Sei sulla pagina 1di 12

GEOLOGIA DELL’APPENNINO

1 LA CATENA APPENNINICA
Gli Appennini sono la «spina dorsale» della penisola italiana, emergendo in una striscia stretta e allungata dalle acque
del Mediterraneo. Questa catena si è formata in seguito alla convergenza dell’Africa verso l’Europa, a partire da 30
milioni di anni fa. Le spinte compressive hanno accatastato in una pila di falde larga circa 150 km rocce che
originariamente si trovavano in una fascia di mare larga 200-250 km.
La genesi dell’Appennino è il risultato di un processo geodinamico che ha interessato larga parte del Mediterraneo
centrale al termine della fase di convergenza delle placche europea e africana. Gli elementi essenziali del quadro
cinematico in evoluzione sono le due placche maggiori (Europa e Africa), ma il gioco di incastro tra di esse è
complicato dalla presenza di alcune microplacche (Blocco Sardo-Corso, settore adriatico) e dalla contemporanea
presenza di settori poco deformati. Inoltre, durante la fase evolutiva più recente dell’Appennino, rotazioni e faglie
trascorrenti hanno ulteriormente mescolato le tessere di un mosaico già complesso e articolato.
La Catena Appenninica, quindi, è una complessa struttura a coltri di ricoprimento (fold-and-thrust belt) derivanti dallo
scorrimento e dal raccorciamento di coperture sedimentarie appartenenti a domini paleogeografici posti lungo il
margine settentrionale della placca afro-adriatica (in subduzione verso W), trasportate verso l’avampaese padano-
adriatico-ionico a partire dall’Oligocene superiore (Boccaletti et al., 1971; D’Argenio et al. 1980; Patacca & Scandone,
1989; Doglioni, 1991).
L’evoluzione dell’Appennino dal Neogene al recente è caratterizzata dalla migrazione verso E-NE dei fronti di
deformazione e delle avanfosse correlate, progressivamente più giovani verso est (Ricci Lucchi, 1986; Royden, 1988),
accompagnata da tettonica estensionale nei settori di retrocatena, che porta all’apertura dei bacini di retroarco
provenzale, tirrenico e toscano, progressivamente più giovani (Rehault et al., 1985; Gueguen et al., 1998), e di diversi
bacini intramontani (Bartole, 1995; Barchi et al., 1998; Cavinato & De Celles, 1999).
L’evoluzione geodinamica della Catena Appenninica viene oggi definita attraverso l’elaborazione di un modello ad
archi che interpreta l’andamento superficiale arcuato delle strutture come l’adattamento della litosfera in presenza di
forti ostacoli a una libera deformazione (Tozzi, 1993). Due sembrano infatti essere le strutture più importanti della
Catena Appenninica: un arco settentrionale (che si estende dal Piemonte meridionale fino al Lazio settentrionale) e uno
meridionale (che dal Lazio-Abruzzo arriva fino in Sicilia), caratterizzati da stili di deformazione diversi. Nell’Arco
Appenninico Meridionale la catena risulta formata soprattutto da duplex, che implicano forti raccorciamenti, mentre
nell’Arco Appenninico Settentrionale sono più comuni le strutture embricate, spesso a ventaglio (Patacca et al., 1990;
Tozzi, 1993).

1.1 L’Arco Appenninico Settentrionale


L’Appennino Settentrionale, un segmento della Catena Appenninico-Magrebide, importante frammento del Sistema
Alpidico circum-mediterraneo, si estende in direzione NW-SE nell’Italia settentrionale e centrale per più di 500 km,
dalla “Linea Sestri-Voltaggio” (tradizionalmente considerata come limite Alpi-Appennini), nei dintorni di Genova, alla
“Linea Olevano-Antrodoco-Monti Sibillini” (“Linea Ancona-Anzio” Auct.), che interseca l’Appennino umbro-
marchigiano e laziale-abruzzese.
La geometria su larga scala dell’Appennino Settentrionale è quella di una fascia arcuata, con la convessità verso nord-
est, sviluppata tra le Alpi liguri e la piattaforma carbonatica centro-appenninica.
L’Arco Appenninico Settentrionale è una catena a pieghe e sovrascorrimenti sviluppatasi, dall’Oligocene al Pleistocene,
al limite tra le placche europea e adriatica, dopo la fase collisionale dell’Eocene medio (Fase Mesoalpina o Ligure) e la
chiusura del Bacino Oceanico Ligure-Piemontese.
Le unità tettoniche includono successioni deposte su crosta oceanica (Unità Liguri o Liguridi), provenienti dall’Oceano
Ligure-Piemontese e dalla sua transizione verso il margine continentale dell’Adriatico, e successioni deposte su crosta
continentale (oggi affioranti in Liguria orientale, Toscana, Lazio settentrionale, Umbria e Marche), che formano
l’ossatura dell’Appennino Settentrionale e sono uniformemente caratterizzate dalla presenza di facies pelagiche a partire
dal Lias medio (Sinemuriano-Pliensbachiano) (Ciarapica & Passeri, 1998).
Le Liguridi sono state deformate durante le fasi Eo– e Mesoalpina, con il risultato che dovrebbero, quindi, essere
considerate come un elemento strutturale della fascia alpina, incluso nel prisma orogenico appenninico, NE-vergente, a
partire dall’Oligocene.
L’evoluzione post-oligocenica dell’Appennino Settentrionale può essere vista come il risultato del progressivo
sovrascorrimento verso E della fascia alpina già deformata (cuneo di accrezione ligure o accatastamento mesoalpino)
sulla copertura sedimentaria del margine continentale della placca adriatica, scollata e progressivamente coinvolta
nell’impilamento tettonico.
Così, l’Appennino Settentrionale rappresenta una fascia poliorogenica, nella quale le unità alpine pre-oligoceniche
(Liguridi) occupano il livello intermedio nella sovrapposizione strutturale, interposto tra i livelli tettonici
strutturalmente appartenenti all’evoluzione appenninica (tettonica oligocenica e mio-pleistocenica) (Cerrina Feroni et
al., 2004).
Il limite con l’Arco Appenninico Meridionale è tradizionalmente collocato lungo la “Linea Olevano-Antrodoco-Monti
Sibillini”, un sovrascorrimento fuori sequenza a direzione N-S e vergenza verso E (Lavecchia, 1985; Cooper & Burbi,
1986), che mostra una complessa storia di riattivazione polifasica (Castellarin et al., 1978; Cipollari & Cosentino, 1992;
Cipollari et al., 1995). Questo limite è anche genericamente conosciuto in letteratura con il nome storico, ma meno
preciso, di “Linea Ancona-Anzio”. Un altro limite è stato recentemente proposto in corrispondenza della zona di taglio
“Ortona-Roccamonfina”, considerando l’Appennino centrale come una fascia di transizione tra l’Arco Appenninico
Settentrionale e il Meridionale (Patacca et al., 1992). La questione è ancora oggetto di discussione.

1.2 L’Arco Appenninico Meridionale


L’Arco Appenninico Meridionale, che si estende dall’Appennino centrale alla Sicilia, costituisce il segmento
meridionale italiano del sistema orogenico appenninico-magrebide. Si tratta di una catena a sovrascorrimenti (fold-and-
thrust belt) complessa e arcuata, con convessità e vergenza verso l’avampaese adriatico-apulo-africano, composto da
archi minori di differente dimensione e curvatura: gli archi dell’Appennino centrale (Lazio-Abruzzo), molisano-
sannitico, campano-lucano, calabro-peloritano e siculo-magrebide, con direzioni variabili da NW-SE nell’Appennino
centro-meridionale, a N-S in Calabria fino a E-W in Sicilia (Cinque et al.,1993; Vai, 2001; Elter et al., 2003, cum
biblio).
Come le altre parti della catena, l’Arco Appenninico Meridionale si sviluppa attraverso la deformazione di due grandi
domini paleogeografici: uno interno, di tipo oceanico, rappresentato dalle successioni tettonico-sedimentarie giurassico-
oligoceniche dell’Oceano Ligure-Piemontese, collegato alla Neo-Tetide, e l’altro esterno, rappresentato dalle sequenze
sedimentarie triassico-bassomioceniche deposte su crosta continentale deformata lungo il margine passivo adriatico-
apulo-africano e rappresentato da un sistema estensionale piattaforma carbonatica/scarpata/bacino. Le due unità
principali hanno rappresentato domini paleogeografici contigui fino alla fine del Mesozoico (Parotto & Praturlon,
2004).
Il fold-and-thrust belt dell’Arco Appenninico Meridionale si è sviluppato tra il Cretacico superiore e il Pleistocene
inferiore lungo il margine collisionale tra la placca europea e le placche ionica e Adria subdotte verso W. Il risultato è
una struttura arcuata che, a prima vista, appare composta da due ali principali: l’Appennino Centro-Meridionale a N e la
Sicilia a S, con l’Arco Calabro-Peloritano come cerniera. Depositi carbonatici di piattaforma e marnoso-silicei pelagici
prevalgono nei fianchi N e S dell’Arco Appenninico Meridionale mentre l’Arco Calabro è costituito principalmente da
termini esotici metamorfici.
La progressiva migrazione verso est del fronte esterno dell’Appennino, in qualche modo legata all’apertura del bacino
di retroarco del Mar Tirreno, è considerata il principale vincolo per l’evoluzione a larga scala del thrust belt
dell’Appennino meridionale. Così, l’Arco Appenninico Meridionale presenta, in generale, un’entità del raccorciamento
molto maggiore rispetto all’Appennino settentrionale, essendo il suo stile caratterizzato da duplex e importanti
sovrascorrimenti (thrust) fuori-sequenza.
Il progressivo raccorciamento della struttura può essere delineato dalla genesi, dall’evoluzione e dalla migrazione
progressiva delle avanfosse terrigene fino al Pliocene inferiore-medio e dalla nascita e dallo sviluppo dei numerosi e
ampi bacini tardo-orogenici.
Dal Miocene superiore in poi, la geometria del thrust belt dell’Arco Appenninico Meridionale, continuamente
sottoposto a compressione al fronte, è stata ampiamente modificata dal sollevamento e dalla migrazione, verso la parte
esterna della catena, di antiche faglie estensionali localmente abbinati a un’intensa attività vulcanica (Peccerillo, 2002,
2003). Allo stesso tempo, nell’adiacente Mar Tirreno, si verificava un importante assottigliamento crostale con
formazione di crosta oceanica (Royden et al., 1987; Cipollari & Cosentino, 1995).

1.2.1 Appennino Centrale


Dal Tirreno al Mare Adriatico, l’Appennino Centrale, in senso geologico, si estende tra la “Linea Olevano-Antrodoco-
Monti Sibillini” e la “Linea Ortona-Roccamonfina” (allineamento Pescara-Gaeta) e abbraccia le catene montuose, a
direzione prevalente NW-SE, comprese tra la Pianura Pontina, a SW, lungo la costa tirrenica, e la Montagna dei Fiori (a
N del Gran Sasso) e il massiccio della Maiella a NE.
Queste strutture tettoniche, con forte evidenza morfologica, sono per lo più costituite da successioni di piattaforma
carbonatica, estese dal Trias superiore al Miocene, con interposti bracci di mare a sedimentazione pelagica in un
articolato sistema piattaforma carbonatica/scarpata/bacino (Accordi & Carbone, 1988), sviluppato lungo il margine
passivo apulo-adriatico. Esse appaiono ora divise da strette valli e da una serie di importanti bacini intramontani plio-
quaternari riempiti da depositi alluvionali e vulcanoclastici, di solito sovrastanti i sedimenti terrigeni delle antiche
avanfosse, di età compresa tra il Miocene e il Pliocene inferiore (Esu et al., 1988).
Il diacronismo delle successioni torbiditiche mette in evidenza la progressiva migrazione verso E, specialmente nel
Neogene, delle avanfosse fino all’attuale avanfossa adriatica. I fronti dei sovrascorrimenti hanno registrato una
migrazione nella stessa direzione, coinvolgendo progressivamente i depositi delle diverse, successive, avanfosse e
incorporandoli nella catena (Cipollari et al., 1999, cum biblio).
La geometria complessiva della catena, il diacronismo dei bacini di avanfossa che migrano verso E e le diverse età dei
sovrascorrimenti principali sono coerenti con un modello di propagazione regionale verso l’avampaese per questa
porzione dell’Appennino.
Tale assetto geodinamico avrebbe controllato l’origine e l’evoluzione dei diversi bacini sintettonici che si sono
sviluppati durante la migrazione della catena verso l’avampaese.
A partire da circa 7 milioni di anni fa, mentre il lato adriatico della catena si stava costruendo attraverso strutture
compressive, una intensa tettonica estensionale cominciò a svilupparsi sul versante tirrenico. Questo regime distensivo,
direttamente correlato con lo sviluppo del bacino del Tirreno, è iniziato a W ed è migrato progressivamente verso E,
coinvolgendo gradualmente una parte rilevante della catena. Il suo sviluppo ha portato allo sprofondamento di interi
settori della catena (che avevano appena subito il sollevamento) attraverso sistemi di faglie dirette ad alto angolo e con
immersione verso W, che spesso hanno riattivato, a grandi profondità, rampe di antiche superfici di sovrascorrimento.
In queste depressioni tettoniche si sono accumulate spesse sequenze deposizionali marine (di ambiente neritico) e
continentali (fluviali, lacustri) (Esu et al., 1988). L’assottigliamento crostale ha permesso, come in altre parti del
versante tirrenico della catena, la risalita di magma, che è andato ad alimentare, nel (Plio)-Pleistocene una serie di
imponenti edifici vulcanici in corrispondenza dei più occidentali, antichi e maturi bacini estensionali (De Rita et al.,
1988).
Il limite occidentale dell’Appennino Centrale è brusco, lungo la già menzionata “Linea Olevano-Antrodoco-Monti
Sibillini” (meno propriamente conosciuta come “Linea Ancona-Anzio”). Un confine naturale a N è costituito dalle
spesse successioni terrigene dell’avanfossa adriatica, gradualmente mascherate verso la costa dalle coperture marine e
continentali del Pliocene medio-Pleistocene (Crescenti et al., 1980). Un limite più convenzionale, a est, può essere
tracciato lungo il confine orientale dei Monti della Maiella e, più a sud, seguendo il passaggio brusco alle facies tipiche
del Bacino Molisano (ramo nord-occidentale del più meridionale Bacino Lagonegrese).
Il confine tra Appennino Centrale e Meridionale è tradizionalmente situato lungo la “linea Ortona-Roccamonfina”,
costituita da una complessa fascia di deformazione orientata NE-SW e caratterizzata da faglie trascorrenti destre e
sinistre e superfici di sovrascorrimento, vergenti a NW, che sovrappongono le facies pelagiche del Bacino Molisano sui
depositi di piattaforma del dominio carbonatico Laziale-Abruzzese (Di Bucci & Tozzi, 1991; Ciarapica & Passeri,
1998).
Indipendentemente dal suo significato tettonico (ancora discutibile), la “Linea Ortona-Roccamonfina” è uno dei più
importanti elementi tettonici dell’Appennino, che separa aree appartenenti a diversi domini paleogeografici e che hanno
avuto una diversa evoluzione geodinamica.

1.2.2 Appennino Meridionale (Arco Molisano-Sannitico e Arco Campano-Lucano)


Questo è uno dei più complessi segmenti della catena, che include unità interne ed esterne di fronte all’avampaese
apulo. È il segmento più raccorciato dell’Arco Appenninico Meridionale, in modo che la catena e l’avanfossa sono
difficili da isolare, entrambe pavimentate per grandi estensioni e a grande profondità dai carbonati sepolti
dell’avampaese apulo deformato. Secondo molti geologi, questa è la zona più frammentata e tettonicamente complessa
dell’intera catena appenninico-magrebide.
La maggior parte dei depositi interni del Dominio Liguride sono presenti lungo la costa tirrenica (Cilento) e al confine
con la Calabria, mentre i depositi mesozoici di piattaforma carbonatica e le facies associate dominano l’Appennino
Campano. Ma i terreni più caratteristici di questo segmento sono le successioni pelagiche del Bacino Lagonegrese-
Molisano, originariamente interposto (secondo le opinioni più recenti) tra due sistemi piattaforma
carbonatica/scarpata/bacino, uno più interno (Piattaforma Appenninica) e l’altro corrispondente al futuro avampaese
apulo.
Come già sottolineato dai primi studiosi moderni (Glangeaud et al., 1962), il prisma di accrezione di questo settore
dell’Arco Appenninico Meridionale è composto da diverse unità tettoniche che rappresentano antichi domini
paleogeografici contigui. Tali unità, che sono state progressivamente incorporate nella catena, in accordo con la loro
posizione originale, sono: unità ofiolitiche e non-ofiolitiche raschiate dall’Oceano Ligure-Piemontese (Liguridi,
Sicilidi); un’unità di piattaforma carbonatica di età Triassico superiore-Terziario (Piattaforma Appenninica); un’unità
bacinale (Bacino Lagonegrese-Molisano) del Paleozoico superiore/Triassico-Terziario.
La sequenza di deformazione e accatastamento si è spostata dalle unità più interne alle più esterne. La prima messa in
posto tettonica delle Liguridi è stata seguita dalla successiva incorporazione nella catena della Piattaforma Appenninica
e delle unità del Bacino Lagonegrese.
Durante la deformazione, depositi di avanfossa e bacini di thrust-top mio-pliocenici sono stati incorporati in un
ventaglio embricato nella parte frontale della catena. Queste unità sono state tettonicamente poste sulle avanfosse plio-
pleistoceniche situato sulla parte superiore della Piattaforma Apula, l’avampaese autoctono dell’Appennino Meridionale
(Grasso, 2001).

1.2.2.1 DOMINIO INTERNO

1.2.2.1.1 Unità ofiolitiche del dominio Ligure-Piemontese (Unità Liguridi)


Queste successioni affiorano in maniera estesa nell’Appennino settentrionale, ma sono anche presenti nell’Arco
Appenninico Meridionale. Esse mostrano la loro peculiare struttura a mélange tettonico al confine calabro-lucano e in
Calabria settentrionale. Si tratta di successioni sedimentarie e metasedimentarie di acque profonde di età compresa tra il
Giurassico superiore e l’Eocene, che includono blocchi esotici di crosta sia oceanica che continentale, interpretate come
la copertura sedimentaria scollata della crosta oceanica ligure-piemontese. Successioni rilevanti, attribuite alle Liguridi,
sono anche presenti in Cilento (Bonardi et al., 1988, cum biblio). La formazione delle Liguridi è strettamente collegata
alla convergenza cretacico-paleogenica Europa-Africa e la loro messa in posto avviene sul margine apulo durante la
collisione avvenuta tra l’Oligocene superiore e il Miocene inferiore. Più tardi, tra il Pliocene e il Pleistocene, esse sono
state anche tettonicamente trasportate sopra le unità di piattaforma carbonatica dell’avampaese apulo.
I termini Liguridi dell’Arco Appenninico Meridionale sono suddivisi nelle unità tettoniche Frido e Cilento. L’unità più
bassa, l’Unità Frido (Vezzani, 1969;. Monaco et al., 1991), affiora in Lucania meridionale e Calabria settentrionale ed è
costituita da un’alternanza altamente variabile di scisti, quarzareniti, calcari siltosi e arenacei di età Neocomiano-
Albiano, con scaglie di lave a cuscino (pillows) e brecce diabasiche, selci a radiolari e calcari selciferi del Giurassico
superiore-Cretaceo inferiore.
L’Unità Frido è sovrascorsa sui carbonati massivi della Piattaforma Appenninica e si trova sotto l’Unità Cilento. L’unità
più alta, l’Unità Cilento (o “Unità del Flysch”) affiora dalla costa tirrenica ai versanti ionici del Monte Pollino. Questa
unità è costituita prevalentemente da scisti neri che si alternano con calcilutiti silicee, marne e quarzareniti gradate di età
Aptiano-Albiano (“Formazione delle Crete Nere” – Vezzani, 1968), seguite verso l’alto da calcareniti torbiditiche e
arenarie litico-arcosiche alternate con calcilutiti e locali conglomerati di età compresa tra il Cenomaniano e il Paleocene
(“Formazione di Pollica-Saraceno). Questa parte inferiore dell’Unità Cilento è coperta in discordanza da una spessa
sequenza costituita dall’alternanza di marne limo-argillose, arenarie ben stratificate con banchi di calcilutiti e
paraconglomerati, generalmente conosciuta come “Formazione di Albidona”. L’età di questa unità è oggetto di
dibattito, essa è compresa tra l’Eocene medio-superiore (Vezzani, 1970; Baruffini et al., 2000) e il Miocene (Bonardi et
al., 1985; Amore et al., 1988; Bonardi et al., 1988; Critelli , 1999; Grasso, 2001). La “Formazione di Albidona”
sovrasta non solo le Liguridi, ma anche le unità tettoniche del sistema mesozoico piattaforma carbonatica/bacino.
Nella Calabria settentrionale le Liguridi si trovano sotto le falde Calabridi, in Sicilia sono assenti.

1.2.2.1.2 Unità Sicilidi


Le Unità Subliguridi dell’Appennino settentrionale, che lì si manifestano tra le Liguridi e il dominio esterno tosco-
umbro, hanno la loro controparte lungo l’Arco Appenninico Meridionale nelle Unità Sicilidi. Queste rocce prive di
ofioliti, di affinità ligure, consistono principalmente di successioni pelitiche varicolori, in diversi thrust-sheets,
contenenti sedimenti pelagici intensamente deformati di età Cretacico superiore-Miocene inferiore. Attualmente sono
impilate in una serie di scaglie tettoniche o falde di grandi dimensioni, formando un cuneo accresciutosi lungo la fascia
che separa le falde cristalline Calabridi della Sicilia nord-orientale e il thrust belt della Sicilia magrebide. Esse
comprendono un membro pelitico basale rosso e verde con intercalazioni di calcari selciferi e quarzareniti (“Formazione
di Monte Soro”), passando verso l’alto a un’alternanza di calcareniti, calciruditi e calcari marnosi (“facies di M.
Pomiere” in Sicilia e “facies di M. Sant’Arcangelo” in Lucania) e a un’alternanza di tufiti andesitiche e arenarie
tufitiche, scisti marnosi e calcari marnosi di età Oligocene-Miocene inferiore (“facies di Tusa” in Sicilia e Lucania —
Wezel & Guerrera, 1973; Critelli et al., 1990). La sequenza si conclude con il “Flysch Numidico”.
La parte più caratteristica e importante di questa successione varicolore (le cosiddette “Argille Scagliose”) affiora
nell’Arco Appenninico Meridionale prevalentemente al confine tra il fronte della catena appenninica e i bacini di
avampaese Adriatico-Ionico e di Catania-Gela. Argille varicolori fortemente deformate sono la matrice dominante di
una formazione frammentata derivata dalla deformazione polifasica degli originali sedimenti pelitici, calcarei e arenacei
accumulati come mélange tettonico lungo il prisma di accrezione appenninico frontale. Il mélange comprende anche
scaglie di diverse dimensioni di calcareniti e calcilutiti risedimentate, calcari selciferi e quarziti, appartenenti alla
porzione alto-cretacica delle unità più interne, e scaglie di quarzareniti numidiche e tufiti di Tusa di età Oligocene
superiore-Miocene inferiore (Grasso, 2001; Vai, 2001, cum biblio).
Nell’Appennino Meridionale, i thrust sheet Sicilidi si trovano in una pila di unità tettoniche diverse. A scala regionale,
essi sono sovrastati, in discordanza, da una successione torbiditica del Miocene medio-superiore (“Formazione di
Gorgoglione”), depostasi all’interno di bacini di thrust-top sviluppatisi dopo la collisione continentale. In Sicilia, essi
sono ricoperti, anche in questo caso in discordanza, da una simile successione silicoclastica tardo-orogenica del
Miocene medio (“Formazione di Reitano”).
Modeste porzioni, tettonicamente smembrate, di Unità Sicilidi affiorano anche in Appennino Centrale.
Da notare che l’attribuzione di alcuni affioramenti di argille varicolori dell’Appennino meridionale alle Sicilidi o al
Bacino Lagonegrese-Molisano è molto difficile e spesso argomento di dibattito.

1.2.2.2 DOMINIO ESTERNO


Il sovrascorrimento delle unità Liguridi e Sicilidi sui domini più esterni e la progressiva deformazione di questi ultimi
durante la collisione continentale e le molteplici fasi di accrescimento della catena caratterizzano la struttura
complessiva degli interi Appennini. È un dato di fatto che le unità esterne (sistemi piattaforma
carbonatica/scarpata/bacino, bacini pelagici) costituiscono la parte tettonicamente più bassa della catena. Queste unità
meso-cenozoiche hanno avuto origine lungo il margine continentale adriatico-apulo-africano, geodinamicamente
coinvolto nella storia di apertura e chiusura dell’Oceano Ligure-Piemontese (collegato con l’oceano della Neo-Tetide),
con la conseguente separazione e il riavvicinamento tra Europa e Africa (Channell et al., 1979; D’Argenio et al., 1980).
Le unità esterne risultano dalla combinazione di diversi processi geologici: estensione crostale (e relativa subsidenza),
dalla fine del Permiano al Cretaceo; tettonica sinsedimentaria; oscillazioni del livello del mare, variazioni climatiche,
eventi palaeoceanografici; fioritura di prolifici ambienti carbonatici. Durante la prima fase (inizio del rifting nel
Permiano superiore-Triassico), profondi bracci di mare si sono sviluppati lungo il margine settentrionale del Gondwana
e si sono protratti come bacini pelagici profondi per tutto il Mesozoico. Nell’Arco Appenninico Meridionale, essi sono
presenti nel Bacino Lagonegrese (Appennino Meridionale) e nel Bacino Imerese-Sicano (Sicilia centro-settentrionale).
Qui è visibile la transizione da facies terrigeno-carbonatiche di ambiente costiero-neritico, in un trend shallowing
upward (Permiano superiore-Anisico), a facies pelagiche selcifere-radiolaritiche (Ladinico), passando verso l’alto a
calcari selciferi del Triassico superiore, dolomie e una successione radiolaritica con vulcaniti mafiche del Retico-
Cretacico. La successione sovrastante, di età compresa tra l’Eocene medio-superiore e l’Oligocene, è composto da
alternanze di marne rosse e calcareniti gradate ricche di macroforaminiferi (Scandone, 1967, 1972, 1975; Ciarapica et
al., 1990; Pescatore et al., 1992; Marsella et al., 1995; Amodeo, 1999; Aldega et al., 2003; Piedilato, 2003).
A seguito dei processi estensionali lungo il settore occidentale della Neo-Tetide, nel Triassico superiore si è sviluppata
una grande piattaforma epeirica, allargando i precedenti bracci di mare e coprendo parte delle aree stabili dell’Europa
ercinica e dell’Africa pre-ercinica. Nell’Arco Appenninico Meridionale, i relativi depositi sono sedimenti di ambienti
deposizionali variabili da evaporitici a marini ristretti (alternanze di dolomie e più o meno rilevanti livelli di anidrite,
come nella famosa “Formazione di Burano” — Martinis & Pieri, 1964), del Triassico superiore, a testimonianza di un
clima arido in queste aree durante questo intervallo temporale. Le rocce sottostanti sono poco conosciute, probabilmente
sono successioni continentali del tardo Paleozoico, come in altre parti della catena.
Il rifting progressivo del Triassico superiore-Giurassico inferiore è stato la causa della successiva frammentazione
estensionale in blocchi. L’ampia piattaforma epeirica pre-esistente è stata segmentata e il rapido annegamento
differenziale dei diversi blocchi ha trasformato la grande unità paleogeografica in un sistema di piattaforme
carbonatiche isolate circondate da bacini più o meno profondi (Bernoulli, 2001, cum biblio). L’omogeneità di questi
bacini era interrotta da piccoli e sparsi seamount, caratteristici segmenti di antiche piattaforme peritidali annegate,
delimitati da faglie locali e ricoperti da successioni pelagiche condensate e discontinue (Santantonio, 1993, 1994). Il
forte controllo sedimentario dovuto alla topografia è poi cessato nel Cretacico inferiore e la sedimentazione pelagica è
stata in seguito influenzata da processi più generali.
La transizione tra questo ambiente carbonatico e il dominio interno è ancora poco chiara. Infatti, le unità interne sono
ovunque tettonicamente sovrapposte a quelle esterne e le successioni di transizione sono difficili da riconoscere essendo
state, generalmente, oggetto di elisione tettonica durante il trasporto.

1.2.2.2.1 Piattaforme carbonatiche


Il sistema piattaforma carbonatica/scarpata/bacino delineatosi caratterizza le aree esterne dell’Arco Appenninico
Meridionale fino alla fine del Cretacico. Sempre più lontane dai cratoni, queste vaste aree sono state protette dagli
apporti terrigeni mentre la continua subsidenza, che creava un rilevante spazio per i sedimenti, è stata bilanciata da
un’elevata produttività carbonatica. Così, successioni di grande spessore (dell’ordine di qualche km) di calcari puri e
dolomie di ambiente lagunare e peritidale dominano le sequenze di piattaforma. Sabbie bioclastiche e oolitiche e
depositi biostromali di scogliera caratterizzano i margini di piattaforma mentre gli adiacenti pendii di raccordo al mare
aperto sono contrassegnati da scarpate di erosione e locali canyon, da depositi detritici risedimentati e spesso torbiditici,
da emipelagiti e da brecce e megabrecce canalizzate. Carbonati pelagici, marne e sedimenti silicei caratterizzano i
bacini limitrofi.
I cambiamenti ambientali e la tettonica sinsedimentaria hanno continuamente influenzato l’evoluzione delle piattaforme
carbonatiche della catena appenninico-magrebide (Bosellini, 1989). Una tardiva frammentazione delle piattaforme e il
nuovo annegamento di ampie porzioni delle stesse caratterizzano l’evoluzione di questi ambienti dando luogo a nuove
margini produttivi, tettonicamente controllati, e riducendo le aree di piattaforma interna (Praturlon & Sirna, 1976;
Accordi & Carbone, 1988a, b). Livelli di bauxite testimoniano, in questo momento, episodi di emersione a carattere
regionale (D’Argenio & Mindszenty, 1995, cum biblio). In seguito, l’assetto paleogeografico è stato dominato da ampie
rampe carbonatiche, che collegavano porzioni emerse delle antiche piattaforme ai bacini circostanti.
Alla fine del Cretacico, l’intera Piattaforma Appenninica (o i suoi frammenti residui) è emersa dando luogo alla
cosiddetta “lacuna paleogenica”, evento che caratterizza quasi ovunque le successioni carbonatiche dell’Appennino
centro-meridionale. Solo alcune limitate rampe carbonatiche sono perdurate qua e là lungo i margini durante l’Eocene e
l’Oligocene. Più tardi, a partire dal Miocene inferiore-medio, la sedimentazione carbonatica di acque poco profonde
(neritica) ha nuovamente completamente coperto, in discordanza o in paraconcordanza, i calcari mesozoica emersi
(“trasgressione miocenica”). Questo è l’atto finale della storia del regno carbonatico, in quanto i calcari miocenici sono
ricoperti ovunque da depositi terrigeni torbiditici; seguendo l’evoluzione tettonica della catena, quindi, questi ambienti
di avanfossa hanno sostituito un modello sedimentario durato quasi duecento milioni di anni. Situazioni simili si sono
delineate anche nelle aree interne, a partire, però, dal Cretaceo superiore.
Nell’Arco Appenninico Meridionale, i resti delle piattaforme mesozoiche, con tracce dei loro margini originali e,
talvolta, delle scarpate adiacenti, sono conservati sia nelle aree esterne della catena che nell’avampaese (Sartoni &
Crescenti, 1964; Pieri, 1966; Colacicchi, 1967; Crescenti et al., 1969; Parotto & Praturlon, 1975; Castellarin et al.1978;
Accarie, 1988; Pignatti, 1990; Bosellini et al., 1993; Eberli et al., 1993; Sanders, 1994; Bernoulli et al., 1996; Mutti et
al., 1996; Vecsei et al., 1998; Bernoulli, 2001).
Nella catena, un’ampia Piattaforma Appenninica (forse più piattaforme separate da stretti poco profondi o piccoli bacini
intrapiattaforma) appare attualmente divisa in più unità tettoniche che costituiscono il nucleo della catena
dell’Appennino centro-meridionale, nel quale hanno un forte controllo morfologico. La presunta continuità originale
sarebbe stata ovviamente cancellata da un’intensa e complessa tettonica (le strutture carbonatiche costituiscono le
principale scaglie tettoniche degli Appennini esterni). Lembi minori affiorano anche nella Sicilia nord-occidentale
(Palermo e Monti delle Madonie — “Piattaforma Panormide” di Ogniben et al., 1975). Le Piattaforme “Appenninica” e
“Panormide” si sarebbero raccordate a bacini esterni in qualche modo collegati (Umbro-Marchigiano sud-orientale,
Molisano, Lagonegrese, Imerese) che le tenevano separate dagli altri domini di piattaforma più esterni, attualmente
rappresentati dall’avampaese apulo e ibleo, dove sono ben esposte unità di piattaforma carbonatica poco deformate.

1.2.2.2.2 Bacini pelagici


Le piattaforme carbonatiche erano circondate da solchi con fondali più profondi (bacini e “piattaforme pelagiche” —
Santantonio, 1993,1994), in qualche modo collegati tra loro. Alcuni di essi si sono sviluppati su piattaforme
carbonatiche del Giurassico inferiore annegate (come la Sabina e il Bacino Umbro-Marchigiano), altri (come il Bacino
Lagonegrese e l’Imerese) hanno una storia in parte più vecchia.
Essi sono caratterizzati da alternanze di calcari pelagici, calcari e marne selciferi con sedimenti ridepositati derivanti dai
vicini margini di piattaforma. Nell’Arco Appenninico Meridionale, da nord a sud, essi sono: il Bacino Sabino,
prolungamento verso sud degli ampi bacini della Toscana e dell’Umbria-Marche nell’Appennino settentrionale, il
Bacino Molisano e il Bacino Lagonegrese, nell’Appennino centro-meridionale, il Bacino Imerese e il Bacino Sicano in
Sicilia. Il Bacino Lagonegrese-Molisano (il secondo sembra rappresentare il ramo nord-occidentale del primo), con i
suoi caratteristici sedimenti, si sarebbe sviluppato tra il lato orientale delle attuali piattaforme carbonatiche
dell’Appennino centrale e campano-lucano e il dominio apulo. Il Bacino Lagonegrese era probabilmente collegato al
Bacino Imerese della Sicilia fino dal Paleozoico superiore.
Come regola generale, la maggior parte dei domini pelagici e della loro transizione verso le scarpate di raccordo alle
piattaforme-pendio sono stati ricoperti durante l’orogenesi appenninica dai thrust sheet e sono quindi difficili da
investigare. Lo stesso va detto per i margini di piattaforma, che erano il luogo preferito dello scollamento e
dell’attivazione dei thrust. La transizione dalla piattaforma al bacino adiacente è eccezionalmente conservata e visibile
in Marsica (Colacicchi, 1967), sul Gran Sasso e nei Monti della Maiella (Bernoulli, 2001, cum biblio) e nella parte
orientale del Promontorio del Gargano (Bosellini et al., 1993).

1.2.2.2.3 Bacini di avanfossa

Depositi sinorogenici — Durante il Miocene superiore-Pliocene, nell’Appennino meridionale, l’evoluzione orogenica


ha portato alla quasi completa obliterazione del Bacino Lagonegrese-Molisano: le unità di piattaforma sono impilate su
quelle pelagiche e sovrascorse insieme sulla piattaforma apula. Successivamente, il fold-and-thrust belt è stato
ulteriormente raccorciato, e quindi sottoposto a una deformazione polifasica, e il fronte della catena spostato ancora più
verso est.
In questo contesto, i depositi silicoclastici torbiditici (arenacei, arenaceo-pelitici e pelitico-arenacei) delle avanfosse
mio-plioceniche sono attualmente coinvolti nella catena e affiorano in aree strutturalmente ribassate, strette tra le unità
tettoniche dell’Appennino campano-lucano.

Successioni tardo-orogeniche — Sono diffuse lungo tutta la catena appenninica. Successioni di thrust-top basin del
Messiniano-Pliocene coprono le sequenze carbonatiche nell’Appennino centrale e meridionale. Nel settore meridionale
dell’ala peninsulare dell’Arco Appenninico Meridionale, molti depositi clastici del Miocene medio-superiore (come la
“Formazione di Gorgoglione” e la “Formazione di Oriolo” in Lucania), seguiti dalla “Formazione gessoso-solfifera” e
da successioni argilloso-conglomeratiche del Pliocene inferiore, ricoprono in discordanza sia l’alloctono Sicilide che il
suo substrato, prevalentemente rappresentato dal Bacino Lagonegrese-Molisano.

Unità dell’avanfossa attuale — Queste unità sono relative all’“Unità del Bradano”, costituita da conglomerati, sabbie e
argille in diversi cicli regressivi, sviluppatisi da ovest verso est e da nord verso sud. Nella zona più esterna, vicino alle
unità di avampaese, sono presenti depositi calcarenitici del Plio-Pleistocene (“Calcareniti di Gravina”), appoggiate sulle
successioni della Piattaforma Apula.

1.2.2.2.4 Avampaese
Nel promontorio del Gargano e nella maggior parte del resto della Puglia è ben esposta la successione di avampaese
dell’Appennino meridionale. I sedimenti affioranti sono di età compresa tra il Giurassico superiore e il Terziario, ma
molte rocce più antiche sono state riconosciute in pozzi profondi (Gargano 1, Puglia 1).
La stratigrafia dell’area è caratterizzata da un’enorme pila di carbonati meso-cenozoici di ambiente da peritidale a
marino aperto, che ricoprono in discordanza una spessa successione carbonatica e terrigena permo-triassica, a sua volta
sovrastante un basamento debolmente metamorfosato (Vai, 2001; Grasso, 2001; Bernoulli, 2001; cum biblio).
Nel Gargano orientale e nel Mare Adriatico, pochi km al largo della costa orientale pugliese, è inoltre riconoscibile la
transizione verso un bacino pelagico più esterno. Ottime esposizioni della transizione piattaforma/bacino cretacico-
eocenica sono presenti nella parte orientale del promontorio del Gargano (Bosellini et al., 1993; Bernoulli 2001, cum
biblio).
Nell’Appennino lucano, molte perforazioni hanno incontrato, in profondità, le successioni dell’Avampaese Apulo,
rappresentate da calcari di piattaforma del Cretacico-Paleogene e calcari bioclastici del Miocene inferiore-medio
passanti verso l’alto a sedimenti terrigeni di avanfossa di età compresa tra il Miocene superiore e il Pliocene inferiore.
Questa successione sepolta rappresenta il footwall regionale del thrust belt appenninico, che deriva dalla deformazione
della parte interna della piattaforma carbonatica appartenente al blocco apulo-adriatico.

1.2.2.2.e Successioni post-orogeniche


Sopra le unità tettoniche che formano la spina dorsale della catena appenninica giacciono, con contatto stratigrafico
discordante, successioni marine, di transizione e continentali del Mio-Pliocene che rappresentano il riempimento di
bacini sviluppatisi sul fold-and-thrust belt durante la sua strutturazione.
Più tardi, durante il Quaternario, eventi di vulcanismo orogenico si sono sviluppati attraverso la risalita di magma, che
ha portato alla formazione di sistemi vulcanici in ampi settori della costa tirrenica. Nello stesso periodo, avviene la
formazione di pianure costiere, legata al sollevamento e alle fasi tettoniche distensive che determinano l’assetto attuale
della catena appenninica.

1.2.3 Arco Calabro-Peloritano


La continuità verso S della Catena Appenninico-Magrebide è bruscamente interrotta in corrispondenza dell’Arco
Calabro-Peloritano, geologicamente conosciuto come Calabridi o Arco Cabilo-Calabride, in quanto questa unità
tettonica esotica, prevalentemente composta da rocce intrusive e metamorfiche erciniche, è collegata verso W alle
Cabilidi del Nord Africa.
A N, la struttura calabro-peloritana presenta un limite non ben definito vicino al confine Calabria-Basilicata (in
letteratura conosciuto come “Linea di Sangineto”), mentre in Sicilia (Monti Peloritani) le Unità Calabridi sono
sovrascorse sulle sequenze pelagiche cretacico-mioceniche delle Sicilidi lungo un fronte (la ben conosciuta “Linea di
Taormina”), che può essere tracciato dal Mar Tirreno allo Ionio attraverso la catena dei Monti Nebrodi e Peloritani.
L’Arco Calabro-Peloritano, che si trova in una posizione strutturalmente più elevata e in contrasto con la natura
prevalentemente sedimentaria degli altri domini deposizionali della catena, è costituito da una struttura a thrust-and-fold
nella quale le unità tettoniche sono formate da rocce cristalline e metamorfiche e l’assetto strutturale delle falde è tale
che le unità superiori mostrano il più alto grado metamorfico.
Un volume enorme di rocce del basamento cristallino pre-Mesozoico, unità ofiolitiche e relativa copertura carbonatica
mesoautoctona non-metamorfica (o debolmente metamorfosata) di età riferibile al Mesozoico-Paleogene, ha obliterato
come un gigantesco klippe la cerniera dell’Arco Appenninico Meridionale. Queste unità hanno ricoperto le successioni
bacinali cretacico-mioceniche depositate su crosta oceanica e/o crosta continentale assottigliata, consumata durante le
prime fasi della collisione (Unità ofiolitiche Liguridi in Calabria settentrionale, Unità Sicilidi in Sicilia). Esse hanno
coperto anche la zona di avampaese esterno del fold-and-thrust belt del Mar Ionio (Critelli, 1999; Bonardi et al., 2001;
Rossetti et al., 2001).
A N, rocce carbonatiche prevalentemente mesozoiche, originariamente deposte sul margine continentale apulo-
adriatico, strappate dal loro basamento e attualmente facenti parte del fold-thrust belt Africa-vergente, affiorano in
diverse finestre tettoniche. Sopra queste unità appenniniche sono presenti alcune unità ofiolitiche (forse resti del Bacino
Oceanico Ligure-Piemontese) e tre (o più) falde del basamento cristallino, alcune delle quali includono lembi di una
copertura mesozoico-terziaria. A S (Calabria meridionale e Monti Peloritani) sono presenti solo falde del basamento
cristallino, sovrascorse sulle unità della Sicilia magrebide.
Secondo molti Autori, l’Arco Calabro è una struttura composita in origine probabilmente collegata alle Alpi Occidentali
e tettonicamente sovrapposta all’Arco Appenninico Meridionale, un pezzo della catena alpina ora rappresentato da parte
della stessa Calabria e dai Monti Peloritani nella Sicilia nord-orientale. Secondo questa ipotesi, esso deriverebbe da
parte del prolungamento verso S della catena delle Alpi Occidentali, oggi sommerso nel Mar Tirreno. Sembra originato
dalla deformazione del margine passivo europeo, impilato insieme a materiale oceanico durante il Paleogene,
sovrascorso sul margine continentale africana nel Miocene inferiore ed accresciuto sulla parte posteriore dell’Arco
Appenninico Meridionale in migrazione come conseguenza dinamica dell’apertura del Tirreno meridionale. Secondo
altri Autori, le falde cristalline avrebbero avuto origine dal margine continentale africano (parte del dominio
Austroalpino) e poi sarebbero state impilate durante il Cretacico-Paleogene a formare, insieme alle falde ofiolitiche, una
catena eo-alpina Europa-vergente.

1.2.4 Arco Siculo-Magrebide


La Sicilia magrebide è l’ala meridionale dell’Arco Appenninico Meridionale ed è caratterizzata da una generale
vergenza delle strutture a fold-and-thrust verso S, in direzione dell’Avampaese Ibleo. La storia geologica e lo stile
tettonico della Sicilia magrebide non si discostano molto da quelli dell’ala settentrionale. Anche in Sicilia sono diffuse
falde di unità interne, prive di ofioliti (Unità Sicilidi). Esse sono composte principalmente da mudstones e carbonati
bacinali di età compresa tra il Giurassico superiore e l’Oligocene, coperti in discordanza dalle torbiditi arcosiche
(arenarie) del Miocene inferiore attribuibili al Flysch Reitano (Grasso, 2001; Elter et al., 2003).
Queste falde alloctone poggiano su successioni dell’avampaese continentale africano flessurato, che anche in Sicilia è
costituito da un sistema piattaforma carbonatica/scarpata/bacino assai articolato di età compresa tra il Mesozoico e
l’Eocene (domini Panormide, Imerese, Trapanese, Sicano). Come nella parte centrale e meridionale dell’Appennino, il
rifting mesozoico, infatti, ha frammentato il paleomargine africano in piattaforme carbonatiche e bacini (Channell et al.,
1979). Resti delle piattaforme mesozoiche formano ora una struttura embricata messa in posto soprattutto a partire dal
Miocene medio e generalmente coperta dalla falda regionale del “Flysch Numidico”. Nella Sicilia occidentale,
un’ampia culminazione delle unità carbonatiche mesozoico-terziarie embricate si estende dalla costa meridionale
dell’isola al margine peri-tirrenico, sulla costa settentrionale.
A partire dall’Oligocene, la deposizione è stata prevalentemente silicoclastica, facendo passaggio a una sedimentazione
da bacino di avampaese. Le avanfosse si sono sviluppate inizialmente su aree dei bacini preesistenti durante il Miocene
inferiore-medio, al momento della comparsa di un regime di collisione continentale, quando l’intera area è stata
sottoposta a compressione lungo il fronte orogenico della Sicilia.
Sia le successioni carbonatiche di piattaforma che quelle di bacino sono state tagliate da sovrascorrimenti a direzione E-
W e da rampe laterali destre. Questi processi si sono verificati durante l’apertura del bacino di retro-arco tirrenico
nell’entroterra.
Il sistema di sovrascorrimenti magrebide più esterno (“Falda di Gela”, cuneo tettonico di unità Sicilidi, polydeformed
tra il Pliocene e il Pleistocene medio) limita l’avampaese frammentato in blocchi (Piattaforma Iblea e Blocco delle
Pelagie), che è già parte della piattaforma del Nord Africa.
L’attuale bacino di avanfossa di Gela separa il margine collassato dell’avampaese, riempito da depositi terrigeni del
Plio-Pleistocene, dai sovrascorrimenti frontali della catena. Il bacino di Gela è una stretta depressione, debolmente
deformata, parzialmente sepolta sotto i sovrascorrimenti frontali della Falda di Gela, che si estende dalla Piattaforma
Iblea interna all’offshore della Sicilia meridionale (Argnani, 1989; Butler et al., 1992; Butler & Grasso, 1993; Grasso et
al., 1995; Marsella et al., 1995; Lickorish et al., 1999; Grasso, 2001).

Potrebbero piacerti anche