragazza ogni tanto inverna a Lugano in una clinica psichiatrica per le cure e
la prima volta che venne ricoverata, pagando quasi 1 milione al giorno delle
vecchie lire, le hanno fatto una simpatica associazione tra Clozapina e
Fluvoxamina. La Fluvoxamina l’assume ancora con 300 mg al giorno,
perché ha questa sindrome ossessivo compulsiva con tricotillomania

214
(ovvero si toglie le sopracciglia con la pinzetta), ma la Clozapina l’assunse
in quel periodo soltanto. La Clozapina è metabolizzata, infatti,
principalmente dal CYP1A2 a dosaggi terapeutici, a dosaggi un po’ più alti
è metabolizzata dal CYP3A4. Ebbene la Fluvoxamina ha inibito del tutto il
metabolismo della Clozapina e lei è andata in intossicazione da Clozapina,
uscendone completamente distrutta. Si è dovuta detossificare, fare un piano
terapeutico nuovo, etc. Quello è stato un classico esempio di negligenza,
cioè un’inibizione farmacocinetica non presa in considerazione con un
farmaco come la Fluvoxamina, in questo senso pericolosissimo, perché
inibisce tantissimi CYP.
S’immagini un paziente che sviluppa depressione assumendo Ciclosporina,
metabolizzata dal CYP3A4: prendere anche la Fluvoxamina in tal caso
significa mandarlo in intossicazione da Ciclosporina con conseguente
ipertensione, danno renale da ipertensione renale, cioè da vasocostrizione
delle arterie renali, irsutismo e iperplasia gengivale. E tutto quanto la
Ciclosporina possa dare. O, per
esempio, si veda un paziente depresso con manifestazioni ansiose: lo
psichiatra associa Fluvoxamina e Xanax metabolizzato dal CYP3A4,
aumenta l’esposizione allo Xanax e il paziente accusa stordimento, perdita
del cognitivo.
Questa selettività molto forte nei confronti del SERT, senza altri bersagli
come nel caso della Fluvoxamina, giustifica l’intervento per l’OCD, ovvero
per il disordine ossessivo compulsivo. È qui che la Fluvoxamina è
particolarmente usata, rappresentando il farmaco d’elezione, facendo
sempre attenzione all’associazione tra farmaci.
Quanto detto poi per la Sertralina vale anche per la Fluvoxamina, non vi
sono molte differenze. È stata riportata una certa teratogenicità soprattutto
cardiovascolare nel primo trimestre di gravidanza, ma non si può paragonare
alla Paroxetina, che è quella che dà il massimo rischio. La Paroxetina è
decisamente da evitare, la Fluvoxamina può dare anche questo rischio, ma
comunque in misura minore.
Prendiamo in azione Citalopram ed Escitalopram, rispettivamente Elopram
e Cipralex. La differenza dei dosaggi tra questi due farmaci è che nel caso
del Citalopram si va sino a 40 mg, mentre per Escitalopram si va a 20 mg,

215
poi dipende dalle situazioni, perché a volte si usano dosaggi anche più alti.
Ma quelli standard rimangono questi.
Vediamo ora di valutare la specificità del Citalopram. Innanzitutto, si ha il
SERT, dove l’affinità è 1.6 nM, dunque molto elevata.
Poi si ha il NAT (o NET) con affinità di 6190 nM, quindi non c’è interazione
di alcun genere sulla Noradrenalina da parte del Cipralex. Ciò va bene dal
punto di vista cardiovascolare. Poi c’è il recettore 5HT2C da prendere in
considerazione, perché è quello che fa dimagrire; quindi, se bloccato, dà
aumento ponderale. Nel caso del Citalopram, se c’è un’interazione col
5HT2C è di tipo antagonistico, ma la costante d’inibizione è 617 nM, quindi
molto alta. Se leggete, per Citalopram ed Escitalopram c’è un’azione
antistaminica, che potrebbe interferire quando si blocca il recettore H1 del
SNC determinando depressione del SNC e dunque sonnolenza. Tuttavia, la
costante d’inibizione è 283 nM.
Quindi, con questi valori alla mano, per capire cosa accade, osserviamone i
valori plasmatici.
Dando il Citalopram, i valori plasmatici sono circa 160 ng/ml a dosaggi
terapeutici. Ma in realtà questa è una media, perché i livelli plasmatici
oscillano tra 100 e 250 ng/ml.
Se, invece, si usa Escitalopram a 20 mg, i valori oscillano tra 50 – 130 ng/ml.
Se calcoliamo una media di 160 ng/ml che si applica al Citalopram, perché
per Escitalopram scendiamo a 100 ng/ml, la quota totale è 0.5 μM, ovvero
500 nM. Se considerate che l’80% è legato a proteine plasmatiche, quindi la
quota legata è inferiore a quella della Sertralina che era del 98.5%, a questo
punto ricavate che la quota libera è 100 nM. 100 nM significa senza dubbio
assoluta capacità di bloccare il SERT; significa siamo molto lontani dal
blocco del recettore 5HT2C, perché dando Escitalopram questi 100 nM
diventano 80-70 nM.
Siamo anche qui distanti dall’H1, perché per l’H1 si hanno 283 nM, quindi
se anche considerate il valore medio del Citalopram e arrivate a 100 nM,
con 100 contro 283 un po’ di recettore H1 può esser bloccato, ma fino ad un
certo punto. Se poi si vuole arrivare fino a 250 ng/ml e andare alla parte alta
del range, a questo punto questa quota di 100 nM può diventare 150-160
nM. Ma ancora si è lontani dai 283 nM.

216
Quindi alla domanda se il Citalopram si comporti da antistaminico, posso
rispondere “ni”: nel senso che a dosaggi terapeutici la concentrazione con
Citalopram ed Escitalopram è ancora lontana rispetto alla costante
d’inibizione del recettore H1, ma non lontanissima. Cioè si ha un 280 contro
circa 100-120-80-90, quindi una leggera inibizione degli H1 va considerata.

Quindi tutto ciò comporta come azione antistaminica un aumento del peso
e un po’ di sonnolenza.
[Xanax e Cipralex insieme in una paziente danno aumento del peso
ponderale e sonnolenza: per alcuni (scuola di Cassano di Pisa in primis) è
un credo assoluto escludere la combinazione benzodiazepine-
antidepressivi, ma è pur vero che eliminare lo Xanax dalla terapia dopo
lunga assunzione sarebbe difficile. Bisognerebbe ridurre lo Xanax con una
gradualità straordinaria: se il dosaggio assunto è di 20 gocce al die, si
portano prima a 19, tenendole così per una settimana, poi per un’altra
settimana si scende a 18, poi a 17].
Non ci sono affetti avversi da sottolineare, se non il fatto che, se le dosi
superano i 40 mg nel caso del Citalopram o superano largamente i 20 mg
con Escitalopram, potrebbe esserci un allungamento del QT corretto. Non
avviene quasi mai a dosaggi terapeutici, solo sopra terapeutici. Se c’è una
cardiopatia di base, si deve stare attenti; è bene sempre monitorare potassio
e magnesio perché, se si ha allungamento del QT, l’ipokalemia e
l’ipomagnesemia oltre la bradicardia possono creare dei fattori di rischio per
le torsioni di punta. Ma, se si sta all’interno del range terapeutico, tutto ciò
non dovrebbe verificarsi. In
ultimo, parliamo del metabolismo di Escitalopram e Citalopram. Il
metabolismo non crea grandi problemi, perché è l’unico SSRI che non
interferisce coi CYP aumentando o diminuendo l’attività in nessun modo.
In realtà nessun SSRI aumenta l’attività dei CYP, ma la diminuisce. Il
metabolismo si articola così: intervengono CYP2C19, CYP3A4, che
trasformano il Citalopram ed Escitalopram in demetilcitalopram, operando
una demetilazione.
Poi in seconda battuta interviene il CYP2D6, che trasforma il
demetilcitalopram in didemetilcitalopram. CYP2D6 può anche convertirlo
in Citalopram N-ossido. Quindi, entrano in gioco tanti CYP, ed è difficile
217
che altri farmaci modifichino gli effetti del Citalopram, ma va comunque
preso in considerazione.

Undicesima lezione di farmacologia della psichiatria, 10/06/20

Riprendiamo dagli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della


serotonina). Ne restano tre:
• Il CITALOPRAM
• la PAROXETINA
• la FLUOXETINA.

Il Citalopram (il famoso Elopram, o Selopram in passato, aveva diversi


nomi) si dosa normalmente intorno a 40 mg (dosaggio massimo), fermo
restando che va sempre fatta una titolazione, come visto per la Sertralina.
Questo perché è necessario evitare disturbi gastrointestinali, che limitano la
compliance, l’aderenza al trattamento. Ovvio che gli SSRI ne causino, in
quanto la serotonina nell’intestino è prodotta in grandissima quantità, e
regola la motilità e le secrezioni. Quindi è meglio iniziare con 5 mg, per
salire a 10, 20, 40 mg; non procedere con una titolazione dell’altro mondo,
perché altrimenti bisogna attendere un’epopea prima che l’azione
antidepressiva abbia effetto. Magari è consigliato all’inizio dare il
Citalopram la sera.
Poi abbiamo anche l’Escitalopram, che invece è il principio attivo. È un
farmaco a sé stante, si chiama Cipralex, prima c’era anche l’Entact, forse
questo ancora presente in farmacia. L’Escitalopram è stato l’ultimo a
diventare generico, ora credo siano tutti generici, quindi sono farmaci
acquistabili a basso prezzo.
Se usiamo il Cipralex o l’Entact, il dosaggio si dimezza, quello massimo è
di 20 mg. Nella lezione scorsa, vi ho dato dei range di dosaggio più bassi di
questi, ma ancora una volta questo dipende dalle diverse scuole. Gli
Americani forzano i dosaggi parecchio, perché a loro interessa fino ad un
certo punto degli effetti avversi e guardano all’effetto terapeutico. Un mio
collaboratore Matteo Bernabucci ha avuto presunti problemi cardiaci, aveva
picchi d’ipertensione senza neanche attendere un attimo gli hanno dato
218
l’Isosorbite Dinitrato, che è un nitrovasodilatatore da prendere tutti i giorni,
con rischi d’ipotensione stratosferici, in quanto questi fanno da donatori di
ossido nitrico, monossido di azoto radicale, come anche la Nitroglicerina.
Eppure, loro trattano così, perché puntano ad una buona efficacia dei
farmaci. Soprattutto con gli psicofarmaci salgono parecchio, con la
Clozapina salgono a 500/600 mg, cosa che in Italia non si fa quasi mai,
siamo quasi alle soglie dell’effetto proconvulsivante della Clozapina. Ed
anche con gli antidepressivi in determinate circostanze raggiungono livelli
spaventosi; abbiamo visto che con la Sertralina salgono a 200, alle volte
anche a 400 mg, cose dell’altro mondo.
Comunque sia il Citalopram ha un 80% di legame alle proteine plasmatiche,
quando dico Citalopram intendo sia Citalopram che Escitalopram, poi viene
metabolizzato a più riprese. Perché prima intervengono due CYP19 e in
misura minore A3 A4, e trasformano il Citalopram in desmetilcitalopram, e
successivamente interviene il CYP2D6 a trasformare il desmetilcitalopram
in didemetilcitalopram. Lo stesso CYP2D6 può trasformarlo in N-ossido,
quindi ci possono essere due destini metabolici diversi.
La cosa interessante di questi due composti, ma soprattutto del Cipralex, che
è quello sicuramente più usato, è che non sono inibitori o induttori dei CYP.
Quindi si possono usare tranquillamente in associazione con altri farmaci,
se guardate la cosa dal punto di vista di cosa fa il Citalopram nei confronti
degli altri farmaci. Naturalmente se avete dei potenti farmaco inibitori, per
esempio antifungini, o altri SSRI, che non dovrebbero mai associarsi al
Citalopram, perché non ha alcun senso mettere due SSRI insieme, c’è solo
il rischio di una sindrome serotoninergica e nessun vantaggio sotto il profilo
terapeutico. Ma con questo volevo dirvi che ci sono dei farmaci che possono
accelerare il metabolismo di Citalopram ed Escitalopram, e quindi
andrebbero evitati nell’interazione.
Andiamo adesso alla farmacodinamica. Come al solito ciò che importa è la
concentrazione libera allo steady-state, ovvero la solita regola delle cinque
emivite: nel momento in cui si raggiunge lo stato stazionario, sapete che
questo è il momento in cui in teoria l’assorbimento e l’eliminazione del
farmaco si equivalgono. Quindi le concentrazioni plasmatiche oscillano
poco, ed è questo il momento in cui fare il dosaggio delle concentrazioni
plasmatiche, se vi fa piacere. Per un SSRI non è assolutamente necessario.
Questa necessità c’è ancora una volta con gli antiepilettici, col Litio,
potrebbe venir fuori con la Clozapina. Ma non sono tanti i farmaci di cui si
fa il dosaggio plasmatico.
219
Allora la concentrazione libera allo steady-state è intorno a 100 nM. Ciò
significa che, se dobbiamo esplorare la farmacodinamica, va capito se il
farmaco è in grado di legarsi a bersagli che abbiano un’affinità inferiore a
100 nM o comunque intorno ai 100 nM e non più alta.
Nei confronti del SERT, la concentrazione plasmatica è 100 volte superiore
a quella sufficiente per inibire il 50% di SERT, il che significa che il
trasportatore della serotonina è del tutto bloccato dal Citalopram.
Citalopram ed Escitalopram sono tra i farmaci con maggior efficacia
nell’inibire il trasportatore della Serotonina.
Nei confronti del NET (o NAT), il trasportatore della noradrenalina,
abbiamo 6190 nM, quindi il Citalopram non lo tocca mai, non ha alcun
effetto su NET/NAT.
Un recettore importante è il 5HT2C, legato molto al peso corporeo, perché
è il recettore serotoninergico più anoressizzante in assoluto, riduce il
comportamento alimentare.
Antipsicotici come Clozapina e Olanzapina fanno ingrassare sia perché
hanno un’azione antistaminica, ma soprattutto perché bloccano
potentemente il recettore 5HT2C. Quindi questa combinazione anti H1/anti
5HT2C determina incrementi molto significativi del peso corporeo. Nel
caso del 5H2TC l’EC50, perché si comporterebbe eventualmente come
antagonista, è intorno a 617 nM. Ciò vuol dire che se voi avete 100 nM di
concentrazione plasmatica libera allo steady state, la probabilità statistica
che il Citalopram blocchi il recettore 5HT2C è veramente remota. Mentre
invece il Citalopram ha un bersaglio che gli altri non hanno che è il recettore
H1. L’affinità per questo recettore è 283 nM, che non è alta; da ricordare che
la concentrazione plasmatica è 100 nM e questo significa sarebbe necessario
avere una concentrazione libera di Citalopram di 283 nM per inibire il 50 %
dei recettori h1 nel SNC. Ma, se ci troviamo davanti a psichiatri che
aumentano il dosaggio e invece di usare 20 mg di Escitalopram o 40 mg di
Citalopram arrivano a 80/100 mg rischiando un po’, è possibile che a questo
punto la concentrazione plasmatica si avvicini all’affinità del recettore H1.
Quindi col Citalopram si può avere un minimo di sonnolenza e d’incremento
ponderale che deriva dal blocco dei recettori H1.
Ciò è importante per una serie di considerazioni: il Citalopram ha le stesse
indicazioni degli altri SSRI, eccezion fatta per Fluvoxamina e Fluoxetina.
Vi ho detto all’inizio che Fluoxetina è indicata soltanto per la depressione e
per il cosiddetto binge eating; mentre la Fluvoxamina è per depressione ma
soprattutto OCD, disordine ossessivo compulsivo. Gli altri tre, cioè
220
Paroxetina, Citalopram, Escitalopram ed anche la Sertralina, invece, hanno
delle indicazioni più variegate: depressione, disordine d’ansia generalizzata,
crisi di panico, fobia sociale. Tutte condizioni in cui potrebbe esser richiesto
l’uso delle benzodiazepine. Ci sono psichiatri e psichiatri, al Sant’Andrea e
Policlinico sono bravissimi, ma ce ne sono di vecchia scuola, che non è che
abbiano una grande contezza delle interazioni tra farmaci, mischiano ciò che
non si potrebbe. Quindi, se per esempio in uno stato ansioso, si usa
l’Escitalopram o Citalopram e si mette la benzodiazepina, ricordatevi che
soprattutto alti dosaggi di Citalopram ed Escitalopram potrebbero dare una
certa inibizione dei recettori H1. E, se questo si combina con una
benzodiazepina, il risultato finale sarà una depressione del SNC. Quindi non
è una buona idea fare qualcosa di questo genere, perché si può avere
sonnolenza, etc.
In teoria il dosaggio del Citalopram non deve superare mai i 40 mg, così
come dell’Escitalopram i 20 mg; questo per evitare un’azione antistaminica
troppo marcata e per il rischio, che un po’ si corre con gran parte degli
psicofarmaci, ma che qui in determinate circostanze è stato documentato,
che consiste nell’allungamento del QT corretto. Questo ogni tanto lo
ritroviamo da qualche parte; da ricordare che il QT è indice della
ripolarizzazione cardiaca: nel momento in cui si allunga il QT è possibile
che un potenziale ectopico origini, per esempio, in fase 3, quando
normalmente si è all’interno del periodo refrattario e questo può portare a
quella che abbiamo definito EAD, ovvero depolarizzazione postuma
precoce, che può essere preludio alle torsioni di punta ed alla fibrillazione
ventricolare. Se il QT dovesse allungarsi aldilà di un certo limite, per
esempio 500 ms, la probabilità che queste manifestazioni vengano fuori
diventa abbastanza elevata. E a quel punto bradicardia, ipomagnesiemia,
ipokaliemia diventano precisi fattori di rischio.
Quindi Cipralex ed Elopram sono farmaci largamente usati, molto efficaci
nelle sindromi ansiose, attenzione a non combinare con le benzodiazepine.
Per esempio, c’è la scuola di Cassano di Pisa, che ha predicato e continua a
predicare che nel trattamento della depressione le benzodiazepine non si
devono utilizzare mai; ma se naturalmente utilizzate l’SSRI per una
manifestazione ansiosa, allora lì potrebbe esserci la tentazione di una terapia
combinata. E il Citalopram non si presta bene a questo proprio per la sua
azione antistaminica.

Andiamo alla Paroxetina, che sarebbe il Sereupin.


221
La Paroxetina è probabilmente l’SSRI con la più alta affinità nei confronti
del SERT, o una delle più alte, per esempio assieme alla Sertralina.
Vediamone le caratteristiche di base.
Innanzitutto, il dosaggio è simile a quello del Prozac: siamo attorno ai 20
mg / die. Anche in questo caso va fatta la titolazione, sempre fondamentale
con farmaci di questo genere. Cosa importante è che la Paroxetina viene
metabolizzata principalmente dal CYP2D6. Ma, oltre ad essere
metabolizzata dal CYP2D6 è un potente, o relativamente potente, inibitore
del CYP2D6 e 2B6. Insieme a Fluovoxamina e Fluoxetina, cioè il Prozac, è
uno degli SSRI che inibisce in maniera più marcata il metabolismo. Quindi,
viene da chiedersi cosa comporti l’inibizione del CYP2D6 e 2B6. Intanto,
l’inibizione del CYP2D6 comporta l’inibizione del proprio metabolismo. Il
che significa che iniziate a dare Paroxetina all’inizio, però poi la Paroxetina
blocca il proprio metabolismo, l’area sotto la curva aumenta e ciò vuol dire
che l’emivita si allunga sempre di più e che teoricamente potremmo ridurre
il dosaggio di Paroxetina anche al di sotto dei 20 mg al giorno. Ma in realtà
poi di fatto nessuno lo fa e i 20 mg al giorno continuano e ci sono anche
psichiatri che invece salgono e salgono con la Paroxetina. E quindi questo è
il primo punto.
La seconda è che, se s’interrompe bruscamente il dosaggio della Paroxetina
improvvisamente, il CYP2D6 recupera immediatamente e col suo recupero
ogni scorta di Paroxetina è eliminata. Quindi, si rischia un rebound, una
ricaduta della depressione, e non si ha più nessun tipo di copertura. E’ questo
un dato interessante, l’inibizione del proprio metabolismo con Paroxetina vi
mette in condizione di copertura di allungare l’emivita e tutto quanto volete,
ma nel momento in cui si sospende, il CYP2D6 recupera, metabolizza tutte
le scorte di Paroxetina con una rapidità infernale e il paziente si trova priva
del farmaco e si ha possibilità di sindrome da rimbalzo che dovete evitare.
La stessa cosa non viene fuori col Prozac perché la Fluoxetina viene
metabolizzata in Norfluoxetina, che invece è un metabolita a lunghissima
emivita. Per cui, anche se doveste sospendere la Fluoxetina per qualche
giorno, sareste automaticamente coperti. Considerate poi che la Paroxetina
inibisce il metabolismo di altre sostanze metabolizzate dal CYP2D6, che
sono le più svariate. Alcune di queste vengono detossificate dal CYP2D6:
esempio ne è la Flecainide, che scelgo come esempio perché trattasi di una
sostanza che può essere particolarmente tossica, se si accumula. La
Flecainide è un antiaritmico della classe IC nella classificazione di Vaughan
Williams. Tutti gli antiaritmici possono dare aritmie cardiache, se i dosaggi
222
vanno oltre un certo limite e la loro area sotto la curva aumenta. Quindi, per
esempio, se un paziente con fibrillazione atriale ricorrente sta facendo
Flecainide in profilassi, e la profilassi la può fare solo se la fibrillazione non
è di origine ischemica, perché sennò deve usare un altro farmaco per
scongiurare il rischio d’infarto, ma comunque sia, se sta usando Flecainide
e ha manifestazioni depressive o ansiose, non deve prendere un inibitore del
CYP2D6 per nessun motivo al mondo.
Poi ci sono farmaci che vengono bioattivati dal CYP2D6, cioè che diventano
attivi solo dopo metabolismo da parte del Cyp2D6. Questi sono
sostanzialmente tre (ma ve ne sono anche di più):
• la Codeina, farmaco che si usa nel dolore lieve moderato e come
farmaco bechico nel trattamento della tosse. La Codeina viene
metabolizzata dal CYP2D6 in morfina; gran parte dell’effetto della codeina,
che è un oppioide molto debole di per sé, deriva dalla sua conversione in
morfina. Quindi, se voi date insieme Codeina e Paroxetina, non vi aspettate
che la Codeina lenisca il dolore: non potrà farlo mai, in quanto la Paroxetina
blocca la sua bioattivazione.
• Stessa cosa viene fuori con il Tramadolo. Cosa interessante è che il
Tramadolo per essere attivo deve esser trasformato in desmetilTramadolo,
solo così è in grado di attivare i recettori MOR dell’oppio. A parte il fatto
che il Tramadolo è presente sotto forma di due isomeri ed è un farmaco che
blocca anche la ricaptazione di serotonina e noradrenalina. Il Tramadolo non
funziona se il CYP2D6 non funziona o se contemporaneamente c’è un
farmaco come la Paroxetina che blocca il CYP2D6. Quindi, in questo caso,
se qualcuno volesse usare il Tramadolo come analgesico, la Paroxetina non
dev’esserci, come anche la Fluoxetina, che condivide questa caratteristica
con la Paroxetina.
• Punto più critico di tutti è il Tamoxifene, un farmaco per il trattamento
del carcinoma della mammella appartenente alla categoria dei SERM. Si usa
soprattutto per il carcinoma della mammella in premenopausa, quando il
carcinoma della mammella è ormone dipendente, cioè quando esprime i
recettori agli estrogeni e al progesterone. Il Tamoxifene viene trasformato
per un’azione di concerto tra CYP3A4 e soprattutto 2D6 nella sostanza
attiva detta Endoxifene. È l’Endoxifene ad avere alta affinità per i recettori
degli estrogeni, soprattutto di tipo , decine di volte di più come affinità
rispetto al Tamoxifene. Quello che può accadere è che, per esempio, una
paziente in premenopausa con carcinoma della mammella e sotto
Tamoxifene, per l’azione centrale del Tamoxifene dove questo si comporta
223
da antiestrogeno, può avere alcuni segni del climaterio. Il ciclo ovarico
continua, ma comincia ad essere irregolare, perché i feedback degli
estrogeni a livello centrale si modificano per la presenza del Tamoxifene.
Per cui la donna inizia ad avere le fastidiosissime vampate di calore, spesso
associate a sudorazione, cioè flashing, per cui si sveglia di notte e la sua
qualità di vita peggiora. E allora chiede al medico cosa fare per queste
improvvise vampate di calore da quando assume Tamoxifene. Il medico non
può esser così matto da suggerirle estrogeni per farsele passare, perché ha il
carcinoma della mammella e sta assumendo Tamoxifene per bloccarne gli
effetti, quindi questo è escluso. E allora può suggerire un SSRI, che può
andar bene per le vampate. E quindi in questi casi mai la Paroxetina e la
Fluoxetina, perché inibirebbero il CYP2D6, il Tamoxifene non sarebbe
trasformato nel principio attivo che è l’Endoxifene e a quel punto
l’ormonoterapia del carcinoma mammario viene meno.

La Paroxetina blocca anche il CYP2B6, un citocromo p450 molto meno


noto del CYP2D6, però metabolizza alcuni farmaci importanti, come la
Ciclofosfamide. La Ciclofosfamide è un alchilante del DNA appartenente al
grande gruppo delle Mostarde Azotate, ed è un farmaco che ritroviamo in
diversi protocolli, dai linfomi al carcinoma del polmone. Ed è un farmaco
che per essere attivo dev’essere convertito in mostarda fosforamidica, che
poi è la mostarda finale che crea l’alchilazione a due siti, per esempio nell’
Azoto 6 della guanina e in altre basi del DNA. Perché ciò avvenga, la
Ciclofosfamide dev’essere metabolizzata, perché altrimenti non funziona. E
il principale CYP che la metabolizza è il CYP2B6. Quando vi sono delle
varianti polimorfiche lente del CYP2B6, la Ciclofosfamide perde d’efficacia
clinica. Ciò significa che, se un paziente ha un tumore e sta facendo
Ciclofosfamide e a causa del tumore sviluppa una depressione reattiva, e lo
psichiatra mette come SSRI la Paroxetina, questa bloccando il CYP2B6
impedisce la bioattivazione della Ciclofosfamide e quest’ultima non
funziona più. Stessa cosa vale se il paziente ha una malattia immunoreattiva,
ad esempio la Sclerosi Multipla. C’è chi in condizioni estreme tratta la
Sclerosi Multipla con Ciclofosfamide; c’è un neurologo che conosco bene,
Francesco Patti, referente della Società Italiana di Neurologia per la Sclerosi
Multipla, che ha introdotto l’uso della Ciclofosfamide per la Sclerosi
Multipla. Quindi, vediamo il caso in il paziente diventa depresso perché ha
la Sclerosi Multipla e poi è anche vero che tra Sclerosi Multipla e
depressione c’è anche più di una comorbidità, ovvero un’associazione
224
legata alla patologia. In questo caso non bisogna dare la Paroxetina per
impedire che la Ciclofosfamide diventi mostarda fosforamidica e quindi
esercitare la sua azione immunosoppressiva. Quanto detto per la Sclerosi
Multipla, può valere per altre patologie immunoreattive dove in condizioni
particolari uso Ciclofosfamide.
Il CYP2B6 metabolizza anche l’Efavirenz, un farmaco contro l’HIV, un
inibitore non-nucleosidico, che si trova nei regimi principali di terapia, come
l’Atripla, dove l’Efavirenz è combinato al Tenofovir e all’Emtricitabina.
L’Efavirenz non vogliamo che si accumuli perché può dare disturbi
psichiatrici. E quindi, se un paziente con HIV sta facendo una delle terapie
standard con Efavirenz, Emtricitabina e Tenofovir e sviluppa depressione a
causa della sua condizione e a quel punto viene trattato col Sereupin, con la
Paroxetina, si deve ricordare che l’Efavirenz si accumula. E con la terapia
dell’HIV non si scherza, vanno usati dosaggi e giuste somministrazioni. In
questo caso aumenterebbe l’esposizione dell’organismo all’Efavirenz e
questo può dare una serie di critici effetti avversi.

Esploriamo la farmacodinamica della Paroxetina e quindi andiamo alla


concentrazione libera. La Paroxetina si lega per il 95 % all’albumina, quindi
ha un legame molto avido con le proteine plasmatiche. Per questo il calcolo
della concentrazione libera è 16.5 nM. Quindi, nuovamente, vediamo che
affinità ha verso i vari substrati. Nei confronti del SERT non c’è alcun
problema, perché l’affinità è 0.34 nM, una delle affinità più elevate, quindi
può interagire col SERT senza colpo ferire.
Nei confronti del NAT/NET, il trasportatore della noradrenalina, l’affinità è
146 nM, quindi è molto difficile la Paroxetina interagisca con il trasportatore
della noradrenalina.
Se andiamo al DAT, trasportatore della dopamina, saliamo addirittura a 490
nM, quindi questi non li tocca minimamente, non ci sono problemi.
Tuttavia, vi è una certa interazione coi recettori M1 ed M3 muscarinici, dove
si comporta da antagonista. Il blocco dei recettori muscarinici ha un’affinità
di 72-80 nM. Se voi usate il dosaggio canonico di Paroxetina, ovvero attorno
ai 20 mg, avendo poi circa 17-18 nM nel plasma, è difficile pensare si
blocchino i recettori muscarinici. Ma, se usate un dosaggio di Paroxetina più
elevato, quest’azione anticolinergica potrebbe emergere. Le conseguenze
dell’azione anticolinergica quali sarebbero? Una cosa positiva potrebbe
essere nella malattia di Parkinson, perché gli anticolinergici possono frenare
la malattia di Parkinson come sapete, questo potrebbe essere un effetto utile,
225
ma richiede dosaggi elevati.
Vi sono, invece, delle cose fastidiose. Per esempio, a livello
gastrointestinale, si può avere un effetto negativo sulla peristalsi; è vero che
da un canto potenziate la trasmissione serotoninergica e dall’altro bloccate i
recettori muscarinici M3, e quindi questi due effetti si possono in qualche
misura compensare, ma comunque si ha marcata interferenza nei confronti
dell’apparato GI. Altra problematica è con la vescica, specie in una persona
avanti con gli anni, che fa pellegrinaggi notturni per una prostata ingrossata,
e a quel punto avere un efficiente sistema colinergico nel trigono vescicale
permette di evacuare senza grandi problemi. Ma la patologia che
controindica in assoluto alti dosaggi di Paroxetina è chiaramente il
glaucoma ad angolo aperto, che è quello che non vuole assolutamente
interferenze con i meccanismi di miosi. La miosi facilita il deflusso
dell’umor acqueo attraverso i canali di Schlemm o comunque il sistema
trabecolare e quindi, bloccando la miosi, aumenta la pressione endooculare,
che è un fattore di rischio del glaucoma assieme all’età. Da ricordare che il
glaucoma non è una patologia della pressione endoculare, ma una patologia
degenerativa delle cellule ganglionari della retina in cui la pressione
endoculare è un fattore di rischio. Esiste anche il glaucoma normotensivo,
in cui la pressione endoculare è al di sotto dei 21 mmHg canonici, così come
si hanno dei casi di pressione endoculare molto alta che non si traducono
mai in glaucoma. Ciò perché dipende tutto dalla vulnerabilità intrinseca dei
neuroni ganglionari della retina, perché se loro sono molto vulnerabili, basta
anche un lieve aumento della pressione endoculare o un valore di questa
normale, per creare premesse del danno meccanico e della formazione di
amiloidosi nella retina. Invece, se le cellule sono estremamente resilienti,
anche degli aumenti molto marcati di pressione endoculare, possono essere
tollerati. Comunque sia mai dare alti dosaggi di Paroxetina se il paziente
soffre di glaucoma.
Abbiamo trattato dei potenziali di rischio degli SSRI in gravidanza.
Normalmente, con la Sertralina abbiamo detto che la gravidanza si accorcia
di pochissimo, 3-4 giorni in meno vanno bene, si può nascere leggermente
sottopeso, ma sono piccolezze. Tutto questo è vero ad eccezione della
Paroxetina, che è la più teratogena soprattutto a livello cardiaco. Per
esempio, dà difetti del setto interventricolare o valvolari. Quindi la
Paroxetina può rivelarsi il più rischioso degli SSRI in gravidanza e va evitata
in questo caso.
In alcune circostanze gli SSRI, inoltre, sono usati nel trattamento del
226
disturbo bipolare.
Per la diagnosi di questo disturbo, è sufficiente un singolo episodio
maniacale o ipomaniacale, c’è un periodo di esaltazione del tono dell’umore
anche avvenuto anni prima e che in qualche misura va identificato. Poi però
il disturbo bipolare presenta anche molti episodi depressivi rispetto ai
maniacali. Ci sono soggetti che non ne hanno mai, hanno questo
temperamento ipertimico costante, ma ce ne sono anche molti che magari
hanno un episodio maniacale e poi entrano in depressione. Lo psichiatra
guarda l’episodio depressivo e cerca di curarlo, ma deve fare un’anamnesi
intelligente per ricercare un pregresso episodio maniacale. Per esempio,
interrogando la famiglia o il paziente, emerge che dieci anni prima la
persona aveva aperto un’ edicola lavorando notte e giorno, salvo chiuderla
una settimana dopo. Questo è tipico di un episodio maniacale o
ipomaniacale, quindi molto probabilmente quel soggetto è bipolare, e in
questo momento storico prevalgono gli episodi depressivi. Ma, se si usano
antidepressivi senza un regolatore del tono dell’umore, cioè senza Litio,
senza antiepilettici o antipsicotici, c’è il rischio si vada verso lo switch:
migliorano le manifestazioni depressive, ma il paziente rientra nuovamente
in fase maniacale. Se si usano Litio ed SSRI insieme, c’è un rischio anche
abbastanza misurato di sindrome serotoninergica. Se invece si usa un SSRI
con un antipsicotico o un antiepilettico, compatibilmente alle interazioni
farmacocinetiche questo si può fare in maniera più controllata. Se si usa la
Paroxetina da sola, la percentuale di switch nei pazienti da fase depressiva
a maniacale è addirittura del 12%. Quindi bisogna stare attenti.

Ultimo farmaco che prendiamo in considerazione è la Fluoxetina, il generico


del Prozac. E la genericazione è stata un dramma per l’Eli Lilly, l’azienda
farmaceutica che ha lanciato il Prozac e lo aveva chiamato “pillola della
felicità”, perché le azioni della Eli Lilly hanno avuto un tracollo, e poi si è
ripresa attraverso la produzione di Olanzapina, Duloxetina etc. Ma il Prozac
faceva tanto fatturato. Poi la Lilly ha anche altri sbocchi, fa insuline e così
via. Questo è stato il primo SSRI entrato nel mercato, considerato il più
grande breakthrough, la più grande novità nel trattamento della depressione.
Mi permetto di dissentire, gli SSRI non sono il più grande breakthrough,
perché non hanno superato in efficacia i triciclici antidepressivi e gli
inibitori delle monoaminossidasi. Hanno soltanto offerto un profilo di
sicurezza e miglior tollerabilità, che comunque ha i suoi talloni d’Achille,
pur non avendo la cardiotossicità dei triciclici o i rischi ipertensivi normali
227
in cui si può incorrere con inibitori delle MAO.
Il Prozac ha dosaggio di 20 mg, stesso dosaggio visto con Escitalopram e
Paroxetina, ma è un dosaggio che può salire. Ciò vuol dire che il range di
concentrazione plasmatica allo steady-state è molto ampio, perché dipende
dalle caratteristiche del soggetto. Varia dai 50 ai 100 ng/ml. Il legame alle
proteine plasmatiche anche qui è intorno al 95 %. Moltissimi psicofarmaci
si legano alle proteine plasmatiche; il metabolismo è da parte del CYP2D6.
Il CYP2D6 trasforma la Fluoxetina in Norfluoxetina, che è un metabolita a
lunga emivita. Normalmente l’emivita della Fluoxetina è di circa 24 ore;
l’emivita della Norfluoxetina supera le 24 come le 40 ore. Quindi si ha il
composto parentale più il metabolita attivo, che prolungano realmente gli
effetti del composto. A questo va aggiunto il fatto che la Fluoxetina, e a me
non piace tanto, è un inibitore abbastanza generale dei CYP: in parole
povere inibisce il CYP2D6, e quindi inibisce il proprio metabolismo in
Norfluoxetina e, inoltre, inibisce il CYP2B6, 2C9 e 2C19. E’ un inibitore
quasi universale dei CYP. E a ciò si aggiunge il fatto che la norfluoxetina è
un debole inibitore del CYP3A4. Quindi, quando voi date Fluoxetina, sia
per colpa o merito sua che della Norfluoxetina, la maggior parte dei CYP
coinvolti nel metabolismo dei farmaci possono essere inibiti. Alcuni anche
in maniera molto marcata, per esempio il CYP2D6, che è anche il suo CYP,
cioè quello che la metabolizza. Altri in modo più lieve come il CYP2B6,
2C9 e 2C19 e 3A4. Quindi tutto quanto vi ho detto per la Paroxetina, cioè
metabolismo della codeina, Tamoxifene, Tramadolo, metabolismo di
Flecainide, di Efavirenz e Ciclofosfamide, automaticamente si applica alla
Fluoxetina. Qui non vi sono differenze. Ma la differenza nasce dal fatto che
la Fluoxetina è anche un inibitore di 2C9 e 2C19: 2C9 significa
anticoagulanti orali, vuol dire Warfarin, cioè dicumarolici. Avete i FANS,
differenti antiepilettici anche sono metabolizzata da 2C9, come anche le
sulfaniluree.
[DOMANDA studente: “perché la Paroxetina è ancora leader nel mercato, se esistono valide alternative come
l’Escitalopram? Ha delle caratteristiche speciali che la rendono meglio degli altri? Abbiamo parlato del SERT,
ma anche gli altri lo bloccano tranquillamente, e lei ha detto che la serotonina in sé non è il punto fondamentale
del meccanismo antidepressivo”.
RISPOSTA: Innanzitutto la Paroxetina non è più leader sul mercato, la leadership se la battono Paroxetina ed
Escitalopram, che ha fatto enormi passi avanti. Sono i due SSRI che dominano il mercato all’interno degli
stessi SSRI, perché poi Duloxetina e Venlafaxina vengono anche utilizzati parecchio. Quindi questi sono usati
di più sicuramente rispetto a Sertralina, Fluoxetina e Fluvoxamina. Ad eccezione dell’OCD (disordine
ossessivo compulsivo) dove, invece, la Fluvoxamina diventa leader. Il motivo non te lo saprei dire, diciamo
che l’Escitalopram è venuto dopo rispetto alla Paroxetina e la Paroxetina è uscita fuori come un Prozac meno
pericoloso. E questo fatto ha condizionato molto l’atteggiamento del prescrittore. Cioè il prescrittore, quando
ha avuto il Prozac (Fluoxetina) davanti, ha cominciato a dire “Oh finalmente qualcosa di nuovo”, poi sui

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giornali s’iniziò a leggere di casi di aggressività da Fluoxetina negli Stati Uniti e del fatto che aveva aumentato
il rischio di suicidio nelle prime fasi del trattamento, anche se c’è moltissima letteratura su questo non vi è
certezza. Quindi, quando uscita la Paroxetina, secondo farmaco ad esser prodotto assieme alla Sertralina, il
prescrittore ha automaticamente virato sulla Paroxetina, trovando buoni effetti come antidepressivo, e avendo
indicazioni anche per le sindromi ansiose, ansia generalizzata, panico, etc. Quando è arrivato l’Escitalopram,
questo si è presentato come farmaco particolarmente utile, perché non ha le interazioni metaboliche, e quindi,
quando capita nel mio piccolo di consigliare un SSRI, suggerisco sempre di fare il Cipralex, prevedendo stia
prendendo altri farmaci. E prendere un farmaco come Fluoxetina o Paroxetina potrebbe essere pericoloso.
Quindi è una questione d’aggiornamento più che altro.
STUDENTE: “Però prescrivere adesso Paroxetina piuttosto che Escitalopram mi sembra assurdo, come mia
opinione personale”
RISPOSTA PROF: Guarda, quello che facciamo qui a lezione ha delle connotazioni teoriche, facciamo calcoli
della quota libera, vediamo quali sono i bersagli reclutati, quali sono utili o meno. Ma poi la driving force è
l’esperienza del prescrittore.
Quando per esempio del Tegretol, che viene usato tuttora per il trattamento del disturbo bipolare e della
nevralgia del trigemino e glossofaringeo, ma poi anche come antiepilettico, è scaduto il suo brevetto, la
Novartis, la stessa azienda che lo produceva, ha prodotto il Tolep, cioè l’ Oxcarbazepina. E quindi, il
prescrittore si è trovato di fronte a queste due molecole. E la Novartis ha tuonato asserendo che
l’Oxcarbazepina nel metabolismo non forma l’epossido, e quindi è una sostanza più tollerata con la stessa
identica efficacia. Il messaggio tradotto quindi era di usare l’Oxcarbazepina perché un farmaco più sicuro, in
quanto non formandosi l’epossido non si hanno problemi a livello midollare e c’è meno teratogenicità. Il
risultato è stato che per diversi anni i prescrittori se ne sono fregati, e hanno continuato a prescrivere Tegretol
come se il Tolep non esistesse. Parlando con la Novartis, ci si chiese cosa stesse accadendo, perché il farmaco
non sfondasse, nonostante fosse una versione migliore dal punto di vista della tollerabilità rispetto al Tegretol.
Il motivo era che il prescrittore si trovava talmente bene col Tegretol da non dover rischiare figuracce col
paziente.
Intervento studentessa: “La Buttinelli dice che continua ad usare il Tegretol e non il Tolep, perché il Tolep ha
troppo impatto sul sodio”.
Il prof risponde che quello che dice lo rispetta, ma l’impatto del sodio di cui lei parla è dovuto al fatto che sia
Tegretol che Tolep potenziano l’azione dell’ADH nel dotto collettore, dando maggior riassorbimento
dell’acqua e rischio di iponatremia. Però, per quanto ne so io, i due farmaci sono equivalenti nel potenziare
l’azione dell’ADH, quindi non so poi clinicamente come stiano le cose, ma non credo sia mai stato dimostrato
a livello di evidence based che il Tolep dia più iponatremia del Tegretol. Sicuramente però il Tolep non forma
l’epossido, quindi da questo punto di vista, dal punto di vista di formazione di una sostanza reattiva, è
sicuramente più conveniente. A cuore preferirei il Tolep, ma ancora una volta dipende dall’esperienza
personale.
Quindi, per sintetizzare tutto quanto abbiamo detto, le scelte da parte di un prescrittore dipendono da tante
cose: in primis dalla conoscenza del profilo farmacologico, ma più che da ciò dalla propria esperienza, e in più
anche da quanto è bravo l’informatore che s’interfaccia con il prescrittore. Questo fa la differenza ]

Tornando al discorso cardine, la Fluoxetina la considero un farmaco


importante, ma ha una prescrizione ristretta. Infatti, nella classificazione
della scorsa volta, si è detto che il Prozac o Fluoxetina, si utilizza
esclusivamente nel trattamento della depressione e poi per il binge eating,
per quelli che mangiano compulsivamente. Tra l’altro vedremo che il profilo
farmacologico non giustifica questo, quindi anche lì bisogna vedere cosa si
è fatto con gli studi di lancio. Quando un farmaco ha un’indicazione, questo
dipende dagli studi di fase 3 che poi sono stati inseriti nel dossier che
l’azienda ha preparato prima per l’EMA (agenzia europea dei medicinali),
poi per l’AIFA. A quel punto si stabilisce l’indicazione. E se gli studi clinici
229
sono stati fatti in quella direzione e non è stato esplorato inizialmente sulle
sindromi ansiose, è chiaro che l’indicazione per l’ansia non ci sia. Poi
magari uno può asserire che gli altri SSRI lì funzionano, e quindi glielo
somministro. Ma diventa una prescrizione off label, al di fuori dei regimi di
prescrizione.

Ho detto che si parte della titolazione, poi si va a 20 mg al giorno. Ma vi


ripeto, ci sono casi in cui si sale, anche considerevolmente. Questi 20 mg
hanno un senso all’inizio, ma poi non lo hanno più, perché la Fluoxetina
inibisce il proprio metabolismo: ciò significa sarebbe sufficiente prendere
20 mg un giorno sì e un giorno no, o addirittura due volte alla settimana. Ma
nessuno tra gli psichiatri lo fa, si mantengono i 20 mg al giorno, a volte
aumentando anche il dosaggio. Cosa dal punto di vista farmacologico
insensato, perché il Prozac blocca il suo metabolismo ed ha copertura. Tra
l’altro con il suo metabolita attivo, la Norfluoxetina, la copertura dura
diversi giorni. Se improvvisamente interrompete la Fluoxetina, rimanete
coperti quasi per una settimana. Ciò è utile perché evita le manifestazioni di
rimbalzo, che quindi qui sono abbastanza importanti.
Di quota libera abbiamo 50 nM, e a questa quota come al solito dobbiamo
confrontare le varie affinità verso tutto.
SERT: l’affinità della Fluoxetina per il SERT è 1 nM, altissima affinità,
blocca il SERT senza problemi.
NAT/NET: l’affinità è 660 nM, è troppo bassa perché il trasportatore della
noradrenalina possa essere coinvolto.
Se andate alla Norfluoxetina, perché anche lei è attiva, l’affinità per il SERT
è 19 nm; quindi, anche qui la norfluoxetina che si forma, che è più o meno
agli stessi livelli della Fluoxetina, è in grado d’inibire il SERT. È meno affine
della Fluoxetina, che ha affinità di 1 nM per il SERT (quando dico ‘affinità’
significa il legame del 50% del SERT nel SNC). La norfluoxetina ha affinità
più bassa, ma le cose vanno bene.
C’è però un bersaglio, sia di Norfluoxetina che di Fluoxetina, che però è
interessante, ovvero il recettore 5HT2C, nei cui confronti la Fluoxetina ha
un’affinità di 73 nM. Mentre, invece, la Norfluoxetina ha un’affinità di 91
nM. Il che significa che, quando voi ragionate sui 50 nM, non siete così
distanti. I 50 nM li state calcolando come quota intermedia nell’ampio range
di steady-state; ma se voi salite con il dosaggio del Prozac, sicuramente
arrivate ad una concentrazione plasmatica in grado di reclutare i recettori
5H2TC. Nei confronti dei recettori 5H2TC, la Fluoxetina si comporta da
230
antagonista. Qui casca l’asino, perché la Fluoxetina è indicata per
l’assunzione compulsiva del cibo. Se bloccate il recettore 5H2TC, che è il
principale recettore anoressizzante, teoricamente dovreste peggiorare
l’assunzione del cibo.
E allora non si sa come sia possibile che la Fluoxetina sia l’unico SSRI con
questa indicazione e sia anche l’SSRI che maggiormente interagisce col
5H2TC, ma che lo faccia prevalentemente come antagonista. Questo è un
punto interrogativo irrisolto e che mi fa storcere il muso da farmacologo, ma
bisogna prendere atto delle indicazioni scheda tecnica. Quindi se abbiamo
un paziente con binge eating, l’uso del Prozac potrebbe essere un’opzione.
Certo lì non darete Citalopram, perché il rischio del blocco di H1 comincia
ad essere abbastanza indicativo.
Per il Prozac c’è stato il problema del rischio di suicidio, venuto fuori per
una certa attivazione che il farmaco dà prima del miglioramento del tono
dell’umore. Così vi dirà il professor Pompili massimo esperto nel campo del
suicidio, quindi non mi permetto minimamente di discutere questo fatto. Ma
sono anche convinto, come vi ho già detto, che quando si compie un atto
suicidario non basti la riduzione del tono dell’umore, ma debbano esservi
due componenti: una è una certa motivazione, perché se sono del tutto
depresso, sono chiuso in me stesso e non mi muovo, tutto mi passa per la
testa, tranne che alzarmi e buttarmi dal balcone. Mi manca sia la forza che
la volontà per farlo. La seconda componente è che ci vuole qualche
manifestazione “schizoaffettiva”. Probabilmente quello che la Fluoxetina fa
nei primi giorni di trattamento è migliorare un po’ la motivazione, dare
maggior forza e un pochettino di agitazione in più, per cui si può arrivare a
compiere atti violenti. Quindi, questo è stato il marchio conferito dalla
Fluoxetina, attribuitole dalle notizie di casi riportati su giornali e televisione,
che poi hanno un po’ condizionato il mercato, soprattutto quando è uscita la
Paroxetina.

[DOMANDA STUDENTE: “In riferimento alla scorsa lezione: ma il binge


eating più che all’aumento del peso non è relato proprio alla spinta
motivazionale nel voler mangiare? Cioè l’effetto della Paroxetina sul binge
eating non ha a che fare con la spinta motivazionale? Altrimenti col discorso
5HT2C sarebbe inutile in quanto fa ingrassare. Cioè, la domanda è: perché
si utilizza nel binge eating? Esiste una componente del 5HT2C che agisce
sulla motivazione all’ingozzarsi di cibo piuttosto che all’effetto in sé
ingrassante?”
231
RISPOSTA PROF: Una spiegazione a questo, ma ve ne parlo tra poco, è che
se bloccate il recettore 5HT2C da un canto aumentate l’assunzione del cibo,
perché 5HT2C è profondamente anoressizzante, dall’altro però aumentate il
rilascio di dopamina nello striato, nella corteccia frontale, cosa che potrebbe
intervenire in questo fenomeno, quindi teoricamente dovreste avere più
motivazione ancora. Bisogna capire se il blocco del SERT associato a quello
del 5HT2C possa intervenire in questo. Ve lo dò come punto interrogativo.
A meno che la Fluoxetina non si comporti come agonista parziale del
5HT2C e allora potrebbe essere. (Il prof effettua una ricerca sul momento).
Ho cercato ma non mi dice niente a riguardo, anzi mi dice che la Fluoxetina
agisce come diretto antagonista di 5HT2C. Anche se normalmente quando
si rilascia dopamina, si hanno degli episodi di binge, come accade ad
esempio nel disordine da uso di sostanze.
Quindi diventa difficile spiegarvi il perché, poi magari nelle migliaia di
pubblicazioni su questo fatte in letteratura, saranno state fatte delle ipotesi,
sono state date delle spiegazioni. ]

L’ultima cosa che vorrei dirvi, valida per tutti gli SSRI ma che riporto in
merito alla Paroxetina, è il problema dell’ipertensione polmonare, non
trattata nelle mie lezioni di nefrologia da un paio di anni, poi non ripreso per
questioni di tempo.
L’ipertensione polmonare cronica è una patologia tumorale delle arterie
polmonari. Che significa patologia tumorale delle arterie polmonari?
Significa che aumenta lo spessore della tonaca media delle arterie e quello
che automaticamente succede è che si riduce il calibro delle arterie
polmonari, aumenta la pressione nelle arterie polmonari ed il ventricolo
destro va in sofferenza. E quindi il ventricolo sotto sforzo si dilata, si va in
insufficienza ventricolare destra, e nel momento in cui si dilata inizia ad
occupare lo spazio del ventricolo sinistro. L’insufficienza cardiaca così
diventa critica ed inevitabilmente si arriva a morte, è una patologia molto
severa. E, se andate alla classificazione dell’ipertensione polmonare
cronica, avete quattro grandi voci, tra cui quella iniziale prevede come
sottopunto l’uso degli SSRI. Gli SSRI sono fattori di rischio per
l’ipertensione polmonare cronica, soprattutto quando presi in gravidanza,
anche nelle sue ultime fasi. I bambini poi possono sviluppare ipertensione
polmonare, se per esempio la donna in gravidanza assume un SSRI nel III
trimestre. E quindi diventa una cosa particolarmente critica.
I farmaci usati per l’ipertensione polmonare sono gli antagonisti per i
232
recettori dell’endotelina, che sono due ETA ed ETB; poi vi sono gli analoghi
della prostaciclina, quindi sono prostaglandine che possono dilatare il
circolo polmonare. E poi si usano Sildenafil e Tadalafil, i principi attivi del
Viagra e del Cialis, soltanto che si chiamano in altro modo (il Sildenafil si
chiama per esempio Revatio, e così via).

[DOMANDA STUDENTESSA: “Tra le sostanze a rischio d’ipertensione


polmonare, insieme a tutto il corteo serotoninergico, c’è a sorpresa l’olio di
colza. Dipende da qualche contaminante che ha azione serotoninergica?”
ALTRO STUDENTE interviene: “La componente indicata come
potenzialmente tossica è l’acido erucico presente in concentrazioni
comprese tra il 30 e il 60 %, in funzione della cultivar, della raccolta e di
altri fattori. Il rischio specifico connesso alla presenza di acido erucico è
considerato molto superiore a quello collegato all’alimentazione ricca di
altri acidi grassi monoinsaturi (fonte Wikipedia)”.
Il prof non conosce quest’olio, che è indicato sul libro di cardiologia come
rischio IP, ma asserisce sull’acido erucico]

D’altra parte, il recettore 5HT2A costringe le arterie e questo potrebbe


essere un meccanismo molto importante.

Vortioxetina
La Vortioxetina è un farmaco di recente introduzione, ovvero degli ultimi 4
anni e che considero un decoroso breakthrough nel mercato della
depressione maggiore. Questo perché ha aggiunto qualcosa d’interessante ai
farmaci già presenti. Il suo tallone d’Achille è però la nausea, suo effetto
avverso più frequente, che si può gestire facendo un’attenta titolazione. Ma
il suo punto di forza è che è il farmaco con il miglior effetto nei confronti
della sfera cognitiva; non ve n’è altro in grado di migliorare la sfera
cognitiva nei pazienti affetti da depressione maggiore.
Cosa intendiamo per disfunzione cognitiva associata alla depressione
maggiore? Se andiamo nei criteri classificativi della depressione, presenti
sia nel DSM4, DSM5, DSM10, trovate tra i 9 criteri di diagnosi di
depressione una certa difficoltà nell’attenzione e nella concentrazione che
vi fa pensare ad un problema di natura cognitiva. Ma queste sono delle cose
riferite subiettivamente dal paziente, non è questa la disfunzione cognitiva
del paziente depresso. La disfunzione cognitiva del paziente depresso è una
condizione che si trova in un’alta percentuale di depressi, 30-35%,
233
significativa quindi. Se questa disfunzione cognitiva è presente ha un valore
prognostico negativo perché predispone alle ricadute. E i pazienti che ne
soffrono sono notoriamente abbastanza resistenti agli antidepressivi
tradizionali. Questo perché quando si tratta la depressione, l’obiettivo non è
soltanto quello di migliorare il tono dell’umore, ma anche raggiungere il full
functional recovery, il pieno recupero funzionale. E la disfunzione cognitiva
è un sintomo residuo che, quando presente, condiziona in maniera
significativa l’outcome del trattamento farmacologico. È quindi un reale
problema.
Come già detto, si deve distinguere tra aspetti caldi e freddi della funzione
cognitiva. Gli aspetti caldi della funzione cognitiva sono quelli correlati alla
sfera emotiva. È ovvio che un paziente depresso con riduzione del tono
dell’umore avrà un’inclinazione naturale ad elaborare e a recepire degli
stimoli con valenza emozionale negativa. È la sua depressione a portarlo a
questo. Mentre gli stimoli con valenza emozionale positiva non li elabora.
Ma non è questa la vera disfunzione cognitiva, questo è il cosiddetto
“negative cognitive bias” dei pazienti depressi, che è un po’ una
conseguenza della loro riduzione del tono dell’umore.
Quando si parla, invece, di disfunzione cognitiva nel paziente affetto da
depressione maggiore si fa riferimento ad una riduzione dell’attenzione
selettiva, del cosiddetto speed of processing, che è la velocità di
processamento del pensiero, delle funzioni esecutive, della working
memory, ovvero la memoria di lavoro, e anche di alcuni aspetti della
memoria episodica. Ciò significa che alcuni domini della funzione cognitiva
caratteristici della corteccia prefrontale dorsolaterale e dell’ippocampo sono
compromessi in quei pazienti depressi con disfunzione cognitiva.
Quindi, ricapitolando, dobbiamo capire che esiste una popolazione di
pazienti depressi con disfunzione cognitiva, che non va confusa con il
negative cognitive bias, che è l’inclinazione dei pazienti depressi ad
elaborare informazioni con valenza emozionale negativa. Qui è tutt’altro:
parliamo di difetto nell’elaborazione dell’attenzione selettiva, nella working
memory, nelle funzioni esecutive, nella velocità di processamento del
pensiero e di memoria episodica, che è una memoria tipicamente
ippocampale.
Quando fate un confronto tra vari farmaci antidepressivi sulla disfunzione
cognitiva nei pazienti depressi, la Vortioxetina è il numero uno in assoluto.
Lo si può vedere da una metanalisi di diversi studi, di cui ne sono stati
selezionati dodici, che usano lo stesso test per la valutazione della funzione
234
cognitiva. E questo si chiama digit symbol substitution test, ovvero il test di
sostituzione dita-simboli, che costituisce nell’associare in maniera corretta
un numero ad un simbolo. È importante che questo studio di confronto sia
stato svolto usando lo stesso test per tutti e 12 gli studi, perché altrimenti ci
sarebbe stato un elemento confondente alla base. Non si può considerare
uno studio che come test usa il mini mental state examination per la funzione
cognitiva e un altro che usa un test diverso. E questi sono test obiettivi, non
è il paziente che vi riferisce che ha difficoltà a concentrarsi; è un test che dà
una valutazione obiettiva. Vedendo ciò, si nota come vi sia un abisso tra
l’azione positiva della Vortioxetina sulla funzione cognitiva e la funzione di
tutte le altre classi di antidepressivi.
Alcuni addirittura come i TCA, i triciclici antidepressivi, peggiorano
l’aspetto cognitivo. È ovvio sia così perché i TCA hanno una marcata azione
anticolinergica. E, quando un farmaco ha marcata azione anticolinergica,
peggiora il cognitivo.
Ci torna in mente la Paroxetina che, a dosaggi elevati, nonostante l’azione
SSRI, dà il rischio del blocco dei recettori muscarinici, e questo non può che
peggiorare la funzione cognitiva.
Come mai questa Vortioxetina migliora la funzione cognitiva?
La Vortioxetina si chiama Brintellix, è il prototipo dei farmaci ad azione
multimodale.
Molti farmaci antidepressivi hanno più di un bersaglio: i triciclici agiscono
su di un trasportatore di serotonina e noradrenalina, la stessa cosa gli SNRI.
Avere un’azione multimodale significa vi sono diversi targets, bersagli, ma
che operano anche in modo diverso. È in realtà una piccola forma di
masturbazione, ma il termine multimodale significa questo ed è stato
ricercato dai laboratori della Lundbeck, non è uscito per caso, ma come
risultato di una ricerca mirata di un farmaco in grado di agire su molti
bersagli con caratteristiche diverse.
Vediamone i bersagli.
Innanzitutto, la Vortioxetina è un inibitore del SERT, ovvero del
trasportatore ad alta affinità della serotonina. E in questo è identico agli
SSRI. Ma agisce anche su diversi recettori serotoninergici, per questo si
definisce multimodale: perché il SERT è un trasportatore, mentre i recettori
sono recettori ed operano in maniera diversa. La Vortioxetina ha quindi
diverse modalità operative.
Sui recettori cosa fa?
Innanzitutto, è un agonista pieno dei recettori 5HT1A, cioè agisce come la
235
Serotonina, ovvero alla massima efficacia possibile nell’attivare il 5HT1A.
In secondo luogo, è un agonista parziale del recettore 5HT1B: agonista
parziale significa che, indipendentemente dalla sua potenza, ha un’efficacia
inferiore rispetto a quella dell’agonista pieno.
In terzo luogo, è un antagonista del recettore 5HT1D. 5HT1B, 5HT1D e
5HT1F sono i recettori bersaglio dei Triptani.
È un antagonista dei recettori 5HT7, e qui viene in mente il Lurasidone, il
Brexpiprazolo, quei farmaci che bloccando il 5HT7 hanno potenzialità di
migliorare la funzione cognitiva.
Ma soprattutto è un potentissimo inibitore, antagonista del recettore 5HT3
della Serotonina.
Tutto ciò può creare confusione nella memorizzazione dei meccanismi
d’azione.
Mi sono occupato moltissimo di questo farmaco e, tutte le volte che mi è
capitato di parlarne, ho sempre detto che il messaggio da portare a casa è
che questo è un potentissimo antagonista del recettore 5HT3 e quest’azione
è leader nei confronti di tutte le altre azioni della Vortioxetina.
Per capire perché quest’azione prevalga sulle altre, bisogna fare lo studio
della cosiddetta target occupancy. Ovvero la domanda è che percentuale di
bersagli siano occupati dalla Vortioxetina nel SNC.
La risposta è che la target occupancy raggiunge quasi il 100% per il recettore
5HT3. Osservando le curve, la potenza della Vortioxetina nell’interagire col
5HT3 è straordinaria. Dopo viene il SERT e via via gli altri. Per esempio,
l’affinità verso il recettore 5HT7 e 5HT1A è particolarmente bassa: la loro
target occupancy è intorno al 30-40 % al massimo. Quindi, quando si
definisce la Vortioxetina come farmaco multimodale è vero, ma la sua
caratteristica principale è quella di essere un potentissimo bloccante del
recettore 5HT3 e un inibitore abbastanza buono del SERT. Poi ci sono tutti
gli altri bersagli.
Il blocco del recettore 5HT3 è un blocco in inglese detto non surmountable,
che significa che non può esser vinto dalla serotonina. In particolare, quando
il farmaco si lega al suo sito di legame nel recettore 5HT3, è come se fosse
un legame irreversibile. Il che significa che la Vortioxetina non può essere
spiazzata.
Il recettore 5HT3 perché è famoso in farmacologia? Perché è bersaglio dei
farmaci antiemetici, primo tra tutti l’Ondansetrone, cioè lo Zofran, come
anche il Palonosetrone e così via. Questi sono farmaci usati per il
trattamento del vomito da chemioterapici, come quello indotto da
236
Cisplatino. Il Cisplatino dà questo effetto avverso spesso. Se confrontate
l’Ondansetrone e la Vortioxetina nel bloccare il recettore 5HT3 sono
estremamente simili. C’è un riflesso cardiovascolare detto “riflesso di Von-
Bezold Jarish”, che è il riflesso cardiopolmonare mediato dai recettori
5HT3. Ondansetrone e Vortioxetina bloccano questo riflesso esattamente
allo stesso modo. Quindi, la capacità della Vortioxetina di bloccare il 5HT3
diventa fondamentale.
La domanda è la seguente a questo punto: per quale motivo questo profilo
farmacologico particolare si traduce poi nel miglioramento della sfera
cognitiva? Ovvero, da un punto di vista pratico, cosa fa la Vortioxetina di
diverso rispetto ad un SSRI e un NSRI, per cui alla fine migliora la funzione
cognitiva meglio di tutti gli altri farmaci?
Per capirlo, focalizzando l’attenzione sulla corteccia prefrontale, e in
particolare sulla frontale dorsolaterale, va fatta una piccolissima premessa.
Parlando di depressione, si è detto che primariamente è una patologia delle
attività di network, e di network ve ne sono di diversi nel SNC. Per esempio,
vi è il network esecutivo, che è quello delle azioni rivolte verso il mondo
esterno e dominato dalla corteccia prefrontale dorsolaterale e dalla parietale.
Poi c’è un network detto default mode, che è quello critico per la
depressione, perché è quella rete neuronale che genera l’introspezione.
Ovvero il paziente depresso rumina, guarda dentro di sé e non al mondo
esterno. Poi vi è il terzo network che è quello della salienza, che coinvolge
alcune zone della corteccia, l’insula, etc.
Normalmente, quando una persona “normale” è impegnata in alcune
funzioni esecutive e quindi è attivo il network rivolto al mondo esterno e la
corteccia prefrontale dorsolaterale, quel network ha bisogno di energia,
perché le sinapsi a quel livello funzionano molto. Il che vuol dire che tutte
le risorse energetiche devono convergere lì e, contemporaneamente, il
network di default si deve spegnere, in modo tale non vi sia una
competizione energetica. E, se per esempio ci mettiamo a chiacchierare con
molte persone o siamo in un’attività sociale, in quel momento non possiamo
ruminare, o fare introspezione pensando al passato, se dobbiamo pensare al
futuro, perché le attenzioni le stiamo rivolgendo verso l’esterno. Quindi si
crea questo equilibrio, per cui si spegne il network di default e le risorse
energetiche sono tutte destinate al network esecutivo.
Nella depressione le cose cambiano, e nel momento in cui è ingaggiata la
funzione esecutiva, il network di default non si spegne, perché il paziente
rumina in continuazione e la funzione esecutiva diventa critica. Però
237
ovviamente dev’essere eseguita in qualche modo; e quindi questo avviene
cercando di aumentare il più possibile quest’attività e richiedere sempre più
energia per vincere il network di default. Si creano alla fine dei meccanismi
di esaurimento e la corteccia prefrontale dorsolaterale non ce la fa più,
perché si esaurisce funzionalmente. In quanto, normalmente lei non ha la
competizione del network di default, ma nella depressione la ha. E allora
accade che, se prendete per esempio un paziente depresso che sviluppa la
disfunzione cognitiva, quindi non stiamo parlando di un paziente depresso
normale, ma di uno con questa disfunzione, e gli fate compiere un task
comportamentale che coinvolge la corteccia prefrontale dorsolaterale,
accade che nell’imaging la corteccia prefrontale dorsolaterale si attiva di
meno. Anche le zone a lei collegate si attivano meno.
C’è un particolare test chiamato “London Tower Test”, test banalissimo che
consiste nello spostare delle palle da un’asta ad un’altra, che comunque
richiede l’attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale, perché è una
classica funzione esecutiva. A questo punto, se fate l’imaging vedete che la
corteccia prefrontale dorsolaterale non si attiva, come dovrebbe
normalmente.
[DOMANDA STUDENTE: “Quindi l’esaurimento della corteccia è
successiva nel depresso a questo problema di network (per dire, la riduzione
d’attività della risonanza magnetica funzionale)?”
RISPOSTA PROF: Esattamente. Cioè ad un certo punto, avviene un
esaurimento e il network esecutivo non è più supportato dall’attivazione
energetica che normalmente si verifica. Per cui facendo imaging funzionale,
si vede che la corteccia prefrontale dorsolaterale non si accende.]
Il che significa che le cellule piramidali di questa corteccia non vengono
attivate in maniera corretta. Quindi, un obiettivo del trattamento della
disfunzione cognitiva è quello di attivare le cellule piramidali. Possiamo
attivare le cellule piramidali in diversi modi: per esempio, con la Psilocibina
dei funghi magici, attivando i recettori 5HT2A, operiamo un cosiddetto
shaking delle cellule piramidali, scuotendole un po’ e ripristinando le
cosiddette funzioni esecutive. Ed in qualche misura, quando si usa un
farmaco del genere, gli effetti sono a lunga gittata, anche se ovviamente
attivando i recettori 5HT2A si ha una reazione psicotomimetica.

[DOMANDA STUDENTESSA: “Ma il network di default fa questo lavoro soltanto quando la tonalità emotiva
è negativa? Perché l’introspezione può anche essere positiva, e questa mi sembra il genere di funzione
cognitiva che invece dà un enhancement della funzione cognitiva.
RISPOSTA PROF: Ma qui stiamo parlando del network di default che tende a spegnersi durante la funzione
esecutiva. Se inizi a parlare, ridere e scherzare con un amico, in quel momento non fai l’introspezione, non
238
pianifichi il futuro o pensi al passato. In quel momento il network di default si spegne, altrimenti si crea
competizione delle risorse energetiche tra network di default e funzioni esecutive. Se, invece, quando non devi
esercitare funzioni esecutive sei a casa rilassato, chiudi gli occhi e pensi a cose belle, questo è un altro discorso.
È un problema di contemporaneità di attivazione, non del fatto che sia attivato prima l’uno poi l’altro.]

In alternativa, si possono riattivare le cellule piramidali con meccanismi di


disinibizione. Cosa significa fare disinibizione? Bisogna tornare al discorso
classico degli interneuroni.
Abbiamo due categorie principali di interneuroni: quelli che derivano
dall’MDE, che si formano a partire dalla porzione mediale dell’eminenza
ganglionare e vi sono gli interneuroni parvalbumina positivi e i
somatostatina positivi, rispettivamente per le cellule a canestro e candelabro
e le cellule di Martinotti. In secondo luogo, vi sono i neuroni che derivano
dalla porzione caudale dell’eminenza ganglionare, come le cellule VIP
positive, Vip negative, neurogliaformi, tutte quelle trattate con la
schizofrenia che hanno un marcatore assoluto, il recettore 5HT3. Per
disinibire, quali interneuroni devo spegnere per riattivare le cellule
piramidali? Il suggerimento è non spegnere gli interneuroni parvalbumina
positivi, perché quelli sono spenti nella schizofrenia. Questi creano le
oscillazioni network nelle frequenze gamma, sono importanti per le funzioni
cognitive. Se devo disinibire le cellule piramidali, non possiamo farlo
spegnendo i neuroni parvalbumina positivi, e neanche i neuroni
somatostatina positivi, perché i somatostatina positivi sono già disfunzionali
nella depressione. Sono quelli, infatti, che risentono di più dei meccanismi
di non resilienza allo stress.
Purtroppo, l’Esketamina stimola enormemente le cellule piramidali, ma lo
fa bloccando gli interneuroni parvalbumina positivi. Quindi l’effetto
antidepressivo rapido e duraturo si ha; è un farmaco ottimo per il trattamento
della depressione resistente. Ma l’impatto sulla sfera cognitiva e l’azione
psicotomimetica si hanno poi inevitabilmente.
Mentre, invece, quello che fa la Vortioxetina è bloccare i recettori 5HT3,
che si trovano esclusivamente su quegli interneuroni derivati dalla porzione
caudale dell’eminenza ganglionare. Come, per esempio, si trovano nelle
cellule neurogliaformi, che controllano l’attività delle cellule dendritiche,
piramidali, soprattutto negli strati più alti; si trovano nelle cellule VIP
positive, che sono quelle che fanno sinapsi con altri interneuroni. Si trovano
poi nelle cellule NTY positive, che sono delle sottopopolazioni che fanno
comunicare gli interneuroni di diverse porzioni di corteccia tra di loro.
E allora fondamentalmente, se date Vortioxetina ad un animale, le cellule
239
piramidali si riattivano, ma non a spese dei neuroni parvalbumina o
somatostatina positivi. Ciò perché questi neuroni sono fondamentali per il
cognitivo e la depressione, non vanno spenti in alcun modo. Mentre, invece,
sono spenti gli interneuroni che sono numericamente meno importanti, che
formano al massimo il 30% di tutta la popolazione di interneuroni e che però
hanno un importante controllo delle cellule piramidali. Ed è probabilmente
per questo motivo che Vortioxetina riattiva le cellule piramidali, bloccando
i recettori 5HT3 che si trovano in queste popolazioni di interneuroni e così
migliorando la funzione cognitiva. Questo lo fanno sia nella corteccia
prefrontale dorsolaterale che nell’ippocampo. E, quando lo fanno
nell’ippocampo, dove abbiamo popolazioni d’interneuroni simili ma con
organizzazione topografica un po’ diversa, lì c’è miglioramento dell’LTP e
della memoria episodica, che è un altro dei domini della funzione cognitiva
compromesso in pazienti con depressione che hanno disfunzione della sfera
cognitiva.
Questo secondo me è un punto fondamentale: se fate una risonanza
magnetica funzionale nella corteccia prefrontale dorsolaterale, fate
compiere un task esecutivo che coinvolge questa porzione di corteccia ad
un paziente depresso senza disfunzione cognitiva, la corteccia si accende.
Ma se lo fate compiere ad un paziente depresso che ha disfunzione
cognitiva, la corteccia prefrontale dorsolaterale non si accende. E nel
depresso senza funzione cognitiva, questa corteccia si accende ancora di più
che nel soggetto normale. Questo perché ha la competizione del network di
default, ha bisogno di più risorse energetiche. E, nel momento in cui si
esaurisce, avete la disfunzione cognitiva, e a quel punto va fatto qualcosa
lavorando sugli interneuroni per riattivare le cellule piramidali.
Quindi questo meccanismo particolare derivante dalla multimodalità, che è
molto complesso in realtà, dev’essere valutato in questi termini.

Riguardo la clinica: la Vortioxetina si dà a dosaggi da 5 a 20 mg, e il


suggerimento è darlo a dosaggio più alto. Cioè a 20 mg si vedono meglio
gli effetti. Conviene fare una titolazione lenta, usarla per esempio a gocce
da 1 mg, somministrando una goccia al giorno e aumentandone una al giorno
per arrivare a 20 gocce. Questo è il miglior sistema per cercare di ridurre al
minimo la nausea, suo effetto avverso principale. Che, per altro, è del tutto
controintuitivo. Perché c’è questo effetto avverso? Se la Vortioxetina è un
bloccante del recettore 5HT3 così potente, e bloccare il 5HT3 come avviene
col Palonsetrone e l’Ondansetrone produce un’azione antiemetica, come
240
può dare nausea la Vortioxetina? È una cosa che non ha un significato
preciso, ma forse ciò risiede nel fatto che la trasmissione serotoninergica è
molto rappresentata a livello gastrointestinale. E, poiché la Vortioxetina
contemporaneamente agisce sul SERT, sui recettori 5HT1A, 5HT1B,
5HT1D, 5HT7 e 5HT3, l’insieme di questi meccanismi crea le premesse per
la nausea a livello gastrointestinale. Difficile da capire, ma è un dato clinico:
c’è un paziente su 10 che sviluppa una nausea tale da non poter continuare
il trattamento con Vortioxetina. È un meccanismo controintuitivo, perché
non si sposa col fatto che la Vortioxetina inibisce potentemente il recettore
5HT3, ma clinicamente accade.

[DOMANDA STUDENTE: “Ma non è che funziona da superagonista?”


RISPOSTA: No, non funziona da superagonista. È un antagonista 5HT3
assoluto. Si lega lì e non è sormontabile, quasi non competitivo.
ALTRA DOMANDA: “Ma si esaurisce per sopraggiunta soglia limite o per
un prolungato compenso nel tempo, che ad un certo punto ‘si scompensa’?”
RISPOSTA: Sì, penso sia la seconda possibilità. Ovvero ci sono la corteccia
prefrontale o l’ippocampo, che cercano disperatamente di prendere il
sopravvento come funzione di network, e ad un certo punto il compenso,
cioè questa iperattività, diventa scompensata. Un po’ come succede nel
cardiovascolare.]

Ma la Vortioxetina ha aspetti importanti nel profilo di sicurezza e


tollerabilità. Perché, a differenza di altri farmaci, non produce incrementi
ponderali, cosa che fanno gli SSRI.
Ed inoltre Vortioxetina non induce disfunzione sessuale, a nessun livello.
Per esempio, la volta scorsa, parlando della Sertralina, ho illustrato questa
condizione messa in luce dall’EMA, cioè la sindrome da disfunzione
sessuale post SSRI, che si manifesta anche mesi dopo averli assunti. Questo
non si manifesta mai con la Vortioxetina.
Inoltre, con questo farmaco non vi è mai allungamento del QT.
La Vortioxetina è metabolizzata da CYP2D6, ma non è né un inibitore né un
induttore. Quindi, naturalmente può risentire del polimorfismo genetico del
CYP2D6. Nel senso che i metabolizzatori lenti avranno un metabolismo
rallentato e un’esposizione maggiore alla Vortioxetina; i metabolizzatori
ultrarapidi Nordafricani la metabolizzano più velocemente e quindi i
dosaggi vanno aumentati. Ma ciò avviene in percentuali ben definite della
popolazione.
241
Ritorna sempre il concetto base che, se si potesse genotipizzare il CYP2D6
prima di cominciare la terapia, sarebbe fantastico, ma si fa solo in posti di
nicchia, come per un tempo lo era stato l’Ospedale Sant’Andrea, quando
qualunque terapia psichiatrica veniva preceduta dall’uso della
genotipizzazione del CYP2D6.
Ci sono altri due aspetti della Vortioxetina che vorrei trattare.
Il primo riguarda il dolore.
Il dolore neuropatico deriva da alterazioni anatomofunzionali delle vie di
senso del dolore. Non è corretto dire che il dolore neuropatico derivi da
alterazioni anatomofunzionali del SNC. Innanzitutto, perché c’è anche il
SNP, ma ad essere alterate sono le vie di senso del dolore a partire dai nervi
periferici fino alle forme più centrali di dolore, come Sclerosi Multipla,
iperpatia talamica e così via.
Nei confronti del dolore neuropatico ci sono dei farmaci usati come gli
SNRI, vale a dire Duloxetina e Venlafaxina, cioè fondamentalmente
Cymbalta ed Effexor.
Poi si usano Pregabalin e Gabapentina, ed infine l’Amitriptilina, ovvero il
Laroxil, usato anche per la profilassi dell’emicrania, che agisce bloccando
ricaptazione sia di serotonina che noradrenalina.
Vediamo come mai non si usano gli SSRI, che potenziano la trasmissione
serotoninergica, e sappiamo come la serotonina abbia azione analgesica.
Questo perché manda delle fibre discendenti provenienti dal nucleo del rafe
magnus, che aumentano la soglia del dolore nel midollo spinale. In
condizioni normali la serotonina svolge questo ruolo. Ma nel contesto del
dolore cronico, specie quello neuropatico, avviene una cosa strana: la
serotonina diviene iperalgesica da analgesica qual era.
Perché nel dolore cronico la serotonina diventa iperalgesica? Perché
avvengono modifiche epigenetiche del nucleo del rafe magnus; a questo
punto i neuroni serotoninergici discendenti scaricano in maniera diversa
(queste modificazioni epigenetiche avvengono a livello dei neuroni
GABAergici del nucleo del rafe, che sintetizzano meno GABA e scaricano
di più). La serotonina diventa iperalgesica attivando i recettori 5HT3.
Dunque, il motivo per cui gli SSRI non hanno alcun posto nel trattamento
del dolore neuropatico, come per la neuropatia diabetica, è per questo: la
serotonina diventa iperalgesica a livello del midollo spinale, quando si
sviluppa dolore cronico. Ma allora perché si usano Duloxetina, Venlafaxina
ed Amitriptilina? Perché questi hanno la componente noradrenergica, ed i
recettori 2 per la noradrenalina leniscono il dolore. Quindi c’è un motivo.
242
La Vortioxetina è un potente bloccante dei recettori 5HT3. E allora si può
pensare che questa bloccando i 5HT3 e conservando l’azione sul SERT,
possa impedire alla serotonina di essere iperalgesica e ripristinarne la sua
azione analgesica. È stato svolto lo studio in un modello animale sul dolore
neuropatico che dimostra questo. Lo studio si fa legando il nervo sciatico,
l’animale sviluppa una neuropatia dolorosa, che si valuta giorni dopo usando
i filamenti di Von Frey, esattamente come si fa nell’uomo per valutare le
soglie meccaniche del dolore. E, se trattiamo l’animale che ha sviluppato
dolore neuropatico con il Prozac non avremo alcun effetto sulla soglia del
dolore. Ma, se usate la Venlafaxina, farmaco di I linea per la neuropatia
diabetica, avrete un’azione analgesica molto significativa. Se usate la
Vortioxetina, avete un’azione analgesica assolutamente indistinguibile
rispetto a quella della Venlafaxina; le due curve si sovrappongono
esattamente.
Nel caso in cui vi fosse una comorbidità tra dolore neuropatico e
depressione, insieme ad Amitriptilina, Duloxetina e Venlafaxina, si può
usare anche il Brintellix, cioè la Vortioxetina, se l’esperimento animale
risultasse applicabile anche all’uomo.
[DOMANDA STUDENTESSA: “Ma l’azione analgesica della serotonina è
ripristinata solo finché si fa terapia o in qualche modo, magari dopo un po’,
si riesce a recuperare lo stato originario, prima delle modificazioni
epigenetiche?”
Risposta: Non saprei, gli studi sulla funzione iperalgesica della serotonina
nel dolore cronico sono stati fatti in animali da esperimento, dove è
impossibile valutare un recupero]

E nel caso dell’emicrania, del dolore emicranico? Qui vi andrei più cauto,
perché la Vortioxetina è un inibitore dei recettori 5HT1D, che sono un
importante bersaglio dei Triptani. Se si ha emicrania con depressione, e si
fa trattamento con Vortioxetina per la depressione, se sopraggiunge il dolore
emicranico e assumete un Triptano, questo non funziona più perché 5HT1D,
uno dei suoi recettori, in quel momento è bloccato dalla Vortioxetina. In quel
caso, se volessi prendere Vortioxetina in associazione all’emicrania, a
questo punto converrebbe trattare l’emicrania con un FANS e non con un
farmaco che attiva il recettore 5HT1D, come per esempio un Triptano o un
derivato dell’ergot.
Ultimo aspetto è il trattamento della depressione associata a malattia di
243
Parkinson. In tal caso alcuni penserebbero di poter usare tutto, perché trattasi
di due patologie del tutto diverse.
Ma mi permetto di dissentire: la depressione non è soltanto una
manifestazione in comorbilità con il Parkinson, ma depressione e Parkinson
fanno parte della stessa malattia. La depressione è uno dei sintomi
prodromici del Parkinson, nel senso che in quei 20 anni che precedono
l’esordio clinico della malattia di Parkinson, cioè bradicinesia, rigidità,
tremore e disturbi posturali, in quella fase può esservi anche depressione.
Quindi il trattamento di quest’ultima diventa critico, quando la depressione
è una manifestazione che precede una manifestazione di esordio o quasi
vicina d’esordio del Parkinson. Ci sono dei farmaci antiparkinsoniani che
hanno un’azione ottima antidepressiva nella patologia, per esempio il
Mirapexin, il Pramipexolo, che funziona, migliora il tono dell’umore nei
pazienti affetti da Parkinson. Ma se non è così dobbiamo cercare di dare un
antidepressivo.
E, per esempio, cosa accade se diamo un SSRI? Se diamo un SSRI,
aumentate la disponibilità di serotonina e così attivate i recettori 5HT2C.
Attivando questi nello striato o nei gangli della base, accadono molte cose
non gradite. Perché intanto i recettori 5HT2C inibiscono il rilascio di
dopamina ed è un problema, perché diminuendo la dopamina peggiorano i
sintomi della malattia di Parkinson. Quindi devo stare attento a dare un
SSRI.
Contemporaneamente i recettori 5HT2C aumentano il rilascio di
acetilcolina nello striato: anche ciò peggiora i sintomi del Parkinson. Inoltre,
i 5HT2C aumentano l’eccitabilità degli interneuroni GABA, che sono fast
spiking ed hanno parvalbumina, nello striato. Sono una minoranza dei
neuroni a GABA, quelli dello striato sono quelli di proiezione che formano
la via diretta e indiretta, ma vi sono anche gli interneuroni la cui attività di
scarica è aumentata dal recettore 5HT2C.
La cosa ancora più importante è che il recettore 5HT2C aumenta l’attività
del nucleo subtalamico di Luys, peggiorando le condizioni della malattia di
Parkinson, la quale è causata da un’iperattività della via indiretta, che si
traduce in una maggior attività del nucleo subtalamico. Tanto è vero che,
quando si fa stimolazione cerebrale profonda, si mette l’elettrodo nel nucleo
subtalamico di Luys per spegnere il nucleo e migliorare i sintomi del
Parkinson.
Quando potenziamo la trasmissione serotoninergica e attiviamo il 5HT2C,
ciò non fa bene alla malattia di Parkinson.
244
Detto ciò, vediamo come si collocano i vari SSRI: c’è da un canto la
Sertralina, che ha piccola azione sul DAT a dosaggi elevati, e ciò può esser
positivo nella malattia di Parkinson. E quindi questa si può prendere in
considerazione.
Poi si ha la Paroxetina, che potrebbe avere un’azione anticolinergica, anche
questa ad alti dosaggi, i quali potrebbero controbilanciare gli effetti brutti
del 5HT2C attivato perché vi è azione anticolinergica, che tutto sommato è
terapeutica per il Parkinson.
Poi c’è la Vortioxetina, che ancora non ha degli studi nei pazienti depressi
parkinsoniani, ma ci sono degli studi su animali che suggeriscono possa
esser utile.
Le evidenze animali sono le seguenti. Se voi fate dei modelli di Parkinson
nell’animale attivando i recettori 5HT1A o bloccando i recettori 5HT3,
migliorate sia i sintomi motori dell’animale che anche le discinesie da
Levodopa. Se questo è vero, la Vortioxetina, attivando i 5HT1A e bloccando
i 5HT3, potrebbe avere azione terapeutica nei confronti della depressione
associata a malattia di Parkinson, che non interferisce ma addirittura può
migliorare i sintomi motori del Parkinson. Considerando anche che la
Vortioxetina non ha effetti sui recettori 5HT2C e 5HT2A, ma agisce
esclusivamente sui 5HT1, 5HT7 e sul SERT.

245
Dodicesima lezione di farmacologia della psichiatria 30/06/2020
La scorsa volta abbiamo trattato alcuni aspetti particolari della depressione;
abbiamo iniziato dalla fisiopatologia, sottolineando il fatto che c’è stato un
cambiamento epocale. Si passa, infatti, da un’ipotesi monoaminocentrica ad
una maggior enfasi sulle attività di network, nelle quali i grandi protagonisti
sono GABA e Glutammato. Anche se tutti i farmaci in commercio sino ad
adesso agiscono sulle attività monoaminergiche, ed anche le sostanze di cui
parleremo oggi non fanno eccezione, compresa l’Agomelatina. Nonostante
alcuni abbiano dipinto l’Agomelatina come un farmaco innovativo, in realtà
questa è un bloccante dei recettori 5HT2C, oltre ad essere un agonista per i
recettori della melatonina, quindi non c’è questa immensa innovazione. La
grande svolta ci sarà, invece, con l’Esketamina, che agisce sui recettori del
glutammato con modalità di azione quindi del tutto diversa.
Tornando però agli schemi classici, andiamo ad una classe di farmaci
antidepressivi che ha fatto la storia di questa patologia: i cosiddetti TCA,
triciclici antidepressivi.
Quando si valutano i triciclici, bisogna fare attenzione ad una cosa: il
meccanismo d’azione è l’inibizione della ricaptazione di Serotonina e
Noradrenalina, meccanismo condiviso dagli SNRI.
Quindi, che differenza c’è tra queste due categorie di antidepressivi, essendo
uguale il meccanismo d’azione?
In realtà gli SNRI rappresentano una classe evoluta rispetto ai triciclici in
termini di sicurezza e tollerabilità. I triciclici hanno una grande efficacia,
non superata da nessun altro antidepressivo finora. Ma i triciclici hanno
tantissimi effetti off target, cioè oltre al loro meccanismo d’azione primario
hanno azione su diversi altri recettori, adrenergici o colinergici, per
l’istamina, e così via. Questo determina problemi specie nella prima fase
della terapia, finché non si stabilisce tolleranza. Quando viene fuori la
tolleranza, i triciclici sono molto ben gestiti. Quale sia l’importanza dei
triciclici, ve lo racconta questo episodio: un mio conoscente ha sostituito un
triciclico antidepressivo con un SSRI per ragioni di tollerabilità e sicurezza,
e il paziente apparentemente stava bene, ma poi si è suicidato e questo ha
portato ad una diatriba in tribunale, che non si è risolta in niente, essendo il
suicidio una complicanza della depressione che può insorgere in qualunque

246
momento. Non c’era una responsabilità farmacologica, ma il cambio dal
triciclico all’SSRI è stato un elemento d’attacco dell’accusa, dicendo che si
era sostituito un farmaco più efficace con uno meno efficace. La difesa in
questo contesto ha presentato una serie di lavori, che dimostravano invece
la non inferiorità degli SSRI rispetto ai TCA, ma alla fine insomma il
dibattito si è basato proprio su questo, ovvero sul fatto che i TCA, per lo
meno per alcuni tipi di depressione, sembrano essere un po’ più efficaci.
Mai sottovalutare, quindi, i triciclici in terapia, sono farmaci molto
importanti, con questo tallone d’Achille negli effetti avversi. Tra le altre
cose, in generale, come classe i triciclici non sono unicamente usati per la
depressione maggiore, ma per esempio un triciclico antidepressivo di cui
parleremo si usa nel dolore neuropatico ed è uno de farmaci di prima linea
nel trattamento delle neuropatie diabetiche. Ma torneremo su questo tema
parlando degli SNRI.
Lo stesso triciclico si usa anche nella profilassi dell’emicrania e, anche se
più raramente, nella profilassi delle cefalee muscolotensive, per le quali
quasi tutti usano antinfiammatori non steroidei, per combattere il dolore di
testa. Ma, se ci sono casi in cui la cefalea muscolotensiva per il suo
caratteristico aumento della rigidità nucale e quel senso di compressione
posteriore, ingenera un dolore severo, l’uso di un triciclico come il Laroxyl
non è male.
In alcuni casi si usano anche nell’OCD, nel disordine ossessivo compulsivo,
così come nelle fobie e nel panico. Ma questo si applica ad un unico
triciclico.
Nel caso di un disturbo bipolare, che si presenti con una fase depressiva, nel
momento in cui va trattata la fase depressiva, che peraltro nel soggetto
affetto da disturbo bipolare, è molto più frequente delle fasi maniacali, si
può fare ricorso ad un triciclico? La risposta è no, non conviene, perché il
triciclico facilita il processo di switch, cioè il passaggio da una fase
depressiva ad una maniacale. Se bisogna usare un antidepressivo nel
disturbo bipolare, un SSRI che non ha componente noradrenergica e quindi
tende ad attivare il meno possibile, sembra essere il farmaco d’elezione.

247
Anche se dipende dalle varie scuole.
Iniziamo a trattarli dal punto di vista chimico.
I triciclici si dividono in due classi.
La prima classe sono i derivati dibenzoazepinici,
che hanno due anelli aromatici, benzenici; mentre
per “azepinici” si intende che l’anello centrale
presenta un atomo di azoto. Nel complesso,
quindi, hanno sempre tre anelli, di cui due
aromatici periferici ed uno centrale con un atomo
di azoto.
E allora qualcuno che
ricorda gli antipsicotici di prima generazione,
osserverebbe che anche i derivati fenotiazinici sono
così strutturati. Ma i derivati fenotiazinici si
chiamavano così perché nell’anello centrale c’era
anche un atomo di zolfo, mentre qui manca. Quindi
questi composti dibenzoazepinici hanno poi una
catena laterale, formata da tre atomi di carbonio che
terminano con un altro atomo di azoto. Questo atomo
di azoto finale della catena laterale può legarsi ad un metile o a due metili.
Quindi, in generale se i triciclici benzodiazepinici hanno due metili si
chiamano composti metilati; se hanno un solo metile, sono detti composti
demetilati, tra i quali vi è qualche piccola differenza.
Questa divisione metilati- demetilati si applica anche alla seconda categoria
di triciclici antidepressivi che sono i derivati dibenzocicloeptadienici.
“Dibenzo” perché abbiamo nuovamente i due anelli aromatici;
“cicloeptadienici” significa che c’è un anello centrale a 7 atomi di carbonio
e il diene indica che nell’anello centrale, a differenza delle dibenzoazepine,
non c’è l’atomo di azoto ma un atomo di carbonio con un doppio legame.
Da qui si dipartono gli altri atomi di carbonio, che finiscono con una catena
laterale che termina con un atomo di azoto, che può essere demetilato o
metilato, se legato ad uno o due metili.
Tutti i triciclici antidepressivi inibiscono SERT e NAT (o NET), quindi sia
il trasportatore della serotonina che della noradrenalina. Ovviamente si può
248
discutere su quale inibizione sia prevalente a seconda del tipo di molecola.
Se dobbiamo fare un discorso di carattere generale, i composti demetilati,
cioè quelli in cui la catena laterale dell’atomo di azoto ha un solo metile,
hanno un’azione preferenziale su NAT. Quindi loro potenzieranno la
trasmissione noradrenergica più di quella serotoninergica, e in generale
questi composti sono più attivanti.
Quindi, se avete una depressione causata da un rallentamento estremo
psicomotorio, quella che in gergo si definisce “depressione inibita o
ritardata”, in questo caso non è male dare un composto demetilato che ha
azione noradrenergica maggiore. Ciò significa che per il potenziamento
della trasmissione noradrenergica si ha una maggior attivazione del
paziente, e in questo caso va bene. Se avete, invece, una depressione agitata
o ansiosa, le cose cambiano, perché non si vuole ulteriormente attivare il
paziente e non è conveniente avere una forte attivazione noradrenergica.
Conviene in questo caso usare dei farmaci che siano un po’ più
serotoninergici rispetto alla componente noradrenergica. Il NAT è bloccato
ovviamente da tutti i triciclici, ma in questo caso la mia scelta andrebbe sui
composti metilati.
Quindi, i demetilati bloccano preferenzialmente la noradrenalina e sono più
attivanti; mentre i metilati hanno una minor componente adrenergica, pur
avendola, e sono utili in un paziente depresso ma già agitato di per sé o
ansioso.
Un’altra differenza importante è che i derivati metilati hanno un breve
Tmax, ovvero il tempo necessario affinché si raggiunga il Cmax, la massima
concentrazione plasmatica quando si traccia l’AUC, che dà l’indice di
biodisponibilità. Nel caso dei composti metilati il Tmax è intorno a 2-3 ore;
se invece si va ai composti demetilati il Tmax è intorno alle 4-5 ore. Questo
significa che la concentrazione massima del plasma si raggiunge in un
tempo maggiore nel caso dei demetilati, il che vuol dire che il farmaco sarà
assorbito più gradualmente. Per questo motivo diversi effetti avversi relativi
alla prima dose, che si hanno col triciclico, sono mitigati coi farmaci
demetilati, perché il farmaco non arriva violentemente nel sangue, nella
circolazione sistemica, in forma attiva, ma vi arriva in maniera più graduale,
infatti il Tmax è di 4-5 ore, rispetto al Tmax dei metilati che è di 2-3 ore.
Considerato che ora abbiamo gli SSRI, gli SNRI, la Vortioxetina e diversi
249
altri farmaci, per quale motivo fare ricorso a sostanze un po’ desuete come
queste? Perché i triciclici sono molto efficaci e in particolare sono i migliori
farmaci nelle forme di depressione melanconica (melanconica sta per bile
nera, e si tratta di forme di depressione molto severe, che hanno un certo
rischio di suicidio), mentre non sono adatti nella depressione atipica. Questa
è una forma di depressione particolare, in cui prevale bulimia ed ipersonnia,
al contrario di quello che accade nella maggior parte dei depressi, che sono
anoressici ed insonni. Altra caratteristica della depressione atipica è
l’oscillazione giornaliera del tono dell’umore e anche la cosiddetta paralisi
plumbea, ovvero quando i soggetti si svegliano al mattino è come se
avessero gli arti inferiori paralizzati. La depressione atipica risponde
abbastanza bene agli SSRI ma non ai TCA.
Riassumendo, i TCA hanno generale applicazione, anche se poi va visto
caso per caso, nella depressione maggiore (mentre non molta nella
depressione associata al disturbo bipolare), nella profilassi dell’emicrania e
della cefalea muscolotensiva ed anche nel dolore neuropatico (in un caso
almeno), sono sostanze che agiscono inibendo il NAT o il SERT, ma fanno
molte altre cose. E si dividono in dibenzoazepinici o
dibenzocicloeptadienici che possiedono entrambe sostanze demetilate e
metilate. Cosa importante è la loro buona efficacia nella depressione
melanconica e non nella atipica.
Iniziamo coi TCA dibenzoazepinici. Il prototipo in assoluto di tutti i TCA
si chiama Imipramina, un composto metilato, farmaco noto che prende il
nome di Tofranil. In quanto metilato, ha Tmax abbastanza breve ed è un
buon inibitore del SERT e un decoroso inibitore del NAT, ma le due cose si
controbilanciano. Il dosaggio del Tofranil varia dai 25 a 200 mg/die; è un
dosaggio standard per quasi tutti i TCA, dove in generale oscilliamo sempre
tra i 5 e i 200 mg/die, anche se poi dipende da farmaco a farmaco. È
fondamentale con questi farmaci fare una titolazione, che è importante per
gli effetti aversi, alcuni dei quali possono essere estremamente gravi.
L’indice terapeutico (IT) calcolato facendo il rapporto tra la dose letale 50
(DL50) e la dose efficacia 50 (DE50), è intorno a 10-20. Il che significa che,
se si va col dosaggio 20 volte superiore a quello presente nella scheda
tecnica, ovvero 3-4 gr, il paziente può morire. Avere un IT di questa portata

250
non è una cosa positiva; un farmaco che aveva un indice terapeutico basso
era la digossina. È facile morire di digossina quando si va in
sovraddosaggio, e può avvenire anche coi TCA proprio perché questi
farmaci inibiscono i canali del sodio e del potassio, dando eventuali aritmie
cardiache.
Quindi il primo esempio di farmaco è l’Imipramina, il Tofranil, farmaco
molto studiato e conosciuto. Se prendiamo Imipramina e facciamo la
variante demetilata, ovvero se togliete un metile dalla sua struttura, si
elimina un radicale metilico, ottenendo così un derivato detto nor. La sigla
nor sta per assenza di radicale, ovvero non radicale. Partendo
dall’Imipramina avremo la Norimipramina, ma in realtà questo nor è
applicato al nome commerciale Nortimil, ovvero la Desipramina. Des sta
per desmetil imipramina; ciò vuol dire che si parte dall’Imipramina, le si
toglie un radicale e si ottiene un nor, il farmaco col nome commerciale è
Nortimil, e per questo motivo quello che troviamo dentro è la Desipramina
o desmeil-imipramina. Questo è il derivato demetilato, che si usa a 75-100
mg/die, arrivando ad un massimo di 200 mg al giorno. Ma tutti i TCA si
danno, come detto, in questo range. La sua emivita è tra le 20 e le 24 h,
quindi sarebbe sufficiente una compressa al giorno, ma a volte gli psichiatri
dividono la dose e la trovate due volte al giorno.
Poi esiste un derivato dell’Imipramina, la Trimipramina, il cui nome
commerciale è Surmontil, con dosaggio da 50 a 100 mg. Oggi i TCA non
sono più usati come una volta, così il Surmontil, che non è più molto
prescritto.
Infine, il derivato dibenzoazepinico più importante è la Clorimipramina,
l’Anafranil, che esiste in diverse formulazioni. Si parte, ad esempio, da 25
mg andando ai 75 mg nella giornata. In casi disperati si può salire fino a 250
mg. L’Anafranil ha una caratteristica particolare, ovvero una formulazione
per trattamento in via intramuscolare, che in un antidepressivo risulta più
efficace (25 mg in 2 ml). L’Anafranil è un composto metilato con la maggior
selettività in assoluto per il SERT. È come se fosse un SSRI, non c’è
differenza di affinità per il SERT, e l’azione sul trasportatore della
noradrenalina è veramente trascurabile. La differenza, però, è che la
Clorimipramina agisce anche su diversi recettori, diversamente dagli SSRI

251
che non lo fanno e quindi è a pieno titolo un TCA.

È indicato per il trattamento della depressione maggiore, ma anche


dell’OCD. Per l’OCD un SSRI usato è la Fluvoxamina, Maveral. Mai
mettere insieme Maveral e Anafranil per il rischio altissimo di sindrome
serotoninergica. La Clorimipramina è indicata anche per le fobie e gli
attacchi di panico.
Passiamo ai derivati dibenzocicloeptadienici. Il loro prototipo è
l’Amitriptilina, Laroxyl. È un farmaco che si usa nella depressione
maggiore, con dosaggio nell’adulto di 50 mg, che si potrebbe dividere
almeno all’inizio della terapia con 30 mg + 10 + 10, poi se le cose non
dovessero andar bene si aumenta. Se si è in ospedale si parte da 25 mg e si
sale fino a 100-250 mg addirittura.
Il Laroxyl ha due caratteristiche particolari presenti anche negli altri TCA,
ma non molto usate se non dal Laroxyl: è un farmaco di prima linea nel
trattamento del dolore neuropatico, in particolare della neuropatia diabetica,
una delle forme più frequenti di dolore neuropatico di origine periferica,
come il dolore post herpetico, il dolore da farmaci antiretrovirali o quello
post traumatico a carico di un nervo (il dolore neuropatico è un dolore che
deriva da alterazioni morfologiche-fisiologiche delle vie di senso del
dolore). Ma il dolore neuropatico può essere anche centrale, una patologia
complicata da dolore neuropatico di origine centrale è la Sclerosi Multipla
o la Sindrome di Dejerine-Roussy, con una iperpatia talamica (cioè il talamo
è disfunzionale). Le lombosciatalgie, invece, sono radiculopatie, quindi
rientrano nel dolore neuropatico perché le radici di senso fanno parte del
sistema nervoso sensoriale, ma in queste c’è anche una componente
infiammatoria oltre a quella neuropatica, e per questo si definisce dolore
misto. Quindi bisogna riflettere se somministrare Laroxyl per una
lombosciatalgia, mentre è molto indicato per il dolore neuropatico vero e
proprio. Nella neuropatia diabetica, oltre al Laroxyl si ha in prima linea la
Duloxetina, la Venlafaxina, entrambi SNRI, e poi due gabapentinoidi:
Gabapentin e Pregabalin. Non compaiono gli SSRI nel trattamento delle
neuropatie dolorose, pur sapendo che la Serotonina è analgesica.
L’Amitriptilina, la Duloxetina e la Venlafaxina sono usate per il trattamento

252
del dolore neuropatico, in virtù della loro componente noradrenergica, e non
di quella serotoninergica. Questo perché nel midollo spinale vi sono i
recettori α2 adrenergici, che sono inibitori sul dolore e controllano la
trasmissione del dolore. Quindi ci chiediamo se sia vero che la Serotonina è
analgesica: non lo è, l’azione della serotonina è stato dipendente. Esiste
un’azione di controllo del dolore, che si chiama “controllo top-down”,
ovvero dall’alto in basso. Ciò significa che c’è una stazione fondamentale
nelle vie del dolore detta RVM, che è la stazione rostro ventrale del bulbo
(bulbo in inglese si chiama medulla oblungata, da qui il significato di RVM),
da cui partono delle fibre che raggiungono il midollo spinale. Nell’RVM ci
sono cellule on e cellule off: quando le on sono attivate aumentano il dolore,
quando le off sono attivate lo inibiscono. Tra queste fibre che scendono c’è
un contingente serotoninergico, che origina dal nucleo del rafe magnus, che
si trova molto vicino all’RVM. La Serotonina che raggiunge il midollo
spinale in un individuo normale ha azione analgesica: se vi do un pizzicotto
viene attivato un sistema di controllo discendente del dolore e la Serotonina
esercita azione analgesica. Ma in un contesto di dolore cronico le cose
cambiano radicalmente e la Serotonina diventa iperalgesica. Nella
sperimentazione animale sono stati fatti dei modelli di dolore cronico, ad
esempio con la legatura del nervo sciatico. E nel nucleo del rafe magnus, da
cui originano le fibre serotoninergiche discendenti, scattano dei meccanismi
epigenetici: nel nucleo del rafe magnus vi sono interneuroni a GABA,
sintetizzato dalla GAD, la glutammatodeidrogenasi. Il gene che codifica per
la GAD si trova in corrispondenza di alcuni istoni, che vengono deacetilati
quando c’è dolore cronico. Se gli istoni sono deacetilati, il DNA non si può
più staccare dagli istoni e il gene della GAD non viene espresso, non
consentendo più la produzione di GABA da parte di questi interneuroni. Ciò
significa che in questo caso i neuroni del rafe magnus cominciano a
scaricare ad altissima frequenza, e la conseguenza di questa modificazione
del pattern di scarica della trasmissione serotoninergica del controllo top-
down del dolore originante dal rafe magnus con queste fibre discendenti nel
midollo spinale è che si attivano i recettori 5HT3. E l’attivazione dei 5HT3
determina dolore: la serotonina diventa iperalgesica. Studiando la
Vortioxetina, si è detto essere un potente bloccante dei recettori 5HT3, ecco
perché la Vortioxetina è analgesica ed è l’unica sostanza puramente
253
serotoninergica che induce analgesia, perlomeno nei modelli animali. Ma
dopo un primo lavoro è uscito qualche giorno fa un altro studio in cui è stata
indotta una neuropatia dolorosa nel topo somministrando Oxaliplatino,
quindi un classico dolore neuropatico da farmaci antitumorali, in cui la
Vortioxetina ha avuto stessa efficacia terapeutica della Venlafaxina. Quindi
probabilmente si ha un nuovo antidepressivo efficace contro il dolore
neuropatico, armamentario cui non appartengono gli SSRI perché i farmaci
serotoninergici puri, eccezion fatta per la Vortioxetina, non leniscono il
dolore. C’è bisogno di una componente noradrenergica per la presenza dei
recettori α2 nel midollo spinale.
Oltre a questo, l’Amitriptilina è indicata nel trattamento dell’emicrania e
nella profilassi della cefalea muscolo tensiva. Quando si ha un paziente con
almeno 3 episodi di cefalea al mese, che lo costringe a letto per evitare luci
e suoni, va fatta profilassi, nella quale il primo farmaco che viene in mente
è il Propranololo, il β bloccante Inderal, che in genere funziona bene. E poi
si pensa al Laroxyl, che per l’emicrania ha dosaggi da 30 a 50 mg, simili ai
dosaggi per il trattamento della depressione, ma un po’ più bassi. Se, invece,
lo si usa per il dolore neuropatico i dosaggi vanno da 12,5 a 50 mg.
[quanto descritto per il midollo spinale del ruolo della Serotonina come
iperalgesico, non si osserva nel SNC per una Pain Metrics, ovvero ci sono
le regioni alte del SNC, coinvolte negli aspetti percettivi, emozionali,
umorali del dolore dove la Serotonina ha un ruolo di modulazione positiva.
Quindi in un trattamento con SSRI non mi aspetterei di vedere
un’esacerbazione del dolore neuropatico.]
L’Amitriptilina è un composto metilato, prototipo dei
dibenzocicloeptadienici, quindi l’anello centrale non ha il primo atomo di
azoto, ma un atomo di C col doppio legame. Esiste, quindi, anche un
derivato demetilato dell’Amitriptilina che è la Nortriptilina, il cui nome
commerciale è Noritren (come nel caso di adrenalina e noradrenalina, dove
nor sta per adrenalina senza metile). Il Noritren è usato esclusivamente nel
trattamento della depressione maggiore. Come tutti i derivati demetilati ha
una maggiore attività nei confronti del NAT: se così, perché non viene usata
per il dolore neuropatico? Probabilmente non è stato provato. Questo
composto, invece, va benissimo se si ha una depressione inibita o ritardata,
perché si riattiva il paziente in virtù di questa componente noradrenergica
254
molto marcata rispetto a quella sul SERT. I dosaggi del Noritren vanno da
25 a 50 mg fino ai 100-150 mg/die.
Ci sono altri due derivati dibenzocicloeptadienici che potete trovare in
terapia; uno di questi è la Doxepina, che personalmente non ho mai visto
prescrivere, ma non sono un clinico. Si va con Doxepina da 75 a 150 mg pro
die. È un composto che nell’anello centrale a 7 atomi di C presenta anche
un atomo di Ossigeno, ecco perché Doxepina.
E l’ultimo dibenzocicloeptadienico, invece, è la Protriptilina, non presente
in Italia. Mentre in Italia dovremmo ancora avere un tetraciclico, che si
comporta allo stesso modo, ed è la Maprotilina, il Ludiomil, che si dà dai 75
ai 150 mg, usato di rado.
Per quanto riguarda la farmacocinetica, l’assorbimento di questi farmaci è
incostante. Ciò dipende dal fatto che i farmaci hanno azione anticolinergica
e quindi alterano la motilità gastrica. Se date ovviamente l’Anafranil
intramuscolo questo problema si elimina a priori, ma nella maggior parte
dei casi sono farmaci dati per via orale. Sono farmaci, inoltre, molto legati
all’albumina e quindi si ha possibilità di spiazzamento nel legame farmaco
proteina, ma questo succede in assoluto per la maggior parte degli
psicofarmaci. Sono farmaci metabolizzati dai CYP, in genere molti: nel caso
dell’Imipramina interviene il CYP 1A2 e contemporaneamente il 2C19, 2D6
e 3A4. Che entrino in gioco molti CYP è logico: intanto se si ha un composto
metilato, questo può essere demetilato. Se somministro Imipramina,
nell’organismo si forma anche desmetilimipramina o demipramina: nella
demetilazione il CYP 3A1 e 3A4 entrano in gioco spesso. Oltre a ciò, si
hanno gli anelli aromatici, che possono essere idrossilati, e quando avete
idrossilazione si perde un’attività, e ciò è spesso catalizzato dal CYP2D6.
Quindi è difficile avere varianti genetiche che alterino la risposta a questi
farmaci, per il semplice motivo che sono coinvolti tre, quattro CYP e non si
pone il problema. Le cose cambiano se sono associati con farmaco induttori,
cioè con farmaci che inducono il CYP 1A2 o 3A4, e ve ne sono una marea,
come il Fenobarbital in testa o il fumo di sigaretta, che nei pazienti depressi
può essere presente eccome. E questo può aumentare certamente la
clearance di questi farmaci e automaticamente quindi diminuirne l’efficacia.

255
Il volume di distribuzione interessa solo la quota libera ma è molto ampio.
L’indice terapeutico dei TCA è basso: se qualcuno si fa una bella
intossicazione di triciclici può anche morire. La morte da triciclici si è
osservata sia nei bambini che negli anziani, perché i triciclici sono in grado
d’inibire anche i canali del sodio e del potassio. Inibire i canali del sodio
significa ricapitolare delle condizioni simili alla sindrome di Brugada, la
quale dipende nella maggior parte da mutazioni con perdita di funzione dei
canali del sodio. Mentre, invece, inibire i canali del potassio, come quelli
che generano le correnti Kr o Ks, significa ricapitolare le sindromi del QT
lungo. I pazienti possono morire per aritmie ventricolari.
Perché parliamo anche di bambini, se in questi non vengono somministrati
farmaci simili? Intanto perché ciò può capitare per una loro ingestione
accidentale, ma anche perché anticamente l’Imipramina era somministrata
per il trattamento dell’enuresi notturna, la pipì a letto, e ciò perché
l’Imipramina ha un’azione anticolinergica. Ma dare Imipramina anche a
dosaggi bassi nel bambino significava avere degli impatti nel tessuto di
conduzione cardiaca non ancora pienamente sviluppato. Da qui le morti
improvvise in passato.
Ad oggi un’intossicazione molto severa da triciclici dovrebbe essere
controbilanciata da alcuni farmaci.
Quali sono dunque i meccanismi “off target”, cioè al di fuori del bersaglio
terapeutico, causa degli effetti avversi (che definiamo di primo tipo, anche
se i recettori responsabili degli effetti avversi non sono quelli responsabili
dell’attività terapeutica)?
Punto numero 1, i triciclici sono antagonisti dei recettori α1, che sono
fondamentali per la costrizione vascolare, specie delle arteriole: quindi se
vengono bloccati i recettori α1, rischiate l’ipotensione ortostatica. Se trattate
un paziente anziano con i farmaci triciclici, cosa da non fare mai, c’è
pericolo che il paziente cada e si fratturi il femore per episodi sincopatici. Il
secondo problema è l’intervento di cataratta; quando abbiamo studiato i
bloccanti α1, dati nel trattamento dell’iperplasia prostatica nodulare,
abbiamo sempre detto che questi farmaci compromettono la midriasi, che è
importante vi sia. Perché altrimenti può venire fuori un effetto avverso
dell’intervento di cataratta, che si chiama “iride a bandiera” (il floppy iris,

256
un pezzo d’iride si stacca). Quindi i triciclici per il loro blocco dei recettori
α1 possono complicare un intervento di cataratta. Sono inoltre antagonisti
die recettori α2. Bloccare questi ultimi di base significa poco, perché gli α2
hanno un coinvolgimento non primario nella regolazione cardiovascolare.
Le cose cambiano, però, se il paziente è iperteso e in contemporanea assume
Clonidina o alfa-metil-DOPA, due farmaci che attivano i recettori α2 nel
SNC. La Clonidina lo fa direttamente, mentre l’alfa-metil-DOPA è un
profarmaco che viene trasformato in alfa-metil-dopamina e
successivamente in alfa-metil-noradrenalina. Ciò significa che, se si sta
trattando una depressione con alfa-metil-DOPA o Clonidina (da ricordare
tra l’altro che l’alfa-metil-DOPA ha le indicazioni in gravidanza), se
contemporaneamente date un TCA per una concomitante depressione,
l’effetto di questi due farmaci non si avrà più perché i recettori α2 sono
bloccati dai triciclici.
Poi si ha l’antagonismo dei recettori H1 per l’istamina, fondamentali per lo
stato di veglia. Se si prende un antistaminico per la rinite allergica o
l’orticaria e attraversa la BEE, viene sonnolenza. Per esempio, l’Olanzapina
è l’antipsicotico con maggior affinità per gli H1 rispetto a tutti gli altri
antipsicotici e può dare depressione del SNC. Ricordate che lo Zypadhera,
cioè il Lai, non deve mai esser somministrato per via endovenosa, non si
può sbagliare. Quindi, il primo problema legato ai recettori H1 è la
sonnolenza, il secondo problema è l’aumento ponderale. Riguardo la
sonnolenza, vanno evitate le associazioni con benzodiazepine: le BDZ
deprimono il SNC, i TCA nelle prime somministrazioni fanno questo, anche
se poi verso la maggior parte di questi effetti si sviluppa tolleranza. Ma se
si associano BDZ e TCA, o etanolo e TCA, il rischio di depressione del SNC
diventa particolarmente evidente.
Infine, l’ultima azione è l’antimuscarinica, molto marcata per alcuni TCA.
Per tutti questi effetti descritti i demetilati sono meglio dei metilati, perché
nel caso dei demetilati il Tmax è più lungo e il farmaco raggiunge la
circolazione sistemica più lentamente, a differenza che nei metilati.
L’azione antimuscarinica crea problemi con le persone che stanno andando
avanti con l’età: uno dei problemi è il fatto di urinare, perché dando un
anticolinergico il detrusore si contrae meno. Quindi, nei soggetti con

257
prostrata già allargata un TCA nelle prime fasi di terapia può dare maggior
ritenzione in vescica. Così come nei soggetti con costipazione, se si prende
un TCA si ha maggior difficoltà ad andare di corpo, tutto il transito
gastrointestinale è rallentato e si hanno problemi di motilità
gastrointestinale.
Dovremmo aspettarci con questi farmaci un grosso impatto a livello
cardiovascolare: se blocchiamo gli M2, si dovrebbe avere tachicardia. In
realtà questo tipo di effetti non sono così marcati, perché travasi, pressione
e così via sono tutti sistemi che un po’ si controbilanciano ed è quindi
difficile riscontrare grossi problemi a livello cardiovascolare.
L’effetto sull’Ach è invece drammatico nei soggetti con glaucoma, nei quali
è assolutamente controindicato l’anticolinergico, qualunque esso sia, perché
la miosi dipende dall’azione dei recettori M3 muscarinici. Quindi, non
possono venire bloccati, altrimenti non si avrebbe miosi che, nel caso
manchi, altererebbe il sistema di deflusso dell’umor acqueo attraverso il
sistema trabecolare e i canali dello Schlemm. E, se il deflusso non avviene,
la pressione endoculare già alta di per sé, sale ancora (il glaucoma non è
dovuto all’aumento di pressione endoculare, ma è una patologia in cui
l’aumento di pressione endoculare rappresenta il maggior fattore di rischio.
Si ha anche glaucoma normotensivo, in cui le cellule ganglionari della retina
sono molto vulnerabili. Ma indipendentemente da questo, avendo una
bilancina tra vulnerabilità delle cellule ganglionari e pressione endoculare,
qualunque tipo di glaucoma si abbia, normotensivo o ipertensivo, la miosi
va rispettata lo stesso). Con un anticolinergico il paziente rischia la cecità.
Nell’effetto anticolinergico si annovera anche la riduzione della salivazione
che, quando si ha in un anziano (che ricordiamo mai dovrebbe prendere un
TCA perché l’azione anticolinergica riduce il cognitivo) che per malpractice
del medico assume un TCA, potrebbe dare come conseguenza il mangiar
meno, proprio per la minor salivazione. Oppure, nel caso abbia una dentiera,
direttamente espellerla. L’espulsione della dentiera è mortificante per un
anziano, tanto che l’aderenza alla terapia diventa pari a zero.
Se c’è un’intossicazione e il paziente va in crisi, col classico delirium
tremens e le convulsioni, bisogna attivare il colinergico nel cervello con un
inibitore delle colinesterasi, come la Fisostigmina. Se ci sono convulsioni si
dà il Valium, anche se bisogna fare i conti con l’azione antistaminica, per
258
cui poi rischiate di deprimere ancora di più il SNC. Quindi, il problema
d’intossicazione da TCA diventerebbe critico e per questo si ha un indice
terapeutico da 10 a 20. Per quanto tempo questi farmaci possono essere
assunti per il trattamento della depressione? Diciamo che sei mesi sono
obbligatori, anche perché prima di 3-4 settimane, come tutti gli altri
antidepressivi loro non agiscono. Se c’è un discreto profilo di tollerabilità,
per almeno sei mesi li tenga pure; poi dopo sei mesi, se vuole provare a
sospenderli, si fa una titolazione a scendere estremamente graduale. Se si
stanno assumendo gocce si passi da 100 ad 80, poi da 60 a 50, e così via. Si
elimini l’antidepressivo in maniera molto diluita. Difficile comunque
trovare pazienti che fanno terapia per meno di un anno.
Parliamo, invece, degli SNRI: inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina e noradrenalina. Potrebbero esser confusi coi TCA, che fanno lo
stesso. La differenza sta nel fatto che questi farmaci sono molto più evoluti
e gli SNRI sono nati per evitare gli effetti recettoriali dei triciclici
antidepressivi. Quindi non c’è cardiotossicità, né azioni off target nei
confronti dei vari recettori e sono molto ben tollerati.
Gli SNRI hanno la componente noradrenergica, quindi non li userei in caso
di depressione associata a disturbo bipolare. Perché la componente
noradrenergica è un po’ rischiosa per le fasi maniacali; nel caso della
depressione associata a disturbo bipolare, mi orienterei sempre con gli SSRI.
Quindi il loro impiego clinico è nella depressione maggiore e nel dolore
neuropatico: Duloxetina e Venlafaxina sono farmaci di prima linea nella
neuropatia diabetica.
In terapia, come SNRI vi sono tre farmaci usati:
• il Milnacipran
• Duloxetina (Cymbalta)
• Venlafaxina (Effexor).
Questi tre si dividono il mercato con gli SSRI; nonostante fino ad ora
abbiano dominato il mercato, al momento la Vortioxetina sta recuperando,
ha avuto un incremento del 20-30 %.
Il Milnacipran non vi è in Italia e in Europa, ma è stato approvato dall’FDA
per il trattamento della fibromialgia, sindrome che l’Europa ha difficoltà a
riconoscere come tale. È una sindrome con dolori articolari, disturbi del
259
sonno, stato depressivo; non è semplice trattarla. Nel 2009 il Milnacipran al
dosaggio di 100 mg/die è stato approvato nel suo utilizzo per la fibromialgia.
L’EMA, invece, non l’ha mai approvato, concludendo che i dati clinici
erano stati ottenuti principalmente su pazienti americani con etnie diverse
dai pazienti europei e che il profilo degli effetti avversi non garantiva
l’immissione del farmaco nel mercato. La Duloxetina è un farmaco,
invece, della Eli Lilly. Era un farmaco nato per problemi vescicali, poi
affermatosi come farmaco antidepressivo. Ha avuto approvazione per la
depressione maggiore, per il dolore neuropatico. In tutte le linee europee ed
americane Duloxetina e Venlafaxina, in quest’ordine, sono considerate in
prima linea per il trattamento del dolore neuropatico. Inoltre, la Duloxetina
è stata approvata per la GAD, ovvero il disordine da ansia generalizzata. Ciò
ha fatto scalpore; quando si tratta l’ansia, la componente noradrenergica è
bene lasciarla un po’ da parte, ma la Duloxetina ha ottenuto approvazione
anche per il trattamento dell’ansia generalizzata.
La Duloxetina ha un dosaggio per il trattamento della depressione maggiore
di 30 mg, poi si sale a 60 mg, che è anche il dosaggio standard per il dolore
neuropatico. Combinazione spesso eseguita per il trattamento delle
neuropatie dolorose è Duloxetina con Pregabalin. Uno studio molto famoso
sulla loro associazione detto COMBOS vedeva dei dosaggi elevati di
Duloxetina a 60 mg e Pregabalin a 300 mg con un effetto additivo che non
raggiungeva la significatività statistica, ma per pochi centesimi di punto,
quindi i pazienti realmente miglioravano.
Anche in questo caso si consiglia una titolazione anche se più rapida: cioè
partire per esempio con 30 mg per una settimana per poi passare a 60 mg.
Negli USA si va anche dai 90 ai 100 mg, ma gli studi clinici non hanno
mostrato un grosso vantaggio nei dosaggi così elevati.
Bisogna evitare di associarla con i MAO, inibitori delle monoaminossidasi,
di cui non parliamo perché quasi del tutto scomparsi dal mercato, non perché
inefficaci ma per il problema circa la tiramina. Composto questo che si
forma dalla tirosina nei formaggi o cibi invecchiati, si comporta come
un’anfetamina e rilascia noradrenalina, dando il cheese effect, ovvero
l’effetto formaggio, una sindrome ipertensiva abbastanza severa. Forse è
rimasta la Fenelzina in terapia, ugualmente poco usata. Ma, se si dovesse
dare un inibitore delle MAO irreversibile (non stiamo quindi parlando di
260
Rasagilina, Deprenyl e Safinamide usati nella malattia del Parkinson),
ovvero un inibitore irreversibile comune che inibisce sia MAO A che B (gli
inibitori irreversibili delle MAO B Rasagilina e Deprenyl sono usati nel
Parkinson, mentre la Serotonina è metabolizzata dalla MAO A) come la
Fenelzina o Tranilcipromina (che avevamo in Italia nel Parmodalin, ora non
più usato), c’è rischio di una sindrome serotoninergica, assolutamente da
evitare. Per lo stesso motivo non associo MAO ad SSRI, in realtà neanche
ai TCA, ma con questi ultimi facendo le cose per bene si può gestire un
pochino meglio.
La Duloxetina è metabolizzata dal CYP1A2 per il 90 %. Il CYP1A2 è
indotto da inibitori di pompa come Omeprazolo, Lansoprazolo ed
Esomeprazolo (che con Pantoprazolo e Rabeprazolo chiudono la categoria
dei 5 inibitori). Se si assume Duloxetina ed inibitore di pompa, Omeprazolo,
Lansoprazolo ed Esomeprazolo inducono il CYP1A2 e allora l’area sotto la
curva della Duloxetina si accorcia sempre di più, come la sua emivita, e a
quel punto il farmaco viene rapidamente metabolizzato ed ha meno effetto
del dovuto. Stessa cosa avviene con idrocarburi policiclici, come quelli che
si hanno nel fumo di sigaretta; nei fumatori la Duloxetina potrebbe
funzionare meno perché più velocemente metabolizzata. Al contrario in
terapia si potrebbe avere Ciprofloxacina e Fluvoxamina. Lo psichiatra che
associa Fluvoxamina a Duloxetina non capisce ovviamente nulla: mai
associare SSRI ed SNRI con rischio di sindrome serotoninergica, rara ma,
se viene fuori e la temperatura sale a 42°C, si va in contro a morte per
multiorgan failure e disidratazione massiva. Indipendentemente da ciò,
Fluvoxamina blocca il CYP1A2 e aumenta l’area sotto la curva della
Duloxetina, innalzandone anche gli effetti avversi di quest’ultima.
Vediamone gli effetti avversi. Una inibizione della ricaptazione della
noradrenalina vi è anche in periferia e questo farmaco non blocca i recettori
1 (diversamente dai TCA), quindi c’è rischio d’ipertensione, rara in questo
caso, ma potrebbe presentarsi in soggetti già ipertesi. Poi può esserci una
tachicardia dipesa dalla riduzione della ricaptazione di noradrenalina nelle
fibre del simpatico che innervano il cuore, quindi dovuta ad un aumento di
attività dei recettori 1. L’aumento di noradrenalina a livello oculare può
essere responsabile di midriasi: pazienti con glaucoma non possono fare
Duloxetina, né triciclici per la loro azione anticolinergica, che voleva dire
261
assenza di miosi. Ma in questo caso c’è midriasi diretta, dipesa
dall’attivazione da parte di noradrenalina dei recettori 1 nel muscolo
radiale dell’iride. Se c’è midriasi non ci sarà deflusso di umor acqueo
attraverso il sistema trabecolare.
Teoricamente può esserci il rischio di emorragie, perché c’è inibizione del
SERT nelle piastrine, che non sono più in grado di ricaptare serotonina,
rilasciandone meno del normale al momento della loro aggregazione.
L’aggregazione sarebbe dunque deficitaria e avrebbero luogo fenomeni
emorragici. Ovviamente questo tipo di meccanismo può esser utile in
pazienti che hanno avuto diatesi trombotica, con un attacco ischemico
transitorio, ma nei pazienti con ulcere tendenti al sanguinamento, invece,
bisogna stare molto attenti. Soprattutto se si fa associazione coi FANS, che
tendono a dare la stessa cosa.
Può esserci anche una SIADH, sindrome da eccessivo rilascio dell’ormone
antidiuretico. Significa ci sarà più riassorbimento di acqua dal dotto
collettore e quindi rischio di iponatremia.
Questo farmaco non si usa in gravidanza e nell’allattamento.
La Duloxetina, infine, blocca NAT, il trasportatore della noradrenalina, e
SERT allo stesso modo e a tutti i dosaggi. Ciò distingue totalmente la
Duloxetina dall’altro SNRI che si chiama Venlafaxina, il cui nome
commerciale è Effexor.
La Venlafaxina si dà in un range molto ampio tra i 75 mg e i 375 mg.
Teoricamente tra Duloxetina e Venlafaxina non ci sono differenze essendo
entrambi SNRI. Nella pratica, però, c’è una differenza importante: se si
danno 75 mg di Venlafaxina, questa agisce come un SSRI, cioè agisce
selettivamente sul SERT. Se, invece, saliamo e diamo una dose superiore ai
250 mg, allora agisce come SNRI, bloccando sia il NAT che il SERT.
Mentre, invece, la Duloxetina agisce come SNRI a qualunque dosaggio.
Forse è per questo che Venlafaxina è indicato come farmaco di prima linea
nel trattamento della neuropatia dolorosa, ma in alcune linee guida
americane compare come farmaco di II linea con Duloxetina sempre in
prima linea. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che, usando Venlafaxina ad un
dosaggio basso, questa diventa come un SSRI, che nel dolore cronico si
trasforma in iperalgesico e non ha più motivo di comportarsi come
analgesico. Perché per quest’ultima azione c’è estrema necessità di avere la
262
componente noradrenergica.
Venlafaxina è metabolizzata dal CYP2D6 e dal CYP3A4. Il CYP2D6
converte la Venlafaxina in O-desmetil-Venlafaxina, un metabolita attivo. Il
CYP3A4 converte, invece, Venlafaxina in N-desmetil-Venlafaxina,
metabolita meno attivo. Se si hanno, quindi, induttori del CYP2A4 la
Venlafaxina è convertita in un metabolita meno attivo e perde in efficacia;
se si hanno inibitori del CYP3A4 (sono tantissimi come il Ritonavir,
Claritromicina, Eritromicina e Telitromicina, altri antidepressivi per
arrivare fino al succo di pompelmo), Venlafaxina aumenterà e si avrà
maggior probabilità statistica di avere effetti avversi.
Sia nel caso di Duloxetina che Venlafaxina, non si può sospendere
bruscamente. Ciò vale per tutti gli antidepressivi, ad eccezione del Prozac,
perché la Fluoxetina viene trasformata in NOR-fluoxetina, che ha lunga
emivita ed è un metabolita attivo. In questo caso, invece, la brusca
sospensione darebbe una sindrome simile a quella da astinenza,
caratterizzata da ansia, agitazione, convulsioni e problemi a carico della
sfera cognitiva.
BUPROPIONE
Appartiene alla categoria degli NDRI, inibitori della ricaptazione di
dopamina e noradrenalina. È un farmaco che si trova sotto forma di Zyban,
dato per la detossificazione del fumo di sigaretta o come Wellbrutin, usato
per la depressione maggiore. Funziona molto bene nell’anedonia e migliora
il cognitivo, non con lo stesso effetto dato dalla Vortioxetina, ma comunque
più funzionante dei TCA, che nella sfera cognitiva fanno disastri per la
componente anticolinergica. Perché nasce la necessità di inibire sia la
ricaptazione di noradrenalina che dopamina? Innanzitutto, il miglior
antidepressivo del mondo sarebbe la Cocaina, non utilizzabile perché il suo
effetto dura un paio di ore, poi si ha una manifestazione di rimbalzo con
disforia e si aprono le porte dell’addiction. Un farmaco che si comporta
ancora come NDRI è il Metilfenidato, il Ritalin, usato nell’ADHD. Queste
sono tra le sostanze d’abuso più efficaci e potenti che si hanno; sono
sostanze di controllo. Tra dopamina e noradrenalina, quindi, dev’esserci
qualcosa che collega questi due sistemi. Il sistema dopaminergico più
coinvolto nella depressione è il sistema mesolimbico, che non va mai
definito come il sistema del piacere, ma come sistema che segnala la
263
salienza, che programma il movimento che ci porta alla sorgente della
ricompensa e crea le associazioni tra quest’ultima ed elementi spaziali. È
anche un sistema che programma l’allontanamento da stimoli
potenzialmente nocivi o stressanti. Il sistema mesolimbico è dopaminergico
e proietta dalla VTA, area ventrale del tegmento mesencefalico, sino al
nucleo accumbens, dove la dopamina viene rilasciata su stimolo di tutte le
sostanze usate da soggetti affetti da disordine da uso di sostanze.
Il professor Puglisi Allegra della Sapienza ha scoperto la seguente cosa. Se
voi data abitualmente cocaina, aumenta la quantità di dopamina
extracellulare nell’accumbens, perché la cocaina blocca il DAT a questo
livello. Contemporaneamente però la cocaina aumenta nella corteccia, ad
esempio in quella frontale, la noradrenalina, perché blocca il NAT. Se si
prende un topo e si ledono selettivamente le fibre noradrenergiche corticali,
quindi togliendo dalla corteccia la noradrenalina, e poi al topo stesso si
somministra cocaina, non vi è più aumento di dopamina nell’accumbens. È
come se vi fosse un dialogo tra la trasmissione noradrenergica della
corteccia e quella dopaminergica del mesolimbico: se togliete la
trasmissione noradrenergica a livello corticale, non si vedrà più aumento di
dopamina nel nucleo accumbens, che altrimenti si riscontra somministrando
cocaina. Non si sa come questo accada a livello di circuito: probabilmente
la noradrenalina liberata attraverso fibre che dalla corteccia vanno
all’accumbens modula il rilascio di dopamina. Ciò a dimostrare come la
noradrenalina dialoghi nei meccanismi di ricompensa; potenziare il sistema
noradrenergico significa da un canto attivare il paziente, ma dall’altro
potenziare il sistema mesolimbico. Il problema con cocaina e Metilfenidato
è che hanno una target occupancy, ovvero una % di saturazione o
occupazione del NAT e DAT a livello del SNC, superiore al 70% (con la
cocaina si arriva ad 80-90%; con il Metilfenidato al 75-80%). Ecco perché
non li uso in terapia: il loro potenziale d’abuso è stratosferico; nonostante
ciò, il Metilfenidato lo uso in ADHD, che probabilmente ha epicentro in
alterazioni del DAT. Il Bupropione ha target occupancy di DAT e NAT
molto inferiore, sotto al 40%: il suo potenziale d’abuso è del tutto nullo.
Questo farmaco può aiutare potenziando il sistema mesolimbico e
noradrenergico, ma interagisce con una % modesta di DAT e NAT nel SNC.
Un nuovo farmaco in fase di approvazione è il Solriamfetol, un NDRI con
264
target occupancy attorno al 40% usato nel trattamento della narcolessia o in
disturbi respiratori come apnee notturne. A differenza degli anfetaminici per
la narcolessia, è sicuramente un farmaco più tollerato, anche se mai
sviluppato né per la detossificazione del fumo di sigaretta né per il
trattamento della depressione maggiore.
Il Bupropione, se preso per smettere di fumare, va iniziato due settimane
prima rispetto a quando si decide di smettere di fumare. Si danno 150 mg
qd per i primi sei giorni e poi 150 mg bid nei giorni successivi. Si dà Zyban
per smettere di fumare perché, quando si va in astinenza, il sistema
mesolimbico non ha attività, non rilascia dopamina e i recettori D2 sono
ipoespressi perché il mesolimbico è stato attivato dalla dopamina per lungo
tempo. Ciò vuol dire che se si dà un inibitore della ricaptazione di dopamina
come il Bupropione, si sostiene l’attività del mesolimbico in astinenza,
punto a favore. Se devo confrontare Buproprione e Vareniclina, agonista
parziale dei recettori nicotinici 42 (agisce quindi in modo simile alla
Nicotina), la Vareniclina agisce meglio, ma il Buproprione è meglio
tollerato. Il Bupropione è controindicato se c’è epilessia o tumori cerebrali,
che creano compressioni ed ischemia locale, la quale riduce la soglia delle
convulsioni. Se, invece, si usa il Bupropione per la depressione maggiore si
parla di Wellbutrin, la cui posologia prevede iniziare con 150 mg qd per 4
settimane. Si fa solo una volta al giorno, perché si usano compresse a rilascio
controllato. Dopo le 4 settimane, se non si è raggiunta una buona efficacia
terapeutica, si può passare ai 300 mg/die, sempre dati qd, una volta al giorno
con almeno 24h d’intervallo tra le dosi.
Il pericolo più grande legato al Bupropione sono le convulsioni: si riduce
la soglia per le convulsioni. Questo rischio è dose dipendente; se si è ad un
dosaggio inferiore ai 450 mg, il rischio di convulsioni è solo dello 0,1 %.
Sopra i 450 mg non si dovrebbe salire mai; se si sale aumenta il rischio
convulsione, come nel caso il farmaco si accumuli nell’organismo. Il
Bupropione è metabolizzato primariamente dal CYP2B6, che è inibito da
Fluoxetina, Paroxetina, Orfenadrina (Disipal), un anticolinergico usato nel
Parkinson. È inoltre inibito dalla Ticlopidina, bloccante del P2Y12 nelle
piastrine, un antiaggregante, e dal Clopidogrel (Plavix), un bloccante
irreversibile del CYP2B6. Quando il Clopidogrel è bioattivato il suo anello
tienopiridinico si apre e forma ponti disolfuro. Da un canto inibisce il P2Y12
265
nelle piastrine con azione antiaggregante, dall’altro canto forma ponti
disolfuro col CYP2B6, bloccandolo del tutto. Quindi andrebbe evitato in
associazione col Bupropione, che altrimenti non sarebbe più metabolizzato
dal CYP2B6 e si raggiungerebbe la soglia per l’induzione delle convulsioni.
Stessa cosa accade se si hanno dei polimorfismi. Il CYP2B6 è altamente
polimorfico. Si potrebbe avere il CYP2B6*4, che è iperattivo, e in questo
caso il Bupropione funzionerebbe meno perché metabolizzato più in fretta.
Ma si potrebbe avere anche *6, *16 e *18 in cui si ha un CYP2B6 meno
attivo e addirittura un *28 che è un CYP2B6 nullo. In questo caso non c’è
metabolismo del Bupropione e, anche con dosaggio inferiore ai 450 mg,
potrebbe raggiungersi la soglia per le convulsioni. Soglia che può esser
raggiunta più rapidamente, se contemporaneamente in terapia si hanno
situazioni proconvulsivanti, come in astinenza da alcol o benzodiazepine,
tutte condizioni caratterizzate da un aumento dell’eccitabilità neuronale.
Oppure se in un regime di totale pazzia uno psichiatra associa Clozapina,
l’antipsicotico più convulsivante al mondo, con il Buproprione. Inoltre, il
Buproprione è un inibitore del CYP2D6; s’immagini, quindi, Tamoxifene e
Tramadolo o Codeina, che non vengono più bioattivati, oppure farmaci
pericolosi come la Flecainide, che si accumulano nell’organismo dando
aritmie cardiache. L’inibizione del CYP2D6 da parte del Bupropione si
mantiene per 7 giorni dopo sospensione dello stesso. Anche i
fluorochinoloni possono indurre convulsioni con Buproprione, non a causa
d’interazioni farmacocinetiche, in quanto i fluorochinoloni bloccano il
CYP1A2 e non il CYP2B6. Ma i fluorochinoloni abbassano la soglia delle
convulsioni perché riducono la sintesi di GABA nel SNC. La stessa cosa
può fare l’Isoniazide, il farmaco antitubercolare. Nei confronti del peso si
ha una riduzione di circa 2.5 kg, cosa positiva che ci aspettiamo perché,
potenziando il sistema dopaminergico, è un farmaco che a ragione induce
un decremento ponderale.
AGOMELATINA
Si chiama Valdoxan. Non ha avuto vita facile perché, nonostante il parere
positivo di qualche psichiatra presente al tavolo di consulenza per
l’approvazione del suddetto, l’evidenza scientifica derivante dai lavori
clinici era piuttosto limitata. Alla fine, il farmaco venne approvato a prezzi
tutto sommato contenuti.
266
L’Agomelatina è indicato nel trattamento della depressione, considerata
innovativa perché agonista dei recettori MT1 ed MT2 per la melatonina,
accoppiati a Gi e fondamentali nei ritmi circadiani. La melatonina di per sé
non è né un antidepressivo né un sedativo ipnotico, spesso è prescritta come
il minore dei mali per aiutare a dormire; ma, stando alle linee guida per il
trattamento dell’insonnia, la melatonina è considerata all’ultima stregua.
Serve unicamente per i ritmi circadiani, nei viaggi intercontinentali per
superare in maniera brillante il fuso orario. L’Agomelatina è un agonista più
potente della melatonina, quindi attiva i recettori MT1 ed MT2 in maniera
più brillante. La ratio che l’ha portata in terapia è stato il miglioramento del
sonno nei pazienti depressi, che hanno un disturbo ben chiaro del sonno. Si
diede grande enfasi a questo farmaco in una review su Nature, come primo
farmaco non monoaminergico; dato sbagliato perché in realtà l’Agomelatina
è un antagonista dei recettori 5HT2C. Quindi la componente
monoamingerica c’è: è un potente agonista dei recettori per la melatonina,
ma allo stesso tempo è un antagonista dei recettori 5HT2C. Questo deve
indurre una riflessione, perché i 5HT2C non vanno bloccati; se si bloccano,
si ha incremento ponderale. Una delle ragioni per cui Clozapina e
Olanzapina determinano quel grande incremento ponderale è perché
bloccano i 5HT2C e contemporaneamente bloccano gli H1.
L’Agomelatina non ha alcun effetto sui recettori H1, anche se blocca i
5HT2C. L’Agomelatina non fa ingrassare, forse perché bloccare da solo il
recettore 5HT2C non è sufficiente, o forse perché l’attivazione per i recettori
della melatonina in qualche modo controbilanciano, anche se non saprei
dirvi come e perché. Ultima possibilità è che il blocco esclusivo dei recettori
5HT2C senza altri bersagli serotoninergici determina alla fine una
supersensitività da blocco del recettore, e quindi l’effetto del farmaco è
controbilanciato. È curioso perciò che, nonostante il recettore della
serotonina principale anoressizzante venga bloccato, il trattamento con
Agomelatina non determini incremento ponderale.
Il farmaco è dato a dosaggio iniziale di 25 mg qd per poi passare
eventualmente a 50 mg/die. È un farmaco metabolizzato prevalentemente
dal CYP1A2: quanto detto per la Duloxetina prima, varrà anche per
l’Agomelatina. Nel senso che il fumo di sigaretta e gli inibitori di pompa
protonica sono induttori; mentre i Fluorochinoloni, e in particolare
267
Ciprofloxacina, Enoxacina e Fluvoxamina sono degli inibitori del CYP1A2.
Tutti questi farmaci citati, quindi, non devono essere combinati con
l’Agomelatina. L’Agomelatina ha un effetto discreto antidepressivo, non
eccezionale; può esser preso in considerazione in pazienti che non
rispondono ad altri farmaci. Ha però un grande tallone d’Achille, che è
l’epatotossicità; prima vanno misurate le transaminasi che, se aumentate più
di tre volte, ne precludono la somministrazione. Le transaminasi vanno poi
rivalutate dopo 3,6, 12 e 24 settimane dall’inizio della terapia, e solo dopo
possono essere controllate in maniera più periodica. Se ancora una volta le
transaminasi salgono di più di tre volte, il farmaco va sospeso
immediatamente. Tutte le condizioni che predispongono ad epatotossicità
automaticamente controindicano l’Agomelatina, condizioni come steatosi
epatica, epatiti virali, insufficienza epatica o uso di Valproato. Il Valproato
spesso viene dato a chi soffre di depressione come regolatore del tono
dell’umore ed è epatotossico, perché può dare steatosi, sindrome di Reye e
iperammonemia per azione primaria sul fegato. L’Agomelatina non è
indicata in gravidanza. Quindi il Valdoxan si può tenere in considerazione
per il trattamento della depressione, ma è un farmaco del quale non sono
entusiasta e ha dei suoi problemi nel profilo di tollerabilità, principalmente
l’epatotossicità.
MIRTAZAPINA (Remeron)
È un farmaco con un meccanismo d’azione molto particolare,
esclusivamente recettoriale, qui non si ha il trasportatore. È un po’ come
l’Agomelatina in questo senso, ma ha un’altissima affinità per i recettori H1,
dove si comporta da antagonista. Ha alta affinità per i recettori 2A ed 2C
e verso i 5HT2A e 5HT3, comportandosi sempre da antagonista. La
Mirtazapina è l’unico antidepressivo con azione sedativa a dosi basse, che
viene persa a dosi più alte. Fatto curioso perché, se i farmaci tendono a
sedare e deprimere il SNC, lo fanno con aumento delle dosi. In questo caso
a dosi basse il farmaco agisce bloccando esclusivamente i recettori H1, e
quindi si ha azione sedativa. In un paziente insonne di sera, si può anche
considerare la Mirtazapina, o anche in un depresso particolarmente agitato
per sedarlo, ma la si somministra a dosaggi bassi. Perché l’azione si perde
salendo col dosaggio? Perché quando il farmaco comincia a bloccare i
recettori 2, non importa siano 2A o 2C, bisogna considerare che questi
268
sono presinaptici e accoppiati a Gi. Sono recettori, infatti, che inibiscono il
rilascio di noradrenalina e serotonina. Quindi bloccando i recettori 2,
quando si aumenta il dosaggio della Mirtazapina, inevitabilmente aumenta
il rilascio di noradrenalina, che controbilancia la sedazione e
contemporaneamente aumenta il rilascio di serotonina. L’azione
antidepressiva è probabilmente riconducibile all’aumento del rilascio di
noradrenalina e serotonina, perché le fibre noradrenergiche e
serotoninergiche esprimono i recettori 2, che normalmente bloccano il
rilascio; e, quindi, se inibite i recettori 2 con Mirtazapina, aumentate il
rilascio. Se si usa, invece, una dose molto bassa di Mirtazapina, che blocca
i recettori H1 nel SNC, ma che non intacca ancora i recettori 2, a quel
punto si ha la sedazione, che si perde salendo con le dosi per il rilascio di
noradrenalina.
Altra cosa interessante è il blocco dei recettori 5HT2A, prerogativa questa
degli antipsicotici atipici. Allo stesso tempo potrebbe mitigare alcuni effetti
sulla sfera sessuale. Tutto sommato potrebbe essere dunque un valore
aggiunto in pazienti con manifestazioni schizoaffettive, tenendo però in
considerazione il fatto che il farmaco non ha attività sui recettori
dopaminergici.
La Mirtazapina inibisce, inoltre, i recettori 5HT3 con un’affinità
consistente; qui ritorna la Vortioxetina che migliora il cognitivo. Visto che
la Mirtazapina aumenta la trasmissione noradrenergica e blocca i recettori
5HT3 negli interneuroni che derivano dalla porzione caudale delle eminenze
ganglionari come le cellule gliaformi, si può dire migliori la sfera cognitiva?
Non lo so, non credo sia stata esplorata l’ipotesi. La Mirtazapina si dà dai
15 ai 45 mg/die; ha una lunga emivita sopra le 40 h ed è quindi sufficiente
il dosaggio giornaliero. Gli unici effetti avversi che possono essere presi in
considerazione sono l’aumento ponderale, che si ha per il blocco dei
recettori H1, e una depressione midollare; si possono avere, quindi,
manifestazioni di agranulocitosi o granulocitopenia, rari ma che hanno in
alcuni casi portato a morte
Il metabolismo coinvolge i CYP1A2, CYP2D6 e CYP3A4 con una serie di
metaboliti che hanno un’attività di molto ridotta.

269
Trazodone [Il prof non ha fatto in tempo a spiegare il Trazodone, però sarà
materia di esame, pertanto qui allego la pagina sul Trazodone di Wikipedia,
che fortunatamente è fatta benissimo! Per chi volesse qualcosa di più
ufficiale: sul gruppo Fb di farmacologia verranno caricati gli articoli in
inglese che il prof ha consigliato per l’apprendimento del Trazodone]
Il trazodone (nome commerciale Trittico in Italia, in altri paesi: Beneficat,
Deprax, Desirel, Desyrel, Molipaxin, Thombran, Trazorel, Trialodine) è una
sostanza psicoattiva della classe della piperazina e delle triazolopiridine, una
classe chimica che ha effetti antidepressivi, ansiolitici e ipnotici. Il
trazodone fu sviluppato come uno degli antidepressivi di seconda
generazione e appartiene agli antagonisti della serotonina e inibitori
della ricaptazione (SARI). È un antidepressivo atipico.

Viene commercializzato come farmaco in grado di fornire effetti terapeutici


nella prima settimana di somministrazione. Il trazodone ha la caratteristica
di non causare, oppure causare in modo minore, alcuni effetti collaterali di
tipo anticolinergico (come bocca secca, stitichezza, tachicardia) ed alcuni
effetti simpaticolitici (ipotensione, disfunzione sessuale come la disfunzione
erettile e l'anorgasmia) in confronto alla maggior parte dei TCA e dei TeCAS
(antidepressivi tetraciclici). Talvolta viene usato come sedativo o come
potenziante degli SSRI.

Storia
Il trazodone è una molecola scoperta, sviluppata e sperimentata in Italia
negli anni Sessanta dai laboratori di ricerca Angelini come antidepressivo di
seconda generazione. L'ipotesi alla base di questa ricerca è quella del
"dolore mentale", che venne postulata in seguito all'osservazione delle
caratteristiche di alcuni pazienti, dove si osservava che la depressione
maggiore era associata alla diminuita soglia del dolore. Il Trazodone è stato
brevettato e commercializzato in molti paesi del mondo. Alla fine del 1981
è stato approvato dalla FDA degli Stati Uniti. Chimicamente e
farmacologicamente è strettamente correlato al nefazodone (Serzone). Con
l'introduzione degli antidepressivi SSRI e SNRI il Trazodone non è
considerato più il farmaco di prima scelta nella cura della depressione.

Indicazioni
Depressione clinica con o senza ansietà;
Insonnia (in alcuni paesi si tratta di utilizzo off-label);
270
Fibromialgia, per favorire il sonno;
Controllo degli incubi notturni o di altri disturbi del sonno.
Usi addizionali proposti e utilizzi sotto indagine
Attacchi di panico;
Neuropatia diabetica;
Bulimia nervosa;
Disturbo ossessivo-compulsivo (OCD);
Sindrome di astinenza dall'alcool;
Schizofrenia e altre psicosi.
Potenziamento dell'effetto antidepressivo di altri farmaci
Il Trazodone viene spesso usato in associazione con SSRI (acronimo inglese
di "Selective Serotonin Reuptake Inhibitor) come la fluoxetina (Prozac) ed
è stato notato che aiuta nell'ansietà che può risultare all'inizio del trattamento
con questo tipo di antidepressivi. Il trazodone è stato prescritto anche ai
bambini come coadiuvante ad altri farmaci antidepressivi.

Farmacodinamica
Trazodone inibisce la ricaptazione della serotonina ma possiede una affinità
molto minore per il trasportatore della serotonina (SERT) rispetto ai farmaci
della classe SSRI, come la fluoxetina (Prozac) e il citalopram (Celexa). Gli
effetti ansiolitici e antidepressivi del trazodone possono essere dovuti agli
effetti agonistici sul recettore 5-HT1A e agli effetti antagonistici sui recettori
5-HT2A e 5-HT2C. Gli effetti sedativo-ipnotici possono derivare dalla sua
forte attività antagonistica a livello dei recettori 5-HT2A e del recettore α1
adrenergico in aggiunta alla sua moderata attività antagonistica sul recettore
H1.

Farmacocinetica
Il trazodone viene bene assorbito dopo somministrazione orale con livelli di
picco massimo che si ottengono circa 1 ora dopo l'ingestione.
L'assorbimento è in vario modo dilazionato e rafforzato dal cibo. L'emivita
di eliminazione media dal sangue è bifasica: l'emivita della prima fase è di
3–6 ore, e quella della seconda fase è di 5–9 ore. Il farmaco viene
estesamente metabolizzato, e nel corpo umano sono stati identificati 3 o 4
metaboliti maggiori, come la mCPP, che potrebbero essere responsabili
degli effetti collaterali del trazodone. mCCP attiva numerosi recettori della
serotonina, includendo il 5ht2c. A causa della breve emivita del trazodone,
se una dose viene assunta di notte la mCCP sarà presente nel corpo il giorno
271
seguente causando sintomi come anoressia, ansietà, ipo-locomozione,
cefalea e depressione. Circa il 70–75% del trazodone marcato con il
carbonio-14 è escreto nelle urine in 72 ore. Il trazodone ha un alto legame
proteico.

Avvertenze
Ipersensibilità al Trazodone;
Pericoli per i pazienti sotto i 18 di età: se combinati con altri farmaci
antidepressivi può aumentare il rischio di avere pensieri suicidari fino a
condurli a commettere il suicidio.
Precauzioni
Uno dei citocromi più importanti per il metabolismo del trazodone è
CYP3A4 e, in misura minore, CYP2D6. La fluoxetina è un potente inibitore
del CYP2D6, mentre il principale metabolita della fluoxetina, la
norfluoxetina, ha un moderato effetto inibitorio sul CYP3A4 (Hemerick A.
2002). Il trazodone viene metabolizzato dalla CYP3A4, enzima epatico.
L'inibizione di questo enzima da parte di varie altre sostanze può ritardare
la sua degradazione, provocando alti livelli ematici di trazodone. L'enzima
CYP3A4 può essere inibito da molti altri farmaci, erbe, cibi, e così via, dal
momento che il trazodone può interagire con queste sostanze. Una tra le
possibili interazioni con gli alimenti è quella con il succo di pompelmo. Si
sconsiglia il bere succo di pompelmo nei pazienti che prendono il trazodone.
Un bicchiere di succo di pompelmo non avrà quest'effetto nella maggior
parte delle persone ma è dimostrato che consumarne grandi quantità (oppure
berlo regolarmente) riduce la clearance del trazodone.

La possibilità del suicidio in pazienti depressi rimane alta durante il


trattamento e fino a che non avviene una significativa remissione. Di
conseguenza, il numero di compresse prescritte in ogni momento in
qualsiasi momento dovrebbe prendere in considerazione questa possibilità,
e i pazienti con idee di suicidio non dovrebbero mai avere accesso a grosse
quantità di trazodone.

È stato riferito che il trazodone può causare attacchi epilettici in un piccolo


numero di pazienti che li prendevano assieme ad altri farmaci antiepilettici.

Anche se il trazodone non è un vero membro della classe di antidepressivi


SSRI, condivide molte delle proprietà delle SSRI, specialmente la
272
possibilità dell'insorgere di una sindrome da interruzione se l'assunzione del
farmaco viene sospesa bruscamente. Si deve avere molta cautela
nell'interruzione della terapia, usualmente seguendo un graduale processo di
lenta diminuzione della dosi in un determinato periodo di tempo.

Una persona che bruscamente interrompe l'assunzione di trazodone, anche


a dosi basse di 25 mg (comune per l'utilizzo come blando induttore al sonno
per persone con disordini di ansietà), può sperimentali reazioni mentali
avverse come instabilità emozionale, umore depresso, e idee di suicidio.
Anche se queste avvertenze possono essere incluse nel materiale stampato
delle confezioni del medicinale, i medici che prescrivono il trazodone,
particolarmente quelli psichiatri, possono dimenticare di istruire
verbalmente il paziente su questi problemi.

Gravidanza e allattamento
Gravidanza: Negli esseri umani mancano dati sufficienti. L'utilizzo
dovrebbe essere giustificato dalla gravità della condizione da trattare.
Allattamento: Negli esseri umani mancano dati sufficienti. Inoltre, il
trazodone può essere riscontrato nel latte materno in concentrazione
significative. Le donne non dovrebbero allattare quando assumono il
trazodone.

Effetti collaterali
Gli effetti collaterali più comuni riscontrati sono sonnolenza,
nausea/vomito, cefalea e bocca secca.

Tra le reazioni avverse riportate in letteratura con una frequenza tra media e
scarsa si citano:

• Alterazioni comportamentali
• Sonnolenza, affaticamento, letargia, ritardo psicomotorio (riflessi
rallentati), sensazione di "testa leggera", vertigini, difficoltà nella
concentrazione, confusione, perdita della memoria, riso
incontrollabile, diminuzione dell'impulso sessuale.

• Alterazioni neurologiche
• Tremore, cefalea, atassia, emicrania, acatisia, rigidità muscolare, voce
impastata, eloquio rallentato, tinnito, parestesia, formicolio delle
273
estremità, debolezza, epilessia parziale complessa, e raramente,
incapacità a parlare, rapide contrazioni muscolari (miochimie),
ottundimento, distonia, euforia, e movimenti involontari.

• Alterazioni del sistema nervoso autonomo


• Bocca secca o poco sensibile, visione offuscata, priapismo, diplopia,
miosi dell'iride, congestione nasale, costipazione, sudorazione,
ritenzione urinaria, pollachiuria e incontinenza.

• Alterazioni cardiovascolari
• Ipotensione, tachicardia, palpitazioni, mancanza di fiato, apnea,
sincope, aritmie, allungamento dell'intervallo P-R dell'ECG,
fibrillazione atriale, bradicardia, extrasistoli ventricolari (includendo
la tachicardia ventricolare), infarto miocardico e arresto cardiaco.

Effetti collaterali inconsueti del trazodone


Aritmia cardiaca
Recenti studi clinici in pazienti con malattia cardiaca preesistente indicano
che il trazodone può essere aritmogenetico in alcuni pazienti di quella
popolazione di malati. Le aritmie identificate includono PVC isolate,
doppiette ventricolari, e in due pazienti si verificarono episodi (da 3 a 4
battiti) di tachicardia ventricolare. Esistono anche alcuni rapporti di post-
marketing di aritmie in pazienti sotto trazodone con malattie cardiache
preesistenti e in alcuni pazienti che non le avevano. Fino a che i risultati
dello studio prospettico non saranno disponibili, i pazienti con malattie
cardiache dovrebbero essere monitorati strettamente, particolarmente per
aritmie cardiache. Il trazodone non è consigliato per l'uso durante la fase
iniziale di recupero dall'infarto miocardico.

Priapismo
Raramente il trazodone è stato correlato al verificarsi di priapismo. In circa
il 33% dei casi riferiti, si richiese l'intervento chirurgico, e in una porzione
di questi casi, si è verificata una diminuzione della funzione erettile oppure
l'impotenza.

274
Il priapismo è una condizione
medica potenzialmente dannosa
nella quale il pene eretto non
ritorna allo stato di flaccidità (a
dispetto dell'assenza di
stimolazione sia fisica che
psicologica) in circa quattro ore.
Spesso è dolorosa. I pazienti di
sesso maschile con erezioni prolungate o inappropriate dovrebbero
immediatamente sospendere l'utilizzo del farmaco e consultare il loro
medico. Se la condizione persiste per più di 4 ore, sarebbe consigliabile per
il medico curante la consulta di uno specialista urologo oppure di un altro
specialista appropriato per decidere la gestione del problema.

Nella donna potrebbe verificarsi una condizione di eccitazione persistente,


nota in inglese come persistent genital arousal disorder.

Disturbi gastrointestinali
Possono verificarsi nausea, vomito, diarrea, malessere gastrointestinale,
anoressia, bulimia.

Fegato
Sono stati osservati raramente casi di epatotossicità idiosincratica,
possibilmente a causa della formazione di metaboliti reattivi.

Alterazioni endocrine
Diminuzione della libido, ma più raramente un aumento parossistico della
libido, aumento o perdita di peso, e raramente, irregolarità mestruali,
eiaculazione retrograda oppure inibizione dell'eiaculazione.

Sono stati osservati elevati livelli dell'ormone prolattina in pazienti che


assumono il trazodone.

Allergie e tossicità
In seguito alla terapia con trazodone si possono verificare eritema cutaneo,
irritazione alla pelle, edema, e, raramente, anemia emolitica,
metaemoglobinemia, alterazioni degli enzimi epatici, ittero ostruttivo,
vasculite leucocitoclastica, eruzioni di porpora maculo-papulare, foto-
275
sensitività e febbre.

Miscellanea
Dolorabilità delle giunture e dei muscoli, ipersalivazione, dolore al torace,
ematuria, irritazione della congiuntiva oculare, miochimie.

Rischi nell'utilizzo di macchinari


Dal momento che il trazodone può diminuire le abilità mentali e/o fisiche
richieste per l'esecuzione di compiti potenzialmente pericolosi – come
guidare un'automobile o macchinari – il paziente deve essere avvisato di non
svolgere tali attività sotto effetto del farmaco.

Alterazioni dell'emocromo e altri test di laboratorio


Si consiglia di eseguire analisi del sangue (emocromo) con il conteggio delle
cellule del sangue e delle diverse popolazioni di globuli bianchi nei pazienti
che sviluppano infiammazione alla gola, febbre, oppure altri segni di
infezione o di discrasia ematica. Il trazodone andrebbe interrotto se la conta
dei globuli bianchi oppure la conta assoluta dei granulociti neutrofili
dovesse scendere sotto la norma.

Interazioni farmacologiche
Il trazodone può potenziare gli effetti dell'alcool, dei barbiturici e di altre
sostanze che deprimono il sistema nervoso centrale; i pazienti dovrebbero
essere avvertiti sui rischi dal momento che il trazodone in combinazione con
altri depressori del SNC, può provocare una estrema stanchezza e
sonnolenza.

È stato riferito l'aumento dei livelli di digossina e fenitoina nei pazienti che
ricevono trazodone assieme a una di queste due terapie. Si conosce poco
dell'interazione tra trazodone e gli anestetici generali; dunque, prima della
chirurgia elettiva, il trazodone dovrebbe essere interrotto per quanto
clinicamente possibile.

Dal momento che non è noto se può accadere un'interazione tra il trazodone
e gli inibitori delle monoammino-ossidasi (IMAO), la somministrazione di
trazodone dovrebbe essere iniziata molto cautamente, con un aumento
graduale nella dosi se richiesto, se un IMAO viene dato in concomitanza o
se è stato sospeso poco prima del previsto inizio della terapia con trazodone.
276
Dose
Il trattamento dovrebbe essere iniziato a basse dosi (25–50 mg al giorno in
somministrazioni separate o in una singola dose serale). Il dosaggio
dovrebbe poi essere incrementato lentamente fino ad un massimo di 300 mg
al giorno nei pazienti ambulatoriali e di 600 mg al giorno nei pazienti
ospedalizzati. Pazienti geriatrici ed emaciati dovrebbero iniziare con 25 mg
al giorno; questa dose andrà poi lentamente aumentata a 300 mg. La durata
del trattamento dovrebbe essere almeno di un mese. Una dose di 50 mg è
raccomandata ove trazodone venga usato come ipnotico.

Overdose
Sintomi
Il sovradosaggio del trazodone può causare un aumento nell'incidenza o
nella gravità di uno qualsiasi degli effetti avversi, ad es. eccessiva sedazione.
Nella letteratura esistono casi di morte per sovradosaggio deliberato o
accidentale. Nonostante questo, il trazodone viene spesso usato invece degli
antidepressivi triciclici proprio perché molto raramente è letale in overdose.
Di conseguenza è poco probabile che i pazienti depressi utilizzino con
successo il trazodone per commettere suicidio.

Terapia del sovradosaggio


Non esiste antidoto specifico per il trazodone. La gestione del sovra-
dosaggio dovrebbe, dunque, essere sintomatica e di sostegno morale. In caso
di overdose il paziente deve essere tempestivamente portato in ospedale,
occorre tenere sotto osservazione la sintomatologia e valutare varie opzioni
terapeutiche. Tra questi vi sono il carbone attivo, la lavanda gastrica e la
diuresi forzata, che possono essere utili nel facilitare l'eliminazione del
farmaco.

DISTURBO BIPOLARE

[l’indicazione del prof. Nicoletti in merito a questa parte, che proviene dai
vecchi appunti, è quella di studiare solo il Litio, tuttavia io ho inserito
l’intera parte sul disturbo bipolare, per avvantaggiarne la comprensione. La
classificazione del disturbo bipolare qui presente è relativa al vecchio DSM,
così come i termini distimia, ciclotimia e simili]

277
Il termine Bipolare (non utilizzate il termine Bipolarismo che quello è una
cosa di politica e non c’entra niente) significa che il pz può presentare
espressioni delle due polarità del tono dell’umore: da una parte la
Depressione e dalla parte opposta la Mania.
In realtà però, il pz Bipolare non necessariamente deve avere tutte e due le
manifestazioni: la presenza di un episodio maniacale soltanto, senza un
episodio depressivo può essere già sufficiente per fare diagnosi di Disturbo
Bipolare.
Tra i due estremi del disturbo ci sono:
- Ipomania: poco prima della Mania;
- Temperamento Ipertimico: poco prima dell’Ipomania. Non è
necessariamente una connotazione di carattere patologico. Il temperamento
Ipertimico, per esempio, in molte circostanze, ce l’ho anche io: persone che
hanno la tendenza a parlare sempre, non hanno freni inibitori, alle volte
eccedono ma che nei quali non individuate dei trend patologici particolari;
- Distimia: poco prima della Depressione. È una depressione abbastanza
larvata.
Quindi:
MANIA (massima esaltazione del tono dell’umore) – IPOMANIA –
TEMPERAMENTO IPERTIMICO – DISTIMIA – DEPRESSIONE
(massimo abbattimento del tono dell’umore).
Tutto ciò crea confusione diagnostica perché negli episodi bipolari voi
potete avere all’interno tutte queste forme di gradazione e quindi potete
avere difficoltà ad inquadrare il pz in un modo o in un altro.
Ovviamente però, la caratteristica principale del pz è la Mania. Quindi la
prima cosa che cerchiamo di fare è stabilire quando si parla di Mania e
quindi quando un pz può avere diagnosi di Disturbo Bipolare.
DEFINIZIONE DI MANIA: perché un pz si definisca Manico deve avere
l’esaltazione del tono dell’umore ( non si usa la parola “Maniaco” perché
nel gergo comune può generare confusione: il maniaco per definizione è il
guardone che si mette a fare le sue cose davanti alle ragazze…ci racconta
delle sue esperienze nello sventare i guardoni tra gli scogli in Sicilia mentre
lui è in canoa. Inoltre, ci fa un esempio di persona con Mania: il presidente
del Consiglio ma poi ritratta e dice che ha Temperamento Ipertimico).
DIAGNOSI DI MANIA: Per definire la Mania devono essere presenti
almeno 3 sintomi rispetto a 7 sintomi che vi dirò. È una situazione molto
simile alla Depressione: i sintomi erano 9 e non 7 e bisognava selezionarne
5 di cui 2 o 3 obbligatori.
278
Allora: 3 sintomi rispetto a 7 ed è bene che siano presenti tutti i giorni, nella
maggior parte della giornata per almeno una settimana (Failure to
communicate, 10x02, House, la puntata racconta le vicende di un uomo
affetto da disturbo bipolare)
I sintomi sono:
1. Senso di massima
autostima, grandiosità,
esaltazione.
In determinate
circostanze questo
senso si autostima,
grandiosità ed
esaltazione può
assumere le
caratteristiche del
Delirio. Il DELIRIO per definizione è un’alterazione della logica non
corretta dalla critica: la logica se ne va per la tangente e la critica non è in
grado di correggere la logica. Il delirio è una caratteristica tipica della
Schizofrenia, non tanto della Mania però la linea di demarcazione tra queste
patologie, molte volte, è abbastanza sfumata. Se questi soggetti sviluppano
delirio sarà un delirio di grandezza: si sentiranno Napoleone Bonaparte,
diranno che sono figli di non si sa chi. In questo caso si parla di DELIRIO
OLOTIMICO: strettamente associato con il tono dell’umore.
2. Distraibilità.
È assolutamente impossibile mantenere l’attenzione su di un determinato
argomento. Passano di palo in frasca con assoluta facilità.
3. Aumento della velocità del pensiero.
4. Aumento della velocità dell’espressione del pensiero che sarebbe il
linguaggio.
Il loro pensiero va a mille, sono logorroici. Molto spesso questa velocità del
pensiero crea la situazione della FUGA DELLE IDEE: linguaggio
sconclusionato perché i pensieri sono talmente veloci che non c’è il tempo
materiale di trasferirli nel linguaggio. Un quadro di questo genere vi ricorda
una sostanza di abuso che poi è quella che più di ogni altra può creare una
situazione di Mania: la Cocaina. Se voi sniffate una grande quantità di
Cocaina, nel momento del picco della Cocaina, avete un quadro
psicopatologico di questo tipo.
5. Ridotto bisogno di sonno.
279
Sono pz che dormono 3-4 ore a notte, sono pienamente soddisfatti, non
hanno alcun genere di problema.
6. Agitazione psicomotoria.
Riguarda i cosiddetti Goal Directed Behaviour. Questi soggetti sono
particolarmente inclini a quei comportamenti che sono finalizzati ad un
obiettivo e lo fanno con grande agitazione, con grande velocità.
7. Alterazione del controllo degli impulsi.
Con questo aspetto esiste una correlazione assolutamente diretta e bisogna
tornare ai pz Parkinsoniani che fanno uso di due agonisti o di dopamino-
agonisti.
( Ci racconta la storia di un suo amico catanese che era cocainomane e che
ha sviluppato il Disturbo Bipolare: ne ha combinate di tutti i colori...).
DIAGNOSI DI IPOMANIA: quando le manifestazioni elencate
precedentemente sono più larvate, un po’ come avviene per la distinzione
tra Distimia e Depressione. La Distimia è una forma di Depressione più
lieve, l’Ipomania è una forma di Mania più larvata. Non deve essere presente
per una settimana ma soltanto per 4 giorni. Questo è molto importante
perché quando si deve fare diagnosi di Distimia i sintomi devono essere
presenti per almeno 2 anni ed invece per l’Ipomania, sono sufficienti 4
giorni di disturbi simili a quelli della Mania, però più attenuati.
CLASSIFICAZIONE del DISTURBO BIPOLARE (secondo DSM-IV):
- DISTURBO BIPOLARE DI TIPO I: quando è presente esclusivamente un
episodio Maniacale indipendentemente dal fatto che ci sia un episodio
Depressivo o meno. La presenza di un episodio Maniacale fa fare diagnosi
automatica di Disturbo Bipolare di tipo I. Questo è interessante per lo
Psichiatra perché potreste avere, per esempio, un pz che arriva al Pronto
Soccorso Psichiatrico in fase Depressiva. Dovete fare bene l’anamnesi a lui
ed ai parenti e capire se precedentemente c’è stato un episodio Maniacale
perché questo vi può creare la distinzione tra una Depressione Maggiore ed
un Disturbo Bipolare. Non è una stupidaggine perché poi la terapia viene

280
improntata in maniera
completamente diversa.
Quindi, in conclusione, il Disturbo
Bipolare di tipo I è un episodio
Maniacale indipendentemente da
un episodio Depressivo.
Nonostante l’episodio Maniacale
sia la caratteristica di questi pz,
quelli che hanno il Disturbo
Bipolare di tipo I hanno una
prevalenza di episodi Depressivi.
Quindi, la presenza di episodio
Maniacale serve a fare diagnosi di
Disturbo Bipolare però nella loro
storia clinica ci sono più episodi
Depressivi che episodi Maniacali
ed il rapporto è di 1 a 3 in favore
della Depressione. Gli uomini e le
donne hanno un’incidenza molto
simile (Infinitely Polar Bear, film
con Mark Ruffalo che descrive un genitore bipolare alla presa con la crescita
delle due figlie, che purtroppo si rendono perfettamente conto della
situazione).
- DISTURBO BIPOLARE DI TIPO II: non è presente la Mania ma è
presente l’Ipomania. L’Ipomania si alterna ad episodi di Depressione
Maggiore. Il rapporto e di 1 a 39 in favore della Depressione Maggiore: per
ogni episodio di Ipomania possono essere presenti 39 episodi di Depressione
Maggiore. Quest’ultima ha una maggiore incidenza nelle donne (15% delle
donne contro il 5-6% degli uomini) e quindi è chiaro che il Disturbo
Bipolare di tipo II è più presente nelle donne rispetto agli uomini.
- CICLOTIMIA: è un qualcosa di più benigno. La Ciclotimia è caratterizzata
da episodi Ipomaniacali alternati a Distimia. Quindi si hanno le forme
larvate delle due polarità cioè l’Ipomania e la Distimia.
Ovviamente Ipomaniacale può significare anche Temperamento Ipertimico,
insomma, il Ciclotimico è un pz patologico ma non sono certo che il
Ciclotimico vada sempre trattato mentre il Disturbo Bipolare di tipo I va
sempre trattato ed è un trattamento che in alcuni casi può durare tutta la vita,
il tipo II va frequentemente trattato, il Ciclotimico dipende dall’espressione
281
e dalla gravità dei suoi sintomi. Il Ciclotimico è un individuo che si incontra
molto frequentemente. Sono sicuro che molti dei vostri colleghi sono
Ciclotimici e anche molti dei miei colleghi docenti lo sono, veramente in
questo caso lo sono anche io: ho dei periodi in cui vado down e dei periodi
in cui sono up!
EPIDEMIOLOGIA: in generale i Disturbi Bipolari hanno una prevalenza
tra lo 0,1 e lo 0,5% della popolazione, quindi molto meno rispetto alla
Depressione Maggiore. La differenza la fanno Mania ed Ipomania che sono
fenomeni molto meno frequenti. Può insorgere a tutte le età. È
particolarmente grave quando viene prima dei 21 anni: il Bipolare giovane
può fare qualunque genere di cose.
È un disturbo che ha la massima probabilità statistica del suicidio, oscilla tra
il 10 ed il 15% nel Disturbo Bipolare di tipo I. C’è più suicidio nel Bipolare
di tipo I rispetto a quello con Depressione Maggiore perché voi nel Disturbo
Bipolare di tipo I andate dalle stelle alle stalle: è come se vi sentiste
Napoleone Bonaparte e poi vi mettono in esilio a S. Elena. In questo
momento voi avete una certa inclinazione a suicidarvi. Al contrario il
Depresso, che è sempre nelle stalle, può avere delle ideazioni suicidarie ma
ne ha in misura minore. Chi parte dal picco della montagna quando cade,
cade in maniera molto più violenta.
ETIOLOGIA: FAMILIARITA’. Qui siamo in una dimensione diversa
rispetto alla Depressione perché quest’ultima ha una componente di
familiarità minima, che abbiamo stimato nell’ordine del 30-40%. Nel caso
del Disturbo Bipolare la percentuale di familiarità è 80-85%, c’è
un’altissima familiarità!
Sapete come si fa a stabilire la familiarità in maniera corretta? Facendo il
raffronto tra i gemelli monozigoti ed i gemelli dizigoti. La concordanza tra
gemelli monozigoti è altissima: 80-85% indipendentemente dall’ambiente
in cui vivono. Cioè se voi prendete due gemelli monozigoti e li separate da
piccoli, uno continua a stare nel suo ambiente e l’altro viene portato in
un’altra famiglia, comunque si mantiene la concordanza di familiarità tra i
due gemelli che è molto più alta rispetto ai gemelli dizigoti.
Quindi evidentemente c’è un problema genetico nei Disturbi Bipolari ma è
un problema genetico che si conosce ancora molto poco.
Quali sono i geni candidati o le proteine candidate? Non si sa esattamente e
la ragione è che non esistono dei modelli animali di Disturbo Bipolare per
cui una particolare proteina viene chiamata in causa e quando viene
chiamata in causa voi ricercate poi il polimorfismo dell’uomo. Cerco di
282
essere più chiaro: se studiate una
patologia come il Parkinson: fate un modello di Parkinson, vedete qual è la
proteina coinvolta nella degenerazione della sostanza nera, poi cercate i
polimorfismi e le mutazioni nell’uomo ed a quel punto stabilite se c’è una
correlazione precisa. Modelli animali di Disturbo Bipolare non esistono.
L’unica cosa che potete fare è dare anfetamina e studiare l’ipermotilità
indotta dall’anfetamina: la sensibilizzazione all’effetto locomotore
dell’anfetamina e lo prendete come modello di Disturbo Bipolare. Ma
insomma non è facile studiarlo.
Esistono almeno una trentina di geni candidati come responsabili del
Disturbo Bipolare però, in realtà, gli unici due geni o le uniche due proteine
che meritano, allo stato attuale, un certo tipo di attenzione sono:
- GSK3β (Glicogeno Sintasi Chinasi 3β): è una proteina che abbiamo già
incontrato nei recettori all’insulina: enzima coinvolto nel metabolismo del
glicogeno, di grande interesse.
Nella posizione -50 di questa proteina (-50 significa che è posta 50
nucleotidi prima della trascrizione del gene che codifica per la proteina.
Siamo negli elementi regolatori del gene. La trascrizione inizia con il TATA-
box, poi c’è mRNA, se voi andate 50 basi prima avete la posizione -50) c’è
un polimorfismo, adenina in citosina o citosina in timina non ricordo bene,
che maggiormente si correla al Disturbo Bipolare.
Questo è un enzima che fa tante cose ed è coinvolto in una serie illimitata di
patologie e di situazioni varie. Fondamentalmente però è importante nel
nostro contesto perché almeno due farmaci che si usano nel Disturbo
Bipolare inibiscono GSK3β. Questi due farmaci sono il Litio ed il Valproato.
Ovviamente non sono farmaci che fanno solo questo però fanno anche
questo.
Facciamo l’ipotesi che l’enzima sia lasciato libero di funzionare: per prima
cosa fosforila la proteina TAU ( la proteina TAU è fosforilata soltanto da
due enzimi: GSK3β e CDK5). Cosa comporta la fosforilazione della
proteina TAU? Nel pz con Disturbo Bipolare non lo so. Però nei pz con
Taupatie come malattia di Alzheimer o la demenza frontotemporale
associata a Parkinson-cromosoma 17 o la degenerazione corticobasale o la
demenza di Pick e tante altre patologie del genere, quando TAU è
iperfosforilata si stacca dai microtubuli e forma dei grovigli che si
chiamano, nella malattia di Alzheimer: Grovigli Neurofibrillari. Quindi se
GSK3β funziona di più TAU viene fosforilata, i microtubuli non vengono
mantenuti in asse dalla proteina TAU che funziona come le stanghette
283
orizzontali dei binari del treno, e la TAU iperfosforilata forma questi
agglomerati, i Grovigli Neurofibrillari, che voi trovate all’interno delle
cellule nervose nei pz con malattia di Alzheimer.
La seconda cosa che fa GSK3β è ancora più nociva per le cellule nervose:
può fosforilare una proteina che si chiama β-catenina. La β-catenina è una
proteina particolare perché normalmente si unisce alle caderine che sono le
proteine di adesione. La quota di β-catenina che non stabilisce contatto con
le caderine migra all’interno del nucleo della cellula e fa esprimere dei geni
specifici che sono fondamentali per il funzionamento e per la sopravvivenza
delle cellule nervose.
La β-catenina,all’interno del nucleo, si unisce a fattori di trascrizione della
famiglia TCF/LEF ed innesca l’espressione di tutta una serie di geni che
sono fondamentali per la vita della cellula.
Nel momento in cui GSK3β funziona, fosforila la β-catenina che viene
automaticamente degradata dal sistema Ubiquitina/Proteasoma e quindi la
cellula nervosa perde l’espressione di geni che sono fondamentali per il suo
funzionamento e per la sua sopravvivenza.
Quindi GSK3β è un enzima cattivo perché fosforila TAU e crea la premessa
per gli aggregati neurofibrillari delle malattie neurodegenerative, allo stesso
tempo è un enzima che fa degradare la β-catenina attraverso un meccanismo
di fosforilazione e questa degradazione priva la cellula nervosa di un
apparato trascrizionale fondamentale.
Ci sono dei sistemi che tentano di tenere sotto controllo GSK3β e quindi
non la fanno funzionare? Uno dei fattori che riveste grande importanza è il
BDNF (Fattore Neurotrofico di Derivazione Cerebrale), è un fattore molto
simile a NGF. Questo è un fattore molto più importante di NGF: il BDNF fa
sopravvivere tutte le cellule nervose mentre NGF è importante solo per il
sistema colinergico. Il BDNF agisce su di un recettore di superficie che si
chiama TrKB (NGF agisce su TrKA). TrKB è un recettore a tirosin chinasi
che innesca una serie di meccanismi di trasduzione del segnale, che abbiamo
visto per i recettori all’insulina, tra questi meccanismi c’è la fosforilazione
della proteina AKT che fosforila a sua volta GSK3β in serina 9 inibendolo.
Quindi un principale meccanismo di controllo di GSK3β sono i fattori di
crescita: il fattore neurotrofico BDNF. Il BDNF sostanzialmente fa quello
che fa il Litio o il Valproato però endogenicamente.
Un’altra via che controlla GSK3β è la via di Wnt. È una via fondamentale
per l’omeostasi delle cellule nervose,di grandissimo interesse nei Disturbi
Bipolari. Probabilmente non avete mai sentito
284
parlare della via di Wnt ma della via di NOTCH3 penso di si. NOTCH3 è la
proteina mutata nel CADASIL: arteriopatia autosomica dominante con
infarto lacunare e stroke, ve ne dovrebbero aver parlato a Neurologia.
NOTCH e Wnt fanno cose diverse durante lo sviluppo: NOTCH fa
sviluppare le cellule progenitrici verso la glia, mentre Wnt le spinge verso i
neuroni. Quindi sono vie antitetiche.
Wnt sono delle glicoproteine secrete (hanno dei numeri come Wnt1, Wnt2,
Wnt7 ecc.) che la cellula forma e manda all’esterno. Sulla superficie della
cellula nervosa Wnt si lega a due recettori: FRIZZLED (a sette domini
transmembranari come i recettori delle proteine G) e LRP 5 oppure LRP 6
(proteine correlate al recettore delle LDL). Nel momento in cui Wnt agisce
la GSK3β, che si trova in un complesso insieme ad APC (Proteina della
Poliposi Adenomatose del colon), β-catenina ed AXINA (proteina di
segnalazione intracellulare), viene automaticamente disassemblata. Questo
complesso normalmente ha il compito di degradare la β-catenina, Wnt
impedisce la degradazione di β-catenina perché disassembla il complesso ed
allontana GSK3β dalla β-catenina.
Quindi GSK3β è inibita non solo da BDNF attraverso TrKB ma anche da
Wnt. Nel momento in cui Wnt è attivo, la β-catenina va nel nucleo perché
non viene più degradata, si unisce con i fattori TCF/LEF ed i geni della
sopravvivenza vengono indotti. Quindi Wnt è un sistema fondamentale per
la sopravvivenza delle cellule nervose.
Se siete particolarmente interessati in clinica psichiatrica si sta studiano il
rapporto tra Disturbo Bipolare ed un’ altra proteina che si chiama
DICKKOPT (misto semantico tra Dick: in inglese genitale e Kopt: in
tedesco testa, la traduzione letterale la capita da voi!) che ha il compito di
bloccare la via di Wnt. Si stanno chiedendo se DICKKOPT nel Disturbo
Bipolare venga espresso maggiormente in modo tale da bloccare la via di
Wnt cosicché GSK3β non è inibita, fosforila la β-catenina che viene
degradata e non è più in grado di attivare la trascrizione di TCF/LEF. Viene
ricercato nel plasma dei pz Bipolari, in particolare cercano un istotipo della
proteina che è DICKKOPT1.
- CaMKII (CaM chinasi II): proteina chinasi Calcio-calmodulina dipendente
di tipo II. Se voi prendete un pz che presenta Disturbo Bipolare, utilizzate
la ghigliottina e gli tagliate la testa, prendete la corteccia prefrontale vedrete
che qui ci sarà una grande riduzione di CaMKII rispetto a tutte le altre
proteine. Quindi questa proteina è difettiva nella corteccia prefrontale dei pz
con Disturbo Bipolare. Se prendete un topo knockout per CaMKII il topo
285
sviluppa una sintomatologia che ricorda il Disturbo Bipolare anche se vi ho
detto che è difficile fare un modello animale di Disturbo Bipolare.
Quindi, in definitiva, sono due le proteine maggiormente candidate alla
genesi del Disturbo Bipolare: GSK3β (probabilmente la proteina più
importante in questo disturbo) e CaMKII.
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI: la RMN, la PECT e la SPECT ci
possono dire qualcosa su ciò che accade nel cervello di un pz con Disturbo
Bipolare?
Utilizzando la RMN con tecnica Bold si esegue una Risonanza Funzionale:
si valuta il consumo di Ossigeno tramite la produzione di Anidride
Carbonica: si fa fare un task motorio al pz e si vede quali regioni cerebrali
si attivano. È una tecnica molto utile, si può fare la stessa cosa con la PET o
con la SPECT però la RM Funzionale ha una potenza maggiore ed un potere
di definizione che sono abbastanza ideali.
La prima cosa che si vede è che in questi pz la captazione del segnale è
ridotta o marcatamente alterata in tre regioni del nostro cervello che hanno
un ruolo fondamentale per il controllo della sfera degli impulsi e delle
funzioni esecutive. Queste regioni sono:
- Corteccia Prefrontale Dorsolaterale: la parte della corteccia che assembla
le percezioni che arrivano dal mondo esterno. Lo fa in maniera coerente
secondo l’esperienza vissuta e secondo l’esperienza a priori. È come se
mettete insieme una visione di tipo Platonico con una visione di tipo
Aristotelico in cui avete le idee innate ma allo stesso tempo c’è l’esperienza
della tabula rasa. Prima assembla i contenuti delle percezioni e poi organizza
la sfera esecutiva, il comportamento. In questa regione del cervello nasce la
Working Memory: memoria di lavoro, memoria esecutiva che è quella con
cui imparate un numero di telefono e qualche minuto dopo fate la telefonata.
- Corteccia Orbitofrontale: la parte della corteccia che controlla la sfera degli
impulsi e valuta il rapporto tra il rischio ed il beneficio. I pz Bipolari non
controllano gli impulsi (ipersessualità ecc.) e nello stesso tempo non
valutano mai il rapporto rischio beneficio.
- Giro del Cingolo Anteriore: coordina i comportamenti e le esecuzioni
motorie al tono dell’umore.
Quindi in queste tre zone avete una diminuzione della captazione.
Sempre con la RMN Funzionale avete invece un aumento della captazione
a livello Sottocorticale, significa che funzionano di più. Perciò le aree di
controllo ipocaptano e funzionano di meno. Invece le regioni sottocorticali
che sono quelle che servono alla programmazione diretta del movimento
286
captano di più.
Capta di più:
- Nucleo Accumbens: cioè il sistema Mesolimbico. Questo è il sistema della
gratificazione. Quindi se capta di più è come quando prendete la cocaina:
avete una programmazione motoria che vi porta sempre alla sorgente del
piacere senza il controllo della corteccia Orbitofrontale;
- Amigdala: la regione dove si crea la memoria della paura, cioè gli effetti
emozionali del dolore. Se l’Amigdala lavora in maniera impropria nascono
le sindromi Ansiose. L’ansia è la paura del nulla;
- Striato: serve per la programmazione delle abitudini motorie. In effetti,
molte volte, i Bipolari sono stereotipati nelle loro manifestazioni: compiono
atti motori molto ripetuti.
Quindi è come se ci fosse una dissociazione fra le strutture di controllo e le
aree esecutive.
FREQUENZA DEI DISTURBI: gli episodi, nell’arco di un anno, quante
volte sono presenti? Non sono molto frequenti. Normalmente avete una
media di 0,4-0,7 episodi per anno.
SOTTOTIPI:
- NOS: disturbo non altrimenti specificato. Forma di Disturbo Bipolare
diversa dal tipo I e dal tipo II.
- Stato MISTO: le manifestazioni di esaltazione dell’umore e di depressione
dell’umore possono coesistere nello stesso momento.
- Disturbo a CICLI RAPIDI: sono 4 o più disturbi nell’arco di un anno. Sono
pz che spesso non rispondono bene al Litio in terapia e più frequentemente
sono di sesso femminile. Si associa frequentemente con Ipotiroidismo: può
essere manifesto ma anche subclinico. Gli ormoni tiroidei sono importanti?
La prima regola, quando voi fate una diagnosi in patologia psichiatrica, è
andare a guardare attentamente la Tiroide. La Tiroide, insieme al Surrene, è
la ghiandola endocrina in assoluto più importante in ambito Psichiatrico ed
in generale per la patologia del SNC. Ci sono dei casi in cui la Depressione
Maggiore o il Disturbo Bipolare si controllano esclusivamente con gli
ormoni tiroidei: potete dare al pz il T4 e vi può risolvere un episodio
Depressivo che con i farmaci non controllate. Esiste un’altra possibilità: il
T3 somministrato insieme ad Antidepressivi: nei Disturbi Bipolari insieme
al Litio per esempio. Questa associazione è fatta sfruttando il boosting
farmacologico. In questo caso curiosamente non si usa il T4 ma si usa il T3.
Quindi se volete utilizzare in terapia un unico farmaco utilizzate il T4, se
invece date un ormone tiroideo insieme ad un Antidepressivo normalmente
287
si dà il T3. Non c’è un motivo vero e proprio ma penso sia dovuto ai trials
clinici che sono stati fatti: quelli in monoterapia con la T4, quelli in
associazione con la T3.
- CICLI ULTRARAPIDI: cicli frequentissimi ed alle volte si fa riferimento
ai cicli ultradiani. Le oscillazioni dell’umore possono essere anche nell’arco
della stessa giornata. Può essere difficile fare diagnosi differenziale con lo
Stato Misto (Depressione, Mania o Ipomania nello stesso momento): se voi
avete un’oscillazione così rapida del tono dell’umore che lo stato Maniacale
e quello Depressivo si alternano nell’arco della stessa giornata potete
confondervi con uno Stato Misto.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE:
- ADDICTION: spesso un pz con Disturbo Bipolare è, in realtà, un
tossicodipendente. Quindi il disturbo nasce perché è un cocainomane che
continua a sniffare. I due fenomeni però sono in comorbidità: le droghe,
soprattutto gli psicostimolanti, inducono i Disturbi Bipolari ed il pz Bipolare
ricerca le droghe perché il sistema Mesolimbico oscilla in maniera
drammatica.
- ADHD: Deficit dell’attenzione ed iperattività nei bambini. È presente nel
4% dei ragazzi, quindi non è così infrequente. Si può trattare con Ritalin (se
gestito male può dare abuso) e Metilfenilato.
- DISTURBI della PERSONALITA’: sono delle alterazioni della personalità
che vengono considerate espressione di psicopatologia e che qualcuno ha
avuto il capriccio di radunare in tre gruppi:
Cluster A: individui Schizotimici, Schizopatici,Paranoici (individui che
si sentono perseguitati tutto il giorno). Non entrano in diagnosi differenziale
con il Disturbo Bipolare perché questi pz hanno comportamenti
completamente diversi.
Cluster B: individui Narcisisti, Istrionici, Borderline, Antisociali. Con
questo gruppo può esiste la diagnosi differenziale con il Bipolare. Questi
individui hanno fatto la storia dell’umanità ed in effetti anche i Bipolari
l’hanno fatta: tutti i grandi geni della terra
sono stati Bipolari perché nella fase Maniacale non si hanno freni inibitori
ed esce il colpo di genio.
Cluster C: individui Evitanti, Dipendenti, Ossessivi-Compusivi.
TERAPIA: deve essere una terapia prolungata. In genere almeno 2-5 anni
di terapia, alle volte per tutta la vita. Avete il problema delle recidive che
riguardano un’ampia percentuale di pz. Il periodo più critico per le recidive
sono i cambi di stagione. Quindi è una terapia che vi garantisce un controllo
288
ma non è mai un controllo totale.
Tre momenti di terapia fondamentali. Attaccare:
- Fasi Maniacali: terapia acuta, il pz è in questa fase e bisogna cercare di
risolvergli l’attacco in qualche modo.
- Fase Depressiva: il pz è in Depressione grave, a rischio di suicidio o
semplicemente in Depressione e dovete fargli la terapia. Bisogna stare
attenti perché il pz potrebbe venire da voi con una fase Depressiva ma con
l’anamnesi dovete capire che è un Bipolare perché non lo tratterete con
farmaci Antidepressivi.
- Profilassi: mantenete sempre la terapia al fine di evitare le fasi Depressive
e le fasi Maniacali.
Quando si lavora nella fase Maniacale od in quella Depressiva c’è un
problema: lo SWITCH.
SWITCH: se trattate la fase Depressiva come se fosse una Depressione
senza tener conto che il pz è Bipolare potete fargli passare la Depressione
però potete creare uno switch di fase e fare andare il pz nella fase Maniacale.
Se voi trattate la fase Maniacale con determinati farmaci ed il trattamento è
un po’ sfortunato o utilizzate farmaci che sono più a rischio di altri il pz può
andare in switch e stabilire una fase Depressiva.
Il passaggio è più grave se voi passate dalla fase Maniacale alla fase
Depressiva perché poi il pz diventa a rischio di suicidio ma anche il
passaggio da una fase Depressiva ad una Maniacale, ovviamente, può creare
grandissimi problemi.
TERAPIA IN ACUTO DELLA FASE MANIACALE:
Dovete utilizzare dei farmaci che, se usati comunemente in profilassi, li
utilizzerete a dosaggi diversi. Per esempio, il Litio: si può dare in profilassi
ed in fase Maniacale acuta ma quando lo date in acuto è a dosaggi più alti.
Questo vale anche per gli altri farmaci che potete gestire nei due momenti:
fase Manicale e Profilassi. I farmaci sono:
1. LITIO: 1-1,5 g/die (i dosaggi di attacco sono subito abbastanza alti). Se
attaccate la fase Maniacale acuta esclusivamente con il Litio per vedere un
effetto dovete aspettare qualche giorno. Quindi non è un effetto immediato.
Alle volte vi potreste trovare nell’assoluta necessità di ricorrere a dei rimedi
molto rapidi perché il pz potrebbe essere molto pericoloso per se stesso e
per gli altri. Il Litio è considerato un farmaco di scelta per la fase Maniacale
ma con una certa attenzione alla sua latenza di azione.
2. ACIDO VALPROICO: lo abbiamo trattato tra gli Antiepilettici
(riguardate gli appunti). In attacco acuto si dà 25 mg/kg fino a 1-2 g/die.
289
L’Acido Valproico ha molti meccanismi d’azione ma in questo contesto è
importante l’inibizione di GSK3β (questo meccanismo probabilmente è più
importante quando lo date in profilassi rispetto a quando lo date in acuto: il
blocco dei canali del sodio ed il potenziamento della trasmissione
GABAergica durante una fase Maniacale probabilmente è più importante
rispetto all’inibizione di GSK3β) e l’inibizione di HDAC (Istone
Diacetilasi: enzimi che regolano la trasmissione genica). Tutte queste cose
le avete sugli appunti precedenti quindi riguardate quelli, non vi dico altro
su questo argomento.
3. CARBAMAZEPINA (Tegretol): descritto tra i farmaci Antiepilettici nelle
crisi focali secondariamente generalizzate, nelle crisi tonico-cloniche del
grande male. Ritrovate anche questo negli appunti precedenti.
4. ANTIPSICOTICI: probabilmente il migliore farmaco che potete dare in
una fase Maniacale è un Antipsicotico CLASSICO che si chiama
Aloperidolo (Haldol, Serenase). Questo farmaco crea il problema del
Parkinsonismo farmacologico perché è un bloccante dei D2 e di
conseguenza induce rigidità, bradicinesia, qualche volta tremori. Se dovete
combattere una fase Maniacale non c’è niente di meglio che fargli una bella
iniezione di Haldol o per bocca il Serenase, se riesce a prenderlo: in questo
modo controllate l’acuzie molto bene. Il problema però è il Parkinsonismo.
Inoltre, qualche volta, gli Antipsicotici CLASSICI, inducono, alla lunga, nel
pz Schizofrenico delle manifestazioni che ricordano molto la Depressione.
La Schizofrenia può essere a sintomi positivi ( delirio, allucinazioni,
disorganizzazione del pensiero, atteggiamenti motori particolari) ed a
sintomi negativi (infelicità, anedonia). Quando c’è una situazione di sintomi
negativi, alle volte, può dipendere dall’uso dei Neurolettici classici. Quindi
quando utilizzate un Neurolettico classico come l’Aloperidolo, per un
trattamento di una fase Maniacale acuta, dovete innanzitutto dare un
anticolinergico per evitare il Parkinsonismo farmacologico e poi dovete
stare attenti perché un farmaco di questo genere può creare una sorta di
Depressine farmacologica che vi può far pensare ad uno switch dalla fase
Maniacale a quella Depressiva ma è più un effetto avverso del farmaco che
un vero e proprio switch. Per questo, nelle linee guida, si dà molta enfasi
agli Antipsicotici ATIPICI: Antipsicotici che a differenza di quelli
CLASSICI non inducono Parkinsonismo farmacologico. Di questi farmaci
parleremo la prossima settimana, ora ve li elenco soltanto:
- CLOZAPINA;
- RISPERIDONE;
290
- 9-OH-RISPERIDONE: in realtà è il metabolita attivo del Risperidone e si
chiama PALIPERIDONE;
- OLANZAPINA: farmaco molto utile nei Disturbi Bipolari;
- QUETIAPINA: anche questo di grande utilità;
- ARIPIPRAZOLO;
- ZIPRASIDONE.
Nell’insieme tutti questi farmaci bloccano i recettori D2 ma in misura del
40-50% mentre i
Neurolettici CLASSICI lo fanno per più del 90%, inoltre bloccano i recettori
5HT2a. Questa
doppia azione è caratteristica dei Neurolettici ATIPICI. L’eccezione è il
Risperidone perché
blocca i D2 con la stessa forza dei Neurolettici Classici (80-90%) però in
aggiunta blocca anche i
recettori 5HT2a.
Come vi orientate se utilizzate un Neurolettico ATIPICO in una fase
Maniacale acuta?
Il Risperidone è un ottimo farmaco, come l’Aloperidolo, anche se c’è il
problema del Parkinsonismo farmacologico quindi anche lì teoricamente
dovreste dare una copertura con un anticolinergico.
La Clozapina è il miglior Neurolettico che esiste al mondo, pensate che uno
Schizofrenico farmaco-resistente lo potete guarire solo con la Clozapina. È
un farmaco che si estende oltre la Schizofrenia perché si usa nelle discinesie
da Neurolettici,nelle discinesie da L-Dopa, in tante situazioni particolari, è
ottimo contro il suicidio però ha un problema: gli effetti avversi. Quindi
nelle linee guida, quando bisogna attaccare una fase Maniacale, c’è scritto
di stare attenti alla Clozapina e dice proprio di non utilizzarlo perché può
ridurre le cellule della serie bianca del sangue. Questo è un effetto che in
tempi passati ha portato all’eliminazione dal commercio della Clozapina poi
però, dopo qualche anno, è rientrata in commercio perché se si controllano
le cellule della serie bianca con attenzione il rischio di una neutropenia
molto grave, di un’aplasia midollare in effetti non c’è.
Quetiapina, Aripiprazolo, Olanzapina e Ziprasidone possono essere
utilizzati nella fase Maniacale acuta. Tuttavia, Quetiapina e Olanzapina non
hanno l’impatto dell’Aloperidolo. L’Aloperidolo controlla una fase
Maniacale in maniera più efficiente. Aripripazolo e Ziprasidone se si danno,
si danno a dosaggi più alti rispetto ai dosaggi ordinari, questo vale un po’
per tutti i farmaci che ho detto perché la fase Maniacale è una cosa che
291
dovete controllare subito. Questi ultimi due farmaci possono determinare,
in maniera maggiore di altri, uno switch alla fase Depressiva. Non c’è una
ragione per cui succede questo ma Aripripazolo e Ziprasidone hanno questo
inconveniente.
Quindi, in generale, lo Psichiatra nella fase Maniacale si orienta con questi
farmaci. Teoricamente può anche utilizzare altri farmaci Antiepilettici ma
questi li riserviamo, come seconda scelta, nel trattamento della Profilassi di
cui parleremo tra poco.
TERAPIA IN ACUTO DELLA FASE DEPRESSIVA
Vi arriva un pz Depresso e dalla sua storia capite che è un pz Bipolare perché
in qualche momento della sua vita ha avuto un episodio Maniacale.
Teoricamente potreste dargli TCA (Triciclici), SSRI e SNRI e cioè regolarvi
con i principali farmaci Antidepressivi che usate in terapia. Ma
praticamente:
1. TCA: non li date. Se li date il pz in fase Depressiva fa lo swicth e vi passa
alla fase Maniacale. La probabilità statistica di avere uno switch è massima
con i TCA.
2. SSRI: potrete dare uno dei 5 o 6 SSRI che abbiamo trattato:
FLUOXETINA, PAROXETINA, FLUVOXAMINA; CITALOPRAM,
ESCITALOPRAM, SERTRALINA. Se date gli SSRI da soli cadete anche
in questo caso nello switch. Allora quando date un SSRI dovete darlo
insieme ad uno Stabilizzatore del tono dell’umore e cioè insieme ad un
farmaco che impedisca l’avvento della fase Maniacale. Negli USA è stata
realizzata una combinazione che esiste come farmaco unico ma che in Italia
non c’è ed è FLUOXETINA+OLANZAPINA (nome commerciale
Zyprexa). È un farmaco che viene utilizzato molto per la Schizofrenia e ha
un unico grande inconveniente : fa ingrassare. Questo tipo di combinazione
permette il controllo della fase Depressiva con la Fluoxetina e
contemporaneamente impedisce lo switch perché l’Olanzapina si comporta
da stabilizzatore del tono dell’umore ed impedisce che il pz passi da fase
Depressiva a fase Maniacale.
3. SNRI: teoricamente potreste combinare anche gli SNRI con uno
Stabilizzatore dell’umore ma nella pratica clinica credo che un SSRI sia più
frequentemente usato in questi contesti rispetto ad un SNRI e cioè rispetto
alla VENLAFAXINA o alla DULOXETINA.
4. QUETIAPINA (Seroquel): alternativa nell’attacco della fase Depressiva.
È un Antipsicotico Atipico di cui abbiamo parlato poco fa. È abbastanza
sedativo, spesso si prende la sera per dormire. Per qualche strano motivo la
292
Quetiapina è un Antipsicotico che è dotato di attività antidepressiva più
degli altri. Quindi per trattare una fase Depressiva nel disturbo Bipolare,
senza correre il rischio di uno switch in fase Maniacale, la Quetiapina è una
buona alternativa perché non è un Antidepressivo come classe di farmaco
ma è un Antipsicotico, un Antipsicotico provvisto di una certa valenza
antidepressiva.
In conclusione: se avete una fase Depressiva con diagnosi di Disturbo
Bipolare e scegliete un Antidepressivo usate un SSRI e non un TCA. SSRI
dovete darlo in combinazione con uno Stabilizzatore del tono dell’umore
come l’Olanzapina ma potreste prenderne anche altri di Stabilizzatori del
tono dell’umore; se utilizzate una monoterapia usate la Quetiapina che non
dà effetti di switch nella fase Maniacale e nello stesso tempo controlla
abbastanza bene i sintomi della Depressione.
Non dico nulla sui dosaggi di questi farmaci perché ne parleremo la
prossima volta.
PROFILASSI
Significa che si fa la terapia sempre. Ovviamente i farmaci che utilizzate in
Profilassi devono essere opportunamente titolati. Nelle fasi acute la
titolazione è l’ultimo dei pensieri perché avete una situazione di emergenza.
Si usano:
1. ACIDO VALPROICO (Depakin): viene utilizzato dalla maggior parte
degli operatori. Curiosamente però l’uso dell’Acido Valproico,
frequentissimo in Italia, è Off Label. Off Label: l’Acido Valproico lo potete
utilizzare nella fase Maniacale, c’è l’indicazione, se lo utilizzate nella
Profilassi del Disturbo Bipolare non c’è indicazione ufficiale, anche se lo
fanno tutti.
I quattro farmaci che secondo la FDA (Food and Drug Administration)
hanno l’indicazione ad essere utilizzati in questa fase sono:
2. LITIO: in particolate Carbonato di Litio. È considerato farmaco di prima
scelta nella Profilassi. Il Litio è molto efficace nel prevenire le fasi
Maniacali ma è meno efficace nel prevenire le fasi Depressive. Quindi se
siamo in un contesto di Disturbo Bipolare di tipo II in cui c’è un rapporto di
1 a 39 tra fasi Ipomaniacali e fasi Depressive bisogna un attimo ragionare
se somministrare il Litio perché la frequenza degli episodi Depressivi
potrebbe essere rilevante nonostante il trattamento con il Litio.
3. OLANZAPINA;
4. LAMOTRIGINA (Lamictal): unico Antiepilettico che veramente ha
indicazioni per la Profilassi del Disturbo Bipolare. È curioso perché la
293
Lamotrigina è l’ultimo arrivato tra gli Antiepilettici, tanto è vero che è di
seconda generazione, anche se adesso è diventato un farmaco di
monoterapia. La Lamotrigina è diversa rispetto al Litio perché è più efficace
nel prevenire le fasi Depressive.
5. ARIPIPRAZOLO (Abilify): l’utilizzo deriva soltanto dal fatto che gli
studi clinici che hanno portato a questo tipo di approvazione sono stati fatti
con l’Aripiprazolo e non con altri Antipsicotici Atipici a parte l’Olanzapina.
Gli Psichiatri, alle volte, sono un pochino riluttanti nei confronti dell’Abilify
perché molti lo considerano non così efficace rispetto ad altri Antipsicotici,
alcuni lo considerano un po’ troppo attivante e quindi in determinati contesti
non viene utilizzato.
In alternativa cosa potreste utilizzare in questa fase? Potreste utilizzare:
- Antiepilettici: Carbamazepina (Tegretol), Oxcarbamazepina (Tolep),
Topiramato (Topamax). Il vantaggio del Topiramato rispetto agli altri è che
non fa ingrassare. Per la cronaca neanche l’Aripiprazolo fa ingrassare
mentre l’Olanzapina ed il Litio fanno ingrassare molto. Altri farmaci
Antiepilettici come la Tiagabina o la Fenitoina sono molto di rado utilizzati
in questo contesto.
- Pregabalin (Lyrica) oppure Gabapentina (Neurontin): questi agiscono
come stabilizzanti del tono dell’umore ma sono chiaramente Off Label.
- Calcio-Antagonisti: si usano nel caso in cui i farmaci di prima scelta non
risultassero efficaci e quindi il pz è farmacoresistente.Si può utilizzare il
Verapamil e la Nimodipina (Nimotop). Quest’ultimo perché rispetto ad altre
diidropiridine passa meglio la Barriera Ematoencefalica e quindi ha
un’azione centrale maggiore tanto è vero che questo farmaco lo utilizzate
nell’emorragia subaracnoidea per evitare il vasospasmo riflesso.
- Elettroshock: rappresenta un rimedio anche per il Disturbo Bipolare.
- Acidi Grassi Insaturi: qui andiamo nella fantasia. Può essere un metodo di
supporto. Potete darli benissimo al pz tanto non fanno male, certo darli in
monoterapia non è consigliabile.
- Mexiletina: Antiaritmico 1b.
- Propranololo (Inderal): nei pz particolarmente agitati poiché ha una
capacità depressogena sul SNC.
Molti di questi farmaci, se vi ricordate, li abbiamo già visti nella Profilassi
dell’Emicrania.

LITIO
Il Litio (Li⁺) è uno ione della tabella degli elementi ed è il metallo più
294
leggero. Nella forma di sale è presente come Carbonato di Litio o Citrato di
Litio. In Italia esiste solo il Carbonato di Litio che chiamiamo comunemente
CarboLitio. In altri paesi europei sono presenti entrambe le forme.
STORIA: agli inizi del ‘900, il Li⁺ veniva dato come Bromuro di Litio per
sedare i pz. In realtà la sedazione non la dava il Li⁺ ma la dava il Bromuro.
Questo ha creato la fama nefasta del Li⁺: dato in quelle circostanze e con
quella via di somministrazione era cardiotossico. Quindi il Li⁺ è stato
etichettato come elemento pericoloso, cardiotossico, ed è stato
completamente tolto dal mercato.
Nel 1949 Cade (scienziato australiano) cercò, nelle urine degli
Schizofrenici, delle sostanze che potessero essere responsabili della
Schizofrenia. Non era una stupidaggine perché ci possono essere delle
catecolamine metilate che possono indurre allucinazioni, prima fra tutte la
Mescalina (derivato anfetaminico che presenta dei gruppi metossi
particolari e che dà allucinazioni).
A quel tempo si pensava che delle sostanze ipermetilate potessero indurre la
Schizofrenia. Così Cade prendeva le urine dagli Schizofrenici e poi le
iniettava nei ratti per vedere se avessero delle stranezze comportamentali.
Ma nelle urine erano presenti i cristalli di urato e lui per solubilizzarli
utilizzò il Li⁺ come additivo nelle urine. Quindi utilizzò il Li⁺ semplicemente
come elemento chimico per solubilizzare i cristalli di urato. Prendeva le
urine, le iniettava negli animali e notò che induceva letargia nei ratti. La
letargia era indotta solo quando il Li⁺ era presente nelle urine e non quando
c’erano le urine da sole. Da qui è nata la storia del Li⁺ nei Disturbi Bipolari.
Ma allora la cardiotossicità che era stata osservata all’inizio? La
cardiotossicità esiste, però è qualcosa che può essere tranquillamente
controllata. Non credete mai a tutti quelli che vi dicono che il Li⁺ sia una
sostanza pericolosa, non lo è! Il Li⁺ è una sostanza molto tollerata dal pz a
patto che i dosaggi siano giusti, che le concentrazioni plasmatiche siano
controllate in maniera corretta e che non vi siano dei fattori di rischio per
alcune forme di tossicità: un pz che ha aritmie cardiache non può ricevere il
Li⁺. Ci sono persone che fanno il Li⁺ da anni, hanno il Disturbo Bipolare
perfettamente controllato e non hanno effetti avversi particolari o degni di
nota.
MECCANISMO D’AZIONE: sono molteplici:
1. il Li⁺ è molto simile al Na⁺ e quindi la prima cosa che il Li⁺ può fare è
entrare attraverso i canali del Na⁺ voltaggio dipendenti (nel SNC sono
soprattutto NAB 1.1, NAB 1.2) durante il potenziale d’azione. A differenza
295
del Na⁺ però, il Li⁺ che entra nella cellula, non può più uscire. Questo perché
il Na⁺ è un substrato della pompa Na⁺ /K⁺ e quindi il Na⁺ che entra durante
il potenziale d’azione attraverso la pompa viene scambiato con il K⁺ e
ributtato fuori. Il Li⁺ che entra invece resta all’interno
della cellula. Ora questo meccanismo d’ingresso attraverso i canali del Na⁺
non è tanto importante per il meccanismo d’azione perché in realtà entrano
150 mM di Na⁺ mentre il Li⁺ è presente a concentrazioni di circa 1 mM
quando lo date in terapia, cosa più cosa meno, come vedremo dopo. Quindi
anche se dovesse avere un minimo di interazione con i canali del Na⁺
certamente lui non partecipa ai potenziali d’azione, cosa volete che sia 1mM
di Li⁺ contro 150 mM di Na⁺ che entrano con una velocità spaventosa! Però
i canali del Na⁺ voltaggio dipendenti sono un veicolo attraverso il quale il
Li⁺ può penetrare dentro la cellula ed esercitare degli effetti al suo interno.
2. Il Li⁺ agisce sul rilascio di alcuni neurotrasmettitori: inibisce il rilascio di
Dopamina, inibisce il rilascio di Noradrenalina. Questo meccanismo
d’azione è particolarmente importante nell’attacco delle fasi Maniacali: se
riducete il sistema dopaminergico avete un’azione antimaniacale
(probabilmente l’Aloperidolo ha un’azione fantastica perché blocca i D2).
Curiosamente però il Li⁺, allo stesso momento, aumenta il rilascio di
Serotonina. Quindi è come se avesse contemporaneamente un meccanismo
di tipo “antimaniacale”(inibizione sistema dopaminergico) ed un
meccanismo “antidepressivo” (facilitante il rilascio di Serotonina).
3. Agisce sulle Proteine G: inibisce le Proteine G impedendo che le subunità
β-Gamma si distacchino dalla subunità α. Ci sono milioni di recettori che
funzionano con le Proteine G ma ci sono due recettori che vi devono far un
attimo riflettere: recettore per ADH e recettore per TSH. Il Li⁺ tende a
rendere meno efficaci i recettori per ADH ed il recettore per TSH. Questo
comporta da una parte la poliuria ( è una costante quando date il Li⁺ e
ovviamente si ha perché l’ADH funziona meno in quanto il recettore di tipo
2 della Vasopressina, che si trova nel Rene, viene disaccoppiato dalle
Proteine G) e dall’altra parte che il TSH a livello tiroideo funziona meno
bene. Quindi uno degli effetti avversi del Li⁺ è un Ipotiroidismo che in
determinati casi è subclinico. L’Ipotiroidismo vi deve far pensare: vi ho già
detto che la minor funzione della Tiroide predispone alle manifestazioni
depressive in generale ma predispone anche ai Disturbi a Cicli Rapidi.
4. Inibisce la Proteina chinasi C (PKC), enzima fondamentale delle nostre
cellule, di cui esistono varianti classiche, nuove ed atipiche. Il Li⁺ non ha
una preferenza d’inibizione, ne inibisce diversi tipi.
296
5. Inibisce l’Inositol-Monofosfato Fosfatasi: da alcuni considerato il
principale meccanismo d’azione del Li⁺ nei Disturbi Bipolari. Cosa fa
questo enzima? Partendo dal Fosfatidil Inositolo-4,5-Bifosfato, in risposta
all’attivazione di recettori accoppiati a proteine Gq il Fosfatidil Inositolo-
4,5-Bifosfato viene attaccato dalla Fosfolipasi Cβ e si formano come
prodotti: Inositolo Trisfosfato e Diacilglicerolo. Il Diaciglicerolo attiva la
Proteina chinasi C. L’Inositolo trisfosfato, invece, ha il compito principale
di mobilizzare Calcio dai calciosomi. L’ Inositolo trisfosfato viene degradato
prima in Inositolo bisfosfato, successivamente diviene Inositolo
monofosfato, dove l’unico gruppo fosforico è in posizione 4. A questo punto
l’enzima l’Inositol-monofosfato fosfatasi converte l’Inositolo monofosfato
in Inositolo libero. Quindi questo enzima: Inositol-monofosfato fosfatasi è
fondamentale nella conversione da Inositolo monofosfato ad Inostolo che è
l’ultima tappa dell’idrolisi dei polifosfoinositili. L’Inositolo che si forma
viene poi reincorporato nei polifosfoinositili di membrana cioè rientra nel
Fosfatidil Inositolo-4,5-Bifosfato. Il Li⁺ blocca questa ultima tappa. La cosa
interessante è che lo fa con un IC-50 di circa 0,5 mM. Questa è una
concentrazione molto simile a quella che avete in un pz Bipolare trattato con
dosaggi terapeutici. Quindi il Li⁺ a concentrazioni terapeutiche è un
bloccante dell’ultima tappa del metabolismo degli inositoli. Anche
sperimentalmente questa inibizione del Li⁺ viene utilizzata per analizzare
l’idrolisi degli inositili. L’implicazione pratica è che quando voi bloccate
questa tappa automaticamente i recettori accoppiati a Proteine Gq
funzionano molto di meno perché l’Inositolo non torna nei Polifosfoinositili
e quindi manca il substrato per l’idrolisi dei Polifosfoinositili.
6. Blocca GSK3β: il Li⁺ lo fa in due modi:
- DIRETTO: compete con ioni Mg⁺⁺che sono attivatori della GSK3β. Quindi
si lega allo stesso sito del Mg⁺⁺ed impedisce al GSK3β di essere attivato.
Bisogna dire però che, per bloccare GSK3β, si devono usare delle
concentrazioni di Li⁺ un po’ più alte rispetto a quelle sufficienti per bloccare
l’ Inositol-monofosfato fosfatasi.
- INDIRETTO: aumenta i livelli di BDNF (appunti di cui sopra).
INDICAZIONI TERAPEUTICHE:
1. fasi Maniacali Acute;
2. Profilassi del Disturbo Bipolare: vi ripeto ancora che è più efficace nel
prevenire le fasi Maniacali rispetto a quelle Depressive. Esistono dei
soggetti resistenti al Li⁺ nei cui confronti dovete utilizzare strategie
alternative: per esempio nei pz con Cicli Rapidi, pz che hanno Ipotiroidismi
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di partenza, in genere sono meno responsivi al Li⁺ di quanto non siano i pz
con cicli normali;
3. Depressione ricorrente;
4. Profilassi della Cefalea a Grappolo;
5. Malattie Degenerative: si stanno facendo degli studi clinici sull’utilizzo
del Li⁺ nella demenza di Alzheimer. Uno studio in Inghilterra è stato
negativo e qualche altro studio è attualmente in corso. Il Li⁺ nei modelli
sperimentali protegge molto bene nei confronti dell’ischemia cerebrale: è
un ottimo neuroprotettore. Inoltre, il Li⁺ è entrato nei protocolli controllati
contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA: patologia mortale in cui
muoiono i motoneuroni centrali e periferici. Sclerosi Laterale: i cordoni
laterali del midollo spinale vanno in sclerosi; Amiotrofica: i muscoli vanno
in atrofia): i risultati sono stati abbastanza sorprendenti: c’è un
rallentamento della progressione nel 30% dei pz ed è il massimo risultato
ottenuto con un farmaco in questa patologia. Inoltre, gli studiosi hanno
dimostrato l’effetto positivo del Li⁺ sui modelli animali affetti da SLA. Ci
sono state però delle critiche ed ora ci sono degli studi controllati organizzati
dall’Istituto Superiore di Sanità in cui il Li⁺ è dato in combinazione con il
Riluzolo (unico farmaco dato attualmente nella SLA: agisce inibendo il
rilascio di Glutammato).
6. Sindrome da Secrezione Inappropriate di ADH: agisce disaccoppiando il
recettore dell’ADH e quindi se avete una secrezione inappropriata di ADH
il recettore non funziona ed il Li⁺diventa terapeutico;
7. Terapia dell’Iponatremia: fa rilasciare acqua dalle urine e quindi corregge
l’Iponatremia. Non è un farmaco di prima scelta. I farmaci più usati in
questo contesto sono il CONIVAPTAM, il LIXIVAPTAM che sono
antagonisti dei recettori D2 della Vasopressina e quindi vanno ad agire
direttamente sul meccanismo d’azione della Vasopressina. Altrimenti si
usano i Diuretici dell’Ansa come, per esempio, il Lasix + una soluzione
ipertonica. Credo che si usi anche la Demecociclina, che è una Tetraciclina.
USO CLINICO: farmaco dato per os.
I dosaggi cambiano a seconda che voi siate in procinto di attaccare una fase
Maniacale oppure se lo dovete dare in Profilassi:
- IN FASE MANIACALE: 1-1,5 g/die. L’effetto Antimaniacale lo vedete
dopo qualche giorno.
- IN PROFILASSI: normalmente iniziate il trattamento con 300-400 mg/die
e poi titolate verso l’alto fino a quando non ottenete una risposta
soddisfacente. Normalmente, nelle fasi iniziali del trattamento, il Li⁺ si può
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dare Bid (2 volte al giorno) o Tid (3 volte al giorno). Ho conosciuto pz che
lo prendevano 7 volte al giorno e quindi poi la cosa cambia da situazione a
situazione. Quando il trattamento si stabilizza si può dare anche una volta al
giorno perché, come vedremo, l’emivita è abbastanza lunga.
C’è stato il tentativo di preparare una formulazione di Carbonato di Li⁺a
lento rilascio (lo prendete per bocca ed il farmaco viene rilasciato
lentamente) ma questo tipo di formulazione non ha avuto successo. La
ragione è che la formulazione non rilasciava uniformemente il Li⁺(la
cinetica aveva degli sbalzi) ma il vero motivo è che è molto meglio, quando
somministrate il Li⁺, che ci siano dei picchi e delle cadute. Questo perché è
bene che gli organi siano esposti al Li⁺ ma che poi riposino un po’. Per
questo motivo, proprio nelle fasi iniziali della terapia, è meglio darlo 2-3
volte al giorno piuttosto che una sola volta al giorno con una preparazione a
rilascio controllato.
CONCENTRAZIONI PLASMATICHE: LITIEMIA: tra 0,4 e 1,5 mEq/l
(visto che il Li⁺ è monovalente mEq/l significa anche mM).
Alcuni considerano come range terapeutico 0,4-1,2 mM; altri considerano
0,6-1,2 mM.
Diciamo che in linea di massima la migliore risposta si ha tra 0,6 e 0,75
mEq/l.
Se siete sotto 0,4 mM il Li⁺ è sottodosato e quindi dovete cercare di
aumentare un po’ il dosaggio per raggiungere il range terapeutico.
Se avete una situazione Subsindromica (significa che avete una fase
Maniacale o una fase Depressiva, il pz poi apparentemente non ha più la
fase ma ha dei sintomi sfumati che continuano tra una fase e l’altra) è bene
mantenere le concentrazioni plasmatiche un po’ più alte: tra 1 e 1,2 mEq/l.
Il Li⁺ in terapia va sempre dosato. Si usa lo spettrofotometro a fiamma e la
Litiemia la fanno in molti laboratori, non c’è nessun problema ad eseguirla.
La cosa principale è che, quando fate un dosaggio plasmatico, dovete essere
allo STEADY-STATE: punto in cui eliminazione ed assorbimento del
farmaco si equivalgono. In realtà uno Steady-State vero e proprio non c’è
mai perché c’è sempre una certa fluttuazione dei livelli di Li⁺.
Considerate che il Li⁺ ha due EMIVITE: una prima emivita che riflette
maggiormente la distribuzione piuttosto che l’eliminazione ed è circa 6-12
ore; una seconda emivita, molto più lunga, che va da 10 a 14 giorni. Quindi
ha una cinetica bifasica. L’EMIVITA MEDIA è intorno alle 20-24 ore
(ovviamente tiene conto del fatto che la prima emivita ha un’entità maggiore
rispetto alla seconda).
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Allora due sono le domande:
1. Dopo quanto tempo dall’inizio della terapia dovete controllare il Li⁺?
Una volta che terminate la vostra titolazione, partendo da 300-400 mg e
stabilizzandovi sui 700 mg/die, ma dipende da caso a caso, per fare un
dosaggio plasmatico dovete aspettare almeno 6-7 giorni da quando avete
finito la titolazione. Per stare sul sicuro cominciate il trattamento con il Li⁺,
finite la titolazione, aspettate una quindicina di giorni e poi fate il prelievo
per vedere qual è la concentrazione plasmatica efficace.
2. Quanto tempo dopo rispetto all’ultima somministrazione del Li⁺ dovete
prendere il sangue al pz?
12 ore. Quindi aspettate questi 7 giorni dopo la fine della titolazione, in cui
continuate ovviamente a dare il Li⁺, e 12 ore dopo rispetto all’ultima
somministrazione fate il prelievo.
METABOLISMO: come è intuibile capire il Li⁺ non viene metabolizzato.
Non c’è nulla da metabolizzare: è solo un catione monovalente!
Le due cose più importanti per quel che riguarda il litio sono il Volume di
distribuzione ed i Meccanismi di eliminazione.
VOLUME DI DISTRIBUZIONE:
Il volume di distribuzione (è il volume dell’acqua) è all’incirca 0.7-0.9
litri/kg di peso corporeo ed è un volume di distribuzione limitato per es.
rispetto a quello degli antidepressivi o dei neurolettici che arriva fino a 10-
20 litri/kg di peso corporeo ma perché quei farmaci si distribuiscono nel
grasso, nel colesterolo e nel duodeno mentre invece questo se ne va nello
spazio extracellulare.
Considerate che nel SNC, ed in particolare nel liquor, la concentrazione del
litio è circa il 50% di quella che avete nel sangue. Il litio lo potete ritrovare
anche nelle lacrime, dove la concentrazione è due volte rispetto a quella del
sangue, o nella saliva dove la concentrazione è uguale a quella del sangue.
Oltre a questo, il litio si distribuisce nel latte ed è assolutamente
controindicato durante l’allattamento! E non ha alcun problema a passare la
barriera placentare e difatti uno degli effetti avversi è proprio la
teratogenicità soprattutto di tipo cardiaco ma non soltanto.
Quindi si può misurare il litio nella saliva anche se in genere non si fa quasi
mai e si preferisce sempre misurare la concentrazione plasmatica.
MECCANISMI DI ELIMINAZIONE:
Il meccanismo di eliminazione principale è quello renale, dove il litio viene
filtrato e poi ripreso principalmente dal tubulo contorto prossimale e , in
parte, anche dai canali del sodio che si trovano nel tubulo contorto distale e
300
nei dotti collettori e la sua clearance è soltanto il 20-25 % della clearance
della creatinina, quindi, significa che una larga porzione del litio viene
riassorbita.
La domanda principale in questi casi è: Qual è la determinante principale
del riassorbimento del litio, che ne aumenta il riassorbimento e ne
diminuisce l’eliminazione? Il SODIO!!
È importante saperlo perché uno dei problemi più importanti nella terapia
con il litio è l’intossicazione da litio. Infatti, nel tubulo contorto prossimale
il litio compete con il sodio nei meccanismi di trasporto. Esiste un
trasportatore situato sul versante luminale della cellula del tubulo contorto
prossimale chiamato trasportatore Na/H che prende il sodio e butta fuori ioni
idrogeno (trasportatore Na -H) . Il litio si sostituisce al sodio, viene ripreso
dal trasportatore e scambiato con i protoni (ioni idrogeno). La regola è:
Meno sodio c’è e più litio viene riassorbito dalla cellula del TCP ( e
maggiore sarà la concentrazione plasmatica del farmaco e maggiori saranno
quindi i rischi di intossicazione da litio).
Per cui noi rischiamo l’intossicazione di litio in tutte quelle circostanze in
cui si abbassa la concentrazione plasmatica del sodio e si ha iponatriemia.
Quali sono le condizioni in cui si ha deplezione di sodio nell’organismo?
- Aumentata perdita: la possiamo avere a causa di un’aumentata perdita
come nel caso della diarrea o quando si usano diuretici, soprattutto se sono
d. tiazidici o d.dell’ansa (nb: questa è un’importante interazione tra farmaci)
- Diminuito riassorbimento: tutti i casi in cui c’è diminuita produzione di
aldosterone comportano iponatriemia e questo può accadere con gli
ACEinibitori , con lo spironolattone o con i FANS (perché le prostaglandine
stimolano la produzione di renina che a sua volta stimola la secrezione di
aldosterone).
Ulteriori perdite di sodio si hanno con il sudore. In genere con il sudore si
perde una grande quantità di sodio ma questo in genere non costituisce un
problema ai fini dell’intossicazione da Litio dal momento che, oltre al sodio,
con il sudore si perde anche il litio ed in questo modo si ha un equilibrio fra
queste due perdite).
Pertanto, in tutte le condizioni in cui c’è iponatriemia (diarrea, uso di FANS,
ACEinibitori,diuretici ecc..) c’è un aumentato rischio di intossicazione da
litio.
Invece cosa succede in caso di ipernatriemia? in caso di ipernatriemia
l’eliminazione del litio aumenta ma non interferisce significativamente con
la litiemia.
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EFFETTI AVVERSI:
Si dividono in acuti o cronici.
Acuti: ci si aspettano effetti avversi acuti quando il litio viene dato ad alti
dosaggi per cercare di trattare una crisi maniacale (date fino a 1,5 g); questi
effetti avversi acuti in particolare interessano due organi, cioè il cuore e il
sistema nervoso centrale.
CUORE
Il litio da principalmente alterazioni a carico del cronotropismo e dei
processi di ripolarizzazione
Riduzione di attività del nodo sa, riduzione del cronotropismo
Blocchi AV (I-II-II grado): è importante quindi fare attenzione alle
interazioni tra farmaci. Non possono essere combinati con Litio: i digitalici,
che hanno azione cronotropa negativa, dromotropa negativa, tendono a
determinare rallentamento della conduzione del nodo di Tawara(?),
riducono l’attività del nodo del seno perché hanno azione vagotonica; allo
stesso modo i Betabloccanti e i Calcio-antagonisti che rallentano la velocità
di conduzione, favoriscono i blocchi, possono avere dei problemi se
combinati con il Litio.
Inversione onda T (onda T è indice della ripolarizzazione ventricolare)
Antiaritmici controindicati nell’associazione con il Litio oltre a Ca-
antagonisti, Betabloccanti e digitalici: l’Amiodarone, che è molto simile ad
ormoni tiroidei, può dare manifestazioni di ipotiroidismo, ipertirodismo e il
Litio tende a dare ipotiroidismo, quindi anche se non ci sono le premesse di
una interazione farmacodinamica nel cuore si deve comunque prestare una
certa attenzione.
SNC
Tremori (più frequenti): una percentuale significativa risponde alla
somministrazione di Litio ad alte dosi con i tremori; sono tremori più di tipo
cerebellare, infatti oltre al tremore potete avere atassia, nistagmo che sono
classici impegni cerebellari. Il tremore intenzionale si può trattare con i
Betabloccanti, ma si deve fare attenzione al blocco della conduzione.
Agitazione
Convulsioni
Insulti focali che interessano soprattutto i nervi cranici
Cronici:
Disturbi Gastrointestinali (il Litio è dato per os) aspecifici: diarrea,
nausea, vomito, crampi
Tiroide: il Litio interferisce con il funzionamento del recettore del TSH e
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soprattutto interferisce con il meccanismo di organicazione dello iodio;
potete quindi avere una tendenza alla riduzione di T3 e di T4, e dei livelli
parzialmente elevati di TSH, che sono espressione di un ipotiroidismo (
l’ipotiroidismo può essere franco o subclinico). C’è la possibilità di
combinare il Litio con il T3, fare un boosting, cioè facilitare l’azione del
Litio con ormoni tiroidei; in questo caso se inserite il T3 in terapia dovete
usare dosaggi alti, quando gli ormoni tiroidei si danno in patologie
psichiatriche i dosaggi sono sempre elevati (250-400 μg/die).
Poliuria
Altri effetti:
Effetto di cui si lamentano parecchio i pz trattati con litio, è l’aumento del
peso,il topiramato però compensa un po’ questo effetto. Come vi dicevo
ragioniamo sul rene, cosa accade col Litio sul Rene ?Accade una marea di
cose, innanzitutto il Lidio tende un pochino a ridurre il GFR. Ci è stato
descritto a carico del Rene, microcisti, rene microcistico, che è un evento
abbastanza raro per dire la verità, e a volte alcuni suddetti hanno avuto
un’evoluzione in sindrome nefrosica. Inizialmente il Litio tende ad
aumentare l’eliminazione di Sodio, di Potassio e di Testosteroidi e vi facilita
l’eliminazione di liquidi, ed è abbastanza facile pensare che sia così, perché
lui compete con il sodio, il sodio non viene più ripreso e se ne va. In una
seconda fase però, probabilmente perché il l’aldosterone risponde
all’iniziale perdita di Sodio, avete invece ridotta eliminazione di Sodio,
questa è una cosa importante perché possono venire fuori gli edemi. Quindi
un’altra complicanza del trattamento col Litio sono gli Edemi. Gli Edemi
vengono fuori perché in una seconda fase del trattamento il Sodio viene
ritenuto, mentre in una prima fase del trattamento il sodio viene eliminato.
Il Litio viene riassorbito dal tubulo contorto prossimale, dai canali del sodio
nel tubulo contorto distale e dai dotti collettori. Vi ricordate qual è quel
farmaco, che fa parte dei diuretici risparmiatori di Potassio, che bloccava i
canali del sodio nel tubulo contorto distale e i dotti collettori?? … Quindi s
e voi siete in condizione di intossicazione da Litio, cosa dovete fare?
Teoricamente dovreste tentare di aumentare il Sodio, per impedire che il
Litio continui ad accumularsi e farlo andar via. Però questa non è una pratica
molto conveniente, quindi la cosa che si fa è appunto la Dialisi, va bene poi
fare lavaggio gastrico, lavaggio del colon , poi gli fate terapie di supporto,
per esempio se vi sono convulsioni dategli diazepam e via discorrendo, e
per cercare di impedire che il Litio venga ripreso dai canali del Sodio
utilizzate in terapia la aminolide. ( quindi se il Litio supera determinati livelli
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voi potete sicuramente ridurne il riassorbimento con i canali di Sodio e in
qualche maniera contenerlo ). Quali sono i livelli a cui può arrivare il Litio?
Se il Litio sale la glicemia sale al di sopra di 2 meq/L, è grave livello di
tossicità. Il cuore e il sistema nervoso cominciano a soffrire. Se
il Litio sale al livello di 4 ml equivalenti per litro, cercate di fare in fretta
perché c’è la morte. Ultimo effetto prima di chiudere questa spiegazione sui
farmaci è quello che accade con bimbo in gravidanza. Allora donne in
gravidanza bipolare che devono fare? (Premetto che l’elettroshock come al
solito sarebbe un possibile rimedio però…) allora il litio è teratogeno,
malformazione fetale compatibile con la vita: malformazione di Ebstein. È
una malformazione della valvola tricuspide e del setto interventricolare. Poi
avete anche uno sviluppo alterato della calotta cranica, e quando il bambino
nasce, innanzitutto il bambino può avere un ritardo di crescita intrauterino e
poi un bambino che può avere una nascita con complicazioni, può piangere
sempre , tuttavia la pz continuerà, perché il Valproato che viene dato in
alternativa al litio è più teratogeno perché da disturbi della notocorda,
soprattutto spina bifida che noi abbiamo trattato quando abbiamo fatto i
farmaci antiepilettici, diversi altri antiepilettici sono teratogeni, i meno
teratogeni sono i neurolettici attivi come olanzapina, nessuno lo sa
perfettamente, i neurolettici non hanno nessun problema a passare nel feto
però in generale come farmaci sono meno tossici di altri.
INTERAZIONE TRA FARMACI:
- NON associare con: Digossina, Betabloccanti, Calcio-antagonisti
- Sia i Tiazidici che i diuretici dell’ansa danno riduzione dei livelli di Na che
predispone all’accumulo ed all’intossicazione da Li. La situazione si
complica se insieme ai suddetti diuretici si usa l’Amiloride (risparmiatore
di K) perché l’Amiloride impedisce l’assorbimento del Na. Quindi
l’Amiloride che è usato nell’intossicazione da Li può esso stesso predisporre
all’intossicazione de Li. Quindi L’associazione in terapia di un risparmiatore
di potassio ai tiazidici ed ai diuretici dell’ansa peggiora il quadro.
- FANS e ACE inibitori riducono la produzione di renina, angiotensina II ed
aldosterone ed in questo modo eterminano ipo-Na con predisposizione
all’intossicazione da Li. Anche lo Spironolattone (antagonista
dell’aldosterone) determina ipo-Na e predispone all’intossicazione.
- I bicarbonati si oppongono all’eliminazione del Li perché tamponano i
protoni dello scambiatore Na/H. In questo modo lo scambiatore butta
sempre di più H e riprende sempre di più Li. Questo meccanismo è
importante perché alcuni farmaci antiacidi sono a base di bicarbonato.
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Quindi antiacidi a base di bicarbonato non debbono essere associati al Li
perché interferiscono con la sua eliminazione.
- Li+ potenzia gli effetti tossici di Teofillina, fenitoina e degli antipsicotici.
L’iponatriemia indotta da Carbamazepina e Oxcarbazepina può essere
corretta dalla poliuria che è un effetto avverso del Li.

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