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1 LA CATENA APPENNINICA
Gli Appennini sono la «spina dorsale» della penisola italiana, emergendo in una striscia stretta e allungata dalle acque
del Mediterraneo. Questa catena si è formata in seguito alla convergenza dell’Africa verso l’Europa, a partire da 30
milioni di anni fa. Le spinte compressive hanno accatastato in una pila di falde larga circa 150 km rocce che
originariamente si trovavano in una fascia di mare larga 200-250 km.
La genesi dell’Appennino è il risultato di un processo geodinamico che ha interessato larga parte del Mediterraneo
centrale al termine della fase di convergenza delle placche europea e africana. Gli elementi essenziali del quadro
cinematico in evoluzione sono le due placche maggiori (Europa e Africa), ma il gioco di incastro tra di esse è
complicato dalla presenza di alcune microplacche (Blocco Sardo-Corso, settore adriatico) e dalla contemporanea
presenza di settori poco deformati. Inoltre, durante la fase evolutiva più recente dell’Appennino, rotazioni e faglie
trascorrenti hanno ulteriormente mescolato le tessere di un mosaico già complesso e articolato.
La Catena Appenninica, quindi, è una complessa struttura a coltri di ricoprimento (fold-and-thrust belt) derivanti dallo
scorrimento e dal raccorciamento di coperture sedimentarie appartenenti a domini paleogeografici posti lungo il
margine settentrionale della placca afro-adriatica (in subduzione verso W), trasportate verso l’avampaese padano-
adriatico-ionico a partire dall’Oligocene superiore (Boccaletti et al., 1971; D’Argenio et al. 1980; Patacca & Scandone,
1989; Doglioni, 1991).
L’evoluzione dell’Appennino dal Neogene al recente è caratterizzata dalla migrazione verso E-NE dei fronti di
deformazione e delle avanfosse correlate, progressivamente più giovani verso est (Ricci Lucchi, 1986; Royden, 1988),
accompagnata da tettonica estensionale nei settori di retrocatena, che porta all’apertura dei bacini di retroarco
provenzale, tirrenico e toscano, progressivamente più giovani (Rehault et al., 1985; Gueguen et al., 1998), e di diversi
bacini intramontani (Bartole, 1995; Barchi et al., 1998; Cavinato & De Celles, 1999).
L’evoluzione geodinamica della Catena Appenninica viene oggi definita attraverso l’elaborazione di un modello ad
archi che interpreta l’andamento superficiale arcuato delle strutture come l’adattamento della litosfera in presenza di
forti ostacoli a una libera deformazione (Tozzi, 1993). Due sembrano infatti essere le strutture più importanti della
Catena Appenninica: un arco settentrionale (che si estende dal Piemonte meridionale fino al Lazio settentrionale) e uno
meridionale (che dal Lazio-Abruzzo arriva fino in Sicilia), caratterizzati da stili di deformazione diversi. Nell’Arco
Appenninico Meridionale la catena risulta formata soprattutto da duplex, che implicano forti raccorciamenti, mentre
nell’Arco Appenninico Settentrionale sono più comuni le strutture embricate, spesso a ventaglio (Patacca et al., 1990;
Tozzi, 1993).
Successioni tardo-orogeniche — Sono diffuse lungo tutta la catena appenninica. Successioni di thrust-top basin del
Messiniano-Pliocene coprono le sequenze carbonatiche nell’Appennino centrale e meridionale. Nel settore meridionale
dell’ala peninsulare dell’Arco Appenninico Meridionale, molti depositi clastici del Miocene medio-superiore (come la
“Formazione di Gorgoglione” e la “Formazione di Oriolo” in Lucania), seguiti dalla “Formazione gessoso-solfifera” e
da successioni argilloso-conglomeratiche del Pliocene inferiore, ricoprono in discordanza sia l’alloctono Sicilide che il
suo substrato, prevalentemente rappresentato dal Bacino Lagonegrese-Molisano.
Unità dell’avanfossa attuale — Queste unità sono relative all’“Unità del Bradano”, costituita da conglomerati, sabbie e
argille in diversi cicli regressivi, sviluppatisi da ovest verso est e da nord verso sud. Nella zona più esterna, vicino alle
unità di avampaese, sono presenti depositi calcarenitici del Plio-Pleistocene (“Calcareniti di Gravina”), appoggiate sulle
successioni della Piattaforma Apula.
1.2.2.2.4 Avampaese
Nel promontorio del Gargano e nella maggior parte del resto della Puglia è ben esposta la successione di avampaese
dell’Appennino meridionale. I sedimenti affioranti sono di età compresa tra il Giurassico superiore e il Terziario, ma
molte rocce più antiche sono state riconosciute in pozzi profondi (Gargano 1, Puglia 1).
La stratigrafia dell’area è caratterizzata da un’enorme pila di carbonati meso-cenozoici di ambiente da peritidale a
marino aperto, che ricoprono in discordanza una spessa successione carbonatica e terrigena permo-triassica, a sua volta
sovrastante un basamento debolmente metamorfosato (Vai, 2001; Grasso, 2001; Bernoulli, 2001; cum biblio).
Nel Gargano orientale e nel Mare Adriatico, pochi km al largo della costa orientale pugliese, è inoltre riconoscibile la
transizione verso un bacino pelagico più esterno. Ottime esposizioni della transizione piattaforma/bacino cretacico-
eocenica sono presenti nella parte orientale del promontorio del Gargano (Bosellini et al., 1993; Bernoulli 2001, cum
biblio).
Nell’Appennino lucano, molte perforazioni hanno incontrato, in profondità, le successioni dell’Avampaese Apulo,
rappresentate da calcari di piattaforma del Cretacico-Paleogene e calcari bioclastici del Miocene inferiore-medio
passanti verso l’alto a sedimenti terrigeni di avanfossa di età compresa tra il Miocene superiore e il Pliocene inferiore.
Questa successione sepolta rappresenta il footwall regionale del thrust belt appenninico, che deriva dalla deformazione
della parte interna della piattaforma carbonatica appartenente al blocco apulo-adriatico.