Sei sulla pagina 1di 8

Rift Valley: definizione e significato geologico

Nella definizione originaria di John W. Gregory del 1894 una rift valley (o fossa tettonica)
è "una valle lineare con pareti parallele e quasi verticali, sprofondata per azione di una
serie di faglie parallele". La tipica morfologia è caratterizzata da un fondovalle, con
larghezza variabile dai 30 ai 100 km, separato da imponenti scarpate, che possono variare
in altezza da qualche centinaio a qualche migliaio di metri, rispetto a circostanti altopiani.
Archetipo di tale morfologia è la rift valley dell'Africa Orientale, dove il concetto è stato
originariamente introdotto. In questa regione, il sistema di fosse tettoniche si estende in
direzione circa meridiana dalla depressione dell'Afar, dove la rift valley africana si
congiunge ai due rami oceanici del Mar Rosso e del Golfo di Aden, fino al fiume Zambesi,
in Mozambico.

IL SISTEMA DI RIFT VALLEYS AFRICANE SECONDO JOHN WALTER GREGORY, NEL 1920  

Le rift valleys sono delle grandi fratture all'interno delle masse continentali che si
allargano progressivamente nel tempo, e rappresentano delle fasi iniziali nel complesso
processo di estensione e rottura delle placche litosferiche continentali, anticipando la
formazione di un nuovo bacino oceanico tra di esse. Il processo è legato al movimento
divergente di placche litosferiche sopra la sottostante astenosfera in lento moto
convettivo. La rift valley rappresenta la risposta primaria e più superficiale a tale
divergenza ed alla conseguente applicazione di forze tensionali all'interno delle placche,
che si manifesta con la formazione di sistemi di faglie normali. Queste sono fratture con
spostamento verticale della superficie terrestre che accomodano l'allontanamento delle
placche e determinano lo sprofondamento del blocco di materiale crostale che si trova tra
di esse. Grandi sistemi di faglie normali danno quindi luogo allo sprofondamento del
fondovalle rispetto ai circostanti altopiani e formano le imponenti scarpate tettoniche che
bordano la rift valley. Questi movimenti tettonici danno luogo ad una diffusa sismicità e
vulcanismo, fenomeni che sono tipicamente associati con lo sviluppo delle rift valleys
africane.

 
LA FORMAZIONE DELLE RIFT VALLEY

La formazione delle rift valleys è quindi una conseguenza delle complesse interazioni tra
dinamica delle placche litosferiche e dinamica del mantello, in un processo già intuito da
Alfred Wegener, che aveva ipotizzato la deriva delle masse continentali al di sopra di un
substrato più fluido, e successivamente formalizzato nella teoria della "tettonica delle
placche". Queste complesse interazioni, le loro espressioni superficiali (es. vulcanismo,
sismicità, topografia) e la loro variazione nel tempo in un processo che porta allo
smembramento delle masse continentali, sono esemplificate in modo unico in Etiopia,
come illustrato dalla sua evoluzione geologica.

Evoluzione geologica

La storia pre-rift: il vulcanismo "trappico" ed il sollevamento degli altopiani


Il rifting Terziario in Etiopia è stato preceduto da un'intensa fase di vulcanismo, avvenuta
in un breve intervalllo di tempo intorno a 30Ma, che ha dato luogo alla deposizione di
voluminose colate balsatiche (i cosiddetti "trappi" etiopici). Un importante sollevamento
della regione all'interno della quale si imposta successivamente la rift valley è iniziato
contemporaneamente o poco dopo questo intenso vulcanismo, sebbene la tempistica di
questi movimenti verticali rimanga molto controversa. L'occorrenza di questo vulcanismo e
del sollevamento prima delle fasi di estensione è generalmente ritenuta una prova
dell'influenza di pennacchi (o "plume") di mantello profondo nella dinamica estensionale
dell'Africa Orientale (il cosidetto "rifting attivo"). Recenti modelli, in particolare,
suggeriscono l'esistenza di un mega-pennacchio (African super-plume) che si originerebbe
al limite mantello-nucleo sotto l'Africa meridionale e risalirebbe verso la superficie sotto
l'Africa orientale dando luogo a plume minori nella porzione più superficiale del mantello.
Tuttavia le caratteristiche (ed anche l'esistenza) delle mantle plumes al di sotto del
continente africano sono dibattute.

E’ stato ipotizzato come il sollevamento degli altopiani possa aver avuto influenze sulla
circolazione atmosferica portando ad una modificazione del clima dell’Africa Orientale. In
particolare, la creazione questi rilievi montuosi avrebbe dato luogo a barriere orografiche
in grado di inibire la circolazione zonale di aria umida, causando l’instaurazione di climi più
aridi e determinando il passaggio da vegetazione di tipo foresta a vegetazione
prevalentemente erbosa in ambiente di savana. L’adattamento a questa variazione negli
habitat naturali avrebbe avuto un ruolo primario negli andamenti evolutivi degli ominidi
dell’Africa orientale.

TRAPPI VICINO AL MONASTERO DI DEBRE LYBANOS

TRAPPI VICINO A LALIBELA 

Evoluzione del rifting: localizzazione della deformazione e attivazione delle


grandi faglie normali
La principali fasi di rifting sono iniziate diacronamente lungo il settore etiopico della rift
valley durante l'Oligo-Miocene; la propagazione del rift non è stato un processo continuo
ma caratterizzato da episodi deformazione seguiti da periodi di relativa quiescenza. La
deformazione estensionale è legata al moto relativo delle tre placche principali Arabia,
Africa e Somalia; in particolare il rifting nella depressione dell'Afar è controllato dalla
divergenza Africa-Arabia, mentre più a sud l'estensione è generata dal moto Africa-
Somalia. La localizzazione della rift valley è stata controllata dalla riattivazione di una zona
di debolezza pre-esistente di età pre-Cambriana; a sud della depressione dell'Afar
l'orientazione di questa zona di debolezza (circa NE-SO) e la dinamica recente delle
placche litosferiche (che ha determinato una direzione di estensione circa E-O) hanno fatto
sì che la rift valley sia stata controllata da condizioni di rifting obliquo (cioè di estensione
non ortgonale rispetto alla direzione dell'asse del rift). Analisi geologiche e geofisiche
suggeriscono che il rifting continentale nel Main Etihopian si sia evoluto in due fasi
principali. In una prima fase, la deformazione è stata caratterizzata dall'attività delle
grandi faglie normali ai bordi della depressione, con approfondimento della stessa,
formazione di profondi bacini (con accumulo di uno spessore di sedimenti e vulcaniti fino a
5km) talvolta asimmetrici e diffusa attività vulcanica. In particolare, in questa fase iniziale,
il magmatismo interessa tutta la rift valley, estendendosi anche a limitate porzioni dei
fianchi del rift (dando luogo al cosiddetto vulcanismo fuori asse o off-axis volcanism).

GRANDE SCARPATA DI FAGLIA NORMALE PRESSO GOLJA  

Evoluzione del rifting: Abbandono delle faglie bordiere e sviluppo delle faglie
interne alla depressione
La progressiva estensione porta alla seconda fase di rifting, ben espressa sia nella parte
settentrionale del Main Ethiopian Rift che in Afar. Questa fase che porta alla focalizzazione
dell'attività vulcano tettonica all'interno della rift valley, con disattivazione delle grandi
faglie normali bordiere e formazione di densi sciami di faglie nella parte assiale della
depressione con associato voluminoso vulcanismo (segmenti tettono-magmatici).
L'assottigliamento progressivo della litosfera continentale durante il rifting ha controllato
questo cambio nello stile deformativo, probabilmente in tandem con l'azione di
indebolimento legato a processi magmatici. Nel Main Ethiopian Rift, le condizioni di rifting
obliquo hanno creato una particolare architettura dei segmenti di faglie assiali, che sono
infatti caratterizzati da un tipico arrangiamento "en-echelon". I magmi in risalita all'interno
della litosfera sono, in questa fase, focalizzati dalle faglie interne, dando luogo ad eruzioni
che avvengono preferenzialmente in prossimità dei segmenti tettono-magmatici.

LE DUE PRINCIPALI FASI EVOLUTIVE DEL RIFTING CONTINENTALE  


DIFFERENZA MORFOLOGICA TRA FAGLIE BORDIERE (IN ALTO) E FAGLIE INTERNE (IN BASSO)  

Rottura continentale

Allorchè l'attività tettonica e vulcanica si localizza all'interno dei segmenti tettono-


magmatici interni alla depressione, si sviluppa un importante feedback tra deformazione e
magmatismo: la litosfera assottigliata viene fortemente modificata ed indebolita dalla
voluminosa intrusione di magma, facilitando in questo modo l'estensione. La deformazione
è in questa fasi accomodata da una combinazione di intrusione di magma, formazione di
dicchi e fagliazione. In queste condizioni, la messa in posto di magma lungo le faglie
interne permette la rottura della spessa litosfera continentale ed i segmenti tettono-
magmatici inziano a comportarsi come dorsali medio-oceaniche ad espansione lenta. In
generale, l'evoluzione sopra descritta documenta una transizione tra una morfologia del
rift inziale dominata dalla fagliazione ad un rifting aiutato dal magmatismo (magma
assisted-rifting) nella fasi finali dell'estensione che portanto alla rottura continentale.
Questo testimonia un forte aumento dell'accoppiamento tra deformazione e magmatismo
con l'aumentare dell'estensione, con il magma e l'intrusione di dicchi che giocano un ruolo
più importante della fagliazione allorchè si passa da rifting continentale a formazione di
una nuova dorsale oceanica.

 
MODELLO SCHEMATICO DI EVOLUZIONE DEL RIFT (MODIFICATO DA EBINGER, 2005, ASTRONOMY AND GEOPHYSICS)

Le fasi finali della rottura continentale sono visibili, senza copertura da parte di acqua
marina, nella Depressione dell'Afar, dove le catene vulcaniche Quaternarie assiali (come
l'Erta Ale) si comportano in pratica come dorsali medio-oceaniche subaree. Recenti dati
geofisici hanno mostrato come alcune aree dell'Afar siano caratterizzate dalla presenza di
strisce magnetiche ai lati dei segmenti magmatici del tutto simili, come pattern e
ampiezza, a quelle che caratterizzano le dorsali medio-oceaniche.

 
LA CATENA DELL'ERTA NELLA DEPRESSIONE DANCALA IN AFAR SETTENTRIONALE

Potrebbero piacerti anche