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Manuale di psichiatria e psicologia

clinica Cinzia Bressi


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Manuale di psichiatria e psicologia clinica
NOTA
La medicina è una scienza in perenne evoluzione. L’ampliamento delle nostre conoscenze,
dovuto a nuove ricerche e a sempre maggiore esperienza clinica porta come conseguenza
alla necessità di continue modi che nelle terapie farmacologiche e nel trattamento del
paziente. Gli autori, i curatori e l’editore di quest’opera hanno posto ogni attenzione per
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particolarmente importante nel caso di farmaci di recente introduzione o utilizzati
raramente. I lettori dovranno inoltre consultare i loro laboratori per i valori normali.
Manuale di psichiatria e
psicologia clinica
quinta edizione

Cinzia Bressi
Giordano Invernizzi

McGraw-Hill

Milano • New York • Chicago • San Francisco • Lisbon • London •


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statistico dei disturbi mentali. DSM-5, 5 ed. Milano: Ra aello Cortina
Editore, 2014;
American Psychiatric Association (2000): Manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali. Text Revision, DSMIV-TR, 4 ed. Milano:
Masson, 2001;
American Psychiatric Association (1987): Manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali, DSM-III-R, 3 ed. riveduta. Milano:
Masson, 1988. American Psychiatric Association (1980): DSM-III.
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. 3 ed. Milano:
Masson, 1983.

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Redazione: Lorenza Dainese
Impaginazione: Fotocompos, Gussago (BS)
Gra ca di copertina: Elisabetta Del Zoppo
Realizzazione versione Digitale: Preparé Italia SRL

ISBN 978-88-386-9412-7
1234567890 LITLIT 2020 2019 2018 2017 2016
5a edizione: gennaio 2017
I

Indice

Autori

Presentazione

Dal DSM-IV-TR al DSM-5: l’evoluzione della diagnosi in psichiatria


C. Bressi, G. Invernizzi, E.P. Nocito
1 Disturbi del neurosviluppo
1.1 Disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo
intellettivo), in precedenza ritardo mentale
1.2 Disturbi della comunicazione
1.3 Disturbo dello spettro dell’autismo
1.4 Disturbo da de cit di attenzione/iperattività
1.5 Disturbo speci co dell’apprendimento
1.6 Disturbo del movimento
1.7 Disturbi da tic
2 Disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi
psicotici
2.1 Disturbo schizotipico di personalità
2.2 Disturbo delirante
2.3 Disturbo psicotico breve e disturbo schizofreniforme
2.4 Schizofrenia
2.5 Disturbo schizoa ettivo
2.6 Catatonia
3 Disturbo bipolare e disturbi correlati
3.1 Altri disturbi bipolari
4 Disturbi depressivi
4.1 Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente
4.2 Disturbo disforico premestruale
4.3 Disturbo depressivo maggiore
4.4 Disturbo depressivo persistente (distimia)
5 Disturbi d’ansia
5.1 Disturbo d’ansia di separazione
5.2 Mutismo selettivo
5.3 Fobia speci ca
5.4 Disturbo d’ansia sociale
5.5 Disturbo di panico
5.6 Agorafobia
5.7 Disturbo d’ansia generalizzata
6 Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi correlati
6.1 Disturbo ossessivo-compulsivo
6.2 Disturbo di dismor smo corporeo
6.3 Disturbo da accumulo
6.4 Tricotillomania (disturbo da strappamento di peli)
6.5 Disturbo da escoriazione (stuzzicamento della pelle)
7 Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti
7.1 Disturbo reattivo dell’attaccamento
7.2 Disturbo da impegno sociale disinibito
7.3 Disturbo da stress post-traumatico
7.4 Disturbo da stress acuto
7.5 Disturbo dell’adattamento
8 Disturbi dissociativi
9 Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati (ex
psicosomatici)
9.1 Disturbo da sintomi somatici
9.2 Disturbo da ansia di malattia
9.3 Disturbo di conversione (disturbo da sintomi
neurologici funzionali)
9.4 Fattori psicologici che in uenzano altre condizioni
mediche
9.5 Disturbo ttizio
10 Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
10.1 Pica e disturbo da ruminazione
10.2 Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo
10.3 Anoressia nervosa
10.4 Bulimia nervosa
10.5 Disturbo da binge-eating
11 Disturbi dell’evacuazione
12 Disturbo del sonno-veglia
13 Disfunzioni sessuali
14 Disforia di genere
15 Disturbi del comportamento dirompente, del controllo degli
impulsi e della condotta
16 Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction
17 Disturbi neurocognitivi
18 Disturbi di personalità
19 Disturbi para lici
Letture consigliate

PARTE I
SEMEIOTICA PSICHIATRICA

CAPITOLO 1 Psicopatologia generale


G. Invernizzi, C. Bressi
1.1 Le funzioni dell’Io
1.2 Il rapporto di realtà
1.3 Coscienza
1.3.1 Vigilanza
1.3.2 Coscienza in senso stretto
1.3.3 Coscienza dell’Io
1.4 Attenzione
1.5 Percezione
1.6 Critica
1.7 Ideazione
1.8 Memoria
1.9 A ettività
1.10 Intelligenza
1.11 Volontà
1.12 Comportamento (psicomotricità)
1.12.1 Agitazione psicomotoria
1.12.2 Catatonia (arresto psicomotorio)

CAPITOLO 2 Neuropsicologia
2.1 Introduzione
S. Bressi
2.1.1 Indicazioni per la valutazione neuropsicologica in
psichiatria
2.1.2 Valutazione delle funzioni cognitive
2.1.3 I test
2.1.4 Strumenti di indagine relativi a speci che funzioni
2.1.5 Attenzione e funzioni esecutive
2.1.6 Memoria
2.1.7 Disturbi del linguaggio
2.1.8 Disturbi della percezione e della cognizione spaziale
2.1.9 Disturbi costruttivi
2.1.10 Disturbi della prassia
2.2 La neuropsicologia nei disturbi psichiatrici
C. Bressi, F. Feliciani, I. Vallefuoco
2.2.1 Integrazione tra psicologia clinica e neuropsicologia
2.2.2 Neuropsicologia della psicopatologia

PARTE II
DISTURBI PSICHICI

CAPITOLO 3 Disturbi neurocognitivi


G. Invernizzi
3.1 Introduzione
3.2 Invecchiamento siologico
3.3 Delirium
3.4 Disturbi neurocognitivi cronici (ex demenza)
3.4.1 Disturbi neurocognitivi degenerativi
3.4.2 Disturbi neurocognitivi acquisiti
3.5 Demenza da trauma cranico
3.6 Demenza da infezione da HIV
3.7 Demenza da malattia di Creutzfeldt-Jakob (da virus lenti o
prioni)
3.8 Intossicazione da alcol (demenza alcolica)
3.9 Encefalopatia di Wernicke
3.10 Psicosi di Korsako (disturbo amnesico confabulatorio)
3.11 Malattia di Marchiafava-Bignami
3.12 Altre cause esterne di demenza
3.13 Pseudodemenza
3.14 Disturbo amnestico
3.15 Sintomi psicopatologici dovuti a una condizione medica
generale
3.15.1 Disturbo d’ansia
3.15.2 Disturbo psicotico
3.15.3 Disturbo dell’umore

CAPITOLO 4 Disturbi dello spettro della


schizofrenia e altri disturbi psicotici
M. Balestrieri, G. Aldrovandi, G. Cattarinussi,
M. Giorgini, S. Guadagno
4.1 Schizofrenia
4.2 Altri disturbi psicotici
4.2.1 Il disturbo delirante
4.2.2 Nota sul disturbo psicotico condiviso (folie a deux)
4.2.3 Disturbo psicotico breve
4.2.4 Disturbo schizofreniforme
4.2.5 Disturbo schizoa ettivo

CAPITOLO 5 Disturbo bipolare e disturbi


correlati, disturbi depressivi
M. Rigatelli, C. Piemonte, G. Pontoni
5.1 Introduzione
5.2 Epidemiologia
5.2.1 Disturbi unipolari
5.2.2 Disturbi bipolari
5.3 Quadri clinici e diagnosi
5.3.1 Disturbi depressivi
5.3.2 Disturbo bipolare e disturbi correlati
5.4 Eziologia
5.4.1 Fattori biologici
5.4.2 Neuroimaging
5.4.3 Ritmi biologici
5.4.4 Fattori genetici
5.4.5 Fattori psicodinamici e psicosociali
5.5 Decorso e prognosi
5.5.1 Disturbi depressivi
5.5.2 Disturbi bipolari
5.5.3 Comorbilità e complicanze
5.6. Trattamento
5.6.1 Trattamento dell’episodio depressivo
5.6.2 Trattamento dell’episodio maniacale
5.6.3 Terapia di mantenimento dei disturbi dell’umore
5.6.4 Trattamento non farmacologico

CAPITOLO 6 Disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-


compulsivo e correlati, disturbi
correlati a eventi stressanti
A.A. Bielli, M.M. Beltrami, M. Garbarini, B.
Ferrari, C.A. Viganò, G. Ba
6.1 Introduzione
6.2 Eziopatogenesi
6.2.1 Teorie psicologiche
6.2.2 Teorie neurobiologiche
6.2.3 Neuroimaging nei disturbi d’ansia
6.3 L’ansia e i sistemi diagnostici
6.4 Disturbi d’ansia
6.4.1 Disturbo d’ansia di separazione
6.4.2 Mutismo selettivo
6.4.3 Fobia speci ca
6.4.4 Disturbo d’ansia sociale
6.4.5 Disturbo di panico
6.4.6 Agorafobia
6.4.7 Disturbo d’ansia generalizzato
6.4.8 Disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci
6.4.9 Disturbo d’ansia dovuto a un’altra condizione
medica
6.5 Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi correlati
6.5.1 Disturbo ossessivo-compulsivo
6.5.2 Altri disturbi correlati al disturbo ossessivo-
compulsivo
6.6 Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti
6.6.1 Disturbo da stress post-traumatico (DSPT)
6.6.2 Disturbo da stress acuto
6.6.3 Disturbo dell’adattamento
6.7 Trattamento
6.7.1 Trattamento farmacologico
6.7.2 Trattamenti psicoterapici

CAPITOLO 7 Disturbi da sintomi somatici e


correlati
C. Gala, E.M. Colombo, A. Peirone, L.
Ignaccolo
7.1 Introduzione
7.2 Disturbo da sintomi somatici
7.3 Disturbo da ansia di malattia
7.4 Disturbo di conversione (disturbo da sintomi neurologici
funzionali)
7.5 Fattori psicologici che in uenzano altre condizioni mediche
7.6 Disturbo ttizio
7.7 Diagnosi di erenziale dei disturbi da sintomi somatici e
disturbi correlati
7.8 Decorso e prognosi dei disturbi da sintomi somatici e disturbi
correlati
7.9 Trattamento dei disturbi da sintomi somatici e disturbi
correlati

CAPITOLO 8 Disturbi psicosomatici – stress


C. Gala, E.M. Colombo
8.1 Introduzione
8.2 Criteri diagnostici e classi cativi
8.3 Modello psicosomatico della malattia
8.4 Modello psico siologico dello stress
8.4.1 Attivazioni centrali
8.4.2 Modi cazioni a livello periferico
8.5 Modello integrato dello stress
8.5.1 Stimoli psicosociali (stressor)
8.5.2 Valutazioni cognitive e programma psicobiologico
8.5.3 Variabili interagenti
8.6 Contributo psicoanalitico allo studio del fenomeno
psicosomatico
8.7 Modello integrato psico siologico e psicodinamico
8.8 Note di terapia

CAPITOLO 9 Disturbi dissociativi


P.M. Boato
9.1 Introduzione
9.2 Amnesia dissociativa
9.3 Disturbo dissociativo dell’identità
9.4 Disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione
9.5 Disturbo dissociativo con altra speci cazione
9.6 Disturbo dissociativo senza speci cazione

CAPITOLO 10 Disturbi correlati a sostanze e da


addiction
10.1 Alcolismo
C.A. Viganò, F. Olivani, G. Ba
10.1.1 Introduzione
10.1.2 Epidemiologia
10.1.3 Morbilità e mortalità
10.1.4 De nizioni
10.1.5 Eziologia
10.1.6 Metabolismo ed e etti dell’alcol sul sistema nervoso
centrale
10.1.7 Quadri clinici legati all’abuso di alcol
10.1.8 Diagnosi
10.1.9 Trattamento
10.2 Le tossicodipendenze
E. Busnelli, A. Manzella, M. Chiorazzo, C. Bressi
10.2.1 Caratteristiche generali
10.2.2 Disturbi correlati alla cannabis
10.2.3 Disturbi correlati agli allucinogeni
10.2.4 Disturbi correlati agli oppiacei
10.2.5 Disturbi correlati agli stimolanti
10.3 Gioco d’azzardo patologico (gambling)
N. Fina, C. Vezzoli, C. Bressi
10.3.1 Il fenomeno del gambling disorder
10.3.2 Le di erenti cause del fenomeno
10.3.3 Le di erenti manifestazioni del fenomeno
10.3.4 Strategie di intervento

CAPITOLO 11 Disturbi della nutrizione e


dell’alimentazione
C. De Bacco, S. Fassino
11.1 Introduzione
11.2 Epidemiologia
11.3 Eziopatogenesi
11.3.1 Fattori genetici
11.3.2 Aspetti psiconeuroendocrinologici
11.3.3 Fattori socio-culturali
11.3.4 Fattori intrapsichici
11.4 Criteri diagnostici
11.4.1 Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con
altra speci cazione
11.4.2 Disturbo della nutrizione e dell’alimentazione senza
speci cazione
11.5 Caratteristiche cliniche e decorso di anoressia nervosa e
bulimia nervosa
11.5.1 Anoressia nervosa
11.5.2 Bulimia nervosa
11.6 Comorbilità
11.6 Trattamento
11.6.1 Terapia nutrizionale
11.6.2 Terapia farmacologica
11.6.3 Psicoterapia
11.6.4 Resistenza al trattamento

CAPITOLO 12 Disturbi del sonno-veglia


O. Gambini, A. D’Agostino, S. Scarone
12.1 Introduzione
12.2 Disturbi del sonno legati alla respirazione
12.2.1 Apnea ostruttiva del sonno
12.2.2 Apnea centrale del sonno
12.3 Parasonnie e altri disturbi del sonno
12.4 Ragionamento clinico e approccio terapeutico al disturbo del
ritmo sonnoveglia in corso di disturbi mentali
12.4.1 Disturbi d’ansia
12.4.2 Disturbi dell’umore
12.4.3 Disturbi psicotici
12.4.4 Demenze, disturbi amnestici e altri disturbi da
de cit cognitivo
12.4.5 Disturbi del sonno da abuso di sostanze
12.4.6 Disturbi del sonno dovuti a condizioni mediche
generali
12.4.7 Farmaci e sonno

CAPITOLO 13 Disturbi di personalità


C. Bressi
13.1 Introduzione
13.1.1 Principali teorie dei disturbi di personalità: una
prospettiva concettuale
13.2 Le teorie psicodinamiche
13.2.1 La teoria di Sigmund Freud
13.2.2 La teoria di Jung
13.2.3 La teoria di Otto Kernberg
13.2.4 Il modello di Kohut
13.2.5 La teoria dell’attaccamento
13.2.6 La teoria cognitiva
13.2.7 La teoria neurobiologica e il temperamento
13.2.8 La teoria interpersonale
13.3 Classi cazione dei disturbi di personalità
13.3.1 Il sistema DSM e ICD
13.3.2 Modelli diagnostici dimensionali e categoriali
13.4 Disturbi di personalità del cluster A
13.4.1 Disturbo paranoide di personalità
13.4.2 Disturbo schizoide di personalità
13.4.3 Disturbo schizotipico di personalità
13.5 Disturbi di personalità del cluster B
13.5.1 Disturbo antisociale di personalità
13.5.2 Disturbo borderline di personalità
13.5.3 Disturbo istrionico di personalità
13.5.3 Disturbo narcisistico di personalità
13.6 Classi cazione dei disturbi di personalità del cluster C
13.6.1 Disturbo evitante di personalità
13.6.2 Disturbo dipendente di personalità
13.6.3 Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
13.7 Altri disturbi di personalità
13.7.1 Modi cazione della personalità dovuta a un’altra
condizione medica
13.7.2 Disturbo di personalità con altra speci cazione
13.7.3 Disturbo di personalità senza speci cazione
13.7.4 Disturbo di personalità tratto-speci co

CAPITOLO 14 Psicogeriatria
C. Gala, I.I. Iandoli, C. Redaelli
14.1 Introduzione
14.2 Invecchiamento biologico del sistema nervoso centrale
14.2.1 Modi cazioni anatomiche
14.2.2 Modi cazioni citologiche, istologiche, istochimiche
14.3 Aspetti psicosociali dell’invecchiamento
14.3.1 Il tempo e la morte
14.3.2 L’anziano e il corpo
14.3.3 L’anziano e la famiglia
14.3.4 Pensionamento e ruolo sociale
14.4 Disturbi psichiatrici speci ci dell’età anziana
14.4.1 Psicosi

CAPITOLO 15 Urgenze psichiatriche


C. Bressi, M. Porcellana, E.P. Nocito
15.1 Introduzione
15.2 Valutazione della crisi: aspetti individuali e relazionali
15.3 Il colloquio con il paziente
15.4 Speci che urgenze psichiatriche
15.4.1 Crisi d’ansia e con attacchi di panico
15.4.2 Crisi depressiva
15.4.3 Crisi maniacale
15.4.4 Crisi psicotica acuta
15.4.5 Crisi nei disturbi di personalità
15.5 L’intervento di crisi
15.6 Psicoterapia breve analitica
15.6.1 Criteri di inclusione
15.6.2 Criteri di esclusione
15.7 Psichiatria delle catastro

CAPITOLO 16 Suicidio
C. Bressi, M. Porcellana, E.P. Nocito
16.1 Introduzione
16.2 De nizioni
16.3 Interpretazioni
16.4 Aspetti epidemiologici
16.5 Condotte suicidarie negli adolescenti
16.6 Condotte suicidarie negli anziani
16.7 Fattori di rischio e suicidalità nei disturbi psichiatrici
16.8 Terapia e prevenzione del comportamento suicidario

PARTE III
TERAPIE

CAPITOLO 17 Trattamenti psicofarmacologici


M.C. Mauri, L.S. Volonteri
17.1 Introduzione
17.2 Farmaci ansiolitici e ipnotici
17.2.1 Barbiturici
17.2.2 Benzodiazepine a prevalente uso ansiolitico
17.2.3 Ansiolitici non benzodiazepinici
17.2.4 Benzodiazepine a uso prevalentemente ipnotico
17.2.5 Ipnotici di nuova generazione
17.3 Antidepressivi
17.3.1 Antidepressivi di prima generazione
17.3.2 Antidepressivi triciclici o inibitori non selettivi del
reuptake delle monoamine
17.3.3 Antidepressivi di seconda generazione
17.3.4 Antidepressivi di terza generazione
17.3.5 Antidepressivi di ultima generazione
17.3.6 Sindrome serotoninergica e da sospensione
17.4 Antipsicotici
17.4.1 Neurolettici classici o di prima generazione
17.4.2 Antipsicotici di seconda generazione (atipici)
17.4.3 Antipsicotici di ultima generazione
17.4.4 Antipsicotici long-acting
17.4.5 Antipsicotici nel trattamento della demenza
17.4.6 E etti collaterali degli antipsicotici classici e atipici
17.5 Sindromi neurologiche
17.5.1 Distonie acute e crisi neurodislettiche
17.5.2 Parkinsonismo
17.5.3 Acatisia
17.5.4 Discinesia tardiva
17.6 Sindromi metaboliche
17.6.1 Aumento di peso
17.6.2 Alterato metabolismo glucidico e diabete
17.6.3 Sindrome metabolica
17.7 Sindromi endocrine, cardiovascolari, ematiche e
neurovegetative
17.7.1 E etti neuroendocrini
17.7.2 E etti cardiovascolari
17.7.3 Alterazioni della crasi ematica
17.7.4 Sindrome maligna da neurolettici
17.8 Stabilizzanti dell’umore
17.8.1 Sali di litio
17.8.2 Altri stabilizzanti dell’umore

CAPITOLO 18 Uso degli psicofarmaci in condizioni


speci che
C. Gala, M. Ma ni, I.F. De Gaspari, E.M.
Colombo, M.C. Mauri
18.1 Emergenze/urgenze
18.2 Psicofarmaci nel paziente con disturbi organici
18.2.1 Interazioni farmacologiche
18.2.2 Disturbi dell’apparato cardiovascolare
18.2.3 Insu cienza epatica
18.2.4 Insu cienza renale ed emodialisi
18.2.5 Disturbi neurologici
18.2.6 A ezioni urogenitali
18.2.7 Ernia iatale e re usso esofageo
18.2.8 Patologie polmonari
18.2.9 Glaucoma
18.2.10 Neoplasie
18.2.11 AIDS
18.2.12 Disturbi della condotta alimentare
18.2.13 Trapianto d’organo
18.3 Psicofarmaci nel paziente anziano
18.3.1 Ansiolitici
18.3.2 Ipnotici
18.3.3 Antidepressivi
18.3.4 Sali di litio
18.3.5 Antipsicotici
18.4 Psicofarmaci in gravidanza

CAPITOLO 19 Farmaci in neuropsichiatria infantile


L. Ponzini, S. Bianchi
19.1 Introduzione
19.2 Disturbo depressivo
19.2.1 Epidemiologia
19.2.2 Clinica
19.2.3 Trattamento
19.3 Disturbo bipolare
19.3.1 Epidemiologia
19.3.2 Clinica
19.3.3 Trattamento
19.4 Disturbo da de cit di attenzione e iperattività
19.4.1 Epidemiologia
19.4.2 Clinica
19.4.3 Trattamento
19.5 Sindrome di Tourette
19.5.1 Epidemiologia
19.5.2 Clinica
19.5.3 Trattamento
19.6 Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC)
19.6.1 Epidemiologia
19.6.2 Clinica
19.6.3 Trattamento
19.7 Disturbi d’ansia
19.8 Disturbo d’ansia di separazione
19.8.1 Epidemiologia
19.8.2 Trattamento
19.9 Disturbo di panico
19.9.1 Epidemiologia
19.9.2 Clinica
19.9.3 Trattamento
19.10 Disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi
psicotici
19.10.1 Epidemiologia
19.10.2 Clinica
19.10.3 Trattamento
19.11 Disturbi del comportamento
19.11.1 Epidemiologia
19.11.2 Clinica
19.11.2 Trattamento
19.12 Neurolettici in età evolutiva
19.12.1 E etti indesiderati

CAPITOLO 20 La riabilitazione in psichiatria


G. Ba, M. Peserico
20.1 Introduzione
20.2 Approcci riabilitativi in psichiatria
20.2.1 Modelli di social skills training
20.2.2 Modello di potenziamento dei comportamenti
socialmente competenti (Spivak)
20.2.3 Il modello di Ciompi
20.2.4 Modelli psicoeducativi
20.2.5 Approccio psicodinamico alla riabilitazione
20.2.6 Approccio integrato
20.3 Il progetto riabilitativo
20.4 Strutture che si occupano di riabilitazione

CAPITOLO 21 Famiglia e disturbi psichiatrici


C. Bressi, M. Porcellana, E.P. Nocito
21.1 Introduzione
21.2 Famiglia e disturbi psichiatrici: pro lo storico
21.3 Valutazione dell’emotività espressa familiare
21.3.1 Fondamenti dell’emotività espressa
21.3.2 Ricerche preliminari
21.3.3 Formalizzazione dell’emotività espressa
21.3.4 Versione de nitiva delle scale dell’emotività
espressa
21.3.5 Struttura della Camberwell Family Interview (CFI) e
valutazione dell’emotività espressa
21.3.6 Signi cato e valutazione dell’emotività espressa
21.4 Applicazioni dell’emotività espressa
21.4.1 Ricerche sulla frequenza di recidiva
21.4.2 Schizofrenia e interventi familiari
21.5 Disturbi psichiatrici e interventi familiari
21.5.1 Psicoeducazione nei disturbi dello spettro dell’umore
21.5.2 Interventi con pazienti adolescenti
21.6 Terapia sistemica familiare
21.7 Terapia familiare analitica
21.8 Conclusioni

CAPITOLO 22 Le psicoterapie
22.1 Introduzione
P.L. Giordano, D. La Barbera
22.2 Le psicoterapie: fondamenti teorici
C. Bressi
22.2.1 Le teorie psicoanalitiche. La Psicologia dell’Io
22.2.2 Meccanismi di difesa
22.2.3 Lo sviluppo psichico
22.2.4 Lo sviluppo psicoevolutivo secondo il modello di
Margaret Mahler
22.2.5 Jung e la psicologia analitica
22.2.6 Dalla psicologia dell’Io agli altri modelli psicologici
22.2.7 La teoria delle relazioni oggettuali
22.2.8 Harry Stack Sullivan e la psicoanalisi interpersonale
22.2.9 L’approccio relazionale
22.2.10 Kohut e la psicologia del Sé
22.2.11 Teoria dell’attaccamento
22.3 Le psicoterapie: applicazione clinica
22.3.1 La Psicoterapia psicodinamica
C. Bressi
22.3.2 Setting, transfert, controtransfert
C. Bressi, I.I. Iandoli
22.3.3 Intervento terapeutico
C. Bressi, I.I. Iandoli
22.3.4 La terapia cognitivo-comportamentale
C. Bressi, P. Della Valentina, E.P. Nocito, L. Castagna
22.3.5 La psicoterapia breve interpersonale (IPT)
C. Bressi, P.M. Marinaccio
22.3.6 Le psicoterapie di gruppo
C. Bressi, P.M. Marinaccio

PARTE IV
ASPETTI MEDICO-LEGALI

CAPITOLO 23 Elementi di diritto in ambito


psichiatrico
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—Advierta usted que no digo está, sino estaba.
—Quiere decir que...
—Quiere decir que le han llevado a un sitio de donde ni usted ni yo
podremos fácilmente sacarle.
—Bravo, bravísimo, señor don Inservible... —dijo la dama, toda
colérica y nerviosa, abriendo con mano firme la portezuela de su
coche.
En este había una joven que acompañaba a Jenara en todas sus
excursiones, y a la cual, según las lenguas cortesanas, galanteaba e
bueno de Pipaón con más calor del que la simple urbanidad consiente
Acomodados los tres en el coche, don Juan dijo a la dama que, siendo
largo lo que tenía que contarle, convenía extender el paseo hasta
Atocha. Así se convino, y partieron.
—Beso a usted los pies, Micaelita —dijo después el cortesano—
¿Y cómo está el señor don Felicísimo?
—Furioso con usted porque no ha ido a verle en tres días.
—Esta noche iremos allá. Con estas cosas y el continuo trabajo en
que vivimos nos falta tiempo para dar pábulo...
—¿Ahora salimos con pábulos...? —dijo Jenara impaciente y ma
humorada—. Basta de pesadeces y dígame usted lo que tenía que
decirme.
—Pábulo, sí; digo que no hay tiempo para satisfacer los puros
goces de la amistad, ni aun los del corazón.
Micaelita bajó los ojos. Pintémosla en dos palabras. Era fea. Y si no
lo fuera, ¿cómo la habría escogido Jenara para ser su inseparable
compañera, y usarla cual discreta sombra para hacer brillar más la luz
de su hermosura?
—Si empiezan las tonterías, me voy a casa —dijo la dama hermosa
—. Vamos, hable usted, don Plomo.
—Paciencia, señora, paciencia. Dígame usted, ¿se permiten las
malas noticias?
—Se permite todo lo que sea breve.
—Pues derramemos una lágrima aquí, en este sitio nefando...
Al decir esto, el coche pasaba junto al torreón del Ayuntamiento
donde estaba la cárcel de Villa. Micaelita, que para todas las
ocasiones tristes llevaba siempre apercibido un paternoster, lo rezó
con pausa y devoción. Jenara se puso pálida y sacó su cabeza por la
portezuela para mirar la torre.
—¡Allí! —exclamó señalando con el abanico y con sus ojos.
Vuelta a su posición primera, echó un suspiro casi tan grande como
el torreón, y habló así:
—Ahora, dígame usted dónde estaba.
—Donde menos creíamos. En casa de Olózaga.
—¿En casa de don Celestino Olózaga?
—Calle de los Preciados.
—Usted bromea: no puede ser —manifestó la dama un poco
aturdida—. Veo a Salustiano todos los días y nada me ha dicho.
—Esas cosas no se dicen.
—A mí sí... Hoy me lo dirá.
—No dirá nada, como no hable la torre.
—¿Por qué?... ¿También Olózaga ha sido preso?
—También está allí, ¡ay! —afirmó lúgubremente Pipaón, señalando
la parte de la calle que iban dejando a la zaga.
—¡Qué atrocidad! Usted me engaña... Que pare el coche. Quiero
entrar en casa de Bringas a preguntarle...
—Guarda, Pablo —dijo el cortesano deteniendo a la señora en su
brusco movimiento para avisar al cochero—. El señor Bringas
también...
—¿Está allí, en el torreón?
—No, a ese le han puesto en la de Corte.
—Iznardi me dirá algo... Cochero, a casa de Iznardi.
—¿Iznardi?... Ya pedí permiso para dar malas noticias, señora.
—¿También él?
—Y Miyar. Y la misma suerte habría tenido Marcoartú si no hubiera
saltado por un balcón.
—Es una iniquidad. Yo hablaré a Calomarde —manifestó con
soberbia la dama, echando atrás su mantilla, como si dentro del coche
reinase un verano riguroso.
—¡Oh!, sí, hable usted a Su Excelencia —dijo el cortesano, con
aquella sonrisa traidora que ponía en su cara un brillo semejante al de
puñal asesino al salir de la vaina—. Su Excelencia desea mucho ver a
usted.
—¡Dios maldiga a Su Excelencia y a usted! —exclamó Jenara
abriendo y cerrando su abanico con tanta fuerza y rapidez que sonaba
como una carraca—. Pero todavía no me ha dicho usted lo principal.
—A eso voy. Nuestro amigo llegó aquí, según se supone, pues de
cierto no lo sé, con recadillos de Mina, Valdés y demás brujos de
aquelarre democrático. Estuvo oculto en Madrid por algunos días
luego pasó a Aranjuez y a Quintanar de la Orden para entenderse con
ciertos militares que a estas horas están también a la sombra; regresó
después acá, concertando con Bringas, Olózaga, Miyar y compañeros
mártires un plan de revolución que si les llega a cuajar, ¡ay mi Dios!, se
deja atrás a la de Francia... Nuestro buen amiguito se pinta solo para
estas cosas, y andaba por ahí llamándose don No sé cuántos
Escoriaza.
—¿Y está usted seguro de que es él?
—Seguro, seguro, no. Ahora será fácil saberlo, porque el Escoriaza
está en la cárcel de Villa, y en la causa ha de salir su verdadero
nombre... Sigo mi cuento. Un hombre dignísimo, tan enemigo de
revoluciones como amante de la paz del reino, se enteró de la trama y
avisó a Su Excelencia. Yo he visto las cartas del denunciante, que se
firma El de las diez de la noche, y si he decir verdad, su ortografía y su
estilo no están a la altura de su realismo. Calomarde recompensó a
desconocido dándole fondos para que pudiera seguir la pista a
Escoriaza y los suyos, y con esto y un habilidoso examen de todas las
cartas del correo, se hizo el hallazgo completo de los nenes, y anoche
se les puso donde siempre debieran estar para escarmiento de bobos
Anoche no nos acostamos en Gracia y Justicia hasta no saber que los
señores Alcaldes habían salido de su paso. ¡Ah!, esos señores Cavia y
Cutanda valen en oro más de lo que pesan. No sé cuál de los dos fue
a casa de Olózaga; pero un alguacil me ha contado que en el porta
encontraron a Pepe, y mandándole subir, entraron con él en la casa y
dieron al pobre don Celestino un susto más que mediano. Hicieron
registro escrupuloso, encontrando, en vez de papeles de conspiración
muchas cartas de novias y queridas. Excuso decir que las leyeron
todas, porque así cuadraba al buen servicio de Su Majestad, y cuando
estaban en esta ocupación dulcísima, ved aquí que entra Salustiano
muy sereno, con arrogancia, ya sabedor de que andaba por allí la
nariz de los señores Alcaldes. El padre gimió, desmayose la hermana
siguió el registro, dando por resultado el hallazgo de un sable, y a la
media noche se llevaron a Salustiano a la Villa, y aquí se acabó m
cuento, arre borriquito para el convento... ¡Pobre Salustiano, tan joven
tan guapo, tan listo, tan simpático! ¡Desgraciado él mil veces, y
desgraciado también ese amigo nuestro que ahora se esconde debajo
del nombre de Escoriaza! Esta vez no escapará del peligro como
tantas otras en que su misma temeridad le ha dado alas milagrosas
para salir libre y triunfante... ¡Infelices amigos!
Micaelita, afectada por la tristeza del relato, volvió a cerrar los ojos y
a rezar para sí el padrenuestro que tenía dispuesto para cuando lo
melancólico de las circunstancias lo hiciera menester. Jenara seguía
imprimiendo a su abanico los movimientos de cierra y abre, cuyo ruido
semejaba ya, por lo estrepitoso, más que al instrumento de Semana
Santa, al rasgar de una tela.
Durante un buen rato callaron los tres. Había entrado el coche en e
paseo de Atocha, cuando vieron que por este venía a pie don Tadeo
Calomarde, en compañía de su inseparable sombra el Colector de
Expolios. Paseaba grave y reposadamente, con casaca de galones
tricornio en facha, bastón de porra de oro, y una comitiva de sucios
chiquillos, que admirados de tanto relumbrón le seguían. El célebre
ministro, a quien Fernando VII tiraba de las orejas, era todo vanidad y
finchazón en la calle. Si en Palacio adquirió gran poder fomentando los
apetitos y doblegándose a las pasiones del rey, frente a frente de los
pobres españoles parecía un ídolo asiático en cuyo pedestal debían
cortarse las cabezas humanas como si fuesen berenjenas. A su lado
iba la carroza ministerial, un armatoste del cual se puede formar idea
considerando un catafalco de funeral tirado por mulas.
—No le salude usted; ocúltese en el fondo del coche —dijo Pipaón
con mucho apuro—. No conviene que la vea a usted.
Mas ella, sacando fuera su linda cabeza y el brazo, saludó con
mucha gracia y amabilidad al poderoso ídolo asiático.
—En estos tiempos —dijo la dama al retirarse de la portezuela—
conviene estar bien con todos los pillos.
—Señora, que los coches oyen.
—Que oigan.
Seria, cejijunta, descolorida, Jenara murmuró algunas palabras para
expresar el desprecio que le merecía el abigarrado tiranuelo a quien
poco antes saludara con tanta zalamería. En seguida dio orden a
cochero de marchar a casa.
Pasaban por el Prado, cuando Pipaón dijo con cierta timidez
precedida de su especial modo de sonreír:
—Señora, ¿se permite la verdad?
—Se permite.
—¿Por amarga que sea?
—Aunque sea el mismo acíbar.
—Pues debo decir a usted que no puede ir a su casa.
—¡Que no puedo ir a mi casa!
—No, señora mía apreciabilísima, porque en su casa encontrará a
Alcalde de Casa y Corte y a los alguaciles, que desde las dos de la
tarde tienen la orden de prender a una de las damas más hermosas de
Madrid.
—¡A mí! —exclamó la ofendida, disparando rayos de sus ojos.
—A usted... Triste es decirlo..., pero si yo no lo dijera, sacrificando a
la amistad el servicio del rey, la señora tendría un disgustillo. Ya está
explicado este buen acuerdo mío de entretener a usted toda la tarde
impidiéndole ir a su casa, y facilitándole, como le facilitaré, un luga
donde se oculte.
—¡Presa yo!... No siento ira, sino asco, asco, señor de Pipaón —
exclamó la dama demostrando más bien lo primero que lo segundo—
¿Por qué me persiguen?
—No sé si será por alguna denuncia malévola, o a causa de los
papeles hallados en casa de Olózaga...
—Alto ahí, señor desconsiderado. En casa de Salustiano no se han
encontrado papeles de mi letra porque no los hay.
—Perdones mil, señora; no tuve intención...
—¡Presa yo!... Será preciso que me oculte hasta ver... ¡Y yo
saludaba a la serpiente!...
La rabia más que el dolor sacó dos ardorosas lágrimas a sus ojos
pero se las limpió prontamente con el pañuelo, cual si tuviera
vergüenza de llorar. Después rompió en dos el abanico. Al ver estas
lamentables muestras de consternación, Micaelita se conmovió, y sin
pensarlo, se le vino a la boca el padrenuestro que de repuesto llevaba
A la mitad lo interrumpió para decir a su amiga:
—Puedes venir a casa.
—Me parece muy bien. Nadie sospechará que el señor Carnicero
oculta a los perseguidos de la justicia calomardina... Cochero, a casa
de Micaelita.
XVII

Hacia el promedio de la calle del Duque de Alba vivía el señor don


Felicísimo Carnicero, del cual es bien que se hable en esta ocasión, no
solo porque se prestó a dar asilo a la afligida dama, sino porque dicho
señor merece un párrafo entero y hasta un capítulo. Era de edad muy
avanzada, pero inapreciable, porque sus facciones habían tomado
desde muy atrás un acartonamiento o petrificación que le ponía, sin
que él lo sospechara, en los dominios de la paleontología. Su cara
donde la piel había tomado cierta consistencia y solidez calcárea, y
donde las arrugas semejaban los hoyos y los cuarteados durísimos de
un guijarro, era de esas caras que no admiten la suposición de habe
sido menos viejas en otra época. Fuera de esta apariencia de hombre
fósil, lo que más sorprendía en la cara de don Felicísimo era lo chato
de su nariz, la cual no avanzaba fuera de la tabla del rostro más que lo
necesario para que él pudiera sonarse. Y la chateza (pase el vocablo
del señor Carnicero era tal, que no se circunscribía al reino de la nariz
sino que daba motivo a que el espectador de su merced hiciera las
suposiciones que vamos a apuntar. Todo el que por primera vez
contemplaba al señor don Felicísimo suponía que su rostro había sido
hecho de barro o pasta muy blanda, y que en el momento en que e
artista le daba la última mano, la máscara se deslizó al suelo, cayendo
de golpe boca abajo, con lo que, aplastada la nariz y la región
propiamente facial, resultó una superficie plana desde la raíz de
cabello hasta la barba. El espectador suponía también que el artista
viendo cómo había quedado su obra, la encontró graciosa, y
echándose a reír, la dejó en tal manera.
Ahora pongamos el santo en su nicho. A esta máscara chata, de
color de tierra, rugosa y dura, añadamos primero por la parte superio
un gorro negro que hasta el campo de las orejas se encaja y tiene su
coronamiento en una borlita que ora se inclina al lado derecho, ora a
izquierdo. Añadámosle por debajo un corbatín negro, a quien sería
mejor llamar corbatón, tan alto, que por ciertas partes se junta con e
gorro, dejando escapar algunos cabellos rucios, que a hurtadillas salen
a estirarse al aire y a la luz, recordando aún, con tristeza suma, las
grasas olientes que han tenido en el pasado siglo. Desde los dominios
de la corbata, en cuyas paredes metálicas parece hallar eco la voz de
don Felicísimo, pongamos un revuelto oleaje de pliegues negros, e
cual, o no es cosa ninguna, o debe llamarse levitón, más que por la
forma, por el ligero matiz de ala de mosca que en las partes más
usadas se advierte; derivemos de este levitón dos cabos o brazos que
a la mitad se enfundan en manguitos verdes con rayas negras como
los mandiles de los maragatos, y hagamos que de las bocas de esos
manguitos salgan, como vomitadas, unas manos, de las cuales no se
ven sino diez taponcillos de corcho que parecen dedos. El resto de la
persona no puede verse porque lo ponemos detrás de la mesa, la cua
está cubierta de negro hule, que en ciertos sitios pasaría por playa, a
causa de la arenilla que en ella se extiende. Es mesa de camilla, y una
faldamenta verde la tapa toda honestamente, la cual enagua no se
mueve sino cuando el gato entra para enroscarse en la banqueta junto
a los pies de don Felicísimo. Encima de la mesa se ve un Cristo
pequeño atado a la columna, con la espalda en pura llaga y la soga a
cuello, obra de un realismo espantoso y aterrador que se atribuye a
célebre Zarcillo. La escultura está a la derecha y vuelve su rostro
dolorido y acardenalado al don Felicísimo, cual si le pidiera informes y
cuentas, más que de los azotes que le han dado los judíos, de los
motivos porque está en aquella mesa y entre tal balumba de legajos
como allí se ven. Son papeles atados con cintas rojas, paquetes de
cartas y algunos libros de cuentas, cuyas sebosas tapas indican los
años que llevan de servicio. La escribanía es de cobre, pues aunque
don Felicísimo posee algunas de plata, no las usa, y en la que all
está, los dos cántaros amarillos tienen tinta y arena para seis meses
Las plumas, de puro mosqueadas, no tienen color, y hay un
pisapapeles que es la pezuña de un cabrón imitada en bronce, y está
tan al vivo que no le falta más que correr.
En aquella mesa escribe casi todo el día el señor Carnicero, a quien
el peso de los años no estorba para seguir trabajando; allí toma su
chocolate macho con bollo maimón; allí come su cocidito con más de
vaca que de carnero, algo de oreja cerdosa y algunas hilachas de
jamón que el tenedor busca entre los garbanzos azafranados; all
duerme la siesta, echando la cabeza sobre las orejeras del sillón; all
se le sirve la cena, que empieza invariablemente en migas esponjosas
y acaba en guisado de ternera, todo muy especioso y aromático; all
cuenta el dinero, que es, según dicen, el más constante de sus
visitadores, y se desliza sin hacer ruido por entre sus dedos
alcornoqueños, cual si por virtud rara también el oro se sometiese a
tomar las apariencias del corcho o del pergamino en aquel imperio de
silencio; allí recibe a los que van a ocuparle, y son por lo genera
clérigos o frailes, y allí está cuando entran Jenara, Pipaón y Micaelita.
Era ya de noche. Un gran candil de cuatro mecheros, de los cuales
solo dos estaban encendidos, echaba luz no muy copiosa, que la
pantalla dirigía sobre el pupitre. Al sentir gente, don Felicísimo alzó la
pantalla de cobre, y entonces la claridad le hirió de frente en su cara
plana, que parecía un bajorrelieve gótico roído por los siglos. Pero esto
duró poco tiempo, porque abatiendo la pantalla, volvió la luz a cae
forzosamente sobre los papeles como un estudiante desaplicado a
quien se obliga a no apartar la vista de los libros.
—¡Oh!..., gratias tibi Domine... Bendito Pipaón, ¿usted por aquí? —
dijo don Felicísimo con agrado—. ¡Oh! ¿Es Jenarita? La misma que
viste y calza. Sea muy bien venida a esta humilde morada. ¡Cuánto
bueno por aquí!
Y alzando la voz, que era chillona y desapacible, prosiguió:
—Sagrario, Sagrario, ven, mira quién está aquí. Micaelita, di a tu tía
que venga, y de paso da una voz en la cocina para que me traigan la
cena.
Mientras viene doña María del Sagrario, hija del señor don
Felicísimo, demos acerca de este señor las noticias que son
necesarias. Llevaba más de cuarenta años en la profesión de agente
de negocios eclesiásticos, y le había sido tan favorable la fortuna que
según el dicho del público, estaba podrido de dinero. Por los rótulos de
los legajos y papeles que sobre su mesa estaban, podía venirse en
conocimiento de la multiplicidad de asuntos que bajo el dominio de sus
talentos agenciales caían. Contemplaba él con no disimulado
embeleso los dichos rótulos, asemejándose, aunque esté mal la
comparación, a un borracho que antes de beber se deleita leyendo las
etiquetas de las botellas. Por un lado se leía Subcolecturía de
Expolios, Vacantes, Medias Annatas y Fondo pío beneficial de
obispado de León; por otro, Santa Iglesia Metropolitana de Granada
más allá, Juzgado ordinario de Capellanías, Patronatos, Visita
Eclesiástica, etcétera; junto a esto, Tribunal de Cruzada, y al lado
Racioneros medios patrimoniales de Tarazona, Arcedianato de
Murviedro o Señores Pabordres de Valencia; al opuesto extremo
Agustinos Descalzos; más lejos, Reyes Nuevos de Toledo, o bien
Nuestra Señora del Favor de Padres Teatinos.
Preciso es decir que don Felicísimo se había distinguido siempre
por su celo y actividad en despachar los mil y mil asuntos que se le
confiaban. Tomábales cariño, mirándolos como cosa propia, y ponía en
ellos sus cinco sentidos y su alma toda en tal manera que llegó a
identificarse con ellos y a asimilárselos, trayéndolos como a forma
parte de su propia sustancia. Así no había en su larga vida suceso n
accidente que no se confundiera con cualquier negocio de su lucrativa
profesión, y así jamás contaba cosa alguna sin empezar de este o
parecido modo: Cuando el señor Vicario Foráneo de Paterna venía a
esta casa, o bien así: Cuando me convidó a comer el padre prepósito
de Portaceli...
Otra afición también muy vehemente, aunque secundaria, reinaba
en el espíritu de nuestro insigne Carnicero: era la afición a los toros
fiesta que, si no existieran los negocios eclesiásticos, sería para é
cosa punto menos que sagrada. Como ya era tan viejo y no salía ya de
casa, contentábase con hablar de los toros pretéritos, poniéndolo cien
codos más altos que los presentes, y en estas conversaciones también
era común oírle decir: Cierto día en que Sentimientos y el señor Rector
del Hospital de Convalecencia de Unciones vinieron a buscarme para
ir a ver el encierro... u otra frase por el estilo.
La cantidad de dinero que don Felicísimo había ganado en tantos
años de actividad, celo y honradez, no era calculable. Hacíanla subi
algunos a un número grande de talegas, otros reducían un poco la
cifra; pero el vulgo y los vecinos juraban que siempre que se daba un
golpe en los tabiques de la casa de Carnicero o en el lienzo de los
cuadros viejos que allí tenía, sonaba un cierto tintineo como de
monedas anacoretas que en todos los huecos y escondrijos habitaban
huyendo del mundo y sus pompas vanas. Él gastaba poco, tan poco
que se había llegado a hacer la ilusión de que era pobre siendo rico
Contaban que para ilusionar a los demás en esta materia se negaba
con tenacidad heroica a dar dinero, y ya podían irle con lamentos los
menesterosos, que así les hacía caso como si fueran predicadores
moros. Únicamente se desprendía de alguna cantidad siempre que
mediaran garantías y un módico interés, así como de diez por ciento a
mes u otra friolera semejante.
La casa en que vivía era de su propiedad y estaba toda
blanqueada, sin papeles ni pinturas, con las vigas del techo apanzadas
cual toldo de lienzo. Era de un solo piso alto, antiquísima, y en invierno
tenía condiciones inmejorables para que cuantos entraban en ella se
hicieran cargo de cómo es la Siberia. Había sido edificada en los
tiempos en que la calle del Duque de Alba se llamaba de la
Emperatriz, y ya, con tan largos servicios, no podía disimular las ganas
que tenía de reposarse en el suelo, soltando el peso del techo
estirándose de tabiques y paredes para sepultar su cornisa en e
sótano y rascarse con las tejas de su cabeza los entumecidos pies de
sus cimientos. Pero don Felicísimo, que no consentía que su casa
viviera menos que él, la apuntaló toda, y así, desde el portal se
encontraban fuertes vigas que daban el quién vive. La escalera, que
partía de menguados arcos de yeso, también tenía dos o tres muletas
y los escalones se echaban de un lado como si quisieran dormir la
siesta. Arriba los pisos eran tales, que una naranja tirada en ellos
hubiera estado rodando una hora antes de encontrar sitio en que
pararse, y por los pasillos era necesario ir con tiento, so pena de
tropezar con algún poste que estaba de centinela como un suizo, con
orden de no permitir que el techo se cayera mientras él estuviese allí.
Don Felicísimo era toledano, no se sabe a punto fijo si de
Tembleque o de Turleque, o de Manzaneque, que los biógrafos no
están acordes todavía. Estuvo casado con doña María del Sagrario
Tablajero, de la que nacieron Mariquita del Sagrario y Leocadia. De
esta, que casó pronto y mal con un tratante en ganado de cerda, nació
Micaelita, que se quedó huérfana de padre y madre a los seis años
Esta Micaelita era, pues, heredera universal del señor don Felicísimo
circunstancia que, a pesar de su escasa belleza, debía hacer de ella
un partido apetitoso. Sin embargo, habiendo tenido en sus quince años
ciertos devaneos precoces con un muchacho de la vecindad, quedó
muy mal parada su honra. El mancebo se fue a las Américas; don
Felicísimo enfermó del disgusto; doña María del Sagrario, tía de la
joven, enfermó también; divulgose el caso, salió mal que bien de su
paso Micaelita, y ya no hubo galán que la pretendiera. Cuentan los
cronistas toledanos que desde entonces se arraigó en Micaelita la
piadosa costumbre de reservar un padrenuestro para todas las
ocasiones apuradas en que se encontrase.
Pasados algunos años, la situación de la joven había cambiado: su
carácter, agriándose en extremo, hacíala menos simpática aún de lo
que realmente era. Su abuelo, que entrañablemente la amaba
permitíale frecuentar la sociedad y gastar algo en tocados y ropas de
moda. Ella quería borrar su mancha; pero no lo podía conseguir
careciendo de aquellas prendas que fácilmente inspiran el perdón o e
olvido. Lo singular es que a su mal genio unía un cierto orgullito
sobremanera repulsivo, y que sin duda nacía de su seguridad de
enriquecer considerablemente al fallecimiento del abuelo.
Todas las noches del año, en el de 1831, luego que don Felicísimo
con un mediano vaso de vino, echaba la rúbrica a su cena (frase de
don Felicísimo), se levantaba de aquella especie de trono, y tomando
con su propia mano el candil de cuatro mecheros, dirigíase a la sala
donde ya doña María del Sagrario había encendido una lámpara de las
llamadas de Monsieur Quinquet, y allí se encontraba a varios amigos
que se reunían en amena tertulia. La estancia era como una gran sala
de capítulo conventual; pero estaba blanqueada, sin más adorno que
un gran cuadro del Purgatorio, donde ardían hasta diez docenas de
ánimas. Dos cortinas de sarga, cuya amarillez declaraba haber sido
verde, cubrían los balcones, y por las cuatro paredes se enfilaban en
batería tres docenas de sillas de caoba con el respaldo tieso y e
asiento durísimo. Cuatro sillones de claveteado cuero, contemporáneo
del cuadro de las Ánimas del Purgatorio, si no del Purgatorio mismo
servían para la comodidad relativa; una urna con imagen vestida
servía para la devoción, y una mesa que parecía pila bautismal, para
que dieran golpes sobre ella los de la tertulia. Don Felicísimo entraba
diciendo: Pax vobis, y después saludaba sucesivamente a sus amigos
—Buenas noches, Elías, ¿cómo te va?... Señor conde de Negri
buenas noches... Buenas noches, señor don Rafael Maroto.
XVIII

Veamos ahora lo que pasó aquella noche. Jenara tomó asiento en


el despacho del señor don Felicísimo, y Pipaón, acercándose a este, le
habló un poco al oído para contarle lo que a la dama le pasaba. A
cada dos palabras que oía, don Felicísimo articulaba una especie de
chillido, un ji, ji, que más tenía de suspiro que de interjección, y que a
mismo tiempo expresaba hipo y burla.
—Bueno, bueno —murmuró el anciano moviendo la cabeza en
ademán de conciliación—. En mi casa no será molestada; yo le
respondo de que no será molestada, ji, ji.
—Gracias —dijo la dama secamente tratando de darse aire con los
restos de su abanico.
—El señor don Miguel de Baraona y yo fuimos muy amigos —
añadió Carnicero, volviendo a Jenara su faz plana, fría, sin expresión
de sentimiento alguno—, pero muy amigos. Cuando aquellas
cuestiones de la Santa Iglesia Colegial de Vitoria con los Canónigos
quartos de frutos de Calahorra, vino aquí don José Marqués, canónigo
entero; don Vicente Morales, racionero medio, y don Andrés de
Baraona, canónigo quarto de optación, hermano de su abuelo de
usted, que también vino. Yo le conseguí el arcedianato de Berberiega
para su primo. ¡Cuántas tardes pasamos juntos en este despacho
hablando de sermones y toros! Era en los tiempos de Pedro Romero, y
dicho se está que había materia para dos buenos aficionados como
nosotros. Si el señor de Baraona viviera, se acordaría de cuando
vimos la cogida de Pepe-Hillo y la célebre cornada de José Cándido
motivada por haberse escupido el toro, con lo que se atolondró José y
quiso matarlo fuera de jurisdicción, recibiendo un encontronazo...
Estas últimas frases no las dirigía don Felicísimo a Jenara, sino a
cierto personaje, desconocido para nosotros, que a su lado estaba, y
había entrado poco antes que nuestros amigos. Era un joven de
aspecto más bien ordinario que fino, de rostro tan salpicado de
viruelas, que parecía criba, de complexión sanguínea y algo gigántea
de ajustada chaqueta vestido, con el pelo corto y la frente más corta
acaso. Su facha, su traje y cierta expresión inequívoca que impresa en
su rostro estaba como un letrero, decían que aquel hombre era de
gremio de tablajeros, cortadores o tratantes en carnes. Los tres oficios
había tenido, mas con tan poco aprovechamiento, que los cambió po
una plaza de demandadero en la cárcel de Villa. Era hijo de una
antigua sirviente de don Felicísimo, y este le había criado en su casa y
le tenía bastante cariño. Pedro López, por otro nombre Tablas (que as
le bautizaron en el Matadero), respetaba mucho a su protector. Iba a
verle diariamente al anochecer, se sentaba a su lado, le hablaba un
poco de la cárcel, de becerros si era invierno y de toros si era verano
después le servía la cena, y, por último, le acompañaba a rezar e
rosario, devoción a que no faltó don Felicísimo ni en un solo día de su
vida.
Doña María del Sagrario no tardó en venir. Era una señora que
aparentaba más edad de la que realmente tenía, por causa de una
lamentable emigración de todos los dientes de su boca, no quedando
en aquellos reinos más que algunas muelas, que temblando habían
pedido también sus pasaportes. Ella no tenía pretensiones de belleza
ni aun de buen parecer, y así su elegancia era la sencillez, su
perfumería la limpieza y su peinado simplicísimo. Consistía en recoge
en una sola trenza los cabellos fieles que le quedaban y hacer con
esta un moño chiquito, el cual, atravesado de una horquilla o flecha
como corazón simbólico, parecía una limosna de cabellos enviada po
el cielo sobre su cráneo, que iba igualando a las encías en sus
condiciones de país desierto. Por lo demás, doña María del Sagrario
era bondadosa, de excelente corazón y de mucho palique; pero tanto
desentonaba su voz, por causa de estar su boca tan solitaria como
casa de mostrencos, que las palabras parecían salir y entrar po
aquellas cavidades jugando y haciendo cabriolas. Cuando reía
creeríase que lloraba, y cuando regañaba a la criada parecía manda
un batallón, y el rezar era en ella como un soplamiento de fuelles
rotos.
—Mucho nos honra usted, Jenarita —le dijo besándola—, con
aceptar nuestra hospitalidad. Eso no será nada. Algún mal entendido
¡Es tan fácil ahora que los buenos se confundan con los pícaros! Aye
mismo ¿no apalearon en esta misma calle al sacristán de la Venerable
Orden Tercera por confundirlo con un pícaro zapatero que fue
condenado a horca y luego indultado en el llamado tiempo
constitucional, que ni fue tal tiempo ni cosa que lo valga?
—Sagrario, mucha conversación es esa, ji, ji —dijo a este punto don
Felicísimo—. Jenarita no es persona con quien debemos gasta
cumplidos ni etiquetas; por tanto, tráeme mi cena, que la gusana me
dice que es hora.
Poco después, el señor Carnicero tenía delante la servilleta en luga
del papel, y la cuchara en vez de la pluma. Tras los primeros bocados
habló así:
—No es extraño, Jenarita, que con la marcha que lleva este
gobierno por el camino de la francmasonería, sean perseguidos los
buenos españoles. Ese pobre rey se ha entregado en manos de la
herejía y del democratismo; la reina nos quiere embobar con músicas
pero no le valdrán sus mañas para hacernos tragar la sucesión de su
hija Isabelita, que así será reina de España como yo emperador de la
China, ji, ji. Ellos ven venir el nublado y se preparan; pero nosotros nos
preparamos también... y es flojita cosa la que defendemos... así como
quien no dice nada... la religión sacratísima, el trono español y
nuestras costumbres tradicionales, puras, nobles y sencillas. ¡Ah!
perdóneme usted, Jenarita, me olvidé de decirle si gustaba cenar. Pero
aquí no andamos con etiquetas, y en mi casa todo es llaneza y
confianza.
—Gracias —repuso Jenara que, solicitada de otros pensamientos
no oyó ni una sola palabra del discurso del señor Carnicero.
Pipaón y Micaelita cuchicheaban en la sala inmediata, y doña María
del Sagrario había ido a preparar la cena para todos, lo que requería
no poca habilidad por haber aumentado las bocas y no los manjares
Tablas servía la cena al señor don Felicísimo, el cual le hablaba de
este modo:
—Pues volviendo a lo que te decía cuando entraron estos señores
el toreo está ahora tan por los suelos que no se puede hablar de él sin
que se le caiga a uno la cara de vergüenza. Y no me digan que se ha
fundado un Conservatorio de Tauromaquia. Tonto de capirote es el que
lo inventó. Yo admiro a don Pedro Romero, yo le tengo por un Cid de
los tiempos modernos; por eso no quisiera verle hecho un catedrático
de brega. Mira tú, los toreros de hoy dan asco... Si el Seño
Omnipotente te hubiera querido hacer el favor de criarte en aque
tiempo en que todo era mejor que ahora, todo; en que era más
honrada la gente, más rico el país, más barata la comida, más guapas
las mujeres, más religiosos los hombres, más valientes los militares
más benigno el frío, más alegre el cielo, más honestas las costumbres
más bravos los toros, y más, mucho más hábiles los toreros..., ji, ji..
¿Por qué te ríes?
El hipo de don Felicísimo arreció de tal modo, que hubo de pararse
un rato para tomar aire. Después prosiguió así:
—Si hubieras vivido en aquel feliz tiempo, te habrías desbaratado
de gusto viendo en medio del redondel a Joaquín Rodríguez, por otro
nombre Costillares, o a José Delgado, mi amigo queridísimo, por otro
nombre Pepe-Hillo. Me parece que le estoy mirando cuando el toro se
ceñía. Entonces tenía que ver su serenidad y destreza, ji. Él lo llamaba
de frente, tomando la rectitud de su terreno conforme las piernas que
le advertía la fiera, y luego que le partía, ji, le empezaba a cargar y
tender la suerte, ¿entiendes? Con este quiebro, el toro se iba
desviando del terreno del diestro, y cuando llegaba a jurisdicción, le
daba el remate seguro, ji, ji, ji.
Con las cabezadas que daba don Felicísimo brillaban sus ojos en e
semblante plano como los agujeros de una palmeta. Al mismo tiempo
su mano, armada de tenedor, tomaba las actitudes toreriles
amenazando el vaso de vino, puesto en el lugar del tintero.
—Señora, usted se aburrirá con esta conversación mía —dijo e
anciano contemplando a Jenara, que permanecía con los ojos bajos—
Como aquí no hay cumplimientos, que es palabra compuesta de
cumplo y miento, ni las pamemas que llaman etiqueta, yo hablo de lo
que más me gusta, ji. Este buen Tablas es un chiquilicuatro que por no
tener alma no ha emprendido el oficio de mirar cara a cara a la cuerna
y está de demandadero en la cárcel de Villa. Si no tuviera el defecto de
coger sus monas los lunes y aun los martes, sería un cumplido
muchacho, siempre que se corrigiera del vicio de sobar las cuarenta.
Tablas se ruborizó al oír su panegírico.
—Jenara, venga usted a cenar —dijo Sagrario entrando—. Deme
usted su mantilla.
Don Felicísimo había concluido.
—Hija, ¿ha venido esta tarde el padre Alelí? —preguntó.
—No ha parecido su reverencia.
—¿No se sabe nada de la pupila de Benigno Cordero, que está con
pulmonía?
—Iba mejor, pero ha recaído. ¡Cristo, qué desgracia! —exclamó
Sagrario en un desentono tan singular que parecía enjuagarse la boca
con las palabras—. Cruz fue esta tarde a la iglesia y me dijo que e
pobre Benigno está como alma en pena. Va a la botica por las
medicinas y se deja el sombrero sobre el mostrador, habla solo, y
cuando vende no cobra, y cuando cobra no da la vuelta, y cuando la
da, da oro por cobre.
—Es un alma de cántaro, ji... Tablas, ve después a preguntar por la
enferma. Benigno es loco, pero es paisano y le aprecio... Jenarita
¿por qué tiene usted ese aire de tristeza y abatimiento? Aquí no hay
nada que temer. Estamos en sagrado, es decir, en una casa pura y
absolutamente, ji, ji..., apostólica.
Jenara no cenó. Había perdido el apetito, y la especial manera de
guisar que en aquella casa había no era la más a propósito para
despertarlo. A esta feliz circunstancia de la desgana de un convidado
debió Pipaón que le tocara algo, aunque no fue mucho, según consta
en las crónicas que de aquellos acontecimientos quedaron escritas.
Levantose Jenara de la mesa antes que los demás para decir una
cosa importante al señor don Felicísimo, que aún no había salido de
su guarida, y al llegar a la puerta de esta, oyó la voz del anciano muy
desentonada y colérica. Decía así:
—Ladrón, verdugo, borracho, no te daré un maravedí aunque te me
pongas de rodillas delante y me enciendas velas. Yo no soy bueno, yo
no soy santo; no pienses que me embobarás con tus lisonjas. ¿Tengo
yo alguna mina, ji? ¿Acuño moneda, ji? Quítateme, ji, de delante y
púdrete si quieres. No hay un cuarto; hoy no se fía aquí. Toca a otra
puerta, muérete, revienta, pégate un tiro, y si no basta, ji, ji..., te pegas
dos o media docena.
Con voz humilde y ahogada por la pena, Tablas habló después para
pintar con frases amañadas la enormidad de su apuro, y Carnicero
redobló sus negativas, sus bufidos, sus hipos, todo en defensa de su
bolsa. Jenara no necesitó oír más, y al punto renunció a decir a don
Felicísimo lo que había pensado. Mujer de recursos intelectuales
improvisaba planes con la celeridad propia de todo grande y fecundo
ingenio.
La campanilla sonó, y Tablas fue a abrir la puerta. Llegaron tres
señores que se dirigieron a la sala, donde Sagrario acababa de pone
luz. Entrando otra vez en el comedor, la dama vio que Pipaón y
Micaelita no parecían disgustados de hallarse juntos. Sagrario andaba
por la cocina riñendo con la criada, en lenguaje discorde e inarmónico
semejando un órgano que tuviera todos los tubos agujereados. Jenara
volvió al pasillo, que era largo, complicado, anguloso, y a causa de
blanqueo daba más cuerpo a las sombras que sobre él caían. Allí vio
la atlética figura de Tablas que salía del cuarto del señor, y
dirigiéndose a un ángulo obscuro donde estaban algunos muebles
viejos como en destierro, dejábase caer sobre una silla y apoyaba la
cabezota en ambas manos mirando al cielo. Jenara se llegó a él. Era
el ángel del consuelo.
XIX

—¿Cómo te va, Elías? Señor conde de Negri, buenas noches


Buenas noches, señor don Rafael Maroto.
Así saludó don Felicísimo a sus amigos, entrando en la sala
candilón en mano. Como aún no le hemos visto andar, no hemos
podido decir que andaba a pasitos cortos, muy cortos, y así tardó una
buena pieza en llegar al centro de la estancia. Viose entonces la
longitud de su levitón negro, el cual le llegaba hasta los pies, de modo
que no parecía que andaba, sino que estaba fijo sobre una tablilla con
ruedas, de la cual tirara con lentitud una invisible mano. Puso e
candilón sobre la mesa, y como la vecindad de la lámpara hacía que
aquel palideciera de envidia, lo apagó.
—Usted siempre tan fuerte —dijo uno de los amigos dando un
palmetazo en la rodilla de Carnicero.
Era este amigo un señor pequeño, o por mejor decir, archipequeño
adamado y no muy viejo.
—Defendiéndonos admirablemente —repuso Carnicero, cogiéndose
una pierna con las manos y levantándola para ponerla sobre la otra.
—Un cigarrito —dijo aquel de los amigos que llamaban Maroto, y
era el más joven de los tres, de buena presencia, bigotudo y con
señalado aspecto marcial.
El conde de Negri, con el cigarrito en la boca, sacó eslabón y piedra
y empezó a echar chispas. Durilla era la faena, y la mecha no quería
encenderse.
—¡Maldito pedernal! —murmuró el señor conde.
Y las chispas iban en todas direcciones menos en la que se quería
Una fue a estrellarse en la cara plana de don Felicísimo como proyecti
ardiente en la muralla de un bastión formidable; otra parecía que se le
quería meter por los ojos al propio señor conde, y chispa hubo que
llegó hasta el cuadro de Ánimas, dando instantáneamente un
resplandor verdadero a aquel purgatorio figurado. Al fin prendió la
mecha.
—¡Gracias a Dios que tenemos fuego! —dijo don Felicísimo entre
dos hipos—. Con estos tubos de vidrio que han inventado ahora para
encerrar las luces, no se puede encender en las lámparas.
En tanto, el tercero de los amigos, que era bastante anciano y se
distinguía por la curvatura exagerada de su nariz, había puesto unos
papeles sobre la mesa, y los miraba y revolvía atentamente. De
repente dijo así:
—No hay que contar con Zumalacárregui.
—¡Todo sea por Dios! —exclamó Carnicero—. ¿Ha escrito? Pues a
mi carta no se dignó contestar. ¿Sigue en el Ferrol?
—Pues nos pasaremos sin él —indicó el conde de Negri—. La
causa revienta de partidarios, quiero decir que los tiene de sobra en
todas las clases de la sociedad, y así no es bien que solicite coroneles
como es uso y costumbre entre liberalejos.
—Ya sabemos —dijo con tono de autoridad el llamado Elías
alzando los ojos del papel— que la causa que defendemos es
legalmente una batalla ganada. Habiendo sucesor varón no puede
suceder una hembra. Moralmente también es cosa fuera de duda. E
clero en masa apoya al partido de la religión, y con el clero la mayoría
del reino y la aristocracia.
—Y el ejército —declaró el conde pequeñito, plegando mucho los
párpados porque le ofendía la luz.
—Eso está por ver —replicó Elías Orejón—. Desde la guerra de la
Independencia, el ejército, lo mismo que la marina, están carcomidos
por la masonería. La revolución del 23 obra fue de los masones
militares; las intentonas de estos años también son cosa suya, y en
estos momentos, señores, se está formando una sociedad llamada la
Confederación Isabelina, en la que andan muchos pajarracos de alto
vuelo, y que por el rotulillo ya da a entender a dónde va
Necesitamos...
—¡Claro, clarísimo, indubitable! —exclamó Carnicero, que deseaba
meter baza, por no hallarse conforme con su amigo en aquel tema.
—Necesitamos —prosiguió el otro alzando la voz en señal de enojo
por verse interrumpido—, necesitamos, aunque el escrupuloso seño
infante no lo crea así, asegurar y comprometer aquellas cabezas
militares más potentes. Ya se puede decir que son de acá los
siguientes señores: el conde de España, capitán general de
Principado; el señor González Moreno, gobernador militar de Málaga...
—Buenos, buenos, bonísimos —dijo Carnicero, que no podía
contener sus ganas de interrumpir a cada instante.
Orejón citó otros nombres, añadiendo luego:
—En el ramo de hombres civiles o eclesiásticos de gran nota
andamos a la conquista del señor Abarca, obispo de León, y de don
Juan Bautista Erro, consejero de Estado, a los cuales solo les falta e
canto de un duro para caer también de la parte acá.
—Bueno es que los clérigos y hombres civiles vengan —dijo Maroto
—, pero por santa y gloriosa que sea la causa de Su Alteza, y yo doy
de barato que es la causa de Dios, no se hará nada sin tropa.
—¿Y los voluntarios realistas?
—Son buenos como auxilio, pero nada más. Denme generales
aguerridos, jefes de valor y prestigio, y el día en que don Fernando
acabe, que no tardará, al decir de los médicos, don Carlos será rey po
encima de todas las cosas.
—Eso, eso —afirmó Elías sentando la palma de la mano sobre los
papeles—, generales aguerridos, jefes militares de valor y prestigio; a
grano, al grano.
—Todo vendrá —indicó Carnicero— cuando el caso llegue. Cuando
se cuenta, como ahora, ji, con el santo clero en masa, capaz de alza
en masa al reino todo, como en la guerra de la Independencia, lo
demás vendrá por sus pasos contados. En cartas y po
manifestaciones verbales, me han demostrado su conformidad las
siguientes órdenes y religiones: los Agustinos Calzados, de Madrid; la
Congregación benedictina Tarraconense Cesaraugustana, de la
Corona de Aragón y de Navarra; los Menores de San Francisco, los
Agustinos Recoletos o Calzados, los Canónigos seglares del Orden
Premonstratense.
—Espadas, espadas —dijo bruscamente Maroto—, y con espadas
no solo no estarán de más las correas o rosarios, sino que servirán de
mucho.
—Y yo —indicó el conde de Negri dirigiéndose al balcón a punto
que sonaba en la calle el estrepitoso rodar de un coche— me atrevo a
proponer que todas las conquistas se pospongan a la conquista de
vecino.

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